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STRATEGIE DIDATTICHE E DI RICERCA il Rilievo dell’Architettura e la Rappresentazione del Territorio STRATEGIE DIDATTICHE E DI RICERCA. Il Rilievo dell’Architettura e la Rappresentazione del Territorio - a cura di Aldo De Sanctis Giuseppe Fortunato Federico Parise a cura di ALDO DE SANCTIS GIUSEPPE FORTUNATO FEDERICO PARISE EDIZIONI KAPPA cop.De Sanctis_cop.De Sanctis 23/05/11 17.23 Pagina 1
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RESTITUZIONI E CONOSCENZA ARCHITETTONICA

May 15, 2023

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© Copyright 2011 by Edizioni KappaVia Silvio Benco, 2 - 00177 Roma - Tel. 06.273903Tutti i diritti riserrvatiwww.edizionikappa.com

Finito di stampare nel mese di Giugno 2011 presso la digitaledigitale srl - Roma

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STRATEGIE DIDATTICHE E DI RICERCAil Rilievo dell’Architettura

e la Rappresentazione del Territorio

a cura diALDO DE SANCTIS GIUSEPPE FORTUNATO FEDERICO PARISE

EDIZIONI KAPPA

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Presentazione di Massimo Giovannini

Introduzione

PARTE PRIMA: RILIEVO DELL’ARCHITETTURA

Restituzioni e conoscenza architettonicaAldo De Sanctis

Rilievo e diagnostica per i beni culturaliLo studio termografico della cappella dei Padri Fondatori nel monastero di San Niloa GrottaferrataGiuseppe Fortunato

Le cause del degrado in un organismo edilizioAntonio Lio

Il battistero bizantino di Santa SeverinaRapporti e proporzioni architettonichePasquale Lopetrone

Procedure e metodi per il rilievoConcetto e finalità dell’eidotipoAntonio Agostino Zappani

L’arte di edificare nella manualistica ottocentescaAppunti per una strategia di analisi e note sui sistemi di rappresentazioneAntonio Agostino Zappani

Modalità di analisi ed organizzazione delle restituzioniAldo De Sanctis

TAVOLE DI RILIEVO DELL’ARCHITETTURA

PARTE SECONDA: RAPPRESENTAZIONE DEL TERRITORIO

Il disegno: ieri/oggi… e il racconto continuaFederico Parise

La rappresentazioneUn linguaggio per nuovi contenutiGiuseppe Bonavita

TAVOLE DI RAPPRESENTAZIONE DEL TERRITORIO

Nota bibliografica

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INTRODUZIONE

La mostra ed il catalogo, con i lavori degli studenti, muovono da due motiva-zioni prevalenti: la prima riguarda i lavori stessi, che si propongono con unaqualità ed un valore di esperienza che superano ogni naturale conclusione di-dattica. Lavori che presentano in modo inequivocabile i caratteri architettonicidegli edifici e del territorio – in particolare del centro antico di Cosenza – edinvitano a guardare con maggiore consapevolezza quanto ci circonda, a rico-noscerlo come deposito di storia, di sapienza costruttiva e motivo d’identità.La seconda motivazione è relativa alla nostra responsabilità di docenti che, allafine di un ciclo didattico, ci porta a fare un bilancio, quasi per avere il saldodell’attività svolta. Ma “fare un bilancio” è un’espressione inadatta, che nondefinisce bene il tanto, o il poco – secondo i punti di vista – dell’attività di undocente e dei suoi studenti e, soprattutto, non dice nulla dell’impegno e dellapassione necessari per stabilire un dialogo formativo tra le parti in gioco, per-ché, come ci ricorda H. G. Gadamer, “in un dialogo si è «presi»” (Bompiani,1997) e non basta parlare per tre ore di fila, per dire di dialogare utilmentecon qualcuno.Le attività di un docente e degli studenti richiedono, oltre ai contenuti delladottrina, esercizio e partecipazione; richiedono cioè un operare in grado dicircoscrivere, al tempo stesso, sia il da farsi che il come farlo, considerandoanche i conseguimenti disciplinari, che via via si consolidano.In questi termini, l’occasione della mostra e del catalogo è piuttosto un modoper riconsiderare quanto s’è fatto, al fine di trovare nuovi motivi per migliorare,magari trasformando tutto. Un’occasione, dunque, per innescare il cambia-mento, sia nella didattica che nella ricerca: le discipline che partecipano all’ini-ziativa si sono formate in tempi eccezionalmente lunghi e con il concorso dipersonalità straordinarie; ogni volta hanno saputo “sentire” ed intercettare lenecessità dell’innovazione, trovando la forza di evolvere senza rinnegare il pas-sato, anzi trasformando le precedenti competenze e condizioni in fattori di sti-

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VIDEOIMAGINGSCREEN molo, per inedite applicazioni di studio.

Forse è anche per questo che, nonostante gli sviluppi dirompenti della tecnica,il rilievo e la rappresentazione si presentano ancora come discipline formida-bili, le più versatili che abbiamo, per conoscere l’architettura, la città ed il ter-ritorio e per intervenire a fini progettuali, o di salvaguardia e recupero;discipline in grado di interrogare la realtà e di suggerire “ipotesi di riuscita” difronte alla sua complessità.Con il loro agire, il rilevamento e la rappresentazione arrivano a “reinventare”la forma dell’architettura e del territorio ed a scoprirla come deposito di cono-scenza e principio di unità, ovvero a restituirla facendo conoscere le sue ragioni(misure, disposizioni, allineamenti, …) e le sue necessità (funzionali, costruttive,compositive, …): per loro tramite - per il tramite degli insegnamenti che richia-miamo e delle esperienze che rendono possibili - possono convalidarsi opzioniconoscitive abitualmente date per acquisite, oppure per i dati strumentali e lepossibilità grafiche di selezio ne/enfatizzazione, evidenza e tematizzazione delleinformazioni, possono intercettarsi nuovi significati e promuovere interpretazionianche impreviste, se si ha la forza di condurle a termine.Oggi, sebbene le macchine e le procedure cambino radicalmente i modi di ri-levare e rappresentare e, per conseguenza, l’intero ordine dei problemi solita-mente possibili, il valore analitico delle restituzioni e le potenzialità“autoriflessive” del linguaggio della rappresentazione rimangono e con lorotutte le opportunità per vagliare e riformulare graficamente gli assetti diun’opera, per interpretarla e generare significato.Ma al di là delle motivazioni, per così dire, interne al nostro lavoro, la mostraed il catalogo sono anche una ragione per uscire dall’Università – un ente chea volte rischia di presentarsi, lo diciamo con tutte le cautele ed i necessari di-stinguo, come una sorta di “istituzione totale”, fisicamente separata ed auto-referenziale – per avere contatti ed incontrare quanto c’è attorno, in primoluogo gli abitanti, le case ed il territorio del centro antico di Cosenza, che glistudenti percorrono, quasi quotidianamente, alla ricerca di edifici e spazi ur-bani da rilevare e rappresentare; e sono una ragione per avere contatti ed in-contrare le altre Istituzioni, che con la Nostra intervengono nella formazionedei cittadini e, più in generale, cooperano al miglioramento sociale.

In ultimo notiamo che, la mostra ed il catalogo si compongono di due parti: laprima, con i risultati didattici del Corso di Rilievo dell’Architettura, curata daAldo De Sanctis e Giuseppe Fortunato; la seconda, con i risultati didattici delCorso di Rappresentazione del Territorio, curata da Federico Parise. La ripar-tizione è puramente organizzativa e risponde, soprattutto, ad esigenze di chia-rezza espositiva; le due discipline, infatti, appartengono allo stesso S.S.D. econdividono profondamente motivazioni, interessi e temi di studio.Il catalogo e le tavole allegate seguono la stessa distinzione: nella prima partetroviamo, oltre alle elaborazioni degli studenti, argomenti inerenti il rileva-mento ed il suo ruolo nell’ambito della conoscenza e dell’interpretazione ar-chitettonica; nella seconda, temi relativi all’analisi ed alla rappresentazione, siaurbana che territoriale, con le relative esperienze didattiche.

A.D. G.F. F.P.

