1 REPUBBLICA ITALIANA N. 322 /2009 In Nome del Popolo Italiano La Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto composta dai Sigg.ri Magistrati: dott. Sergio Zambardi - Presidente - dott.ssa Giuseppa Maneggio - Consigliere dott.ssa Elena Brandolini - Primo Referendario relatore - ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 25810 del registro di segreteria, promosso ad istanza della Procura regionale della Corte dei conti per il Veneto con atto di citazione depositato in data 7 ottobre 2008 nei confronti di: S. M., nata a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis, Omissis, rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Niero, nel cui studio in Venezia- Mestre, via Vendramin n. 11/A, è elettivamente domiciliata; Visto l'atto di citazione; Visti gli atti ed i documenti tutti del giudizio; Uditi, nella pubblica udienza del 18 febbraio 2009, il magistrato relatore dott.ssa Elena Brandolini, il pubblico ministero nella persona del
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REPUBBLICA ITALIANA N. 322 /2009 In Nome del Popolo ... · stessa, a causa della violazione dell’art. 328 c.p., accertata con sentenza del Tribunale di Venezia, Sezione del Giudice
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REPUBBLICA ITALIANA N. 322 /2009
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto
composta dai Sigg.ri Magistrati:
dott. Sergio Zambardi - Presidente -
dott.ssa Giuseppa Maneggio - Consigliere
dott.ssa Elena Brandolini - Primo Referendario relatore
-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 25810 del registro di
segreteria, promosso ad istanza della Procura regionale della Corte dei
conti per il Veneto con atto di citazione depositato in data 7 ottobre
2008
nei confronti di:
S. M., nata a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis, Omissis,
rappresentata e difesa dall’avv. Fabio Niero, nel cui studio in Venezia-
Mestre, via Vendramin n. 11/A, è elettivamente domiciliata;
Visto l'atto di citazione;
Visti gli atti ed i documenti tutti del giudizio;
Uditi, nella pubblica udienza del 18 febbraio 2009, il magistrato relatore
dott.ssa Elena Brandolini, il pubblico ministero nella persona del
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Sostituto Procuratore dott.ssa Mariapaola Daino, l’avv. Fabio Niero per
la convenuta;
con l’assistenza del segretario d’udienza dott.ssa Rosetta Zampieri;
Considerato in
FATTO
Con atto di citazione depositato il 7 ottobre 2008, ritualmente notificato,
il Vice Procuratore Generale della Corte dei Conti presso questa Sezione
Giurisdizionale conveniva in giudizio S. M., medico, per sentirla
condannare al risarcimento del danno erariale di € 10.000,00, sotto il
profilo del danno all’immagine dell’Amministrazione Pubblica in quanto la
stessa, a causa della violazione dell’art. 328 c.p., accertata con sentenza
del Tribunale di Venezia, Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari,
del 09.07.2004 divenuta irrevocabile il 16.10.2004, era stata
condannata alla pena di mesi tre e giorni quindici di reclusione, con
sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria della multa, nella
misura di euro 3.590,00.
Esponeva l’Organo requirente di aver appreso, a seguito di trasmissione
, da parte del Tribunale emittente, della summenzionata sentenza,
avvenuta con nota n. 2653/03 del 14.06.2007, che si era proceduto
penalmente nei confronti dell’odierna convenuta, all'epoca dei fatti
medico in servizio di continuità assistenziale presso
la guardia medica dell’Ospedale Civile “Giustinian” di Venezia, in quanto,
nella sua qualità di incaricata di un pubblico servizio, in attuazione di un
unitario disegno criminoso ed in palese violazione dei propri doveri
funzionali ed in particolare di quanto previsto dall’art. 52 DPR 28/7/00 n.
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270, indebitamente e per ben due volte, aveva rifiutato un atto del suo
ufficio che per ragioni di sanità doveva essere compiuto senza ritardo. L’
imputazione trovava fondamento nei seguenti fatti.
La dott.ssa S. M. in data 16.02.2002, mentre era in turno di servizio
presso la guardia medica, riceveva, intorno alle ore 1,55, una richiesta
di intervento dei genitori del piccolo T. F., di anni otto, che rifiutava
nonostante gli stessi evidenziassero l’aggravarsi delle condizioni del
bimbo e la presenza di febbre a 39° unita a macchie rosse scure sulla
pelle del bambino, definendo la malattia come “esantematica” con ciò
limitandosi ad una mera valutazione telefonica approssimativa senza
acquisizione di dati certi ed invitando i medesimi a chiamare la guardia
medica pediatrica verso le ore 8,00 del mattino.
