0 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE CORSO DI LAUREA IN LINGUE STRANIERE PER LA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE TESI DI LAUREA RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI: ACCOGLIENZA E SITUAZIONE ABITATIVA A TORINO RELATORE: PROF.SSA Laura Bonato CANDIDATA: Erika Lavolpe Matricola: 309036 ANNO ACCADEMICO 2012-2013
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RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI ... - nonsoloasilo.org · Soccorso e Accoglienza (CPSA ), Centri di Accoglienza (CDA), Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), Centri di
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
CORSO DI LAUREA IN LINGUE STRANIERE PER LA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE
TESI DI LAUREA
RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI: ACCOGLIENZA E SITUAZIONE ABITATIVA A TORINO RELATORE: PROF.SSA Laura Bonato
CANDIDATA: Erika Lavolpe
Matricola: 309036
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
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INDICE
Introduzione……………………………………………………………………......4
Capitolo1 – Diritto d’asilo: convenzioni, leggi e decreti…………………....7
1.1. – Diritto internazionale……………………………………………………......7
1.2. – La legislazione europea………………………………………………......10
L’argomento di questa tesi e la scelta di svolgere una ricerca sui
rifugiati sono nati principalmente dalla volontà di comprendere chi sono le
persone che vengono etichettate come “rifugiati”, che cosa li differenzia dai
titolari di protezione sussidiaria o umanitaria e che cosa comporta aver
acquisito uno di questi riconoscimenti.
È risultato fondamentale per l’approfondimento dell’argomento la
partecipazione al Laboratorio Interdisciplinare sul Diritto d’Asilo, organizzato
dal Coordinamento Non Solo Asilo in collaborazione con l’Università degli
Studi di Torino, che si proponeva di approfondire la tematica della protezione
internazionale, rivolgendosi a studenti universitari e operatori del privato
sociale e delle associazioni operanti nel settore.
Grazie ai temi trattati durante i tre mesi di laboratorio è emersa con
chiarezza la vastità dell’argomento, la quantità di implicazioni giuridiche,
politiche, sociali e culturali che lo caratterizzano e la necessità di
circoscrivere la trattazione. Ho deciso pertanto di orientare la ricerca
sull’accoglienza e la situazione abitativa vissuta dai richiedenti asilo e dai
rifugiati, cogliendo l’opportunità di partecipare come tirocinante ad un
progetto di ricerca sull’abitare, svoltosi nei territori di Aqui Terme, Asti, Biella,
Ivrea e Torino. A questo ho inoltre deciso di affiancare un’indagine
personale, basata su un numero ristretto di testimonianze, volta ad indagare
la situazione abitativa di rifugiati o titolari di protezione sussidiaria o
umanitaria che vivono nella città di Torino.
La trattazione si sviluppa attraverso sei capitoli che tentano di dare un
inquadramento legislativo e storico-politico sull’argomento, per poi
focalizzare l’attenzione sui risultati prodotti dalla ricerca.
Il primo capitolo sintetizza i contenuti della Convenzione di Ginevra del
1951 e del Protocollo sullo status di rifugiato del 1967 che costituiscono le
basi normative per il riconoscimento della figura del rifugiato in ambito
internazionale. Segue poi un elenco delle direttive europee attraverso le quali
le norme internazionali ratificate dagli Stati europei trovano applicazione e
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che dovrebbero garantire una procedura comune in materia d’asilo e un
trattamento uniforme riservato ai titolari di protezione internazionale sul
territorio europeo. Infine sottolineando la mancanza di una legge nazionale
organica, vengono elencati i decreti legislativi, i provvedimenti e le leggi
italiane in materia di diritto d’asilo e rifugiati.
Il secondo capitolo enuncia le quattro fasi dell’iter che un richiedente
asilo in Italia deve affrontare per ottenere la protezione internazionale:
presentazione della domanda, foto segnalamento e compilazione del modello
C3, audizione presso la Commissione Territoriale di competenza e
acquisizione della decisione della Commissione.
A questi due capitoli esplicativi e più generici segue il terzo in cui si
elencano i dati relativi alle domande d’asilo presentate in Italia nel 2011/2012
e ai principali Paesi di provenienza dei richiedenti, facendo riferimento al
rapporto “Global Refugees Trends in Industrialized Countries” dell’UNHCR
(Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Analogamente, grazie alla
consultazione dei dati forniti dalla Prefettura e dalla Commissione Territoriale
di Torino relativi all’anno 2011/2012, viene riportato il numero di richieste e
indicate le provenienze dei richiedenti nella regione Piemonte. Il capitolo si
conclude con un breve inquadramento storico-politico dei Paesi che
emergono dai dati nazionali come le principali zone di provenienza dell’anno
2011/2012 (Tunisia, Pakistan, Nigeria, Afghanistan e Mali), nel tentativo di
comprendere quali sono le motivazioni che spingono un tale numero di
persone a fuggire.
Dal quarto capitolo si inizia a sviluppare l’effettiva trattazione del tema
della ricerca, fornendo una descrizione delle diverse tipologie di centri di
accoglienza e di centri di trattenimento, attraverso i quali è strutturato il
sistema di accoglienza per i richiedenti asilo in Italia: Centri di Primo
Soccorso e Accoglienza (CPSA ), Centri di Accoglienza (CDA), Centri di
Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), Centri di Identificazione ed
Espulsione (CIE) e Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati
(SPRAR). Viene in seguito approfondita la differenza tra prima accoglienza e
accoglienza integrata, che dovrebbe caratterizzare i progetti SPRAR e
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garantire ai beneficiari interventi finalizzati non solo a fornire vitto e alloggio
ma anche, e soprattutto, la realizzazione di attività di accompagnamento,
indirizzate alla conoscenza del territorio, all'effettivo accesso ai servizi e alla
costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Infine
viene sottolineato che per il finanziamento dei servizi di accoglienza e i
percorsi di integrazione di coloro che hanno ottenuto la protezione
internazionale in Italia esiste un Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi
dell’Asilo. Inoltre l’Italia, in quanto firmataria della Convenzione di Ginevra,
beneficia di un aiuto economico da parte dell’Unione Europea da destinare
alle politiche e al sistema di asilo: il Fondo Europeo per i Rifugiati.
Nel quinto capitolo si concretizza il tema della ricerca sull’accoglienza
e le situazioni abitative vissute dai rifugiati nella regione Piemonte. Il gruppo
di ricerca con cui ho svolto l’indagine era composto da due antropologhe e
due studentesse e ha effettuato 23 interviste non strutturate, sviluppatesi a
partire da una traccia, elastica e flessibile, adattata di volta in volta agli
interlocutori intervistati nei Comuni di Aqui Terme, Asti, Biella, Ivrea e
Torino. Dall’indagine, che è stata possibile grazie alla rete del
Coordinamento Non Solo Asilo, un’associazione di secondo livello che si
occupa di seconda accoglienza, è emersa un’estrema disparità di situazioni
vissute dagli intervistati. Inoltre si è cercato di fare emergere quali fossero gli
aspetti negativi e positivi della prima accoglienza e delle esperienze abitative
sperimentate in seguito all’ottenimento della protezione.
L’ultimo capitolo si sviluppa sulla base di dieci interviste effettuate a
rifugiati e titolari di protezione umanitaria che vivono attualmente nella città di
Torino. La traccia seguita con questi interlocutori era mirata a far emergere in
quali strutture avessero vissuto all’arrivo nella città di Torino e quali fossero
state le mancanze o le carenze nel sistema di accoglienza e nella procedura
di riconoscimento della protezione ottenuta. Infine l’attenzione era rivolta alla
situazione abitativa attuale.
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Capitolo 1
Diritto d’asilo: convenzioni, leggi e decreti
Per parlare di diritto d’asilo politico e di rifugiati è necessario fare
riferimento a leggi, norme e convenzioni che hanno il compito di definire chi
può beneficiare di tale diritto e di tutelare le persone che possono goderne.
Il diritto d’asilo garantisce protezione a soggetti i cui diritti sono già
stati compromessi o sono altamente a rischio e ha un suo fondamento
legislativo nel diritto internazionale. Il diritto internazionale trova poi
applicazione all’interno dell’Unione Europea e dei singoli Stati che ne fanno
parte. La UE ha creato una serie di norme specifiche in materia di diritto
d’asilo nel rispetto dell’adesione ai trattati internazionali. Inoltre ogni Stato
dell’Unione Europea aderente a tali norme, compreso quello Italiano, ha la
responsabilità di applicarle, inserendole nel proprio ordinamento legislativo.
1.1. Diritto internazionale
Il diritto internazionale, detto anche ius gentium, diritto delle genti, è
quella branca del diritto che regola la vita della comunità internazionale ed è
al di sopra degli Stati e dei loro ordinamenti interni. In merito alla protezione
dei diritti umani e dei rifugiati, è il primo strumento a cui gli Stati devono fare
riferimento e in base al quale devono uniformare la propria legislazione.
Infatti, la ratifica di un trattato internazionale, comporta l’adesione degli Stati
ratificanti ai valori proclamati dalla comunità internazionale e vincola alla
responsabilità dell’applicazione delle normative.
Il processo attraverso il quale ha preso forma la legislazione che riguarda il
diritto d’asilo e i rifugiati ha il suo fondamento nella Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, che fu approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite e che rappresenta il documento con cui si
stabiliscono universalmente i diritti che spettano all’essere umano. Afferma
che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della
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propria persona»1 e «di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle
persecuzioni»2 (www.serviziocentrale.it, La tutela dei richiedenti asilo –
Manuale giuridico per l'operatore).
In seguito risultò necessaria la creazione di un organismo
internazionale che si occupasse di rifugiati e nel dicembre del 1949 fu istituito
l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), il cui statuto
venne approvato alla fine del 1950. Questo organismo si occupa di fornire
protezione internazionale ai rifugiati e di cercare soluzioni permanenti alle
loro problematiche, assistendo i governi nei rimpatri volontari o
nell’integrazione alle comunità nazionali.
A seguito di una conferenza speciale delle Nazione Unite che si svolse a
Ginevra il 28 luglio 1951 venne approvata la Convenzione sullo status dei
rifugiati, conosciuta come Convenzione di Ginevra, che aveva l’obiettivo di
realizzare una carta dei diritti che stabilisse i requisiti per il conferimento dello
status di rifugiato, le forme di protezione legale, di assistenza e i diritti sociali
di cui il rifugiato dovrebbe godere negli Stati firmatari, ed infine gli obblighi del
rifugiato nei confronti dello stato ospitante e le categorie di persone che non
possono accedere allo status di rifugiato (per esempio i criminali di guerra).
In base alla definizione contenuta nella Convenzione di Ginevra, il rifugiato è
colui che «per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel
giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la
sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le
sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza
e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto
Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di
domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato,
non vuole ritornarvi»3 (www.serviziocentrale.it, La tutela dei richiedenti asilo –
Manuale giuridico per l'operatore). Pertanto lo status di rifugiato viene
concesso a chi possiede i seguenti requisiti:
1 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 1948, art.3. 2 Idem, art.14 3 Unhcr, Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato 1951, art. 1°.
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1. un rifugiato è colui che è fuggito dal proprio paese, varcandone i
confini;
2. un rifugiato è colui che possiede «giustificato (o fondato) timore di
persecuzione» che lo riguarda personalmente e direttamente;
3. un rifugiato è colui che ha subito o teme di subire, una persecuzione
per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un
determinato gruppo sociale o di opinione pubblica. A questi si
aggiungono, motivi che riguardano l’identità di genere e l’orientamento
sessuale della persona4 (Rastello L., (2010), La frontiera addosso.
Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251)
I citati motivi di persecuzione dovevano riferirsi a situazioni e fatti
avvenuti esclusivamente prima del 1º gennaio 1951.
La Convenzione stabilì inoltre, il principio di non respingimento (non
refoulement) che determina l’impossibilità da parte degli Stati contraenti di
espellere o respingere un richiedente asilo verso le frontiere di Stati dove la
sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Infine venne prevista la
possibilità per gli stati ratificanti di depositare una dichiarazione specifica di
limitazione geografica e di optare per una protezione rivolta esclusivamente a
rifugiati di provenienza europea.
Il 31 gennaio 1967 a New York venne però ratificato il Protocollo sullo
status di rifugiato, con l’obiettivo di eliminare il limite temporale (fatti avvenuti
prima del 1º gennaio 1951) e le limitazioni geografiche contenute nella
Convenzione di Ginevra e garantire così il riconoscimento dello status di
rifugiato anche a nuove categorie di persone.
La Convenzione di Ginevra e il Protocollo per i rifugiati costituiscono le
basi normative per l’azione dell’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
4 Inizialmente questi motivi non erano elencati nella Convenzione di Ginevra 1951 ma l’UNHCR, nel 2002, ha pubblicato delle linee guida per la definizione di rifugiato, includendo fra i motivi di persecuzione la violenza sessuale, la tratta, la violenza domestica, la pianificazione familiare forzata, la mutilazione genitale femminile, i delitti d’onore, i matrimoni forzati, le punizioni inflitte a chi infrange le consuetudini sociali e le discriminazioni verso chi ha partner dello stesso sesso.
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rifugiati e 146 Stati, Italia compresa, aderirono ad uno o ad entrambi gli
strumenti normativi dell’ONU.