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Nell’azione di rilevamento, il tentativo che si svolge non è solo quello di comporre im-magini, più o meno, somiglianti con la realtà dell’opera e soprattutto non è solo quellodi ottenere misure sempre più accurate, come i modi più corrivi di operare, ancoraoggi, sembrano suggerire.Il rilevamento è ricerca ed interpretazione, applicazione razionale e creativa insieme:agisce sulla forma architettonica e la rappresenta secondo le modalità che la stessaforma architettonica permette di accreditare, ma agisce anche seguendo le motivazionidel rilevatore, le regole e le suggestioni che il procedere dell’elaborazione delle imma-gini suggerisce, o impone come “necessarie”.In altro modo, il valore di un rilievo risiede essenzialmente nelle restituzioni che dà avedere e nei contenuti architettonici che è in grado di presentare, non solo nei conse-guimenti tecnici che, con strumenti e metodi sempre più aggiornati, permette di veri-ficare. Le restituzioni ripropongono l’opera, avendo già superato ogni problema dianalisi e di interpretazione: sono raffigurazioni esplicite di un’opera, o espressioni diun’opera che – un po’ come avviene con ogni altro tipo di rappresentazione – proprioper il tramite delle restituzioni trova l’occasione, forse quella più compiuta, di manife-starsi; un po’ come dire che l’opera architettonica comunica se stessa e si fa conoscerecon le restituzioni che è in grado di “sollecitare”, mentre il rilevatore deve acquisiredati ed elaborare le modalità figurative più idonee, perché i contenuti della stessa operatrovino espressione.L’azione di rilevamento non prevede mai la “semplice” riproduzione di un originale;cerca di formulare restituzioni orientate secondo uno scopo e la loro conformità risiedeproprio nella rispondenza allo scopo che le determina. Non conta quanto una restitu-zione sia completa, conta invece la coerenza degli elementi che si scelgono per restituiree per rispondere alle motivazioni dell’azione di rilevamento. Ed è per questo che la re-lazione tra restituzioni ed architettura si modifica nel tempo. C’è poi da dire che, di

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Aldo De Sanctis

1 Nel presente articolo compaiono,rivisti e corretti, temi già trattatidallo scrivente in Rappresentazionee Architettura (Roma 2003) ed in Ri-levamento architettonico - una disci-plina per interpretare/rinegoziare icontenuti del progetto, in Atti delConvegno internazionale (Lerici2009).

Page 9: RESTITUZIONI E CONOSCENZA ARCHITETTONICA

VIDEOIMAGINGSCREEN volta in volta, cambiano gli operatori e cambia il periodo (le aspettative, le cause, …)

in cui si eseguono i rilievi; ancora, possono cambiare sia il contesto di riferimento chele forme di un’architettura ed è per simili motivi che, normalmente, si svolgono nuoveanalisi e restituzioni; analisi e restituzioni che servono, per riscoprire l’opera e per pro-porla nuovamente alla conoscenza.Ancora ricordiamo che anche il linguaggio delle restituzioni si modifica nel tempo,proponendo nuove evidenze e nuove possibilità di “vedere”, attraverso formulazionigrafiche e modelli, mai sperimentati prima.La diversità tra restituzioni – quelle prodotte storicamente, o anche quelle di autoridiversi di uno stesso periodo – dipende, pertanto, da una variazione dei termini ingioco e, per conseguenza, da una variazione della qualità e quantità delle conoscenzeche si rendono disponibili. Ma non c’è solo questo. Le differenze tra i modi di restituiresi giustificano sia per la presenza di autori diversi – di obiettivi e motivazioni diversi –che per la molteplicità semantica, tipica dell’opera d’arte in generale e di quella archi-tettonica, in particolare; molteplicità che porta il rilevatore a restituire non tanto l’operain sé, ma “i possibili modi di essere propri dell’opera stessa, la quale, in un certo senso,interpreta se stessa nella varietà dei suoi aspetti”2.Le restituzioni, come ricordato, non replicano semplicemente l’opera, la interpretanoed hanno valore soprattutto per le accentuazioni grafiche di cui fanno uso e per quantopermettono di evidenziare e conoscere; la distinzione, ad esempio, tra quello che sivede e le logiche organizzative di una forma architettonica, porta a riflettere sulla dif-ferenza tra quanto vediamo e ciò che è, ovvero fa affermare che, spesso, esiste unoscarto tra la percezione delle cose e la loro effettiva disposizione geometrica e spaziale.Rappresentando quanto percepiamo, rendiamo sì l’idea di ciò che appare, ma non leragioni che consentono proprio quell’apparire e quel determinato configurarsi dellecose (è facile trovare architetture – dalla galleria Spada di Francesco Borromini, allacasa Hanselmann di Michael Graves, per citare le prime che vengono in mente – che,in modo evidente, contano su questa differenza e che utilizzano la separazione appenaricordata come fattore guida della soluzione progettuale).La conoscenza che le restituzioni esprimono si verifica particolarmente per l’attitudinedel linguaggio della rappresentazione di analizzare e scomporre l’architettura, attra-verso elaborazioni di evidenza compositiva (formale, espressiva, funzionale …), fina-lizzate verso uno scopo. E si verifica perché non si affronta un’opera, solo perriproporre quanto già si dà per acquisito, ma per sondare nuove conoscenze, che emer-gono soprattutto per le possibilità della rappresentazione di tematizzare l’opera, pro-ponendo formulazioni grafiche (dispositivi di lettura, schemi di analisi, …) che al tempostesso sono, sia espositive che di valore. Si restituisce, cioè, un’opera secondo unoscopo, non per riproporre uno dei modi possibili del suo manifestarsi, ma per presen-tarla nella “versione” che, in una determinata fase di un processo conoscitivo, si pre-figura come la più necessaria ed urgente.Da qui, può anche dirsi che l’insieme delle restituzioni che un’opera suggerisce, non èsolo la successione, di volta in volta più aggiornata, di come la stessa opera può vedersie rappresentarsi, ma definisce, per intero, le possibilità che abbiamo per studiarla e ri-tenerla. Non c’è mai un uso “tecnico” della rappresentazione e la versione figurativaserve per analizzare un’opera d’architettura escludendo, quasi completamente, la si-tuazione reale, a vantaggio delle considerazioni che l’evidenza delle immagini rendepossibili. Torna, così, l’idea che in “ogni forma di rappresentazione qualche cosa si trovaal posto di un’altra: rappresentare significa esser l’altro di un altro, che viene insieme evo-cato e cancellato dalla rappresentazione”3.

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2 H. G. Gadamer, Verità e Metodo,Milano Bompiani 1994, p. 150.3 F. Gil, Rappresentazione, Enciclo-pedia Einaudi, Torino Einaudi1980, p. 546.

