UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE Facoltà di Scienze Politiche CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN SCIENZE INTERNAZIONALI E DIPLOMATICHE TESI DI LAUREA IN SISTEMI SOCIALI E POLITICI AFRICANI REPUBBLICA CENTRAFRICANA E INSTABILITA' REGIONALE: DINAMICHE DEI CONFLITTI SOTTO LA PRESIDENZA BOZIZÉ E PROCESSO DI PACE IN ATTO Laureanda Relatrice Margherita Vismara prof.ssa Irene Panozzo Correlatrice prof.ssa Antonietta Piacquadio ANNO ACCADEMICO 2009-10
Dinamiche dei conflitti sotto la presidenza Bozizé e processo di pace. Central African Republic and Regional Instability: Conflict Dynamics under the Bozizé Presidency and the Peace Process
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTEFacoltà di Scienze Politiche
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA
IN
SCIENZE INTERNAZIONALI E DIPLOMATICHE
TESI DI LAUREA IN SISTEMI SOCIALI E POLITICI AFRICANI
REPUBBLICA CENTRAFRICANA E INSTABILITA' REGIONALE:DINAMICHE DEI CONFLITTI SOTTO LA PRESIDENZA BOZIZÉ
Capitolo I. Background storico ................................................................................. 7
§ 1. Dalla preistoria all'indipendenza ................................................................ 7§ 2. Dall'indipendenza al colpo di stato di Bozizé ............................................ 21
Capitolo II. La presidenza di Bozizé e gli scontri del 2005-2008 …....................... 33
§ 1. Il governo Bozizé …................................................................................... 33§ 2. Le ribellioni nel nord-ovest ….................................................................... 42§ 3. Le ribellioni nel nord-est ............................................................................ 48§ 4. L'emergenza umanitaria e le gravi violazioni dei diritti dell'uomo …........ 52
Capitolo III. Il processo di pace …............................................................................ 62
§ 1. Verso un Dialogo politico inclusivo …....................................................... 62§ 2. La disillusione …........................................................................................ 75§ 3. Le elezioni ….............................................................................................. 93
Capitolo IV. Il ruolo della comunità internazionale …............................................ 102
§ 1. La Francia e la “Françafrique” ….............................................................. 102§ 2. Le operazioni di pace multilaterali …........................................................ 110§ 3. La riscoperta di una “crisi dimenticata” …................................................ 120
§ 1. RCA, Sudan e Ciad. Il “triangolo tormentato” …...................................... 127 § 2. La minaccia proveniente da sud: da Bemba all'LRA ................................. 136
La Repubblica Centrafricana è un paese situato nel cuore dell'Africa, privo di sbocchi sul
mare e stretto tra le fasce climatiche del Sahel e della Foresta Equatoriale. Pur essendo poco
nota, ha degli illustri quanto turbolenti vicini, quali il Ciad, il Sudan e la Repubblica
Democratica del Congo. L'accesso all'Oceano Atlantico è consentito attraversando il
confinante Camerun o seguendo il corso dell'Oubangui, principale fiume del paese da cui
prende nome la capitale, Bangui, che sorge sulle sue sponde, e passando la frontiera a sud in
comune con la Repubblica del Congo.
Nonostante la vastità del territorio, poco più grande della Francia, la popolazione è alquanto
ridotta e, secondo le stime, si aggira intorno ai 4,4 milioni di persone. La differenza di
ambienti, l'ampiezza del paese e una storia ricca di migrazioni hanno portato ad un miscuglio
di gruppi etnici e di religioni, per cui attualmente vi si trovano pigmei, popolazioni dalle
origini più svariate, cattolici, protestanti, musulmani e animisti. Elemento comune è però la
lingua, il sangho, antico idioma usato nei commerci, che è conosciuto da tutti gli abitanti del
paese ancor più della lingua ufficiale, il francese.
Il paese è ricco di risorse naturali quali l'uranio, legnami pregiati, diamanti e un po' di
petrolio, ma uno sfruttamento coloniale brutale e il malgoverno che ha caratterizzato gli anni
successivi all'indipendenza hanno ridotto l'economia e la popolazione alla miseria. La
Repubblica Centrafricana è infatti uno dei paesi più poveri al mondo, tant'è che nel 2009
occupava il 179° posto su 182 della scala dello sviluppo umano1 elaborata dalle Nazioni
Unite. Per dare un'idea più concreta, basti sapere che la speranza di vita di un centrafricano si
aggira intorno ai 40 anni, la metà circa di un europeo, e che due terzi della popolazione vive
al di sotto della soglia di povertà2. L'accesso all'istruzione e alla sanità è poi garantito solo per
la metà degli abitanti.
Ad aggravare questa situazione ha contribuito dal 2005 lo scoppio di una guerra civile tra lo
Stato, rappresentato dalla figura di François Bozizé, generale putschista che nel 2003 ha
conquistato il potere con la forza, e diversi gruppi di ribelli la cui base d'appoggio è situata nel
1 L'indice di sviluppo umano (Human Development Index, HDI) tiene conto sia di variabili economiche sia di variabili sociali, quali il tasso di alfabetizzazione e la speranza di vita alla nascita.
2 Stabilita dall'ONU nella cifra indicativa di un dollaro al giorno.
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nord del paese.
Obiettivo di quest'opera è appunto descrivere la parabola storica e sociale che ha portato a
questo recente conflitto e il tentativo di riconciliazione iniziato alla fine del 2008. Data la
prossimità degli eventi, l'intenzione di questo mio lavoro è innanzitutto fare un'analisi politica
e d'area sul conflitto, delle problematiche che sconvolgono il paese e delle dinamiche
regionali ed internazionali che hanno influenzato e continuano ad influenzare lo scenario.
Scorrendo la bibliografia ci si può render conto della scarsità di testi e lavori scientifici
sull'argomento, in parte dovuta alla marginalità del paese e in parte al carattere estremamente
recente della crisi. La maggior parte dei documenti consultati è quindi costituita da rapporti di
agenzie ed organizzazioni internazionali o da articoli di giornale. Quest'ultima categoria di
fonti ha richiesto una attenta verifica di attendibilità tramite controlli incrociati e l'utilizzo del
principio della prudenza. Informazioni dirette provengono invece da tre interviste con due
operatrici umanitarie e un consulente del progetto ECOFAC dell'Unione Europea che in
periodi differenti hanno lavorato in Repubblica Centrafricana.
Spesso mi sono scontrata con dati e notizie contrastanti tra un documento e l'altro, anche in
seno alla medesima fonte, per cui mi scuso anticipatamente per eventuali errori. Si tenga
conto, comunque, che per molti di essi si tratta di stime che, a causa della difficoltà e del
rischio di reperire informazioni, non possono essere verificate.
Una precisazione va fatta per quanto riguarda la terminologia usata. I nomi geografici sono
stati riportati nella versione francese per due motivi: innanzitutto per renderli intellegibili con
le cartine, che ritengo essere uno strumento fondamentale per la comprensione di avvenimenti
accaduti in luoghi estranei ai più, e in secondo luogo perché in molti casi non esiste una
traslitterazione italiana. Anche i nomi di persone e dei movimenti ribelli sono riportati in
francese essendo questo l'idioma ufficiale della Repubblica Centrafricana. Alcuni nomi di
persone divergono da fonte a fonte; molti documenti infatti si basano su interviste, per cui la
traslitterazione è differente a seconda della lingua dell'intervistatore. La versione che verrà
data pertanto è, dove possibile, quella francese.
L'opera si compone di una prima parte storica, dove viene sinteticamente presentata
l'evoluzione del paese dalla preistoria ai giorni nostri. Un secondo capitolo è dedicato alla
descrizione del regime dell'attuale presidente François Bozizé e allo scoppio della ribellione,
con le sue implicazioni dal punto di vista umanitario e della violazione dei diritti umani.
Seguono gli avvenimenti più recenti: i trattati di pace coi principali gruppi armati e il Dialogo
politico inclusivo, cioè quella tavola rotonda a cui i diversi attori della scena centrafricana
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hanno cercato di contribuire offrendo il loro punto di vista sulle riforme necessarie al paese,
come vedremo in gran parte tradite (almeno fino ad ora). Infine, gli ultimi due capitoli
riportano un'analisi più approfondita di due aspetti che ritenevo fosse importante mettere in
evidenza, cioè le dinamiche regionali del conflitto e il ruolo che vi ha avuto la comunità
internazionale.
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CAPITOLO I. BACKGROUND STORICO
“Le crime de la colonisation a été la pratique de l'homme pour produire
et non produire pour l'homme”(P. Kalck)
§ 1. Dalla preistoria all'indipendenza
Ultima macchia bianca sulla mappa del continente, a lungo si è pensato che nell'antichità i
territori corrispondenti all'attuale Repubblica Centrafricana (RCA) fossero disabitati. Alcune
ricerche condotte in seguito all'indipendenza, tuttavia, hanno attestato la presenza di tracce
umane fin dal paleolitico. Sappiamo ancora poco delle genti che vi vivevano prima delle
migrazioni ottocentesche, ma dallo studio dei regni confinanti si possono trarre alcune
informazioni. Questa zona, infatti, essendo stata a lungo priva di grandi entità statali, costituì
il crocevia di migrazioni di popolazioni bantù, nilotiche, meroitiche e kushite che si mossero
lungo le grandi vie fluviali, mescolandosi alle tribù già presenti.
Tra i primi abitanti della RCA troviamo i pigmei3, della cui presenza parlano fonti egizie,
denominando la zona a sud del Darfur e dell'antico regno di Kush “paese degli Yam” o “dei
nani e degli spiriti”4. Le prime notizie scritte risalgono invece al XVI secolo, ad opera di un
diplomatico marocchino. Questi cita l'esistenza di tre paesi: il regno di Gaoga (XV-XVI
secolo), che dice esser stato fondato da popolazioni cristiane nubiane sfuggite all'avanzata
islamica e di cui non risultano altre testimonianze; i superstiti del regno di Aloa, migrati per il
medesimo motivo, e il paese di Anzica5. Nessuno di questi regni fu specificatamente
centrafricano, non essendo chiara la loro dislocazione geografica, probabilmente a cavallo tra
RCA, Ciad, Sudan e Congo. Questa incertezza è dovuta soprattutto alla collocazione da parte
delle fonti antiche di questi regni nel Bilad as Sudan (terra dei neri), denominazione con cui
indicavano tutta la fascia a sud del Sahara abitata da genti di pelle scura, un territorio ben più
esteso dell'attuale stato del Sudan. Comunicazioni e commerci con il vicino regno del Bornu e
col nord Africa lungo le piste transahariane e nilotiche sono tuttavia attestati da molti storici
arabi.
La società tra XVI e XIX secolo si distingueva in gente della savana e gente del fiume, 3 Oggi i pigmei vivono ancora nelle foreste centrafricane, ma sono oggetto di gravi discriminazioni da parte
degli altri abitanti della regione, che li considerano a metà strada tra animali ed esseri umani.4 Pierre Kalck, Réalités oubanguiennes, Berger Levrault, Paris 1959, pp. 23-31.5 Pierre Kalck, Histoire de la République centrafricaine, Berger Levrault, Paris 1974, pp. 44-58.
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differenza che continuerà ad avere un peso anche nella vita politica postcoloniale. La gente
della savana (Ndri) era costituita da agricoltori di origine prevalentemente sudanese stanziati
nella parte centro-settentrionale del paese, zone caratterizzate, appunto, dalla savana. I
commercianti e pescatori che abitavano le rive e le valli circostanti il fiume Oubangui e i suoi
affluenti, invece, erano generalmente chiamati gente del fiume (Oubanguiens). I due sistemi
sociali erano complementari fino all'inizio della tratta degli schiavi, grazie allo scambio di
beni agricoli contro beni importati lungo le vie fluviali6.
Nel XVII secolo, sulle ceneri del regno di Gaoga si svilupparono tre stati musulmani ad est
del Bornu: il Darfur, l'Udai e il Baghirmi7. In un momento in cui il commercio transahariano
era entrato in crisi a causa della concorrenza europea, questi tre regni ed il Bornu fondarono la
loro economia e sicurezza su uno scambio di schiavi ed armi, vendute loro dagli ottomani e
utilizzate nei frequenti conflitti tra di essi. Gli schiavi venivano prelevati dalle regioni più
interne ed inviati sui mercati dell'alto Nilo ed egiziani lungo varie piste, tra cui la più celebre
è quella dei quaranta giorni8. I
carovanieri si servirono
dell'islamizzazione come pretesto per
ottenere dai rispettivi sovrani
l'autorizzazione a fare battute di caccia
agli schiavi dette ghazua, ma l'islam
fece fatica ad attecchire, poiché i
razziatori erano più interessati a
prelevare coloro che rifiutavano la
conversione che a diffondere gli
insegnamenti di Maometto.
Nel corso del XVII secolo
l'intensificarsi della tratta atlantica portò
questi mercenari musulmani a dirigere
parte dei loro commerci di uomini a
sud, verso i porti angolani e di Cabinda,
da cui partivano le navi dirette alle
6 Ivi, pp. 59-70.7 In francese Darfour, Ouaddaï e Baguirmi. Ivi, pp. 70-81.8 La pista dei quaranta giorni, così chiamata per il tempo che una carovana ci metteva a percorrerla, collegava
l'attuale Darfur all'Egitto meridionale.
8
Le principali direttrici della tratta degli schiavi (P. Kalck, Réalités oubanguiennes, op. cit., p.25)
Americhe. Alcune tribù – soprattutto quelle del fiume – si inserirono in questa rete di scambi,
scatenando guerre contro i propri vicini e alimentando tensioni tra clan9. Se la schiavitù per
debiti o come tributo di guerra faceva già parte di alcune delle culture locali, precedentemente
esistevano dei sistemi di integrazione sociale che permettevano la gestione del malcontento.
L'intensificarsi del commercio rese vani questi sistemi e gettò le basi per un'opposizione
storica tra genti del fiume e genti della savana10.
La tratta transahariana e quella oceanica andarono quindi a sostituire la più antica direttrice
araba del commercio di esseri umani, quella orientale, che da Zanzibar portava via nave al
Golfo persico, all'India e al Medio Oriente.
Nel corso dell'Ottocento alle razzie dei sultanati del nord (Bornu, Baghirmi, Darfur e Udai)
vennero ad aggiungersi quelle provenienti da est ad opera dei mercanti europei prima e dei
principi-mercanti egiziani poi. Nel 1822, infatti, Mehmed Ali, ufficiale turco e governatore
d'Egitto, dopo aver riconquistato a Napoleone la provincia, aveva esteso il controllo ottomano
su buona parte dell'attuale Sudan. I mercanti europei, interessati principalmente al commercio
dell'avorio, si servivano degli schiavi come moneta per pagare i propri dipendenti. Tuttavia, a
causa del clima inadatto e delle pressioni dell'opinione pubblica in patria, dopo la metà
dell'Ottocento lasciarono la zona e il commercio cadde nelle mani dei principi-mercanti
arabo-egiziani11. Questi crearono delle postazioni chiamate dem e zeriba da cui si lanciavano
per portare a termine le razzie. La sfera d'influenza di alcuni di essi giunse ad essere notevole,
soprattutto in seguito al disinteressamento dei successori di Mehmed Ali nei confronti del
Sudan. Uno dei più importanti e potenti commercianti di schiavi era al-Zubayr Rahman
Mansur o Ziber, che fu addirittura nominato governatore della provincia di Bahr al-Ghazal in
seguito alla conquista egiziana12.
Il prelevamento di uomini e bambini dai villaggi provocò però un calo demografico enorme
che il dominio coloniale e le epidemie non fecero che peggiorare13. La densità di popolazione
nelle regioni del nord -est ancora oggi è un quinto - se non un decimo - di quella del resto del
paese14. Questo è probabilmente uno dei motivi per cui Bangui tende a trascurare queste zone,
tagliate fuori dai collegamenti viari per buona parte dell'anno e afflitte da una povertà
9 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., pp. 82-85.10 Pierre Kalck, Réalités ..., op. cit., p. 53 e Calchi Novati, Valsecchi, Africa: la storia ritrovata, Carocci, Roma
2005 p. 63.11 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., pp.101 e seguenti.12 Irene Panozzo, Il dramma del Sudan. Specchio dell'Africa, EMI, Bologna 2000, cap. IV.13 Pierre Kalck, La république centrafricaine, Berger Levrault, Paris 1971, p. 9.14 Vedi allegato n. 1.
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estrema, nonché della pressione esercitata dall'afflusso di profughi dal Sudan15.
Il vuoto lasciato nella savana centrafricana dalle razzie schiaviste venne colmato lungo tutto
l'arco dell'Ottocento e fino agli inizi del secolo successivo da importanti ondate migratorie
che definirono l'attuale composizione etnica del paese16. I principali gruppi di tribù o nazioni -
come definite da Kalck - che popolarono la zona, a loro volta sotto la pressione delle
persecuzioni schiaviste, furono gli Zande (o Azande), i Banda e i Gbaya-Mandija. Gli Zande,
originari della Repubblica Democratica del Congo, si stabilirono nell'est del paese, a cavallo
tra RCA, Sudan e Congo, formando una struttura parzialmente centralizzata ed articolata in
principati. I Banda, invece, sembra provenissero dall'est del Sudan, mentre all'epoca
dell'arrivo degli europei occupavano la zona centro-occidentale del paese. Infine i Gbaya-
Mandija migrarono dalla Nigeria al Camerun e, successivamente, nel sud-ovest della
Repubblica Centrafricana17. Come molte altre società africane, questi gruppi si mossero “in
un contesto di frontiera”18, seguendo cioè la necessità di occupare immensi spazi che via via
si impoverivano di fonti di approvvigionamento a causa di condizioni climatiche piuttosto
ostili. Ne è derivata una bassa densità abitativa ancor oggi presente in tutto il paese.
Verso la fine del XIX secolo le zone circostanti la RCA furono sconvolte da movimenti di
riforma religiosa, spesso definiti come rivolte islamiche. È a queste confraternite che si deve
l'attuale islamizzazione di alcune parti del paese, soprattutto a nord e ad est. Nel 1881, infatti,
in Sudan Muhammad Ahmad, proclamatosi Mahdi (inviato da Dio per portare la giustizia e
l'Islam sulla terra), riuscì a convogliare il risentimento contro il governo egiziano in un
movimento ribelle su basi riformatrici-religiose, il quale riuscì in pochi anni a riconquistare
buona parte del Sudan ai turco-egiziani19. Col movimento mahadista, però, ricominciò anche
la tratta degli schiavi, che il governo egizio-ottomano aveva cercato di scoraggiare. Il secondo
protagonista della rinascita spirituale e politica islamica africana fu la confraternita senussita,
che, nata in Cirenaica da Muhammad bin Ali al-Sanusi, estese la propria influenza religiosa
ed economica a buona parte del Nord Africa, fino ai sultanati dell'Udai, del Baghirmi e del
Bornu. Infine, un altro studioso musulmano, Osman dan Fodio, gettò le basi del califfato di
Sokoto tra gli attuali Niger, Nigeria e Camerun. Questa ondata di rinnovamento religioso e di
conquiste territoriali si diffuse anche a realtà più piccole, disseminate lungo la fascia centrale
15 Intervista a Sabrina Munao, responsabile di progetto per COOPI in RCA. L'intervistata risponde a titolo personale.
16 Kalck definisce addirittura la RCA “un paese di rifugiati” (Réalités ..., op. cit., p. 32).17 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., cap. V.18 Calchi Novati, Valsecchi, op. cit., p. 42.19 Irene Panozzo, Il dramma del Sudan …, op. cit., cap. 4. Ricordiamo che successivamente nel 1882 gli inglesi,
ottenuto il controllo su Suez, stabilirono la propria influenza sull'intero Egitto.
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del Sahel20. L'islamizzazione del paese venne fermata solo agli inizi del Novecento dall'arrivo
dei colonizzatori.
I primi esploratori europei vennero dalla valle del Nilo intorno al 1870. L'avanzata mahadista,
tuttavia, mise fine a queste prime spedizioni interrompendo le comunicazioni tra l'Africa
centrale ed il Nilo. I colonizzatori della RCA, dunque, giungeranno da un'altra direttrice,
quella che segue il corso del fiume Congo. Gli europei vi trovarono una popolazione
caratterizzata da due tipi di struttura sociale: nella savana, a causa dell'immensità degli spazi,
era predominante una struttura dispersiva, fondata su comunità di villaggio e clan, che si
federavano in tribù solo a scopo difensivo; i sultanati islamizzati Zande e le popolazioni delle
valli fluviali avevano, invece, strutture più centralizzate, anche se non paragonabili a dei regni
o degli Stati21. La gente del fiume facilitò l'ingresso dei colonizzatori poiché aveva le
conoscenze dei corsi d'acqua, principale via di comunicazione in zone di foresta pluviale, e
utilizzava una lingua veicolare adatta al commercio, il sangho, che ancora oggi è lingua
nazionale della RCA (benché la sola ufficiale sia il francese).
Il paese, negli anni ottanta dell'Ottocento, fu il perno del celebre “scramble for Africa” e
venne conteso dapprima tra Belgio e Francia e, in seguito, tra quest'ultima e la Gran Bretagna.
Leopoldo II re del Belgio, infatti, fu il primo a venire a conoscenza dell'esistenza e
dell'ubicazione approssimativa del fiume Oubangui, che allora si credeva collegasse il bacino
del Congo col Nilo. Se quest'ipotesi si fosse rivelata veritiera la conquista della valle
dell'Oubangui avrebbe permesso di collegare Africa orientale ed occidentale lungo una via di
comunicazione pressoché ininterrotta, se non dalle rapide. Inoltre, la presenza dei mahadisti in
Sudan rendeva quel territorio ancora “res nullius” e preda assai appetibile per molti. Ciò
spiega la frenesia con cui le nazioni europee si affannarono negli anni successivi a siglare
accordi coi capi Banda e Mandija, costringendo con la forza le tribù ribelli22. I francesi
scoprirono tuttavia che le carte mostrate dalla delegazione belga al Congresso di Berlino del
1885 erano false e scatenarono una corsa alla conquista dei bacini dell'Oubangui prima e dello
Chari successivamente. Furono questi due fiumi che diedero poi il nome alla nuova colonia.
La città di Bangui nacque nel 1889 da un avamposto francese sulla riva destra dell'Oubangui,
a poche centinaia di metri dall'omologa postazione belga dell'altra sponda. Infatti, nonostante
20 M. Kwamena-Poh, J. Tosh, R. Waller, M. Tidy, Atlante storico dell'Africa, SEI, Torino 1989, pp. 64 e 70.21 Riconducibile alla classificazione di Evans Pritchard in società acefale o senza stato e società centralizzate.
Carbone Giovanni, L'Africa. Gli stati, la politica, i conflitti, Il Mulino, Bologna 2005.22 Il Congresso di Berlino del 1885, infatti, aveva stabilito che per considerare conquistata una colonia non era
sufficiente avere delle basi commerciali sulle coste, ma era necessario occuparne effettivamente anche l'interno.
11
Leopoldo II avesse firmato nel 1887 un accordo coi francesi con cui dichiarava di rinunciare
ai territori a nord dell'Oubangui in cambio di un ingente prestito per sanare le casse dello
Stato, la competizione tra i due esploratori leader nello “scramble for Africa”, Stanley per il
Belgio e Brazza per la Francia, non si fermò fino al 1894. Quell'anno un trattato tra il governo
della III Repubblica e il kaiser Guglielmo II, gettatosi anch'egli nella “corsa all'Africa”,
definì i confini tra Camerun tedesco e Congo francese. Il Belgio, per non venir schiacciato e
lasciato in disparte, dovette firmare anch'esso un accordo che stabilì il confine meridionale
lungo il fiume Mbomou23. I territori fino ad allora conquistati24 presero il nome di Haut
Oubangui (1894) e Haute Sangha (1892) e ricaddero sotto l'amministrazione della colonia del
Congo francese25. Qualche anno dopo vide la luce anche il territorio dell'Haute Chari, grazie
alle spedizioni condotte lungo il fiume Sangha, in direzione dell'odierno Ciad.
Rimaneva quindi ancora aperta la partita con la Gran Bretagna, che nel frattempo era
impegnata in Sudan contro le forze mahadiste. L'accordo franco-belga aprì la strada alla
penetrazione francese in Sudan e nel 1895 fu approvato l'invio di una spedizione agli ordini
del capitano Marchand. Furono appunto queste colonne che si scontrarono a Fascioda coi
23 Pierre Kalck, Histoire... , op. cit., cap VII.24 L'Haute Sangha, che prende il nome dall'alto corso della Sangha, corrisponde circa all'ovest del paese,
mentre l'Haut Oubangui (alto Oubangui) all'est. Ne erano escluse le attuali regioni a nord-ovest (Haute Chari) e nord-est (sultanati Zemio e Zande).
25 Il Congo francese includeva allora l'attuale Repubblica del Congo e il Gabon.
12
(P. Kalck, Histoire de la République centrafricaine, op. cit. p.200)
25.000 uomini del generale britannico Kitchener, inviati a fermare la Francia immediatamente
dopo aver conquistato Khartoum e messo fine al regime mahadista con la battaglia di Karari
del 2 settembre 189826. In seguito all'ordine del governo francese di ritirarsi nel novembre
dello stesso anno e all'accordo anglo-francese, la conquista dell'Oubangui-Chari, che doveva
essere la piattaforma di lancio dell'espansione verso oriente, si rivelò per la Francia un vicolo
cieco27.
I francesi alla fine del 1800 non occupavano che qualche piazzaforte e le vie fluviali con
contingenti estremamente ridotti. Nonostante ciò, nel 1899 Parigi decise di dividere i territori
nominalmente sotto controllo francese tra ventisette società concessionarie create per
l'occasione. I terreni, espropriati a forza ai legittimi proprietari, venivano concessi a privati e
compagnie franco-belghe, mentre le vie di comunicazione – essenzialmente fluviali –
rimanevano in mano allo Stato. Furono queste società, con un manipolo di uomini d'affari,
avventurieri, funzionari revocati dai loro impieghi, agenti leopoldiani espulsi dal Congo ed
altri emarginati dalla società metropolitana28, a sottomettere effettivamente le popolazioni
locali grazie a trattati di volontaria sottomissione o a repressioni violente. Portando nella zona
un notevole numero di armi da fuoco, inoltre, gli europei causarono una recrudescenza delle
guerre tribali che vennero ampiamente sfruttate per ridurre all'impotenza tutti i contendenti in
lizza.
Dal punto di vista amministrativo, i territori dell'Haut Oubangui, dell'Haute Chari e la città di
Bangui, riuniti sotto il nome di Oubangui-Chari, dal 1897 vennero separati dal Congo
francese ed amministrati da un proprio Luogotenente Generale. Tre regioni ancora non
facevano parte della colonia: il Dar-el-Kouti (l'attuale nord-est della RCA), formalmente
controllato da Senoussi ma tributario dei francesi in seguito ad un trattato firmato col
sultano29; l'Haute Sangha30 (ad ovest), ancora amministrativamente dipendente dal Congo
francese; ed infine i sultanati Zemio e Zande (ad est), anch'essi legati da accordi di
26 Irene Panozzo, Il dramma del Sudan , op. cit. ,cap. IV.27 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie d'un Etat fantȏme, Rapport Afrique n° 136,
dicembre 2007 (http://www.crisisgroup.org).28 Pierre Kalck, Berthélemy Boganda (1910-1959) tribun et visionnaire de l'Afrique centrale, in Les Africains,
vol.3, Parigi 1977, pp.103-138.29 Sarebbe stato in seguito incluso nella colonia del Ciad.30 In seguito all'incidente nella baia di Agadir (1911), in cui una cannoniera tedesca si presentò davanti al porto
marocchino per ostacolare gli interessi francesi sul paese, le due potenze coloniali raggiunsero un accordo in cui la Germania rinunciava alle sue pretese sul Marocco e Parigi concedeva in cambio parte dell'Haute Sangha (Lobaye e Sangha) e del nord Gabon, regioni che vennero annesse al Camerun tedesco. La Germania ottenne così l'accesso ai fiumi Oubangui e Congo, fondamentale per il commercio. Con la Prima Guerra Mondiale la Francia riacquisterà tali territori, che verranno alla fine inclusi nell'Oubangui-Chari, ed otterrà il mandato sul Camerun.
13
vassallaggio e conquistati solo tra 1907 e 1912. In seguito all'occupazione del Ciad
quest'ultimo venne unito all'Oubangui-Chari nell'Oubangui-Chari-Ciad, sebbene la regione
conservasse una parziale autonomia finanziaria.
La principale risorsa della colonia era il caucciù che gli indigeni furono costretti a raccogliere
inizialmente in cambio di merce di scarso valore, poi, quando fu avviata l'economia
monetaria, di un salario. Tale misero guadagno con l'introduzione dell'“imposta indigena”31
finì per tornare nelle mani dell'amministrazione coloniale, alla disperata ricerca di
finanziamenti in loco, giacché la madrepatria aveva deciso di stringere i cordoni della borsa.
Avendo il parlamento approvato, solo un anno dopo l'istituzione del regime concessionario,
una legge che interrompeva i finanziamenti alle colonie, le società si abbandonarono ad uno
sfruttamento sistematico delle loro concessioni. La popolazione, già ridimensionata dalle
ghazua ottocentesche e dalle epidemie di vaiolo e malattia del sonno, fu decimata dal lavoro
nelle piantagioni o dalle corvées cui gli abitanti erano costretti a sottoporsi per l'apertura di
strade o per trasportare a spalla i rifornimenti per la conquista del Ciad. Le vessazioni e i
maltrattamenti da parte degli agenti delle società continuarono, avallati dai funzionari locali e
trascurati dalle istituzioni centrali. In seguito ad alcune rivolte che portarono alla morte di una
quindicina di bianchi, le compagnie si sentirono in diritto di chiedere una presenza militare
più consistente e addirittura degli indennizzi. Il sollevamento più importante fu quello dei
Mandija, sottogruppo dei Gbaya. Nel 1903, già provati dalle requisizioni di uomini usati
come portatori dai militari francesi all'ora della conquista del Ciad, si ribellarono contro
l'introduzione dell'imposta indigena, portando alla morte di alcuni dipendenti delle società
concessionarie. La ribellione fu domata solo un anno dopo, nel 1904. In seguito a questi
scontri furono inviate tre spedizioni militari che riportarono la quiete, ma a costo di violenti
massacri32.
Nel 1906 un articolo del quotidiano Matin svelò le crudeltà cui era sottoposta la popolazione
dell'Oubangui-Chari ed un'inchiesta fu commissionata dal Parlamento a Brazza. Purtroppo,
però, la Camera dei deputati rifiutò a pieni voti di pubblicare il rapporto, consacrando così il
sistema di sfruttamento in atto. Bisognerà attendere il 1925 perché Voyage au Congo33 di
31 L'imposta indigena venne istituita nel 1902 e fissata dal Commissario Generale a 3F, pagabili anche in natura (considerato che 1kg di caucciù costava all'origine 1F, mentre a Brazzaville il suo prezzo saliva già a 5F). Ogni circoscrizione, tenuto conto della difficoltà nel raccogliere le imposte, doveva corrispondere una quota minima; ciò comportò la diffusione di vere e proprie operazioni di repressione, imprigionando i capi villaggio e prendendo donne e bambini come ostaggi finché non si fosse raggiunta tale cifra.
32 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p.170.33 Il libro, un diario di viaggio che Gide scrisse nel 1925 attraversando a piedi la Lobaye, venne distribuito nel
1928 a tutti i membri della Società delle Nazioni accompagnato da una richiesta di condanna dei lavori forzati nelle colonie francesi. Particolarmente cruda risulta la descrizione della raccolta del “caucciù
14
André Gide e Terre d'ébène di Albert Londres tornino a denunciare i metodi del colonialismo
francese in Centrafrica. Londres, in particolare, testimonia il dramma della costruzione della
linea ferroviaria Congo-Oceano, che avrebbe dovuto collegare il Moyen Congo all'Atlantico.
Il cantiere venne soprannominato “la macchina mangiatrice di uomini”, poiché gli operai,
reclutati a forza nella Lobaye e nell'Haute Sangha e successivamente in tutto l'Oubangui-
Chari, erano costretti a lavorare con strumenti rudimentali (“avec un marteau et une barre à
mine”34), malnutriti e battuti continuamente da caporali di ogni sorta di nazionalità: fu
un'ecatombe.
In seguito alla decisione del Parlamento di ignorare il rapporto Brazza, fu nominato
Governatore Generale Martial Merlin, che ordinò la riconquista di tutto il paese in nome delle
“necessità della colonizzazione”35, sottomettendo con la forza chiunque tentasse di ribellarsi,
mettendo a ferro a fuoco i villaggi ed estendendo il controllo francese fino ai sultanati dell'est.
Merlin fu inoltre l'ideatore dell'Africa Equatoriale Francese, che vide la luce nel 1910,
inglobando Congo, Gabon, Ciad ed Oubangui-Chari.
Durante la Prima guerra Mondiale i bacini della Sangha e della Lobaye, occupati nel 1911 dai
tedeschi36, vennero riconquistati dall'esercito francese. Tuttavia, il ritorno di quest'ultimi
provocò nuove turbolenze nella regione e l'amministrazione coloniale, già frustrata dal ritardo
economico e dall'abbandono da parte dei grandi finanziatori per migliori lidi, quali il Marocco
e l'Indocina, fu costretta a fare autocritica. Protagonista di questa svolta, che caratterizzerà
tutti gli anni '20 del Novecento, sarà Auguste Lamblin, governatore della colonia dal 191737.
Egli mise fine ai fenomeni del “portage” e del “pagayage” aprendo strade tra i principali
avamposti; inoltre, fece approvare delle politiche per la ricostruzione dei villaggi e dei sistemi
agricoli di sussistenza. Le società europee nel frattempo riuscirono a far sostituire il sistema
concessionario con un sistema di monopolio commerciale: la prima fu la potente Compagnia
forestale della Sangha e dell'Oubangui, che il 29 dicembre 1920 convertì il proprio contratto -
che le dava in concessione immensi territori - in un monopolio sullo sfruttamento del caucciù
durante quindici anni. Il 4 maggio 1922 fu approvato inoltre un decreto che prevedeva delle
garanzie per la manodopera ed obbligava a sostituire i lavori forzati con contratti scritti e una
remunerazione, anche se queste misure rimasero in gran parte lettera morta. Infine, una
riforma del sistema giudiziario cercò di mettere fine alle condanne sommarie ed extra
sanguinante” da parte degli indigeni. 34 “Con un martello e una leva”, A. Londres citato in Pierre Kalck, Histoire... , op. cit., p. 234.35 Pierre Kalck, Berthélemy Boganda ..., op. cit., pp.103-138.36 Vedi nota 25.37 Pierre Kalck, Histoire..., op. cit., pp. 221-231.
15
giudiziarie. Nonostante , la creazione del “sistema dell'indigenato” vanificò tali buoni
propositi. Secondo un decreto approvato nel 1924, infatti, ogni capo circoscrizione poteva
sanzionare tutta una serie di reati non delittuosi (dagli atti passibili di sovvertire l'ordine
pubblico al pascolo di animali fuori dalle zone consentite) con la detenzione o con i lavori
forzati. Il “sistema dell'indigenato” si prestò quindi a fornire tutta la manodopera necessaria;
molti degli operai che lavoravano nei cantieri della linea ferroviaria Congo-Oceano furono
infatti così reclutati.
In seguito alla guerra, al caucciù e al legname pregiato si aggiunsero altre importanti risorse
per l'economia centrafricana: furono introdotte piantagioni di cotone e di caffè e vennero
scoperti ricchi giacimenti d'oro e di diamanti38. L'andamento dei prezzi mondiali, però, non
permise grandi guadagni alle compagnie.
Negli anni tra il 1928 e il 1931 l'AEF assistette alla rivolta di diverse popolazioni, dal Ciad al
Gabon, che venne chiamata “guerra dei Gbaya”, essendo questi tra i più accaniti
combattenti. In Oubangui-Chari prese invece il nome di rivolta di “Kongo Wara” o del
“manico di zappa”. Questa può essere considerata a pieno titolo la prima vera sollevazione
anticoloniale, poiché guidata da leader religiosi esplicitamente contro la presenza dei bianchi.
Karinou, guida spirituale Gbaya, professava la non-violenza e profetizzava l'unione di tutti i
neri sotto il segno del kongo-wara; ad egli si aggiunse Berandjko, con la sua tribù della
Lobaye. La repressione fu violenta e durò fino al 1935, quando gli ultimi discepoli di Karinou
furono catturati dalle autorità coloniali39.
Parallelamente, nel corso degli anni trenta, il ruolo delle missioni sia cattoliche sia protestanti
acquistava crescente importanza, costituendo un fattore di cambiamento sociale. Da un lato,
infatti, il messaggio di uguaglianza del cristianesimo portava in sé una grande forza di
emancipazione, dall'altro le missioni furono le prime a fornire un'istruzione superiore alla
popolazione locale, come nel celebre caso di Berthélemy Boganda. Il futuro presidente della
Repubblica Centrafricana, nato nel 1910 in pieno regime Merlin, fu accolto da un prete a
Mbaiki e divenne il primo sacerdote protestante centrafricano di colore40. La carriera religiosa
gli permise di studiare ed acquisire una consapevolezza morale e politica che i suoi
conterranei all'epoca non avevano.
Con la Seconda Guerra Mondiale si avviò un graduale processo di emancipazione della
38 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 241.39 Ivi pp. 235-238 e Pierre Kalck, Berthélemy Boganda …, op. cit., p. 112.40 Pierre Kalck, Berthélemy Boganda ..., op. cit.
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popolazione dell'Oubangui-Chari41: il contributo nella lotta contro le potenze dell'Asse e il
dibattito sulle colonie seguito alla fondazione dell'ONU, costrinsero la Francia a riconsiderare
lo status dei suoi possedimenti. All'appello di de Gaulle nel 1940 venne costituito un governo
dell'Africa francese libera con governatore Felix Eboué, un nero; due battaglioni dell'AEF
parteciparono inoltre agli scontri in Siria, Eritrea, Abissinia e Fezzan, alimentando le
aspettative degli africani per una ricompensa a guerra finita. Gli impegni presi con la firma
della Carta delle Nazioni Unite portarono alla sostituzione del termine “colonia” con
“territori d'oltremare”42 e alla concessione di riforme e dei primi diritti civili. La guerra,
infine, comportò la necessità di ampliare la rete di infrastrutture a scopi militari, fornendo al
paese ulteriori strade, ponti e costruzioni. A questo si aggiunse la necessità, resa evidente dalla
crisi del '29, di rendere sempre più autosufficienti le colonie per sgravare le casse dello stato.
Questo processo era iniziato già ad inizio Novecento e aveva comportato una riduzione
dell'apparato amministrativo – spesso affidato a militari -, tant'è vero che nel 1913 in tutta
l'Africa Equatoriale si contavano solo 398 dipendenti tra amministratori e funzionari pubblici,
poi scesi a 366 nel 192843.
Il 1946 fu un anno chiave poiché vennero concesse maggiori libertà, furono condannate le
pratiche coloniali da parte del Governo stesso e si soppressero il lavoro forzato e il “sistema
dell'indigenato”, creando il malcontento tra i coloni. La Costituzione della IV Repubblica
attribuì poi maggiore autonomia alle colonie istituendo il Gran Consiglio federale dell'AEF e
le Assemblee Territoriali elette da due collegi: uno composto da coloni, il secondo da africani
emancipati44. Il 10 novembre dello stesso anno, per la prima volta nella storia del paese fu
eletto un nero all'unico seggio disponibile per Ciad e Oubangui-Chari all'Assemblea
Nazionale francese, Berthélemy Boganda. Solo tre anni dopo, nel settembre del '49 egli
fonderà, assieme ad alcuni letterati centrafricani, il Movimento d'Evoluzione sociale
dell'Africa nera (MESAN45), dai chiari accenti panafricanisti. Lo scopo del MESAN era di
“promuovere il pieno sviluppo della società africana seguendo lo spirito e la fisionomia
propri dell'Africa nera” (art. 16 del Regolamento interno del MESAN). La fondazione di
questo movimento ebbe vasta eco soprattutto nei villaggi46.
Resosi conto di come i coloni disapplicassero le leggi approvate in patria, Boganda tentò di
41 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., cap. X.42 Conferenza di Brazzaville, 28 gennaio-8 febbraio 1944.43 Mamdani in G. Carbone, L'Africa …, op.cit., p. 33.44 Il corpo elettorale del secondo collegio era ancora abbastanza ristretto, contando appena 20.000 iscritti tra
capi emancipati e guerrieri. 45 La sigla aveva volutamente una sonorità messianica. 46 Pierre Kalck, Berthélemy Boganda ..., op.cit.