Rifiutava altresì la ulteriore richiesta di intervento, ricevuta intorno alle
ore 5,30 della stessa mattina, in occasione della quale il genitori del
piccolo T.F. riferivano l’estensione delle macchie, il peggioramento della
respirazione, scariche diarroiche e prurito, limitandosi a consigliare la
somministrazione di un antistaminico.
Si legge nella sentenza che l’odierna convenuta: “nonostante le richieste
di intervento e la precisazione da parte dei genitori circa il fatto che il
piccolo paziente non era più in grado di reggersi in piedi motteggiava gli
interlocutori ribattendo che alle cinque del mattino ciò è normale per un
bimbo che dovrebbe essere a letto e non in piedi ed inducendo così i
richiedenti a determinarsi ad uscire di casa trasportando essi stessi il
figlio, ormai morente, presso la struttura di pronto soccorso. Condotte
poste in essere in presenza di sintomi e segni di una grave affezione, cui
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conseguiva, intorno alle ore 7,00 il decesso causa meningite del
paziente, le cui condizioni avrebbero imposto un immediato intervento
domiciliare ed il successivo ricovero”.
Invero, risulta in atti che, successivamente (alle 6 e 15) alla seconda
chiamata di intervento(quella delle 5 e 30) i signori T., si erano attivati
presso il 118 che interveniva prontamente con classificazione di “codice
rosso”, senza esito nonostante le manovre di rianimazione, poiché il
bimbo non respirava più ed era in asistolia. L’accertamento autoptico
confermava che il decesso era dovuto a neisseria meningitidis a decorso
estremamente rapido evolutasi in sepsi meningococcica il cui portato più
evidente è rappresentato da emorragia cutanea, sintomo di emorragia
diffusa.
Pertanto, ritenendo evidente la gravissima deviazione dal modello di
corretto comportamento professionale e la rilevante violazione dei doveri
primari perpetrata da S. M., con conseguente danno erariale sotto il
profilo del danno all’immagine, con atto del 19.05.2008, la locale
Procura formulava nei confronti della stessa l’invito a dedurre, di cui
all’art. 5 del d.l. 15.11.1993, n. 453 convertito in L. 14.01.1994 n. 19.
A seguito della produzione delle controdeduzioni e dell’audizione
personale dell’intimata, avvenuta il 29.07.2008, la Procura riteneva di
confermare l’impianto accusatorio e notificava atto di citazione
all’odierna convenuta, ritenendo la sussistenza, nel caso di specie, di
tutti i presupposti per l’azione di responsabilità erariale. Sostiene, in
proposito, l’Organo requirente che i fatti, per i quali alla convenuta è
stata applicata la pena, hanno determinato presso l’opinione pubblica
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una notevole perdita dell’immagine del Servizio Sanitario Pubblico, sia
per la gravità intrinseca dei fatti sia per il loro rilievo nell’opinione
pubblica di talchè il predetto medico, con il suo comportamento, di
natura dolosa, ha prodotto un danno erariale, sotto il profilo del danno
all’immagine, inteso quale danno conseguente alla perdita del prestigio e
al grave detrimento dell’immagine e della personalità della Sanità
Pubblica.
Osservava, a sostegno dell’assunto attoreo, richiamando copiosa
giurisprudenza di questa Corte, che il danno all’immagine, in relazione al
quale è stata definitivamente affermata la giurisdizione della Corte dei
conti, è suscettibile di valutazione anche se non comporta diminuzione
patrimoniale diretta in quanto esso attiene alla sfera degli interessi
pubblici giuridicamente protetti e dei beni meritevoli di tutela la cui
lesione sia suscettibile di arrecare un pregiudizio economicamente
valutabile, a prescindere, quindi, dalla materialità o meno, dalla
patrimonialità o meno del bene o dell’interesse protetto. Esso, inoltre, è
riconducibile non tanto alle ipotesi di cui agli art. 2059 c.c. e 185 c.p.,
quanto a quella del danno ingiusto, inferto ad uno dei diritti
fondamentali della persona giuridica pubblica, il quale può discendere
anche da un fatto non penalmente rilevante.
In merito alla quantificazione del danno, la Procura osserva che la
natura del danno all’immagine quale danno-evento in cui le conseguenze
esistenziali negative finiscono per coincidere con la lesione in sè del
bene giudico, consente di prescindere sia dalla reale effettuazione di
spese per il ripristino del bene immateriale leso o dalla loro
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programmazione, sia dall’analitica dimostrazione dei costi sopportati o
sopportabili per la reintegrazione del bene leso o, comunque, dal criterio
della suscettibilità del danno di essere oggetto di valutazione economica,
bastando all’uopo un principio di prova, ben potendo il prudente
apprezzamento del giudice fondarsi su circostanze ed elementi disparati.