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Il linguaggio della rappresentazione muove dall’opera in esame, ma agisce in modoautonomo ai fini della conoscenza architettonica: consente l’accadere della conoscenzaper l’organizzazione e la coerenza che è in grado di esibire; non per il rimando, o perle allusioni ad altro che contiene, ma per i modi del suo manifestarsi e divenire formaesplicita di conoscenza.Lo ripetiamo, le restituzioni arrivano a definire l’intero nostro modo di considerarel’architettura; non presentano solo un’opportunità, tra quelle possibili, per descriverla,ma quella più “piena” che abbiamo per interpretarla e conoscerla. E più che nellaquantità delle indagini possibili (nuovi strumenti, misure sempre più accurate, verifichesui materiali, …), è per come restituisce e coglie informazioni, che il rilevamento rivelale sue potenzialità migliori.Attraverso l’uso degli strumenti, che normalmente adopera e del linguaggio della rap-presentazione, il rilevamento muove sia per acquisire dati, che per organizzarli e com-prenderli; per loro tramite il rilevamento arriva ad operare sulla forma architettonica,a “scoprirla” come deposito di conoscenza e principio di unità, ovvero a restituirla fa-cendo conoscere le sue “ragioni” (misure, proporzioni, allineamenti, …) e la sua “ne-cessità” (funzionale, costruttiva, compositiva, …).Nel rilevamento, dunque, sia le analisi grafiche che quelle strumentali devono conside-rarsi un vero e proprio “armamentario” del mestiere nei riguardi del rilevato; arma-mentario che serve per individuare problemi e, attraverso questi, l’articolazione deisignificati architettonici (storici, compositivi, tecnologici …) che un’opera contiene edanche per circoscriverli e ritenerli. È in questa variabilità di applicazioni (acquisizioni,analisi, interpretazioni e restituzioni) che il rilevamento manifesta le sue migliori occa-sioni di ricerca.A scanso di equivoci è importante notare che tra le differenti situazioni d’indagine,che il rilevamento può mettere a disposizione, non deve stabilirsi alcuna primogenitura:come le applicazioni strumentali (operazioni di misura, termografie, accertamenti suldegrado degli intonaci, diagnostica degli edifici, …), di solito ritenute più certe perl’assetto tecnico-scientifico che presentano, anche quelle grafiche devono considerarsiautentici momenti di ricerca sull’opera realizzata. Non solo modalità, più o meno stra-ordinarie, per restituire diversamente un’opera, ma un “pretesto” necessario per di-sarticolare l’insieme inamovibile delle sue componenti, esaminarle ed interpretarle.La rappresentazione è un “contenuto” ed al tempo stesso un “valore” che non acca-dono per perizia esecutiva; nascono per le attenzioni di analisi che si determinano at-traverso il fare e per il sostegno di coerenza che il sistema di rappresentazione presceltocomporta. Nascono per l’obbligo che i rilevatori hanno di “stare ai patti” – per l’ob-bligo, cioè, di seguire compiutamente l’iter di osservazioni che emergono, proprio peril tramite della rappresentazione – e per gli accordi “emotivi” che, comunque, leganoi grafici alla realtà che rappresentano.Scegliere un sistema figurativo come prevalente (tradizionale, informatico, o per modelliin scala), oppure determinati metodi, scale e tecniche di mediazione grafica, non vuoldire selezionare modalità indifferenti per il risultato dell’analisi, ma vere e proprie oc-casioni di sperimentazione e di promozione del significato.Nel preferire un sistema al posto di un altro (o metodo, tecnica di mediazione grafica,…) si predetermina un modo di fare, avendo già in vista un risultato (o un ordine dirisultati) da raggiungere; si prefigurano, cioè, le aspettative ed anche l’ambiente cultu-rale, oltre che operativo, in cui detti risultati ed aspettative devono accadere.Un coinvolgimento analogo riguarda gli apparati strumentali anche se, di primo ac-chito, sembrano non avere un contenuto formativo, paragonabile con quello del lin-

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VIDEOIMAGINGSCREEN guaggio grafico. In realtà, anche questi costituiscono una forma di risposta del rileva-

tore nei riguardi dell’opera; forma di risposta che al tempo stesso è reazione alla suacomplessità e studio per causarne il significato.Come la rappresentazione, anche l’uso di apparati strumentali è, dunque, uno “sce-gliere” tra le diverse opportunità ed un “agire” del rilevatore di fronte alla realtà, percontrollarne l’emotività che suscita e per delimitarne l’ordine; scegliere ed agire chepuntano ad instaurare un “dialogo” con l’architettura, ma soprattutto mirano ad in-terpretare la proposta di significato che la stessa architettura lascia intravedere (in que-sto senso l’architettura può anche pensarsi come una specie di “accumulatore” disignificati, da cui ogni volta può evidenziarsi quello più utile).Restituzioni ed indagini strumentali forniscono l’occasione per interpretare, perchéprecisano subito la relazione tra rilevatore ed opera e, per conseguenza, le modalitàper osservare e conoscere; la forniscono per le possibilità d’indagine che sono in gradodi mettere in campo nella risoluzione dei problemi e per le verifiche che sono in gradodi prevedere. In definitiva, forniscono l’occasione per l’interpretazione architettonicaper le opportunità che hanno di selezionare e “riformulare” graficamente gli assetti diun’opera ai fini della conoscenza.I modi per restituire non seguono mai un iter rigidamente stabilito, per cui assegnati idati di partenza si produce con certezza il risultato; non ci sono procedure prefissate,ma situazioni da comprendere e sperimentare figurativamente, situazioni dove anchegli aspetti fortuiti possono avere un ruolo. Le costanti figurative (metodi di rappresen-tazione, rapporti scalari, tecniche di mediazione grafica, la funzione “essere al postodi”, …), ad esempio, possono diventare altrettante occasioni di stimolo casuale, o disollecitazione di fatti imprevisti, che avvengono proprio per la traduzione in grafici diuna soluzione architettonica: un’immagine ripetuta, variando metodi di rappresenta-zione, rapporti scalari, o tecniche di mediazione grafica, può produrre significati dif-ferenti, anche imprevisti, per le selezioni/enfatizzazioni che ogni volta include. Ilpassaggio da uno schema ad un’immagine compiuta, o da tecniche di mediazione gra-fica analogiche a tecniche simboliche, implica, oltre ad incrementi d’attenzione, la ve-rifica di ogni componente e la sollecitazione delle potenzialità più inavvertite checontiene; ancora, passare da elaborati sintetici ad elaborati analitici (e viceversa) equi-vale ad innescare procedimenti logici differenti (insieme/ dettaglio, concreto/astratto,discreto/continuo, …), con un’ampia possibilità di reazioni individuali. In un simileprocesso di ricerca, ogni autore può fare confronti, intravedere analogie, selezionareparti; può, in definitiva, calibrare la propria sensibilità architettonica su quella del-l’opera e “negoziare” con la stessa opera i contenuti da mostrare.In questo senso, la figura del rilevatore coincide propriamente con quella di un inter-prete (come lo è il traduttore di un’opera letteraria, il concertista che esegue una par-titura musicale, l’attore che recita a teatro,…), che cerca di spiegare un’architettura,utilizzando dispositivi figurativi e tecnici, che divengono occorrenze oggettive per fare,sia nei confronti del rappresentato che dello stesso interprete, che sottopone l’archi-tettura alle domande che ritiene necessarie e che emergono, sia per le riformulazionigrafiche, che per le applicazioni strumentali.L’interprete quasi mai coincide con l’autore, non è necessario che questo avvenga enon è detto che l’autore possa svolgere l’interpretazione migliore; il suo scopo è di ren-dere esplicito quanto un’opera trattiene nel contesto in cui è inserita. Anche per questosi deve dire che non serve fare semplici riproduzioni o, per così dire, riproduzioni in-consapevoli di un’opera; è importante restituire i contenuti che un’opera racchiude,ricorrendo a simulazioni pertinenti e scartando ogni “automatismo” riproduttivo.

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L’interpretazione architettonica si serve del linguaggio della rappresentazione comemedium per trattare in modo diffuso l’opera in esame e per trasformarla in restituzionifinalizzate: converte l’architettura in “oggetto” d’indagine, ne riconosce le componenti,le trascrive in forme figurative, le isola tra loro, o per unità parziali; in breve, le rendeleggibili e, perciò stesso, correttamente analizzabili. Ma i modi di trascrivere l’archi-tettura non servono solo per scomporre un insieme, o per trattarne, con prove ripetute,le parti; le trascrizioni grafiche servono soprattutto per restituire l’architettura, usu-fruendo del patrimonio di regole, che il linguaggio della rappresentazione inevitabil-mente comporta. Patrimonio di regole che diviene un’opportunità, sia per non operareingenuamente, trasgredendo ogni coerenza con l’opera in esame, che stimolo speri-mentale, capace di accentuare/attenuare aspetti, suscitare riflessioni, o provocare pro-blemi e conseguenti soluzioni.Le restituzioni forniscono l’occasione per interpretare l’architettura, per le opportunitàche hanno di riformulare graficamente e secondo regole gli assetti di un’opera, al finedi originare il significato: nel rapporto tra originale e restituzioni, il primo rimane comeriferimento, per evitare che l’analisi e l’interpretazione producano eccessi interpretativiche l’architettura non è in grado di sostenere; rimane, cioè, come termine di confronto,per non uscire dal “tema”. Le restituzioni permettono di costruire l’interpretazioneragionando sull’originale, esplicitandone i principi generativi e le connessioni tra leparti, ma soprattutto trasformando le disposizioni reali in dispositivi figurativi perti-nenti, in grado di rendere la complessità di un’opera e la sua identità.La trasformazione, o riformulazione in dispositivi figurativi (in elaborazioni di diffe-rente articolazione e definizione) costituisce un punto essenziale; si ha, infatti, la pos-sibilità d’interpretare proprio per la conversione dell’opera reale in immagini, o piùprecisamente per la conversione dell’opera reale in un sistema di raffigurazioni perti-nenti ed è per questo tipo di trasformazioni che emergono possibilità d’incontro e didialogo con l’opera da esaminare.“Diciamo solitamente «condurre un dialogo», ma quanto più un dialogo è autentico,tanto meno il suo modo di svolgersi dipende dalla volontà dell’uno o dell’altro degli in-terlocutori (…). Anzi, in generale, è più giusto dire che in un dialogo si è «presi», se nonaddirittura che il dialogo ci «cattura»”4. Come dire che non si sa mai con precisionedove un dialogo può condurre ed è sostanzialmente questo che intendiamo dicendoche “non serve fare semplici riproduzioni” e che il rilevamento “agisce anche seguendole motivazioni, le regole e le suggestioni che il procedere dell’elaborazione delle im-magini suggerisce”.È evidente che l’assenza di una sequenza univoca che guidi la ricerca architettonica,non significa che non esistono regole per fare, ma solo che dette regole agiscono senzafissare limiti all’esperienza che si vuole condurre; agiscono, per così dire, come riferi-menti “legali” di stimolo, senza imporre procedure rigide, né “formule” grafiche dareplicare.