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sensibilizzare il Parlamento di cui faceva parte con numerosi rapporti, ma senza risultati: i
coloni continuarono a comportarsi nei confronti degli indigeni nella peggior maniera, non
rispettando alcun principio evangelico né i diritti sanciti dalla Rivoluzione. Nel corso degli
anni '50 Boganda cominciò quindi una campagna per tutto il paese risollevando il
malcontento della rivolta del 1928-31 e mobilitando i capi tradizionali. Allertato dalla
popolazione, non esitava ad accorrere dove gli fosse stata segnalata un'ingiustizia. Le sue
qualità di prete e di ottimo oratore, inoltre, gli conferivano un'aurea quasi magica anche in
ambito non cristiano. La tensione crebbe e non tardarono a verificarsi i primi incidenti. Uno di
questi, avvenuto nel mercato di Bokanga nel 1951, causò l'imprigionamento del deputato
centrafricano e della moglie, giunti in loco per cercare di calmare gli animi. L'episodio,
anziché alienargli le simpatie dell'elettorato, contribuì ad estendere la sua fama e alla
successiva rielezione nel '51, malgrado le pressioni dei coloni e le urne truccate. L'anno
successivo, poi, il MESAN ottenne la maggioranza all'Assemblea Territoriale47.
In un momento in cui l'opposizione tra MESAN e coloni, rappresentati dal RPF
(Rassemblement du peuple français), era al culmine, un evento provocò una svolta: nel 1954 a
Berberati un agente europeo dichiarò il decesso del proprio cuoco e della sua sposa. Le
autorità archiviarono il caso come uxoricidio e suicidio, ma la popolazione il giorno seguente
si assembrò davanti all'ufficio cantonale chiedendo l'arresto dell'uomo. Il nuovo governatore,
Sanmarco, chiese a Boganda di intervenire e questi, recatosi a Berberati, riportò la calma
assicurando giustizia. L'evento è significativo per due principali motivi: innanzitutto agli
occhi delle istituzioni divenne evidente il problema del comportamento dei coloni, non più
giustificabile ed in grado di sovvertire l'ordine pubblico; inoltre, rivelò l'unità del popolo
dell'Oubangui al di là delle lotte tribali, poiché Berberati era una roccaforte dell'etnia Gbaya,
un tempo in guerra continua con i Mbaka a cui apparteneva Boganda48.
Nel 1956 il ripensamento delle modalità di amministrazione dell'impero francese raggiunse il
suo culmine con la legge quadro Defferre del 23 giugno, che prevedeva l'autonomia di
governo per ogni territorio d'oltremare. L'applicazione di tale legge risultò alquanto
complicata, mancando nella colonia una classe sociale istruita pronta a raccogliere le redini
del proprio paese. L'anno successivo, tuttavia, venne costituito il primo Consiglio di Governo,
un embrionale consiglio dei ministri la cui presidenza competeva ancora al Governatore del
territorio e comprendente numerosi ministri e consiglieri francesi. Come vice-presidente fu
designato Abel Goumba dal momento che Boganda copriva la carica di Presidente del Gran
47 Ivi.48 Ivi.
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Consiglio dell'AEF già dall'anno precedente49.
Il MESAN e le idee di Boganda, nel frattempo, avevano oltrepassato le frontiere del
Territorio: delle sezioni erano state create in Ciad e Congo e il padre del movimento si era
recato clandestinamente perfino nel Congo belga50.
La strada verso l'indipendenza51 fu accelerata in tutta l'Africa francese dai moti d'Algeria. I
delegati del MESAN al congresso di Cotonou nel 1958 si pronunciarono a favore di
un'indipendenza in tempi brevi e Boganda, l'8 luglio, davanti all'Assemblea Territoriale
reclamò “il diritto dei popoli a disporre di loro stessi e l'indipendenza totale all'interno di
un'interdipendenza volontaria”. Egli sapeva bene, infatti, che l'Oubangui non era
economicamente indipendente né capace di governarsi da solo. Tuttavia concordava sulla
necessità di superare la legge quadro e fare una “Rivoluzione in tutta l'Africa nera”, a
condizione che avvenisse in maniera pacifica e costruttiva. Nella sua dichiarazione, pertanto,
egli esigette non l'immediata indipendenza, ma il diritto del popolo a decidere le sorti del
proprio paese. Da un incontro tenutosi a Brazzaville con de Gaulle Boganda ottenne che nella
Costituzione della V Repubblica fosse esplicitamente prevista questa possibilità e così
avvenne: il 28 settembre 1958 l'Oubangui-Chari votò
a favore della nuova Costituzione e dell'inclusione
nella Communauté française a cui avrebbe delegato
parte della propria sovranità52.
Considerando la debolezza economica e la scarsa
densità di popolazione dei quattro territori dell'AEF,
soprattutto se paragonati agli ingombranti vicini
(Sudan, Nigeria, Congo belga), Boganda elaborò un
progetto di statuto unitario con una presidenza a
rotazione. Inizialmente questo Stato, il cui nome
sarebbe stato Repubblica Centrafricana, avrebbe
dovuto coinvolgere Ciad e Oubangui-Chari, poi si
sarebbe allargato a Gabon e Congo francese ed infine
avrebbe compreso anche l'Angola, il Ruanda-Urundi,
il Congo belga ed il Camerun, formando gli Stati
49 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 288.50 Pierre Kalck, Berthélemy Boganda ..., op.cit., p.127.51 Ivi, p.132.52 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., pp. 297-298.
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Progetto Boganda di Stati Uniti dell'Africa latina (Pierre Kalck, Berthélemy Boganda (1910-1959) tribun et visionnaire del l'Afrique centrale, op. cit., p. 123).
Uniti dell'Africa latina. La Costituzione della V Repubblica prevedeva che l'approvazione
degli statuti dei Territori dovesse avvenire entro quattro mesi, ma il Presidente del Gran
Consiglio non fu in grado in questi brevi tempi di ottenere l'appoggio di Gabon e Ciad,
mentre in Congo un rovesciamento di maggioranza portò al voto contrario53.
Così Boganda il 1° dicembre 1958 fu costretto a proclamare la costituzione di uno Stato
limitato all'Oubangui-Chari che ereditò il nome di Repubblica Centrafricana e la bandiera
concepita per il progetto unitario. Il 2 dicembre prese le redini del nuovo Governo, mentre il
Gran Consiglio, come anche tutti i sevizi e le amministrazioni a livello federale, decaddero
nel corso dell'anno seguente. Fu approvata una Costituzione molto liberale, in cui venivano
garantite tutte le libertà civili e si prevedeva la possibilità di una cessione parziale di
sovranità. Inoltre, per il 5 aprile furono organizzate le elezioni per scegliere i sessanta membri
della nuova assemblea legislativa, nella quale Boganda si augurava potessero sedere anche dei
francesi54.
Ma, una settimana prima dell'apertura delle urne, nel giorno di Pasqua, l'aereo su cui
viaggiava Boganda da Berberati a Bangui si schiantò per cause misteriose, generando un
senso di panico e il lutto generale nel paese.
La leadership, dopo la sua morte, passò nelle mani di due contendenti: Abel Goumba, uomo
di fiducia dell'ex capo del Governo e già vice-presidente nel 1957, nonché primo ministro ad
interim, e David Dacko, parente e commilitone del leader, cui andavano le simpatie dei
coloni. Fu quest'ultimo a conseguire la vittoria nelle elezioni del 5 aprile e a segnare la svolta
autoritaria del paese.
Con la morte di Boganda andò perso l'unico momento politico positivo e fortemente
propositivo vissuto dal paese fino ad oggi. Evidentemente questo Gandhi centrafricano fu
ritenuto piuttosto scomodo: il rapporto finale sull'incidente aereo, infatti, non fu mai
pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e tutte le copie del settimanale l'Express, che riportava le
conclusioni di alcuni membri della commissione d'inchiesta, furono acquistate dall'Alto
Commissario55. Boganda lasciò un vuoto di potere che, unito alla partenza
dell'amministrazione francese, espose il paese ad ogni sorta di conflitto personale e di lotta
per accaparrarsi le già scarse risorse dello Stato.
La Repubblica Centrafricana giunse così all'indipendenza con un fardello poco invidiabile:
un'economia dipendente dalla tecnologia e dalle compagnie commerciali estere, nonché
53 Pierre Kalck, Berthélemy Boganda ..., op. cit., pp. 133-135.54 Ivi p. 136.55 Ivi p. 136.
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soggetta agli sbalzi dei prezzi delle materie prime, un'amministrazione estremamente debole
ereditata dal periodo coloniale e pochissime infrastrutture. La situazione era aggravata
dall'assenza di sbocchi sul mare, il che rendeva più costosi e complessi i commerci e gli
spostamenti, soprattutto col sopraggiungere della stagione delle piogge. Già in epoca
coloniale le vie di comunicazione, monopolio di stato e poi di alcune compagnie europee,
costituirono un problema. Le società concessionarie infatti si erano coalizzate per fondare
delle compagnie di navigazione e dei trasporti, come quella del Congo-Oubangui e quella
della Sangha. I costi di trasporto, handicap serio per lo sviluppo della colonia, saranno a lungo
la principale fonte di profitto del settore privato56.
§ 2. Dall'indipendenza al colpo di stato di Bozize
Il nuovo Primo Ministro non tardò a chiedere all'Assemblea che gli fossero concessi i poteri
assoluti, ma questa, con l'appoggio di Goumba, rifiutò. Dacko eliminò allora i principali
ostacoli alle sue mire - Goumba e il presidente dell'Assemblea Maleombho - e tentò un colpo
di mano. La democrazia, tuttavia, resistette e dalle fila del MESAN si staccò un nuovo
movimento di opposizione, il MEDAC (Movimento di Evoluzione dell'Africa centrale), che si
presentava come l'unico vero erede di Boganda.
Nel frattempo la Communauté creata da de Gaulle aveva cominciato a sfaldarsi con la
defezione del Mali e del Madagascar. I quattro Stati dell'AEF tentarono di giungere ad un
accordo per la costituzione di una confederazione centrafricana, ma, alla fine, prevalse il
particolarismo e il 13 agosto 1960 a Bangui furono firmati gli accordi di indipendenza e
cooperazione con la Francia. Il MEDAC si oppose fermamente alla conclusione di tali accordi
e nelle elezioni parziali del settembre successivo ottenne un buon risultato, inasprendo
ulteriormente il conflitto con la maggioranza57.
L'occasione per far fuori definitivamente l'opposizione si presentò quello stesso autunno a
seguito di una manifestazione dei seguaci di Goumba contro quattro proposte di legge che
avrebbero ristretto le libertà civili. Il Consiglio dei ministri sciolse quindi il MEDAC senza
che la Francia o la comunità internazionale intervenissero. Questi avvenimenti, infatti, si
svolsero contemporaneamente alla dichiarazione d'indipendenza del Congo belga e allo stato
di anarchia che ne conseguì. Il timore s'impossessò dei coloni e dei francesi, che videro in
56 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 228.57 Pierre Kalck, La république ..., op. cit., pp. 24-25.
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Dacko e nel rafforzamento dell'esecutivo una difesa contro simili rischi nel paese58.
Nonostante egli avesse proclamato la rottura dei rapporti coi francesi per ottenere il favore
della popolazione, le relazioni fra i due paesi non furono mai interrotte e fu firmato un
accordo segreto di difesa. Inoltre, la posizione chiave della RCA attirò l'attenzione di sovietici
ed americani, nonché della Cina popolare, i cui rappresentanti si recarono a Bangui per
ottenere i favori del leader. Una conferenza dei capi di stato dell'Africa francofona si impegnò
però a rimanere nell'orbita dell'occidente e a mantenere il potere nelle mani di coloro che
l'avevano acquisito a partire dall'indipendenza59. Sarà solo con il riconoscimento da parte di
de Gaulle della Cina comunista che questa firmerà un accordo con Bangui. L'espansione dei
cinesi in Africa mise in allarme il fronte occidentale e causò l'intervento belga ed americano
nel vicino Congo, riportando la RCA sulle sue precedenti posizioni60.
Tra 1962 e 1964 Dacko riuscì a far approvare una legge costituzionale che limitava i poteri
dell'Assemblea, prolungò il mandato presidenziale a sette anni e fece sciogliere tutti i partiti
ad eccezione del MESAN, che divenne un meccanismo di acclamazione delle politiche scelte
dall'alto. Inoltre egli, già capo del Governo e – in via provvisoria – dello Stato, si fece
eleggere Presidente nel 1964 con un suffragio del 99%, cambiando il regime da parlamentare
a presidenziale, come avvenne anche nella maggior parte degli altri Stati africani61.
Con l'indipendenza si presentò al nuovo regime il problema della “centrafricanizzazione”
dell'amministrazione. A causa della scarsa scolarizzazione, che malgrado i buoni propositi era
frenata dalla penuria di insegnanti, e delle trame politiche, già nei primi anni sessanta fu
evidente l'inefficienza dell'apparato di governo. La maggior parte parte dei prefetti e delle alte
cariche, infatti, erano rimaste ancora in mano ad europei per mancanza di quadri autoctoni; la
loro volontà venne quindi a scontrarsi spesso e volentieri con le decisioni del governo
centrale. Dacko cercherà di controllarli allontanandoli da Bangui o tramite dei comitati di
vigilanza, ma senza successo. I funzionari di basso rango, invece, furono reclutati tra gli
autoctoni, ma, promossi insperatamente a posti ben remunerati, si abbandonarono all'inedia e
al laissez-faire, essendo privi delle competenze necessarie e non essendovi un meccanismo di
controllo da parte dell'autorità centrale. Il Governo, nell'estremo tentativo di riportare l'ordine,
si rifiutò di adeguare gli stipendi al rincaro del costo della vita, iniziando quella spirale di
malcontento ed instabilità tra i funzionari pubblici che il paese si è portato dietro fino ad
58 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 303.59 Ivi, p. 309.60 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 327.61 Pierre Kalck, La république ..., op. cit., pp. 25-26.
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oggi.62.
Le limitate riforme per avviare l'industrializzazione e risollevare l'economia ebbero, inoltre,
modesti risultati, contribuendo ad avviare la parabola discendente che porterà al colpo di stato
della notte di San Silvestro del '66.
Vale la pena ricordare un'ultima cosa, a proposito della politica estera dei primi anni del
Centrafrica: fortemente influenzato dalle direttive del Quai d'Orsay, il governo acconsentì ad
avviare un processo di integrazione economica che sfociò nell'adesione all'Organizzazione
africana e malgascia di Cooperazione economica, all'Unione africana e malgascia e alla
creazione dell'Unione doganale economica dell'Africa centrale (UDEAC). Nel '63 ad Addis
Abeba gli Stati africani crearono infine l'Organizzazione per l'Unione africana (OUA),
condannando esplicitamente i colpi di stato come metodo per accedere al potere ed
impegnandosi a rispettare le frontiere ereditate dalla colonizzazione.
La corruzione dilagante, l'imposizione fiscale alle stelle e l'impossibilità di risolvere i gravi
problemi finanziari della repubblica indussero David Dacko a consegnare nel dicembre del
'65 le proprie dimissioni al Consiglio dei ministri, che le rifiutò.
L'ultimo di dicembre un colpo di stato era stato organizzato dal comandante della
gendarmeria Jean Izamo, che godeva della simpatia dell'Eliseo63. Il Capo di Stato Maggiore
dell'esercito e cugino del presidente, Jean Bedel Bokassa, fece però arrestare Izamo e occupò
la città, sostenuto dalle truppe di cui era a capo. I francesi non si opposero alla destituzione di
Dacko, divenuto personaggio scomodo ed apertamente doppiogiochista, dal momento che
implorava Parigi per ottenere sovvenzioni dirette al budget dello Stato senza rifiutare le
copiose offerte d'aiuto di Pechino64.
Si aprì così il capitolo più nero della storia del Centrafrica, ben rappresentato nel
documentario di W. Herzgog sul nuovo dittatore65. Venne istituito un Consiglio rivoluzionario
di transizione composto da militari, ministri già impegnati nel Governo precedente e
funzionari, mentre l'Assemblea fu sciolta definitivamente e la Costituzione abrogata in favore
di un atto costituzionale che avrebbe dovuto essere transitorio e attribuiva al presidente il
potere esecutivo e regolamentare. Bokassa, inoltre, si riservò i ministeri della Difesa, della
Giustizia, dell'Informazione e, per breve tempo, dello Sviluppo e degli Interni, nonché il
segretariato del MESAN. Tutte le decisioni più importanti, soprattutto quelle riguardanti il
62 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 318.63 Probabilmente Dacko ne era a conoscenza visto che bruciò tutti gli archivi personali la sera stessa.64 Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 328.65 W. Herzgog, Bokassa I, echi di un regno oscuro, Germania 1990.
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budget dello Stato, competevano al capo dello Stato e al Consiglio, che assunsero i compiti
prima spettanti all'Assemblea. Anche Ange Felix Patassé, futuro presidente dal 1993 al 2003,
servì sotto il Governo Bokassa come Ministro dello Sviluppo, del Turismo, dei Trasporti e
dell'Energia. L'esercito, infine, fu chiamato a svolgere funzioni amministrative66.
Inizialmente la popolazione accolse con favore il cambio di governo, poiché Bokassa si
riproponeva di eradicare la corruzione, rendere più efficiente l'amministrazione e risollevare
la situazione economica del paese. A fronte dei risultati ottenuti nei primi anni di governo sul
piano economico, gli osservatori occidentali passarono sopra alla mancanza di progressi sul
piano politico. Anche de Gaulle finì per accettare il nuovo presidente, apertamente
filofrancese e grande ammiratore di Napoleone del quale cercò di emulare le gesta. Un
raffreddamento delle relazioni tuttavia si ebbe quando il Generale cercò di rendere il paese
totalmente indipendente, creando una moneta centrafricana ed espellendo diverse compagnie
diamantifere francesi.
Già Presidente a vita dal 1972, nel 1976 Bokassa annunciò la costituzione dell'Impero e si
fece incoronare l'anno seguente, nello stesso giorno dell'investitura di Napoleone, con una
cerimonia tanto sfarzosa quanto terrificante. La nuova Costituzione imperiale, poi, accentrò
ancor di più – se possibile – i poteri nelle sue mani67.
Per celebrare l'Impero e la sua persona fece edificare archi di trionfo e statue. Anche la sua
vita privata non fu meno stravagante, con diversi matrimoni, figli legittimi e non e scandali68.
Bokassa, inoltre, soffriva di manie di persecuzione, tant'è che numerosi ministri finirono sul
banco degli imputati con l'accusa di aver organizzato colpi di stato. La sua paranoia rese il
regime sempre più repressivo, mentre l'apparato statale si dedicava ormai all'esplicito
saccheggio del paese, dimenticando i buoni propositi del primo periodo. I crimini commessi
sotto il suo Governo furono particolarmente efferati, con consistenti voci – che, se non
riportano la verità, esprimono molto vividamente l'atmosfera dell'epoca – che accusavano
l'Imperatore di antropofagia. Era un folle, un lunatico ed anche un manipolatore, molto abile
nel cambiar pelle: nel '76, scaricato un'ennesima volta dalla Francia, giunse a convertirsi
all'Islam per compiacere Gheddafi ed ottenere da lui aiuti economici. L'imperatore, infatti,
non era più benvoluto dai finanziatori occidentali in seguito all'accusa di aver fatto picchiare,
imprigionare e morire una folla di bambini che manifestavano a Bangui contro l'imposizione
66 Pierre Kalck, La république ..., op. cit., pp. 29-30.67 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit. p.6.68 W. Herzgog, Bokassa I...,op. cit.
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nelle scuole di costose uniformi vendute solo in negozi appartenenti alla sua famiglia69.
Nel 1979 si organizzò una forma di opposizione con la fondazione del Movimento per la
Liberazione del Popolo centrafricano (MLPC) guidato dall'ex ministro Ange Patassé.
Tuttavia, già si stavano effettuando i preparativi per quella che sarà chiamata l'operazione
“Barracuda”70.
La notte del 20 settembre 1979, mentre Bokassa si trovava in visita in Libia, un'operazione
militare francese rimise a capo dello Stato David Dacko71. Le manifestazioni di scontento per
il ritorno dell'alquanto discusso leader dell'indipendenza resero necessaria la permanenza nel
paese delle truppe francesi, evacuate nel '65. Dacko stesso si rese conto di non essere in grado
di tenere le redini del paese e, alla presenza delle truppe e ai crediti elargiti dall'Esagono,
venne ad affiancarsi la guida politica di Jean Claude Mantion. Agente dei servizi segreti
francesi, Mantion governò effettivamente la RCA fino al '93. Parigi temeva che la
popolazione, guidata dal MLPC e desiderosa di vedere dei cambiamenti concreti, potesse in
qualche modo nuocere agli interessi francesi nell'ex colonia. Nelle elezioni che
riconfermarono nell'81 Dacko alla presidenza, infatti, Patassé quasi raggiunse l'avversario per
numero di voti, e non si esclude che i brogli abbiano aiutato il Presidente in carica ad ottenere
quel misero 50,23 per cento di preferenze al secondo turno.
L'ostilità che lo circondava convinse Dacko a lasciare volontariamente il governo nelle mani
dei militari, sotto il comando del generale André Kolingba. Mantion continuò a manovrare i
fili della politica centrafricana con l'aiuto della Guardia Presidenziale, grazie alla quale nel
1982 sventò un tentativo di colpo di stato ordito da Patassé in collaborazione col generale
Bozizé. Quest'ultimo si rifugiò in Ciad, da cui tornerà per effettuare un nuovo putsch nel
2003, questa volta con successo. Per quanto riguarda invece Patassé, i francesi riuscirono a
fargli ottenere un salvacondotto che gli permise di fuggire in Togo72.
Kolingba, nel frattempo, delegando gran parte degli affari di governo a Mantion, preferì
occuparsi dell'esercito e dell'eliminazione dei propri oppositori. Nel portare a termine questi
obiettivi rispolverò l'antica inimicizia tra gente della savana e gente del fiume. Egli, infatti,
mise a ferro e fuoco i villaggi dell'etnia di Patassé, gli Mbaka, con la scusa che fossero tutti
dei collaborazionisti ed avessero protetto il leader dell'opposizione. Inoltre, nel riorganizzare
l'apparato statale e le forze armate, mise in tutti i posti chiave persone della propria etnia
69 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie ..., op. cit. pp. 5-6.70 Da allora le truppe francesi vennero soprannominate “barracudas”. Ivi, pp.6-7.71 Bokassa vivrà in esilio in Costa d'Avorio e dal 1983 in Francia. Nel 1986 tornerà in RCA dove sarà arrestato
e processato. Graziato, morirà nel 1996.72 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., pp. 7-8.
25
Yakoma, sebbene fosse estremamente minoritaria nel paese (5% circa)73.
L'ondata di democratizzazioni che negli anni '90 seguì alla fine della Guerra Fredda coinvolse
anche la RCA. Nel '91, sotto le forti pressioni dei francesi, che vincolarono gli aiuti allo
sviluppo all'apertura politica, una riforma costituzionale concesse il multipartitismo. Kolingba
ritrattò a più riprese le riforme, provvedendo a nuovi arresti e sospendendo le elezioni, ma
pressioni internazionali dagli Stati Uniti, dalla Francia e da un gruppo di rappresentanti di
paesi e compagnie operanti localmente denominato GIBAFOR (composta da Francia, USA,
Germania, Giappone, UE, Banca Mondiale e ONU), spinsero finalmente il generale ad
accettare. Nonostante gli ennesimi tentativi di sabotaggio, le elezioni ebbero luogo sotto lo
sguardo attento dell'ONU e, nel 1993, Ange Felix Patassé riportò la vittoria sconfiggendo al
secondo turno Abel Goumba74 e formando un governo di coalizione.
La Francia nel frattempo stava affrontando un periodo di ripensamento del proprio ruolo nelle
ex colonie dell'Africa francofona che l'aveva portata a cercare di disimpegnarsi da tale
scenario, anche se con molta cautela e senza farsi grandi illusioni sui processi di
democratizzazione in atto75. La nuova tornata elettorale, infatti, benché avesse segnato il
ritorno dell'alternanza, darà inizio ad un periodo di instabilità e al fallimento totale dello
Stato, problemi che saranno alla base anche degli scontri cominciati nel 2005. Inoltre, con
Patassé verrà ancor più esacerbato l'antagonismo tra nord e sud del paese; difatti egli è il
primo presidente appartenente ad una tribù settentrionale, i Sara-Kaba, che, come già fece il
suo predecessore con la propria etnia, cercherà in ogni modo di avvantaggiare. Questo
processo risulterà oltremodo evidente nell'epurazione dalla Guardia Presidenziale (GP)
dell'elemento Yakoma, relegato all'esercito e quindi privato dei privilegi di cui godeva nella
precedente posizione. Questi rimaneggiamenti costruiranno un antagonismo tra FACA (Forze
Armate centrafricane) e Guardia Presidenziale che a lungo minaccerà la stabilità del
Governo76. Simbolo della divisione che colpisce il paese è la città di Bangui il cui viale
principale, viale Boganda, separa gli abitanti provenienti dal nord da quelli originari del sud a
partire dagli scontri del '9777.
Un altro problema che Patassé dovette affrontare era quello degli stipendi degli impiegati
pubblici e dei militari. Furono pagati arretrati per 12 mesi, ma non tardarono ad accumularsi
73 Quando lascerà il governo del paese nel '93 il 70% dell'esercito sarà costituito da Yakoma. Ibid.74 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit. p.8.75 Ivi, p. 9.76 Ivi, pp. 11-12.77 FIDES, "Central African Republic. Patassé re-elected: Justice and Peace Bishop – we sit on a time-bomb!", 8
ottobre 1999 (www.fides.org).
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nuovi ritardi e vecchi scontenti. A questo si sommò l'errore di considerare il mandato
elettorale come un assegno in bianco che permetteva ogni abuso di potere, crimine politico ed
appropriazione indebita di denaro pubblico. La promulgazione di una nuova Costituzione nel
'95 non servì a garantire inoltre le libertà politiche e civili tanto attese. Ben presto il disagio
sociale sfociò in un colpo di mano dell'esercito. Alcune centinaia di soldati e qualche
sottufficiale occuparono e saccheggiarono la capitale per ben due volte nel corso del 1996
lamentando arretrati nel pagamento dei salari e una fondamentale disuguaglianza tribale nelle
fila dell'esercito. La Guardia Presidenziale e le truppe francesi intervennero, costringendo
Governo e manifestanti a scendere a patti. Venne così formato un Governo di unità nazionale
sotto la guida di Jean-Paul Ngoupandé, segretario generale dell'ex partito unico e ministro
sotto Kolingba. Furono previsti dei piani di riforma dell'esercito che vennero tuttavia interrotti
da una terza rivolta, scoppiata nei quartieri a sud della capitale nel novembre successivo.
Anche questa volta la ribellione fu domata dalle truppe francesi, rinforzate da contingenti
provenienti dal Ciad, che in un'azione di rappresaglia si macchiarono dell'uccisione di alcuni
civili. Il fatto rispolverò in patria il pubblico dibattito sul ruolo della Francia nei confronti
delle ex colonie, mettendo l'Eliseo in dubbio sul da farsi. Da un lato, infatti, l'Accordo di
difesa concluso tra Parigi e Bangui all'indomani dell'indipendenza impegnava i francesi a
sostenere il paese solo in caso di aggressione esterna78; inoltre, la costante presenza delle
forze armate dell'ex colonizzatore (i “barracudas”79) nell'area si prestava facilmente a nuove
accuse di neocolonialismo. D'altro canto, abbandonare al suo destino il primo governo
legittimo (e notoriamente anti-francese), benché già macchiatosi di numerosi abusi, avrebbe
scatenato l'opinione pubblica. Chirac decise comunque per il ritiro delle truppe dal paese, ma
ciò non sarebbe avvenuto prima di aver ristabilito un po' d'ordine a Bangui e aver passato il
testimone ad altri attori internazionali.
Un negoziato tra gli ammutinati, l'opposizione e il governo portò, grazie alla mediazione del
presidente del Mali Toumani Touré, agli Accordi di pace di Bangui (25 gennaio 1997), i quali
prevedevano un'amnistia, la restaurazione della legalità costituzionale e l'intervento di una
forza di pace80. Per evitare nuove accuse di ingerenza da parte dei “barracudas” francesi
Mali, Ciad, Gabon, Togo e Senegal si accordarono per inviare 750 soldati in seno alla forza
78 Vincent Munié, "En Centrafrique, stratégie française et enjeux régionaux. Une coopération militaire multiforme et contestée", Le Monde diplomatique, febbraio 2008.
79 Smith Stephen, "La Libye intervient dans les combats à Bangui", Le Monde, 06 novembre 2001 (www.lemonde.fr).
80 McFarlane Fiona, Malan Mark, Crisis and Response in the Central African Republic: A New Trend in African Peacekeeping?, African Security Review vol 7 n° 2, 1998.
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regionale di interposizione MISAB (Missione interafricana di sorveglianza degli accordi di
Bangui), quasi interamente finanziata da Parigi, che ne curò anche la logistica. Sarà nel corso
del 1997 che, con l'operazione “Cicogna”, le basi francesi verranno smantellate e gli uomini,
tranne 200 elementi a sostegno della MISAB e in attesa delle forze ONU, rimpatriati81.
Infine, nel marzo del 1998 il Consiglio di Sicurezza adottò la Risoluzione 1159 con cui si
impegnava a mandare più di un migliaio di caschi blu per garantire la sicurezza a Bangui e
per monitorare lo svolgimento delle elezioni. In aprile, quindi, le forze della MISAB
passarono il testimone alla missione delle Nazioni Unite MINURCA e, l'anno seguente, il 28
febbraio, anche gli ultimi 200 militari francesi lasciarono il paese.
Nel frattempo Patassé, nel tentativo di riprendere il controllo della forza legittima e di
garantire la propria sicurezza, creò due nuovi corpi armati che approfondiranno la rottura tra
nord e sud. Agli ordini di Martin Koumtamadji, conosciuto anche come Abdoulaye Miskine82,
rispondeva una forza speciale incaricata di riappacificare il nord e mettere fine al banditismo
(zaraguinas83). Le organizzazioni locali per la salvaguardia dei diritti umani riportarono
notizie di esecuzioni e crimini di guerra commessi dagli uomini di Miskine. Una seconda
milizia di mercenari ed agenti privati inviati dalla Francia andò a costituire la guardia del
corpo personale di Patassé, soprannominata Karako (“arachide”, un riferimento alla cultura
alimentare del nord)84.
A seguito delle elezioni legislative l'opposizione guadagnò la maggioranza in Parlamento, ma
Patassé, riconfermato alla presidenza nelle discusse elezioni del 1999, aggirò il problema
legiferando tramite decreto. Benché poi le forze internazionali avessero apparentemente
riportato l'ordine nel paese, il disagio sociale non aveva fatto che crescere, alimentato
dall'insicurezza e dal totale fallimento dello Stato. Gli arretrati dei salari della Pubblica
Amministrazione ormai ammontavano a più di due anni e dal 2000 ricominciarono gli
scioperi e le manifestazioni contro il Governo85. Alla fine del mandato della missione
MINURCA (1° aprile 2000) a sorvegliare su quel caos non era rimasto che un ufficio di civili,
il BONUCA (Bureau des Nations Unies en Centrafrique), privo di qualsiasi mezzo
d'intervento e ritenuto alquanto inefficiente86.
Come già avvenuto in passato, le forze dell'opposizione chiesero le dimissioni del Presidente
81 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 12.82 Leader del FDPC (Front démocratique du peuple centrafricain), una delle forze ribelli coinvolte negli scontri
del 2006-2008.83 Banditi armati conosciuti anche col nome di “coupeurs de route”.84 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 11.85 Ivi, p. 12.86 Intervista a Sabrina Munao, op. cit.
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e si coalizzarono per preparare un cambiamento politico non-violento. Ciò nonostante, il
processo democratico era definitivamente compromesso e furono i metodi violenti a
prevalere: nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2001 un primo colpo di stato rivendicato dal
generale Kolingba fu sventato in extremis, ma tremende rappresaglie si abbatterono sul
gruppo etnico Yakoma a cui apparteneva, facendo un totale di 300 vittime accertate. Per
sconfiggere i ribelli che avevano assediato il palazzo presidenziale accorsero in aiuto alla GP
un contingente di soldati libici87 armati pesantemente e circa 700 militanti del Movimento di
Liberazione del Congo (MLC)88, agli ordini di Jean-Pierre Bemba89. Questi ultimi tra il 2002 e
il 2003, richiamati da Patassé per far fronte ad un nuovo colpo di stato, si macchiarono di
crimini efferati, stupri, saccheggi, uccisioni, che portarono la Corte Penale Internazionale ad
emettere un mandato d'arresto per Bemba con l'accusa di crimini di guerra e contro
l'umanità90.
La presunta rivendicazione non esaurì le ricerche sui veri autori del golpe e le inchieste si
abbatterono su diversi membri del Governo, tra cui il Ministro della Difesa Jean-Jacques
Damafouth91, che stava cercando di riformare le FACA diminuendone il numero e riducendo i
disequilibri tra etnie. Damafouth fu scagionato, ma il suo progetto rimase incompiuto92. La
seconda vittima della commissione di accertamento sul colpo del 28 maggio fu François
Bozizé. Destituito dalla carica di Capo di Stato maggiore delle Forze Armate e messa al
bando la chiesa evangelista da lui fondata93, il 3 novembre i militari si presentarono alla porta
della sua abitazione con un mandato d'arresto. Il generale riuscì però a rifugiarsi in una vicina
caserma grazie alla fedeltà di alcune delle sue truppe e da lì tenne testa alla GP e al
contingente libico rifiutando la resa. Dopo quattro giorni di assedio, durante un tentativo di
irruzione delle forze lealiste, Bozizé riuscì a scappare in Ciad e i suoi uomini trovarono
87 Gheddafi si sostituisce alla Francia – che non si dimostra contraria – nel ruolo di “gendarme” d'Africa. In RCA cercherà di disimpegnarsi il prima possibile, non avendo ottenuto grandi vantaggi, ma solo continue richieste d'aiuto militare e finanziario. Strategicamente, però, il sostegno a Patassé apre un secondo fronte agli attacchi verso il Ciad, dove il leader libico sostiene una ribellione nel'Ennedi, regione nord-orientale del paese, contro Deby. Quest'ultimo, d'altra parte, sosterrà le milizie di Bozizé.
88 Costituiti in gran parte da ex combattenti delle forze armate di Mobutu e nuove reclute, tra cui si contano anche dei minori.
89 Smith Stephen, "La Libye …", op. cit.90 L'inchiesta portata avanti dalla CPI ha attestato almeno 600 stupri commessi nei confronti di di civili,
compresi anziani, bambine e uomini. Inoltre, sono state evidenziate le aggravanti di violenze perpetrate in pubblico, davanti a terzi e obbligando parenti e vicini a prendervi parte. Comunicato stampa della Corte Penale Internazionale, Ufficio del Procuratore 22 maggio 2007 e scheda d'informazione generale sulla situazione in Repubblica Centrafricana e sul lavoro portato avanti fino ad oggi dall'Ufficio del Procuratore.
91 Anch'egli sarà protagonista degli scontri del 2006 in qualità di leader dell'APRD (Armée populaire pour la restauration de la république et de la démocratie).
92 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., pp. 12-14.93 Le Christianisme céleste Nouvelle Jérusalem.
29
rifugio a nord, al confine con quello Stato94. Questa regione diverrà un focolaio di instabilità,
nelle mani di banditi, mercenari ciadiani e delle milizie di Bozizé; nonostante non siano state
presentate accuse a suo carico, infatti, testimoni riportano di violenze e saccheggi anche da
parte loro95.
In occasione dell'anniversario della destituzione di Bozizé, il 25 ottobre 2002 le sue truppe
scatenarono un nuovo conflitto nei quartieri periferici di Bangui, presso l'aeroporto. I sospetti
sull'appoggio del Ciad ai ribelli sono confermati dall'inaspettata fuga di Bozizé, confinato in
Francia, a N'djamena. Le autorità ciadiane negarono tale sostegno, ma gli equilibri regionali
mostravano l'evidenza degli allineamenti: Bozizé era appoggiato del governo di Kinshasa e
del Ciad, allora in conflitto per la regione dell'Ennedi con la Libia, la quale invece aiutava
Patassé e Bemba96. Ancora una volta la ribellione fu sedata con l'aiuto dei congolesi e dei
libici, ma la base del potere di Patassé si stava velocemente sgretolando e il suo Governo
aveva ormai i giorni contati.
Parigi chiese l'apertura di un dialogo nazionale97, ma, avendo Patassé rifiutato la
partecipazione di Bozizé, l'iniziativa restò lettera morta. Il Presidente aveva avuto l'ardire di
chiedere all'Eliseo di inviare un sostegno militare, che gli fu negato; Parigi invece convinse
Gheddafi a ritirare il suo contingente, sostituito nel dicembre del 2002 da circa 300 uomini
della FOMUC, missione di pace della CEMAC (Communauté économique et monetaire de
l'Afrique Centrale). In compenso il Presidente si lanciò alla riconquista – con successo - della
regione settentrionale, roccaforte dei ribelli98.
Se non si può ancora confermare l'esistenza di un piano per rovesciare Patassé99, certo risulta
straordinaria la convergenza di interessi che portò i principali attori dell'area a sostenere
l'azione di Bozizé. Il Ciad, che aveva denunciato rappresaglie contro i propri cittadini durante
la riconquista del nord da parte delle truppe governative centrafricane, mise a disposizione del
capo dei ribelli alcuni elementi della Guardia Presidenziale; Kabila contribuì con delle
94 Champin Christophe, "Nouvelle épreuve de force", RFI, 5 novembre 2001, (www.radiofranceinternationale.fr).
95 Saccheggi di tutti gli edifici apparentemente più moderni, compresi ospedali e parrocchie, furti di auto ed elettrodomestici trasportati in Ciad e qualche più rara violenza sono riportati da molti testimoni oculari. La popolazione, inoltre, si è data alla fuga rifugiandosi nella boscaglia, priva di acqua, cibo e medicinali a causa delle strade bloccate dai ribelli. International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 15. e comunicati stampa MISNA 2002-2003 (www.misna.org).
96 Comarin Elio, "Guerre ouverte entre Bozizé et Patassé", RFI, 29 ottobre 2002 (www.radiofranceinternationale.fr).
97 Il dialogo nazionale era coordinato dal vescovo di Bossangoa, monsignor Paulin Pomodimo e avrebbe coinvolto come mediatore la Comunità di Sant'Egidio, che già aveva offerto i suoi buoni uffici in altri conflitti africani.
98 International Crisis Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 15.99 Ivi, pp. 15-16.
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forniture di armi e Denis Sassou Nguesso finanziò l'operazione. Anche il Presidente gabonese
Omar Bongo diede il suo consenso. Per parte sua, la Francia non ostacolò gli eventi, inviando
solo con lo scopo di difendere i propri cittadini un contingente di 200 uomini (operazione
“Boali”100).
Il 15 marzo 2003, dopo aver riconquistato tutte le città sulla via che porta dal Ciad alla
capitale, le truppe ciadiane al comando di Bozizé entrarono a Bangui, prendendo il potere
senza incontrare resistenza101. Patassé, infatti, si trovava all'estero e, nonostante i suoi appelli,
né la CEMAC né i francesi si opposero al cambio di regime. Un ulteriore invio di soldati da
N'djamena fu necessario per fermare le razzie a cui si abbandonarono alcuni abitanti di
Bangui ed i mercenari ciadiani102. Di questi, circa 150 rimasero nelle file della FOMUC per
una missione di peacekeeping. In luglio la situazione si normalizzò e anche la Francia
riconobbe il nuovo regime.
Anche a seguito di questo nuovo colpo di stato i problemi del paese rimasero gli stessi.
Innanzitutto l'avvicendarsi al potere e all'opposizione degli stessi personaggi da quarant'anni e
più evidenziò (ed evidenzia ancor oggi) un mancato rinnovo della classe politica e, quindi,
una mancanza di volontà nel voler realmente risollevare le sorti del paese. Se Dacko, infatti,
era tornato ben due volte al potere, i suoi successori hanno sempre avuto parte nei governi che
li avevano preceduti: Patassé aveva servito sotto Bokassa, Kolingba aveva contribuito a
destituire Dacko e lo stesso Bozizé aveva preso parte al tentativo di rovesciare Kolingba
nell'82 a fianco di Patassé. Da qui ne deriva una gestione “personale”103 dei momenti di crisi,
piuttosto che cercare le radici profonde nel sottosviluppo e nel malgoverno. Un secondo
problema è costituito dalle forze armate: la polarizzazione etnica, i ritardi nel pagamento dei
salari e l'antagonismo alimentato da Kolingba e Patassé tra Guardia Presidenziale e FACA
non ne hanno certo fatto uno strumento efficace per mantenere la sicurezza nel paese. Inoltre,
l'intervento di milizie esterne ciadiane e congolesi, il cui stipendio era costituito dal bottino di
guerra, non ha contribuito a semplificare la situazione. A questo si riallaccia la spinosa
questione dell'ingerenza degli Stati vicini in una realtà in cui le frontiere sono praticamente
inesistenti e mal controllate. La Francia poi, che in passato ha avuto un ruolo importante nel
100Rinnovata nel giugno 2007.101Tre uomini della FOMUC morirono nel difendere l'aeroporto, mentre altri tra di essi e i membri delle FACA
misero panni civili o si unirono agli insorti.102Furono rubati auto e mezzi di trasporto dai concessionari, da privati e da ONG ed organizzazioni
internazionali; i negozi e i magazzini vennero saccheggiati, compreso il centro del PAM che conservava aiuti umanitari per la popolazione del centro del paese. Gli abitanti di Bangui che non si diedero allo sciacallaggio si chiusero in casa o fuggirono dalla città, rientrando solo con la normalizzazione della situazione.