Inoltre la Convenzione venne riconosciuta come strumento basilare
dall’Organizzazione per l’unità africana (OUA) per disciplinare la questione
dei rifugiati in Africa e, nel 1969, venne inclusa nella Convenzione
dell’Organizzazione per l’unità africana con l’estensione della definizione di
rifugiato a coloro che abbandonano la propria residenza abituale a causa di
«aggressioni esterne, occupazione, dominio straniero o fatti che rechino un
grave turbamento all’ordine pubblico5» (Rastello L., (2010), La frontiera
addosso. Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251).
Un ulteriore ampliamento della definizione venne apportata a seguito
dell’incontro di un gruppo di rappresentanti dei governi, professori universitari
e giuristi centroamericani, con la Dichiarazione di Cartagena nel 1984,
includendo nella definizione di rifugiato coloro che fuggono «perché la loro
vita, la loro sicurezza e la loro libertà è minacciata da violenze generalizzate,
aggressione straniera, conflitto interno, massicce violazioni dei diritti umani o
altre gravi turbative dell’ordine pubblico6» Rastello L., (2010), La frontiera
addosso. Così si deportano i diritti umani. Torino, Laterza, pp. 195-251).
1.2. La legislazione europea
La Comunità Economica Europea, nata nel 1957, aveva come
principale obiettivo quello di creare un’unione economica tra gli stati aderenti
al trattato. Successivamente gli Stati della CEE lavorarono per l’attuazione
del libero movimento di beni, servizi, lavoratori e capitali e per lo sviluppo di
politiche congiunte in materia di lavoro, stato sociale, agricoltura, trasporti e
commercio estero. Tuttavia, in principio, non fu prevista una strategia
sovranazionale in materia di diritto d’asilo e ingresso nei paesi comunitari di
cittadini di Stati Terzi perché vennero ritenute discipline di competenza
statale. Solo nel 1999 venne inserito il titolo “Visti, asilo, immigrazione e altre
politiche connesse con la libera circolazione delle persone” nel Trattato di
5 UNHCR, Convenzione dell’Organizzazione per l’unità africana 1969, art.1.2. 6 UNHCR, Dichiarazione di Cartagena 1984, art.3.3.
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Amsterdam7, grazie al quale le politiche di immigrazione e di asilo trovarono
spazio in ambito comunitario, con il conseguente passaggio da oggetto di
cooperazione intergovernativa a competenza comunitaria sovranazionale.
Nell’ottobre del 1999 (15-16 ottobre) ci fu il Consiglio Straordinario di
Tampere, allo scopo di risolvere le difficoltà sorte in seguito al Trattato di
Amsterdam e di adoperarsi affinché la Convenzione di Ginevra venisse
rispettata dall’Unione Europea: «l’obiettivo è un’Unione Europea aperta,
sicura e pienamente impegnata a rispettare gli obblighi della Convenzione di
Ginevra relativa allo status dei rifugiati e di altri importanti strumenti
internazionali per i diritti dell’uomo, e capace di rispondere ai bisogni
umanitari con la solidarietà8»; venne stabilito che si sarebbe dovuto attuare
quanto disposto nel Trattato di Amsterdam e che, nel lungo termine, si
sarebbe dovuta realizzare una procedura comune in materia di asilo e creare
uno status uniforme per coloro che fossero riconosciuti come rifugiati.
A seguito di queste disposizioni, nel 1990 venne ratificata la
Convenzione di Dublino che stabilì quale Stato europeo fosse competente
all’esame di una domanda di asilo presentata da cittadini di paesi terzi
richiedenti ingresso in uno degli Stati membri della Comunità Europea. La
Convenzione venne poi sostituita dal Regolamento Dublino II (2003/343/CE)
per garantire non solo l’individuazione nel più breve tempo possibile dello
Stato competente all’esame della domanda del richiedente asilo, ma anche
che venisse rispettato il principio di non refoulement (non respingimento di un
richiedente asilo in un paese nel quale rischia di essere vittima di nuove
persecuzioni), venisse risolto il caso dell’asilo shopping che comportava la
non presa in carico della domanda da parte degli Stati, e il rinvio da uno
Stato all’altro del richiedente asilo, ed infine si risolvesse il caso delle
domande di asilo multiple cioè presentate in più Stati membri.
Il Regolamento Dublino II elenca sei criteri fondamentali per
l’individuazione dello Stato competente all’esame della domanda:
7 Trattato di Amsterdam firmato il 2 ottobre 1997 ma entrato in vigore il 1º maggio 1999. 8 Consiglio Europeo di Tampere 1999, Verso un’unione di libertà, sicurezza e giustizia: i capisaldi di Tampere, art.4.
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1. criteri relativi al principio dell’unità del nucleo familiare: se il richiedente
è un minore non accompagnato, è competente lo Stato in cui si trova
un suo familiare, purché sia nel migliore interesse del minore. In
mancanza di un familiare, è competente lo Stato in cui il minore ha
presentato domanda;
2. criteri relativi al rilascio di permessi di soggiorno o visti: se il
richiedente possiede titoli di soggiorno validi, lo Stato competente è
quello che ha rilasciato tali titoli;
3. criteri relativi all’ingresso o al soggiorno illegali in uno Stato membro:
a) se il richiedente ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato
membro, questo è competente all’esame della domanda entro dodici
mesi dalla data di attraversamento; b) se il richiedente ha soggiornato
per un periodo continuato di almeno cinque mesi in uno Stato membro
prima di presentare domanda di asilo, quest’ultimo è competente per
l’esame della domanda;
4. criteri relativi all’ingresso legale in uno Stato membro: se il richiedente
è un cittadino di un paese terzo per cui non è richiesto l’obbligo del
visto, l’esame della domanda compete allo Stato membro in cui
questo fa domanda d’asilo;
5. criteri relativi a domanda presentata in una zona internazionale di
transito di un aeroporto: lo Stato competente è quello che riceve la
domanda d’asilo in un aeroporto di sua competenza;
6. criterio detto generale: esso è applicabile quando nessuno Stato
membro può essere designato competente per la domanda di asilo
sulla base dei criteri elencati. In tali casi, è competente il primo Stato
membro nel quale la domanda è stata presentata.
A questi criteri è aggiunta la “clausola umanitaria”, la quale stabilisce
che un qualsiasi stato membro può, pur non essendo competente sulla base
dei criteri definiti dal Regolamento, accettare di esaminare una domanda di
asilo per ragioni umanitarie9.
9 Regolamento Dublino II 2003, http://europa.eu/
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In seguito alla Conferenza di Tampere venne anche emanata la
decisione 2000/596/CE con la quale venne istituito il Fondo Europeo per i
Rifugiati (FER) per il periodo 2001-2004, che garantiva l’equa ripartizione
delle risorse finalizzate all’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo, tra
gli Stati membri.
Il FER verrà successivamente rinnovato per i periodi 2005-2010 e 2008-2013
attraverso la Decisione 2004/94/CE e l’abrogazione della stessa tramite la
Decisione 2007/573/CE.
Nel 2000 venne anche emanato il Regolamento 2000/2725, con il
quale venne istituito l’Eurodac, un sistema informatico che garantisce la
determinazione dello stato competente all’analisi della domanda d’asilo; esso
utilizza un’unità centrale che dispone di una banca dati nella quale vengono
raccolte le impronte digitali dei richiedenti asilo che fanno la loro domanda in
uno degli Stati membri.
In seguito venne emessa una serie di direttive allo scopo di chiarire
alcuni aspetti del diritto d’asilo e garantire un trattamento uniforme ai rifugiati
all’interno degli Stati della Unione Europea:
• Direttiva 2003/9/CE: accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati
membri. Il fine principale di questa direttiva è quello di garantire al
richiedente asilo una qualità di vita dignitosa e condizioni di vita
omogenee all’interno degli Stati membri, favorendo l’unione del nucleo
familiare nel territorio.
Nello specifico, essa determina le condizioni generali di accoglienza,
permette alla Stato di limitare la libertà di spostamento del richiedente
asilo, di stabilire i tempi di accesso al mercato del lavoro e di tener
conto della specifica situazione di persone vulnerabili (minori non
accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori
singoli con figli minori, vittime di torture, stupri o altre forme gravi di
violenza psicologica, fisica o sessuale);
• Direttiva 2004/83/CE conosciuta come Direttiva qualifiche: stabilisce
due tipi di protezione internazionale: lo status di rifugiato e quello di
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protezione sussidiaria. In precedenza, quest’ultima non esisteva e
l’unica alternativa allo status di rifugiato era la possibilità di ottenere la
protezione umanitaria. La protezione sussidiaria viene concessa al
rifugiato quando è perseguitato per una condanna alla pena di morte,
per torture o trattamenti inumani o degradanti e punizioni o se si trova
in pericolo per una situazione generalizzata di violenza indiscriminata
in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Grazie a questa direttiva vennero anche inserite tra gli atti di
persecuzione, le azioni dirette specificatamente contro un sesso.
Attraverso il recepimento di questa direttiva gli Stati membri devono
garantire alcuni diritti:
1. diritto di non respingimento;
2. diritto del richiedente asilo di ricevere comunicazioni in lingue
comprensibili;
3. diritto all’ottenimento di un permesso di soggiorno;
4. diritto all’esercizio di un’attività autonoma e la possibilità di accedere ai
corsi di formazione professionale per gli adulti e all’istruzione per i
minori;
5. il diritto alle cure mediche e psicologiche e a qualsiasi altra forma di
assistenza per le categorie vulnerabili;
6. il diritto ad una sistemazione adeguata;
7. il diritto all’accesso a programmi mirati alla promozione
dell’integrazione all’interno della società o finalizzati a facilitare il
rientro volontario nel paese d’origine;
• Direttiva 2005/85/CE conosciuta come Direttiva procedure: ha il
compito di ridurre le disparità di trattamento nell’analisi delle richieste
d’asilo garantendo la qualità delle decisioni e fornisce delle
disposizioni a cui tutti gli Stati membri devono attenersi:
1. la domanda d’asilo non può essere respinta perché non è stata
presentata tempestivamente;
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2. le decisioni prese dagli Stati membri devono essere il risultato di un
esame individuale, obiettivo e imparziale;
3. i richiedenti asilo hanno diritto a rimanere sul territorio del paese in cui
hanno presentato domanda fino all’adozione della decisione finale da
parte dell’autorità responsabile;
4. i richiedenti asilo hanno diritto al ricorso effettivo e non possono
essere trattenuti per il solo motivo di aver fatto richiesta di asilo;
• Direttiva 2008/115/CE detta anche Direttiva rimpatri: stabilisce norme
comuni per il rimpatrio di cittadini provenienti da paesi terzi che si
trovano in situazione di soggiorno irregolare e che, pertanto, non
soddisfano le condizioni di ingresso, soggiorno o residenza in uno
Stato membro. La direttiva prevede due tappe nel processo di
rimpatrio: la prima è definita “periodo di partenza volontario”, ha una
durata compresa fra i sette e i trenta giorni e consiste nel fare richiesta
esplicita allo straniero di rimpatriare; la seconda è chiamata “decisione
di rimpatrio”, è di natura coercitiva, consiste nell’allontanamento dello
straniero dallo Stato membro da parte dell’autorità giudiziaria e si
attua in seguito al rifiuto da parte dello stesso, di partire
volontariamente. La Direttiva rimpatri prevede il trattenimento con
parametri comuni in tutti gli Stati e stabilisce il divieto di rientrare nel
territorio dell’Unione Europea per un periodo non superiore ai cinque
anni per coloro i quali non abbiano beneficiato del ritorno volontario o
non abbiano rispettato l’obbligo di rimpatrio. La direttiva evidenzia la
necessità di considerare l’interesse superiore del minore - che deve
essere ricondotto ad un membro della famiglia, ad un tutore designato
o presso strutture di accoglienza nel paese di ritorno -, la vita
familiare, le condizioni di salute delle persone coinvolte e il rispetto del
principio di non respingimento.
Infine, nel panorama della legislazione europea in materia di diritto
d’asilo e rifugiati, nel 2009 venne inserito nel Trattato di Lisbona il titolo
“Politiche relative ai controlli alle frontiere” che, nell’articolo 63, paragrafo 2 si
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occupa di chiarire che il Parlamento e il Consiglio europeo adottano un
sistema comune in materia di asilo, basato su dei criteri imprescindibili:
• uniformità dello status di asilo politico e di protezione sussidiaria;
• procedure comuni per la concessione e la revoca degli status;
• sistema comune di protezione degli sfollati;
• criteri e meccanismi per la determinazione dello Stato membro
competente per l’esame della domanda;
• norme riguardanti l’accoglienza;
• partenariato e cooperazione con gli Stati terzi con la finalità di gestire i
flussi di richiedenti asilo.
Inoltre, nel caso di afflussi improvvisi di cittadini provenienti da paesi
terzi, il paragrafo 3 dell’articolo 63 dello stesso Trattato prevede la possibilità
di adottare misure temporanee a vantaggio degli Stati in situazione di
emergenza.
1.3. Legislazione italiana
Come già precedentemente affermato, il diritto d’asilo è uno dei diritti
fondamentali dell’uomo, sancito dalle norme di diritto internazionale e
riconosciuto anche dallo Stato italiano che, con il comma terzo dell’articolo
10 della Costituzione afferma: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo
paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo
le condizioni stabilite dalla legge» (www.governo.it).
Inoltre l’Italia ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951
che definisce lo status di rifugiato, al successivo Protocollo del 31 gennaio
1967 e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, che determina lo
Stato membro dell’Unione Europea competente all’esame della domanda
d’asilo. Tuttavia, lo Stato italiano non ha una legge nazionale organica in
materia di asilo.