Valore delle restituzioni

Dicendo del rilievo come “ricerca ed interpretazione, applicazione razionale e creativainsieme”, si vuol subito chiarire che non si tratta solo di raccogliere dati e di integrarlicon qualche nota storica, per attuare una specie di sintesi descrittiva di un’opera d’ar-chitettura; al contrario è proprio rilevando, acquisendo dati e formalizzandoli grafica-mente, che possono scaturire indirizzi di analisi, inattesi non solo perché nascosti otrascurati prima, ma soprattutto perché non avvertiti come utili e forieri di significato.

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4 H. G. Gadamer, Verità e Metodo,op. cit., p. 441.

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VIDEOIMAGINGSCREEN È per l’ambiente di ricerca che il rilevamento è in grado di realizzare, un ambiente

propriamente rivolto all’analisi architettonica, che si è indotti a formulare nuove inter-pretazioni di elementi (o di intere parti) ed applicazioni strumentali e che possono cor-rettamente organizzarsi azioni di analisi e “prodotti” (schemi grafici, restituzionitematiche o somiglianti, dispositivi per l’interpretazione…) volti alla conoscenza, allaconservazione, o al recupero.Il rilevamento interviene sull’architettura rendendo certi i rimandi tra le parti (tra i ma-teriali architettonici, tra forma e tecnologia, tra edificio e contesto urbano …), le cor-rispondenze geometriche, i rapporti percettivi; interviene accertando dati bibliograficie d’archivio, in breve, accertando quel complesso di situazioni che per effetto del fare,per effetto del rilevare e del rappresentare, divengono progressivamente importanti,anche se non si danno immediatamente, o non appaiono con evidenza.Esagerando un po’, ma solo un po’, potrebbe anche dirsi che l’architettura non esiste-rebbe, almeno così come la riteniamo nella conoscenza, senza il complesso delle ope-razioni che il rilevamento è in grado di prevedere: è per la sua efficienza che sienucleano problemi e si predispongono indagini specifiche, che arriva a precisarsi lanecessità delle soluzioni compositive ed il ruolo delle parti ed a promuoversi la “messain chiaro” dei contenuti che, di norma, ogni conformazione architettonica trattiene.In questo senso il rilevamento si presenta come una disciplina “formidabile”, forse lapiù versatile che abbiamo, in grado di collaborare con le altre, per analizzare la realtàcostruita ed accogliere tutta la sua complessità.Da operazione “topografica atta ad individuare le dimensioni e la forma di un oggetto”5,o da procedura utile per eseguire ben definite esperienze di misura, il rilevamento per-mette di maturare un vero e proprio atteggiamento di pensiero sull’architettura, capacesia di considerarla nel suo insieme, attraverso la valutazione delle determinanti che laindividuano, che di eleggere alcuni aspetti come significativi e su questi solo porre at-tenzione. “Se si pensa alle difficoltà che si incontrano nel rappresentare sulla carta unfabbricato, ne deriva che il rilevamento è analisi, selezione e sintesi del fatto reale (…)assume valore interpretativo in quanto, basandosi su una rigorosa metodologia di ricerca,tende a graficizzare la più vasta serie possibile di informazioni (…) divenendo così stru-mento critico”6.Il suo ambito può dunque indicarsi in quello dell’analisi architettonica e della misura,ma anche in quello, più generale, dell’interpretazione architettonica, con tutte le inco-gnite, i possibili fuoricampo, o sconfinamenti disciplinari che possono derivarne: la ri-cerca documentaria, le stratificazioni storiche, o la valutazione del degrado individuano,infatti, situazioni applicative difficilmente eludibili se si crede che rilevare equivalgaad analizzare con pertinenza e ad indicare un principio d’ordine nella lettura dei temiarchitettonici, sia compositivi, che tecnico-costruttivi.Tralasciando qui i problemi relativi alla necessità di una piena collaborazione tra le fi-gure che, a titolo diverso, si occupano di analisi, conservazione o restauro, è evidenteche un rilevatore di fronte ad un’aggiunta, al crollo di una parte, ad una lesione, adun’anomalia geometrica o formale non può solo registrare il dato e passare oltre; nonpuò farlo, più che per ingordigia professionale, per motivi che possiamo dire deonto-logici, ma soprattutto perché non può esimersi dall’inquadrare i dati che rileva in unambito di coerenza e di significato.Peraltro è facile constatare che senza validi riferimenti conoscitivi, anche l’operazionedi misura, correntemente vista come la più certa ed immediata, rischia di ridursi aduna pratica priva di efficacia.Il significato dell’architettura e le stesse decisioni per la conservazione, o il recupero

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5 AA.VV. (direzione P. Portoghesi),Dizionario Enciclopedico di Architet-tura e Urbanistica, Roma IstitutoEditoriale Romano 1969, vol. V, p.171.6 M. Docci e D. Maestri, Rileva-mento architettonico – storia metodie disegno, Roma-Bari, Laterza 1984,pp. 4 e 5.