103MISNA, “Un colpo di stato dietro l'altro, ma nessuno vuol rimuovere i veri mali del paese”, 19 novembre 2002 (www.misna.org).
31
dirigere gli eventi, non ha perso la sua influenza sulla regione, ma, a differenza dei primi
decenni, questa si esplica più nell'inazione che in un contributo positivo. Infine, un dato che
avrà molto peso nei conflitti che attanaglieranno il paese nel nuovo millennio: l'esacerbazione
della storica opposizione tra nord e sud e il saccheggio delle prefetture nel settentrione del
paese, un tempo le più popolose e ricche, lascerà un'impronta negativa sui suoi abitanti,
foriera di cattivi presagi.
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CAPITOLO II. LA PRESIDENZA BOZIZÉ E GLI SCONTRI DEL 2005-2008
“Quand les éléphants se battentc'est l'herbe qui souffre”
(Proverbio centrafricano)
§ 1. Il governo Bozizé
Dopo circa cinquant'anni di regimi dittatoriali e malgoverno, l'arrivo di Bozizé fu visto come
un'occasione per svoltare pagina e parte della popolazione scese in piazza il 28 marzo per
dimostrargli il proprio appoggio.
Inizialmente sembrava che questi fossero i propositi anche di quella che fu chiamata dallo
stesso leader l'"insurrezione popolare del 15 marzo”104. Giungendo a Bangui Bozizé infatti
aveva annunciato un programma di ricostruzione della Nazione a cui avrebbero partecipato
tutte le forze politiche che avevano sostenuto l'insurrezione del 15 marzo. I principali punti di
tale progetto erano:
• il proseguimento delle discussioni con le istituzioni di Bretton Woods al fine di giungere ad un programma di post conflitto.
• La riunificazione e la ristrutturazione dell'armata nazionale.• Un vasto programma di disarmo di tutte le regioni del paese.• La ristrutturazione e rivitalizzazione dell'amministrazione.• Il risanamento dell'economia finanziaria.• Un maggiore impegno nella lotta all'HIV.• La preparazione e la realizzazione in tutta trasparenza delle diverse scadenze elettorali
a venire105.
Per portare a termine tale progetto il generale, con un primo atto costituzionale emesso il
giorno stesso del golpe, si autoproclamò Presidente, sciolse il Parlamento ed il Governo e
sospese la Costituzione. Un secondo atto demandò alla sua persona i poteri esecutivo e
legislativo e lo rese garante dell'indipendenza di quello giudiziario, nonostante la nomina dei
magistrati dipendesse comunque da una sua decisione. Questi provvedimenti vennero
motivati dalla “gravità degli avvenimenti che rendono impossibile il regolare funzionamento
dello Stato”, dalla “necessità di mantenere l'ordine pubblico” e dall'”urgenza”. Lo stato
104International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op.cit., p. 16.105Primo discorso alla Nazione del Generale Bozizé all'indomani del colpo di stato del 15 marzo 2003, in
Fédération Internationale des ligues des Droits de l'Homme (FIDH), Quelle justice pour les victimes de crime de guerre?, Missione internazionale d'inchiesta rapporto n° 382, febbraio 2004, p. 37 (www.fidh.org)
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d'eccezione, pur nel formale rispetto della normativa interna ed internazionale, durerà ben
oltre queste condizioni di instabilità che l'avevano inizialmente giustificato e nei seguenti
diciotto mesi darà luogo a molteplici violazioni dei diritti dell'uomo106.
Il 3 aprile Abel Goumba fu nominato Primo Ministro (verrà sostituito in dicembre da Leroy
Gaombalet) del Consiglio nazionale di transizione (CNT) i cui principali compiti erano
stendere una bozza per la nuova Costituzione, preparare le future elezioni generali ed assistere
il Presidente della Repubblica nelle sue funzioni legislative. Tale Consiglio aveva funzione
puramente consultiva, ma rappresentava un ventaglio piuttosto ampio della società: vi erano
esponenti di partiti politici, sindacati, confessioni religiose, organizzazioni per la difesa dei
diritti umani, elementi dell'esercito, della magistratura e del mondo economico. Di fatto venne
a sostituire il Parlamento nelle sue funzioni107.
Al Governo partecipavano anche esponenti del Coordinamento dei partiti politici
d'opposizione (Cppo)108, ma il potere reale era nelle mani di Bozizé e dei suoi prossimi, ossia
membri della stessa famiglia o dello stesso clan Gbaya. Questo processo di monopolizzazione
familiare del potere e la sua forte personalizzazione non divennero immediatamente evidenti.
Il generale, infatti, in un primo tempo cooptò tutti coloro che potevano minacciare il suo
regime, oppositori compresi, ma nei posti chiave del governo e dell'economia mise sempre
uomini e donne di sua fiducia ed appartenenti al suo entourage. In ultima istanza durante il
regime transitorio era proprio Bozizé ad attribuire quasi tutte le cariche significative109.
Dopo le prime condanne del golpe, la comunità internazionale si adeguò alla situazione di
fatto e riconobbe il nuovo Governo. Alla ricerca di fondi per sanare il bilancio statale, Primo
Ministro e Ministro degli Esteri si impegnarono a garantire un ritorno all'ordine costituzionale
e al pluralismo politico, nonché una ristrutturazione dell'esercito e la lotta contro la
corruzione. Nell'ottobre del 2003 la Francia concesse circa 1 milione di euro in aiuti urgenti
per pagare i salari dei funzionari pubblici e un mese dopo fu la Cina a donare un altro milione
e mezzo per sanare le finanze dello Stato. Solo l'UE interruppe parte dei canali della
cooperazione allo sviluppo in attesa di vedere concretizzarsi le riforme promesse110.
La sopravvivenza del nuovo regime dipendeva quasi totalmente da potenze straniere. Dal
106FIDH, République centrafricaine: Etat de droit, respect des droits de l’Homme, lutte contre l’impunité: les actes essentiels restent à poser. Programme de coopération juridique et judiciaire rapporto n° 399, giugno 2004, p. 18.
107MISNA, “Varato Consiglio nazionale di transizione”, 8 aprile 2003. (www.misna.org)108Raggruppava 12 formazioni politiche che, dopo il golpe garantirono il loro appoggio al generale. MISNA,
“Truppe del Ciad per garantire sicurezza”, 19 marzo 2003 e “Partiti opposizione salutano leader golpista”, 20 marzo 2003 (www.misna.org).
109International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op.cit., p. 18.110FIDH, Quelle justice …, op.cit., pp. 24-25.
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punto di vista militare, Bozizé doveva molto ai suoi vicini ed in particolare a Déby e ai suoi
zaghawa, l'etnia a cui appartengono sia il presidente ciadiano sia la grande maggioranza dei
membri del suo entourage e delle sue guardie del corpo. Sotto il profilo economico, poi, la
RCA era totalmente dipendente dalle donazioni e dai finanziamenti stranieri, nonché dai
vincoli posti dalla Banca Mondiale al bilancio statale.
Come previsto già dal Governo Patassé, fu avviato nel corso del 2003 un Dialogo nazionale
per far luce sulla storia passata ed avviare una riconciliazione generale. Gli atti del Dialogo111
mettevano in luce la presa di coscienza della situazione disastrosa del paese, economicamente
in ginocchio, dilaniato dalla corruzione e dal malgoverno e in cui gli ostacoli alla libertà di
stampa e l'etnicizzazione dei partiti evidenziavano l'assenza di un solido stato di diritto.
Kolingba, Dacko e Bozizé riconobbero pubblicamente nel corso del Dialogo le proprie
responsabilità e chiesero perdono al popolo centrafricano, mentre a Patassé ciò non venne
permesso. Furono quindi adottate numerose raccomandazioni relative agli ambiti più svariati:
dalla sicurezza del paese alla ristrutturazione economica e finanziaria, dall'educazione alla
sanità, fino ai rapporti diplomatici. Fu confermato l'impegno ad indire elezioni generali al più
presto, a condizione che fosse però ristabilita la stabilità nelle province del nord, e si decise di
istituire una Commissione verità e riconciliazione per ricevere le istanze delle vittime ed
elaborare una legge di amnistia generale. Il numero di vittime dei crimini commessi sia dalle
forze a sostegno di Patassé sia dai ribelli di Bozizé tra il 2002 e il 2003 è difficile da
quantificare, perché alle violenze denunciate vanno aggiunte quelle taciute. Inoltre, per cinque
mesi la “zona rossa” occupata dai ribelli è stata inaccessibile alle organizzazioni umanitarie
che poterono vedere solo le conseguenze della carestia e delle epidemie che nel frattempo si
erano diffuse nella regione. Si stima infine che più della metà del paese sia stata in qualche
modo saccheggiata, privando dei mezzi di sostentamento le famiglie ma anche i luoghi di
produzione, a cui erano stati sottratti i macchinari indispensabili alla ripresa dell'attività
lavorativa112.
In considerazione del fatto che né la magistratura nazionale113 né la Commissione verità e 111Assemblea Generale, Consiglio di Sicurezza, Rapport de la Commission de consolidation de la paix sur sa
mission en République centrafricaine, du 30 octobre au 6 novembre 2008, 11 dicembre 2008 PBC/3/CAF/3 (www.un.org)
112FIDH, Crimes de Guerre en République Centrafricaine. “Quand les éléphants se battent, c’est l’herbe qui souffre”, Missione internazionale d'inchiesta rapporto n° 355, febbraio 2003.
113Il 23 aprile Bozizé aveva concesso l'amnistia a tutti gli autori dei colpi di stato contro Patassé. In maggio, invece, era stata aperta un'inchiesta giudiziaria sui crimini commessi da Patassé e altri, a cui l'ex presidente risponderà presentando una denuncia a carico di Bozizé, in breve tempo archiviata. Il giudice istruttore rinviò il caso “Patassé e altri” al Tribunale Penale di Bangui con le accuse di crimini di sangue e appropriazione indebita di denaro pubblico. Infine la Corte d'Appello decise di separare le accuse di crimini di sangue e appropriazione indebita di denaro pubblico rivolte a Ange Félix Patassé, Abdoulaye Miskine, Paul Barril e Victor Ndoubabe,
35
riconciliazione – peraltro mai creata - erano state in grado di fare giustizia, la Federazione
Internazionale delle leghe dei Diritti dell'Uomo (FIDH), allertata dalla Lega centrafricana per
i Diritti umani114, inviò alla Procura della Corte Penale Internazionale (CPI) una
comunicazione perché fosse aperta un'inchiesta115. Secondo le ricerche della FIDH, Ange
Patassé, Jean Jacques Damafouth, Abdulaye Miskine e Bemba, si erano macchiati di crimini
di guerra contro civili, in particolare di esecuzioni di massa, di omicidi, stupri e saccheggi
“d'une façon massive et systématique”116. Secondo la Federazione anche Bozizé è imputabile
di violenze contro civili, ma finora per mancanza di prove nessuna inchiesta è stata ancora
aperta né a livello nazionale né dalla CPI, nonostante quest'ultima abbia in seguito preso
l'impegno di monitorare la situazione relativa anche agli scontri di quest'ultimo
quinquennio117. A seguito del rapporto della FIDH “Crimes de Guerre en République
Centrafricaine” del febbraio 2003 il nuovo Governo decise di ricorrere alla CPI nella
speranza di un ritorno d'immagine alla vigilia delle elezioni generali e demandò a questa la
competenza per giudicare gli autori di crimini internazionali commessi sul suolo centrafricano
dopo il 1° luglio 2002, ossia tutte le accuse riguardanti delitti di sangue rivolte a Patassé, a
Bemba e ai suoi banyamulengues (nome dato alle sue truppe), a Barril, Miskine118, Gan-Befio,
Ndoubabe e ai loro sottoposti119.
Nei mesi seguenti il golpe si cercò di tornare a garantire l'ordine e la sicurezza nel paese, che,
a detta del generale stesso, “era divenuto una vera polveriera”120. Il compito era affidato in
primo luogo alla FOMUC, la quale, nell'ambito del proprio mandato di peacekeeping,
deferendo i crimini di guerra alla CPI e il peculato e la corruzione ai tribunali nazionali. Il Procuratore generale di Bangui il 24 novembre 2004 decretò infatti che "les infractions touchant la personne humaine autrement appelés crimes de sang seront jugées par la Cour pénale internationale et les détournements de deniers publics par la Cour criminelle de la République centrafricaine" (le infrazioni che riguardano la persona umana altrimenti chiamate crimini di sangue saranno giudicati dalla Corte penale internazionale e l'appropriazione di denaro pubblico dalla Corte penale della Repubblica).
114La FIDH aveva portato avanti un progetto di formazione del personale delle ONG in difesa dei diritti umani e di alcuni esponenti del sistema giudiziario per approfondire i temi dell'impunità giudiziaria, dello stato d'eccezione, del funzionamento della CPI e del rafforzamento dello stato di diritto. Ciò ha permesso di prendere coscienza degli strumenti, soprattutto a livello internazionale, disponibili per rispondere alle richieste delle vittime e di qualificare come “crimini internazionali” alcune violazioni commesse durante la guerra civile.
115Tuttavia, non essendo ancora stato nominato un Procuratore, il rapporto non darà seguito ad un'inchiesta fino alla richiesta diretta del governo centrafricano.
116“In maniera massiccia e sistematica” FIDH, Quelle justice …, op.cit.117Ufficio del Procuratore, Comunicato stampa della Corte Penale Internazionale, 22 maggio 2007.118Miskine verrà incriminato in particolare per le esecuzioni sommarie commesse dalle sue truppe il 30 e 31
ottobre 2002 presso il mercato del bestiame lungo la strada per Boali al PK12 (Poste kilométrique).119Il ricorso del Governo centrafricano alla CPI data 23 dicembre 2004, mentre il Procuratore della CPI
annuncia la ricezione della richiesta il successivo 7 gennaio. FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition politique sur fond d’impunité. Quelle réponse apportera la Cour pénale internationale?, Missione internazionale d'inchiesta rapporto n° 410, febbraio 2005
120FIDH, Quelle justice... op.cit., p. 37.
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svolgeva compiti ordinari di polizia e preparava la messa in sicurezza del processo elettorale,
assistita in questo dal battaglione francese Boali. Per quanto riguarda, invece, la protezione
del capo dello Stato, essa era affidata in primo luogo a trenta militari ciadiani e,
secondariamente, ai compagni dell'impresa di marzo, identificati come “patrioti o
liberatori”, che si abbandonarono ad estorsioni e delitti nei confronti di una popolazione che
consideravano “loro debitrice”. I responsabili di tali azioni solo raramente furono portati in
giudizio e condannati, poiché il generale Bozizé temeva di creare dissapori all'interno della
Guardia Presidenziale e perché – arrivò a dichiarare - “questo tipo di fenomeno è inevitabile
in situazioni post guerra”121. Le FACA (circa 4000 elementi), invece, subirono un processo di
ristrutturazione attentamente guidato dai militari francesi e diretto prima da Jean-Pierre Pérez,
ultimo comandante dei “barracudas”, e poi dal generale Henri-Alain Guillou. Infine fu
vietata la detenzione illegale di armi, anche se scarsa era la possibilità di effettuare
controlli122.
Nonostante i tentativi di riforma dell'esercito, l'insicurezza rimase uno dei problemi più gravi
nel paese, soprattutto nelle regioni a nord-ovest e nord-est. Nelle prefetture dell'Ouham,
dell'Ouham Pendé e di Nana-Mambéré, nei pressi delle città di Bossangoa, Markonda e Bouar
i “coupeurs de route” o “zaraguinas”123 attaccavano incessantemente le popolazioni locali
saccheggiandone i villaggi, prelevando il bestiame e rendendo insicure le vie di
comunicazione. I banditi erano principalmente ciadiani, ma vi partecipavano anche
centrafricani ouda e anagamba. In alcune città al confine col Ciad, inoltre, si verificarono
rapimenti di bambini per ottenerne riscatti. A peggiorare le cose, la permeabilità delle
frontiere favoriva (e favorisce) la proliferazione e la diffusione di armi leggere, oltre alle
incursioni incontrollate di elementi provenienti dal Ciad e dal Sudan, che contribuivano alla
generale sensazione di insicurezza nel paese124. Nella zona attorno a Birao furono condotti
numerosi attacchi da parte di individui pesantemente armati provenienti dal vicino Sudan,
impegnati in conflitti tribali. L'Ufficio di coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni
Unite (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, OCHA) spiegava
questa instabilità generalizzata anche con la presenza nel nord-est e nel nord-ovest di circa
121FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées : la double peine des victimes de crimes internationaux, Missione internazionale d'inchiesta rapporto n° 457, ottobre 2006, pp.50-51 per i casi dei sottufficiali Jean-Célestin Dogo, Olivier Koudemon alias Gbangouma e Yango Kapita.
122FIDH, Quelle justice... op.cit., p. 25.123Questi gruppi di banditi erano presenti nella zona già da 20 anni.124UN Human Rights Council, Report of the Representative of the Secretary-General on the Human Rights of
Internally Displaced Persons, Walter Kälin : addendum : mission to the Central African Republic, 18 April 2008, A/HRC/8/6/Add.1, (www.unhcr.org)
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700 soldati fuoriusciti dalle FACA, di alcuni elementi dell'ex unità di sicurezza presidenziale
di Patassé, dei combattenti del reparto di Miskine e di un centinaio di allievi esclusi dalla
scuola di gendarmeria che vivevano di saccheggi sulle spalle della popolazione locale. Già
prima dello scoppio delle ribellioni si ha notizia di crimini e violenze. L'assenza dello Stato in
queste regioni periferiche, infatti, faceva sì che l'arbitrarietà e la giustizia privata minassero
alla base lo stato di diritto125.
Per rispondere alla situazione di insicurezza del nord, già sotto Patassé era stato creato
l'Ufficio centrafricano di repressione del banditismo (OCRB, Office centrafricain de
répression du banditisme), ma i risultati dell'operato di questi reparti speciali furono molto
scarsi e spesso controproducenti, poiché anch'essi si abbandonavano a violazioni dei diritti
umani e crimini contro civili126.
L'instabilità politica e le crisi militari dal '96 in poi avevano causato una recrudescenza,
soprattutto nelle zone più popolose e colpite dal conflitto come l'Ouham e l'Ouham Pendé, di
malattie ed epidemie, spesso aggravate dalla malnutrizione. La difficoltà nel raggiungere
queste zone da parte delle ONG rese ancor più difficoltoso cercar di far fronte a tali
emergenze sanitarie. Anche dal punto di vista economico la situazione non era migliorata,
visto che i donatori ormai esigevano riforme draconiane prima di mettere nuovamente a
disposizione i loro soldi per sconfiggere l'estrema povertà del paese.
Se l'indice di sviluppo umano (HDI) era diminuito rispetto al 2000, il PIL non fu da meno e in
molte zone nel 2004 si viveva con molto meno di un dollaro al giorno. Le continue guerre
civili segnarono inoltre la demografia della RCA, costringendo la popolazione delle regioni in
conflitto a migrazioni di massa verso altre prefetture o all'estero. Nel 2004 molti centrafricani
erano ancora rifugiati nei campi dell'UNHCR in Ciad, impossibilitati a tornare alle loro case a
causa dell'insicurezza delle strade. Le prefetture più colpite furono, secondo il censimento
provvisorio del 2003, l'Haut-M'bomou, l'Ouham Pendé, l'Ouham e il Nana-Gribizi127.
Tuttavia, la maggior parte di coloro che erano fuggiti in seguito ai combattimenti nella
capitale del 2001 e 2002 (circa 80.000 persone) erano tornati alle loro case, come anche i
200.000 sfollati128 causati dal colpo di stato del 2003. Se nel primo caso la maggior parte della
125FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition..., op. cit., p. 7.126Ivi p. 22. E' da notare che dal marzo del 2003 il Governo, con l'appoggio del BONUCA, ha messo sotto
controllo l'OCRB perché episodi di tortura, detenzione illegale ed esecuzioni extragiudiziarie non avvenissero più.
127FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition..., op. cit., p. 9.128Ricordiamo la differenza tra rifugiati e sfollati: i primi sono coloro che, appellandosi alla Convenzione di
Ginevra sui diritti dei rifugiati del 1951, lasciano il proprio paese perché vittime o nel fondato timore di una persecuzione per motivi etnici, religiosi ecc. I secondi, invece, si spostano dal luogo di residenza per un conflitto o una calamità naturale, ma senza abbandonare lo Stato di cui hanno la cittadinanza, e non sono
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popolazione coinvolta risiedeva a Bangui ed aveva trovato rifugio presso privati
nell'immediata periferia della città, le conseguenze del golpe di marzo ricaddero
principalmente sulle regioni dell'Ouham, Ouham-Pendé, Nana Gribizi, Kemo e Ombelle
Mpoko, gettando le basi per un'insicurezza dilagante129.
Frattanto, l'economia del paese era in ginocchio: i saccheggi e l'abbandono dei posti di lavoro
per fuggire al riparo nella boscaglia non avevano lasciato che una ventina di aziende in grado
di riprendere la produzione. Ma, nel momento in cui una ricostruzione di tutti i settori era
estremamente necessaria, le casse dello Stato languivano. L'FMI nel luglio 2004, nonostante
le negoziazioni con le maggiori istituzioni finanziarie internazionali non avessero ancora
portato ad un accordo, approvò un credito di 8,2 milioni di dollari nel quadro dell'assistenza
post conflitto. Tale credito fu vincolato alla riduzione dell'apparato amministrativo, alla lotta
contro la corruzione e alla ristrutturazione del sistema di finanziamento interno. Secondo
alcuni analisti il bilancio statale avrebbe potuto essere rifinanziato grazie all'esportazione dei
diamanti. Nonostante ciò, la mancanza di riforme nel codice minerario e l'assenza di mezzi
per certificare la provenienza delle pietre - secondo quanto richiesto dal processo di
Kimberley - resero l'impresa assai ardua. Il settore del legno, in condizioni meno disastrose,
era tuttavia sottoposto ad una redistribuzione delle concessioni che ne rallentava la redditività.
L'economia di piantagione e di sussistenza, infine, aveva ricominciato a dare i primi frutti,
ma, in generale, le ricchezze del Centrafrica erano - e sono - sfruttate ampiamente al di sotto
delle loro possibilità per mancanza di macchinari e tecnologie adatte. A ciò si aggiunga che
molte concessioni sono in mano a piccole élites, poco interessate a creare uno stato di diritto
che possa garantire uno sviluppo sostenibile130.
Nel rispetto degli impegni presi all'indomani del colpo di stato e nell'ambito del Dialogo
Nazionale venne istituita una Commissione elettorale mista indipendente (CEMI) col compito
di organizzare e supervisionare lo svolgimento delle elezioni presidenziali, legislative,
regionali e municipali oltre che le consultazioni referendarie. Il nuovo Codice elettorale
prevedeva, inoltre, la creazione di una Corte costituzionale di transizione responsabile del
regolare svolgimento del voto e di proclamarne i risultati. La designazione del presidente di
tale Corte da parte del capo di stato fece sorgere non poche critiche, ma, grazie alla pressione
internazionale e al delicato equilibrio con il CNT, tutte le procedure si svolsero con una
protetti da un'equivalente legislazione internazionale.129UN Human Rights Council, Report of the Representative …, op. cit.130FIDH, Quelle justice …, op. cit., p. 24.
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discreta trasparenza131.
Il 5 dicembre 2004 si tenne il referendum popolare che portò all'adozione della nuova
Costituzione132, negoziata tra il Governo e il CNT133, il quale aveva chiesto la riduzione del
mandato presidenziale a 5 anni rinnovabili una sola volta e l'attribuzione di maggiori poteri al
Primo Ministro. La Corte costituzionale di transizione annunciò la vittoria dei “sì” con una
percentuale dell'87,2% e il 27 dicembre Bozizé promulgò il nuovo testo senza che si
verificassero evidenti brogli o incidenti. I “no” furono numerosi solo nell'Ouham Pendé134.
La nuova Costituzione ristabilì le libertà civili e politiche nonché lo stato di diritto, ma, nella
realtà, sopravvissero casi di abusi di potere da parte delle autorità giudiziarie e di polizia. In
particolare sono state riportate testimonianze di arresti e detenzioni arbitrarie135, torture,
esecuzioni extragiudiziarie136 e violazioni dei diritti degli imputati ad una difesa e ad un giusto
processo, spesso giustificate con la lentezza e la corruzione degli apparati giudiziari.
Se nel corso dell'approvazione del testo costituzionale le manipolazioni del Presidente non
furono lampanti, durante il processo elettorale Bozizé tentò – senza per altro riuscirvi appieno
– di eliminare i suoi principali concorrenti nella corsa alla massima carica dello Stato.
Inizialmente, infatti, la Corte costituzionale di transizione aveva respinto le candidature di 7
su 12 rivali del generale137, ma alla fine solo Patassé138 fu escluso dallo scrutinio grazie alla
mediazione del Presidente gabonese Omar Bongo. Così, nonostante la condanna quasi
unanime del colpo di stato del marzo 2003, la comunità internazionale si impegnò a finanziare
e sostenere il processo elettorale che avrebbe legittimato il nuovo potere. Il Programma delle
Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUD nell'acronimo francese), gli aiuti bilaterali e soprattutto
l'Unione Europea – nonostante precedentemente avesse interrotto i canali della cooperazione
con la RCA – fornirono i materiali, gli esperti e i mezzi di trasporto139.
131FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition ..., op. cit., p. 12.132Si tratta della sesta Costituzione dall'indipendenza del paese. Le frequenti sospensioni dei diritti
costituzionali non ne fanno uno strumento adeguatamente rigido per la tutela dei cittadini.133Le proposte del CNT sono state accettate da Bozizé solo in seguito a pressioni internazionali. Una prima
bozza firmata dal Presidente era infatti già stata pubblicata senza tali modifiche.134FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition ..., op. cit., p.8.135In particolare si ricorda il caso del generale Bombayaké, detenuto arbitrariamente dal 16 settembre 2004.
FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition ..., op. cit.136Ivi, pp. 22-23.137Si trattava delle candidature dell'ex presidente Patassé, del suo Primo Ministro dell'epoca Martin Ziguélé,
dell'ex Ministro della Difesa Jean-Jacques Démafouth, del vecchio Primo Ministro Jean-Paul Ngoupandé, degli ex ministri Charles Massi e Olivier Gabirault e del pastore Josué Binoua. Vennero invece convalidati i nominativi di Abel Goumba, André Kolingba, Auguste Boukanga, François Bozizé e Henri Pouzère.
138Patassé fu formalmente escluso perchè erano in atto procedimenti giudiziari contro di lui. Veniva quindi giudicata immorale la sua partecipazione alle elezioni. Tuttavia, la decisione appare più politica che di rigore giuridico poiché non vi era stata ancora una condanna definitiva e Damafouth, pur riammesso dalla Corte, aveva anch'egli dei processi pendenti.
139FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition ..., op. cit., p. 11.
40
Le elezioni generali si tennero nel maggio del 2005: il 24 la CEMI proclamò la vittoria al
secondo turno di Bozizé con il 64,4% dei voti su Martin Ziguelé. Le simultanee legislative
diedero la maggioranza relativa con 42 seggi su 105 alla coalizione di Bozizé, la Convergenza
nazionale Kwa Na Kwa (“il lavoro, nient'altro che il lavoro”), una piattaforma di partiti minori
di cui alcuni creati ad hoc per l'occasione. I principali partiti avversari, il MLPC (Mouvement
pour la libération du peuple centrafricain)140 e il RDC (Rassemblement démocratique
centrafricain)141 ottennero invece solo 19 seggi. L'Unione delle forze vive della nazione
(composta dal MLPC, dall'Alleanza per la democrazia e per il progresso, dal Fronte
patriottico popolare e dai sostenitori di Demafouth) avanzò l'accusa di frode. Furono infatti
registrate alcune irregolarità durante il censimento elettorale come documenti d'identità falsi,
iscrizioni doppie o di cittadini congolesi nelle liste dei seggi lungo l'Oubangui. Inoltre la
campagna elettorale fu condotta senza rispettare i tempi previsti dal Codice e con trattamenti
diseguali: i mezzi a disposizione di Bozizé – media, apparati di sicurezza e risorse finanziarie
– gli permisero di raggiungere ogni angolo del paese a differenza degli altri candidati142.
Bisogna dunque concludere che le elezioni del 2005 non possano essere considerate un
modello di trasparenza e correttezza, anche se gli osservatori internazionali ne accettarono
l'esito senza troppe discussioni.
La restaurazione della legalità costituzionale e della legittimità politica avevano fatto
rinascere la speranza di vedere il paese sollevarsi dalla grave crisi economica e di stabilità in
cui versava. L'FMI e la Banca Mondiale avevano segnalato i primi lenti segnali di ripresa,
anche se nessuno dei problemi maggiori – dalle finanze dello Stato agli arretrati salariali - era
stato ancora risolto. Una nota positiva del segretario Generale dell'ONU, inoltre, metteva in
luce come i dati macroeconomici mostrassero una crescita inaspettata nel PIL, nelle
esportazioni e nella produzione143.
Purtroppo, però, nel giugno 2005, poco prima dell'investitura ufficiale di Bozizé a Presidente
della Repubblica “la situazione della sicurezza [nel nord] si era brutalmente deteriorata”,
costringendo tra 12.000 e 15.000 persone ad abbandonare i propri villaggi per rifugiarsi nel
vicino Ciad nel tentativo di scappare a violenze e ribellioni in atto in quelle zone144.
140Partito fondato nel 1982 e a lungo dominato da Patassé.141Ex partito unico creato da Kolingba nel 1986.142FIDH, République centrafricaine: Fin de la transition ..., op. cit., p. 19.143FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées …, op. cit., p. 48. Se si tiene conto però del
regresso economico avvenuto negli ultimi dieci anni sarebbero necessari tassi di crescita ben più alti per tornare anche solo ai livelli degli anni '90.
144Consiglio di Pace e Sicurezza dell'Unione Africana, Nota informativa sulla situazione della sicurezza in Repubblica Centrafricana (RCA) e sulla visita nella regione di una missione dell'UA, 44esima riunione 29 dicembre 2005.
41
§ 2. Le ribellioni nel nord-ovest
Se ancora nell'autunno 2005 la missione d'inchiesta dell'Unione Africana in RCA non poteva
dichiarare con certezza “que l’insécurité qui persiste dans le nord de la RCA est le fait d’une
rébellion en gestation”145, risultava tuttavia chiaro che parte dei gruppi di banditi era formata
da militari rimasti fedeli a Patassé o da ex liberatori abbandonati da Bozizé, entrambi ben
disposti a partecipare a qualsiasi azione in grado di destabilizzare il Governo in carica. Gli ex
liberatori erano composti sia da truppe irregolari di origine ciadiana sia da disertori delle
FACA (circa 300) che seguirono Bozizé nella sua fuga verso nord dopo il 2001. Dei 1640
uomini armati che sostennero il colpo di stato di marzo 2003 fu possibile integrare nelle forze
armate regolari solo la metà di essi. Gli altri, ritenendo di non aver ricevuto il giusto
compenso, si abbandonarono ad estorsioni e crimini contro la popolazione di Bangui, finché
un accordo con il Presidente Déby non permise di accompagnarne circa 200 alla frontiera e di
integrarne altri nella società civile dopo aver pagato loro una discreta somma. Per evitare
ulteriori scontri con i cittadini o con i reparti regolari, i liberatori rimasti furono costretti ad
abbandonare la città, finendo per esportare l'instabilità nelle campagne146. Con il cambio di
regime, poi, la Guardia Presidenziale venne purgata dagli uomini ancora legati all'ex
presidente Patassé, lasciando sulla strada un numero abbastanza consistente di elementi con
un buon addestramento ma frustrati dall'aver perso i privilegi di cui prima godevano147. Le
attività di questi ex combattenti andarono ad aggravare alcuni fenomeni come quello dei
coupeurs de route o dei rapimenti. Secondo il rappresentante dell'UNHCR a Bangui, infine,
l'insicurezza era dovuta anche alla transumanza abusiva degli allevatori ciadiani che, armati o
difesi da milizie148, invadevano e distruggevano i campi dei contadini centrafricani non
rispettando i percorsi tradizionali riservati al passaggio del bestiame149.
Inizialmente si distingueva a malapena tra coupeurs de route e gruppi paramilitari con
rivendicazioni di tipo politico. In primo luogo erano le pubbliche autorità ad attribuire questo
stato di insicurezza a singoli elementi o a tensioni transfrontaliere, non riconoscendo il germe
della futura ribellione. Per far fronte al problema, quindi, misero in atto azioni limitate e mal
145“che l'insicurezza che persiste nel nord della RCA è il risultato di una ribellione in gestazione” Ibid.146Mehler Andreas, The Production of Insecurity by African Security Forces: Insights from Liberia and the
Central African Republic, GIGA Research Programme: Violence and Security, working paper n°144, novembre 2009, p.12.
147Ivi.148Intervista a Carlo Paolini, consulente per il progetto ECOFAC dell'Unione Europea.149FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu: D(é)s accords pour la paix au détriment des victimes, rapporto
n° 513f, dicembre 2008.
42
gestite, che non fecero che aggravare la situazione. Oltre all'OCRB (Office centrafricain de
répression du banditisme), il Governo dispiegò nella zona alcune unità delle FACA, ma in
numero insufficiente, mal equipaggiate e scarsamente motivate. Infine il Camerun posizionò i
suoi militari lungo la frontiera, la FOMUC creò nuove postazioni a Bozoum e Bria, mentre i
francesi offrirono un possibile sostegno aereo.
L'instabilità nel nord del paese prese una forma più organizzata e sistematica a partire dal
luglio del 2005, quando avvennero i primi attacchi diretti ai simboli del potere e contro le
FACA150. Quest'evoluzione è probabilmente dovuta sia all'esclusione di Patassé dalla
competizione elettorale sia al trasferimento dei militari ciadiani che pattugliavano il confine
con la RCA alla frontiera orientale del Darfur a causa dell'aggravarsi dei rapporti col Sudan151.
Il discorso ufficiale cominciò allora ad incrinarsi, anche se solo in seguito all'attacco del
villaggio di Paoua alla fine di gennaio del 2006 il Governo, per bocca del Presidente Bozizé,
ammise la presenza di rivendicazioni politiche legate all'ex presidente Patassé e di una
ribellione che ormai “minacciava […] l'integrità del territorio nazionale”152. La ricorrenza
150FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées …, op. cit., p. 52. 151International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 23.152FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées …, op. cit., p. 52.
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Nord-ovest della RCA (fonte: Nazioni Unite)
degli attacchi e delle controffensive, oltre alle tecniche militari utilizzate, dimostrano che si
era davanti ad un vero e proprio conflitto armato anche ai sensi del diritto internazionale.
Teatri del conflitto furono principalmente due zone: il nord-ovest e il nord-est. I primi segni
della ribellione coinvolsero le prefetture dell'Ouham e dell'Ouham Pendé dove, tra luglio e
settembre 2005, il villaggio di Markounda, la cittadina di Paoua e dintorni ed i paesi che
sorgono lungo la strada statale RN1 furono ripetutamente attaccati. I principali gruppi ribelli a
cui vennero attribuiti gli attacchi nel nord-ovest sono l'APRD (Armée populaire pour la
restauration de la République et la démocratie), il FDPC (Front démocratique du people
centrafricaine), l'UFR (Union des forces républicaines) di Florian Bédaya-Ndjadder e il
MPRC (Mouvement Patriotique pour la Restauration de la République Centrafricaine).
Il principale movimento ribelle, attivo nelle provonce dell'Ouham Pendé e del Nana-Grébizi
(in particolare nelle zone di Paoua e di Zaga-Bandoro), era l'APRD. Inizialmente era nato da
un piccolo gruppo armato organizzato da Adoum Rakis, ex liberatore abbandonato da Bozizé
al quale Patassé aveva offerto una considerevole somma per costituire un focolaio ribelle in
grado di destabilizzare il paese e rovesciare il governo. In seguito all'uso di buona parte della
somma da parte di Rakis e dei suoi prossimi per esigenze personali, l'ex-presidente favorì un
golpe interno che portò a capo del movimento il luogotenente Jean-Jacques Larmassoum,
anch'egli ex compagno di Bozizé escluso dalla spartizione del potere.
Al suo interno l'APRD sarebbe stato suddiviso in 6 gruppi su base territoriale, ciascuno sotto
la responsabilità di un suo rappresentante. Alcuni di essi sono stati identificati e si tratta di
Laurent Djim Wei per Paoua, Ngaounday e Bocaranga, Lakoué per Kabo e Kaga-Bandoro,
Félix per Markounda e Rufin per Ndim153. Il quartier generale del gruppo venne stabilito a
Maitikoulou154. Il movimento contava varie centinaia di elementi, uomini e donne, in gran
parte ex membri della GP di Patassé, ma anche alcuni gruppi di autodifesa dei villaggi155 e
persone in cerca di un modo per sopravvivere. Molti erano di etnia Sara-Kaba156. Gli
armamenti disponibili, secondo le osservazioni fatte dai militari delle FACA e da Human
Rights Watch, erano ridotti e abbastanza rudimentali (fucili automatici e armi da caccia).
Il gruppo criticava l'esclusione di Patassé dalle elezioni e dichiarava di mirare più che a
153FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p.15.154FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées …, op. cit., p. 55.155I primi gruppi di autodifesa sono stati segnalati nel 2007. Inizialmente creazione spontanea degli abitanti dei
villaggi, nel 2008 alcuni di essi sarebbero stati cooptati dal Governo dietro pagamento di una “compensazione” per l'impossibilità di coltivare i loro campi, divenendo quasi delle milizie filogovernative. FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu... op. cit., p.21.
156IRIN, “Central African Republic: Who's who with guns”, 17 giugno 2009.
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destabilizzare il governo in carica a Bangui ad un dialogo e alla spartizione del potere157.
L'APRD, che vantava l'appoggio di Patassé, avrebbe inoltre preso le armi per difendere la
popolazione dall'insicurezza dilagante e dalle violenze delle forze di sicurezza statali158.
Larmassoum e alcuni sostenitori e finanziatori dell'APRD furono arrestati al principio del
2006: il capo dell'APRD fu condannato all'ergastolo per ribellione, complotto, per aver
attentato alla sicurezza dello Stato, per omicidio, furto, saccheggio, distruzione di beni altrui e
detenzione illegale di armi159. Alcuni dei suoi compagni ricevettero dieci anni per furto e
saccheggio, mentre gli esponenti dell'MLPC che erano stati collegati al movimento ed
accusati di averlo finanziato vennero rilasciati dietro pressione della comunità
internazionale160. Dopo l'arresto di Larmassoum il luogotenente Ndjadder Mounoumbaye
assunse il comando delle operazioni sul campo. Il referente politico dell'APRD era Jean-
Jacques Demafouth, nominato alla testa del movimento nel marzo 2008, sebbene non sia
chiaro quanto controllo avesse realmente sul campo. Mehler sostiene che sia uno di quei
politici che all'ora di un Dialogo inclusivo saltarono sul carro dei vincitori, ritenendo che con
mezzi pacifici non si sarebbe ottenuto nulla161. All'APRD sono stati attribuiti gli attacchi di
Markounda (29 settembre 2005), Kabo (1 dicembre 2005), Bodjomo (28 dicembre 2005),
Beboura, Bémal e Paoua (29 gennaio 2006).
Il Front démocratique du people centrafricaine (FDPC), che risponde agli ordini di Martin
Koumtamadji alias Abdoulaye Miskine162, inizialmente controllava solo una piccola parte di
territorio alla frontiera col Ciad, a nord di Kabo, al centro della prefettura dell'Ouham.
Composto prevalentemente da ex partigiani di Patassé, firmò nel dicembre del 2006 un
accordo di cessate-il-fuoco a Syrte e nel corso del 2008 ingrossò le proprie fila e acquisì
maggior visibilità. Ritenendo che il Governo agisse in mala fede e non rispettasse gli impegni
presi con il Dialogo Inclusivo, nel 2009 ha ripreso gli attacchi colpendo le forze armate,
rubando armi e generi alimentari163.
Il movimento intendeva esplicitamente rovesciare il potere a Bangui e rivendicava maggiori
157Human Rights Watch, État d'anarchie. Rébellions et exactions contre la population civile, settembre 2007, p.6.
158Small Arms Survey project, A Widening War around Sudan, Sudan Issue Brief n°5, gennaio 2007.159Sarà liberato grazie alla legge generale di amnistia entrata in vigore nell'ottobre 2008.160FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées …, op. cit., p. 55.161Mehler Andreas, Reshaping Political Space? The Impact of the Armed Insurgency in the Central African
Republic on Political Parties and Representation, GIGA Research Programme: Violence and Security, working paper n°116, dicembre 2009.