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Il primo intervento in materia di immigrazione e rifugiati è
rappresentato dalla Legge Martelli, legge 39/90 (1990) che abolì la riserva
geografica che precedentemente circoscriveva il riconoscimento dello status
di rifugiato ai soli soggetti provenienti dall’Europa e introdusse una
programmazione degli ingressi in Italia per motivi di lavoro dei cittadini
extracomunitari.
Nel 1998 la Legge Turco-Napolitano, legge 40/98, introdusse ed
istituzionalizzò i CPTA, Centri di permanenza temporanea e accoglienza,
oggi chiamati CIE, Centri di identificazione ed espulsione, che dovevano
contenere tutti gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione e/o
respingimento. Inoltre la legge Turco-Napolitano incluse nell’ordinamento
italiano il permesso di soggiorno per motivi umanitari, rilasciato nel caso in
cui ricorrano gravi motivi di carattere umanitario.
Nel 2002 la Legge Bossi-Fini, legge 189/02, entrata in vigore
pienamente nel 2005, introdusse una procedura di asilo oggi venuta meno
che prevedeva una procedura semplificata in aggiunta a quella ordinaria. La
procedura semplificata, veniva applicata in due casi: a) richiedente straniero
fermato in condizioni di soggiorno irregolare; b) richiedente straniero già
destinatario di un provvedimento di espulsione. In entrambi i casi era compito
del questore stabilire il luogo di trattenimento del richiedente.
Nonostante la Legge Bossi-Fini precisasse che lo straniero non
potesse essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato domanda d’asilo,
di fatto introduceva due forme di trattenimento: la prima obbligatoria, in base
a quanto stabilito dalla procedura semplificata, e la seconda facoltativa, nel
caso fosse risultato necessario verificare l’identità dello straniero richiedente.
Inoltre la legge Bossi-Fini istituì le Commissioni Territoriali e la Commissione
Nazionale, che garantiscono, rispettivamente, l’esame in modo decentrato
delle domande d’asilo e il coordinamento, la formazione e l’aggiornamento
delle stesse commissioni. Infine la legge istituì il Sistema di protezione per i
richiedenti asilo e i rifugiati (SPRAR), costituito dalla rete degli enti locali che
realizza progetti di accoglienza integrata.
18
In seguito alla Legge Bossi-Fini vennero emanati alcuni decreti
legislativi in materia di richiedenti asilo e rifugiati:
• D.Lgs. 85/03, Direttiva sui minori stranieri non accompagnati:
stabilisce che all’arrivo alla frontiera di un minore, che esprima la
volontà di richiedere lo status di rifugiato, egli venga accompagnato ed
affidato immediatamente alle strutture di protezione per i richiedenti
asilo e i rifugiati (SPRAR). Inoltre tutti i pubblici ufficiali e gli esercenti
dei pubblici servizi che vengono in contatto con i suddetti minori,
devono garantire loro tutte le informazioni sulla facoltà di richiedere il
diritto d’asilo, utilizzando modalità adeguate all’età del minore e
usufruendo dell’aiuto di mediatori culturali;
• D.Lgs. 140/05, in seguito alla ricezione della Direttiva comunitaria
2003/9/CE sull’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.
Grazie a questo decreto vennero stabilite le norme sull’accoglienza
degli stranieri richiedenti lo status di rifugiato nel territorio italiano, in
linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati.
• D.Lgs. 251/07, emanato in seguito alla ricezione delle Direttiva
comunitaria 2004/83/CE (Direttiva qualifiche), introduce la categoria di
protezione sussidiaria, che viene attribuita dalla Commissione
territoriale al richiedente qualora non sussistano i requisiti per il
riconoscimento della qualifica di rifugiato; essa è caratterizzata
dall’essere un vero e proprio status come la qualifica di rifugiato. Il
decreto introduce inoltre la tutela del nucleo familiare per entrambi i
tipi di protezione: i beneficiari di protezione potranno essere ricongiunti
o, se si trovano in Italia, ottenere un permesso per motivi di famiglia;
• D.Lgs. 25/2008, a seguito della Direttiva comunitaria 2005/85/CE
(Direttiva procedure), stabilì l’ampliamento del numero delle
Commissioni territoriali a dieci che vennero rinominate Commissioni
territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e la
soppressione dei Centri di identificazione (Cdi) che vennero sostituiti
dai Centri accoglienza richiedenti asilo (Cara). Il D.Lgs. 25/2008 ha
19
successivamente subito alcune modifiche e integrazioni, a seguito
dell’entrata in vigore, nel novembre 2008, del D.Lgs 159/08, che fa
parte del “pacchetto sicurezza” (una serie di misure legislative in
materia di sicurezza che presenta alcune disposizioni volte a
contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di
ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio) e
che introduce:
1. restrizioni alla libertà di circolazione dei richiedenti asilo nel caso di
ricorso contro le decisioni di diniego di domande considerate
manifestatamente infondate;
2. estensione del trattenimento obbligatorio dei richiedenti asilo che sono
oggetto di un provvedimento di respingimento al momento del loro
arrivo in Italia;
3. dimezzamento dei termini di ricorso per i richiedenti asilo trattenuti;
• D.L. 11/09 reca misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, di
contrasto alla violenza sessuale nonché in tema di atti persecutori.
L’articolo 5 stabilisce la possibilità di prolungare, fino ad un massimo
di sei mesi i tempi di trattenimento dello straniero nei centri di
identificazione ed espulsione, lasciando in ogni caso libertà al
questore di eseguire l’espulsione e il respingimento anche prima della
scadenza del termine.
Infine gli ultimi provvedimenti in materia di rifugiati risalgono al 2011:
infatti, in seguito alla crisi che ha attraversato i Paesi del Nord Africa e
all’ulteriore afflusso di persone sulle coste italiane, è stato dichiarato lo stato
di emergenza umanitaria in tutto il territorio nazionale fino al 31 dicembre
2011 (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 febbraio 2011), poi
prorogato al 31 dicembre 2012 (D.P.C.M. 6 ottobre 2011). Tale dichiarazione
ha consentito l’adozione dell’ordinanza di protezione civile del Presidente del
consiglio del 18 febbraio 2011, n. 3924, che ha adottato i primi provvedimenti
di urgenza tra cui la nomina del Capo della protezione civile quale
20
Commissario delegato per la realizzazione degli interventi necessari in
materia.
Nel marzo 2011, successivamente all’intervento militare in Libia, il
Governo, le Regioni e gli enti locali hanno sancito un accordo che prevedeva
un piano di accoglienza straordinario per la sistemazione di circa 50.000
profughi nel territorio italiano.
Il 5 aprile 2011 è stata sottoscritta a Tunisi un’ intesa tra Italia e
Tunisia che impegna le autorità del Paese nordafricano a rafforzare i controlli
per evitare nuove partenze e ad accettare il rimpatrio diretto per i nuovi arrivi
in Italia. Ai cittadini provenienti dei Paesi nordafricani sbarcati in Italia è stato
concesso un permesso di soggiorno temporaneo per protezione umanitaria,
per consentire la loro libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen
(D.P.C.M. 5 aprile 2011). La durata del permesso di soggiorno, inizialmente
fissata a sei mesi, è stata poi prorogata di altri sei mesi dal D.P.C.M. 6
ottobre 2011 e di ulteriori 6 mesi dal D.P.C.M. 15 maggio 2012.
Il 31 dicembre 2012 è stata dichiarata la cessazione dello stato di
emergenza e il rientro nella gestione ordinaria da parte del Ministero
dell’interno e delle altre amministrazioni competenti (Ordinanza del Capo
Dipartimento della protezione civile 28 dicembre 2012, n. 33). Questo ha
comportato l’adozione da parte dei Prefetti di percorsi di uscita dei profughi
dalle strutture di accoglienza che si è tradotto in ulteriori sessanta giorni di
regime ordinario di accoglienza, usufruendo delle risorse rimanenti e
successiva corresponsione di 500 Euro a persona quale misura di uscita.
Con il D.P.C.M. del 28 febbraio 2013 è stata disciplinata la cessazione
delle misure umanitarie di protezione temporanea dei rifugiati, prevedendo
che essi possano presentare, entro il 31 marzo 2013, domanda di rimpatrio
assistito nel Paese di provenienza o di origine, oppure possano presentare
domanda di conversione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari in
permessi per lavoro, famiglia, studio e formazione professionale. In
mancanza di una di queste due opzioni si prevede l'espulsione.
21
Capitolo 2
Richiesta d’asilo: la procedura italiana
Come precedentemente affermato, l’Italia rientra tra gli Stati firmatari
della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e del successivo
Protocollo e, pertanto, garantisce la protezione internazionale, nonostante
non possieda ancora una legge organica in materia di diritto d’asilo. L’iter per
la richiesta d’asilo consta di diverse fasi che verranno successivamente
illustrate e comporta il coinvolgimento di molteplici enti e organismi nazionali.
È necessario precisare che, a causa della mancanza di una normativa unica,
i passaggi elencati di seguito possono variare a seconda della Questura e
del luogo in cui si presenta la propria domanda.
2.1. Domanda d’asilo in quattro tappe.
Il percorso che un richiedente asilo deve affrontare consiste di quattro
fasi:
1. Domanda d’asilo: è personale e il richiedente deve presentarla presso
la polizia di frontiera al momento di arrivo sul suolo italiano o presso
una Questura, all’ufficio immigrazione, qualora si trovasse già in Italia.
La Questura che prende in carico la domanda ha la responsabilità di
seguire il richiedente fino all’acquisizione della decisione, garantendo
il collegamento di quest’ultimo con la Commissione territoriale. Inoltre
deve informare il richiedente sui suoi diritti e doveri e fissare gli
22
appuntamenti necessari affinché egli concluda l’iter di domanda in
Italia;
2. Fotosegnalamento e compilazione del modello C3: la seconda fase
del percorso consiste nella presa delle impronte digitali e delle
fotografie segnaletiche. Successivamente il richiedente deve
compilare il modello C3, che consiste in un foglio notizie in cui egli
deve specificare i suoi dati personali (nome, cognome, nazionalità,
data di nascita), i dati personali dei suoi familiari, il viaggio dal paese
di origine fino all’Italia e infine il racconto sintetico delle motivazioni
che l’hanno spinto a lasciare il suo paese. Le dichiarazioni possono
essere fatte nella lingua madre del richiedente o in qualsiasi altra
lingua che gli permetta la piena espressione.
In questa fase la Questura ritira tutti i documenti originali in possesso
del richiedente (carta d’identità, passaporto, lasciapassare, visti,
certificati, tessere di partito) lasciandogli solo una copia, col timbro
“verbale di consegna”. La Questura redige un verbale in seguito alle
dichiarazioni del modello C3, vi allega i documenti e questa
documentazione costituisce il dossier personale del richiedente che
egli stesso deve firmare per l’approvazione e verrà inviato alla
Commissione territoriale di competenza, qualora l’Italia risultasse il
Paese responsabile all’analisi della domanda.
La competenza di uno Stato è verificata dall’Unità Dublino, un
ufficio appositamente creato presso il Dipartimento per le libertà civili e
l’immigrazione del Ministero dell’Interno, che decide se la presa in
carico della domanda spetta all’Italia, in base alle informazioni sul
richiedente di cui dispone, fornitegli dalla polizia. In seguito all’invio
della domanda d’asilo al ministero dell’Interno, la Questura deve
rilasciare al richiedente un permesso di soggiorno che può essere:
a) permesso di soggiorno, motivo: Convenzione di Dublino che ha
validità un mese ed è rinnovabile fino a quando le autorità italiane non
abbiano verificato che l’Italia è il Paese responsabile all’analisi della
domanda;
23
b) permesso di soggiorno, motivo: Richiesta d’asilo che ha validità tre
mesi ed è rinnovabile fino all’audizione con la Commissione
territoriale.
Infine la Questura deve valutare se il neorichiedente rientra in
uno dei casi di accoglienza o trattenimento nei CARA (Centro di
accoglienza per richiedenti asilo) o nei CIE (Centri di identificazione ed
espulsione) ed è responsabile della segnalazione alla Prefettura
dell’eventuale necessità di reperimento di un posto Sprar (Sistema di
protezione richiedenti asilo e rifugiati). A causa dell’insufficienza dei
posti SPRAR, l’ex D.Lgs. 140/05 ha stabilito che è possibile inviare i
richiedenti asilo, in via temporanea e/o eccezionale, presso i centri per
stranieri. Inoltre essi possono essere inviati presso altri circuiti di
accoglienza non specifici per i richiedenti asilo o, in mancanza di
inserimento del richiedente in un progetto, dovrebbe essergli
corrisposta una somma di denaro giornaliera10;
3. Audizione presso la Commissione territoriale di competenza: questa è
un organismo nominato con decreto del presidente del Consiglio dei
ministri su proposta del ministro dell’Interno e si occupa di esaminare
e valutare le domande d’asilo presentate in territorio italiano.
Inizialmente, esisteva una Commissione unica con sede a Roma ma
dal 2008 il numero delle Commissioni è stato ampliato a dieci per
ridurre i tempi di esame delle domande. Le Commissioni si trovano a
Gorizia (competente delle domande presentate nelle regioni Friuli-
Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige), Milano (competente
delle domande presentate in Lombardia) Roma (competente delle
domande presentate in Lazio, Abruzzo, Sardegna, Marche, Umbria e
Toscana), Foggia (per l’analisi delle domande presentate nelle
provincie di Foggia e Barletta-Andria-Trani), Siracusa (per le domande
presentate in provincia di Siracusa, Ragusa, Caltanissetta e Catania),
Crotone (competente per le domande presentate nelle regioni
Calabria e Basilicata), Trapani (competente per le domande
10
Attualmente, in Italia questa non è una cosa che avviene nella pratica.