Nel caso di specie, il danno è ontologicamente certo e la sua
quantificazione va affidata alla valutazione equitativa del giudice ai sensi
dell’art. 1226 c.c. secondo parametri di natura soggettiva, oggettiva e
sociale. Tutto ciò considerato, ritiene la Procura che il danno
all’immagine debba essere quantificato in euro 10.000,00.
Conclusivamente, quindi, la Procura, chiede la condanna della
convenuta S. M. al pagamento nei confronti dell’erario della somma
complessiva di euro 10.000.
In data 27 gennaio 2009 si costituiva in giudizio S. M., a mezzo dell’avv.
Fabio Niero, depositando memoria di costituzione e risposta.
Sostiene, in particolare, la difesa della convenuta, che nel caso di specie
lo “strepitus loci” è stato provocato non dal presunto comportamento
omissivo della convenuta bensì dall’arbitrario collegamento di tale
comportamento con l’infausto evento della morte del bimbo T.F. di
talchè il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione di fatto è
stato determinato della enfatizzazione giornalistica di un evento
verosimile, ma radicalmente smentito dalle risultanze formali. A sua
volta, la sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p., diversamente da
quanto accade con il giudicato penale a seguito di dibattimento ex art.
651 c.p.p., non estende la sua efficacia e non comporta un
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accertamento invincibile di responsabilità ma può essere
motivatamente contestata in altro giudizio. Si precisa che il motivo per
cui era stato richiesto il patteggiamento risiedeva proprio nella volontà
di recidere il pernicioso collegamento suggerito dagli organi di stampa
tra il presunto comportamento omissivo ed il decesso del paziente. In
altri termini, la possibilità di ottenere una sentenza idonea a recidere in
maniera netta tale collegamento in tempi rapidi è stata ritenuta, dalla
S., ampiamente preferibile all’eventuale protrarsi dell’idea di sospetto
per tutto il tempo necessario a fare completa chiarezza sull’episodio e
sull’assenza di responsabilità della stessa.
Ciò precisato, parte resistente eccepisce la mancanza dei presupposti
per l’attivazione dell’azione di responsabilità amministrativo contabile
ed, in particolare, degli elementi caratterizzanti la condotta omissiva e
l’elemento psicologico del dolo o della colpa grave.
Si osserva, a tal proposito, in primis, la mancanza del collegamento
della presunta omissione con l’intendimento di soprassedere ad una
legittima richiesta e, quindi, la mancanza non solo del dolo ma anche
della colpa grave, così come enucleata dalla giurisprudenza di questa
Corte, sottolineando che, nel caso all’esame, la sintomatologia è stata
collegata ad una delle tante forme esantematiche presenti in quel
periodo (scarlattina e varicella) e la terapia suggerita è stata
conseguente. Si esclude, quindi, la violazione dei doveri d’ufficio alla
luce di un parere, versato in atti, dell’Avvocatura Regionale relativo ai
compiti del medico di continuità assistenziale alla luce dell’Accordo
Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina
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generale, sottoscritto il 09.03.2000 e reso esecutivo con DPR.
28.07.2000, n. 270.
Conclusivamente, veniva chiesta l’assoluzione da ogni responsabilità
della convenuta.
All'odierna udienza di discussione il Pubblico Ministero, nel confermare le
pretese attoree, illustrava analiticamente gli elementi di fatto e di diritto
posti alla base dell’atto di citazione, confermando gli elementi accusatori
a carico della convenuta, l’esistenza del danno erariale, contestando
dettagliatamente le avverse deduzioni, evidenziando come, nel caso di
specie era stata negata la possibilità della tutela al diritto primario della
salute, costituzionalmente garantito e come la convenuta avesse anche
omesso di registrare le richieste di intervento e non avesse richiesto il
parere dei colleghi presenti nella struttura medica. Richiamava, altresì,
l’attenzione sia sulla gravità intrinseca dei fatti che sul rilievo da essi
avuto presso l’opinione pubblica.