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non vengono solo perché riusciamo a costruire un prospetto, o una pianta più o menorispondenti al vero. Maturano per le domande che progressivamente si pongono, perle opportunità che emergono dall’accostamento di strumenti d’indagine diversi (grafici,documentari e tecnici) e per le reazioni che inducono; maturano per la posizione di ri-cerca che si sceglie e le modalità di attenzione che conseguentemente ne derivano.In certo senso, rilevare è una maniera per rispondere alle trasformazioni che si mani-festano nell’architettura, alle variazioni che nel tempo si sono succedute ed alle con-nessioni che la stessa architettura presenta con l’ambiente urbano che la circonda. Edè anche per l’evoluzione che l’architettura attraversa, che si definisce il suo significatoe considerarlo come coincidente con gli elaborati di progetto, o con le intenzioni del-l’autore è oggi una posizione priva di fondamento.Il significato muove dalla forma architettonica, ma varia per effetto delle modificazionidella stessa opera, della sua esistenza in un contesto reale e delle “sollecitazioni” socialiche la vedono protagonista. È funzione sia delle valutazioni che nel tempo si sono ac-creditate, che di quelle che emergono per le differenti analisi che si compiono; analisi,come più volte ripetuto, sia grafiche (selezione/enfatizzazione dei segni, schemi fun-zionali, distributivi, compositivi…) che strumentali (strumenti di misura, termografie,documenti d’archivio…).A volte, prediligendo determinati caratteri architettonici possono non determinarsigrandi variazioni di significato, ma solo accentuazioni di aspetti a scapito di altri: at-traverso il rilevamento, si stabiliscono, cioè, solo oscillazioni di quantità da interpretare.Altre volte invece si può arrivare a veri e propri riconoscimenti di valore, o a confutareposizioni conoscitive già acquisite.Se immaginiamo il significato architettonico come l’esito di un processo, ogni lettura,ogni analisi grafica, o strumentale che si compie, deve considerarsi una “ipotesi” di let-tura che ogni volta si aggiunge alle precedenti. Un’ipotesi che accade per la costruzionedi un ambiente dedicato alla ricerca del significato e che si determina per l’incontrotra rilevatore (con il patrimonio di attese che lo identifica), operazioni di rilevamento(con gli apparati di analisi che può mettere in campo) e realtà dell’opera, con i suoi ca-ratteri, le sue eccezioni e la sua consistenza materiale. Un ambiente, dunque, non rigido,o solo deduttivo, ma capace di consentire un’istruttoria, o un percorso flessibile di stu-dio e di suscitare atteggiamenti, reazioni e scelte, anche imprevisti, se si ha la forza diperseguirli.Pensare al rilevamento come alla possibilità di costruire un ambiente grafico in cui agi-scono contemporaneamente più dispositivi di analisi, serve in primo luogo per realiz-zare condizioni di necessità operativa e per riconoscere che nel rilievo non sicostruiscono elaborati grafici accostando linee, più o meno coordinate tra loro; al con-trario si producono restituzioni per conoscere e per capire. E serve per raggiungereipotesi di riuscita, valutando in “tempo reale” le disposizioni formali, che si vengonoriproducendo; serve in definitiva per promuovere occasioni d’incontro tra le differentiopportunità di analisi, autore dei rilievi ed opera da studiare.Le restituzioni grafiche si “adeguano” all’opera, ne seguono i suggerimenti ed, in paritempo, è la stessa opera ad offrire motivi di reazione e di risposta in chi promuove, at-traverso il rilevamento, il processo conoscitivo. L’opera è sempre quella, magari neltempo un po’ modificata, ma per la presenza di nuovi interpreti, di nuove strumenta-zioni, di nuove istanze conoscitive e nuove elaborazioni grafiche, cambia il modo divalutarne l’organizzazione e le scelte compositive, anche in relazione ad elementi con-termini prima poco considerati, o del tutto inesistenti.Nel suo agire sulla forma architettonica, il rilevamento può confermare, verificandone

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VIDEOIMAGINGSCREEN la validità, opzioni conoscitive già collaudate, oppure, proprio per i dati acquisiti stru-

mentalmente e le opportunità “autoriflessive” del linguaggio della rappresentazione,può intercettare nuovi significati, sorprendere e promuovere interpretazioni impreviste,anche per lo stesso progettista: può scomporre un’architettura e mettere in luce, conelaborati tematici, solo alcuni caratteri, rendendone meno evidenti altri; sondare la va-lidità di “versioni” grafiche differenti da quelle storicamente accettate, o enfatizzare/at-tenuare, con elaborati di sintesi, il ruolo di primo piano che un’architettura svolgenell’insieme urbano in cui è inserita. Può, in definitiva, sottoporre a verifica, sia quantogià acquisito che promuovere interpretazioni inedite, anche per lo stesso autore cheha ideato e prodotto l’opera.I nuovi strumenti (scanner 3D, termocamera, software per la modellazione fotogram-metrica…) poi, amplificando le tradizionali opportunità di acquisizione delle informa-zioni, possono favorire modalità analitiche ed espositive quasi impensabili fino a pochianni fa: non solo indagini e restituzioni sugli aspetti geometrici, morfologici e costruttividi un edificio (o di uno spazio urbano), ma modelli in grado di facilitare serie estese disimulazioni (ricostruzioni, visite virtuali, ricomposizioni di parti degradate, …) e con-seguenti approfondimenti di significato.Non potendosi postulare alcuna “verità” dell’opera, dobbiamo immaginare la cono-scenza architettonica come un procedimento fatto più di successive riformulazioni (unprocedimento in certo senso “orizzontale” di interpretazioni complementari), che diletture che ogni volta annullano quelle del passato. Torna in definitiva il concetto didialogo visto in precedenza, che muove ogni volta dalle successive considerazioni (danuovi interessi conoscitivi) che è possibile fare sull’oggetto reale; dialogo sostenuto dai“modi” e dalle finalità delle restituzioni, che in questo senso assumono il valore di unainterrogazione sull’opera e di una vera e propria strategia per conoscere.

I modi per restituire

Ogni restituzione tende a proporre i significati di un’opera e, come ricordato, a renderevisibile non solo quel che appare, ma anche quello che l’opera è, con i suoi assetti ed imateriali che la individuano. Anche per questo un rilievo non è mai solo un duplicato,che tende a perdere significato al di là del confronto con l’originale e non è neppureun semplice riferimento, utile per ricordare un’opera, o le sue componenti; è qualcosadi più: cerca di interpretare i significati dell’opera e quasi ci costringe a vedere ed a co-noscere la stessa opera secondo le restituzioni che presenta.Provando ad elencare alcuni dei modi ricorrenti per restituire – tralasciando gli elabo-rati per le schedature, quelli ufficiali, quelli per le ricostruzioni ipotetiche di opere chenon ci sono più, o di opere di cui restano solo poche tracce, differenti da quelli di cuidiciamo sia per scopi che per logiche di costruzione – abbiamo:- la restituzione come copia, con uno stretto rapporto di somiglianza con l’originale; nellacopia deve potersi riconoscere l’originale, che vale come termine di paragone. Il suoscopo non tanto simulare quello che è, ma quanto appare. Operando in maniera circo-stanziata sulla forma architettonica, queste restituzioni cercano di affrontare questionidi “complessità” e di “pertinenza” figurativa (esito ad un tempo della rispondenza me-trica, logica e percettiva) agendo sui metodi di rappresentazione, sull’articolazione sca-lare e sulla scelta di tecniche di mediazione grafica.La restituzione come copia riveste un particolare significato negli “elenchi” ed in tuttele operazioni di classificazione e comparazione, vale a dire nelle operazioni che com-portano una distinzione ed un confronto, o un mettere ordine tra elementi, mentre

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può non avere significato (o averne meno) nelle operazioni di razionalizzazione dellaforma, con attenzioni alla congruenza funzionale, a quella distributiva, ecc...Nel processo analitico, questo tipo di restituzioni serve per sottolineare i caratteri do-minanti di un’opera e per bilanciare, graficamente, il rapporto tra gli stessi caratteridominanti e quelli, solitamente, ritenuti accessori.In genere si riproduce (o si copia) un assetto architettonico procedendo gradualmente,per schemi noti, che divengono, via via, più espliciti e pertinenti. L’uso di schemi notinon risponde semplicemente ad un’esigenza di semplificazione, o di eliminazione delledifficoltà: è la prima occasione che abbiamo per interpretare una forma architettonicae per appropriarcene; occasione che fornisce sia le regole per iniziare la raffigurazione,che quelle per concluderla.“Chi copia – scrive Ernst H. Gombrich a proposito della riproduzione di figure casuali– dapprima cerca di classificare la macchia e la colloca in qualche schema familiare: dirà,ad esempio, che è triangolare o che sembra un pesce. Scelto tale schema per definire som-mariamente la forma, passerà a precisarlo, notando ad esempio che il triangolo è arroton-dato in alto o che il pesce termina con una coda di gallo. Nel copiare egli procede, comedimostrano questi esperimenti, alternando i due momenti dello schema e della corre-zione”7.Punto di partenza è sia la forma da riprodurre, che lo schema che possediamo e chepensiamo vada bene per rifare quella determinata forma. Tramite prove ed aggiusta-menti successivi passiamo, pertanto, da uno schema che, più o meno, allude alla formache vogliamo rendere, ad una figura più coerente, capace di interpretare la stessa formae di raffigurarla “compiutamente”.Proseguendo nel rapporto tra copia ed originale, può anche dirsi che la prima arrivi aperdere ogni significato al di là del confronto e che la sua conformità risieda esclusi-vamente nella comparazione con l’originale. “La copia ideale sarebbe quindi l’immaginespeculare, giacché (…) essa esiste solo per chi guarda nello specchio, e oltre il suo puroapparire non è nulla”8.In realtà, più che di una copia in senso tecnico, in questo caso dovrebbe parlarsi diun’immagine riflessa “non di copia o imitazione”9, perché la copia, come s’è visto, è ap-plicazione e addestramento figurativo o, più precisamente, è un processo di costruzioneprogressiva (fatto di schemi sempre più convincenti), coerentemente finalizzata alla ri-produzione di un originale.I rilievi della Reale Accademia d’Italia ricordano, per così dire, “ideologicamente” que-sto tipo di questioni: le restituzioni, oltre qualche imprecisione, non presentano carat-terizzazioni grafiche, né attenzioni plastiche, o riferimenti costruttivi, ma una sequenzaripetuta di modalità grafiche, sostanzialmente analoghe tra loro. Il tentativo sembra,cioè, quello di proporre imitazioni “assolute” dell’opera reale, una sorta di “immaginiriflesse”, col fine di celebrare le forme ed i dettagli delle case del centro antico di Roma(figg. 1-4).Ancora, sul rapporto tra copia ed originale ricordiamo il mito greco della sacerdotessaIo, così come lo trascrive Roberto Calasso: Io, a cui erano affidate le chiavi dell’Heraion,somigliava in tutto ad Hera, indossava le sue vesti e perfettamente ne ripeteva i gesti;aveva il compito di replicare in terra l’immagine della dea. Zeus, nelle sue imperscru-tabili considerazioni, scelse di fermarsi con la sacerdotessa ed inaspettatamente preferìla copia all’originale, “desiderò la differenza minima, che basta a disarticolare l’ordine, aprodurre il nuovo, il significato”10.Zeus desiderò Io per le differenze minime che sempre si producono tra copia ed ori-ginale e che intridono ogni azione di riproduzione.