24
presentate nelle provincie di Agrigento, Trapani, Messina, Enna e
Palermo) , Bari (per le domande presentate nelle provincie di Bari,
Brindisi, Lecce e Taranto) Caserta (per le domande presentate nelle
regioni Campania e Molise) e Torino (competente per le domande
presentate nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria ed Emilia
Romagna11).
Ogni Commissione Territoriale è composta da quattro membri,
la cui carica ha durata triennale ed è rinnovabile:
• un funzionario prefettizio, con funzioni di presidente;
• un funzionario delle polizia di stato;
• un rappresentante di un ente territoriale (Comune, Provincia, Regione
facente capo alla sede della Commissione territoriale);
• un rappresentante dell’ UNHCR.
Il richiedente asilo deve essere convocato ad udienza, tramite
lettera di convocazione, presso la Commissione territoriale di
competenza, entro trenta giorni dalla ricezione della domanda d’asilo.
L’audizione consiste in un colloquio personale con i quattro membri della
Commissione che si struttura attraverso una serie di domande (le
medesime del modello C3), volte ad approfondire le ragioni che hanno
spinto il soggetto a lasciare il paese d’origine e i motivi per cui non è più
possibile farvi ritorno. Ci sono situazioni particolari previste dalla legge in
cui, è ammessa la presenza di terze persone come l’avvocato, il
personale di sostegno nel caso il richiedente sia portatore di particolari
esigenze12 o un genitore oppure, in loro assenza, il tutore nel caso di
minori. È inoltre possibile sostenere l’audizione con un solo membro delle
Commissione, dello stesso sesso del richiedente e infine, è prevista la
11 Dall’agosto 2010 è stata istituita una Sezione distaccata a Bologna con competenza sull’Emilia Romagna e sulla città di Prato. 12 Rientrano nei soggetti portatori di particolari esigenze i casi di vulnerabilità. Il D.Lgs. 140/5 definisce come vulnerabili i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, persone per le quali si è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza fisica, psicologica o sessuale.
25
presenza di un mediatore linguistico per permettere al richiedente di
esprimersi nella propria lingua madre.
La Commissione ha inoltre, la facoltà di:
• concedere l’asilo evitando che il richiedente compaia davanti alla
Commissione per l’audizione nel caso in cui ritenga la domanda
palesemente fondata o quando la situazione del richiedente è
particolarmente delicata per motivi di vulnerabilità. Inoltre, l’esame
prioritario è concesso anche ai richiedenti che sono trattenuti nei CIE
e sono sottoposti ad un provvedimento di espulsione;
• dichiarare inammissibile una domanda qualora si tratti di un rifugiato
riconosciuto o di un caso di diniego che non ha prodotto nuova
documentazione o su cui sussistano fatti innovativi;
• sospendere e rinviare un’audizione nel caso in cui il richiedente non
sia in grado di sostenere il colloquio, ci siano problemi legati al
reperimento della documentazione o sussistano problemi di
comunicazione con l’interprete.
Infine la Commissione territoriale deve:
• non far trapelare le dichiarazioni rilasciate dai richiedenti nelle
audizioni perché strettamente personali e non divulgabili;
• esaminare ogni singolo caso in relazione alla situazione del paese di
origine del richiedente asilo e, se necessario, dei paesi in cui egli è
transitato, alla luce di notizie precise ed aggiornate13;
• consegnare al richiedente, al termine dell’audizione, una copia del
verbale da sottoporre alla sua firma e conseguente accettazione;
• decidere in merito alla domanda d’asilo entro i successivi tre giorni
dall’audizione e informare immediatamente la Questura che ne darà
notifica al richiedente;
4. L’acquisizione della decisione della Commissione territoriale: la
Questura contatta il richiedente e fissa un appuntamento per la
13 Le informazioni dei paesi di provenienza sono reperite dalla Commissione territoriale o elaborate sulla base dei dati forniti dall’UNHCR o dal Ministero degli Interni.
26
consegna del verdetto della Commissione territoriale. Le decisioni che
la Commissione territoriale può prendere sono molteplici:
• riconoscere e concedere lo status di rifugiato politico e rilasciare un
permesso di soggiorno che ha validità cinque anni ed è sempre
rinnovabile;
• riconoscere e concedere la protezione sussidiaria nel caso in cui
ritenga che esista un rischio effettivo di pericolo, nel caso di ritorno nel
paese di origine del rifugiato e conseguente rilascio di un permesso
che ha validità tre anni ed è rinnovabile;
• non riconoscere lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria ma,
ritenendo che esistano gravi problemi umanitari, raccomandare alla
Questura il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari
che ha validità un anno;
• non riconoscere lo status di rifugiato e rigettare la domanda: diniego;
• rigettare la domanda per manifesta infondatezza quando si ritenga
palese l’insussistenza di ogni presupposto per il riconoscimento dello
status di rifugiato ovvero, si ritenga che la domanda sia stata
presentata con il solo obiettivo di ritardare o impedire un
provvedimento di espulsione o respingimento;
La decisione della Commissione territoriale viene comunicata per
iscritto entro i tre giorni feriali successivi alla data dell’udienza e, in caso di
diniego, contiene la dicitura “nota” in cui vengono riportati i mezzi di
impugnazione plausibili.
Dal 2008 l’unico mezzo di impugnazione della decisione da parte del
richiedente è il ricorso, che deve essere presentato al Tribunale ordinario
competente per il territorio in cui ha sede la Commissione territoriale o, per i
casi CARA e CIE, presso il Tribunale ordinario nel distretto di Corte d’Appello
dove si trova il centro. Il ricorso va presentato entro trenta giorni dalla data di
comunicazione della decisione della Commissione territoriale o entro quindici
giorni se il richiedente è ospite di un CARA o di un CIE.
Il richiedente ha la possibilità di presentare ricorso in tre casi:
27
• contro la decisione della Commissione territoriale, qualora gli sia stata
riconosciuta unicamente la protezione sussidiaria e gli sia stato negato
lo status di rifugiato;
• contro la decisione della Commissione Nazionale, nel caso di revoca o
cessazione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria;
• contro la decisione di diniego da parte della Commissione territoriale,
qualora il richiedente ritenga che non siano stati valutati correttamente
tutti gli elementi presentati.
In caso di ricorso è necessario che il richiedente sia assistito da un
avvocato e, se non ha la possibilità di pagarlo personalmente, può richiedere
un’assistenza legale gratuita (gratuito patrocinio a spese dello Stato). Nel
caso in cui anche il Tribunale neghi la concessione della protezione
internazionale, il richiedente può fare reclamo alla Corte d’Appello e, contro
la sentenza di quest’ultima, ricorrere alla Cassazione.
L’alternativa al ricorso, nel caso in cui il richiedente abbia ricevuto un
diniego, è il rimpatrio volontario e assistito che dovrebbe essere garantito dal
PNA (Programma Nazionale Asilo); il quale dovrebbe supportare il
richiedente nel ritorno al proprio Paese garantendo un servizio di
orientamento, l’assistenza per l’ottenimento di documenti di viaggio da parte
delle autorità consolari preposte, l’organizzazione e la copertura delle spese
di viaggio fino a destinazione ed infine, un sostegno economico per la prima
sistemazione e il reinserimento nel tessuto sociale di destinazione.
Nel caso in cui la Commissione territoriale accolga la richiesta d’asilo
e riconosca la protezione internazionale, viene rilasciato un provvedimento
comprovante il riconoscimento e il titolare di protezione può ritirare presso la
Questura il permesso di soggiorno. Tutti i permessi di soggiorno (rifugio
politico, protezione sussidiaria e protezione umanitaria) sono convertibili alla
scadenza in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Lo status di rifugiato comporta in Italia il diritto di ottenere lo stesso
trattamento e uno status giuridico uguale a quello di cui godono i cittadini
italiani. Inoltre il rifugiato ha una serie di diritti fra cui l’accesso alla
28
legislazione del lavoro, il diritto al ricongiungimento familiare senza il
soddisfacimento delle disponibilità di alloggio e reddito previste per gli
stranieri, l’assistenza sociale e sanitaria con conseguente iscrizione
obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale, un documento di viaggio e la
possibilità di circolare nel territorio dell’Unione Europea (Regno Unito e
Danimarca escluse), l’istruzione pubblica, la cittadinanza italiana dopo cinque
anni, la possibilità di contrarre matrimonio, partecipare all’assegnazione di
alloggi pubblici e ottenere la patente di guida.
Il titolare di protezione sussidiaria può accedere al lavoro a condizione
che il contratto non superi la durata del permesso di soggiorno, ha diritto al
ricongiungimento familiare secondo i limiti di legge, all’assistenza
sociosanitaria, alla partecipazione degli alloggi pubblici e ad avere un
documento di viaggio nel caso in cui non possieda un passaporto. Infine, il
titolare di protezione umanitaria può accedere al lavoro con un contratto che
non superi la durata del permesso di soggiorno, ha diritto all’assistenza
sanitaria e ad avere un documento di viaggio nel caso in cui non disponga di
passaporto.
Per poter godere dei diritti sopra elencati, come la possibilità di
contrarre matrimonio, l’ottenimento della patente di guida o l’inserimento
nelle graduatorie degli alloggi pubblici, i titolari di protezione internazionale
devono essere in possesso della residenza italiana ma spesso faticano a
vedersela riconosciuta da parte dei Comuni, con conseguenti difficoltà nella
conquista dei propri diritti.
29
Capitolo 3
Richiedenti asilo e rifugiati in Italia
Risulta fondamentale per comprendere maggiormente la materia di cui
si sta trattando, fornire alcuni dati statistici che illustrino il numero di richieste
d’asilo presentate in Italia, gli esiti che queste hanno ottenuto e i principali
paesi di provenienza delle persone che richiedono protezione. Inevitabile in
questa analisi è il riferimento al rapporto statistico dell’UNHCR; si tratta,
come segnalato in precedenza, dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i
Rifugiati che si occupa anche di redigere annualmente il rapporto “Global
Refugees Trends in Industrialized countries” sui flussi di persone richiedenti
protezione in 55 paesi definiti industrializzati, tra cui figura anche l’Italia, che
mensilmente forniscono i dati riguardanti le richieste d’asilo ricevute.
Molto utile è inoltre il “Rapporto annuale del Sistema di Protezione per
Richiedenti Asilo e Rifugiati”, che si concentra sulla situazione italiana e,
grazie al quale, si ottiene anche un’anticipazione sui dati riguardanti il 2012,
ancora non disponibili dall’UNHCR.
Risultano di poco superiori a 8.000 le domande di asilo presentate in
Italia nei primi sei mesi del 2012 e circa 16.000 sono le richieste di
protezione esaminate dalle Commissioni territoriali nel medesimo periodo.
3.1. Domande di protezione internazionale: i numeri italiani
Di seguito sono elencati i dati relativi alle richieste di protezione
internazionale presentate in Italia negli ultimi quattro anni, dal 2008 al 2011,
in seguito alla consultazione del rapporto annuale dell’UNHCR e del rapporto
annuale SPRAR.
30
Come è possibile osservare nella Tabella 1, nel 2011 in Italia sono
state presentate 37.350 domande di protezione internazionale, il 208,1% in
più rispetto al 2010 (12.121). L’aumento delle domande è attribuito in
particolare a quella che è stata comunemente definita “emergenza Nord
Africa”, con grandi flussi migratori seguiti ai moti di indipendenza nati
all’interno dei movimenti della Primavera Araba che hanno coinvolto
principalmente Tunisia, Algeria, Egitto, Libia ma anche Siria, Bahrein,
Yemen, Giordania e Gibuti.
Nonostante le richieste avanzate nel 2011 in Italia siano nettamente
superiori al 2010, risultano inferiori o consimili a quelle presentate in alcuni
paesi europei come Francia (56.300), Germania (53.300), Belgio (31.900),
Regno Unito (26.400) 14 e pertanto non così atipiche.
Le istanze complessivamente esaminate dalle Commissioni Territoriali
italiane nel 2011 sono state 25.626 e al 40,1 % dei richiedenti è stata
riconosciuta una forma di protezione internazionale: all’8% lo status di
rifugiato; al 10% quello di protezione sussidiaria e al 22,1% la protezione
umanitaria. Nel complesso le decisioni positive prese nel 2011, che
corrispondono al 40,14%, risultano inferiori ai dinieghi, che si aggirano
intorno al 43,46%. Inoltre è possibile aggiungere che tra il 2008 e il 2011 si è
registrato un incremento delle domande di asilo pari al 17,7%. Ma se
consideriamo le richieste presentate nel 2009 e nel 2010, si nota un netto
calo delle domande in questi due anni: rispettivamente 19.090 nel primo e
12.121 nel secondo. Tale andamento è imputabile, in particolar modo,
all’entrata in vigore dell’accordo Italia–Libia, il quale impegnava la Libia a
contrastare l’immigrazione clandestina verso le coste italiane.
Infine, confrontando i dati dei quattro anni indicati nella tabella 1, i
dinieghi variano dal 33,45% del 2010 al 44,57% del 2009, mentre le decisioni
positive variano dal 40,09% del 2009 al 54,26% del 2008.