162Abdulaye Miskine, questo è il nome acquisito con la conversione all'islam, è di padre ciadiano e di madre centrafricana, entrambi di un'etnia che vive a cavallo tra Ciad e RCA, gli Ngama. Essendo cresciuto in Centrafrica prenderà quest'ultima nazionalità.
attenzioni da parte del governo per le regioni del nord. A detta dello stesso Miskine,
“François Bozizé ne pense qu’à son ethnie Gbaya. Seul le clan de Bozizé est au pouvoir. Nous
autres sommes abandonnés. Il y a près de quarante ethnies en Centrafrique. Cela ne peut pas
continuer comme cela”164. Koutamadji prima di fondare il FDPC aveva comandato una
milizia speciale sotto Patassé incaricata di respingere le truppe di Bozizé che nel 2002
avevano invaso Bangui e occupato il nord-ovest. Gli uomini ai suoi ordini si erano
abbandonati a crimini brutali contro la popolazione non a sua insaputa, di cui il caso più grave
riportato è un massacro avvenuto in un mercato sulla strada per Boali presso il PK12 (Poste
Kilométrique). Sicuramente due dei motivi che spinsero Miskine a costituire un gruppo di
ribellione, tra l'altro tutt'ora attivo, sono la fuga da un possibile processo a suo danno e il
tentativo di riconquistare il potere che aveva sotto Patassé.
Altri due movimenti minori, che spesso sono considerati parte dell'APRD, erano il
Mouvement Patriotique pour la Restauration de la République Centrafricaine (MPRC) e l'
Union des forces républicaines (UFR). Di questi gruppi si sa poco, essendo la loro operatività
abbastanza limitata.
Il MPRC era diretto da Steve Guéret e rivendicò l'uccisione del sindaco di Bossangoa165. Il
movimento avrebbe cominciato a tendere imboscate alle forze governative, secondo le parole
del leader stesso, in reazione ai massacri di civili compiuti dalle FACA a gennaio a Paoua166.
Infine l'UFR era un piccolo movimento ribelle attivo nella regione di Paoua che rispondeva
agli ordini di Florian Njadder, figlio di un generale vicino a Patassé. L'ufficiale, che lasciò le
FACA nel 2004, affermava di agire con lo scopo di difendere i villaggi dalle violenze
commesse dalle forze di sicurezza del Governo e rivendicava anch'egli il sostegno dell'ex
Presidente167.
Da un'analisi più generale, si può dire che tutti questi gruppi armati sono mossi da un
miscuglio di ambizioni personali, rivendicazioni politiche, dal sottosviluppo e dalla palese
mancanza di opportunità di impiego nella loro regione di provenienza. Contributo
all'insorgere di questi movimenti è stata anche la cattiva implementazione dei progetti di
disarmo e reintegrazione in RCA e Ciad negli anni '90, che ha lasciato sul territorio una vasta
164“François Bozizé pensa solo a sostenere la sua etnia Gbaya. Solo il clan di Bozizé è al potere. Noi altri siamo abbandonati. Ci sono quasi 40 etnie in Centrafrica. Non si può continuare così” FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p.17.
165International Crises Group, République centrafricaine: anatomie... , op. cit., p. 24.166Didier Samson, “Patassé accusé d'instrumentaliser les coupeurs de route”, Radio France Internationale (RFI),
13 marzo 2006 (www.rfi.fr)167FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p.16.
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disponibilità di armi leggere168. La mancanza, tuttavia, di un coordinamento tra i diversi
gruppi e l'incapacità di fomentare un sollevamento nazionale li ha confinati nelle regioni in
cui sono nati, non arrivando mai a mettere veramente in pericolo il potere a Bangui.
Obiettivi dei gruppi armati erano soprattutto i posti di polizia e le guarnigioni dell'esercito,
probabilmente in cerca di armi, ma anche le abitazioni furono saccheggiate e in alcuni casi
bruciate. Per sfuggire a nuove incursioni e alle possibili rappresaglie delle FACA la
popolazione cominciò a fuggire nei campi, nella boscaglia o verso il Ciad, dove nel solo 2005
circa 15.000 persone furono accolte nel centro per rifugiati di Goré169. Ulteriori attacchi, a
cavallo fra 2005 e 2006, furono condotti a Kabo, Dokabi, Bodjomo, Beboura, Bemal e
Betoko. Col tempo la ribellione si estese sempre più all'interno del paese raggiungendo il
corridoio Kabo-Kaga Bandoro e arrivando a 350 km dalla capitale170.
Le rappresaglie delle FACA non tardarono a manifestarsi nei loro aspetti più crudi: i soldati
facevano terra bruciata dei villaggi e dei campi vicini accusando gli abitanti di sostenere i
ribelli ed abbandonandosi ad esecuzioni sommarie. Il 29 gennaio 2006 l'APRD attaccò Paoua
ingaggiando uno scontro durato due giorni con elementi della polizia, della gendarmeria e
dell'esercito, i quali opposero resistenza dalle loro caserme. Le forze governative col sostegno
della GP agli ordini del luogotenente Eugene Ngaïkossé171 nei giorni successivi scatenarono
una rappresaglia oltremodo violenta, prendendo come obiettivi dei civili disarmati, tra cui 17
liceali che non avevano potuto indicare dove si fossero nascosti i ribelli172. Nuove
controffensive furono condotte dalle FACA nei villaggi lungo la RN1 tra Nana Baria e Bemal,
a Betoko, Bekoro, Maissou, Kabo e Baboura, portando all'uccisione di decine di civili, tra cui
numerosi bambini.
Se nei campi profughi del Ciad, a Gondjé, Amboko e Yaroungou, il numero dei rifugiati nel
2006 raggiungeva ormai le 50.000 persone, anche il Camerun fu meta di circa 20.000 sfollati,
rispetto ai 3.000 già presenti nel 2005. Alla frontiera tra questi due paesi, inoltre, molti pastori
Mbororo emigrarono senza però creare dei campi stabili. Coloro che invece non
abbandonarono il paese vivevano ormai accampati nella boscaglia a parecchi chilometri dai
propri villaggi, privi dei mezzi di sostentamento più elementari come acqua potabile, cibo,
coperte, medicinali e articoli sanitari173. L'UNHCR nel 2007 stimava a più di 100.000 il
168Small Arms Survey project, A Widening War ..., op. cit.169Ivi, pp. 53-57. 170FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées …, op. cit., pp. 53-57. 171Su pressione della comunità internazionale il “macellaio di Paoua” venne ritirato dalla regione nel marzo
2007 ed inviato per formazione all'estero.172International Crises Group, République centrafricaine: anatomie …, op. cit., p. 23.173FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées …, op. cit., p. 58.
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numero di coloro che avevano dovuto lasciare il proprio focolare domestico nel nord-ovest
del paese174.
§ 3. Le ribellioni nel nord-est
La prefettura di Vakaga è sempre stata più legata al Sudan e al Ciad che alla RCA, sia
spiritualmente che geograficamente. Bangui infatti dista circa un migliaio di chilometri dalla
regione, dove mancano strade asfaltate e i servizi sanitari e scolastici sono ridotti
all'essenziale. In estate è quasi impossibile raggiungere Birao, se non in aereo, a causa delle
piogge che trasformano le strade in torrenti di fango. L'espansione islamica ha poi fatto sì che
i capi tribali si sottomettessero a Nyala e Abéché piuttosto che a Bangui. A questo si aggiunga
che il gruppo etnico Gula, con cui le forze governative hanno spesso identificato l'intera
ribellione del nord-est, ha avuto dopo il colpo di stato forti risentimenti verso il nuovo regime.
Ciò in ragione del fatto che il governo Bozizé non ha mai investito i soldi versati dal Sudan a
seguito dell'uccisione di uno dei capi spirituali Gula da parte di sudanesi per costruire le
strutture promesse dall'accordo tra i due Stati del 2003. Il malcontento per la trascuratezza
della regione da parte delle autorità centrali e per la sottrazione del denaro a loro destinato ha
fatto sì che molti si unissero alle schiere ribelli175.
A questo scenario s'è venuta a sovrapporre l'instabilità portata dall'arrivo degli ex-liberatori di
Bozizé dopo il 2004. Tra di essi vi era Abakar Sabone, musulmano del Vakaga e Consigliere
per la Sicurezza di Patassé, con il quale ruppe in seguito alle violenze commesse dalle truppe
di Miskine sui musulmani del nord. Egli fiancheggiò Bozizé nell'entrata a Bangui il 15 marzo
e con i suoi uomini assicurò per un certo tempo anche la sicurezza del generale. Allontanato
da Bangui in seguito al saccheggio della città da parte dei liberatori, tornò nel Vakaga e lì
ricostruì una sua piccola armata prendendo contatti con Jean-Jacque Demafouth176.
Il colpo di grazia ad uno scenario già di per sé complicato venne dalla massiccia infiltrazione
di elementi ribelli degli stati vicini. Le regioni a nord-est della RCA da tempo, infatti, erano
considerate poco sicure a causa dell'instabilità dei confinanti Ciad e Sudan. Già nel 2004 nella
provincia di Birao una ventina di civili erano stati uccisi da uomini armati provenienti dal
174International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 23.175Ivi, pp. 25-26.176Ivi, pp. 26-27.
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Sudan nell'ambito di un conflitto tribale177. Nella primavera del 2006 la regionalizzazione
della ribellione si fece evidente: truppe ciadiane del FUC (Front Uni pour le Changement) e
centrafricane del FDPC (Forces démocratiques pour le peuple centrafricain), sostenute
finanziariamente da Khartoum, si mossero dalla prefettura di Vakaga per attaccare N'djamena.
Il tentato golpe venne sventato dopo violenti combattimenti alla periferia della capitale grazie
all'intervento francese a fianco del presidente Déby. Tuttavia, il peggioramento delle relazioni
tra Ciad e Sudan non poté che influire negativamente sulla situazione in RCA, dove nel
frattempo avevano ripiegato alcuni dei ribelli sfuggiti alle forze dell'ordine ciadiane.
All'origine della partecipazione di truppe centrafricane alla marcia su N'djamena vi sarebbe
ancora Rakis che, cacciato dall'APRD, avrebbe raggiunto un certo Daman a Tiringoulou, nel
nord-est del paese, e con questi avrebbe cominciato a riunire un gruppo di ribelli armati
presso una grotta a 70 km dalla cittadina. Le armi erano già presenti in quantità nella regione
a causa della necessità di autodifesa della popolazione dagli attacchi dei banditi sudanesi.
Alcune autorità di Khartoum avrebbero allora proposto a Rakis e ai suoi uomini di finanziarli
per rovesciare prima Déby e successivamente Bozizé. Nel corso delle trattative Rakis avrebbe
conosciuto Abdoulaye Miskine e Mahamat Nour Abd-el-Kerim (leader del FUC), che
177FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées... , op. cit., p. 52.
49
Nord-est della RCA (fonte: Nazioni Unite)
dicevano trovarsi agli ordini di Damafouth, nonostante questi neghi il fatto178.
Il fallimento del colpo di stato in Ciad non indebolì la ribellione centrafricana. Due settimane
dopo l'attacco a N'djamena, il 25-26 aprile 2006 un aereo sudanese scaricò nei pressi di
Tiringoulou armi, munizioni e una cinquantina di uomini armati che scomparvero nella
boscaglia. Bozizé in un discorso pubblico condannò l'aiuto esterno alla ribellione del nord-
est179 e, al fine di evitare l'arrivo di nuovi rifornimenti, decise di lanciare una controffensiva
nella città. Un nuovo scontro presso Gordil coinvolse le FACA, le truppe di sostegno della
FOMUC e alcuni ribelli - a detta delle autorità - di origine ciadiana. A seguito di questo
combattimento, che lasciò sul campo numerosi morti e rese evidente l'impreparazione delle
forze armate centrafricane, il Presidente degradò una decina di militari per indisciplina e
abbandono di materiale al nemico e ordinò le dimissioni di numerosi alti ufficiali incaricati
della formazione e della logistica, attribuendo ai loro errori l'incapacità dell'esercito di tener
testa ai ribelli180.
La debolezza delle FACA inquietava la comunità internazionale e, in particolare, la Francia,
che decise di intensificare la propria cooperazione militare con la RCA. Furono quindi inviati
a Bangui degli ufficiali di Stato Maggiore col compito di affiancare i loro omologhi
centrafricani, vennero messi a disposizione un aereo Transall C130 per il trasporto del
materiale nelle zone d'operazione e una missione aerea di sopralluogo sulle zone sensibili181.
Il 30 ottobre 2006 una cinquantina di ribelli attaccò Birao, capoluogo della prefettura di
Vakaga, scacciando i militari presenti ed occupando la città. Nelle mani dell'UFDR, il gruppo
che rivendicò l'azione, caddero numerose armi, munizioni e una decina di pick-up dotati di
mitragliatrici. Tra ottobre e novembre vennero conquistate anche le città di Ouanda Djallé,
Sam Ouandja e Ndélé e la ribellione si estese alle prefetture di Bamingui-Bangoran e
dell'Haute-Kotto. Birao e Ndélé vennero riconquistate dalle FACA, trasportate e dirette dai
francesi (che nel frattempo avevano rinforzato i loro effettivi con altri 100 uomini) il 27
novembre e qualche giorno dopo si giunse a liberare anche il resto della regione. Parigi
decise, non confidando troppo nelle capacità delle FACA, di mantenere nel capoluogo del
Vakaga un piccolo distaccamento (DAO – Détachemment d'assistance opérationelle) di
diciotto uomini, di cui due infermieri e un medico. Le dichiarazioni del Ministro della Difesa
Michèle Alliot-Marie sottolineeranno come l'intenzione fosse solo quella di fornire un
178FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées..., op. cit., p. 58. 179International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 27.180FIDH, République centrafricaine: Oubliées, stigmatisées..., op. cit., p. 58. 181Ivi, p. 59.
50
semplice appoggio alle FACA, senza voler intervenire direttamente nel conflitto. I fatti del
marzo successivo smentiranno pienamente le parole del Ministro182.
Quando, infatti, l'UFDR la notte del 3 marzo 2007 attaccò nuovamente Birao isolando il DAO
francese, due Mirage furono fatti decollare da N'djamena per portare soccorso ai propri
connazionali accerchiati dai ribelli. La notte successiva ebbe inizio una vera e propria
operazione dell'aviazione francese che paracadutò un primo gruppo di militari del terzo
Reggimento Paracadutisti della fanteria della Marina per stabilire un collegamento con il
DAO. La sera dopo altri 58 paracadutisti si lanciarono sopra l'aeroporto e lo liberarono dal
materiale accumulato dai ribelli per ostruire la pista, permettendo ad una compagnia di circa
130 uomini di atterrare. La rapida ripresa di Birao e della zona circostante da parte dei
francesi e delle FACA si trasformò in un ennesimo atto di vandalismo e saccheggio. In epoca
di elezioni nell'Esagono questo non poteva passare inosservato e i militari furono accusati di
aver assistito senza far nulla alle azioni delle forze armate centrafricane o di aver addirittura
partecipato all'incendio del 70 per cento delle case della città, che ospitava 14.000 abitanti,
quasi tutti fuggiti durante l'attacco. Il fantasma della “Françafrique” tornava ad affiorare183.
Nelle province di Vakaga e Bamingui-Bangoran il gruppo più consistente ed attivo era
l'UFDR. L'Union des forces démocratique pour le rassemblement era, secondo le spiegazioni
date da Abakar Sabone, portavoce del movimento, una sigla che riuniva tre gruppi armati
federatisi nel 2006 in Rwanda. Il primo di essi era il MLJC (Mouvement des libérateurs
centrafricains pour la justice) dello stesso Sabone, che in seguito ruppe con l'UFDR. Vi era
poi il GAPLC (Groupe d'action patriotique de libération de la Centrafrique) di Michel
Djotodia ed infine il FDC (Front démocratique centrafricain) agli ordini di Hassan Justin. In
assenza di Sabone e di Djotodia (presidente del movimento), imprigionati nel novembre 2006
a Cotonou, il comando sul campo passò a Damane Zacharia., una volta consigliere municipale
a Gordil184. Altri due capi militari che condussero azioni a nome dell'UFDR sono Faki Ahmat
alias “Colonnello Marabout”, un ex liberatore ciadiano, e un combattente conosciuto col
nome di “Capitaine Yao”. Le truppe dell'UFDR, composte da circa 1200 uomini, rispetto a
quelle operative nell'ovest del paese erano molto meglio equipaggiate grazie ai rifornimenti
sottratti alle FACA, ma anche al probabile sostegno dei paesi vicini. Non è possibile stabilire
con certezza se Khartoum o qualche movimento armato ciadiano volessero strumentalizzare
la ribellione in RCA fornendo armi e supporto logistico. I vari gruppi in seno all'UFDR sono
182International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op.cit., p. 27.183Ivi, p. 28.184Ibid.
51
molto eterogenei e, mentre qualcuno ha ottenuto effettivamente armi, telefoni satellitari e a
volte anche una formazione militare in Sudan, altri sono stati semplicemente reclutati in RCA
e non hanno legami politici con gli Stati vicini185. Nell'UFDR, infatti, combattevano Gula
musulmani, ex-liberatori, militari della Guardia Presidenziale allontanati da Bangui e, con
ogni probabilità, qualche ribelle ciadiano e sudanese. Ufficialmente il movimento aveva come
obiettivo di cambiare le sorti del nord-est, sottosviluppato e politicamente trascurato da
Bangui, ma le frequenti liti all'interno della leadership evidenziarono forti interessi
personali186. Attraverso l'uso delle armi, infatti, molti combattenti speravano in un riscatto
sociale da ottenersi una volta rovesciato il regime in carica. Inoltre i Gula, tra i quali molti
avevano ricevuto una formazione militare in seno a delle unità di lotta al bracconaggio,
rivendicavano i soldi loro negati dallo Stato e versati a titolo di compensazione da Khartoum.
Con l'estendersi della ribellione tra la popolazione, ma soprattutto in seno all'esercito, si
diffuse un sentimento anti-Gula che forzò parte della gente di quest'etnia ad abbandonare le
proprie case187. Il MLCJ aggiungeva a queste rivendicazioni anche la lotta contro le
discriminazioni del governo nei confronti dei musulmani, presenti per ragioni storiche
soprattutto nel nord-est188.
§ 4. L'emergenza umanitaria e le gravi violazioni dei diritti dell'uomo
Come già accennato nei paragrafi precedenti, chi ha sofferto maggiormente dell'instabilità e
della situazione di conflitto nel nord del paese è stata la popolazione civile. Grazie al lavoro
di alcune ONG come la FIDH, HRW, Amnesty International e altre associazioni locali,
nonché attraverso i rapporti della sezione diritti dell'uomo del BONUCA (Bureau d'appui des
Nations Unies pour la consolidation de la paix en République Centrafricaine o United Nations
Peace-building Office in the Central African Republic) e dell'ONU sono stati documentati
alcuni dei crimini commessi dagli attori in campo. Non vi è unanimità in tali resoconti,
dipendendo questi in larga parte dai soggetti intervistati. Inoltre, con ogni probabilità i numeri
registrati non rappresentano che una parte dei crimini compiuti sul terreno. La paura di una
rappresaglia o dell'esclusione sociale, infatti, giocano un ruolo importante nel nascondere gli
185Small Arms Survey project, A Widening War , op. cit.186IRIN, “Central African Republic: Who's who...”, op. cit.187Human Rights Watch, État d'anarchie..., op. cit., p.6.188Small Arms Survey project, A Widening War , op. cit.
52
abusi, senza contare che la denuncia di alcuni crimini come quelli sessuali è fortemente
condizionata anche dalla vergogna e dallo stigma sociale. Dai dati forniti dalle Nazioni Unite
sarebbero più del 15% le donne e le minori che avrebbero subito violenze sessuali.
Nonostante nel 2006 sia stata adottata una legge per la protezione delle donne contro gli
abusi, la popolazione ne ignora spesso l'esistenza e le procedure di denuncia che essa prevede
non sono quasi mai applicate per ignoranza o scarsa sensibilizzazione sull'argomento189.
Secondo HRW, sebbene anche i gruppi ribelli sia nell'ovest sia nell'est del paese si siano
abbandonati a numerosi crimini, le violazioni più gravi sono state quelle ad opera delle FACA
e, soprattutto, della GP. Questo dato è confermato dal rapporto del Rappresentante del
Segretario Generale dell'ONU per i diritti umani degli sfollati del 2007190.
Varie interviste concordano nell'attribuire alle forze armate la maggior parte degli incendi dei
villaggi, avvenuti in maniera sistematica e su larga scala. I militari nel nord-ovest, arrivando
nei villaggi, avrebbero sparato a caso sulla popolazione e dato fuoco a circa 10.000 abitazioni,
dopo averle accuratamente saccheggiate. Sono inoltre state riportate testimonianze e prove di
esecuzioni sommarie, detenzioni illegali e torture, realizzate col solo scopo di punire la
popolazione dopo un attacco dei ribelli191. Due brevi esempi per comprendere la brutalità della
reazione dell'esercito nei confronti dei civili: il 5 gennaio 2007 al mercato di Kaga Bandoro
alcuni soldati hanno ucciso senza processo due ragazzi di 22 e 27 anni, li hanno trascinati per
le strade e hanno scattato delle foto per documentare il loro “trionfo”. Solo qualche settimana
dopo la GP di stanza a Bossangoa ha distrutto nove villaggi sulla strada che collega Bozoum,
Paoua e Pende, mettendo a morte sette persone e bruciando vivo un uomo dopo averlo legato
ad un granaio. Nella stessa zona sarebbero stati ammazzati altre 10 persone e due catechisti
cattolici192. Secondo un membro delle forze di sicurezza i ribelli si nasconderebbero nei
villaggi per organizzare degli attacchi contro le forze armate. L'esercito, quindi, per scacciarli
e – ammette – per vendetta avrebbe messo a ferro e fuoco i villaggi. Una diversa posizione è
sostenuta da alcune testimonianze di abitanti delle zone colpite: sarebbero proprio le forze
armate a pattugliare le strade più importanti e, sparando in aria, a terrorizzare la popolazione.
A volte si sarebbero persino fatte attaccare dai ribelli e, come rappresaglia, avrebbero dato
fuoco e distrutto villaggi e campi. Nella sola controffensiva di Paoua del gennaio 2006 la GP
189FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p.26190UN Human Rights Council, UN Human Rights Council: Addendum to the Report of the Representative of the
Secretary-General on Human Rights of Internally Displaced Persons, Mission to the Central African Republic, Preliminary Note, 16 marzo 2007, A/HRC/4/38/Add.5 (www.unhcr.org).
191Human Rights Watch, État d'anarchie..., op. cit., pp. 6-7.192Amnesty International, Rapporto annuale 2008 Repubblica Centrafricana (http://www.amnesty.it).
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avrebbe fatto un centinaio di morti tra i civili. Molte persone sarebbero state trattenute,
minacciate e a volte torturate dai militari perché viste come ribelli o loro sostenitori. Questo
problema riguarda soprattutto uomini giovani, bersaglio favorito delle recriminazioni.
Ai crimini commessi sul campo vanno aggiunte le pratiche lesive della libertà personale, del
diritto alla vita, all'integrità fisica e morale e al giusto processo. Molteplici informazioni
riferiscono di arresti arbitrari, torture, trattamenti inumani e degradanti ed esecuzioni
sommarie imputabili prevalentemente alle autorità di polizia e alla gendarmeria. L'assenza di
strutture proprie per la detenzione e il trattenimento delle persone arrestate ha reso ancor più
difficile un controllo sulle garanzie delle persone rinchiuse nelle celle di sicurezza e nelle
prigioni193.
Parte della responsabilità di quanto successo è da imputare all'indisciplina e la mancanza di
formazione dei membri delle forze di sicurezza in materia di diritti umani, nonché al fatto che,
in assenza di caserme e santabarbare, i militari vivono tra la popolazione e portano sempre
con sé le armi194.
Inizialmente sordo alle accuse rivolte alle proprie truppe, Bozizé ha dovuto infine cedere sotto
la pressione delle organizzazioni per la tutela dei diritti umani, della comunità internazionale e
della CPI, ma le misure prese sono state di natura amministrativa e disciplinare piuttosto che
giudiziaria. Nel corso del 2007 si è recato personalmente in alcuni villaggi come Ngaounday e
Bocaranga per chiedere perdono agli abitanti. Il Presidente ha ordinato poi che alcuni dei
militari resisi colpevoli di quei fatti fossero condotti a Bossembélé e a Bangui per essere
giudicati dal Tribunale militare permanente. Nonostante questa azione mirasse solo a non
alienarsi il favore della comunità internazionale e ad allontanare le possibili accuse della CPI
a suo riguardo, ci sono state alcune ripercussioni positive sul campo. Dal 2008, infatti, i
militari hanno pressoché cessato di utilizzare la tecnica di far “terra bruciata” per evitare il
sostegno ai ribelli. Inoltre, il luogotenente Ngaïkossé, responsabile di gravi crimini commessi
dalla GP nel nord-ovest, in particolare a Paoua, è stato allontanato dal servizio attivo sul
campo. Tuttavia, proprio questo esempio chiarisce la doppia facciata mantenuta dalle autorità
di Bangui: assegnato inizialmente alla sicurezza personale del Presidente, Ngaïkossé è stato
poi promosso al grado di capitano. Allo stesso modo grande pubblicità è stata data alla
condanna di 40 militari (di cui non tutti per crimini di guerra, essendovi incluse le condanne
per insubordinazione e abbandono di materiale bellico al nemico) da parte del Tribunale
193FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p. 24.194UN Human Rights Council, Report of the Representative ...Walter Kälin : addendum : mission to the Central
African Republic, op. cit.
54
militare nel marzo 2008. Tali sentenze però non hanno punito che un numero infimo di
responsabili dei crimini commessi a partire dal 2005, senza contare che la legge di amnistia
generale entrata in vigore nell'ottobre 2008, oltre che a graziare i ribelli, si applica anche ai
membri delle forze armate. Questa generale impunità viola il diritto delle vittime ad ottenere
giustizia e ad un equo risarcimento. Le autorità mancano totalmente della volontà di
perseguire tali crimini e si mascherano dietro alla necessità di riaprire un dialogo nazionale
partendo da zero. Le vittime stesse fanno fatica ad aver fiducia nella giustizia e la
magistratura esita ad aprire di propria iniziativa delle inchieste per timore di una
persecuzione195. Inoltre la distruzione delle strutture e la fuga del personale nelle zone del
nord rende totalmente inaccessibile alla popolazione la via giudiziaria. Sul terreno, se la
situazione nel 2008 era relativamente migliorata, l'ONU e il BONUCA riportavano ancora
l'esistenza di violazioni da parte della GP:
“le forze armate hanno smesso di incendiare i villaggi nel nord-ovest e nel centro-nord, ma alcuni elementi della Guardia Presidenziale continuano a compiere esecuzioni sommarie o arresti arbitrari nei confronti di persone sospettate di simpatizzare con la ribellione o con i banditi armati. […] Le malversazioni degli agenti dei diversi servizi di sicurezza che estorcono denaro pubblico nei posti di controllo legali ed illegali e in altri luoghi hanno raggiunto delle proporzioni senza precedenti. Questo ha delle gravi conseguenze. La libera circolazione delle persone è resa impossibile, il commercio è compromesso e si percepisce un forte risentimento nei confronti del Governo.”196
La gravità delle violazioni commesse dalle FACA e dalla GP non devono però eclissare la
responsabilità dei gruppi ribelli e delle zaraguinas nell'aver ridotto un paese in condizioni
disastrose e di essersi abbandonati ad atti fortemente lesivi dei diritti umani contro civili.
I banditi noti col nome di zaraguinas nel nord-ovest hanno rapito bambini, donne e uomini
per ottenerne un riscatto. Spesso durante la detenzione queste persone sono state maltrattate o
hanno subito violenze. Molte delle vittime appartenevano al gruppo etnico Mbororo, preso di
mira poiché dedito alla pastorizia e in grado quindi di vendere i propri capi per raccogliere i
soldi del riscatto. Privati del loro principale mezzo di sostentamento, i pastori Mbororo sono
emigrati in Camerun senza però insediarsi nei campi di accoglienza allestiti dall'UNHCR, ma
cercando di rifarsi una vita dedicandosi all'agricoltura. I banditi, inoltre, hanno picchiato e
195FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu...., op. cit., pp. 22-24.196UN Human Rights Council, Report of the Special Rapporteur on Extrajudicial, Summary or Arbitrary
Executions, Philip Alston : addendum : mission to the Central African Republic, 27 maggio 2009, A/HRC/11/2/Add.3 (www.unhcr.org).
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ucciso a colpi d'arma da fuoco vari civili durante gli attacchi ai villaggi.
Anche rappresentanti di organizzazioni umanitarie e ONG sono rimaste vittime dei coupeurs
de route, come due dipendenti dell'associazione COOPI, rapiti nel maggio 2007197. Il
rapimento dei due cooperanti dell'ONG italiana, impegnati in un intervento di rafforzamento
del sistema sanitario nelle prefetture di Ouham e Ouham-Pendé, è avvenuto sulla strada che
collega Bozoum e Bocaranga. Non vi sono state rivendicazioni politiche, confermando
l'obiettivo di semplice estorsione, anche se fino ad allora gli unici bersagli erano stati cittadini
centrafricani. Si è trattato infatti del primo caso registrato di crimine commesso nei confronti
di un'organizzazione umanitaria in RCA ed è stato duramente condannato dalle Nazioni
Unite198.
Secondo le testimonianze raccolte da Human Rights Watch (HRW) nel corso di una missione
nel settembre del 2007, l'UFDR durante le sue incursioni si è macchiato ripetutamente di
gravi crimini contro la popolazione civile. Entrando nei centri abitati i ribelli hanno sparato
alla cieca contro persone in fuga uccidendone alcune, si sono resi responsabili di esecuzioni
sommarie, saccheggi, furto di bestiame e di qualche violenza sessuale. Infine, hanno reclutato
– anche forzatamente – almeno 400 bambini soldato199.
La medesima fonte riferisce che i ribelli dell'APRD si sono abbandonati ad estorsioni
generalizzate, alla riscossione forzata delle imposte, a rapimenti per ottenerne riscatti e a
pestaggi di civili, soprattutto della zona di Batangafo-Kabo-Ouandago. Inoltre, in tale regione
il bestiame è stato prelevato e i capi villaggio rapiti. Non viene riportato alcun episodio di
incendio di abitazioni, mentre sono stati attestati un caso di esecuzione sommaria e l'uccisione
accidentale di un'infermiera di Médecins Sans Frontières. Anche nelle fila dell'APRD si
contavano almeno 200 bambini soldato200. La FIDH precisa che il movimento, mettendo in
piedi una sorta di amministrazione parallela, aveva imposto delle tasse sulla circolazione di
camion e autoveicoli, mentre la popolazione si era dovuta far carico dell'alimentazione delle
truppe in un momento in cui la scarsità di viveri metteva già a dura prova le famiglie.
Contrariamente ad HRW la FIDH accusa l'APRD di aver commesso anche svariate esecuzioni
sommarie soprattutto di presunti banditi, giudicati senza possibilità di difendersi in tribunali
istituiti all'interno del movimento stesso e subito condannati a morte. Inoltre, poiché dal 2008
il Governo ha cercato di cooptare i movimenti spontanei di autodifesa offrendo loro delle
compensazioni per l'impossibilità di coltivare i propri campi, la FIDH ritiene che il numero di
violenze contro questi gruppi da parte dell'APRD sia aumentato.
In realtà, essendo l'APRD abbastanza ramificato al suo interno, la condotta dei singoli gruppi
dipendeva in gran parte dal loro capo. A titolo d'esempio, gli uomini sottoposti a Laurent
Djim Wei sono stati accusati a più riprese di aver messo a morte civili sospettati di banditismo
senza un giusto processo, mentre la fama di un altro capo ribelle, Lakoué, è quella di un
uomo anziano e rispettabile, che un tempo era stato maestro di scuola e che garantiva alle
organizzazioni umanitarie l'accesso alle zone da lui controllate per portar sollievo alla
popolazione201.
Per quanto riguarda i crimini commessi dalle truppe agli ordini di Miskine prima del 2008
non si sa molto, eccezion fatta per le accuse di violenze sessuali202 e qualche incendio e
saccheggio, ma la precedente condotta del loro capo non lascia presagire nulla di buono.
Il comportamento di questi due gruppi, come quello precedentemente descritto delle FACA, è
una chiara violazione non solo dei diritti dell'uomo, ma anche del diritto internazionale
umanitario, applicabile anche agli attori non statuali che controllino effettivamente un
territorio in un conflitto civile203.
È importante, però, sottolineare come spesso i rapporti delle diverse ONG siano contrastanti,
soprattutto per quanto riguarda l'identità, le rivendicazioni e i crimini dei gruppi ribelli. Le
missioni d'inchiesta durano solitamente un mese e anche tra un anno e l'altro si registrano
incongruenze. Da un lato ciò evidenzia la mancanza di materiale scientifico, nonché
l'incapacità degli uffici permanenti – dovuta alle difficoltà del territorio e all'alto rischio – di
svolgere adeguatamente il loro lavoro; in secondo luogo ne emerge il carattere “fluido”204 dei
gruppi ribelli e la loro scarsa istituzionalizzazione. Le rivendicazioni sono spesso pretesti e
non tutti i bassi ranghi sono al corrente delle dichiarazioni dei propri leader. Ognuno combatte
per sé, secondo una dinamica “alimentare”. La stessa popolazione intervistata – membri di
organizzazioni internazionali, ma anche civili – fatica a riconoscerli. La difficoltà di
evidenziare e distinguere i vari gruppi ha portato a semplificazioni estreme e a considerare
principalmente gli unici due movimenti con un'identità meglio definita: l'APRD e l'UFDR.
Inoltre, poco chiari risultano i luoghi d'azione dei differenti gruppi a causa delle
rivendicazioni incrociate o di mancanza di informazioni. Per esempio, il FDPC secondo
201FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p. 15.202Ibid.203Ivi, p. 25.204Debos Marielle, Fluid Loyalties in a Regional Crises: Chadian "Ex-liberators" in the Central African
Republic, 2008, African Affairs 107(427).
57
alcune fonti agisce nel nord-ovest, secondo altre (ICG e FIDH) nel nord-est, mentre da altri
ancora è completamente ignorato. Per quanto riguarda le accuse rivolte a ribelli e FACA il
discorso non cambia: HRW sostiene che la maggior parte dei crimini sia stata commessa dalle
forze governative, ma ammette che anche l'UFDR non avrebbe la fedina penale intatta; la
FIDH, invece, riporta crimini commessi da entrambi i lati.
La somma della violenza dei ribelli, della minaccia del banditismo e delle rappresaglie delle
FACA hanno costretto buona parte della popolazione alla fuga. Se alcuni sono riusciti a
trovare ospitalità presso parenti nella capitale o in altre città come Kabo e Bokaranga, la
maggior parte si è rifugiata nella foresta a pochi chilometri dai villaggi, andando a ingrossare
le fila degli sfollati interni. Sono state stimate tra 200.000 e 300.000 le persone che hanno
abbandonato le proprie case senza però lasciare il paese (circa il 25-30% della popolazione
totale delle regioni settentrionali), di cui 100.000 nelle sole prefetture di Ouham, Ouham-
Pendé et Nana-Grébizi. Di queste circa 85.000 tornavano regolarmente per raccogliere viveri
o coltivare i campi. Nel solo attacco di Birao è fuggito il 95% della popolazione della città.
Altri ancora hanno attraversato la frontiera e sono stati accolti nei campi profughi dei paesi
vicini. Secondo le statistiche dell'estate del 2008 dell'UNHCR il numero dei rifugiati aveva
ormai raggiunto le 104.000 unità, di cui 56.000 in Ciad, 45.000 in Camerun e 3.000 in
58
Fonte: http://hdptcar.net
Sudan205. L'aspetto più grave segnalato dal Rappresentante del Segretario Generale per i
diritti umani degli sfollati è che, contrariamente alle ondate degli anni '90 e del 2001-2003, gli
spostamenti di popolazione dal 2005 tendevano a divenire permanenti206. Nel 2010 ancora
moltissime persone vivono lontano dai villaggi o nei campi profughi. Il loro numero è inoltre
salito a 160.000 a causa del risorgere dei conflitti e della persistente insicurezza in quelle
zone207.
La situazione dei gruppi di civili nascosti nella boscaglia ha sfiorato la crisi umanitaria. Molti
sono rimasti senza un'abitazione, bruciate o distrutte dalle forze armate, mentre coloro che
ancora ne avevano una non vi tornavano per paura di nuovi attacchi. I ripari di fortuna e le
tende fornite dalle organizzazioni umanitarie non erano adeguati e sufficienti, soprattutto
durante la stagione delle piogge. L'emergenza alimentare non è stata da meno: solo pochi
campi erano ancora considerati sicuri e quindi coltivati, mentre si cercava di ovviare alla
mancanza di cibo con la raccolta di frutta, bacche ed erbe selvatiche. Nonostante ciò, la
malnutrizione si è diffusa sempre più tra le persone nascoste nella foresta208. Nel nord-ovest,
regione abbastanza ricca in confronto all'est e in cui l'agricoltura dà discreti frutti, i campi che
non sono stati bruciati sono stati abbandonati, intere piantagioni di cotone non hanno potuto
essere curate e la produzione ha avuto un calo disastroso. Inoltre, dal momento che gran parte
delle sementi sono andate perdute, anche i raccolti successivi sono stati compromessi. Non vi
è stato più modo per le famiglie di provvedere al proprio sostentamento perché l'economia
della zona è stata completamente distrutta: oltre all'abbandono dei campi, il furto o la vendita
del bestiame per pagare i riscatti e l'impossibilità di commerciare e muoversi liberamente
hanno ridotto anche chi stava meglio sul lastrico.
Per quanto riguarda la situazione sanitaria, l'ONU indica che nel 2006 la maggior parte delle
infrastrutture sanitarie erano state distrutte, il materiale medico e i medicinali rubati. Il
personale infine era reticente a presentarsi al lavoro nelle strutture delle zone a rischio. Un po'
di sollievo è stato portato portato dalle organizzazioni umanitarie, in primo luogo da Médecin
Sans Frontières (MSF), ma i mezzi a disposizione erano sottodimensionati rispetto alle
esigenze e il rischio di diffusione di malattie, dalle più semplici alla malaria, era crescente.
Particolarmente grave era la condizione delle donne incinte, di cui molte morivano di parto209.
205FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p. 27. 206UN Human Rights Council, Report of the Representative ...Walter Kälin : addendum : mission to the Central
African Republic, op. cit.207Country profile (www.unhcr.org).208UN Human Rights Council, Report of the Representative ...Walter Kälin : addendum : mission to the Central
African Republic, op. cit.209Ivi.
59
La mancanza di viveri, l'acqua fangosa dei torrenti e l'assenza di medicinali condannavano i
più deboli e i malati alla morte. La gente aveva troppa paura per muoversi alla ricerca di
viveri e medicinali, soprattutto gli uomini giovani che erano visti dalle forze di sicurezza
come potenziali ribelli o loro collaboratori. Nelle zone più remote e pericolose non è stato
nemmeno possibile per le organizzazioni umanitarie raggiungere i profughi per portare loro
generi di prima necessità210. Quand'anche alcuni gruppi sono stati raggiunti dai convogli
umanitari, è successo che i ribelli o i banditi si sono impossessati dei viveri e degli altri beni
donati alla popolazione.
Altrettanto grave è la constatazione che nei gruppi ribelli sono stati reclutati un po' meno di
un migliaio di bambini. La maggior parte di questi sarebbero stati accolti dai combattenti
dopo che avevano perso i genitori, in special modo nelle zone dove le controffensive delle
forze di sicurezza sono state più cruente211.
Nei campi profughi dislocati lungo il confine centrafricano, nonostante gli sforzi delle
organizzazioni umanitarie, le condizioni erano altrettanto gravi. I rifugiati ospitati nei campi
nel Ciad meridionale hanno avuto scarso accesso agli aiuti umanitari e si sono dovuti
accontentare di razioni assai ridotte. In Camerun non hanno avuto invece la possibilità di
accedervi e sono sopravvissuti in gran parte grazie agli aiuti della popolazione e alla vendita
del poco bestiame che qualcuno era riuscito a portarsi dietro212.
Il Governo e il Ministero delle Politiche Sociali, che è il ministero responsabile per
l'assistenza alle persone senza più un tetto, pur ammettendo di essere consapevoli del
problema, non hanno messo a punto un piano strutturato per risolvere il problema. Inoltre,
l'assenza dello Stato nelle regioni interessate era dovuta al fatto che anche sindaci e impiegati
pubblici erano stati costretti alla fuga dalle incursioni213.
A questo si aggiunga una situazione economica disastrosa che ha avuto un impatto fortemente
negativo sulla possibilità dei cittadini centrafricani e, in particolar modo degli abitanti del
nord del paese, di godere dei diritti economici e sociali.
Sul piano economico214, infatti, la RCA rispetto agli anni '70 ha fatto un balzo indietro
notevole: il PNUD nel 2007 la classificava 172esima su 177 stati; il 67% della popolazione
210UN Human Rights Council, UN Human Rights Council: Addendum to the Report ... Preliminary Note, op. cit.
211UN Human Rights Council, Report of the Representative ...Walter Kälin : addendum : mission to the Central African Republic, op. cit.
212Amnesty International, Rapporto annuale 2008..., op. cit.213UN Human Rights Council, Report of the Representative ...Walter Kälin : addendum : mission to the Central
African Republic, op. cit.214International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 39.