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7 E. H. Gombrich, Arte e illusione,Torino Einaudi 1965, pp. 89-90.8 H. G. Gadamer, Verità e Metodo,op. cit., p. 172.9 H. G. Gadamer, Verità e Metodo,op. cit., p. 172.10 R. Calasso, Le nozze di Cadmo eArmonia, Adelphi Milano 1988, p.38.

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Al di là del mito, certamente è anche in questo che risiede il valore della somiglianza,che ogni copia include: nel ripetere intromettendo, più o meno consapevolmente, va-riazioni, grandi o piccole che siano, ma sufficienti per fare emergere perspicuità, ac-centuazioni di valore ed incrementi di senso.

– La restituzione come schema serve, di solito, per studiare le relazioni esistenti tra leparti; ha valore di costrutto sperimentale per leggere un’opera d’architettura, partico-larmente nelle fasi di analisi.“La rappresentazione non è una replica non è necessario che essa sia uguale all’oggettovero. (…) L’essenziale dell’immagine non è la sua verosimiglianza, ma la sua efficacia inun certo contesto operativo. Può essere anche verosimile, allorché si ritiene che questopossa contribuire alla sua efficacia. Ma in altri contesti lo schema più elementare puòanche bastare”11.Lo schema tende, in genere, a considerare pochi elementi di un’opera, o a considerarnel’insieme selettivamente; se necessario scompone l’opera per valutare il ruolo di ognicomponente e fare emergere le relazioni e le connessioni logiche (formali, compositive,funzionali, …), che lo stesso componente, singolarmente determina: a volte agisce conforme astratte, perché scopo dello schema non è imitare, ma conoscere come un com-ponente “funziona”, o che geometria utilizza per la sua definizione architettonica. Sitratta, cioè, di una forma per restituire dove non conta troppo la posizione del “puntodi vista”, ma l’evidenza delle modalità di funzionamento e delle relazioni che possonoisolarsi e conoscersi; altre volte, lo schema procede per eliminazione progressiva diparti, riducendo il contesto ed attenuandolo graficamente, nel tentativo di contenere

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11 E. H. Gombrich, Arte e illusione,op. cit., p. 329.

1/ Rilievi della casa d’angolo tra viadel Pellegrino e via Monserrato aRoma, a cura della Reale Accademiad’Italia, 1937; piante e sezione. Lemodalità di restituzione, oltre qual-che imprecisione, non presentanocaratterizzazioni grafiche, né atten-zioni plastiche, o riferimenti costrut-tivi, ma una sequenza ripetuta didispositivi grafici, sostanzialmenteanaloghi tra loro. Il tentativo sembraquello di proporre imitazioni del-l’opera reale, quasi “immagini ri-flesse”, col fine di celebrare le formeed i dettagli delle case del centro an-tico di Roma.2/ Rilievi della casa d’angolo tra viadel Pellegrino e via Monserrato aRoma, a cura della Reale Accademiad’Italia, 1937; particolari delle fine-stre e delle porte.

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l’articolazione della situazione reale, di diminuirla in relazione all’obiettivo da raggiun-gere.Con tali restituzioni, il contenuto architettonico si costringe in elaborati che alterano lacompletezza formale di un edificio, o di uno spazio urbano, per raggiungere l’obiettivodi una forte specializzazione analitica. Si tratta, pertanto, di restituzioni che presentanoevidenti discretizzazioni dell’oggetto di partenza, che vengono accettate sia per conven-zioni di ricerca, che per la consapevolezza che, anche con simili modalità, è utile entrarenel significato di un fenomeno complesso, come quello architettonico. A questo tipo direstituzioni è possibile ricondurre tutte quelle immagini di studio, che servono per iso-lare situazioni organizzative e per eliminare il “rumore” di fondo di tutti gli elementiche risultano ininfluenti, per la puntualizzazione del problema in esame.

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3/ Rilievi della casa d’angolo tra viadel Pellegrino e via Monserrato aRoma, a cura della Reale Accademiad’Italia, 1937; prospetti.

4/ Rilievi della casa d’angolo tra viadel Pellegrino e via Monserrato aRoma, a cura della Reale Accademiad’Italia, 1937; particolari dei fornicidelle botteghe e del loggiato.

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VIDEOIMAGINGSCREEN Anche le rappresentazioni tematiche, che eliminano ogni effetto ed ogni particolarità

del reale, a vantaggio della descrizione qualitativa/quantitativa di un solo aspetto (co-lore, quadro fessurativo, degrado…), rientrano in questo tipo di restituzioni.In senso tecnico, la costruzione di uno schema – di un insieme di schemi – porta a ri-durre l’eterogeneità delle componenti reali, per ragionare sulla loro forma e sulle lorologiche interne. Lo schema non consente di dire tutto, ma agisce per eleggere comeindicatori di valore solo alcuni caratteri (assetti volumetrici, soluzioni formali…) del-l’opera e quanto non compare, viene normalmente escluso dall’indagine.

– La restituzione come dispositivo di analisi, come ogni altro tipo di restituzione, è sem-pre finalizzata ed esaurisce la sua funzione, una volta raggiunto lo scopo per cui vieneprodotta – il che equivale a dire che un dispositivo di analisi perde gran parte del suovalore, se utilizzato per altri scopi, o semplicemente se adattato per altri scopi –. Anchein questo caso si tratta di un costrutto, propriamente sperimentale, che si utilizza peranalizzare e rendere evidenti, non singole informazioni, come avviene con lo schema,ma un ordine di conoscenze.Nei dispositivi di analisi quello che più vale è l’organizzazione dei disegni (taglio pro-spettico, complementarità dei grafici, enfatizzazione dei segni, o dei materiali architet-tonici, relazione fra tecnologia e forma, …) e la rispondenza in relazione ai significatiche vogliono evidenziarsi; per loro tramite, le immagini arrivano a definire una precisaarea di azione ed a manifestare con chiarezza il proprio ruolo (analitico, descrittivo...)nell’ambito del procedimento di rilievo.In altri termini, con i dispositivi si stabiliscono situazioni figurative che corrispondonoa momenti definiti della strategia d’indagine che, di volta in volta, gli autori intendonoattuare. Per questo può anche dirsi che i dispositivi di analisi appartengono alle sceltepersonali e si identificano con la sensibilità ed i connotati intellettuali di chi rileva;spesso sono i tratti distintivi per individuarlo e riconoscerlo.È facile ricordare, ad esempio, come a pochi anni di distanza ed operando negli stessiluoghi, ma con dispositivi di analisi differenti, Giovan Battista Piranesi e GiuseppeVasi propongano restituzioni urbane, quasi opposte e lontanissime tra loro, pure inpresenza di metodi e regole figurative analoghi.In una veduta di piazza di Spagna, Piranesi inquadra il “vuoto”urbano da una posta-zione decentrata, posta al di là di via Condotti; da questa posizione può cogliere sia ladimensione della piazza, che l’insieme delle componenti architettoniche e del contestourbano tanto che, in direzione di via del Babuino, è quasi possibile percepire la pre-senza di piazza del Popolo. Al centro della veduta ci sono la Barcaccia, di Pietro Ber-nini – alimentata dall’Aqua Virgo che, correndo lungo via Condotti, porta l’acqua allefontane del Pantheon e di piazza Navona – e la scalinata di Trinità de’ Monti, terminatanel 1726 per risolvere, oltre ad un problema di decoro urbano, il collegamento tra lachiesa dei Minimi di S. Francesco di Paola e l’area sottostante.Tralasciando le vicende progettuali che prevedevano, tra l’altro, la costruzione di unmonumento alla monarchia francese, notiamo che ogni particolare del dispositivo dianalisi concorre per restituire i caratteri dello spazio urbano; spazio urbano che inizia,graficamente, con un primo piano forte – definito dagli spigoli verticali degli edifici,dalle ombre a terra, dalle scabrosità del terreno e dalle carrozze – e prosegue poi, adat-tando il tono dei segni – chiarissimo sullo sfondo – alla posizione ed alla definizionedelle singole emergenze monumentali e degli edifici di perimetro. Nella restituzionesembra possibile valutare ogni assetto d’insieme ed ogni dettaglio architettonico e ri-spetto a quanto possiamo vedere oggi, mancano soltanto l’obelisco, collocato in cima