14 Richiedenti asilo in Europa, fonte Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/
31
Tabella 1: Rifugiati in Italia (raffronto 2008-2011)
2011
2010
2009
2008
DOMANDE
D’ASILO
PRESENTATE
37.350
12.121
19.090
31.723
DOMANDE
D’ASILO
ESAMINATE
25.626
14.042
25.113
23.175
DINIEGO 11.131
(43.46%)
4.698
(33.45%)
11.193
(44.57%)
9.219
(39,77%)
DECISIONI
POSITIVE
10.288
(40.14%)
7.558
(53.82%)
10.070
(40.09%)
12.576
(54,26%)
STATUS DI
RIFUGIATO
2.057
(8.02%)
2.094
(14.91%)
2.328
(9.27%)
2.009
(8.66%)
PROTEZIONE
SUSSIDIARIA
2.569
(10.02%)
1.789
(12.74%)
5.331
(21.22%)
6.946
(29.97%)
32
PROTEZIONE
UMANITARIA
5.662
(22.06%)
3.675
(26.17%)
2.411
(9.60%)
3.621
(15.62%)
ALTRO ESITO
E
IRREPERIBILI
4.207
(16.41%)
1.786
(12.71%)
3.850
(15.33%)
1.380
(5.95%)
3.2. Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia.
Nella tabella 2 sono forniti i dati relativi ai paesi di provenienza dei
richiedenti protezione in Italia, relativi agli ultimi anni, dal 2008 al 2011,
mentre quelli del 2012 si riferiscono solo ai primi sei mesi dell’anno (gennaio-
giugno).
Tabella 2: Nazionalità dei richiedenti asilo in Italia15
2012 2011 2010 2009 2008
PRIMO
PAESE
D’ORIGIN
E
Pakistan
2.366
Nigeria
6.210
Ex Jugoslavia
2.249
(18.55%)
Nigeria 4.274
(22.38%)
Nigeria 6.142
(19.36%)
SECOND
O PAESE
D’ORIGIN
E
Nigeria
1.513
Tunisia 4.560
Nigeria 1.632
(13.46%)
Somalia 1.617
(8.47%)
Somalia 4.960
(15.63%)
TERZO
PAESE
Afghanista
n 1.364
Ghana 3.130
Pakistan 1.115
(9.19%)
Pakistan 1.475
(7.72%)
Eritrea 3.085
(9.72%) QUARTO Tunisia Mali Turchia Banglades Ghana
15 Fonti: Eurostat: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/ ; Commissione Nazionale per il diritto d’asilo: http://www.interno.gov.it/; UNHCR: http://www.unhcr.it/
33
PAESE 852 2.582 1.020 (8.41%)
h 1.403
(7.34%)
1.909 (6.01%)
QUINTO
PAESE
Ghana
803
Pakista
n
2.058
Afghanistan
999 (8.24%)
Eritrea 1.109
(5.80%)
Afghanistan
1.840 (5.80%)
Confrontando i dati si nota che i primi cinque paesi di origine dei
cittadini stranieri che hanno presentato le domande di asilo in Italia
appartengono a due continenti: africano e asiatico. L’Africa è il territorio da
cui, tra il 2008 e il 2011, è pervenuto il maggior numero di domande di asilo,
mentre l’Asia si colloca nella seconda fascia. Valori minori sono quelli
contenuti nella terza fascia, riconducibili alle richieste di asilo presentate da
cittadini provenienti dall’Est Europa e Sud America.
Come precedentemente affermato, tra il 1° gennaio e il 30 giugno
2012 le domande di asilo presentate in Italia sono state di poco superiori alle
ottomila, un numero nettamente inferiore, seppur riferito ai soli primi sei mesi
dell’anno, alle domande presentate nel 2011, anno caratterizzato da elevati
flussi migratori.
Come si può osservare nel Grafico 1, mentre nel 2011 sono stati i
cittadini nigeriani ad aver presentato il maggior numero di domande (6.210),
a cui seguivano i tunisini (4.560) e i ghanesi (3.130), nei primi sei mesi del
2012 la Nigeria rappresenta il secondo paese di provenienza per numero di
domande presentate, e sono stati i cittadini pakistani (che nel 2011 erano il
quinto paese di provenienza) a richiedere maggiore protezione. Il terzo
paese di provenienza nel 2012 è l’Afghanistan, seguito da Tunisia e Ghana
che nell’anno precedente rappresentavano rispettivamente il secondo e il
terzo paese per numero di richieste.
Grafico 1: Richieste d’asilo in Italia nel 2011 e 2012 da parte dei cinque maggiori Paesi
34
3.3. Richiedenti asilo a Torino e in Piemonte.
Per focalizzare l’attenzione sull’accoglienza e le situazione abitative di
cui godono i richiedenti asilo e rifugiati, si è deciso di concentrare l’indagine
sulla regione Piemonte e in particolare sulla città di Torino per entrare
realmente nel merito della questione. Pertanto, di seguito vengono forniti i
dati relativi al numero di persone che hanno fatto richiesta d’asilo in
Piemonte nell’anno 2011 e ai loro Paesi di provenienza, basandosi sui dati
statistici forniti dalla Prefettura di Torino che fanno riferimento a quanto
riportato dalla Commissione Territoriale di Torino, competente per le
domande presentate nelle regioni Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria ed Emilia
Romagna16.
Per una maggiore comprensione dei flussi che riguardano il 2011 e
l’anno successivo, il 2012, va ricordato che a seguito dell’Ordinanza del
Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo
stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale per l’eccezionale
afflusso di cittadini provenienti dai Paesi del Nord Africa, situazione resa
ancora più complessa dal conflitto in corso nel territorio libico e
dall’evoluzione degli assetti politico-sociali nei paesi della fascia del Maghreb
e in Egitto. La diretta conseguenza della citata ordinanza è stata la
16 Dall’agosto 2010 è stata istituita una Sezione distaccata a Bologna con competenza sull’Emilia Romagna e sulla città di Prato.
35
realizzazione di un Piano di Accoglienza per rispondere operativamente
all’emergenza umanitaria, assicurando la prima accoglienza e garantendo
l’equa distribuzione sul territorio nazionale dei profughi e dei migranti arrivati
in Italia dai Paesi del Nord Africa, i quali sono stati destinati alle diverse
regioni, con la conseguente assegnazione al Piemonte di 1.909 persone:
sono però state realmente accolte 1699 persone. Di queste, tra coloro che
erano domiciliati nelle strutture della provincia di Torino, hanno presentato
richiesta di protezione internazionale solo 193, provenienti dai Paesi indicati
di seguito, nel Grafico 2.
Come si può osservare, i principali Paesi di provenienza per numero di
richieste sono Costa d’Avorio, Nigeria, Mali, Bangladesh, Ghana e Somalia.
Qui compare anche la distinzione di genere, dalla quale si può evincere che i
richiedenti sono prevalentemente uomini; infatti, solo nel caso di tre Paesi
(Gambia, Ghana e Nigeria), si registrano domande da parte di donne.
Grafico 2: Domande d'asilo esaminate - suddivisione per nazionalità e per genere
36
Ai dati riguardanti la provincia di Torino si possono aggiungere i
restanti richiedenti asilo domiciliati nel territorio regionale le cui provenienze
non si discostano dai dati provinciali, in quanto le nazionalità sono le stesse,
con aggiunta di tre cittadini algerini e del Ciad. Se, al contrario, si fa
riferimento alle richieste di protezione internazionale non legate
all’Emergenza Nord Africa, esaminate dalla stessa Commissione di Torino
nel corso del 2011, esse risultano essere 491 e, come si può notare nella
sottostante Tabella 3, esiste una maggiore varietà di nazionalità dei
richiedenti asilo. Si vede inoltre che le istanze sono ulteriormente suddivise
per genere, appare nuovamente evidente una preponderanza di domande
maschili, che per alcuni Paesi come per esempio Bangladesh, Afghanistan,
Pakistan, Algeria ed Egitto, rappresenta la totalità di richieste presentate.
I primi cinque Paesi di origine per numero di richieste d’asilo
presentate risultano essere: Nigeria, con un totale di 233 domande, Tunisia
62, Turchia 39, Bangladesh 19 e infine Iran, con 14 richieste di protezione.
Tabella 3: Istanze d'asilo presentate alla Commissione di Torino - suddivise per nazionalità e per genere
NAZIONE TOTALE MASCHI FEMMINE
Nigeria 233 63 170
Tunisia 62 55 7
Turchia 39 37 2
Bangladesh 19 19 0
Iran 14 10 4
Afghanistan 12 12 0
Costa d’Avorio 9 7 2
37
Pakistan 9 9 0
Senegal 8 7 1
Libia 7 5 2
Rep.Dem. del
Congo
7 3 4
Marocco 6 5 1
Algeria 5 5 0
Congo 5 5 0
Ghana 5 4 1
Liberia 5 2 3
Sierra Leone 5 4 1
Armenia 4 2 2
Egitto 4 4 0
Somalia 4 1 3
Albania 3 3 0
Camerun 3 1 2
Cuba 2 0 2
Gabon 2 2 0
Gambia 2 2 0
Guinea 2 2 0
38
Kosovo 2 1 1
Sudan 2 1 1
Colombia 1 1 0
Georgia 1 1 0
Iraq 1 1 0
Mauritania 1 1 0
Messico 1 0 1
Moldavia 1 0 1
Palestina 1 1 0
Rep.
Centrafricana
1 1 0
Ruanda 1 0 1
Togo 1 1 0
Uganda 1 1 0
Totale 491 279 212
3.4. Perché rifugiati?: breve inquadramento storico-politico
A questo punto, è indispensabile indagare le motivazioni storico-
politiche che hanno spinto tante persone a lasciare il proprio Paese d’origine.
Come si è accennato, i Paesi da cui i richiedenti asilo fuggono sono
molti, prevalentemente africani o asiatici, e il loro numero varia proprio in
base agli eventi che coinvolgono i diversi Stati e che minacciano la sicurezza
39
personale dei migranti; cercando di focalizzare l’attenzione sulle provenienze
di coloro che hanno presentato domanda d’asilo negli ultimi anni, risulta
indispensabile descrivere i moti rivoluzionari iniziati nel dicembre 2010, e in
parte tuttora in corso, che hanno interessato l’area del Nord Africa e il Medio
Oriente e che sono conosciuti come “Primavera araba”.
Il Paese capofila delle proteste è stato la Tunisia, con la “Rivoluzione
dei Gelsomini”, iniziata il 17 dicembre 2010, quando a Sidi Bouzid un
venditore ambulante di verdure – Mohamed Bouazizi – si è dato fuoco
perché esasperato dall’impossibilità di svolgere e guadagnare con il proprio
lavoro. A partire dal gesto del venditore ambulante, si sono moltiplicate le
proteste di strada in tutte le città del paese, con la richiesta di lavoro, dignità
e libertà. I Tunisini si sono mobilitati per chiedere la fine della dittatura
ultraventennale di Zine El-Abidine Ben Ali e hanno conseguito l’obiettivo
quando il 14 gennaio 2011 il presidente è scappato in Arabia Saudita. Gli
scontri hanno determinato morti e la formazione di molteplici governi ad
interim che hanno condotto a nuove manifestazioni di piazza.
A partire dalla Rivoluzione dei Gelsomini si è innescata una serie di reazioni
a catena che hanno coinvolto gli altri paesi limitrofi e hanno condotto alla
fuga di massa dei tunisini verso l’Europa. I principali motivi che hanno portato
alla rivolta della popolazione tunisina e che accomunano la Tunisia ad Egitto,
Algeria, Libia, Siria e gli altri Paesi condizionati dalle rivolte, sono stati la
disoccupazione, la corruzione, l’aumento dei prezzi dei beni primari e il
perdurare di regimi autoritari (www.viedifuga.org).
È indispensabile sottolineare che, i richiedenti asilo provenienti dai
Paesi sopraccitati non sono esclusivamente cittadini di questi Stati ma
spesso possiedono altre nazionalità: provengono da Stati africani da cui sono
scappati precedentemente perché logorati da guerre civili e lotte intestine.
Pertanto, facendo riferimento alla classifica dei Paesi di provenienza citata
precedentemente relativa al territorio nazionale nel periodo 2011-2012, si è
deciso di fornire un quadro dell’assetto politico dei principali Paesi che
40
costringono i propri cittadini a fuggire, per comprendere a fondo cosa si celi
dietro la decisione di abbandonare il proprio Paese di origine17.
PAKISTAN
Il Pakistan (o Repubblica Islamica del Pakistan) è uno stato asiatico
confinante con India, Afghanistan, Iran e Cina. Lo stato attuale è nato il 14
agosto 1947 dalla scissione con l’India di cui faceva precedentemente parte.
È una federazione di provincie e di territori che hanno leggi proprie ma che
sono sottoposti formalmente al controllo del governo centrale.
17 Fonti schede Paese: Vie di fuga - Osservatorio permanente sui rifugiati: http://viedifuga.org/; Coordinamento Non solo Asilo: http://www.nonsoloasilo.org;
41
Il Pakistan è una repubblica federale in cui i due maggiori partiti politici
sono il Partito del Popolo Pakistano (PPP) e la Lega Musulmana Pakistana
(PML-Q). La storia del Pakistan è intessuta di feroci dittature militari durate
fino alla fine degli anni ’90 del 1900. Nel 1999 il generale Pervez Musharraf
prese il potere in Pakistan con un colpo di stato e rimase presidente del
paese fino al 2007. Il presidente odierno della repubblica è il rappresentante
del PPP Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, ex primo ministro del
paese uccisa nel 2007 durante la campagna per le elezioni nazionali del
2008.