60
viveva con meno di un dollaro al giorno, cifra considerata come soglia della povertà; la
speranza di vita si aggirava nel 2005 intorno ai 40 anni e la mortalità alla nascita era
dell'11,5%, mentre l'AIDS toccava un tasso del 16,5%. Solo la metà della popolazione adulta
oggi è alfabetizzata e i tassi di scolarizzazione, intorno al 63% nel 1995, sono calati al 43%
solo cinque anni dopo; nel nord-est, nelle zone interessate dal conflitto, era addirittura
dell'8%. A causa della distruzione delle scuole, della fuga degli insegnanti e dell'insicurezza
delle strade l'educazione in molte zone non era più assicurata. Un progetto dell'UNICEF ha
istituito la figura del “genitore-insegnante”, incaricando alcuni membri della comunità più
istruiti di insegnare ai bambini perché non perdano almeno gli strumenti acquisiti negli anni
passati di scolarizzazione215.
Il tessuto industriale ereditato da Bozizé nel 2003 era già abbastanza scarno, ma dopo i
conflitti non sono rimaste che una birreria, un'industria metallurgica e varie società straniere
per la lavorazione del legno che impiegano circa la metà di tutta la manodopera nazionale
dell'economia formale. Queste, tra l'altro, sono le uniche aziende che si sottomettano alla
fiscalità dello Stato, il quale ricavava dal legno il 18% delle entrate, più di quanto non riceva
dal pur promettente settore minerario. Essendo infatti le tasse sul commercio dei diamanti
molto alte rispetto ad altri paesi africani, gran parte delle pietre passa per il contrabbando.
L'estrazione di oro è anch'essa notevolmente calata, mentre le coltivazioni di caffè e cotone,
una volta importanti, sono divenute totalmente marginali. La maggior parte delle piantagioni
infatti si trovavano nelle regioni dell'Ouham e Ouham Pendé, nel Nana-Gribizi e nel Nana-
Mamberé. Anche l'agricoltura di sussistenza, come già accennato, ha ricevuto un grosso colpo
non essendo più possibile curare i campi a causa del timore degli attacchi armati in molte
regioni del paese. Addirittura i pochi prodotti che prima venivano portati fino in città per il
piccolo commercio, dopo gli scontri, venivano importati dal Camerun. Le auto, senza i barili
di benzina portati da oltreconfine, rimanevano ferme216. Molti allevatori, poi, si sono spostati
nei paesi vicini per paura delle zaraguinas e dei rapimenti di bambini. La capitale, Bangui,
all'ultimo posto della classifica delle città africane più vivibili, non aveva un servizio costante
di corrente elettrica e acqua potabile. D'altronde non tutti erano allacciati alle reti del servizio
pubblico: con 33 mesi di ritardo nel pagamento degli stipendi nell'estate del 2007 e molti di
più per quanto riguarda le pensioni, non tutte le famiglie potevano permetterselo.
215UN Human Rights Council, Report of the Representative ...Walter Kälin : addendum : mission to the Central African Republic, op. cit.
216Intervista a Sabrina Munao, op. cit.
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CAPITOLO III. IL PROCESSO DI PACE
“Je pense qu'il n'aura pas de plan car il n'y a jamais eu de plan dans la politique
Centrafricaine. S'il devrait avoir un plan ça sera que tout ces marionnettes quittent
le pouvoir et laissent la place à des personnes qui pensent aux centrafricains.”
(Negus Kengba)
§ 1. Verso un Dialogo politico inclusivo
L'aggravarsi della situazione nel nord, dove ormai otto prefetture217 erano sconvolte dalla
ribellione, ha spinto il Presidente François Bozizé a cercare un dialogo con i ribelli218. Il 13
agosto 2007, quindi, ha lanciato un processo di riconciliazione nazionale la cui fase iniziale
avrebbe previsto un “Dialogo politico inclusivo” con tutte le forze in campo: governo, ribelli,
opposizione e società civile.
Un primo passo lo si era già fatto con un accordo di cessate il fuoco con il FDPC, il 2 febbraio
2007. Miskine aveva infatti firmato alla presenza di Gheddafi gli Accordi di Syrte, che
prevedevano l'arresto immediato delle ostilità in cambio dell'integrazione delle forze ribelli
del FDPC nell'esercito, un'amnistia e la partecipazione al governo dello Stato219. Dopo essersi
rifugiato a Bangui nel timore che qualcuno potesse punirlo per aver abbandonato la lotta
armata, Miskine era volato a Tripoli per lamentarsi con il garante dell'accordo per il mancato
rispetto delle promesse fatte. Un nuovo incontro a tre con Bozizé aveva però messo in luce
come Miskine mirasse soprattutto ad avere vantaggi sul piano personale, che avrebbe ottenuto
con la nomina a consigliere del Presidente nel luglio successivo. Solo un mese dopo, però,
aveva rinunciato a tale carica e denunciato nuovamente Bozizé per non aver rispettato varie
clausole di Syrte220.
A metà aprile anche l'UFDR aveva firmato a Birao un accordo di pace, del tutto identico a
quello di Syrte. A vegliare sul rispetto dei patti questa volta era stato Omar Bongo, Presidente
del Gabon e Presidente del comitato ad hoc della CEMAC per la questione centrafricana.
217Ouham, Ouham Pendé, Nana Gribizi, la Kémo, Bamingui Bangoran, Vakaga, Haute Kotto et Nana Mambéré.218In tutti i trattati di pace viene ricordato il discorso di Bozizé in cui dichiarava con tono messianico di
promuovere “la tolleranza, il dialogo e la riconciliazione di tutte le figlie e i figli del Centrafrica”.219Mehler Andreas, Reshaping Political Space? The Impact of the Armed Insurgency in the Central African
Republic on Political Parties and Representation, GIGA Research Programme: Violence and Security, working paper n°116, dicembre 2009.
220International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 25.
62
Oltre all'integrazione nelle forze armate dei combattenti e alla partecipazione dei leader nel
governo erano stati concessi circa € 75 ad ogni militante. Sabone e Djotodia - capi dell'UFDR
estromessi da Zacharia e agli arresti a Cotonou – avevano però fatto sapere di non riconoscere
l'accordo e avevano posto la loro liberazione come condizione preliminare di qualsiasi
negoziato. Bozizé non ha mai accettato la richiesta, non volendo che i due leader si
consultassero con Khartoum, e ha ritenuto valido l'Accordo firmato da Zacharia.
Sebbene la situazione sembrasse essersi calmata, al governo a Bangui era chiaro che senza la
pace con il presidente sudanese Omar al Bashir nessun accordo sarebbe durato a lungo. Un
primo tentativo di riavvicinamento si era avuto già nel dicembre 2006, ma il veto di
N'djamena e di Parigi aveva stroncato l'iniziativa. Finalmente, con i primi segni di distensione
tra Ciad e Sudan, il 29 agosto 2007 Bozizé si è recato a Khartoum dove ha firmato una pace
separata.
Per lanciare il Dialogo politico inclusivo il BONUCA e il Centre for Humanitarian Dialogue
(HD Centre) hanno organizzato un incontro a Bangui dal 22 al 24 agosto 2007 tra
rappresentanti del governo, dell'opposizione e dei ribelli, al termine del quale si è decisa la
costituzione di un Comitato preparatorio responsabile dell'organizzazione del Dialogo221. In
ottobre il governo ha decretato la composizione del Comitato che avrebbe riunito, oltre ai tre
gruppi ribelli, anche l'Unione delle forze vive della nazione (coalizione dell'opposizione) e le
organizzazioni della società civile222.
Intanto continuavano le manifestazioni di protesta dei funzionari pubblici e degli insegnanti.
A Bangui nel gennaio 2008 si è tenuto un “concert de casseroles” (concerto di pentole) che è
seguito alla cosiddetta “journée ville morte” (sciopero generale), promossi dai sindacati. I
cortei e gli scioperi sono arrivati a durare anche una settimana, con conseguenze negative su
tutti i servizi pubblici. Nelle scuole le lezioni sono state sospese, gli uffici
dell'amministrazione pubblica bloccati e gli ospedali intasati. Oltre al pagamento degli
arretrati di 7 mesi e il versamento di 2-3 anni di salari risalenti ai governi precedenti, i
manifestanti chiedevano che fossero sbloccati gli aumenti per l'avanzamento di carriera.
Contemporaneamente l'aumento costante dei prezzi ha costretto i lavoratori pubblici ad avere
una seconda occupazione per arrivare alla fine del mese. Il problema era particolarmente
evidente per gli insegnanti, che davano lezioni private, e i medici, i quali preferivano cercare
221Centre for Humanitarian Dialogue, comunicato stampa: “La République centrafricaine lance un processus de Réconciliation Nationale”, 28 agosto 2007 (www.hdcentre.org).
222Mehler Andreas, Reshaping Political Space..., op. cit. e Mise en place du Comité préparatoire du dialogue national, decreto del Presidente della Repubblica n° 07.292, Bangui 8 ottobre 2007.
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un posto vacante nelle cliniche private. Il sistema educativo nazionale, già caratterizzato da
un alto tasso di abbandono scolare e di bocciati, dall'instabilità degli effettivi e dalla
mediocrità dell'insegnamento, non poteva che esserne indebolito. Lo stesso valeva per la
sanità pubblica223.
Il malcontento sociale ha dato luogo alle dimissioni del Primo Ministro e Ministro delle
Finanze Elie Doté. Al suo posto il 22 gennaio Bozizé ha nominato Faustin-Archange Touadér,
professore di matematica dell'Università di Bangui originario della capitale e distante fino ad
allora dalla politica. La sua nomina è stata criticata da Martin Zigulé, presidente del MLPC,
che avrebbe preferito attendere il Dialogo nazionale per designare una persona che avesse il
consenso anche dell'opposizione, ma oramai i giochi erano stati fatti224. Il 28 un rimpasto di
Governo ha portato ad affidare alcuni Ministeri anche a persone non appartenenti alla cerchia
di Bozizé, ma il nocciolo duro costituito da Sylvain Ndoutingaï, Ministro del settore
minerario e dell'energia, Yvonne Mboïssona, Ministro delle acque e delle foreste, Fidèle
Ngouandjika, Ministro delle poste e telecomunicazioni, e Thierry Maleyombo, il
Guardasigilli, gli ha assicurato la governabilità.
Le condizioni per il Dialogo sono state negoziate, non senza difficoltà, dal novembre 2007 al
marzo dell'anno successivo, data di deposito del rapporto finale da parte del Comitato di
preparazione. Il rapporto è stato elaborato sotto la presidenza dell'HD Centre e con l'aiuto dei
facilitatori del BONUCA e dell'Organizzazione internazionale della Francofonia e mette in
luce i problemi, le cause e le possibili soluzioni articolati secondo tre filoni tematici: le
questioni politiche e di governance (incluse le elezioni), la sicurezza e i gruppi armati e,
infine, lo sviluppo socio-economico225. Nonostante il Comitato prevedesse l'inizio dei lavori
dopo 45 giorni dalla presentazione del rapporto conclusivo, la sfiducia reciproca, le
divergenze e, soprattutto, la mancata promulgazione della promessa legge di amnistia hanno
costretto a posticipare la data.
Nella primavera dell'anno successivo nuove prospettive sono state aperte dalla firma di un
trattato di pace con l'APRD. Il movimento aveva infatti continuato a combattere e a chiedere
un dialogo inclusivo, ma, grazie alla mediazione di Omar Bongo Odimba, i rappresentanti del
governo e Demafouth erano giunti ad accettare di sedersi al tavolo delle trattative a Libreville.
223Intervista a Sabrina Munao, op cit. e “La grève des fonctionnaires: un véritable cauchemar pour les Centrafricains”, 25 febbraio 2008 (www.apanews.net).
224Jean-Dominique Geslin, “La nomination du recteur de l'université de Bangui, Faustin-Archange Touadéra, à la tête du gouvernement sème le trouble au sein de la classe politique du pays”, Jeune Afrique, 28 gennaio 2008 (www.jeuneafrique.com).
225Rapporto finale del Dialogo politico inclusivo (www.hdcentre.org).
64
Oltre all'arresto delle ostilità, all'amnistia e all'accantonamento delle truppe in vista di
un'integrazione nelle Forze di sicurezza o di un ritorno alla vita civile, l'accordo del 9 maggio
prevedeva un “programma urgente e prioritario” per creare le condizioni per il ritorno degli
sfollati nei loro villaggi e un piano di riabilitazione delle zone colpite dal conflitto226.
Un'ulteriore svolta è stata rappresentata dalla firma il 21 giugno dell'Accordo di pace globale
di Libreville con tutti i capi ribelli già firmatari di precedenti accordi ad eccezione di Miskine,
che temeva un mandato d'arresto della CPI. La sua firma è arrivata un anno dopo, a margine
del summit dell'Unione Africana presieduto da Gheddafi227. L'accordo riprendeva gli impegni
precedentemente presi separatamente: il cessate il fuoco generale, un'amnistia prima
dell'apertura del Dialogo inclusivo, il disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione dei ribelli
nelle forze armate nazionali (programma DDR-Disarmament, Demobilisation and
Reintegration). Una parte della leadership dell'UFDR ha rifiutato di riconoscere tale accordo,
mentre il MLCJ, nato da una costola staccatasi dall'UFDR, e l'UFR lo hanno sottoscritto solo
nel dicembre 2008228. Seguendo l'esempio di Demafouth, Charles Massi si era proposto ai
leader rimasti agli arresti a Cotonou come coordinatore politico per l'UFDR e ha ottenuto
l'investitura il 25 maggio 2008. Sabone e Djotodia volevano così cercare di riprendersi il
controllo del movimento ormai in mano a Zacharia, ma Massi, contrariamente a quest'ultimo,
non era originario del nord-est e non aveva quindi lo stesso consenso presso le truppe sul
campo, che continuavano ad obbedire agli ordini di Zacharia229.
Nonostante i progressi raggiunti con questi due accordi, rimanevano ancora troppe diffidenze
e disaccordi tra le parti. Da un lato Bozizé vedeva il Dialogo come uno stratagemma
dell'opposizione per rovesciare il suo potere con l'appoggio della comunità internazionale e
faceva di tutto per ostacolare il processo di pace, non retrocedendo di un passo di fronte alle
richieste dei ribelli e posticipando la legge di amnistia. Dall'altro lato, l'opposizione non
condivideva un punto importante: ad eccezione di Martin Ziguelé, a capo del principale
partito della minoranza, gli avversari di Bozizé concepivano le negoziazioni come un mezzo
per cambiare il regime, allorché l'obiettivo concordato doveva essere l'organizzazione delle
elezioni del 2010. Nell'autunno precedente vari partiti e membri della società civile avevano
226Accordo di cessate il fuoco e di pace tra il Governo della Repubblica Centrafricana e l'APRD, Libreville, 9 maggio 2008.
227Humanitarian and Development Partnership Team - Central African Republic (HDPT CAR), Bulletin d'Information Humanitaire République Centrafricaine (RCA) 29 juin - 06 juillet 2009 (http://hdptcar.net/).
228Condizione per la partecipazione al Dialogo inclusivo era proprio aver firmato l'accordo. Mentre l'UFDR lo aveva già siglato ad inizio del mese (il 7), il rappresentante di N'djadder, Nzengue-Landa, aveva dovuto aderirvi durante la sessione stessa (il 15 dicembre), pena l'esclusione.
229International Crises Group, République centrafricaine: débloquer le dialogue politique inclusif, Rapport Afrique nº 55, dicembre 2008 (www.crisisgroup.org).
65
firmato a Parigi un “manifesto per un dialogo politico veramente inclusivo”230 in cui
chiedevano di istituire una nuova assemblea costituzionale e ridare legittimità al Governo,
esigevano che il Dialogo si tenesse fuori dal paese231 e che le sue decisioni fossero
direttamente esecutive. Tra i firmatari vi erano anche Demafouth e Prosper N'douba,
portavoce di Patassé. Inoltre, sia i movimenti ribelli sia il MLPC erano divisi al loro interno, i
primi a causa della defezione di alcune parti al momento della firma dell'accordo di pace, il
secondo per lo scontro di leadership tra vecchio e nuovo presidente del partito
(rispettivamente Patassé e Ziguelé). Ad aggravare la debolezza dell'opposizione vi era una
pletora di piccoli partiti, circa una cinquantina, a cui si può aggiungere il più importante RDC
(Ressemblement démocratique centrafricain) dell'ex-presidente André Koligba, privi di
capacità istituzionale e di mezzi232.
Dopo tre proposte di legge severamente criticate dall'opposizione perché favorivano
apertamente le forze alleate di Bozizé, il 29 settembre 2008 è stata finalmente approvata
dall'Assemblea Nazionale la legge di amnistia generale, promulgata dal Presidente della
Repubblica il 13 ottobre. Ne beneficeranno Patassé, condannato in contumacia a vent'anni di
lavori forzati, Demafouth, sotto accusa per assassinio, e Miskine, responsabile di crimini
contro la popolazione civile nel 2002-2003233. La legge cita personalmente i tre leader
dell'opposizione e prevede un analogo salvacondotto per il capo dello Stato. Ad esclusione del
genocidio, dei crimini contro l'umanità, dei crimini di guerra e di tutte le altre fattispecie di
competenza della CPI, l'amnistia copre tutti i crimini commessi dai diversi attori del conflitto
dalla data del colpo di stato. La disposizione si applica infatti sia alle forze di sicurezza, alle
autorità civili e militari nel quadro della difesa del territorio (e quindi vi sono compresi anche
gli ex liberatori di Bozizé, che verrebbero scagionati dalle accuse relative ai crimini
commessi a Bangui), sia ai responsabili e ai membri dei gruppi politico-militari, compresi
quelli in esilio. Il testo prevede altresì che, qualora un gruppo armato non rispetti il cessate il
fuoco e non si sottometta al processo di disarmo dopo 60 giorni, perda il beneficio
dell'immunità e sia impossibilitato per dieci anni a partecipare alla vita politica del paese. La
legge è stata fortemente osteggiata dall'opposizione poiché pone l'impunità come base su cui
costruire un dialogo, lasciando insoddisfatto il bisogno delle vittime di ottenere giustizia.
Anche i movimenti ribelli ne hanno criticato alcune parti, in particolare la possibilità di
230Goungaye Wanfiyo Nganatouwa, “Déclaration de la coordination des signataires du manifeste”, Centrafrique-presse, 18 novembre 2008 (http://centrafrique-presse.over-blog.com).
231Come nel caso lampante di Miskine, alcuni temevano che al rientro avrebbero potuto essere arrestati.232International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 5.233FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit.
66
revoca dell'amnistia in seguito alla ripresa delle ostilità, che secondo loro sarebbe una
disposizione facilmente manipolabile come pretesto per annullare in toto i benefici della
legge nei loro confronti. A questo si aggiunga una riforma della magistratura, promulgata il
17 ottobre e fortemente contestata dall'opposizione, dai ribelli e dalla stessa Corte
Costituzionale perché incapace di garantire l'indipendenza dall'esecutivo234.
Per quanto riguarda i crimini esclusi dalla legge di amnistia, Bozizé già ad inizio agosto aveva
scritto una lettera al Segretario dell'ONU chiedendo che intercedesse presso il Consiglio di
Sicurezza per sospendere l'inchiesta pendente sul paese e da lui stesso richiesta nel 2004. A
seguito della dichiarazione della Corte penale internazionale di perseguire non solo le
violazioni commesse tra 2002 e 2003 e dell'arresto di Jean-Pierre Bemba a Bruxelles in
maggio, Bozizé cominciava a temere che la giustizia internazionale si abbattesse anche su di
lui235. Così si è appellato all'articolo 16 dello Statuto di Roma che prevede la possibilità per il
Consiglio di Sicurezza di sospendere una procedura per dodici mesi (rinnovabili all'infinito236)
nel caso in cui le indagini possano compromettere l'azione del Consiglio stesso. Fino ad ora
non è stata data risposta alla richiesta di Bozizé, ma nessun mandato è stato ancora emesso a
suo nome.
Dopo la firma dell'Accordo di pace globale e la promulgazione della legge di amnistia la
situazione nel nord era relativamente migliorata. I gruppi che avevano aderito al processo di
pace avevano messo da parte le ostilità e, ad esclusione di qualche attacco sporadico dovuto
ad elementi sfuggiti al controllo, l'unico problema consistente era ancora quello dei banditi.
La tentazione di riprendere le armi, tuttavia, rimaneva forte237.
Nel corso del 2008 la comunità internazionale, mossa a dire il vero soprattutto dal timore di
un'estensione in RCA del conflitto in Darfur (timore sapientemente alimentato da Bozizé per
ottenere ulteriori aiuti), ha deciso l'invio di due missioni di pace per sostenere il contingente
francese dell'operazione “Boali” e la FOMUC. In marzo è stato dato il via al dispiegamento
della forza di pace europea Eufor Ciad/Centrafrica, impegnata nei due paesi per il periodo di
un anno e poi sostituita dalla missione delle Nazioni Unite MINURCAT. Maggior continuità
invece è offerta dalla forza di pace della Comunità economica degli Stati dell'Africa centrale
(CEEAC), la MICOPAX, che ha iniziato il suo mandato nel luglio 2008. In realtà non si è
trattato di un vero e proprio passaggio di testimone, ma di un allargamento della
234International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 5.235Ivi, p. 6.236Questo è un punto di grande debolezza dello Statuto, che può prestarsi a manipolazioni.237International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 9.
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responsabilità e di un aumento degli effettivi. Infatti, i militari francesi sono confluiti
dapprima nell'Eufor e poi nella MINURCAT, mentre i contingenti di Gabon, Ciad e Congo
Brazzaville si sono riversati nella MICOPAX, affiancandosi ai nuovi venuti dalla Repubblica
Democratica del Congo, dal Camerun e dall'Angola238. Mentre la forza di pace della CEEAC
era incaricata di mantenere la sicurezza del nord-ovest, all'Eufor spettava la pacificazione del
Vakaga.
Un'imboscata ad un contingente ciadiano della MICOPAX ha rischiato in ottobre di mandare
a monte il processo di pace poiché, nonostante le scuse portate dal portavoce dell'APRD
Laurent Djim Wei, le FACA avevano preparato una rappresaglia. Per fortuna, di fronte alla
minaccia dell'APRD di riprendere i combattimenti, l'esercito ha desistito. Nonostante la
cessazione delle ostilità, fonti indipendenti hanno riportato che il gruppo agli ordini di
Demafouth avrebbe continuato le pratiche di estorsione di denaro e a mettere in piedi
tribunali speciali per giudicare i “cattivi patrioti”239. Inoltre, fonti ONU riportano di vari
scontri tra movimenti ribelli e FACA, tra cui i più gravi a Sido, che avrebbero lasciato sul
terreno diversi morti240.
Intanto nuove e vecchie minacce hanno fatto la loro comparsa ai confini orientali: nel marzo
2008 l'Esercito di Resistenza del Signore (LRA
– Lord's Resistance Army) ha compiuto
un'incursione in profondità nella prefettura
dell'Haut-Mbomou. Questo movimento ribelle
originario dell'Uganda e diffuso nella zona tra
RCA, Repubblica Democratica del Congo e
Sudan meridionale, oggi è diventato uno dei
problemi maggiori del paese, soprattutto nella
provincia di Obo. Un secondo focolaio di
instabilità si è acceso in settembre con l'attacco
da parte di dissidenti dell'UFDR partiti dal
Sudan della città frontaliera di Am-Dafok. Nel corso dell'anno seguente saranno numerosi gli
episodi di piccoli gruppi di ribelli non soddisfatti dell'andamento del processo di pace che
riprenderanno le armi.
238International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., pp. 11-12.239Ivi, p. 10.240Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto del Segretario Generale sulla situazione in RCA e sulle
attività del BONUCA S/2008/733, 26 novembre 2008.
68
Fonte: www.reliefweb.int
Finalmente a novembre Bozizé ha annunciato la data in cui si sarebbe tenuto il Dialogo
politico inclusivo, dall'8 al 20 dicembre, e la sede, che sarebbe stata Bangui. Obiettivi
dell'assise erano, nel breve termine, la smobilitazione dei gruppi armati ribelli e
l'organizzazione di nuove elezioni. Nel lungo periodo, invece, si sarebbero dovute proporre
delle riforme per favorire lo sviluppo economico e sociale del paese, evitando nuove
insurrezioni. La partecipazione è stata numerosa, circa 200 persone inclusi i rappresentanti
delle sei entità già presenti nel Comitato preparatorio: la maggioranza di Governo, i poteri
pubblici, i partiti di opposizione (Unione forze vive della nazione – UFVN), gli altri partiti
non schierati, quattro gruppi ribelli (UFDR, APRD, UFR, MLCJ) e la società civile. Miskine
ha partecipato solo all'assemblea plenaria finale il 20 dicembre, ma non ha appoggiato le
risoluzioni prese. Erano inoltre presenti osservatori nazionali ed internazionali241,
rappresentanti delle principali confessioni religiose, militari e personalità di rilievo
centrafricane242. Se le sessioni plenarie sono state presiedute da Pierre Buyoya, ex presidente
del Burundi, la figura che emerge da tutto il processo di mediazione e può essere considerato
il padrino del Dialogo è sicuramente il presidente del Gabon Omar Bongo. La sua morte solo
sei mesi dopo ha costituito una grande perdita per il Centrafrica.
All'inizio le posizioni delle sei entità partecipanti potevano essere riassunte in tre blocchi, più
o meno coesi243. I poteri pubblici e la maggioranza governativa, avendo ceduto al dialogo,
volevano sfruttare quest'occasione per rafforzare la propria credibilità sia presso la comunità
internazionale sia nei confronti della popolazione, il che sarebbe venuto molto utile se si fosse
giunti a nuove elezioni. Inoltre, la loro linea politica implicava fare meno concessioni
possibili all'opposizione, cercando comunque di trovare un accordo con i ribelli. Il secondo
blocco è appunto quello dei rappresentanti degli insorti. Se i loro obiettivi ufficiali erano il
riconoscimento politico e delle loro rivendicazioni - ossia il miglioramento delle condizioni di
sviluppo e di sicurezza del nord - i rappresentanti erano evidentemente mossi anche dai loro
interessi personali. Demafouth, per esempio, voleva partecipare alle elezioni presidenziali,
mentre Damane preferiva commerciare diamanti, ma la maggioranza ambiva ad un posto
lucrativo nel governo o nel corpo diplomatico o, ancora, a spinte nel settore economico.
Questo ha fatto sì che le richieste che avevano fatto nascere la ribellione e il malcontento del
nord venissero accantonate e che parte del blocco fosse cooptato dal governo. L'ultima
241Ambasciatori e rappresentanti diplomatici, membri di organizzazioni internazionali come l'Organizzazione della Francofonia, l'Unione Africana e l'ONU (tramite il BONUCA).
242Rapporto finale del Dialogo politico inclusivo (www.hdcentre.org).243International Crises Group, Central African Republic: Keeping the Dialogue Alive, Rapport Afrique nº69,
2010 (www.crisisgroup.org).
69
posizione era rappresentata dall'UFVN, dagli altri partiti e dalla società civile, che
condividevano l'obiettivo di costringere Bozizé a concedere una maggior partecipazione negli
affari dello Stato. L'UFVN, inoltre, inizialmente aveva chiesto le dimissioni del Presidente e
l'istituzione di un governo di transizione, ma, non avendo ottenuto l'appoggio delle altre forze,
aveva desistito. La richiesta di dimissioni di Bozizé era motivata dal fatto che il Presidente
aveva ripetutamente violato le disposizioni della Costituzione, in primo luogo cumulando la
carica di capo dello Stato, quella di Ministro della Difesa, degli ex combattenti, delle vittime
di guerra, del disarmo, della ristrutturazione dell'esercito e la presidenza del Consiglio del
Tesoro, organo che decide in ultima istanza su tutte le spese dello Stato. Infine era emerso un
outsider: Patassé, tornato dall'esilio per partecipare al Dialogo. Avendo in mente di candidarsi
alle presidenziali voleva cercare di recuperare la credibilità e il favore perduti con la
repressione del tentato colpo di stato di Kolingba, quando le sue truppe e quelle di Bemba
avevano sconvolto il sud del paese. Durante la sessione ha infatti chiesto perdono per tali
crimini, come prima di lui avevano fatto, durante il Dialogo nazionale, Bozizé e Kolingba.
Il dibattito durante il Dialogo si è articolato in tre commissioni che seguivano i tre principali
punti delineati dal Comitato preparatorio e in cui erano rappresentate tutte le entità emerse
durate il processo di pace. Le proposte avanzate dal Comitato preparatorio sono state
dapprima analizzate, dibattute, per poi giungere a delle raccomandazioni. Le risoluzioni finali
sono poi state adottate nell'assemblea plenaria del 20 dicembre244.
Questioni politiche e di governance245. Le parti hanno raggiunto un accordo sulla necessità
di creare un nuovo governo che ottenesse il consenso di tutti, ma la richiesta che il Primo
Ministro fosse dell'opposizione è stata rifiutata e i dettagli su quanti ministri affidare a
ciascuna parte e i meccanismi per la loro elezione sono stati tralasciati. Per ridurre il controllo
del governo sul potere giuridico si è deciso di istituire una Corte suprema in grado di
giudicare il Presidente e l'immediato rispetto della procedura relativa all'Alto Consiglio e alla
Magistratura. Nel rispetto della Costituzione i poteri pubblici avrebbero dovuto rendere noti i
loro patrimoni e le istituzioni recanti reddito allo Stato, come le aziende pubbliche, si
sarebbero impegnate a rispondere a delle interrogazioni presso un comitato indipendente di
esperti246. Bozizé ha poi rinunciato al Ministero della Difesa. Un altro punto discusso è stato il
riconoscimento della marginalizzazione dei musulmani, che ha quasi scatenato una crisi
244Rapporto finale del Dialogo politico inclusivo.245Ibid.246Il controllo sulle istituzioni doveva applicarsi al settore minerario, forestale e delle telecomunicazioni, al
Tesoro, alle dogane e alle imposte.
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quando il regime si è inizialmente rifiutato di accettarlo. Alla fine si è giunti ad una condanna
di tutte le discriminazioni religiose e alla possibilità in futuro di includere nel calendario delle
festività anche quelle musulmane. Nonostante queste dichiarazioni, in Centrafrica pesano più
che le vere e proprie discriminazioni religiose le differenze etniche e, soprattutto nel caso dei
musulmani, quelle di censo. La loro discriminazione, infatti, è dovuta al fatto che essi sono
generalmente più ricchi della media, essendo dediti al commercio, tant'è che, sebbene la
scarsa regolamentazione faciliti l'evasione fiscale, sono una delle poche categorie che pagano
le tasse247.
Per quanto riguarda le elezioni si è stabilita la costituzione di un Comitato che rivedesse il
codice elettorale, per evitare le manipolazioni di cui l'opposizione aveva accusato il Governo
nel 2005. Sia questo sia la Commissione elettorale indipendente avrebbero dovuto
comprendere membri scelti da tutte le forze presenti al Dialogo. Le date per la tenuta degli
scrutini erano state identificate nel 2009 per le provinciali e nel 2010 per presidenziali e
legislative. L'applicazione dei regolamenti sui finanziamenti e sulla rappresentatività dei
partiti avrebbe dovuto garantire, insieme ad un equo accesso ai media, uguali possibilità a
tutti i partecipanti, come raccomandato dal Comitato preparatorio. Infine le raccomandazioni
prevedevano la creazione di un comitato che monitorasse l'implementazione degli accordi
presi e ne rendesse pubblici i risultati, nonché l'istituzione di una cornice permanente per il
dialogo tra le parti. In questo modo si sarebbe evitato che pagine e pagine di raccomandazioni
finissero in un nulla di fatto come era successo per il Dialogo nazionale del 2003.
Sicurezza e gruppi armati248. Questa commissione tematica ha avuto meno problemi della
precedente perché gran parte del lavoro era già stato portato avanti precedentemente. Erano
stati previsti due programmi, uno per ristrutturare le forze armate (SSR – security sector
reform) e il secondo per la smobilitazione e il reinserimento dei ribelli nell'esercito o nella
società civile (DDR- disarmament, demobilisation and reintegration), che la commissione si è
limitata a confermare. Per quanto riguarda il primo progetto, per cercare di garantire una
continuità dell'efficienza nel controllo del territorio anche all'indomani della partenza delle
missioni internazionali, i donatori avevano incoraggiato fin dalla primavera un dibattito sul
futuro del sistema di sicurezza centrafricano tramite un seminario nazionale. La comunità
internazionale, infatti, non voleva che le riforme del sistema di sicurezza dipendessero
dall'andamento del Dialogo nazionale per non compromettere almeno questo punto e non
aveva atteso che le parti in conflitto trovassero un accordo, escludendo così i gruppi ribelli
247Intervista a Sabrina Munao, op. cit.248Rapporto finale del Dialogo politico inclusivo.
71
dalla contrattazione249. In novembre era stata presentata all'Assemblea la Legge di
programmazione militare 2009-2013 elaborata in accordo con la comunità internazionale
rappresentata da Alain Guillou, consigliere per le riforme del settore sicurezza250. Tra le varie
proposte vi è il raddoppio degli effettivi di gendarmeria, polizia ed esercito, che arriverebbero
a toccare nell'insieme le 10.000 unità. In un'intervista al settimanale Jeune Afrique Bozizé ha
ammesso che, nonostante gli sforzi, anche questo numero è insufficiente per coprire l'intero
territorio centrafricano251. È evidente che i costi costituiscono un grosso limite per ogni
riforma poiché questo aumento di personale implica salari, materiali ed infrastrutture che
attualmente la RCA non può permettersi. Il sostegno della comunità internazionale è quindi
fondamentale e costituisce il prezzo da pagare per non investire più in missioni di pace future.
Quanto al programma di disarmo, smobilitazione e reintegrazione, i diversi gruppi ribelli
hanno presentato le cause che li hanno spinti a prendere le armi. Tra questi sono stati messi in
luce la trascuratezza e il sottosviluppo del nord rispetto al sud e alla capitale, la mancanza di
una ricompensa per gli ex liberatori, le persecuzioni di cui sono state fatte oggetto le
comunità del nord-ovest, ritenute sostenitrici del regime precedente, e la discriminazione nei
confronti dei musulmani (Sabone).
Le raccomandazioni prevedevano la messa in opera del DDR nei successivi 18 mesi, il lancio
di una vasta campagna di sensibilizzazione sui temi della pace, della riconciliazione nazionale
e del Dialogo politico inclusivo, la creazione di un fondo di indennizzo di tutte le vittime dei
conflitti e la lotta contro la proliferazione delle armi leggere. Per far fronte alla diffusione
delle crisi dei paesi confinanti nel territorio centrafricano si raccomandava, inoltre, di
rafforzare la cooperazione bilaterale e regionale in materia di sicurezza nei successivi 6 mesi,
attraverso la riattivazione delle Commissioni miste con gli Stati frontalieri e specifici accordi.
Infine è stata prevista la messa in opera dell'accordo con il Sudan relativo alle riparazioni
destinate alla popolazione di Birao.
Sviluppo socio-economico252. L'agenda riguardante le riforme in questo settore proposta dal
Comitato preparatorio era decisamente fitta e nei pochi giorni di discussione non tutti i punti
sono stati soddisfatti pienamente. I temi affrontati sono stati il miglioramento dell'efficienza
dei servizi pubblici, la lotta alla corruzione, la maggior trasparenza delle finanze statali, gli
stimoli allo sfruttamento delle risorse naturali, il supporto al settore privato e lo sviluppo di
249International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 3.250Ivi, p. 13.251Soudan François, “Interview: François Bozizé”, Jeune Afrique n°2584, 18-24 luglio 2010.252Rapporto finale del Dialogo politico inclusivo.
72
capitale umano. Nonostante l'opposizione avesse strenuamente chiesto che alla direzione dei
ministeri con responsabilità nella gestione delle entrate fossero messi personaggi provenienti
dalle sue fila, la risoluzione non è stata approvata. Si è invece giunti ad un accordo sulla
necessità di stimolare il settore del legno e quello minerario, principali risorse del paese e
affetti da una gestione patrimonialistica. Il duplice obiettivo era quello di assicurare un
utilizzo adeguato delle risorse cercando di promuovere le imprese nazionali e preservare
l'ambiente. In particolare si è decretata l'adesione al processo di Kimberley per la trasparenza
nel settore estrattivo e la lotta al commercio di minerali per finanziare i conflitti.
Sempre in ambito economico si raccomandava la promozione del settore privato nazionale,
delle piccole e medie imprese, della formazione professionale, del capitale umano e del
credito facilitato per l'imprenditoria femminile. Particolare attenzione è stata prevista per la
presenza delle donne negli impieghi pubblici. Per rafforzare la gestione oculata delle risorse
locali è stata poi introdotta l'elezione diretta dei sindaci, prima nominati da Bozizé.
Diverse raccomandazioni riguardavano la messa in opera di riforme che permettessero una
gestione più trasparente delle finanze pubbliche, la ristrutturazione e costruzione di
infrastrutture (strade, ferrovie, aeroporti) e di servizi sociali (ospedali, scuole, ambulatori,
alloggi sociali e studentati). I rappresentanti hanno però evidenziato come il Centrafrica fosse
in tale momento impegnato in programmi di ristrutturazione del bilancio con l'FMI. La sua
capacità di indebitamento era già satura e si rendeva quindi necessario da una parte scegliere
delle priorità, dall'altra cercare nuovi canali di finanziamento a medio e lungo termine
valorizzando le risorse naturali nazionali. Infine è stato affrontato il problema degli arretrati
salariali, delle pensioni, delle borse di studio e dell'adattamento degli stipendi al rialzo dei
prezzi.
È stato poi discusso il piano di coordinamento per lo sviluppo, formulato nel documento
strategico per la riduzione della povertà (Poverty Reduction Strategy Paper - PRSP)253. Tale
piano, approvato nel 2007 e valido per il periodo 2008-2010, prevede quattro pilastri: a) la
messa in sicurezza del paese, il consolidamento della pace e la prevenzione dei conflitti; b) la
promozione di una buona governance e dello stato di diritto; c) la ricostruzione e la
diversificazione dell'economia; d) lo sviluppo del capitale umano. Ogni ministro deve seguire
253I Poverty Reduction Strategy Papers (PRSP) sono documenti preparati dagli Stati attraverso un processo partecipativo che coinvolge attori nazionali, partner stranieri e organizzazioni internazionali, in primo luogo la Banca Mondiale e l'FMI. Sostituti dei piani di aggiustamento strutturale, sono un passo fondamentale per avere accesso alla riduzione del debito o a finanziamenti dell'FMI. La RCA si era impegnata nell'elaborare un PRSP dal 2003. Il primo rapporto triennale è datato 3 agosto 2009. Nel frattempo è stata adottata una strategia ad interim, il Documento quadro di politica economica e sociale.
73
queste linee guida nella progettazione della propria agenda e discuterle con il tavolo dei
donatori. I fondi necessari per l'implementazione del PRSP ammontano a 633 miliardi di
franchi CFA, ossia 1,3 miliardi di dollari, di cui il 66% destinati al III pilastro e il 23% al
IV254.
Il PRSP prevede tra le altre cose delle riforme strutturali per stabilizzare l'economia. Progressi
in questo settore hanno permesso una cancellazione di una buona percentuale del debito
estero da parte del Club dei creditori di Parigi e del Fondo Monetario nel 2009. I fondi che
sarebbero dovuti essere destinati a ripagare il debito sono stati impiegati invece per ridurre da
nove a due mesi gli arretrati nei salari degli impiegati pubblici. Nonostante il piano PRSP sia
estremamente complesso ed articolato, è un punto di forza il fatto che ci sia una strategia
unica per il paese, anche se la commissione ha messo in luce come il problema principale sia
l'insufficienza di fondi, chiedendo che venga affrontato al più presto.
Il piano poggia sulla strategia dei “development poles255” finanziata dalla Comunità Europea
che mira ad implementare riforme partendo dal basso e sviluppando le comunità locali e
decentrate, per una distribuzione geograficamente più equa della ricchezza. In una prima fase
si sono scelte 11256 città minori (di cui la maggior parte nel nord-ovest), che dovrebbero
divenire le locomotive di uno sviluppo regionale integrato, mentre in un secondo tempo il
progetto sarà esteso al resto del paese257. Si prevede che il programma divenga operativo dal
2010, costituendo una buona occasione per favorire il reinserimento nella società degli ex
combattenti.
Ma a cosa è servito il Dialogo politico inclusivo? A posteriori è evidente che, al di là degli
accordi, l'implementazione fatica ad andare avanti, tuttavia è innegabile che alcuni progressi
vi siano stati. Innanzitutto è stato fatto il primo passo per una mediazione, ossia il
riconoscimento reciproco. Lo stesso Patassé per la prima volta ha riconosciuto Bozizé come
legittimo Presidente. Secondariamente, l'opposizione ha lasciato da parte la richiesta di un
cambiamento di regime per accordarsi sull'istituzione di un governo di consenso. Non di
254Fondo Monetario Internazionale, Poverty Reduction Strategy Paper - First Annual Progress Report, 3 agosto 2009 (www.fmi.org).
255La promozione dello sviluppo di poli regionali, secondo la teoria dei “development poles”, servirebbe a costituire dei centri focali da cui irradiare ulteriore sviluppo nel territorio circostante. I critici di questa teoria sostengono che concentrando lo sviluppo tecnologico ed economico nei centri si rischia di creare un'economia duale o un disequilibrio pericoloso tra centro e hinterland. Nel caso della Repubblica Centrafricana questo sarebbe aggravato dalla mancanza di strade asfaltate che possano facilitare la diffusione di questo sviluppo.