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a Trinità de’ Monti nel 1808 ed il piano della pavimentazione (fig. 5).“La fredda incisione del Vasi”12, più o meno degli stessi anni, si limita ad inquadrare isoli episodi monumentali (fontana, scalinata e chiesa), tralasciando ogni rapporto traedifici ed emergenze architettoniche ed ogni riferimento alla conformazione dello spa-zio urbano (fig. 6).Piranesi è puntiglioso, attento ad ogni variazione di forma e di volume; ogni dettaglio,per quanto minuto, collabora per distinguere elementi e per promuovere differenze.Spesso il contrasto di luce ed ombra torna utile per accentuare la riconoscibilità dellospazio e quella delle architetture che lo individuano.Nella veduta di Vasi i dettagli tendono a perdere spessore e la definizione geometrica,pure corretta, “indurisce” l’organizzazione dei volumi edificati, che quasi assumono ilruolo di contrassegni di posizione, più che quello di elementi protagonisti di un eventourbano.Nel primo, il dispositivo grafico della veduta, serve per accogliere tutta la profondità

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12 P. Marconi, Le Vedute di Roma, inPiranesi nei luoghi di Piranesi, RomaMultigrafica Editrice 1979, p. 114.

5/ G. B. Piranesi, veduta di piazza diSpagna, 1750 circa. Piranesi è punti-glioso, attento ad ogni variazione diforma e di volume; ogni dettaglio,per quanto minuto, collabora perdistinguere elementi e per promuo-vere differenze. Il contrasto di luceed ombra torna spesso utile per ac-centuare la riconoscibilità dello spa-zio e quella delle architetture che loindividuano.

6/ G. Vasi, veduta di piazza di Spa-gna, 1750 circa. Nella veduta i det-tagli tendono a perdere spessore e ladefinizione geometrica, pure cor-retta, spesso “indurisce” l’organiz-zazione dei volumi edificati, chequasi assumono il ruolo di contras-segni di posizione, più che quello dielementi protagonisti di un eventourbano.

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VIDEOIMAGINGSCREEN dello spazio e degli elementi che ne fanno parte; nel secondo la prospettiva, tecnica-

mente ineccepibile, interviene per rimarcare un’assialità, a scapito della reale situazionee quando il dato della simmetria risulta, sostanzialmente, ininfluente nella lettura del-l’insieme.Tornando al tema di queste note, può forse sottolinearsi che nelle prescrizioni dei me-todi proiettivi e nelle regole figurative – nel loro modo di ipotizzare la realtà – è lastoria stessa della rappresentazione a prendere corpo ed a manifestarsi con tutta la suaesperienza e consapevolezza. Ma metodi e regole non propongono figure da utilizzare,o percorsi conoscitivi da seguire e nel processo di costruzione delle immagini servonopiuttosto a determinare un’area di attendibilità e di rigore a cui ogni rilevatore può ri-ferirsi. Il ruolo dei dispositivi di analisi è un altro, si esplica nel confronto con la realtàdi metodi e regole, ma presenta motivazioni più determinate e relative a chi opera; coni dispositivi si stabiliscono, cioè, situazioni figurative che corrispondono alle strategied’indagine che, di volta in volta, i singoli autori intendono attuare.

– La restituzione come modello, si presenta con caratteri di maggiore completezza in-formativa, rispetto alle precedenti e se non arriva a risolvere tutti i problemi di rileva-mento, torna certamente utile sia per acquisire “rapidamente” i dati, che per sostituire,a fini operativi, la realtà dell’opera.Il modello di cui diciamo non ha nulla a che vedere con quello del pittore, né conquello che si realizza per verifiche preventive, o per la divulgazione: il primo vale, quasi,come un riferimento per l’ideazione; ha valore formativo e spesso lo si impiega per va-lutare la collocazione reciproca, che le diverse parti di una figura assumono, nelle dif-ferenti posizioni. Il modello per le verifiche è, invece, successivo all’ideazione; serveper valutare soluzioni progettuali ormai definite ed, eventualmente, per modificarle.Anche il modello per la divulgazione è successivo all’ideazione, ma al contrario diquello precedente non prevede modifiche; serve per fare conoscere contenuti di pro-getto, che ormai hanno trovato definizione e stabilità.In queste note, il richiamo è, evidentemente, al modello 3D dei nuovi strumenti e soft-ware per il rilievo (e, più in generale, alla realtà virtuale) che, oltre alla qualità delle mi-sure, consente di evitare imprecisioni di assetto e sgrammaticature formali, masoprattutto serve per impostare condotte di lettura e di analisi, sostanzialmente, im-possibili prima (figg. 7a-b-8a-c).A differenza del rilevamento tradizionale che, per avere effetto, richiede subito un’or-ganizzazione degli elementi reali, rendendo evidenti gerarchie e condizioni di lettura,i nuovi modelli 3D per il rilevamento - i macchinari che oggi utilizziamo e le logicheche li muovono – non valutano preventivamente e non prevedono come necessarie,né l’osservazione, né occasioni d’incontro con l’opera da rilevare. Nelle loro applica-zioni non cercano di adeguarsi alle soluzioni reali e neppure di considerarle in vistadel risultato da raggiungere. Come scrive Umberto Galimberti, le tecniche “funzio-nano”13 e nel loro funzionare, sostanzialmente, non rientra la selezione dei componentiarchitettonici, o la ricerca di risposte agli interrogativi di chi rileva.L’eidotipo, che di solito si utilizza per discretizzare la realtà in funzione delle confor-mazioni da esaminare e delle misure da prendere, nel suo costituirsi arriva a predeter-minare quasi per intero la qualità delle attenzioni che dovranno aversi e, per certi versi,anche la qualità dei risultati: selezionando/enfatizzando assetti e situazioni da consi-derare, consente di scegliere direttamente sul posto come “guardare” l’insieme e le sueparti ed anche come restituirle; per la sintesi che impone, per la riduzione della realtàche dà a vedere, permette di congetturare sin dalle prime fasi applicative e di decidere

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13 U. Galimberti, Psiche e techne –l’uomo nell’età della tecnica, MilanoFeltrinelli 2004, p. 33.