Esistono due zone di guerra in Pakistan: la prima, nella zona del
Kashmir, conteso da India e Pakistan fin dall’anno dell’indipendenza dei due
paesi, nel 1947; la seconda riguarda le aree tribali di amministrazione
federale FATA, che sono governate a livello nominale dal governo pakistano
ma in realtà sono controllate dalle tribù Pashtun, fieramente indipendenti, che
le abitano.
Nel 1893 l’impero britannico stabilì una linea di confine fra il Pakistan e
l’Afghanistan tagliando in due i territori abitati dall’etnia Pashtun e lasciando
uno strettissimo collegamento fra i due paesi. Questa divisione ha portato
allo scoppio di conflitti interni, soprattutto nel distretto del Waziristan, dove
trovano rifugio molti Talebani in fuga dall’Afghanistan, invaso dalle forze
statunitensi. Oltre all’esercito pakistano dispiegato nel Waziristan sono
diventati periodici anche i bombardamenti statunitensi.
Altro distretto del FATA a essere oggetto di scontri è il Belucistan,
terra ricca di risorse naturali che combatte fin dagli anni ’50 per l’autonomia,
tentativo represso da parte del governo di Islamabad. Gli attentati in
Belucistan sono diventati ormai quotidiani, spingendo migliaia di profughi
verso altri paesi o altre zone del Pakistan (www.fiedifuga.org).
NIGERIA
42
La Nigeria è uno stato africano che confina ad est con il Ciad e il
Camerun, ad ovest con il Benin, a sud con il golfo di Guinea e a nord con il
Niger. Ha ottenuto la totale indipendenza dal colonialismo britannico il 1
ottobre 1960; è una repubblica federale suddivisa in 36 stati ai quali si
aggiunge, il Territorio della Capitale Federale ( Abuja).
Tra la metà degli anni ’60 e la fine degli anni ’90 del secolo scorso la
storia politica nigeriana ha conosciuto scontri violenti e un susseguirsi di colpi
di stato militari. Le prime elezioni libere si hanno nel 1999 con l’elezione del
presidente federale Olusegun Obasanjo, rappresentante del People’s
Democratic Party, poi riconfermato nelle successive elezioni del 2003.
Attualmente i due principali partiti politici sono il People’s Democratic Party
(PDP) e l’All Nigerian People’s Party (ANPP ).
Nel 2007 si sono svolte le nuove elezione vinte da Umaru Yar’Adua, delfino
dell’ex Presidente ed anch’esso esponente del PDP, votazioni duramente
contestate dai partiti delle opposizione per brogli elettorali.
I numerosi scontri che sono avvenuti e che tutt’oggi avvengono in
Nigeria, sono legati principalmente a due questioni distinte: religiosa e del
petrolio. La maggior parte dei conflitti legati alla questione del petrolio
avvengono in prossimità del Delta del Niger, zona che nell’ultimo decennio è
stata maggiormente sfruttata per l’estrazione del greggio dalle più grosse
compagnie petrolifere internazionali. Negli anni gruppi di guerriglia hanno
43
intrapreso azioni di sabotaggio, sequestri di persona e guerriglia nelle aree
interessate, per ribellarsi al continuo sfruttamento della regione che riduce gli
abitanti in miseria. Per contrastare le operazioni di guerriglia l’intera zona del
Delta è stata militarizzata e ciò causa continui scontri armati fra i gruppi di
guerriglieri, l’esercito nigeriano e le milizie paramilitari.
Nel 2006 si è costituito il Movimento per l’emancipazione del Delta del
Niger (MEND), un gruppo paramilitare che ha dichiarato guerra aperta alle
principali compagnie petrolifere presenti sul territorio e il cui obiettivo è quello
di liberare il territorio dalle compagnie petrolifere e ricavare benefici per
l’intera popolazione del Delta.
Per quanto riguarda la questione religiosa, la natura degli scontri
nasce dalla compresenza del culto islamico, prevalentemente professato nel
nord del paese e del culto cristiano, più presente a sud. La situazione si è
aggravata irrimediabilmente nel 2000, quando molti stati della Nigeria
settentrionale hanno deciso di ignorare il veto costituzionale, introducendo
nei propri territori la Sharìa (legge islamica) e dando così il via ad un
susseguirsi di scontri che sono tutt’oggi in corso e che causano migliaia di
vittime e sfollati (www.viedifuga.org).
AFGHANISTAN
44
L’Afghanistan è uno stato dell’Asia centrale che confina con Iran,
Turkmenistan, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan e con la Cina, nel cosiddetto
corridoio del Vacan. Nel Paese coabitano popoli di origine iranica, turca e
indiana; le lingue ufficiali sono due e riflettono i due gruppi etnici prevalenti: il
dari (gruppo persiano) e il pashtu (gruppo pashtun). L’Afghanistan è diviso a
livello amministrativo in 34 province, a loro volta suddivise in distretti; a capo
di ogni provincia c’è un governatore nominato dal Ministro degli Interni che
rappresenta il governo centrale.
Dal 2001 l’Afghanistan è nominalmente una repubblica presidenziale
guidata da Hamid Karzai, primo presidente eletto nel 2002, che ha dovuto
affrontare pesanti accuse di brogli durante le ultime elezioni del 2009, accuse
che hanno messo temporaneamente in discussione il verdetto del voto.
La legge fondamentale del paese è la carta costituzionale di 160
articoli, approvata nel 2004, che delinea un regime presidenziale forte, nel
quale l’Islam trova una collocazione centrale.
La situazione politica del paese è instabile a causa della persistente
occupazione straniera, della corruzione dilagante, dei signori della guerra
che occupano, e di fatto governano, intere zone del paese, portando avanti
scontri fra diverse fazioni armate.
L’Afghanistan non conosce un periodo di pace duratura dagli anni ’70
del 1900. Una permanente guerra civile coinvolge da decenni tutto il territorio
e a questa si è sommata l’occupazione straniera, prima dell’ex Unione
Sovietica (1979) poi di un contingente di forze guidato dagli USA (2001), a
seguito dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono. Quest’ultima
occupazione, tutt’ora in corso, iniziata da George Bush, aveva come scopo il
rovesciamento del governo dei Talebani guidati dal Mullah Omar, lo
smantellamento di al-Qaeda e di conseguenza del terrorismo islamico.
In risposta ai continui attentati nelle principali città, la coalizione di
forze straniere capeggiate dagli USA, procede ad un graduale e continuo
rinforzo che conduce nel 2006 a una nuova azione nel sud, zona ancora
sotto il controllo dei Talebani e dei narcotrafficanti.
45
Questo intervento nasce soprattutto dal fatto che l’Afghanistan è il maggior
produttore mondiale di oppio, dai cui ricavi tutte le forze irregolari del paese
acquistano armi. Questa situazione interna, produce una continua e
ininterrotta crescita del numero di persone che lasciano il paese e fanno
domanda di asilo. La maggior parte non raggiunge però i paesi europei ma
trova un primo e immediato rifugio nel vicino Pakistan e in Iran
(www.viedifuga.org).
MALI
Il Mali è uno stato dell’Africa occidentale che confina al nord con
l’Algeria, a est con il Niger, a sud con il Burkina Faso e la Costa d’Avorio, a
sud-ovest con la Guinea e ad ovest con il Senegal e la Mauritania. Qui le
condizioni di vita sono precarie per la maggior parte della popolazione, come
attestano l’alta mortalità infantile (122‰), la bassa speranza di vita (48 anni),
46
l’elevato tasso di analfabetismo (81%) e le carenti condizioni igienico
sanitarie che favoriscono il diffondersi di epidemie e la propagazione
dell’AIDS. Il francese è l’unica lingua ufficiale e molte lingue minoritarie
cominciano a scomparire; nel paese è parlata anche la lingua tuareg nel
nord, l’arabo è la lingua franca.
Il Mali proclama la sua indipendenza dalla Francia nel 1960. Il primo
presidente eletto è Modibo Keita, che in poco tempo instaura un regime con
partito unico, deposto nel 1968 con un sanguinoso colpo di stato militare che
porta al potere Moussa Traoré. Un altro colpo di stato militare spodesta
Traoré nel 1991. I militari decidono di formare un governo di transizione civile
che porta nel 1992 alle prime elezioni democratiche, con Alpha Oumar
Konare eletto presidente. Alla fine del suo secondo mandato è sostituito nel
2002 da Amadou Toumani Touré, che viene rieletto nel 2007.
All’inizio del 2010 nell’Azawad (il territorio a nord di Timbuctu) nasce
un movimento per l’autodeterminazione chiamato Mouvement pour la
libération nationale de l’Azawad (MNLA) e il 6 aprile 2012, dopo una serie di
vittorie contro l’esercito maliano, proclama l’indipendenza dell’Azawad, con la
creazione di un Consiglio di transizione di Stato di Azawad – CTEA. Nel
medesimo periodo, però, compaiono come co-attori e protagonisti anche il
movimento radicale islamico Ansar Dine, il Movimento per l’Unità e la Jihad
in Africa occidentale – MUJAO e Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).
Il 22 marzo 2012 un gruppo di soldati prende il potere con un colpo di
stato ma il nuovo governo non riconosce il MNLA ed inizia una serie di azioni
militari. A complicare la situazione, la componente tuareg, che assume la
denominazione di al-Qa’ida nel Maghreb islamico, prende il controllo del
settentrione del Paese. Il MNLA si appella all’ONU, denunciando pogrom ai
danni dei Tuareg e l’esistenza di narcotrafficanti nella zona settentrionale del
Mali. Anche il governo provvisorio richiede un intervento militare dell’ONU.
L’ONU, con un documento del 12 ottobre 2012, accetta l’esistenza del
“problema Mali” ma evita di spingere per un intervento militare immediato
(caldeggiato invece dalla Francia), dando al Segretario Generale Ban Ki-
moon un primo mandato a tempo – 45 giorni – per indagare ed elaborare una
47
strategia. Ban Ki-moon sceglie Romano Prodi come inviato delle Nazioni
Unite per il Sahel e per una prima presa di contatto con il governo maliano.
L’ONU sposa contemporaneamente due ipotesi: quella dell’opzione militare
proposta dal presidente francese, Francois Hollande, che non vede
alternativa alle armi, e quella dell’azione diplomatica caldeggiata dall’Algeria,
che spinge per una soluzione negoziale.
Il 10 gennaio 2013, a seguito dell’avanzata dei miliziani islamisti verso sud e
dell’occupazione della città di Konna, nel centro del paese, il presidente ad
interim Dioncounda Traoré, lancia un appello e il presidente francese
François Hollande decide di rispondere alle richieste di aiuto del governo di
Bamako, dando un supporto all’esercito del Mali nella sua offensiva. Lo
scontro politico interno in Francia è immediato: appare evidente che alla
base della scelta di Hollande ci sia la tutela dei propri interessi nella regione,
in particolare in Niger, ricco di uranio: la Francia non può permettersi che gli
altri Paesi della regione (e quindi l’estrazione dell’uranio da cui dipendono le
centrali francesi) vengano messi in pericolo. L’Europa non nega il suo
appoggio alla Francia e fra i Paesi sostenitori rientra anche l’Italia. Per le
truppe franco-governative non risulta difficile la risalita verso il nord del Mali:
il 28 gennaio 2013 riprendono il pieno controllo della città di Timbuctu, dopo
averne liberato l’aeroporto e controllato tutti gli accessi a seguito di
un’operazione congiunta iniziata nella notte del 27. La città, patrimonio
dell’Unesco, era sotto il controllo dei gruppi alqaedisti dal giugno 2012.
La situazione che imperversa dal gennaio 2012 nella regione
dell’Azawad, ha generato un flusso incessante di sfollati che continua a
spostarsi dal Nord del Mali verso il Sud del paese, in fuga dagli scontri
armati, dalle violenze e dall’insicurezza economica. Inoltre la crisi politica e
l’occupazione militare di forze contrarie al Governo che divide in due il paese
sta spingendo un numero crescente di persone a lasciare i propri villaggi e le
proprie case (www.viedifuga.org).
48
Capitolo 4
L’accoglienza in Italia
È utile ricordare che l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati in
Italia è garantita e regolata dal Decreto Legislativo n. 140 dell’anno 2005 in
attuazione della direttiva 2003/9/CE concernente le norme minime relative
all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Da questo documento
emerge che l’accesso alle misure d’accoglienza previste dovrebbe essere
disposto dal momento della presentazione della domanda d’asilo (effettuata
entro 8 giorni dall’ingresso nel territorio nazionale, salvo ricorrano cause di
forza maggiore) ed essere assicurato, previa valutazione della Prefettura, a
chi risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata
per la salute e per il sostentamento proprio e dei propri familiari18. Inoltre il
richiedente ha diritto ad essere informato sulla normativa in materia di asilo e
sul funzionamento interno della struttura di accoglienza in cui è ospitato, e ha
diritto di comunicare con parenti, avvocati, rappresentanti dell’UNHCR (Alto
18 D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 140 art.5, in materia di “Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo”
49
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), associazioni ed enti di
tutela (art. 9 D.Lgs. 140/05, art. 9 D.P.R. n. 304/04, art. 11 D.P.R. n. 304/04).