256Divenute 14 nel 2009.257Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza, Rapporto della Commissione di consolidamento della pace
sulla sua missione in RCA, dal 30 ottobre al 6 novembre 2008 PBC/3/CAF/3, 11 dicembre 2008 (www.un.org).
74
minor importanza è stata la dichiarazione dei gruppi ribelli di esser disposti ad abbandonare le
armi, anche se dovremo ancora attendere perché ciò venga effettivamente realizzato. Da parte
del Governo c'è stato un passo avanti nel concedere una gestione più condivisa degli affari di
Stato e l'accettazione di andare alle urne per apporre un sigillo democratico su quanto
ottenuto durante il Dialogo.
§ 2. La disillusione
La conclusione del 2008 aveva portato nuove speranze al paese, ma l'anno seguente le ha
viste in gran parte tradite. Nonostante per la maggior parte delle raccomandazioni fossero
state previste chiare scadenze che avrebbero potuto agevolare la realizzazione degli obiettivi,
queste non sempre sono state rispettate. Nel gennaio 2010, infatti, solo 44 su 116 erano state
già adottate258.
Per monitorare i progressi nell'applicazione delle risoluzioni il 9 febbraio 2009 è entrato in
funzione il Comitato di controllo delle raccomandazioni del Dialogo politico inclusivo, che
include tre rappresentanti per ognuna delle sei componenti del Dialogo e uno per ciascuna
delle sette organizzazioni internazionali o regionali presenti nel paese (ONU, UE, UA,
ECCAS, Organizzazione Internazionale della Francofonia, Comunità degli Stati del Sahara e
Sahel e la CEMAC). Il lavoro compiuto da questo comitato è stato lodevole, ma ha un potere
limitato: può solo segnalare i ministri che non hanno raggiunto gli obiettivi o che si sono
distinti per la mancanza di collaborazione. L'applicazione delle riforme, inoltre, è in gran
parte dipesa dalla buona volontà, dalla preparazione e dai mezzi a disposizione di ciascun
ministero. Da parte della presidenza vi è stato poi un certo ostruzionismo e molte decisioni
sono state prese in maniera impulsiva e non democratica, come se fosse necessario a tutti i
costi raggiungere degli obiettivi con o senza consenso delle altre parti259.
Un esempio di questo comportamento ambiguo è stata l'elezione del nuovo governo. Nel
dicembre 2008 Bozizé aveva invitato ognuna delle sei componenti del Dialogo a proporre due
candidati, ma il mese successivo, dissolto il vecchio esecutivo, ha rinominato Touadéra Primo
Ministro, nonostante le proteste dell'opposizione. Questi ha riconfermato dieci ministri del
governo precedente e dodici li ha selezionati, almeno nominalmente, tra i rappresentanti dei
258Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto del Segretario Generale sulla situazione in RCA e sulle attività del BINUCA, S/2010/295, 10 giugno 2010 (www.un.org).
259International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit.
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ribelli, della società civile, dell'UFVN e degli altri partiti. I ministeri dati all'opposizione sono
in prevalenza abbastanza marginali, fatto che ha senz'altro contribuito al mancato
riconoscimento delle nomine o all'espulsione dei rappresentanti che avevano accettato
l'incarico dai partiti. Il governo così formato ha continuato ad esser dominato dalla
maggioranza, senza notevoli cambiamenti260. Un ulteriore rimpasto dell'esecutivo si è avuto il
19 aprile 2010, quando Cyriaque Gonda e Elie Ouefio, rispettivamente Ministro delle
comunicazioni, della cittadinanza, della riconciliazione nazionale e del proseguimento del
dialogo e Ministro dell'amministrazione territoriale e della decentralizzazione nonché
Ministro con delega all'organizzazione delle elezioni, sono stati sollevati dal loro incarico.
Entrambi fanno parte della coalizione che sostiene Bozizé, ma voci sostengono che Gonda
volesse presentarsi alle elezioni, diventando così un concorrente scomodo, mentre la
destituzione di Ouefio sarebbe dovuta alle richieste dell'opposizione a causa
dell'incompatibilità fra la sua carica di Ministro incaricato delle elezioni e la presidenza del
Kwa Na Kwa261.
Altri problemi relativi alla governance non sono ancora stati affrontati, come la corruzione, la
separazione dei poteri e le discriminazioni nei confronti dei musulmani. Non si sono tenute
infatti le interrogazioni delle istituzioni che gestiscono grandi quantità di denaro statale e non
tutti i parlamentari hanno dichiarato i loro patrimoni. Anche nel 2009 i sindaci sono stati
nominati dall'alto, il Presidente ha ancora l'ultima parola sulle spese per la Difesa, ormai
affidata al figlio, Jean-Francis, e la Corte suprema stenta a diventare operativa. Fatto ancor
più grave è la mancata realizzazione del canale di dialogo permanente con la società civile e i
movimenti di opposizione262.
Per quanto riguarda la difesa dei diritti umani si registrano ancora abusi, detenzioni illegali,
torture e sparizioni di detenuti nelle prigioni di Bouar, Bambari, Bossangoa e Bangui,
caratterizzate già da condizioni di detenzione assai precarie. Continuano anche le
perquisizioni forzate, le estorsioni e le irregolarità processuali, mentre non si è messa fine
all'impunità. La FIDH condanna, inoltre, le continue minacce fatte ai difensori dei diritti
umani, soprattutto coloro che lottano contro l'impunità dei crimini di guerra e contro
l'umanità. In questo senso si colloca la scomparsa di Wanfiyo Goungaye, presidente della
Ligue centrafricaine des droits de l'homme, morto in circostanze sospette il 27 dicembre
260International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 7.261Ouefio è stato anche accusato da Ziguelé di aver promosso la compilazione di liste elettorali parallele presso
i sindaci e i capi villaggio. Africa-info, “CAR: Two ministers sacked”, 21 aprile 2010 (http://africa-info.org).262International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p.8.
76
2008, dopo esser stato oggetto di minacce, arresti arbitrari e pressioni in seguito all'apertura
da parte della CPI del caso Bemba nel 2007263. Le forze armate e la Guardia Presidenziale si
sono rese ancora responsabili di estorsioni, incendi e saccheggi di case, uccisioni e
somministrazione sommaria della giustizia, anche se in misura minore rispetto a prima264. A
questo si aggiungano le violazioni compiute dai gruppi ribelli ancora attivi nel paese e,
soprattutto, dal Lord's Resistance Army (LRA) nel sud-est. Grazie all'opera dell'UNICEF e
del BINUCA (United Nations Integrated Peacebuilding Office in the Central African
Republic)265 alcune centinaia di bambini-soldato sono stati allontanati dalle file dei ribelli e
reintegrati nella società civile. Mancano tuttavia all'appello i minori rapiti dall'LRA, che
ancora si trovano nelle mani del movimento266. Infine, permangono gravi discriminazioni e
persecuzioni nei confronti di persone accusate di stregoneria, che anche gli organi dello Stato
lasciano impuniti a causa della persistente superstizione.
Il 30 settembre 2009 l'Assemblea Nazionale ha approvato una riforma del Codice penale e del
Codice di procedura penale permettendo all'ordinamento centrafricano di allinearsi con gli
standard internazionali267, ma il rispetto di quanto previsto nei due testi è ancora da vedersi.
Sul fronte delle riforme economiche e sociali qualche passo avanti è stato fatto, ma in maniera
scoordinata ed incompleta. Principali debolezze del processo sono state la mancanza di fondi
e l'incapacità di svolgere quell'azione di advocacy presso le istituzioni internazionali e gli altri
Stati che purtroppo è necessaria per ottenere finanziamenti. Bisogna tener conto, però, anche
del fatto che le raccomandazioni dell'ultima commissione, rispetto alle altre, erano più vaghe,
numerose e non indicavano scadenze e responsabili dell'implementazione. Infine, presupposto
fondamentale per le azioni a medio e lungo termine è la pacificazione del paese che,
nonostante gli sforzi, non si può dire sia ancora avvenuta.
Provvedimenti più tecnici hanno avuto meno problemi ad essere applicati. Con l'assistenza
della Banca Mondiale è stato approvato un nuovo codice minerario, che tuttavia la
Commissione di Peacebuilding dell'ONU ha criticato per non aver risolto le questioni di
trasparenza della provenienza e dell'equa redistribuzione dei ricavi. Inoltre, l'ulteriore rialzo
della tassa sull'esportazione di minerali – già tra le più alte del continente - ha reso il clima di
263FIDH, Examen Périodique Universel de la République Centrafricaine, 23 settembre 2009 (www.fidh.org).264Un esempio pratico è la sorte destinata ai bracconieri sudanesi dediti alla caccia all'avorio nell'est del paese:
per far sì che abbiano timore ad effettuare nuovi sconfinamenti, quando vengono catturati, anziché processarli, le forze armate infliggono loro ferite e mutilazioni. Intervista a Carlo Paolini, op. cit.
265Ha sostituito il BONUCA il primo gennaio 2010 ed ha un mandato di un anno.266Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op.cit.267Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto del Segretario Generale sulla situazione in RCA e sulle
attività del BONUCA, S/2009/627, 8 dicembre 2009 (www.un.org).
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investimenti ancor meno attraente, quando già la crisi economica scoppiata nel 2008 aveva
costretto alla chiusura varie aziende del settore. Il codice forestale è invece stato redatto con
maggior oculatezza, garantendo alti livelli di sensibilità ambientale e la partecipazione delle
comunità nella gestione delle risorse. I permessi di sfruttamento son stati requisiti e
ridistribuiti con nuove regolamentazioni che impongono alle società di ripiantare gli alberi e
di indennizzare le persone che vivono nelle aree coinvolte. Tali regolamenti, però, non sono
rispettati da tutti e solo le aziende europee dimostrano una certa moralità nello sfruttamento
della risorsa del legno, in confronto alla spregiudicatezza delle omologhe imprese libanesi,
cinesi e indonesiane con cui dividono il mercato. Inoltre, se anche i concessionari pagano i
contributi e gli indennizzi destinati alla popolazione, gli enti di gestione locale non li
ridistribuiscono nei villaggi, ma se ne impossessano268. Infine, un altro progresso è
rappresentato dalla riabilitazione della camera di commercio, punto di riferimento per gli
investitori e le aziende sia nazionali sia estere269.
Nel primo rapporto annuale del Piano strategico di riduzione della povertà si evidenzia come
queste riforme siano poca cosa in confronto alla situazione economica e sociale da sanare. La
crisi economica mondiale del 2008, le fluttuazioni del prezzo del petrolio, l'instabilità dei
prezzi dei principali prodotti di esportazione centrafricani e la crisi alimentare hanno infatti
indebolito la crescita economica e causato un notevole aumento dei prezzi nel 2008, scesi per
fortuna l'anno seguente270. Con l'aiuto dei donatori e delle politiche prudenti suggerite dalle
istituzioni finanziarie internazionali il bilancio statale è tornato ad esser leggermente
positivo271, ma chi è sul campo non può fare a meno di notare che, tra la crisi e gli alti costi
dei trasporti, le industrie estrattive e i concessionari del legname al momento sono fermi272.
Le organizzazioni umanitarie hanno richiamato l'attenzione sull'emergenza e il sottosviluppo
nelle campagne, relativamente poco toccate da queste riforme strutturali. Alla necessità di
programmi di sviluppo con un approccio bottom-up273 per ora risponde in maniera sostanziosa
solo la strategia europea dei “development poles”, mentre interventi più limitati sono ancora
affidati a ONG e piccole associazioni locali274. Tuttavia, anche se questi progetti di
268Intervista a Carlo Paolini, op. cit.269International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit.,, pp. 16-17.270Fondo Monetario Internazionale, Poverty Reduction Strategy Paper..., op. cit.271Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op. cit.272Intervista a Carlo Paolini, op. cit.273Le riforme strutturali e macroeconomiche sono solitamente decise ed implementate dall'alto e servono a
ricostruire le istituzioni, le infrastrutture e tutto ciò che ha una scala e un costo affrontabili solo ad un livello nazionale o internazionale. L'approccio bottom-up, invece, prevede il coinvolgimento sia nella fase decisionale che della realizzazione delle comunità dove il progetto avrà luogo.
274International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 17.
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decentralizzazione partono con tutte le buone intenzioni, spesso si devono scontrare con un
tipo di gestione patrimonialistica delle amministrazioni locali. I finanziamenti, infatti,
vengono mal gestiti e finiscono rapidamente nelle tasche dei comitati di gestione istituiti ad
hoc. Ogni amministrazione, infatti, “è solita portarsi via tutto, anche le sedie”275 al termine
del mandato e questo giustifica quella successiva a sfruttare al massimo ogni occasione per
accaparrarsi tutto il possibile. La decentralizzazione, quindi, a volte finisce per creare un
“feudalesimo locale”276 più che uno sviluppo partecipato.
Per quanto riguarda il piano PRSP qualcosa si è fatto nel settore dell'educazione primaria,
acquistando testi scolastici e riducendo da 96 a 82 a 1 il rapporto studenti-insegnanti. Infine
nell'ambito sanitario, oltre a progetti di costruzione e ristrutturazione di centri di assistenza
medica soprattutto per l'infanzia, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha annunciato di
aver distribuito un ampio numero di preservativi277. Per essere due delle priorità assolute del
PRSP è davvero poco. Il progetto infatti soffre per la mancanza di fondi (a metà del 2009
mancavano ancora all'appello il 60% dei finanziamenti), per la scarsità di personale preparato
e per la congiuntura economica sfavorevole278. Alla lentezza dell'implementazione del PRSP
ha risposto efficacemente l'intervento umanitario: l'UNICEF (United Nations Children’s
Fund), la FAO (Food and Agriculture Organisation), il WHO (World Health Organization) e il
WFP (World Food Program) hanno supportato la popolazione con progetti di sviluppo
dell'agricoltura, assistenza sanitaria, istruzione di base, lotta contro l'HIV e distribuzione di
viveri279.
La situazione è grave anche nel settore della sicurezza, poiché la scarsa determinazione e il
dilungarsi dei tempi del programma DDR ha reso i ribelli più restii ad abbandonare le armi
temendo un voltafaccia del governo e ha fatto emergere nuovi motivi di instabilità. Inoltre, la
lentezza nel riformare le forze armate e di polizia centrafricane evidenzia il rischio di una
ricaduta della crisi una volta partite le missioni internazionali.
Il piano di riforma del settore di sicurezza ha fatto i primi passi, ma, mancando soldi e la
volontà politica, le riforme sono slittate di una anno. Se si tiene conto del fatto che Bozizé ha
tenuto la delega al Ministero della Difesa280 fino al rimpasto di governo del gennaio 2009
(quando, peraltro, lo ha ceduto al figlio Jean-Francis), si può facilmente dedurre la ferma
275Intervista a Carlo Paolini, op. cit.276Ibid.277Fondo Monetario Internazionale, Poverty Reduction Strategy Paper..., op. cit.278Ibid.279Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op. cit.280Tale sovrapposizione di carica contrastava con la Costituzione centrafricana che le riteneva incompatibili, ma
non vi sono stati provvedimenti da parte della Corte Costituzionale per evitare l'incongruità.
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intenzione del capo dello Stato di non lasciare la riforma dell'esercito in mani altrui.
L'inserimento nelle forze armate, infatti, è uno dei metodi più semplici per restituire favori o
ripagare qualcuno della sua fedeltà. Nonostante lo sforzo dei partner stranieri per supportare il
programma, la scarsità dei fondi rischia di compromettere le azioni di più ampio respiro.
L'organizzazione scadente di una conferenza dei donatori nell'ottobre 2009 ha dimostrato che
parte del problema è la scarsa capacità di advocacy dell'esecutivo281.
Gli attori nazionali, secondo quanto concordato durante il seminario di aprile, durante il 2008
avrebbero dovuto portare a termine un'analisi dei problemi e delle cause del
malfunzionamento del settore della sicurezza. In seguito una commissione multidisciplinare
di esperti internazionali avrebbe aiutato durante tutto un anno a portare avanti le riforme a
medio termine e ad impostare quelle di lungo periodo. Quando questi sono arrivati a Bangui il
lavoro preliminare non era stato terminato, quindi un anno di assistenza si è rivelato
insufficiente e lo Stato è alla ricerca di nuovi finanziamenti per prolungare la permanenza
degli esperti. I consulenti, messi a disposizione dall'Unione Europea e dall'UNDP, si sono
divisi nei settori della difesa (esercito e gendarmeria), della sicurezza interna (polizia), delle
finanze pubbliche, della pianificazione territoriale, del controllo democratico delle forze di
sicurezza e della giustizia. Di questi, quello che ha visto i maggiori progressi è stata la difesa.
Nuovi reclutamenti sono stati fatti in giugno e settembre 2009, ma, mentre era stato auspicato
che avvenissero su una base multietnica e di merito, la maggior parte delle nuove 1.600
reclute proviene da Bangui ed ha avuto la possibilità di entrare attraverso conoscenze.
Secondo il generale Guyou gli attuali numeri delle forze armate sono del tutto insufficienti a
mantenere la sicurezza su un territorio così vasto come quello centrafricano; ne
occorrerebbero infatti almeno sette volte tanto282. Inoltre, la MICOPAX ha consegnato le
prime caserme alle FACA, con l'intento di proiettare l'autorità statale nelle province e
proteggere i civili, nonché allontanare un gran numero di uomini armati dalla capitale dove
stanziavano prima. Sono stati poi mandati in pensione i militari che avevano raggiunto il
limite d'età grazie a finanziamenti esteri e l'Assemblea ha approvato la legge di
programmazione militare 2009-2013 che prevede l'aumento degli effettivi da 6.500 uomini a
10.500 entro il 2013283. Infine, sono iniziati i corsi di formazione per l'esercito, la polizia e le
guardie carcerarie284.
281International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., pp. 15-16.282Nel 2008 vi erano 5000 soldati più 2000 della gendarmeria e la GP, oltre a reparti specializzati come i
pompieri o i guardiani delle prigioni. FIDH, République centrafricaine. Déjà-vu..., op. cit., p. 18.283Ibid.284Fondo Monetario Internazionale, Poverty Reduction Strategy Paper..., op. cit.
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Mancano, tuttavia ancora molti elementi perché le FACA possano definirsi completamente
autonome e la prossima partenza della missione MINURCAT progettata per dicembre 2010
non è di certo incoraggiante. Inoltre, la Francia continua a voler portare avanti la sua politica
di disimpegno nel paese, nonostante gli uomini dell'operazione “Boali” siano ancora
incaricati della formazione delle FACA, e il Sudafrica, che ci si aspettava potesse avere un
ruolo di primo piano nel programma SSR, per frizioni politiche ha ritirato il suo appoggio.
Una completa ristrutturazione delle forze di sicurezza necessita tempi molto più lunghi, una
formazione tecnica, ma anche sui temi dei diritti umani, una legislazione e meccanismi di
controllo più severi, nonché materiali e strutture che ora sono solo parzialmente in
costruzione. Per comprendere la gravità della situazione basti pensare che a Bria le nuove
caserme sono inutilizzabili a causa della mancanza di benzina per far funzionare i
generatori285.
Anche l'applicazione del piano di disarmo, smobilitazione e reintegrazione si trova ancora in
alto mare. Per pianificare e coordinare il DDR è stato creato nel febbraio 2009 un Comitato
direttivo presieduto dall'UNDP (United Nations Development Program) e composto da
rappresentanti del governo, di tutti i gruppi ribelli che hanno aderito all'Accordo di Libreville,
dal BONUCA, dall'Unione Europea, dalla Francia, dalla Banca Mondiale, dall'Unione
Africana e dalla MICOPAX. Il lancio ufficiale del programma e della campagna di
sensibilizzazione è avvenuto il 13 agosto 2009, quarantanovesimo anniversario
dell'indipendenza, a Paoua, ma è stato un provvedimento di facciata per cercare di placare
l'impazienza dei ribelli e guadagnare tempo. Poco dopo sono state inviate quattro squadre
incaricate di prendere contatto con i combattenti e stabilire quali fossero le aspettative per la
deposizione delle armi, ma non si è trattato che di una fase preparatoria, secondo l'UNDP286.
Il ritardo accumulato è in gran parte dovuto ai cambiamenti di leadership e dei rappresentanti
in seno ai gruppi ribelli. Nel MLCJ Sabone ha preso il posto di Hassan Ousman, iniziale
rappresentante del movimento al tavolo delle trattative, e quest'ultimo il 23 maggio ha creato
un suo gruppo, il Mouvement national du salut de la patrie (MNSP). Miskine, invece, che
aveva firmato un accordo di pace il 3 luglio, dopo l'arresto di due dei suoi uomini ha
dichiarato nullo questo e il precedente trattato di Syrte. Dietro a questa scusa probabilmente
c'è la rottura con il presidente del FDPC, Christophe Gazambetty287. Il dualismo tra
rappresentanti politici e capi che hanno potere e autorità tra le truppe rende difficile stilare le
285International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., pp. 15-16.286Ivi, pp. 11-12.287Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2009/627, op. cit.
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liste degli aderenti ai diversi movimenti, che spesso figurano in più di una di esse, e superare
le rivendicazioni personali di ogni rappresentante. Un secondo motivo per il ritardo è stato
dato, infatti, dalle richieste dei rappresentanti dei movimenti armati di un rimborso spese per
poter partecipare alle riunioni del Comitato. I donatori erano riluttanti nel concedere ulteriore
denaro, temendo che venisse reinvestito in armi, ma alla fine hanno dovuto cedere in seguito
al boicottaggio di alcuni incontri in segno di protesta. Infine i litigi sulla competenza nel
gestire i fondi ottenuti dalla CEMAC tra il governo e l'UNDP hanno fatto sì che questo non
fosse disposto a garantire per nessuna fase di cui non avesse il controllo finanziario288.
Il programma, nonostante questi intoppi e molto a rilento, è andato avanti e a fine anno sono
arrivati gli osservatori militari della CEEAC, responsabili del controllo delle liste dei ribelli e
di un primo stadio di disarmo e smobilitazione. Una volta consegnate le liste sono iniziate la
campagna di sensibilizzazione e l'istituzione di comitati locali per il disarmo e la
smobilitazione di circa 8.000 combattenti289. Gravi difficoltà sono state riscontrate, però, nel
progettare la fase di reinserimento. Molti ribelli chiedono di essere integrati nelle forze
armate, ma esigenze di sicurezza e coesione del corpo non permettono di superare una
minima quota. Inoltre il coordinamento con il programma SSR è volutamente alquanto
ridotto. L'UNDP teme che questo possa portare a facili raggiri per appropriarsi di parte dei
fondi. Già in passato, infatti, programmi di reinserimento avevano portato alla smobilitazione
di numerosi falsi combattenti. Il ritorno alla società civile presenta problemi ancor più gravi
poiché la stigmatizzazione a cui potrebbero andare incontro gli ex ribelli rischia di spingerli a
tornare a darsi alla macchia. Per ora, al momento della smobilitazione viene dato ad ogni
combattente un “kit di reinserimento” che include cibo ed altri beni per un valore di $100 e
$30 in contanti. La FAO ha poi messo a punto un programma che prevede la distribuzione di
semi ed attrezzi. Inizialmente si era pensato di costituire delle fattorie miste, con ribelli e
contadini, ma le barriere sociali hanno reso evidente l'impossibilità di portare avanti simili
iniziative. L'obiettivo, tuttavia, è rimasto quello di fornire agli ex combattenti i mezzi per un
riscatto innanzitutto economico. Questo li riabiliterebbe agli occhi della gente, rendendoli
utili al tessuto sociale e non dannosi come prima, e rimuoverebbe parte delle motivazioni che
li avevano spinti a prendere le armi. Un simile approccio ben si coordina con programmi di
sviluppo locale che mirino ad incrementare il benessere collettivo290.
Nonostante questi piccoli progressi, rimane un ostacolo fondamentale che mina alla base il
288Delle tre fasi, disarmo, smobilitazione e reintegrazione, l'UNDP gestisce i fondi solo delle prime due. Ibid.289Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op. cit.290International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 12.
82
processo di DDR: la continua attività di nuovi e vecchi gruppi armati che non hanno aderito
al processo di pace.
Il nord-ovest. L'APRD in seguito all'accordo di pace aveva smesso l'attività bellica e aveva
contribuito a tenere i coupeurs de route lontani dei villaggi. I capi, inoltre, avevano un buon
controllo sulle truppe e contatti con le forze di sicurezza e le autorità locali, cosicché sono
stati rari gli scontri anche nel 2009. In uno di questi è stato ucciso il presidente
dell'associazione nazionale allevatori ad opera del colonnello Djim Wei, ma il presidente
dell'APRD ha severamente condannato l'accaduto291. Nonostante ciò, sono continuate le
esazioni sulla popolazione civile: posti di blocco illegali sulle strade, imposte supplementari,
estorsioni ed uccisioni. Di conseguenza sono stati creati molti più gruppi di difesa di villaggio
che non di rado hanno avuto scontri con i ribelli. Nel luglio 2009 a Dakawa, nei pressi di
Paoua, un tentativo di trovare un metodo di convivenza tra uno di questi gruppi e i ribelli è
sfociato nella violenza e circa cinquecento persone sono fuggite nella boscaglia. Il
comandante della zona di Kaga Bandoro Maradass Lakoué ha inoltre reso noto che non
abbandonerà le armi finché il gruppo ribelle ciadiano che risponde agli ordini del generale
Mahmat Abdul Kadre Baba Laddé (Front populaire pour le redressement – FPR) e che spesso
si abbandona a scorribande in territorio centrafricano non sarà reso inoffensivo. Con l'inganno
il generale è stato catturato e deportato in Ciad, ma i suoi uomini continuano a vessare
l'APRD e la popolazione. Inoltre il comportamento tenuto con Laddé non facilita i negoziati
con questo e altri gruppi di banditi.
Per quanto riguarda il FDPC, con un comunicato stampa congiunto del 16 febbraio 2009
Miskine e il leader del MLCJ avevano dichiarato l'intenzione dei loro movimenti di
riprendere le armi se il governo avesse continuato a non rispettare gli accordi presi durante il
Dialogo inclusivo e in virtù del trattato di pace di Libreville292. L'atteggiamento del
movimento di Miskine è stato pertanto abbastanza ambiguo, continuando ad aderire al DDR
ma non abbandonando le armi293. In seguito all'arresto e alla morte in prigione del
comandante Mustapha e del capitano Abakar, due dirigenti del movimento, Miskine ha
ritrattato sia l'accordo di Syrte sia l'Accordo globale, riprendendo ufficialmente la lotta. Da
allora nel centro-nord si è impegnato in nuovi scontri con le truppe governative nelle zone di
291Comunicato stampa dell'APRD, 15 aprile 2009 (http://centrafrique-presse.over-blog.com).292Centrafrique-presse, “Centrafrique: Deux mouvements rebelles menacent de reprendre les armes”, 17
febbraio 2009.293Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op. cit.
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Batangafo e Kabo. Nell'aprile 2009 le FACA hanno attaccato le postazione del FDPC lungo la
strada Kabo-Moyen Sido, scatenando una violenta lotta con i ribelli. A seguito dei continui
scontri 3.000 abitanti di Kabo sono tornati a nascondersi nella boscaglia assieme a 2.000-
3.000 persone provenienti dai villaggi lungo la strada. Nell'attacco di Batangafo, invece, la
farmacia del villaggio è stata saccheggiata e alcune case bruciate. Ribelli e governo si
attribuiscono vicendevolmente la colpa di quanto accaduto294. Inoltre, il FDPC ha continuato
ad esigere denaro ai posti di blocco. Nel maggio 2010 l'UNHCR ha dichiarato di aver accolto
un altro migliaio di rifugiati provenienti dall'area di Sido che avrebbero attraversato la
frontiera a piedi dopo una marcia di 60km295.
La Francia persiste nell'incoraggiare la MICOPAX perché prenda le redini dell'operazione
militare nel nord-ovest, ma la mancanza di mezzi e di formazione rende la sua presenza di
scarso impatto sulla situazione, senza contare che il contingente ciadiano solleva molte
critiche in una zona in cui la gente ben ricorda i danni apportati dai liberatori ciadiani di
Bozizé296.
Il nord-est. Il Governo, incapace di mantenere l'ordine e la sicurezza nel nord-est, in seguito
all'accordo di pace ne ha affidato l'onere all'UFDR di Zacharia. Grazie alle munizioni e
all'autorizzazione governativa i combattenti, di cui molti Gula, si sono abbandonati
all'estorsione di denaro e diamanti dai locali e a maltrattamenti e uccisioni di persone di altri
gruppi etnici. Nel dicembre 2009 queste violenze si sono estese anche al campo di Sam
Ouandja, dove tensioni tra l'UFDR e i circa 3.000 rifugiati sudanesi lì ospitati hanno portato a
due morti tra le fila dei ribelli297.
Nonostante Damane abbia cercato di rinforzare la disciplina, dai ranghi sono emersi nuovi
capi che hanno messo in discussione la sua leadership creando spaccature nel movimento.
Inoltre, l'invidia per lo status raggiunto dall'UFDR e la rabbia per gli abusi su base etnica
hanno contribuito al sorgere di sentimenti di vendetta anti Gula. Fino ad allora, infatti, le
rivendicazioni etniche di partiti politici e movimenti ribelli si erano sempre limitate alle
dichiarazioni, non erano mai state programmatiche. Solo l'UFDR aveva dimostrato di
294Comunicato stampa del Ministro della difesa nazionale, degli ex combattenti, delle vittime di guerra, del disarmo e della ristrutturazione dell'esercito, 18 aprile 2009 e Comunicato stampa del FDPC del 16 aprile 2009. (http://centrafrique-presse.over-blog.com).
295UNHCR, “Civilians fleeing clashes in CAR moved to Chad refugee camp”, 7 maggio 2010 (http://www.reliefweb.int).
296International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 13.297UN news service, “UN sends peacekeepers to protect Sudanese refugees in Central African Republic”, 14
dicembre 2009 (http://www.reliefweb.int).
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sostenere apertamente l'etnia Gula, mentre il MLCJ difendeva gli interessi della comunità
musulmana. Una volta venuta meno la storica opposizione nord-sud con il rovesciamento di
Patassé, primo capo dello Stato originario di una tribù del nord (Suma o Sara), da parte di
Bozizé, anch'egli appartenente ad un gruppo etnico settentrionale, i Gbaya, sono state aperte
le porte alla nascita di nuove fratture298.
Da queste spaccature di natura etnica sono così nati la Convention des patriotes pour la justice
et la paix (CPJP) e il gruppo di Ahmat Mustapha, un dignitario locale299.
La CPJP ha iniziato a fine 2008 come milizia Runga nella zona di N'delé ed è composta in
gran parte da ex sostenitori di Bozizé. Il 7 gennaio 2009 il movimento è uscito dalla
clandestinità con una dichiarazione ufficiale seguita alla morte in un incidente stradale (che
alcuni suggeriscono non esser stato così incidentale) di Nganatoua Wanfiyo Goungaye,
presidente della Ligue centrafricaine des droits de l’homme e promotore del Dialogo politico
inclusivo. Il documento deplora i risultati del Dialogo inclusivo, che sarebbe servito ai politici
a “negoziare dei perdoni personali ed assicurarsi la loro parte della torta”300. Il vero
problema del paese, secondo i portavoce del movimento, sarebbe il presidente Bozizé, che
governa in maniera dispotica e senza rispettare diritti umani e Costituzione. Pertanto i ribelli
ne chiedono le dimissioni, volontarie o forzate da un ingresso in armi a Bangui. La risposta
del governo non si è fatta aspettare e il 17 gennaio la Guardia Presidenziale ha attaccato le
posizioni dei ribelli. Questo è stato solo il primo di numerosi altri attacchi ad opera di
entrambe le parti che sono proseguiti fino al maggio 2010, soprattutto nella zona di N'délé,
città più volte presa e riconquistata dai due contendenti. Un attacco delle FACA alla base del
gruppo ad Akoursoulbak ha causato la fuga di 5.000 civili e la temporanea evacuazione di
N'délé. Il CPJP denuncia il persistere delle forze di sicurezza - e soprattutto della GP – nel
compiere azioni criminose nei confronti della popolazione civile, che a più riprese sarebbe
fuggita da N'délé e dai villaggi circostanti per mettersi in salvo da nuovi incendi, estorsioni a
danno di cercatori e commercianti di diamanti e uccisioni sommarie. Un attacco congiunto
dei ribelli di Miskine e del CPJP a Bossembélé nella notte tra il 12 e il 13 febbraio 2009
aveva proprio come scopo l'interruzione delle pratiche brutali nel carcere della città,
denominato il “Guantanamo centrafricano”301, e la creazione di un corridoio tra le zone
d'operazione di due movimenti.
298Mehler Andreas, Reshaping Political Space..., op. cit.299International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., pp. 13-14.300Prima dichiarazione ufficiale del CPJP n° 001/01/09, 7 gennaio 2009 (http://cpjp.centrafrique.over-blog.org).301Comunicato stampa del CPJP n° 006/02/09, 23 febbraio 2009 (http://cpjp.centrafrique.over-blog.org).
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Nel marzo 2009 il movimento ha inoltrato al Governo una proposta di uscita dalla crisi in cui
chiedeva l'apertura immediata di un dialogo, la dissoluzione del governo del gennaio 2009,
l'istituzione di un consiglio nazionale di salute pubblica e di un nuovo governo per gestire la
transizione ed organizzare le elezioni, la sospensione del DDR per poter integrare anche
nuovi gruppi armati e la creazione di un fondo di compensazione per le vittime del conflitto
dal 2002 ad oggi302. Il governo non ha accettato la proposta e 20 giorni dopo ha nuovamente
attaccato le postazioni del movimento.
Charles Massi, ministro sia sotto il governo Bozizé che sotto quello precedente303 e per breve
tempo coordinatore politico304 dell'UFDR, si è unito al CPJP ed è diventato presidente del
comitato politico del movimento nell'aprile del 2009. Catturato dalle autorità ciadiane più
volte, nel dicembre 2009 sarebbe stato arrestato a seguito di uno scontro con delle truppe
regolari in Ciad305, vicino alla città frontaliera di Ngaoundaye. Dal gennaio 2010 non si hanno
più sue notizie. Si sospetta che sia morto, verosimilmente a causa delle torture inflitte durante
la prigionia, mentre il governo sostiene di non saperne nulla e che sia probabilmente deceduto
nel corso di uno scontro con le forze armate306. Attualmente al comando del movimento c'è
Karama Souleymane Nestor che riveste la carica di presidente del Consiglio supremo del
CPJP.
Nel 2010 gli scontri sono continuati e in aprile il gruppo ha ripreso la città di N'délé,
rivendicando chiarimenti sulla fine del proprio capo. Alcune testimonianze hanno attribuito al
CPJP violenze contro la popolazione avvenute in maggio, smentite dal movimento che per
dimostrare la propria buona fede si è ritirato dalla città. Il 2 giugno un comunicato stampa del
CPJP ha fatto sapere di aver dato al governo il nome e il contatto del proprio rappresentante
per negoziare un accordo di pace, reiterando l'invito ad aprire un dialogo trasparente e
sincero307.
I Kara di Mustapha hanno invece come obiettivo la vendetta sui Gula e il controllo della città
di Birao, loro patria ancestrale e asse importante di collegamento tra RCA, Ciad e Sudan,
soprattutto per i commerci. Probabilmente a questo si aggiungono le rivendicazioni personali
302Comunicato stampa CPJP relativo alla soluzione d'uscita dalla crisi in Centrafrica, 1 marzo 2010 (http://cpjp.centrafrique.over-blog.org).
303Era stato condannato a morte in contumacia per aver preso parte nel tentato colpo di stato del 2001 con Kolingba. Era tornato dall'esilio in Francia solo dopo l'ascesa di Bozizé per prendere parte nella ribellione poi nel 2008.
304Col compito di assicurare le attività politiche, diplomatiche e finanziarie del gruppo.305Il CPJP ha condannato l'attacco, che, a loro detta, non rispetta le regole interne del movimento e mette a serio
rischio l'impegno del CPJP per la pace e per un dialogo con le autorità.306Africa Confidential, “Is Charles Massi Dead?”, 22 gennaio 2010 (http://www.africa-confidential.com).307Comunicato stampa CPJP n° 017/ CPJP /CS/P/06-10, 2 giugno 2010 (http://cpjp.centrafrique.over-blog.org).
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di Mustapha, la cui posizione di sindaco di Birao è messa in discussione dal candidato del
Kwa Na Kwa, che ha l'appoggio dell'UFDR. Le tensioni tra Gula e Kara sono scoppiate in
varie occasioni da quando questi ultimi hanno accusato i Gula di aver ucciso uno dei loro
giovani e l'UFDR è entrato a Birao in aprile. In giugno circa 60 Kara hanno attaccato la città e
la base dell'UFDR con aiuti sudanesi. I combattimenti hanno lasciato in terra almeno 27 morti
e numerose persone sono tornate a nascondersi nella boscaglia. Per cercare una mediazione
tra i due gruppi agli inizi di luglio una missione congiunta del BONUCA e del Governo ha
visitato Birao, portando al ripiegamento dell'UFDR dominato dai Gula verso la loro base di
Tiringoulou. In una successiva visita in ottobre la rappresentante speciale del Segretario
dell'ONU in RCA Sahle-Work Zewde ha constatato un miglioramento della situazione e il
ritorno di parte degli sfollati alle loro case308.
Questo nuovo conflitto interno fa sì che l'UFDR, pur essendo parte del DDR si rifiuti di
disarmarsi fintantoché anche i Kara e il CPJP non abbiano fatto altrettanto.
Come già accennato in precedenza, da un dissidio tra Sabone e Hassan Ousman è inoltre nato
il 23 maggio 2009 il Mouvement National du Salut de la Patrie (MNSP)309. Ufficialmente la
scissione dal MLCJ è dovuta alla tendenza di Sabone a prendere ogni decisione
unilateralmente e a discordanze a proposito del DDR. Probabilmente, invece, la scelta di
Hassan è stata fatta per riconquistare una posizione di spicco nelle trattative, che gli era stata
tolta da Sabone. Il 20 ottobre anche l'MNSP ha firmato una pre-adesione all'Accordo globale
e si è dichiarato disponibile ad entrare a far parte del DDR. Nel gennaio del 2010, però, dopo
la sparizione di Massi, anche Ousman sarebbe scomparso dai propri alloggi presso la base
della MICOPAX, presumibilmente prelevato dalla GP, che secondo alcuni testimoni avrebbe
visitato il campo in quei giorni.
Oltre all'emergere di questi movimenti e tensioni di carattere etnico legate all'accesso alle
risorse e alla povertà, nel 2009 e 2010 si sono registrate nel Vakaga varie incursioni di gruppi
armati ciadiani e sudanesi. La prefettura centrafricana sarebbe sempre più usata da questi
elementi come rifugio temporaneo. La proliferazione di gruppi armati ha così portato ad un
aumento della criminalità e ad una riduzione dell'assistenza umanitaria a causa
dell'insicurezza310.
Il 19 luglio 2010 la città di Birao è stata oggetto di un nuovo attacco, che non è ancora chiaro
se sia attribuibile al CPJP o ad elementi dissidenti del MLCJ, i quali reclamerebbero il
308Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2009/627, op. Cit.309Comunicato stampa MNSP n° 001/PR/MNSP/09.310Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op. cit.
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pagamento del mensile previsto dal DDR311. Se quest'ultima ipotesi fosse vera, confermerebbe
la presenza – sospettata da molti, ma non ancora accertata – di dissidenti provenienti da
gruppi aderenti al DDR, ma che, a causa del ritardo nell'implementazione del programma di
reinserimento, si sarebbero ridati alla macchia. In queste condizioni viene a crearsi un circolo
vizioso che impedisce ai gruppi ribelli firmatari dell'Accordo globale di abbandonare le armi
fintantoché percepiranno l'esistenza di una minaccia nei loro confronti – siano i coupeurs de
route o nuovi insorti. D'altronde il governo, senza il rispetto del cessate il fuoco, non porterà
avanti il programma di disarmo e reinserimento, incrementando la frustrazione dei
combattenti, già sospettosi ed infastiditi dal ritardo nell'applicazione.
È tuttavia difficile dare un quadro chiaro della situazione e valutare l'entità della nuova
ribellione, perché la stampa è tenuta lontana dalla zona e i vertici dell'esercito hanno deciso di
non pubblicizzare le operazioni militari in corso in quelle che vengono definite le “ultime
roccaforti delle milizie armate anti-governative”312. Inoltre, sul territorio sono presenti ancora
migliaia di sfollati, circa 162.000 persone secondo i dati della MINURCAT riferiti alla fine
del 2009, alle quali si devono aggiungere i rifugiati provenienti dal Darfur e dalla Repubblica
Democratica del Congo313.
Lo Stato non ha però dimostrato alcuna intenzione di risolvere la questione tramite trattative,
preferendo ricorrere allo strumento militare, anche se le forze armate centrafricane al
momento non sono ancora in grado di gestire la situazione da sole. A questo si aggiunga
l'incapacità di arginare gli sconfinamenti dei bracconieri sudanesi e degli allevatori armati dal
Ciad.