L’avv. Fabio Niero, per la convenuta, nel riportarsi alla memoria in atti,
evidenziava che una corretta informazione sulle ragioni della mancata
visita domiciliare e sull’assenza di relazione tra questa e l’evento
luttuoso, avrebbe consentito all’opinione pubblica una lettura ben
diversa della drammatica vicenda. Poneva, altresì, in luce, quale riprova
della serietà e professionalità della sua assistita, la circostanza che la
stessa era rientrata da altra visita domiciliare presso una persona
anziana allorquando aveva ricevuto la chiamata dei signori T.
Confermava, quindi, le motivazioni alla base della scelta del
patteggiamento, già sottolineate negli scritti difensivi, con riferimento
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particolare alla possibilità di ottenere in tempi rapidi una sentenza
idonea a recidere il collegamento suggerito dagli organi di stampa tra il
presunto comportamento omissivo ed il decesso del bambino.
Evidenziava ancora, quale ulteriore causa di esclusione della illiceità
della condotta della sua assistita, la circostanza che i signori T. non si
erano costituiti parte civile nel giudizio ordinario e non avevano chiesto il
risarcimento del danno. A conclusione del proprio intervento la difesa
della convenuta, evidenziata anche la gravosità della quantificazione del
danno fatto dalla Procura in considerazione anche del fatto che l’odierna
convenuta percepisce uno stipendio mensile di circa 1.300,00 euro,
chiedeva in via principale l’assoluzione della sua assistita da ogni
addebito e, in via subordinata, la rideterminazione, in senso riduttivo,
del danno.
Esaurita la discussione la causa veniva trattenuta in decisione.
Ritenuto in
DIRITTO
Il Collegio è chiamato, nel presente giudizio, a valutare i profili di
responsabilità amministrativa afferenti la condotta della dr. S. M.,
medico, -odierna convenuta- causativa di danno erariale, sotto il profilo
del danno all’immagine, quale danno conseguente alla perdita del
prestigio e al grave detrimento dell’immagine e della personalità della
Sanità Pubblica, quantificato dalla locale Procura in euro 10.000,00.
La domanda attorea è fondata e merita accoglimento sia pure con le
precisazioni di cui appresso.
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In linea generale, per quanto attiene al danno d'immagine si osserva
che anche le persone giuridiche, al pari delle persone fisiche, sono
titolari di diritti non patrimoniali, tra i quali il diritto alla propria
immagine vale a dire alla tutela della propria identità personale, del
proprio buon nome, della propria reputazione e credibilità in sé
considerate. Nel contesto delle persone giuridiche, la tutela di quelle
pubbliche e, quindi, delle pubbliche amministrazioni discende, con
particolare evidenza, dal dettato costituzionale, in particolare dalla
generale previsione dell’art. 2, relativa alla tutela delle formazioni
sociali, e dell’art. 97, primo e secondo comma, a cui vanno ad
aggiungersi, gli articoli 7 e 10 c.c. relativi alla tutela del nome e
dell’immagine della persona, ritenuti applicabili anche alle persone
giuridiche (SS.RR della Corte dei conti, sent. n. 10/QM/2003) . In tali
ipotesi il danno non potrà che consistere nella mancata realizzazione
della specifica finalità perseguita dalla norma di tutela e quindi
coincidere con la violazione della stessa.
Proprio in relazione al diritto fondamentale della persona giuridica
pubblica ad un'immagine corretta, intesa come esplicazione di una
condotta dei propri agenti conforme al canone costituzionale dell'art. 97
della Costituzione (rispetto della legalità, della imparzialità e del buon
andamento) le Sezioni Riunite della Corte dei conti, nella decisione n.
10/QM/2003, hanno configurato il danno all'immagine della pubblica
amministrazione come danno esistenziale.
Pertanto secondo il consolidato orientamento della Corte dei conti,
ogniqualvolta tale immagine sia offuscata, lesa da gravi comportamenti,
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abbiano o meno essi rilevanza penale, si verifica la violazione del diritto
personalissimo dell'Ente pubblico “al conseguimento, al mantenimento
ed al riconoscimento della propria identità come persona giuridica
pubblica”.
Non ritiene il Collegio Giudicante di doversi discostare dall’orientamento
espresso dalle Sezioni Riunite di questa Corte, tuttavia osserva che la
tutela risarcitoria del danno all’immagine deve essere riconsiderata alla
luce del recente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, a
Sezioni Unite, con le sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11
novembre 2008, in virtù del quale “il danno non patrimoniale è categoria
generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente
etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica
sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perché attraverso
questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale
nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica
figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono
fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della
risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal
legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale
dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di
specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo
Costituzione”.
Detto ultimo orientamento, espresso con riferimento specifico al danno
alla persona, non modifica sostanzialmente i termini di qualificazione del