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quello che, alla fine del procedimento, merita di essere evidenziato.L’eidotipo orienta verso il risultato, lo prefigura perché al tempo stesso è proceduraper ottenerlo e sintesi della realtà da esaminare; nel suo prendere forma, “limita” l’or-dine delle interpretazioni, ma è proprio per questo limite che è in grado di favorirescelte ed indirizzi analitici da percorrere: consente, per così dire, di interrogare l’operae di apprezzarla in un ambito definito di avvertenze e di motivazioni.Il laser-scanner 3D – prendiamo questa macchina come esempio dell’attuale tendenzatecnologica – registrando “indifferentemente” e senza alcuna discriminazione preven-tiva, non privilegia linee, spigoli o piani di facciata da esaminare e rilevare; trattandotutto (elementi architettonici, alberi, cartelli stradali, …) alla stessa maniera, rimandaa momenti successivi considerazioni e selezioni di parti. Non avendo in anticipo il pro-gramma di un risultato – nel senso che quanto consente di acquisire può essere utiliz-

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7a/ Laboratorio di Rilievo dell’Archi-tettura Unical, modello numericodell’abside del monastero del Pati-rion, (Rossano-Cosenza), 2006. Ilmodello 3D, dei nuovi strumentiper il rilievo, oltre alla qualità dellemisure, consente di evitare impreci-sioni di assetto e sgrammaticatureformali, ma soprattutto consente diimpostare condotte di lettura e dianalisi, sostanzialmente, impensabiliprima.

7b/ Laboratorio di Rilievo dell’Ar-chitettura Unical, modello numericodell’intero del monastero del Pati-rion, (Rossano-Cosenza), 2006.

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VIDEOIMAGINGSCREEN8a/ J-A Beraldin, M. Picard, S.F. El-

Hakim, G. Godin, V. Valzano, A.Bandiera, and C. Latouche, Institutefor Information Technology, Natio-nal Research Council Canada; SIBACoordination, University of Lecce,Italy; Depart. of Electrical and Com-puter Engineering, Université Laval,Canada, trattamento delle immaginiper la resa del testo scritto, negli af-freschi della cripta bizantina diSanta Cristina (Carpignano Salen-tino, Lecce); immagine reale ed im-magine processata, 2000-2004.

8b/ Marc Levoy, Computer ScienceDepartement Stanford University,immagine ingrandita di un partico-lare del Giorno di Michelangelo,nella Cappella Medici di Firenze,1998-1999; con l’ingrandimentopossono vedersi le tracce dello stru-mento utilizzato dall’autore.

8c/ Marc Levoy, Computer ScienceDepartement Stanford University, ta-voletta di argilla di Ur, 1998-1999;fasi per il processamento dell’imma-gine. Un carattere che sembra emer-gere, con le nuove tecnologie e larealtà virtuale, è quello della ricercadi effetti di somiglianza, che permet-tono, tramite ingrandimenti, sistemidi processamento delle immagini,ecc…, di realizzare immagini “piùvere del vero”. zato anche per obiettivi differenti (o per un ordine di obiettivi differenti) – può operare

senza una logica di compatibilità con le sequenze compositive dell’opera e, almenoteoricamente, senza alcuna fedeltà (progettuale, sintattica, funzionale, …) al “testo”architettonico che rileva. Può dirsi che lo scanner lavori per acquisizioni onnicompren-sive, che sono all’opposto di quelle del rilevamento tradizionale ed in questo senso,nonostante la completezza d’informazioni, configuri ancora prodotti iniziali, quasi privid’intenzioni.Lo scanner 3D permette di scegliere una “maglia” per il rilievo dei punti, ma utilizzaspecifiche di sistema che nulla hanno a che vedere con il riferimento di partenza. Lasua capacità operativa può ignorare ogni assetto ed ogni possibilità di semplificazionedell’opera, perché letteralmente la sovrasta, sovrapponendo alle leggi compositive deglielementi architettonici, proprie leggi di raccolta dei dati, del tutto estranee a quelledella realtà da rilevare.È evidente che non si vuole dire di un difetto, o dell’inadeguatezza della macchina peril rilevamento architettonico, ma solo mettere in risalto alcune differenze di concetto edi operatività dei nuovi macchinari, rispetto a quelli che assecondano percorsi tradizio-nali di analisi e, soprattutto, si vuole dire che per queste macchine non ha senso consi-derarne l’aspetto eminentemente strumentale. La tecnica “da «strumento» nelle manidell’uomo (…) diventa «l’ambiente» dell’uomo, ciò che lo circonda e lo costituisce secondole regole di quella razionalità che, misurandosi sui criteri della funzionalità e dell’efficienza,non esita a subordinare alle esigenze dell’apparato tecnico le stesse esigenze dell’uomo”14.

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14 U. Galimberti, Psiche e techne –l’uomo nell’età della tecnica, op. cit.,p. 36.

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Un carattere che sembra emergere, per l’uso dei modelli 3D e della realtà virtuale, inparticolare, è quello della sperimentazione degli effetti di somiglianza, tramite l’esalta-zione della componente scalare che, quasi, permette di realizzare immagini “più veredel vero”: l’obiettivo è quello di rendere evidenti particolarità anche impercettibili, ov-vero particolarità che la stessa realtà stenta a manifestare, per produrre nuove modalitàdi attenzione, nuove conoscenze e nuove assegnazioni di valore. Aumentando a “di-smisura” la scala di rappresentazione non si migliora semplicemente la normale visionedelle cose, ma propriamente si cambia “registro”, producendo nuove forme di astra-zione e di “irrealtà”, con possibilità di descrizione e di conoscenza impossibili altrimenti(per le nostre applicazioni, sembra questa una delle tendenze più interessanti).Col disegno tradizionale si ottiene un effetto, per certi versi paragonabile, quando sirappresenta un qualunque dettaglio, o un infisso in scala 1:5 (o in scale minori), mo-strando, ad esempio, i risalti di tenuta e le venature del legno; quando si rappresentano,cioè, aspetti del tutto inavvertiti nella normale ricognizione delle cose.Nonostante l’accuratezza, l’analogia e la precisione delle notazioni, che simili modelliconsentono di ottenere, si tratta in ogni caso di modalità “inverosimili” di vedere e dirappresentazioni al “limite”, che oggi si praticano più che per richiamare l’originale,per operare “in differita” rispetto all’originale stesso, alla ricerca di nuove evidenze enuovi motivi da considerare ed eventualmente segnalare.

Per concludere queste note, ricordiamo che le restituzioni per il rilievo in nessun casohanno valore estetico e che il disegno d’architettura è valido solo se riesce ad avere unruolo ed a trasmettere significati inerenti l’azione di rilievo (o di progetto); “...certo puòesistere - come nota Renato De Fusco – un disegno d’architettura con valore estetico,ma allora avremo un’altra cosa; non un disegno d’architettura, ma un disegno a soggettoarchitettonico”15. Le restituzioni, al pari di mediatori di significato, valgono per le pos-sibilità di analisi che consentono di mettere in campo e per le conoscenze che permet-tono di acquisire e consolidare. L’opera è lì, nella sua consistenza materiale e lerestituzioni non fanno altro che sommuoverla, con elaborazioni finalizzate; come piùvolte detto, non c’è solo da riprodurre un originale, occorre scomporlo ed interrogarloper farne “scaturire” i contenuti, interpretarli e conoscerli.In generale, le restituzioni hanno valore perché esprimono il rappresentato; non de-scrivono semplicemente quanto c’è, ma fanno sì che la realtà sia pienamente quelloche è, riproponendone le motivazioni e tutto il suo valore.Come ricordato, ogni rilevatore sente diversamente dal periodo in cui l’opera si è pro-dotta; nel tempo, poi, la stessa opera ed il suo contesto si modificano ed è per questoche si rendono necessarie letture differenti, nuovi rilievi e nuove negoziazioni di signi-ficato.I modi per restituire, appena elencati, oscillano tra la copia, strettamente legata all’ori-ginale ed il modello 3D che interviene per sostituirlo completamente: modi differentiper restituire che si utilizzano perché rendono possibili operazioni di analisi sull’operain esame, sia per la facilità di accesso, le indicazioni di lettura e le trasformazioni ope-rative che permettono, che per una funzione di supplenza e spesso hanno una tale ef-ficacia, che inducono a guardare l’originale come loro stessi prescrivono.Ancora ricordiamo che, detti modi per restituire servono per definire l’intero ordinedell’analisi architettonica; è per loro tramite, che può trovarsi una posizione di ricercae stabilirsi un dialogo con l’opera da esaminare ed è per loro tramite, che può traguar-darsi un obiettivo da raggiungere ed instaurarsi un “circolo” interpretativo, capace dicontemperare, sia le ragioni dell’opera, che quelle del rilevatore.

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15 Cfr. R. De Fusco, Op. cit., n. 6,1966.