Nelle prefetture dell'est, nel frattempo, terminato il mandato della missione europea, è
subentrata la MINURCAT (Mission des Nations Unies en République centrafricaine et au
Tchad), che tuttavia lascerà anch'essa la zona a fine 2010. Nonostante la formazione, i mezzi e
la coordinazione con le ONG, dopo i due attacchi a Birao Victor da Silva Angelo, capo
missione dell'ONU, ha riferito che la gravità della situazione è tale per cui anche il completo
dispiegamento delle forze disponibili è insufficiente per affrontarla. Nuovi rapimenti di
persone e personale di organizzazioni umanitarie hanno confermato questa posizione314.
Inoltre, secondo quanto stabilito nella Risoluzione 1923 del 2010, che ha prolungato il
311Africa, “Repubblica Centrafricana: Birao, l'esercito riprende il controllo della città”, 20 luglio 2010 (http://www.missionaridafrica.org) e Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto del Segretario Generale sulla MINURCAT, S/2010/409, 30 luglio 2010 (www.un.org).
312Nigrizia, “Tensioni nel nord. Centrafrica: a quando il voto?”, 21 luglio 2010 (http://www.nigrizia.it).313Ibid. 314International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 14.
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mandato della MINURCAT da marzo a dicembre, a metà anno il personale militare in RCA
verrà ridotto a 300 uomini.
Il sud-est. Un nuovo fronte si è aperto già dal 2008 con l'ingresso dei ribelli dell'LRA (Lord's
Resistance Army) nel sud-est del paese. Il movimento, nato in Uganda nella metà degli anni
'80 con l'obiettivo di rovesciare il presidente Museveni e creare uno stato teocratico basato
sulla Bibbia, dalle sue basi ha ripiegato verso nord in seguito all'operazione congo-
sudsudano-ugandese “Lightning Thunder” del dicembre 2008. L'operazione aveva cercato di
eliminare l'insurrezione senza riuscirvi e l'ha invece spinta verso i distretti più orientali del
Sud Sudan e della RCA.
La prefettura centrafricana maggiormente coinvolta è l'Haut-Mbomou, dove i combattenti
saccheggiano i villaggi, ne rapiscono gli abitanti costringendoli a lavorare come portatori ed
usando violenza contro di loro, abusano di donne e bambine torturandole fino alla morte se
non sono accondiscendenti, mutilano e massacrano chiunque tenti di opporsi. HRW in un
comunicato ha stimato che dal febbraio 2009 almeno 697 persone, di cui un terzo sarebbero
bambini, sono stati rapiti dall'Esercito di resistenza del Signore in RCA e nel distretto
congolese di Bas-Uélé315. Tra le fila dell'esercito di Kony, leader del movimento, vi sono
315HRW, “RCA/RD Congo: La LRA mène une campagne massive d’enlèvements", 11 agosto 2010 (http://www.hrw.org).
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Sud-est della RCA (fonte: Nazioni Unite)
anche numerosi bambini-soldato. Joseph Kony dal 2005 è oggetto di un mandato di cattura da
parte della Corte penale internazionale assieme ad altri quattro alti ufficiali dell'LRA (due dei
quali, nel frattempo, sono morti) per le violenze ingiustificate perpetrate su larga scala da lui e
dai suoi uomini316. I capi d'accusa sono trentatré, di cui dodici per crimini contro l'umanità
(omicidio, riduzione in schiavitù, schiavismo sessuale, stupro) e gli altri ventuno per crimini
di guerra (omicidio, maltrattamenti e attacchi intenzionali di civili, saccheggio, induzione allo
stupro, rapimento e sfruttamento di bambini). Per sfuggire al mandato attualmente vive
spostandosi continuamente tra RCA e Sudan. Gli Stati Uniti sono giunti a promettere la messa
in opera di una strategia per mettere fine a questa minaccia con l'aiuto del governo ugandese.
Intorno alla cittadina di Obo nel 2008 i campi sono stati abbandonati, la gente è fuggita o ha
costituito gruppi di autodifesa per cercare di sfuggire alla brutalità di questo gruppo che ha
ormai abbandonato ogni rivendicazione politica o riferimento alla Bibbia317.
In seguito al dispiegamento di truppe ugandesi nella zona dal 2009 la situazione è
leggermente migliorata, ma gruppi di dimensioni ridotte operano ancora nelle campagne, nei
pressi di Mboki, Ligoua, Obo, Maboussou e in villaggi vicini, obbligando la popolazione a
fuggire per rifugiarsi nei pressi dei campi militari. Le operazioni delle forze ugandesi in
febbraio hanno spinto l'LRA più ad ovest in cerca di viveri. Da allora nella zona si sono
susseguiti vari attacchi, lasciando i villaggi abbandonati e decine di morti, a volte massacrati
anche con asce e machete. Il 9 giugno 2010 i ribelli hanno attaccato il villaggio di Fodé, dove
hanno fatto razzia di ogni bene e rapito una trentina di persone, per la maggior parte donne e
bambini318.
La situazione è altrettanto grave che nel nord, poiché i collegamenti sono scarsi e i tonga-
tonga - come i centrafricani chiamano i ribelli – attaccano anche i convogli umanitari. Il 21
settembre 2009 due operatori di COOPI che stavano conducendo un camioncino con del
materiale da costruzione per edificare una scuola nell'Haut Mbomou sono stati sorpresi dalle
truppe dell'LRA ed uccisi319. Il 5 maggio 2010 è stata la volta di un camion del WFP (il
Programma alimentare mondiale, nell'acronimo inglese) che è stato attaccato nei pressi del
villaggio di Dembia. Due operatori risultano morti e altri due feriti. Numerosi altri attacchi
316Tra il 14 e il 17 dicembre 2009 nell'area di Makombo nella RDC si è svolta una delle peggiori carneficine del gruppo, che ha riunito interi villaggi spacciandosi per un reparto dell'esercito regolare e ha quindi ucciso a colpi di machete, sfracellando le teste con scuri o bastoni di legno. Alcuni sono stati addirittura appesi agli alberi nella foresta per essere massacrati in tutta tranquillità. Per saperne di più: Human Rights Watch, Trail of Death. LRA Atrocities in Northeastern Congo, marzo 2010.
317Euronews, “Repubblica Centrafricana, in lotta per sopravvivere”, 30 luglio 2010 (http://it.euronews.net).318MISNA, “Birao, l'esercito riprende il controllo della città”, 20 luglio 2010 (www.misna.org).319COOPI, “Centrafrica. Uccisi due operatori di COOPI”, 22 settembre 2009 (www.coopi.org).
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sono stati compiuti in primavera presso i villaggi di Mboki, Agoumar, Guerekindo, Bouete,
Kitessa e Miskine. Molte case sono state date alle fiamme e 10.000 persone sono dovute
fuggire, di cui alcuni hanno trovato rifugio oltre confine nella Repubblica Democratica del
Congo (RDC). Secondo l`UNHCR gli sfollati si trovano soprattutto nelle città di Bangassou,
Rafai, Zemio e Mboki320.
L'LRA è presente anche nella RDC e nel Sud Sudan. In RDC gli attacchi hanno causato la
fuga di 20.000 congolesi, che hanno cercato rifugio in Sudan e nella Repubblica
Centrafricana. In Sudan le azioni dei ribelli si sono concentrate nelle regioni dell’Equatoria
centrale e occidentale, al confine con Uganda, RDC e RCA. Secondo le stime dell’ONU in
Sudan l'LRA avrebbe provocato la morte di 2.500 persone e il movimento forzato di altre
87.800321.
Nel dicembre 2009 gli sfollati erano già più di 10.000 nell'Haut-Mbomou e 3.500 i rifugiati
dal Congo. Da gennaio a marzo il numero è salito a 30.000. Nonostante la presenza di truppe
ugandesi e delle FACA, l'LRA continua a minacciare la popolazione322.
Il 31 agosto 2010 l'agenzia di stampa FIDES ha riferito la testimonianza raccolta da
Monsignor Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou, relativa alla nascita di un nuovo
movimento ribelle nel sud-est, nella zona tra Bakouma e l'Oubangui, regione ricca di risorse
minerarie quali fosfati ed uranio. Il gruppo si chiamerebbe “Front Patriotique pour la
Libération” e sarebbe formato da fedeli di Charles Massi, mentre il loro capo sarebbe un certo
Abdulai Issen. La prima apparizione risale alla fine del luglio 2010, quando il villaggio di
Mourou è stato attaccato da una ventina di guerriglieri. Il gruppo si sarebbe poi spostato da
Nzako, dov'erano accampati, verso Bakouma per sfuggire alle FACA che erano sulle loro
tracce. A Bakouma hanno attaccato la sede della gendarmeria e si sono poi diretti verso la
località mineraria di Mbago. Le notizie più recenti riportano di attacchi in vari villaggi,
saccheggi, posti di blocco e qualche scontro con le forze di sicurezza centrafricane, che
avrebbero sottratto loro parte delle armi e ucciso due militanti. Alcuni ritengono che il nuovo
gruppo ribelle sia nato per vendicare l'uccisione di Massi, altri che si inserisca nella lotta per
la resa dei conti tra le etnie Runga e Gula. Per ora non se ne hanno altre notizie, il che
conferma la nebulosità del conflitto centrafricano323.
320Africa, “Repubblica Centrafricana: Rinforzi militari per proteggere popolazione dai guerriglieri LRA", 19 maggio 2010 (http://www.missionaridafrica.org).
321Africa, “Repubblica Centrafricana: Offensiva contro i guerriglieri del LRA”, 20 maggio 2010 (http://www.missionaridafrica.org).
322International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 15.323Agenzia Fides, “A Fides una testimonianza su un nuovo gruppo di ribelli in Centrafrica”, 31 agosto 2010
(www.fides.org).
91
Nonostante la buona volontà dimostrata durante il Dialogo inclusivo, quindi, si può
concludere sottolineando come la situazione in RCA sia ancora molto instabile. Con il piano
di ristrutturazione delle forze armate ancora in itinere e il DDR appena abbozzato la violenza
ha riacquistato terreno, come al solito a danno della popolazione. Nel nord non sono ancora
finiti i crimini né da parte delle forze armate (in particolare la GP) né da parte dei gruppi
ribelli o dei banditi324. Nel sud-est le condizioni della gente ospitata o accampata intorno alle
città o alle basi militari sono gravi: la concentrazione di persone facilita la trasmissione delle
malattie e la scarsa produzione dei pochi campi coltivati sicuri non basta a sfamare le migliaia
di persone alloggiatevi. In entrambe le zone la gente che ha abbandonato le proprie case
tornando nella boscaglia vi ha ritrovato la stessa situazione precaria: mancanza d'acqua, di
viveri e medicamenti, limitazione negli spostamenti, esposizione alle intemperie.
Si stima che gli sfollati siano ancora 162.000, mentre 137.000 persone sarebbero rifugiate in
Ciad, Sudan e Camerun. A questi sono venuti a sommarsi i rifugiati sudanesi e congolesi in
fuga dall'LRA, circa 31.000, che si sono stabiliti nelle province del sud-est. Nel novembre del
2009, poi, altri 18.000 congolesi hanno abbandonato la provincia dell'Equateur, a nord della
324Amnesty International, Rapporto annuale 2010 Repubblica Centrafricana (http://www.amnesty.it).
DRC, per rifugiarsi in Lobaye325. Nei campi, oltre alle riserve di cibo servono centri di
assistenza medica, pozzi per l'acqua e strumenti da lavoro per assicurare la sopravvivenza di
una popolazione ormai divenuta sedentaria.
Viste le premesse ci si può domandare cosa ne sarà del paese una volta partite le missioni
internazionali di pace. Già il mandato della MINURCAT nel nord-est sta per scadere e tra
poco verranno avviati i preparativi del ritiro dei caschi blu: per le FACA e per il governo sarà
la prima verifica sul funzionamento delle riforme nel settore della sicurezza. Nel suo rapporto
Ban Ki Moon ha sostenuto quest'opzione, piuttosto che tornare ad affidare la sicurezza del
paese ad un'altra operazione di pace ONU specificatamente centrafricana326. Nel frattempo, un
altro evento potrà essere in grado di determinare un cambiamento nell'area: le tanto attese
elezioni presidenziali.
§ 3. Le elezioni
Politicamente la maggiore sfida che attendeva i centrafricani nel 2010 era l'organizzazione
delle elezioni. Ad inizio gennaio ancora si credeva che con un notevole sforzo per rispettare i
tempi sarebbe stato possibile realizzarle entro l'anno, ma, come già per le elezioni provinciali,
la scadenza inizialmente prefissata non è stata rispettata. Il ritorno del governo a decisioni
unilaterali sta inoltre compromettendo quel percorso fatto finora di ricerca del consenso per
una condivisione effettiva del potere.
Le prime avvisaglie di questo comportamento si sono viste con l'approvazione della legge
elettorale. Il testo proposto dal Comitato di revisione del codice elettorale, organo ad hoc
previsto dal Dialogo inclusivo, è stato infatti presentato dal governo all'Assemblea per
l'approvazione con numerosi cambiamenti non concordati con nessuna delle altre parti. Le
modifiche riguardano principalmente la composizione della Commissione elettorale
indipendente (CEI), il cui presidente sarebbe stato scelto da una rosa di quattro candidati
proposti dal Primo Ministro e dal presidente dell'Assemblea, entrambi appartenenti alla
maggioranza. La legge è passata il 27 giugno nonostante il boicottaggio da parte
dell'opposizione parlamentare. Le numerose critiche hanno spinto Bozizé a chiedere il parere
325Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op. cit.326Il ritiro delle truppe ONU è infatti stato chiesto dal Presidente del Ciad Déby, ma le conseguenze si applicano
su entrambi i paesi trattandosi di una missione congiunta. Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/409, op. cit.
93
della Corte costituzionale che non si è espressa sulle procedure di elezione del presidente
della CEI, ma ha dichiarato incostituzionali alcuni articoli. Nonostante ciò, il Presidente ha
promulgato la legge ed istituito ufficialmente la CEI, richiedendo alle sei entità del Dialogo
inclusivo di nominare cinque membri ciascuna come stabilito nella legge elettorale. In
settembre l'UFVN e gli altri partiti hanno sospeso la loro partecipazione e chiesto un nuovo
parere della Corte costituzionale, che ha reiterato le conclusioni precedenti. Per superare lo
stallo sono intervenuti il presidente del Dialogo Inclusivo Pierre Buyoya, il mediatore della
Repubblica327 Paulin Pomodimo e la rappresentante speciale del Segretario Generale
dell'ONU Sahle-Work Zewde. Persuaso da questi ultimi due, il governo ha acconsentito a
lasciare i posti di primo e secondo vice-presidente della CEI all'UFVN e agli altri partiti con
soddisfazione da parte dell'opposizione. Il 10 ottobre i membri finalmente proposti da tutte le
parti in causa sono stati confermati con decreto presidenziale, tutti tranne il rappresentante
delle ONG per i diritti umani, che è stato sostituito da un membro del Kwa Na Kwa. Solo
quattro giorni dopo è stato eletto presidente della Commissione il candidato proposto dal
Primo Ministro, il pastore Joseph Binguimalé, la cui fedeltà al regime è indiscussa. Bozizé si
trova così ad avere una buona maggioranza di voti a sé favorevoli, contando che servizi
pubblici e Kwa Na Kwa lo sostengono, mentre i ribelli dipendono da lui per la realizzazione
dei loro interessi328.
Anche con l'inizio dei lavori della CEI i problemi non sono mancati: dai più elementari, come
la mancanza di uffici, computer e mezzi di trasporto, alla necessità di aggiornamento delle
liste elettorali. Questo punto è particolarmente spinoso perché si presta facilmente a
manipolazioni, come avvenuto già nel 2005, anche se su scala ridotta. Dichiarazioni
contrastanti hanno già dato adito a questo dubbio. Binguimalé, infatti, avrebbe annunciato di
aver trovato le liste del 2005 che erano state dichiarate distrutte solo otto mesi prima.
L'insicurezza diffusa in alcune regioni rende inoltre difficile la realizzazione di un nuovo
censimento, il controllo dei nominativi disponibili e la distribuzione delle tessere elettorali,
nonché scoraggerebbe molti elettori – tra cui tanti oppositori di Bozizé - dall'andare a votare.
Per far fronte al problema l'Ufficio di supporto delle Nazioni Unite per il consolidamento
della pace farà ogni sforzo per creare un clima favorevole in termini di sicurezza e di
condizioni politiche e sociali. Infine non è previsto un modo per raccogliere i voti di profughi
327Il Consiglio nazionale di mediazione è stato istituito per legge nel giugno 2006 ed ha compiti molto ampi: la promozione e protezione dei diritti dei cittadini nei loro rapporti con l'amministrazione statale, la prevenzione e risoluzione di conflitti e la salvaguardia della democrazia. Pomodimo lo presiede dall'agosto 2009 in seguito alla morte di Abel Goumba, suo predecessore nella carica.
328International Crises Group, Central African Republic: Keeping..., op. cit., pp. 8-11.
94
e sfollati, molti dei quali provenienti dal nord-ovest, feudo elettorale del MLPC.
Inizialmente le elezioni erano state previste per marzo, ma già una missione delle Nazioni
Unite che ha visitato Bangui in autunno aveva sospettato che sarebbe stato necessario
spostarle ad aprile, con la possibilità di un secondo turno a maggio. In RCA, infatti, è in uso
sia per le elezioni legislative che per le presidenziali un sistema a doppio turno in caso nessun
candidato ottenga più del 50% dei voti. Poiché la Costituzione centrafricana all'articolo 24
prevede che il nuovo presidente debba essere eletto almeno 45 giorni prima della fine del
mandato del presidente in carica e i mandati di Bozizé e dell'Assemblea scadevano a giugno,
le elezioni avrebbero dovuto tenersi obbligatoriamente entro maggio329.
Il 14 gennaio 2010 il Collettivo delle Forze del Cambiamento (Collectif des forces du
changement – CFC), una vasta alleanza che comprende l'UFVN, gli altri partiti e l'APRD, ha
deciso di sospendere la propria partecipazione nella CEI e ne ha rallentato i lavori per due
mesi. La decisione è stata motivata dalla mancanza di imparzialità della Commissione, da
problemi nella creazione dei comitati elettorali locali e dalla mancanza di credibilità delle
liste elettorali. L'opposizione ha reiterato quindi la richiesta di dimissioni del presidente della
CEI. Una seconda mediazione di Pomodimo ha portato il 13 febbraio ad un memorandum
d'intesa in cui governo e opposizione concordavano su una revisione dei comitati elettorali
locali, inclusi quelli all'estero, e sulla sostituzione di alcuni membri della CEI. La nuova
Commissione è tornata operativa da marzo330.
Il 24 febbraio con decreto presidenziale è stata fissata la prima data delle elezioni per il 25
aprile 2010. L'opposizione ha obiettato che la decisione era stata presa unilateralmente e la
data era prematura vista l'insicurezza ancora dilagante nel paese e lo scarso avanzamento dei
programmi DDR e SSR. Un rapporto della CEI sulla preparazione delle elezioni il 24 marzo
ha messo in luce come fosse impossibile rispettare la scadenza, che è stata quindi spostata al
16 maggio. La CFC ha però fatto sapere in un comunicato che secondo i suoi aderenti non vi
erano le condizioni per delle elezioni trasparenti e credibili e che quindi l'opposizione si
sarebbe astenuta dal presentare i propri candidati. Il 9 aprile, infatti, data di scadenza della
presentazione dei moduli di candidatura secondo il calendario previsto per le elezioni di
maggio, solo Patassé e Bozizé risultavano in lizza331.
Nel frattempo il Ministro della Sicurezza ha annunciato di aver scoperto il progetto di un
colpo di stato in cui sarebbe stato implicato Patassé. Questo fatto è stato rapidamente
329Ibid.330Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto ... S/2010/295, op. cit.331Ibid.
95
affossato dalle autorità come dalla stampa e Bozizé, dopo averne discusso con il suo
predecessore, lo considera “un affare chiuso, uno strascico del passato” su cui impone un
“no comment”332.
In seguito ad una nuova ammissione da parte della CEI dell'impossibilità per motivi tecnici di
tenere le elezioni a maggio, il 29 aprile in una riunione degli attori nazionali e internazionali
si è discussa la nuova crisi elettorale, giungendo alla conclusione che fosse necessaria
un'ennesima posticipazione. Tra i motivi addotti dalla CEI vi era la scarsità di mezzi, giacché
le erano stati consegnati sono i finanziamenti del governo, mentre mancavano quelli dei
donatori internazionali. Sospetti sulla cattiva gestione di tale denaro333 avevano fatto chiedere
da parte del CFC una revisione dei conti, che non è mai avvenuta.
Il 10 maggio l'Assemblea Nazionale ha votato una legge che ha prolungato sine die il
mandato di Bozizé e riconfermato i parlamentari in carica334. L'opposizione, malgrado il
parere favorevole della Corte Costituzionale all'operazione335, ha fortemente criticato la
manovra chiedendo che entro l'11 giugno, data in cui il mandato di Bozizé sarebbe terminato,
fosse istituito un governo di unità nazionale. La nuova data suggerita dalla CEI dopo il
disappunto provocato dal prolungamento del mandato presidenziale è stata il 24 ottobre, ma
erano in pochi a crederci. Il Presidente ha spiegato a Jeune Afrique che sarebbe stata la
comunità internazionale a spingerlo a posporre le elezioni336. A sostegno di quest'ipotesi vi è il
fatto che già nell'ottobre 2009 egli aveva rifiutato una simile proposta avanzata da alcuni
parlamentari. Al di là di quelle che sono le motivazioni ufficiali, però, bisogna tenere conto
delle difficoltà tecniche, cioè “l'impossibilità fisica di fare un censimento adeguato e mettere
in marcia la macchina elettorale a livello nazionale”337 in così breve tempo e con alcune zone
del paese ancora infestate da ribellioni. Nell'organizzazione delle elezioni in Stati situati a
queste latitudini bisogna inoltre tenere conto di fattori che per un europeo hanno poco peso,
come il periodo dell'anno. In giugno-luglio, infatti, inizia la stagione delle piogge ed è
impossibile in un paese senza strade asfaltate sia per gli elettori sia per gli organizzatori
spostarsi in tempi rapidi338.
La reazione della popolazione, del mondo dell'associazionismo e della comunità
332Soudan François, “Interview...”, op. cit.333Mokambo Dinawade, “New Tech Institute confisque les listes éléctorales”, Le Confident, 13 giugno 2010,
(http://www.leconfident.net/).334Bernard Philippe, “La République centrafricaine au coeur des fléeax africains”, Le Monde, 15 maggio 2010.335La consultazione della Corte da parte di Bozizé appare sospetta, poiché è avvenuta 5 giorni prima del parere
negativo della CEI sulla data di maggio.336Soudan François, “Interview...”, op. cit.337Intervista a Valentina Bernasconi, operatrice umanitaria in RCA. L'intervistata risponde a titolo personale.338Intervista a Carlo Paolini, op. cit.
96
internazionale è stata abbastanza debole. Solo il Kwa Na Kwa ha promosso una
manifestazione il 19 maggio a Bangui a sostegno della proroga sine die del mandato
presidenziale339 e per festeggiare i 5 anni di insediamento al potere del proprio leader340.
È difficile dire chi abbia beneficiato dal rinvio delle elezioni: Bozizé non verrebbe né
avvantaggiato né svantaggiato, essendo dato per vincente, mentre permetterebbe a Patassé e
agli altri partiti solo di assicurare l'accesso al voto ad una frangia più vasta della
popolazione341, essendo necessario un periodo ben più lungo per riorganizzare efficacemente
l'opposizione e progettare un'ampia campagna elettorale.
Il 30 luglio 2010 il Presidente, una volta consultata la CEI, con un decreto ha stabilito
unilateralmente la data per il 23 gennaio 2011 e l'ha annunciato alla popolazione tramite la
radio nazionale342. Maggioranza, opposizione, società civile ed ex-gruppi ribelli finalmente il
10 agosto hanno sottoscritto un accordo confermando il primo turno delle elezioni in tale data
e stabilendo il secondo turno per il successivo 20 marzo. I sei articoli dell’accordo invitano il
governo a fornire alla Commissione elettorale indipendente i mezzi finanziari, materiali ed
umani necessari per portare avanti il processo elettorale, chiedono alla comunità
internazionale di mettere a disposizione il budget previsto e sottolineano che eventuali
proposte di modifica del calendario dovranno essere esclusivamente gestite dalla CEI. I
firmatari hanno inoltre concordato l’adozione di un codice di buona condotta da applicare tra
i partecipanti prima e dopo le elezioni343.
La tabella di marcia fissata per l'appuntamento di gennaio prevede anche un censimento
elettorale da realizzarsi durante il mese di settembre, la distribuzione delle schede elettorali e
l'affissione delle liste dal 19 al 24 dicembre. Fino all'8 novembre, poi, sarà possibile
presentare le candidature, che saranno rese note al pubblico il 29 dicembre. La campagna
elettorale si terrà dall'8 al 21 gennaio, il 20 voteranno i militari e il 23 i cittadini, mentre i
risultati saranno annunciati il 7 febbraio344.
L'Unione Europea, principale finanziatore delle elezioni con € 6.5 milioni, seguita dall'UNDP,
dalla Francia e dagli Stati Uniti345, ha firmato lunedì 9 agosto per sbloccare i contributi 339Erégani Chérubin, “Une marche pacifique de soutien au Président François Bozizé”, ACAP, 19 maggio 2010
(http://www.acap-cf.info).340Intervista a Valentina Bernasconi, op. cit.341Ibid.342Decreto del Presidente della Repubblica Centrafricana n°10.224 riguardante la convocazione del corpo
elettorale, 30 luglio 2010.343 Accord portant adoption du chronogramme revisé relatif au processus électoral de 2010, Bangui, 10 agosto
2010 (http://centrafrique-presse.over-blog.com).344 Centrafrique-presse, “Elections en RCA: un accord politique consensuel signé”, 11 agosto 2011
annunciati. Questi, infatti, erano stati vincolati al raggiungimento di un consenso globale in
grado di garantire delle elezioni libere e trasparenti346. Un'altra parte di contributi, circa € 5,3
milioni già versati alla CEI, viene dal bilancio statale, mentre l'assistenza tecnica verrà
garantita dall'UNDP.
Chi saranno i candidati alle prossime elezioni? Non essendo ancora giunti i termini per la
presentazione delle candidature al momento della stesura di questa tesi non è possibile dirlo
con certezza, anche se è chiaro quali saranno i principali contendenti in campo.
Innanzitutto il presidente uscente, François Bozizé, che è dato per favorito347 e dichiara di non
temere la concorrenza “poiché il bilancio del suo lungo mandato parla da sé”348, il che starà
ai cittadini centrafricani giudicarlo. Per ora, comunque, quasi tutti i settori della società civile
che l'avevano sostenuto in passato gli hanno rinnovato il loro appoggio349. Poi vi è il
principale sfidante, Ange-Felix Patassé, che, rientrato dal Togo dopo sei anni d'esilio ed ormai
escluso dal suo vecchio partito (il MLPC), corre come indipendente. Patassé gode ancora di
un certo prestigio a Bangui e nelle campagne, ma non è detto che la popolazione gli abbia
perdonato di aver fatto entrare nel paese Bemba e i suoi banyamulengues350, nonostante il suo
mea culpa davanti all'assemblea del Dialogo inclusivo. Inoltre, l'andamento dell'inchiesta
della CPI sui delitti esclusi dalla legge di amnistia potrebbe riservare qualche sorpresa, anche
se è difficile che avvenga qualcosa di analogo all'incriminazione del presidente sudanese
Bashir.
Il terzo contendente è Martin Ziguelé, che potrà contare sulla macchina del partito meglio
strutturato del paese, il MLPC, fondato da Patassé e che egli ha cercato di riformare
ancorandolo all'Internazionale socialista. Nato a Paoua, nelle elezioni del 2005 aveva ottenuto
un buon risultato, venendo sconfitto da Bozizé al secondo turno. Tuttavia, con la progressiva
erosione della rappresentatività dei partiti politici a favore dei movimenti politico-militari e la
divisione all'interno del partito tra patassisti e suoi sostenitori, è in dubbio il fatto che possa
ottenere altrettanti consensi. La militanza legale nell'opposizione sembra infatti aver ottenuto
meno risultati che la militanza armata. Tanto più che la scelta democratica, a suo dire, gli ha
alienato le simpatie anche del suo feudo elettorale per aver abbandonato i suoi351 alle esazioni
346 Centrafrique-presse, “Le chronogramme des élections génénales approuvé par les principaux actors”, 11 agosto 2011 (http://centrafrique-presse.over-blog.com).
347 Intervista a Valentina Bernasconi, op. cit.348 Soudan François, “Interview...”, op. cit.349 Intervista a Valentina Bernasconi, op. cit.350 Nome dato dai centrafricani ai combattenti di Bemba.351 Appartiene ad un'etnia minoritaria, i Karé.
98
di un potere che lui non è in grado di vincere con metodi nonviolenti352.
Ultimo candidato di un certo rilievo è Jean-Jacques Demafouth, Ministro della Difesa sotto
Patassé e andato in esilio in Francia per sfuggire all'accusa di aver organizzato il tentato colpo
di stato del 2001, è stato scelto dall'APRD come presidente ed ha rappresentato i movimenti
politico-militari presso la CEI. Già nel 2005 aveva partecipato dal suo esilio parigino come
indipendente, ma aveva raccolto solo una manciata di voti. Bisogna dunque vedere se la
scelta di abbandonare le vie politiche per quelle militari gli è stata favorevole.
Da sinistra: Jean -Jacques Demafouth, Martin Ziguelé, Ange-Felix Patassé e François Bozizé.
Altri candidati come Marie-Reine Hassen e Elois Anguimate, presidente della Convenzione
Nazionale, avevano annunciato la loro intenzione di presentarsi come indipendenti già in
primavera, ma hanno scarsissime possibilità di ottenere buoni risultati.
L'andamento delle future elezioni dipenderà anche dalla possibilità che ogni parte avrà di fare
campagna elettorale. Bozizé e il suo KNK353 partono da una posizione avvantaggiata avendo a
disposizione i mezzi finanziari e di comunicazione dello Stato senza un effettivo controllo sul
loro utilizzo. In zone dove la povertà è diffusa la compravendita dei voti in cambio di denaro,
cibo o altri beni non deve stupire né scandalizzare. Il blog di opposizione Centrafrique-presse
avrebbe già riportato notizia di distribuzioni in diversi villaggi di banconote e carne, nonché
di risarcimenti per i commercianti di diamanti derubati dalle FACA354. Inoltre non bisogna
dimenticare che grazie ai finanziamenti internazionali buona parte degli arretrati salariali sono
stati pagati, venendo incontro ad uno dei problemi più gravi del paese.
D'altra parte l'opposizione non si presenta certamente compatta, avendo interessi diversi che
difficilmente verranno fatti coesistere per l'interesse comune. Il MLPC - unico movimento
352 International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit, p. 23.353 Il 21 agosto 2009 il Kwa Na Kwa è stato trasformato in un partito vero e proprio con una cerimonia tenutasi
a Boali. Non tutti i partiti dell'iniziale coalizione sono entrati a far parte del nuovo KNK.354 Centrafrique-presse, “Nouvelles de la galaxie bozizéenne de Sassara du 13 août”, agosto 2010
(http://centrafrique-presse.over-blog.com).
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“credibile” di opposizione, ma meno presente di un tempo sulla scena politica355 - è ancora
diviso, il RDC è ormai marginale dopo la morte del suo fondatore Kolingba, mentre gli altri
partiti sono troppi e troppo poco influenti al di fuori di una coalizione. La mancanza cronica
di fondi, poi, non gioca per nulla a loro favore. Tutti i discorsi e i congressi, infine, sono
tenuti a Bangui ed è scarsissimo il radicamento al di fuori della capitale356. I partiti
centrafricani in generale sono accusati di essere delle strutture che esistono solo in funzione
del leader che le domina, per permettere a costui e alla sua cerchia di appropriarsi dei benefici
derivanti dalla gestione dello Stato357. Inoltre, agli occhi della popolazione sono stati
delegittimati dai gruppi ribelli, che hanno dimostrato apparentemente maggior
determinazione nel combattere il regime. Dall'epoca del partito unico all'inaugurazione del
multipartitismo i partiti centrafricani hanno preferito rispondere alle richieste del loro
specifico elettorato con il clientelismo e una gestione patrimoniale del denaro statale. Come
buona parte delle istituzioni democratiche in questo paese il loro potere si è lentamente
disgregato venendo a mancare quell'appoggio popolare che è fondamentale per ottenere un
buon posto da cui elargire ricompense. La comunità internazionale ha aiutato tale processo
legittimando le richieste dei movimenti armati ed inserendoli nel processo democratico. Così
l'aver guadagnato l'attenzione internazionale con la violenza ha pagato più che anni di
opposizione pacifica358.
Da parte loro i gruppi di combattenti hanno cercato di ricostruirsi un'immagine democratica
cooptando uomini politici come Demafouth o Massi, ma in molti casi le lotte per la leadership
non hanno portato ad una posizione univoca. Nonostante Demafouth sia l'unico candidato per
i gruppi politico-militari, infatti, questi non hanno ancora attraversato un processo di
istituzionalizzazione costituendo un nuovo partito.
Non è facile fare un pronostico su quello che potrebbe essere il risultato delle elezioni, se non
altro perché non c'è ancora nessuna certezza che si tengano effettivamente a gennaio. Troppe
volte sono state rimandate perché non rimanga ancora il dubbio, nonostante il decreto
presidenziale e l'accordo concluso tra le parti. Certo è che Bozizé parte, nonostante tutto ciò
che è successo in Centrafrica, da una posizione avvantaggiata che cercherà in ogni modo di
sfruttare. La popolazione potrebbe semplicemente riconfermarlo in quanto “male minore”.
Già nel '99 il vescovo Juan José Aguirre Muñoz, Presidente della Commissione Episcopale
355 Intervista a Valentina Bernasconi, op. cit.356 Ibid.357 Mehler Andreas, Reshaping Political Space..., op. cit.358 Ibid.
100
Giustizia e Pace, aveva infatti detto, a proposito delle elezioni che videro concorrere per la
presidenza Patasse e Kolingba, “meglio un male noto che uno che ancora non conosci”359.
Le aspettative della popolazione riguardo a queste elezioni non sono molto alte: “essendo la
RCA da sempre un paese abituato a riconoscersi nell'unico leader nazionale come in un
padre di famiglia o capo clan, la gente si aspetta che il presidente gli dia da mangiare, li
aiuti e sia un buon padre di famiglia”360. In questo senso, paradossalmente, i centrafricani
rimpiangono l'era di Bokassa, che almeno aveva dato al paese visibilità e una dignità nei
confronti dei baldanzosi vicini. Le elezioni, quindi, hanno importanza più per i finanziatori e
gli investitori occidentali che per la popolazione centrafricana, che in buona parte è analfabeta
e, dopo averne passate tante, le è indifferente chi stia o meno al governo. Gli unici che hanno
qualche interesse sono i gruppi di potere che hanno sede a Bangui e che non vogliono perdere
i benefici che attualmente traggono dalla macchina statale361.
Con gli occhi puntati della Comunità internazionale è più difficile che avvengano brogli, ma
due cose ci sono da considerare: la partenza della MINURCAT e il contesto istituzionale
centrafricano. L'assenza dei caschi blu durante lo svolgimento delle elezioni allontanerà dal
territorio degli scomodi testimoni e una delle poche forze in grado di aiutare le FACA a
riportare la sicurezza in caso di disordini. D'altronde, se alcune fasi del lavoro della CEI sono
state attentamente monitorate dai donatori internazionali, la debolezza delle strutture di
controllo democratico e la corruzione diffusa lasciano ancora molte zone grigie.
Quale che sia il risultato, vi è ancora il rischio che la parte che non intenda accettare il
verdetto delle urne riprenda le armi, facendo ripiombare il paese nel vortice di violenza da cui
ha appena fatto capolino.
359 Agenzia FIDES, “Central African Republic. Patasse re-elected: Justice and Peace Bishop – we sit on a time-bomb!”, 8 ottobre 1999 (www.fides.org).
360 Intervista a Valentina Bernasconi, op. cit.361Carlo Paolini definisce le elezioni addirittura una “farsa della democrazia” e un “discorso di facciata”.
Intervista a Carlo Paolini, op cit.
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CAPITOLO IV. IL RUOLO DELLA COMUNITA' INTERNAZIONALE
In ogni strada di questo paese c'è un nessunoche sogna di diventare qualcuno.
È un uomo dimenticato e solitario che devedisperatamente provare di essere vivo.
(Taxi Driver, M. Scorsese)
§ 1. La Francia e la “Françafrique”
Dall'indipendenza ai giorni nostri la Francia non è rimasta indifferente a ciò che accadeva
nella sua ex colonia e non raramente è intervenuta direttamente nella politica centrafricana. A
misura di quest'influenza si può dire che nessun cambiamento di governo ha avuto luogo
senza il consenso dell'ex madrepatria362. Di esempi non ne mancano: dal colpo di stato che ha
portato alla destituzione di David Dacko alla clamorosa operazione “Barracuda” - la
cosiddetta “ultima spedizione coloniale francese”, dalle parole di Jacques Foccart,
consigliere speciale per l'Africa di de Gaulle, Pompidou e Chirac363 - che il 20 settembre
1979, mentre Bokassa si trovava in Libia, ha riportato a capo dello Stato lo stesso Dacko
grazie alla collaborazione dell'intelligence francese e delle forze speciali supportate dai reparti
stanziati in Ciad e Gabon364.
Inizialmente la Francia dichiarò la sua intenzione di ritirare tutte le truppe francesi dall'AEF
all'indomani delle indipendenze nazionali dei paesi che la costituivano. Tuttavia, la situazione
instabile nel Congo belga e il timore di un “contagio” nella nuova Repubblica Centrafricana
spinsero Dacko e de Gaulle a considerare le truppe francesi una garanzia di sicurezza365.
Venne quindi firmato, come in molte altre ex colonie, un accordo di difesa che prevedeva un
mutuo intervento in caso di minaccia esterna. Nonostante non vi fosse alcuna presenza di
forze nemiche sul territorio, le forze armate francesi si sono trattenute in RCA fino al '98366.
Il concetto di “minaccia esterna” è stato interpretato in maniera piuttosto ambigua durante
questi 50 anni, tant'è che, mentre il colpo di stato di Bozizé sostenuto apertamente dal Ciad
non ha dato luogo a reazioni da parte francese, un semplice sospetto di appoggio da parte del
362Berg Patrick, A Crisis-Complex, Not Complex Crises: Conflict Dynamics in the Sudan, Chad, and Central African Republic Tri-Border Area, IPG /2008, pp.72-86.
363Sotto Chirac solo in via ufficiosa, poiché ormai era ottuagenario.364Sörenson Karl, Beyond Françafrique. The foundation, reorientation and reorganisation of France’s Africa
politics, FOI Swedish Defence Research Agency, Stoccolma, luglio 2008 (http://www.foi.se).365P. Kalck, Histoire..., op. cit. p. 328.366Ngangue Eyoum, “Scontri e violenze, Bangui imbocca la «deriva tribale»”, Mondo e Missione, gennaio
2002.
102
Sudan alla ribellione dell'UFDR nel 2006 ha reso possibile il dispiegamento di truppe
aerotrasportate per la riconquista di Birao. In aprile 2010 il Ministro degli esteri centrafricano
e il segretario di Stato francese per la cooperazione e la Francofonia hanno firmato un nuovo
trattato di difesa, al momento della scrittura di questa tesi non ancora pubblicato, nel quale è
previsto che la Francia contribuisca alla ristrutturazione delle forze armate centrafricane e
favorisca l'emergere di forze africane di peacekeeping367.
Le relazioni tra Parigi e la RCA si inseriscono perfettamente nella parabola della politica
estera francese nei confronti dell'Africa indipendente. Mentre il Maghreb ha scelto una
maggiore autonomia dovuta al percorso storico più travagliato che l'ha portato
all'indipendenza, l'Africa subsahariana ha mantenuto un legame abbastanza stretto con l'ex
potenza coloniale. Tale legame era in primo luogo basato su una serie di accordi di difesa
bilaterali che dagli anni '60 sono serviti a giustificare più di 30 operazioni militari dirette ed
ufficiali (esclusi quindi appoggi ad insurrezioni, colpi di stato ecc.). Infatti, nonostante il
debito contratto durante la Seconda Guerra Mondiale per il sostegno dell'AEF alla Francia
libera avesse gradualmente portato le colonie verso l'indipendenza, Parigi non era disposta ad
abbandonare completamente i propri interessi nella regione. La presenza militare francese
negli anni '60 è quindi rimasta importante, aggirandosi sui 58.000 uomini, senza contare i
membri dell'intelligence o i consiglieri disseminati per tutto il continente.
Un secondo elemento del legame franco-africano, oltre agli accordi di difesa, era costituito
dagli aiuti allo sviluppo e alla democratizzazione che negli anni sono stati elargiti in maniera
piuttosto controversa368. Due erano infatti i principali strumenti della politica francese in
Africa: il Ministero della cooperazione (che lo stesso Foccart aveva aiutato a mettere in piedi)
e la cellula africana dell'Eliseo369.