L’accoglienza deve protrarsi per il tempo necessario all’esame della
domanda e può prolungarsi in caso di ricorso avverso ad un’eventuale
Nel tentativo di dare applicazione al suddetto Decreto, si è sviluppato
sul territorio nazionale un sistema di accoglienza per i richiedenti asilo che è
strutturato attraverso diverse tipologie di centri di accoglienza e di centri di
trattenimento: CPSA, CDA, CARA, CIE e SPRAR.
I Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) sono stati istituiti
con Decreto interministeriale del 16 febbraio 2006 e sono le prime strutture in
cui viene ospitato il potenziale richiedente asilo. Garantiscono la prima
accoglienza e il soccorso alle persone appena arrivate in Italia e,
generalmente, il trattenimento presso queste strutture non supera le 48 ore,
con il conseguente trasferimento presso altri centri (www.nonsoloasilo.org).
Nei Centri di Accoglienza (CDA), istituiti con la Legge n. 563/95,
vengono ospitati tutti gli stranieri irregolari rintracciati sul territorio nazionale o
fermati al passaggio di frontiera. Queste strutture, non essendo adibite ad
accoglienza esclusiva dei richiedenti asilo, hanno la finalità di fornire una
forma di prima assistenza e di emanare un provvedimento che stabilisca la
condizione giuridica degli ospiti, definendone l’identità e la legittimità della
loro permanenza o la disposizione di un eventuale allontanamento dal
territorio italiano (www.nonsoloasilo.org).
I CARA sono i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo, istituiti
con Decreto Legislativo del 28 gennaio del 2008, che hanno come principale
obiettivo quello di definire l’identità personale. Sono strutture nelle quali i
richiedenti protezione internazionale sono ospitati qualora si verifichino i casi
espressamente previsti dall’art. 20 del decreto citato, ovvero quando: a) è
necessario verificare o determinare la nazionalità o l’identità della persona; b)
50
il richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver
eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo; c) quando il
richiedente ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in
condizioni di soggiorno irregolare.
La permanenza presso il CARA nel primo caso è correlato al tempo
necessario allo svolgimento degli adempimenti finalizzati all’identificazione
del richiedente e, comunque, per non più di 20 giorni. Negli altri due casi il
periodo di accoglienza si protrae per il tempo necessario all’esame della
domanda e, comunque, per non più di 35 giorni.
Allo scadere dei termini predetti il richiedente ha diritto al rilascio di un
permesso di soggiorno di durata trimestrale, rinnovabile sino alla decisione
della domanda. Invero, il periodo di permanenza dei richiedenti asilo nei
CARA è mediamente più lungo e si protrae sino alla comunicazione della
decisione adottata dalla Commissione Territoriale. La norma prevede che il
richiedente asilo ospitato nei CARA abbia diritto all’uscita nelle ore diurne
senza che sia necessario richiedere alcuna autorizzazione; esclusivamente
nei casi in cui il richiedente debba allontanarsi per periodi di tempo superiori
o diversi, ha l’obbligo di chiedere al Prefetto territorialmente competente
l’autorizzazione all’allontanamento temporaneo.
Infine, nel corso della permanenza nel CARA, non è rilasciato il titolo
di soggiorno provvisorio ma solo un attestato nominativo e i richiedenti asilo
sono privi di residenza e di iscrizione al servizio sanitario nazionale
(www.nonsoloasilo.org).
I CIE, ovvero i Centri di identificazione e Espulsione (ex CPT:
Centri di Permanenza Temporanea) sono stati istituiti dalla legge Turco-
Napolitano nel 1998 e rinominati secondo la dicitura attuale nel 2008. Hanno
la funzione di consentire accertamenti sull’identità di persone detenute in
vista di una possibile espulsione.
Il richiedente asilo non può mai essere trattenuto al solo fine
dell’esame della domanda presentata, tuttavia l’art. 21 del D.Lgs. n. 25/08
prevede la possibilità di trattenimento in tre casi: a) il richiedente si trova
51
nelle condizioni previste dall’art. 1 par f) della convenzione di Ginevra; b) è
stato condannato in Italia per un reato per cui è previsto l’arresto obbligatorio
in flagranza, ovvero per i reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale e il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e reati inerenti la
prostituzione o sfruttamento di minori; c) il richiedente è destinatario di un
provvedimento di espulsione o respingimento. Il richiedente protezione
internazionale può essere trattenuto fino a 210 giorni, nel corso dei quali non
può essere rimpatriato (www.nonsoloasilo.org).
Lo SPRAR è il Sistema di Protezione e Accoglienza di Richiedenti
Asilo e Rifugiati diffuso su tutto il territorio nazionale e previsto dalla Legge
n. 189/2002. È un sistema di accoglienza fondato sul coinvolgimento delle
istituzioni centrali e locali al quale possono accedere tutti i richiedenti asilo
che non debbano essere obbligatoriamente inviati nei CARA o nei CIE ai
sensi degli artt. 20 e 21 D.Lgs. 25/08. Secondo le indicazioni delle Linee
Guida del Ministero dell’Interno (Decreto Ministeriale del 22 luglio 2008 come
modificato dal Decreto ministeriale del 5 agosto 2010, punto 3), il richiedente
ha diritto all’accoglienza nello SPRAR fino alla notifica della decisione della
Commissione Territoriale.
Nell’ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale o
umanitaria, il periodo di permanenza in accoglienza non potrà comunque
superare complessivamente i sei mesi. I tempi di accoglienza dei titolari di
protezione internazionale e umanitaria possono essere comunque prorogati
per circostanze eccezionali, debitamente motivate, anche in relazione ai
percorsi di integrazione avviati o a comprovate necessità. Nell’ipotesi, invece,
di decisione negativa della Commissione Territoriale, il richiedente protezione
internazionale può permanere in accoglienza per la durata del ricorso
giurisdizionale o, comunque, finché non gli sia consentito di svolgere attività
lavorativa ai sensi dell’art. 11 c. 1 del D.Lgs. 140/05 e sempre nel caso in cui
le sue condizioni fisiche non gli consentano di svolgere alcuna attività
lavorativa (Giovannetti M., 2011).
52
È bene precisare che la distribuzione delle strutture descritte sul
territorio nazionale non è omogenea. Mentre i CPSA sono presenti in Sicilia e
Sardegna, i CDA/CARA si trovano in Sicilia, Puglia, Calabria, Marche, Friuli e
Lazio; i centri della rete SPRAR sono presenti in tutta Italia tranne che in
Valle d’Aosta e i CIE sono in Sicilia, Puglia, Calabria, Friuli, Lazio, Emilia
Romagna, Lombardia e Piemonte. Bisogna aggiungere a quest’elenco i
Centri Polifunzionali che sono sorti in quattro regioni Lazio, Toscana,
Piemonte e Lombardia e i centri della Protezione Civile presenti in tutta Italia
tranne che in Abruzzo a causa della ricostruzione post terremoto.
I Centri Polifunzionali sono nati nel 2007 in alcune città
metropolitane: Roma, Milano, Firenze e Torino, sulla base di accordi
sottoscritti tra i Comuni e il Ministero dell’Interno per «l’attivazione di centri
polifunzionali per lo svolgimento in comune di attività in favore di richiedenti
asilo, rifugiati e protetti umanitari» (Giovannetti M., 2011). Questo modello
organizzativo, avente carattere temporaneo, è stato ideato per le città che
devono affrontare la maggiore emergenza dovuta al grande numero di
stranieri titolari di protezione internazionale o appartenenti a categorie
vulnerabili. Non in tutte le città i centri sono coordinati con lo SPRAR.
I Centri delle Protezione Civile sono nati in seguito al già
precedentemente descritto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
del 12 febbraio 2011, con il quale è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2011,
poi prorogato fino a dicembre 2012, lo stato di emergenza umanitaria nel
territorio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini
appartenenti ai Paesi del Nord Africa. A questo documento è seguito
l’Accordo stipulato il 6 aprile 2011 tra il Governo, le Regioni, l’ANCI e l’UPI,
che ha assegnato al sistema di protezione civile nazionale il compito della
pianificazione delle attività necessarie alla dislocazione nelle singole regioni
dei cittadini extracomunitari in modo equilibrato.
Il Piano di Accoglienza, emanato il 12 aprile 2011 dal Dipartimento
della Protezione civile, stabilisce che la distribuzione sul territorio è
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determinata in base alla percentuale relativa di popolazione residente in ogni
singola regione o provincia autonoma rispetto al totale nazionale, mediante
un sistema modulare che individua per ogni territorio il numero massimo di
migranti da accogliere in rapporto agli arrivi. Inoltre è necessario sottolineare
che le norme di accoglienza in Italia prevedono delle attenzioni specifiche per
alcune categorie di persone, con l’indicazione precisa dei luoghi che devono
essere preposti ad ospitarli:
• minore straniero non accompagnato: l’accoglienza deve sempre
essere garantita tenendo in primaria considerazione il suo interesse
superiore e deve essere ispirata ad assicurare un sereno sviluppo
psicofisico del fanciullo che ha diritto a crescere in un ambiente sicuro
e ospitale: l’accoglienza deve avvenire ad opera dell’ente locale, in
conformità delle disposizioni del Tribunale dei Minorenni, e nell’ambito
dei posti di accoglienza espressamente riservati nel sistema SPRAR.
Il minore non può in nessun caso essere trattenuto presso un CARA
e/o un CIE. L’accoglienza del minore titolare di protezione
internazionale o umanitaria può protrarsi fino a sei mesi dal
compimento della maggiore età e sono consentite ulteriori proroghe
sulla base delle esigenze dei percorsi di integrazione presso strutture
dedicate ai maggiorenni;
• nuclei familiari: l’accoglienza deve essere garantita nel rispetto del
diritto all’unità familiare, evitando la separazione dei nuclei familiari, e
in strutture idonee alla presenza di figli minori;
• donne in stato di gravidanza e disabili: ove possibile deve essere
garantita l’accoglienza in idonee strutture esterne ai centri CARA e/o
CIE (art. 8, D.P.R. n. 303/04);
• portatrici di esigenze particolari: l’accoglienza deve essere sempre
organizzata tenendo in considerazione la situazione individuale e
personale del richiedente, predisponendo, laddove necessario, tutti gli
interventi di sostegno psicologico e sanitario necessari. Le Linee
Guida del Ministero dell’Interno dispongono che gli enti locali che
offrono servizi di accoglienza a persone con disagio mentale e con
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necessità di assistenza sanitaria e domiciliare, specialistica e/o
prolungata, sono tenuti a garantire la loro stretta collaborazione con i
servizi socio-sanitari locali e le realtà del privato sociale, nonché a
dimostrare la comprovata esperienza nella presa in carico di tali
tipologie di beneficiari (Decreto Ministeriale del 22 luglio 2008 come
modificato nel 2010).
Infine è bene precisare che le misure di accoglienza possono essere
revocate con decreto del Prefetto qualora il richiedente asilo: a) non si
presenti presso la struttura individuata o abbandoni immotivatamente la
struttura stessa; b) non si presenti all’audizione in Commissione Territoriale;
c) abbia già in precedenza presentato in Italia domanda di protezione
internazionale; d) abbia mezzi economici sufficienti, e accertati, per garantirsi
l’assistenza; e) abbia violato ripetutamente le regole della struttura di
accoglienza. Qualora si verifichi il primo caso, e il richiedente protezione
internazionale si ripresenti volontariamente alla struttura, il Prefetto, sulla
base degli elementi addotti dal richiedente, può disporre il ripristino delle
misure di accoglienza.
4.1. SPRAR: per saperne di più.
Come anticipato precedentemente, il sistema di accoglienza per i
richiedenti protezione internazionale è organizzato attraverso disparate e
molteplici strutture con finalità diverse e destinate ad ospitare persone
differenti. I centri di prima accoglienza (CPSA e CARA) sono importanti per
garantire un’assistenza ad individui che arrivano in Italia dopo lunghi percorsi
migratori ma diventa fondamentale soprattutto la seconda accoglienza,
quella che dovrebbe essere garantita a tutti coloro che lo necessitano, dallo
SPRAR, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati.
Lo SPRAR è costituito dalla rete degli enti locali che, per la
realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono, nei limiti delle
risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. È
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bene ricordare che le caratteristiche principali del Sistema di protezione
sono:
• il carattere pubblico delle risorse messe a disposizione e degli enti
politicamente responsabili dell'accoglienza, Ministero dell'Interno ed
enti locali;
• la volontarietà degli enti locali nella partecipazione alla rete dei progetti
di accoglienza;
• il decentramento degli interventi di "accoglienza integrata";
• le sinergie avviate sul territorio con gli "enti gestori", i soggetti del terzo
settore che contribuiscono in maniera essenziale alla realizzazione
degli interventi;
• la promozione e lo sviluppo di reti locali, con il coinvolgimento di tutti
gli attori e gli interlocutori privilegiati per la riuscita delle misure di
accoglienza, protezione, integrazione in favore di richiedenti e titolari
di protezione internazionale.
Per accoglienza integrata s’intendono degli interventi finalizzati non
solo a fornire vitto e alloggio ma anche, e soprattutto, la realizzazione di
attività di accompagnamento sociale, indirizzate alla conoscenza del territorio
e all'effettivo accesso ai servizi locali (fra i quali l'assistenza socio-sanitaria),
attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-
economico. Sono previste attività per facilitare l'apprendimento dell'italiano e
l'istruzione degli adulti, l'iscrizione a scuola dei minori in età dell'obbligo
scolastico, nonché ulteriori interventi di informazione legale sulla procedura
per il riconoscimento della protezione internazionale e sui diritti e doveri dei
beneficiari in relazione al loro status. In particolare, sono sviluppati, percorsi
formativi e di riqualificazione professionale per promuovere l'inserimento
lavorativo, così come sono approntate misure per l'accesso alla casa. Sono
presenti progetti specializzati per l'accoglienza e il sostegno di persone
portatrici di specifiche vulnerabilità. Infine, secondo un approccio
all'accoglienza che prevede un’apertura dei progetti SPRAR ai propri territori
e al lavoro in rete, sono promosse iniziative per informare e sensibilizzare le
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comunità cittadine alla conoscenza della realtà del diritto di asilo e della
condizione di richiedenti e titolari di protezione internazionale. Occasione
centrale per iniziative di questo genere è il 20 giugno, Giornata mondiale del
rifugiato.
4.1.1. Le strutture abitative destinate all’accoglienza
Le strutture abitative dedicate all’accoglienza dei beneficiari all’interno
della rete dello SPRAR sono suddivise in tre tipologie: appartamenti (74%),
centri collettivi (20%) e comunità alloggio (6%). Le abitazioni hanno in
comune la capacità di ospitare ciascuna un numero limitato di persone e la
collocazione all’interno del centro abitato o comunque in una zona limitrofa e
tendenzialmente ben collegata dal servizio di mezzi pubblici.
Se si focalizza l’attenzione sull’anno 2011, grazie ai dati forniti dal
Rapporto annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati
2011/2012, risulta che i servizi complessivamente erogati dai progetti
territoriali dello SPRAR durante l’anno sono stati pari a 38.552, il 9% in più
rispetto al 2010: l’incremento è da imputarsi al maggior numero di posti che
sono stati messi a disposizione per l’accoglienza, in particolare grazie alle
risorse straordinarie dell’otto per mille e della Protezione Civile (Ordinanza
del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3933/2011 con validità prorogata
fino al 31/12/2012 per le misure di accoglienza straordinaria messe in atto
nell’ambito della cosiddetta Emergenza Nord Africa) .
I progetti finanziati dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi
dell’Asilo (FNPSA) per il 2011 sono stati complessivamente 151, di cui 111
destinati all’accoglienza di beneficiari appartenenti alle categorie ordinarie e
40 riservati all’accoglienza delle “categorie vulnerabili”, quali disabili anche
temporanei, persone che richiedono assistenza domiciliare, sanitaria
specialistica e prolungata, vittime di tortura e/o di violenza, minori non
accompagnati, anziani, donne sole in stato di gravidanza, nuclei
monoparentali e persone con disagio mentale.
Complessivamente, i progetti finanziati hanno reso disponibili 3.000
posti in accoglienza, di cui 2.500 destinati alle categorie ordinarie e 500 a
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quelle vulnerabili (di questi 50 hanno servizi per la presa in carico di persone
con disagio mentale).
Gli enti locali titolari di progetto sono stati complessivamente 128, di
cui 110 Comuni, 16 Province e 2 Unioni di comuni. Ne vanno aggiunti
ulteriori 816, attivati dalla rete dello SPRAR per le misure di accoglienza
straordinaria coordinate dal Dipartimento nazionale di Protezione Civile e 163
posti in strutture implementate grazie alle risorse otto per mille.
La rete dello SPRAR nel suo complesso ha contemplato, per il biennio
2011/2012, 3.979 posti di accoglienza.
Oltre ai posti SPRAR esistono i cosiddetti extra SPRAR: si tratta
normalmente di un circuito di accoglienza (dormitori, mense ecc.) che le città
italiane hanno strutturato negli anni per le più varie necessità e che finisce
anche per accogliere i richiedenti asilo e i rifugiati quando non esistono
alternative valide. I posti extra SPRAR non garantiscono il percorso di
“accoglienza integrata” alla base dello stesso progetto ministeriale ma solo i
servizi e i beni di prima necessità come il tetto, il letto e il cibo. Essi sono la
controprova dell’insufficienza del sistema (il numero di posti messi a
disposizione dallo SPRAR è nettamente inferiore rispetto al numero di
richieste pervenute) e sono esclusivamente legati alle risorse delle varie città
o realtà locali italiane.
4.2. I fondi destinati ai rifugiati
È bene sottolineare che per il finanziamento dei servizi di accoglienza
descritti in precedenza e per i percorsi finalizzati all’integrazione di coloro che
hanno ottenuto la protezione internazionale nel nostro Paese esiste un
Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. Inoltre l’Italia, in quanto
Stato Europeo e firmatario della già citata Convenzione di Ginevra, dispone,
come tutti gli Stati membri, di un aiuto economico da parte dell’Unione
Europea da destinare alle politiche e al sistema di asilo: il Fondo Europeo per
i Rifugiati.
Il Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA)
consiste in uno stanziamento di fondi a favore di enti locali che attivano
servizi di accoglienza per i richiedenti asilo, i rifugiati e i destinatari di
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protezione sussidiaria. È un fondo gestito dal Ministero dell’Interno italiano e i
contributi che questo elargisce sono in favore degli enti locali che presentino
progetti destinati all’accoglienza:
• richiedenti asilo in attesa della pronuncia delle Commissioni territoriali
• titolari dello status di rifugiato
• titolari di protezione sussidiaria.
Per ottenere i contributi è necessario rispettare le indicazioni sui
servizi ammissibili al finanziamento, gli standard richiesti, le condizioni per
l'ammissione delle istanze di contributo e le modalità di utilizzo delle
economie. Vengono inoltre disposti dei controlli per la verifica della corretta
gestione del contributo assegnato e, nel caso di inadempienza, sono previste
delle modalità per l’eventuale revoca.
Il Fondo Europeo per i Rifugiati (FER) rientra invece
nel “Programma Generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori”
emanato dall’Unione Europea, per dare un aiuto economico agli Stati membri
nella gestione delle persone provenienti da altri Paesi. Il Programma, si
realizza concretamente attraverso quattro fondi:
• Fondo Europeo per i Rimpatri: destinato a migliorare la gestione dei
rimpatri sulla base del principio della gestione integrata dei rimpatri
nonché a sostenere le azioni volte ad agevolare il rimpatrio forzato;
• Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi: finalizzato
a co-finanziare azioni concrete a sostegno del processo di
integrazione di cittadini di Paesi terzi, a sviluppare e valutare tutte le
strategie e le politiche in materia di integrazione dei cittadini di Pesi
terzi, nonché a favorire lo scambio di informazioni e di migliori pratiche
e a sostenere la cooperazione interna ed esterna allo Stato;
• Fondo Europeo per le Frontiere Esterne: finalizzato ad assicurare
controlli alle frontiere esterne uniformi e a favore della cooperazione
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tra Stati membri nel campo della politica dei visti o di altre attività pre-
frontiera;
• Fondo Europeo per i Rifugiati: riguarda le politiche e i sistemi dell’asilo
degli Stati membri con l’intento di promuove le migliori prassi in tale
ambito. In linea con l’obiettivo del Programma dell’Aja, tenta di
costituire un sistema di asilo unico europeo, improntato al principio
della parità di trattamento, che garantisca alle persone effettivamente
bisognose un livello elevato di protezione, alle stesse condizioni in tutti
gli Stati membri.
Il FER, nello specifico, sostiene le azioni negli Stati membri relative a:
a. condizioni di accoglienza e procedure di asilo;
b. integrazione delle persone il cui soggiorno in uno Stato membro ha
carattere durevole e stabile;
c. rafforzamento delle capacità degli Stati membri di sviluppare, monitorare e
valutare le rispettive politiche di asilo, nel rispetto degli obblighi loro imposti
dalla normativa comunitaria in materia di asilo, in particolare al fine di avviare
una cooperazione pratica tra gli Stati membri;
d. reinsediamento delle persone ai fini della presente decisione;
e. trasferimento di persone allo Stato membro che ha accordato loro una
protezione internazionale.
Gli obiettivi del Fondo, che sono realizzati nell'ambito del periodo di
programmazione pluriennale, vengono approvati dalla Commissione Europea
e poi attuati nei singoli Stati tramite programmi annuali.
In Italia il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero
dell'Interno è l'Autorità Responsabile per la gestione del Fondo e ha
designato l'ANCI quale Autorità Delegata per lo svolgimento di alcuni compiti.
Il contributo finanziario offerto dal Fondo assume la forma di sovvenzione e
prevede il co-finanziamento da parte dello Stato membro che ne fruisce.
A differenza degli altri fondi, il Fondo Europeo per i Rifugiati aveva già
vissuto due precedenti fasi con il FER I dal 2001 al 2004 e con il FER II dal
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2005 al 2007, durante le quali i contributi FER assegnati all’Italia sono
stati: (FER I), periodo 2000-2004 11.000.000 Euro; (FER II), periodo 2005-
2007 6.500.000 Euro. In questo lasso di tempo, i Fondi europei sono confluiti
sul capitolo destinato al Fondo Nazionale per i Servizi e le Politiche dell’Asilo,
fondendosi con i finanziamenti destinati ai progetti territoriali dello SPRAR.
Nel 2006 e nel 2007 i finanziamenti del Fondo Europeo Rifugiati, pur
sempre nell’ambito dello SPRAR, sono stati specificamente destinati ai
progetti territoriali per le categorie vulnerabili.
La terza fase del Fondo Europeo per i Rifugiati (FER III), per il periodo
2008-2013 istituito con la Decisione 573/2007/CE, si prefiggeva una
destinazione del tutto autonoma rispetto al Fondo Nazionale per i Servizi e le
Politiche dell’Asilo. Infatti è stato stabilito che i contributi derivati dovevano
essere destinati non più all’attività istituzionale per l’accoglienza, realizzata
con lo SPRAR sulla base della legge 189/2002, ma ad azioni complementari,
integrative e rafforzative di essa. Secondo la stima indicata nella decisione
istitutiva il FER III avrebbe elargito all’Italia, per il periodo 2008-2013,
complessivi 21.016.926,30 Euro (Sprar, 2007c; www.serviziocentrale.it).
Capitolo 5
Piemonte: accoglienza e soluzioni abitative
Il Piemonte, come tutte le regioni italiane, dispone di una rete di
accoglienza rivolta ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Facendo nuovamente
riferimento al Rapporto Annuale del Sistema di Protezione per Richiedenti
Asilo e Rifugiati 2011/2012, il maggior numero di accolti a livello regionale
nell’anno 2011 è distribuito tra i centri della Protezione Civile (1.605, il
64,4%) e i Centri Polifunzionali (522, il 20,9% il secondo); solo il 14,2% del
totale rientra in un progetto SPRAR. La percentuale appena citata si traduce
in un numero concreto di posti disponibili che si aggira intorno ai 160 (in cui
sono compresi dei posti riservati a persone vulnerabili) che vengono suddivisi
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tra la città di Torino e i Comuni di Ivrea, Chiesa Nuova, Alice del Colle e la
Provincia di Alessandria. Questo sistema è assolutamente insufficiente
rispetto alla quantità di richieste di aiuto e accoglienza. La diretta
conseguenza di queste carenze nel sistema di accoglienza e dell’esclusione
dei rifugiati dai programmi di assistenza è il ricorso a sistemi di accoglienza
alternativa, i cosiddetti extra-SPRAR (i dormitori e le mense) o a soluzioni
altre.
5.1. Coordinamento Non Solo Asilo
Trattando di accoglienza in Piemonte non si può non accennare al
Coordinamento Non Solo Asilo, un’associazione di secondo livello che nasce
nel 2008 a Torino come coordinamento di associazioni del terzo settore, in
seguito all’occupazione da parte di un centinaio di rifugiati politici e
beneficiari di protezione internazionale, dell’ex clinica San Paolo, in Corso
Peschiera.
L’occupazione è l’ennesima dimostrazione che l’accoglienza e il
sostegno di coloro che sono titolari di protezione internazionale, da parte del
sistema nazionale non è adeguata al numero di richieste e appare chiara la
necessità di un cambiamento.
Una trentina di associazioni19 si uniscono nel Coordinamento per dare
un aiuto concreto all’interno dello stabile occupato ma anche per proporsi
come interlocutori con le istituzioni e per nuovi progetti per il futuro.
Superata la situazione di emergenza del 2008, il coordinamento ha
continuato la sua azione per dare una risposta strutturale e non
emergenziale sul territorio della regione Piemonte, ai bisogni più immediati
19 ACLI, ACMOS, Amnesty International Piemonte-Valle D'Aosta, Architettura senza Frontiere ONLUS, ASGI, Associazione Alma Terra, Associazione Opportunanda, Associazione Sole, Associazione Soomaaliya, Camminare Insieme, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza-Piemonte, CGIL Torino, CISL Torino, Comitato Sankara XX Torino, Cooperativa Alice, Cooperativa il Ponte, Gruppo Emergency Torino, Gruppo Abele, Gruppo Arco, Marypoppins Cooperativa Sociale, Comitato di Solidarietà con i rifugiati e le rifugiate, Servizi per i rifugiati-Chiesa Evangelica Valdese, Società San Vincenzo de Paoli Torino, Ufficio Pastorale Migranti, Cantieri di Pace, Cooperativa Parella, Progetto Tenda, Mani tese Torino, Mosaico
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dei rifugiati, e per individuare efficaci percorsi di integrazione attraverso il
dialogo con le Istituzioni.
Nel 2012 è iniziato il lavoro di definizione dello statuto e della carta dei
valori che ha portato a gennaio 2013 il Coordinamento Non solo asilo a
registrarsi come associazione. A questa terza fase hanno aderito, ad oggi, le