Il Ministero della Cooperazione era nato dalla trasformazione dell'ex Segretariato di Stato per
le relazioni con i paesi della Communauté Française creata da de Gaulle nel '58 nel quadro
della Costituzione della V Repubblica per mantenere le colonie in una condizione di sovranità
limitata sotto la tutela francese. Essendo i vari paesi liberi di uscirne e dichiarare
unilateralmente l'indipendenza, ben presto la Communauté è ha perso significato e il
Segretariato nel 1961 è stato trasformato nel Ministero della Cooperazione. Compito di tale
organismo era la gestione, attentamente diretta dal Ministero degli Esteri e dall'Eliseo, degli
aiuti allo sviluppo, inizialmente alle sole ex colonie francofone africane. L'attribuzione di tali
367Afriqueavenir, “La France et la RCA signent un accord de défense”, 8 avril 2010 (www.afriqueavenir.org).368Sörenson Karl, Beyond Françafrique..., op. cit. p. 45.369Ivi, pp. 35-36.
103
aiuti era vincolata a concessioni nel campo delle risorse naturali o a riforme economicamente
favorevoli alle grandi multinazionali francesi, spesso a direzione statale.
La cellula africana dell'Eliseo, invece, è stata creata nel 1960 da Jacques Foccart ed aveva lo
scopo di sostenere l'ascesa o consolidare il potere dei dirigenti africani che favorivano gli
interessi francesi e fare pressioni o demolire i regimi che li ostacolavano. In questo modo la
Francia è riuscita per lungo tempo ad assicurarsi una notevole influenza nell'Africa
francofona, indispensabile per continuare a giocare un ruolo economico di primo piano nello
sfruttamento delle risorse africane, ma anche utile, ad esempio, per avere un cospicuo
sostegno di voti all'interno dell'ONU370.
Anche l'unione monetaria che lega i paesi della CEMAC (Comunità economica e monetaria
dell'Africa centrale) e l'ancoraggio del franco CFA al franco francese prima e all'euro oggi è
parte di quest'influenza, giacché in contropartita le autorità francesi avevano voce in capitolo
nella definizione della politica monetaria della zona CFA.
Infine, nell'ultimo secolo di dominazione era venuta a crearsi una fitta rete di rapporti tra le
élites militari, commerciali e politiche che con l'indipendenza si intensificò e a volte condusse
a scelte che travalicavano gli interessi generali a favore di quelli particolari. Cardine di questa
rete erano le relazioni personali tra i leader africani e francesi, che spesso avevano vissuto
parte delle loro carriere politiche insieme, come François Mitterrand e Houphouët Boigny. A
consacrazione di tale sistema dal 1973 si è inaugurata la tradizione dei summit franco-
africani, occasione d'incontro per i capi di stato, ma anche per i consiglieri della cellula
africana e i loro omologhi del continente nero. Le relazioni diplomatiche erano strettamente
connesse con gli interessi economici, soprattutto di alcuni colossi del settore energetico, come
la società petrolifera Elf-Aquitaine, ora acquistata dalla Total. Il processo avviato in Francia
nel '94 e durato otto anni che ha riguardato questa azienda ha messo in luce la collaborazione
tra politici francesi, come Roland Dumas, Ministro degli Esteri sotto Mitterrand, e Charles
Pasqua, Ministro degli Interni vicino a Chirac, gli alti dirigenti dell'azienda e le leadership
africane.
Questo complicato rapporto tra Francia ed ex colonie, a cui vanno aggiunte anche quelle
belghe, a cui si rivolse l'interesse francese già negli anni '60, è stato riassunto col termine
“Françafrique”371, coniato dal giornalista economico François-Xavier Verschave a partire
dall'espressione “France-Afrique” del 1955 dell'ex presidente della Costa d'Avorio Félix
370Petiteville Franck, Quatre décennies de “coopération franco-africaine”: usages et usure d'un clientélisme, Études internationales, vol. 27, n° 3, 1996, pp. 571-601 (http://id.erudit.org/iderudit/703630ar).
371Ivi, op. cit., p.37.
104
Houphouët Boigny. Bisogna sottolineare, però, che questo tipo di politica è nata da un
matrimonio di circostanza tra Parigi e le nuove élite africane. Spesso, infatti, erano i leader
dei nuovi paesi indipendenti a chiedere l'aiuto finanziario e militare francese per sostenere il
proprio regime. Nel 2008 è stata accolta in Francia una denuncia presentata dalla ONG
Transparency International contro alcuni capi di stato, quali l'ormai defunto Omar Bongo
(Gabon), Teodoro Obiang Nguema (Guinea Equatoriale) e Denis-Sassou-Nguesso
(Repubblica del Congo), con l'accusa di ricettazione, sottrazione di fondi pubblici, riciclaggio
di denaro sporco, abuso di beni sociali e appropriazione indebita. Con le rendite del petrolio
venduto sottoprezzo e non registrato nella contabilità nazionale e grazie alla sottrazione di
denaro pubblico i tre leader e le loro famiglie si sono costruiti un patrimonio miliardario,
costituito di appartamenti e ville in Francia, auto di lusso e decine di conti aperti in banche
francesi e svizzere372.
Fino agli anni '90 la Francia è stata considerata il “gendarme d'Africa” poiché il suo approccio
era basato sull'intervento diretto e su relazioni economiche esclusivamente bilaterali con la
parte francofona. L'anno 1994, però, ha segnato una svolta significativa nella politica estera
francese. Lo shock è stato provocato dal genocidio in Ruanda e dalla percezione di un
fallimento su larga scala dell'intervento francese. Non solo i militari dell'operazione francese
“Turquoise” non furono in grado di evitare la tragedia, ma sul Quai d'Orsay si abbatté anche
l'accusa di aver sostenuto il regime hutu ruandese. Già nel 1990, infatti, quando per la prima
volta il Rwandan Popular Front (RPF), movimento ribelle tutsi, aveva attraversato la frontiera
tra Uganda e Ruanda, su richiesta del presidente ruandese Habyarimana la Francia aveva
lanciato l'operazione “Noroït” per riportare la situazione alla normalità. Allorché tre anni dopo
scoppiarono le violenze in Burundi e in seguito in Ruanda, la risposta francese fu alquanto
equivoca. Ancor oggi non è chiaro quali fossero le direttive date da Parigi al comando
dell'operazione “Turquoise”, se – come si aspettava la comunità internazionale – dovessero
metter fine al genocidio o semplicemente difendere gli interessi franco-ruandesi373. A questo
proposito Sörenson commenta:
“From the African independence in 1960 to the beginning of the 1990s the French-Africa relation has changed. The once ever-present French state had little by little been replaced by interest groups. The elitist network between French and African dignitaries had come to dominate the relationship, leaving people in France as well as Africa with only a vague idea of the actual level of French-African relations. Operation Turquoise has come to represent the clandestine dealing between
372Misser François, “Françafrique: se i conti non tornano”, Nigrizia, 1 luglio 2009 (www.nigrizia.it).373Ivi, p.42.
105
France and Africa, which explains why France’s involvement in Rwanda is still a sensitive matter in both France and Francophone Africa.”374
Al di là di quelle che possono essere considerate congetture, ciò che rimane evidente è che le
forze armate ruandesi hanno percepito l'arrivo dei francesi come un segnale del loro sostegno
alla lotta contro il RPF, mentre i ribelli l'hanno accolto con scetticismo.
In seguito al fallimento di Mitterand, dalla seconda metà degli anni '90 il nuovo presidente
Chirac ha cercato di dare un nuovo corso alla politica estera francese in Africa, senza per altro
riuscirci completamente a causa del forte radicamento delle dinamiche del sistema della
“Françafrique. Chi sembra aver portato avanti con maggior successo questo lavoro è Nicolas
Sarkozy, primo presidente nato dopo la seconda guerra mondiale e privo di grandi contatti con
le personalità importanti delle ex colonie.
La nuova concezione delle relazioni franco-africane si fonda su un legame meno stretto con le
ex colonie in favore di un allargamento degli interessi francesi anche ad altri Stati come il
Sudafrica e la Libia. Sarkozy, volendo superare il vecchio concetto di “Françafrique”, ha
smantellato la cellula africana dell'Eliseo integrandola nel Consiglio nazionale di sicurezza,
che coordina tutte le questioni inerenti alla difesa civile e militare, alla sicurezza e ai servizi
segreti, e ha iniziato una riforma degli accordi di difesa bilaterali. Dal punto di vista militare
ha poi previsto la riduzione delle basi in Africa, che verrebbero inoltre rese accessibili anche
ad altri Stati europei.
La Francia, infatti, intende favorire un nuovo approccio multilaterale che dia legittimità
politica ad eventuali interventi e crei un meccanismo di condivisione delle spese. Questa
nuova strategia si scontra però con l'impegno ad onorare gli accordi bilaterali di difesa
sottoscritti alla vigilia dell'indipendenza. La risposta a tale dilemma finora è stata data
cercando di rendere ONU, Unione Europea ed Unione Africana maggiormente partecipi sia
militarmente sia finanziariamente. Nel caso del Ciad e della RCA si è optato quindi per una
forza di pace europea sotto mandato delle Nazioni Unite, anche se il grosso dei costi e delle
truppe è stato comunque sostenuto da Parigi. L'approccio multilaterale deve infatti affrontare
un secondo problema: non potendo contare solo sul supporto delle forze di pace regionali, non
ancora in grado di sostenere da sole tutto lo sforzo richiesto da un'operazione, la Francia cerca
374« Dall'indipendenza dell'Africa nel 1960 agli inizi degli anni '90 le relazioni franco-africane sono cambiate. Lo Stato francese, una volta onnipresente, è stato gradualmente rimpiazzato da gruppi d'interesse. L'elitaria rete di dignitari francesi ed africani è arrivata a dominare questa relazione, lasciando alle persone in Francia come in Africa solo una vaga idea dell'attuale livello delle relazioni franco-africane. L'operazione “Turquoise” rappresenta il patto clandestino tra Francia ed Africa, il che spiega perché il coinvolgimento francese in Ruanda è tutt'ora un tema scottante sia in Francia sia nell'Africa francofona. » Sörenson Karl, Beyond Françafrique..., op. cit., pp. 43-44.
106
di puntare sull'Unione Europea. Questa, tuttavia, manca di una volontà politica e di una
comune visione in materia di politica estera, il che rende molto più difficile raggiungere un
consenso. Sarkozy ha dunque dovuto parallelamente svolgere un ruolo particolarmente attivo
in seno all'ONU, assicurandosi delle risoluzioni favorevoli per ogni suo recente intervento e
contribuendo generosamente al bilancio dell'organizzazione375.
Questi cambiamenti di strategia sono dovuti a diversi motivi, non ultima la necessità di
contenere le spese militari, che ha portato alla drastica riduzione degli effettivi, alla chiusura
di diverse basi già sotto Chirac e ad un approccio definito di “prevenzione e proiezione”. Con
esso si intende un'ottimizzazione dell'uso della tecnologia militare e la priorità data
all'intelligence e a forze ridotte, ma dispiegate in punti chiave. Bisogna inoltre tener presente
che alcune priorità strategiche sono mutate: non è più necessario proteggere solo gli interessi
degli ex coloni, ma divengono rilevanti anche le questioni energetiche e la lotta al
terrorismo376. Infine, si stanno lentamente affermando degli strumenti regionali come l'UA
(Unione Africana) e l'ECOWAS (Economic Community of West African States), che sono
solo parzialmente in grado di affrontare i problemi del continente e che riflettono la volontà
africana di affrancarsi dalla tutela esterna. Per aiutare questi organismi la Francia ha promosso
un progetto per formare su base volontaria le forze armate del continente al mantenimento
della pace, il programma RECAMP (Renforcement des Capacités Africaines de Maintien de
la Paix)377.
La “nouvelle politique africaine” ha avuto le sue ripercussioni anche in RCA: dopo le ultime
due operazioni militari francesi su territorio centrafricano nel 1996-97 (Almandin I e II) per
garantire la stabilità del regime democraticamente eletto di Patassé in seguito alle rivolte di
parte dell'esercito, nel '98 è stato disposto il ritiro totale delle truppe e la chiusura delle basi di
Camp Béal, in centro a Bangui, e di Bouar nell'est del paese. Parigi, per sfuggire l'accusa sia
di continua ingerenza – gli effettivi francesi erano infatti passati da 1.400 a 2.300 in poco
tempo – sia di aver abbandonato il paese al suo destino, ha incoraggiato fin dal dicembre 1996
nell'ambito di un summit biennale franco-africano Burkina Faso, Gabon, Mali, Senegal, Ciad
e Togo ad inviare dei contingenti militari in seno ad un'operazione di pace. La MISAB
(Missione interafricana di sorveglianza degli accordi di Bangui) ha così sollevato la Francia
dal suo ruolo di “gendarme” almeno nell'apparenza, visto che la quasi totalità dei costi è stata
375Ivi, pp. 49-50.376Hansen Andrew, “The French Military in Africa”, 8 febbraio 2008 (www.cfr.org).377Sörenson Karl, Beyond Françafrique..., op. cit., pp. 46-47.
107
coperta proprio dall'Esagono378. La lobby francese in seno all'ONU è poi riuscita a convincere
gli Stati Uniti, principali oppositori del progetto per ragioni finanziarie, a mettere in campo
un'operazione di pace, la MINURCA, che rilevasse il mandato della MISAB, resasi colpevole
di una cieca rappresaglia in seguito all'uccisione di un soldato senegalese e ancora dipendente
dal sostegno economico francese. Il 28 febbraio 1999 anche gli ultimi militari francesi,
rimasti in appoggio alla MISAB prima e alla MINURCA poi, hanno lasciato Bangui,
approfittando della distensione del clima nella capitale379.
Tuttavia, nel 2003 l'ascesa al potere di Bozizé ha richiamato la presenza francese in RCA,
ufficialmente per proteggere i propri concittadini durante il breve periodo di disordini
succeduti al colpo di stato, ma, molto più probabilmente, per sorvegliare gli sviluppi della
situazione ed intervenire in caso di bisogno. All'operazione “Boali” - questo il nome della
nuova missione - è poi stato dato il compito di formare le FACA e garantire assistenza tecnica
alla FOMUC prima e alla MICOPAX poi, nel quadro delle direttive dettate del programma
RECAMP. Nel 2006 il distaccamento della Boali è stato rinforzato fino a raggiungere i 300
uomini con lo scopo di sostenere le FACA nella riconquista di Birao, nel frattempo presa dai
ribelli dell'UFDR. L'anno seguente un secondo assedio della città ha causato un
dispiegamento di forze ben più ampio: in soccorso dei 18 militari francesi rimasti a Birao e
delle forze armate locali sono intervenuti un gruppo di paracadutisti e una compagnia di fanti
provenienti dal Gabon, più che raddoppiando così gli effettivi iniziali. In quell'occasione la
loro presenza non ha impedito che le case venissero saccheggiate e incendiate e che numerosi
civili fossero percossi e uccisi. Parigi è corresponsabile di questi crimini, sia per non aver
saputo evitarli – come a suo tempo in Ruanda – sia in quanto incaricata della formazione delle
forze armate centrafricane.
Fedele al nuovo approccio multilaterale, Sarkozy si è impegnato ad incoraggiare il passaggio
di testimone ad un'operazione che coinvolgesse un numero più ampio di attori. In questo
intento è stato supportato da Bozizé, che in un intervento ONU vedeva maggiori garanzie di
stabilità per il proprio regime, e dallo spettro della “darfurizzazione” del Centrafrica. La
diplomazia francese in un primo momento è riuscita a convincere l'Europa a mettere in campo
una missione di pace della durata di un anno sotto il mandato delle Nazioni Unite. L'Eufor
avrebbe coperto contemporaneamente i territori di Ciad e RCA e parte dei militari francesi
intervenuti nella liberazione di Birao sarebbero stati integrati nelle sue fila. Nel marzo 2009 è
stata sostituita dalla componente militare della MINURCAT (Missione delle Nazioni Unite in
378McFarlane Fiona, Malan Mark, Crisis and Response..., op. cit.379International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p.12.
108
RCA e Ciad), il cui mandato scade a fine 2010.
Nonostante le dichiarazioni di progressivo disimpegno, la Francia è ancora onnipresente nel
paese, sia dal punto di vista militare sia da quello politico ed economico. In primo luogo, la
già citata operazione “Boali” è stata rinnovata dal Presidente Sarkozy nel 2007 e ad oggi
conta circa 200 uomini. Di fatto questo piccolo contingente, unito al resto delle truppe
dislocate nei paesi vicini (circa 5000 uomini tra operazioni nazionali e missioni ONU o UE),
costituisce una “forza catalitica”, utile in una situazione ricca di minacce indefinite in cui
potrebbe svolgere un importante ruolo preventivo. Inoltre la base di N'djamena, in Ciad,
assicura una copertura supplementare dell'area, come dimostrato dal trasporto dei
paracadutisti per la liberazione di Birao nel 2007. Infine, nonostante il progressivo
disimpegno nell'area, le operazioni Eufor Ciad-RCA e MINURCAT contavano e contano nei
loro effettivi numerosi militari francesi380. A livello militare, quindi, la politica iniziata sotto
Chirac negli anni '90, che mira a mantenere sottotono la presenza dell'ex colonizzatore nel
paese all'insegna del motto “né ingerenza né indifferenza”, in Centrafrica è solo in parte
rispettata dal suo successore.
Sul piano politico l'influenza dell'Esagono è ancora molto forte: circa 70 consiglieri tecnici
sono stati forniti al nuovo Governo e sistemati nei posti nevralgici dell'apparato statale. Anche
la riforma delle forze armate è sottoposta al vaglio di un francese, il generale Henri-Alain
Guillou. Inoltre, la Francia è uno tra i primi donatori di aiuti e finanziamenti per la RCA, con
un totale di 75 milioni di euro tra 2003 e 2006, a cui vanno aggiunti gli investimenti nelle
operazioni militari e il costo dei consiglieri tecnici381. Dal 2006 il contributo francese è stato
costante, ma si sono aggiunti altri “benefattori” tra cui molte agenzie ONU, l'UE e gli USA.
La continuità della presenza francese nel paese è dovuta ad importanti interessi economici. Il
caso più eclatante è quello di Areva, multinazionale del settore energetico il cui maggior
azionista è il governo francese, che nel 2007 ha rilevato la compagnia a capitale canadese e
con sede in Sudafrica UraMin, proprietaria della miniera di uranio di Bakouma382, in RCA. Il
49% delle azioni di UraMin son poi state vendute alla cinese CGNPC (China Guandong
Nuclear Power Company) per assicurare fino al 2022 le forniture di uranio alle due nuove
centrali nucleari che Areva dovrebbe costruire in Cina383.
380 Nell'Eufor 2.100 dei 3.500 uomini sono francesi.381International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 20.382I potenziali del giacimento di Bakouma erano stati scoperti dall'Agenzia per l'energia atomica del governo
francese negli anni '60.383Società delle Missioni Africane, “Cina acquista miniera di uranio in Centrafrica”, 19 ottobre 2008
(www.missioni-africane.org).
109
Si può quindi concludere che, nonostante le dichiarazioni di Sarkozy a proposito della volontà
francese di superare il sistema della “Françafrique”, questa continui a sopravvivere nelle
maglie dell'economia e della politica.
§ 2. Le operazioni di pace multilaterali
Come abbiamo visto, uno dei punti focali della politica estera francese in RCA dalla seconda
metà degli anni '90 è stato il progressivo disimpegno militare a favore di operazioni di pace
legittimate da un numero maggiore di Stati partecipanti e dal beneplacito delle Nazioni Unite.
Dalla tabella sottostante possiamo osservare che la regia di questo processo, nelle mani della
Francia e dei suoi alleati (come il Ciad), è stata compromessa solo una volta, con il
dispiegamento della CEN-SAD su richiesta di Patassé. In meno di un anno la CEMAC
(Comunità economica e monetaria dell'Africa centrale) è però riuscita a riaffermare la sua
preminenza nella regione a discapito della “pericolosa” alleanza tra il presidente
FOMUC CEMAC 10/2002–07/2008 Ciad, Repubblica del Congo, Gabon 380
MICOPAX CEEAC 07/2008-in corso Angola, Burundi, Camerun, RDC, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Sao Tomé e Principe, Ciad
725
EUFOR CIAD/RCA
UE + Russia, Croazia, Albania
01/2008-03/2009 Albania, Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria
3700
MINURCAT ONU 09/2007384-12/2010 Albania, Bangladesh, Benin, Brasile, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Costa d'Avorio, RDC, Egitto, Etiopia, Finlandia, Francia, Ghana, Guinea, Giordania, Irlanda, Kenya, Madagascar, Mali, Mongolia, Namibia, Nepal, Niger, Nigeria, Norvegia, Pakistan, Polonia, Portogallo, Russia , Ruanda, Senegal, Serbia, Togo, Tunisia, Turchia, Stati Uniti, Yemen.
3686
Fonte: www.operationspaix.net
384Questa è la data di inizio della missione civile e di polizia, mentre la componente militare è entrata in azione il 15 marzo 2009.
110
Inoltre si noti come dal 2008 sia cresciuto l'impegno militare internazionale nel paese,
conseguenza in parte della ribellione e in parte del timore di una connessione col conflitto in
Darfur. Il lettore non deve però lasciarsi ingannare dai dati, poiché solo una minima parte
delle truppe UE ed ONU sono state dislocate in RCA, mentre la maggioranza è incaricata di
pattugliare il confine orientale in Ciad. Tuttavia, considerato il numero complessivo degli
elementi delle tre operazioni Eufor, MINURCAT e MICOPAX, si può comunque delineare un
trend crescente dell'impegno internazionale.
Infine, come già accennato nel paragrafo precedente, due sono gli strumenti che prevalgono a
iniziare dagli anni '90 nella gestione delle crisi: le missioni multilaterali dell'ONU e le prime
forze di pace a carattere regionale. Inizieremo quindi col trattare quest'ultimo aspetto,
approfondendo quelle che sono state le esperienze successive al 2005, data indicativa
dell'inizio del conflitto.
Dopo un primo esperimento di operazione di pace regionale rappresentato dalla MISAB, che
ha operato nel paese dal 1997 al 1998 e che, in seguito alla decisione della Francia di ridurre
il proprio impegno in Centrafrica, è stata sostituita dalla MINURCA, la missione più
importante è stata la FOMUC. Questa, a differenza della MISAB, che era scaturita dalla
singola volontà di alcuni paesi africani appoggiati dalla Francia, era espressione di
un'organizzazione regionale, la CEMAC385. Nello statuto di tale organismo non era prevista
nessuna attività di mantenimento della sicurezza e della pace nell'ambito della comunità e la
logica avrebbe voluto che, constatata la minaccia per tutti gli Stati della regione del conflitto
centrafricano, fosse la CEEAC (Comunità economica degli Stati dell'Africa centrale nella
sigla francese)386 ad occuparsene, disponendo questa degli strumenti adatti ed includendo un
numero maggiore di paesi. La CEMAC, infatti, era stata creata nel 1994 per promuovere la
cooperazione regionale superando la semplice unione doganale esistente dal 1964, l'UDEAC,
ma agiva principalmente in ambito economico. Non fu possibile tuttavia operare sotto
l'ombrello della CEEAC poiché questa era stata sottoposta ad una riforma che, a causa di
notevoli ritardi, nel 2002 non era ancora terminata. Nel summit di Libreville dell'ottobre 2002
si è così decisa la creazione della FOMUC, a cui hanno partecipato Ciad, Gabon, Repubblica
del Congo e, solo in un secondo momento, il Camerun387. Un protocollo aggiuntivo allo
385La CEMAC comprende gli Stati di Camerun, RCA, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Ciad.386La CEEAC, nella sigla francese o ECCAS, in quella inglese, è stata creata nel 1983 con lo scopo di favorire
una maggiore integrazione regionale, ma è rimasta inattiva a causa delle crisi interne di alcuni Stati membri fino al 1998. Ne fanno parte l'Angola, il Burundi, il Camerun, la RCA, la Repubblica del Congo, La Repubblica Democratica del Congo, il Gabon, la Guinea Equatoriale, Sao Tomé e Principe e il Ciad.
387Il contingente camerunense è diventato operativo solo nel 2008.
111
statuto ha infine fornito dal giugno del 2003 la base legale per l'operazione, sebbene la
FOMUC fosse già attiva dal dicembre 2002388.
La missione coinvolgeva circa 380 uomini, mentre la maggior parte dei finanziamenti, come
nel caso della MISAB, sono stati forniti nei primi due anni dalla Francia e, successivamente,
dall'UE, permettendo a Parigi di concentrarsi sul supporto logistico. Trattandosi
dell'operazione che più a lungo è rimasta in RCA, il mandato iniziale ha subito diverse
modifiche. Se questo inizialmente consisteva nel mettere in sicurezza la città di Bangui e
l'aeroporto e proteggere il presidente Patassé, dal 2005 è stato esteso a tutto il paese con
l'obiettivo di riportare e consolidare la pace, dislocando truppe anche in città come Bria e
Bozoum e nelle aree vicine al confine389.
Finalmente superato lo stallo del periodo di riforme, nel dicembre del 2007 a Brazzaville si è
deciso di trasferire alla CEEAC la responsabilità dell'operazione, che ha preso il nome di
MICOPAX (Mission de consolidation de la paix en République centrafricaine). Il suo
mandato è stato esteso per comprendere la tutela dei diritti umani, la promozione del processo
di riconciliazione, la supervisione della legge di amnistia e delle elezioni. Per realizzare ciò si
è aggiunta ai contingenti militari già presenti una componente di polizia e di gendarmeria. La
maggior parte dei costi è ancora coperta da un fondo europeo, mentre è ridotto il contributo
degli stati aderenti alla CEEAC. Ulteriori equipaggiamenti e supporto tecnico sono forniti su
base bilaterale da Francia e Germania390.
Entrata in azione il 12 luglio 2008, la MICOPAX include esponenti di Angola, Burundi,
Camerun, RDC, Repubblica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Sao Tomé e Principe e
Ciad, e concluderà il suo mandato nel 2013391. Al momento è impegnata a Bangui e nel nord-
ovest, poiché Omar Bongo, defunto presidente del Gabon, aveva fatto richiesta che non fosse
impiegata per pattugliare i confini sudanesi, ad est della RCA.
I risultati di queste tre operazioni di pace regionali (da considerare solo parziali per la
MICOPAX, non essendo questa ancora terminata) sono stati alquanto limitati, essendo il
paese ancora scosso da ribellioni e banditi. Tre possono essere gli approcci per spiegare
questo parziale fallimento: in primo luogo la composizione regionale, in secondo luogo il
concetto di sicurezza e, infine, la scarsa inclusione di attori civili392.
388Meyer Angela, Regional Multinational Peace Operations: the Case of Fomuc and Micopax in the Central African Republic, African Security vol. 2 issue 2&3, maggio 2009, pp.158-174.
Sebbene l'utilizzo di una forza regionale possa far pensare che i componenti siano più
interessati alla risoluzione rapida del conflitto, poiché si riterrebbero direttamente minacciati,
questo non è sempre vero. Nei casi analizzati, infatti, la maggior parte dei finanziamenti
proviene dall'esterno, quindi il dilungarsi dell'operazione permetterebbe di continuare a
beneficiare di entrate altrimenti inesistenti. Inoltre, la decisione di contribuire con una
missione a carattere regionale non nasce da un processo di integrazione via via più profondo,
ma sostanzialmente dal disimpegno dei paesi occidentali e dall'idea che questa possa essere
una risposta alla debolezza dei regimi e governi dei paesi partecipanti. Questa motivazione è
particolarmente evidente per la CEMAC, poiché la RCA non solo ne è membro, ma ne ospita
anche la sede a Bangui. Inoltre, le stesse operazioni possono essere sfruttate dai singoli paesi
per portare avanti i loro interessi geopolitici. Il Ciad, per esempio, ha partecipato fin dalla
MISAB alle missioni in RCA e si può certamente affermare che abbia degli interessi strategici
notevoli nel paese. Non risulta quindi strano che, nonostante il proprio mandato lo
consentisse, la FOMUC non sia intervenuta al momento del putsch di Bozizé nel 2003. La
costante presenza dei militari ciadiani nelle forze regionali ha così messo in cattiva luce
l'intera missione agli occhi della popolazione, che non li percepisce poi così distanti da quei
“turbanti gialli” che hanno messo a sacco Bangui o dai banditi e dai pastori armati che
dilagano nel nord-ovest393.
Una seconda spiegazione riconduce il debole impatto di tali operazioni al significato che si è
dato al concetto di sicurezza. La MISAB e la FOMUC hanno infatti privilegiato la
dimensione militare e di difesa, trascurando l'importanza degli aspetti sociali ed economici.
Considerato il fatto che i conflitti centrafricani nascono soprattutto da problematiche di tipo
economico (povertà, scarsità di infrastrutture e servizi sociali) e sociale (emarginazione
rispetto al centro, esclusione di alcuni gruppi etnici dal potere), risulta molto importante
includere questi aspetti nell'approccio al problema. In parte vi si è data risposta tramite
l'allargamento del mandato della MICOPAX, ma ancora non è stato previsto un aiuto allo
sviluppo del paese né tramite una maggiore integrazione regionale né per mezzo di un
progetto specificatamente indirizzato alla situazione di post conflitto e che quindi privilegi il
capacity building e lo sviluppo economico394.
Infine, la società civile è scarsamente coinvolta sia all'interno delle organizzazioni regionali
sia nell'operazione stessa. I soldati, inoltre, avendo avuto pochissime occasioni di contatto con
la popolazione, non hanno potuto toccare con mano quali fossero le esigenze pratiche a cui
393Ibid.394Ibid.
113
dover rispondere, mancando quindi di concretezza nel loro intervento395.
Questi tre aspetti possono quindi aiutarci a capire le debolezze di questo nuovo approccio
regionale e in parte spiegano perché, nonostante la presenza di lunga durata sul terreno,
abbiano avuto un'influenza così ridotta nello stabilizzare la Repubblica Centrafricana.
Bisogna tuttavia riconoscere che, anche nei loro limiti, l'intervento della CEMAC e della
CEEAC ha fatto fronte alla mancanza di volontà da parte del ben più possente e ricco
occidente di farsi carico del problema.
Alla partenza della MINURCA nel 2000, infatti, era stato lasciato nel paese solo un ufficio
con lo scopo di monitorare e sostenere il consolidamento della pace e il rafforzamento delle
istituzioni democratiche, il BONUCA (Bureau des Nations Unies en République
centrafricaine). Nonostante le condanne da parte della comunità internazionale del colpo di
stato di Bozizé, non vi è stato alcun intervento e le elezioni del 2005 hanno definitivamente
messo una pietra sopra ad ogni precedente irregolarità. Sicuramente parte della disattenzione
rispetto a questo paese era dovuta al contemporaneo accendersi e perdurare di crisi ben più
gravi nei vicini Ciad, Sudan e RDC, ma è proprio dello spill over di questi eventi che la RCA
ha beneficiato.
L'escalation del conflitto del Darfur e la sua ampia copertura mediatica, infatti, hanno avuto
delle ricadute positive anche sugli Stati vicini, poiché si è reso evidente dal 2006 che per
arginare la crisi era necessario intervenire anche nelle regioni confinanti. Le missioni di
ricognizione ONU in Ciad e RCA avevano infatti messo in luce già dalla fine del 2005 come
la risposta alle questioni di sicurezza regionale dovesse includere una stretta collaborazione
con gli sforzi internazionali per pacificare quegli Stati. Nella Risoluzione 1706 del 31 agosto
2006 il Consiglio di Sicurezza aveva deciso di espandere il mandato della missione ONU in
Sudan, l'UNMIS, perché collaborasse con una futura presenza multidimensionale in Ciad e
RCA. Per quest'ultima si era anche paventata l'idea di dispiegare una forza di sicurezza che
fornisse protezione ai civili a rischio396.
Nel rapporto n°97 del 23 febbraio 2007, in seguito alla richiesta dei presidenti Déby e Bozizé
di un intervento delle Nazioni Unite sul loro territorio, il Segretario Generale dell'ONU Ban
Ki Moon ha elaborato un progetto più completo. La missione multidimensionale MINURCAT
(Mission des Nations Unies en République centrafricaine et au Tchad) avrebbe coinvolto
contemporaneamente gli Stati di Ciad e RCA e avrebbe incluso una componente militare di
circa 6.600 uomini, di cui 500 impegnati in RCA, e una di polizia, nonché varie sezioni dedite
395Ibid.396Small Arms Survey project, A Widening War..., op. cit.
114
al monitoraggio dei diritti umani e del rispetto delle donne, al collegamento con le
organizzazioni umanitarie e alla pubblicizzazione dei fini della missione. La sede sarebbe
dovuta essere N'djamena con uffici di collegamento nell'est del Ciad e a Bangui397.
Déby ha però espresso alla delegazione ONU in visita al suo paese tra il maggio e il giugno
del 2007 il suo disaccordo a proposito del dispiegamento di una forza militare, accettando
però la componente civile e di polizia. In seguito ad un colloquio con Bernard Kouchner,
Ministro degli Esteri francese, il presidente è tornato sulla sua decisione, accordando che si
procedesse all'invio di una forza armata europea. È solo con il Trattato di Dakar, firmato il 13
marzo 2008 tra Ciad e Sudan, che Déby ha acconsentito ad una componente militare ONU
della MINURCAT398.
Nel successivo rapporto del 10 agosto 2007 Ban Ki Moon ha quindi modificato il progetto
eliminando la componente militare ONU e sostituendola con un'operazione “ponte”
dell'Unione Europea, l'Eufor Ciad/RCA. La MINURCAT non sarebbe dunque stata coinvolta
direttamente nell'area delle tre frontiere, ma le sarebbero spettati i compiti di monitoraggio dei
diritti umani e della situazione umanitaria e la formazione delle forze di polizia ciadiane
incaricate di mantenere l'ordine e assicurare il rispetto della legge nei campi profughi e nelle
città con particolare afflusso di sfollati o dove fossero attive agenzie umanitarie. L'Eufor,
invece, sarebbe stata dispiegata lungo il confine col Darfur e nel Vakaga e Haute Kotto con lo
scopo di rendere la zona più sicura e difendere i civili in pericolo.
Con la Risoluzione ONU 1778/2007, promossa dalla Francia, il Consiglio di Sicurezza ha
infine approvato il dispiegamento della presenza multidimensionale dell'ONU MINURCAT399
con il mandato di creare condizioni favorevoli per il ritorno degli sfollati e dei rifugiati,
garantire l'assistenza umanitaria e la protezione dei civili. Essa includeva forze di polizia e
ufficiali di collegamento per collaborare con le autorità locali nel creare un clima più sicuro.
Nella medesima risoluzione è stato autorizzato il dispiegamento per la durata di un anno
dell'Eufor, il cui mandato prevedeva di:
a) contribuire a proteggere i civili ed in particolare gli sfollati e i rifugiati;
b) facilitare i movimenti e il lavoro delle missioni umanitarie mettendo in sicurezza il
territorio;
c) contribuire alla sicurezza del personale, dei materiali e delle strutture delle Nazioni
397ONU, Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto S/2007/97, 23 febbraio 2007.398ONU, Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto sulla MINURCAT S/2008/215, 1 aprile 2008.399La denominazione MINURCAT include sia la missione civile e di polizia che il distaccamento militare che
sostituirà l'Eufor il 15 marzo 2009.
115
Unite, impiegando, se necessario, l'uso della forza400.
Mentre la MINURCAT, quindi, aveva inizialmente solo un incarico civile e di polizia, l'Eufor
doveva garantire che le attività condotte non solo dalla MINURCAT, ma anche dalle diverse
agenzie ONU, potessero realizzarsi in tutta sicurezza. Il suo scopo, d'altronde, non era di
interposizione tra governo e ribelli, ma, piuttosto, di proteggere i civili in stato di difficoltà,
come i rifugiati o gli sfollati.
La proposta di provvedere all'elemento militare della missione ONU in seno all'UE era stata
avanzata naturalmente dalla Francia nel maggio 2007, ma l'esitazione di numerosi membri e i
continui dibattiti ne hanno notevolmente ritardato l'approvazione401. Numerosi erano i dubbi e
i disaccordi tra gli Stati: si trattava innanzitutto di una missione difficile e rischiosa, lontana
da quelle che sono le principali zone d'interesse europee. Inoltre il territorio era quanto di più
ostile si potesse immaginare a Bruxelles e nelle altre capitali europee, con alte temperature,
mancanza di infrastrutture ed alquanto isolato. Agli occhi di Gran Bretagna e Germania, poi,
l'operazione rappresentava la difesa di un interesse particolaristico francese, senza contare il
fatto che fino a marzo 2008 non era certo che vi fosse un seguito all'Eufor da parte delle
Nazioni Unite e questo avrebbe potuto comportare il prolungamento della missione402. Alla
fine 14 paesi hanno deciso di contribuire sul campo, mentre 22 erano presenti al quartier
generale a Mont-Valérien, vicino a Parigi. A capo dell'operazione sono stati nominati un
irlandese, il generale Patrick Nash, e un francese, il generale Jean-Philippe Ganascia.
Anche una volta superate queste divergenze e approvato il progetto dal Comitato politico e di
sicurezza e dal Consiglio europeo, ufficialmente il 28 gennaio 2008403, le difficoltà non sono
terminate. Non è stato infatti facile riunire il numero necessario di truppe, equipaggiamenti e
mezzi di trasporto, tant'è che l'India si era proposta di offrire dei cammelli in sostituzione
degli elicotteri, alla fine forniti dalla Russia404. Per superare l'impasse la Francia ha
acconsentito a mettere a disposizione i soldati e i mezzi aerei mancanti, ma questo ha
evidenziato il problema di una capacità militare del vecchio continente inadatta ad operazioni
di lungo termine.
Mentre la MINURCAT è divenuta immediatamente operativa, si è dovuto attendere fino a
400ONU, Consiglio di Sicurezza, Risoluzione 1778/2007 S/RES/1778 (2007).401Seibert Bjoern, The Quest for European Military Capabilities, in Simon Luis (ed.), European Defence
Capabilities,. No Adaptability without Co-operation, RUSI, marzo 2010 (www.rusi.org).402Seibert Bjoern, Eufor Tchad/RCA – A Cautionary Note, European Security Review n°37, International
Security Information Service, marzo 2008.403UE, Segretariato Generale del Consiglio, Scheda informativa sull'operazione militare dell'UE in Ciad e RCA
(Eufor Ciad/RCA), gennaio 2008.404Seibert Bjoern, The Quest for..., op.cit.
116
marzo 2008 perché l'Eufor giungesse sul teatro delle operazioni e fino a giugno perché la
maggior parte delle truppe e dei mezzi fossero in loco. Gli ulteriori ritardi sono stati dovuti
alla difficoltà del trasporto fino al Ciad di tutto il materiale (direttamente per via aerea o su
nave fino al Camerun e poi via terra per un viaggio di circa 2 settimane) e ad un violento
attacco ribelle che nel febbraio 2008 è arrivato fino a N'djamena, causando l'evacuazione di
tutto il personale ONU405.
Il 15 marzo è stato decretato l'inizio ufficiale della missione, che ha rappresentato la maggiore
sfida logistica per l'Europa fino ad ora: le enormi distanze da coprire durante i pattugliamenti,
pari a circa metà della Francia, la lontananza dal mare, la scarsa disponibilità di acqua,
elettricità e carburante e le difficoltà di movimento durante la stagione delle piogge non hanno
di certo aiutato un'operazione già sottodimensionata.
Sono numerose le critiche che sono state rivolte all'Eufor. In primo luogo le stime ONU
prevedevano un minimo di 4.000 uomini per far fronte alla situazione, cifra che non si è
riuscita a raggiungere e che ha in parte compromesso l'impatto dell'operazione sul terreno.
Infatti, l'insicurezza sia in Ciad sia in RCA è rimasta alta e non ha evitato la morte di alcuni
operatori umanitari. D'altra parte, i ritardi nel dispiegamento sia dell'Eufor sia dell'UNAMID,
operazione congiunta dell'ONU e dell'UA in Darfur, concepita come complementare alla
MINURCAT e che nel febbraio 2008 aveva raggiunto solo un terzo della propria capacità
operativa, non hanno permesso di far fronte al problema della porosità delle frontiere.
Bisogna inoltre sottolineare la debolezza della volontà politica europea in materia di PESD
(Politica europea di sicurezza e di difesa), poiché, senza lo sforzo francese nel convincere uno
ad uno i suoi partner in vista dei suoi interessi specifici, non si sarebbe mai giunti a veder
l'alba di questa operazione406. Alla fine, infatti, Parigi ha dovuto provvedere alla maggior parte
delle truppe mettendo a disposizione circa il 55% degli effettivi. Infine, essendo stato chiesto
l'intervento direttamente dai capi di stato, l'immagine di neutralità delle forze armate è stata
gravemente compromessa.
Per quanto riguarda la RCA, l'Eufor disponeva di una base di collegamento a Bangui e di due
distaccamenti francesi a Birao (di cui uno presso l'aeroporto). In tutto, le forze ammontavano
a qualche centinaio di uomini, impegnati in pattuglie un po' per tutto il Vakaga e parte
dell'Haute-Kotto, ma, soprattutto, lungo i confini con Ciad e Sudan poiché lo scopo della
405Deheza Elizabeth, EU Crises Management in Africa: the Time for a « Real Adventure » has come, Biuletyn Opinie n°30/2009, Amicus Europae Foundation, Varsavia, ottobre 2009.
406Jacquel Sophie, “Le maintien de la paix au Tchad et en République Centrafricaine : entre espoir et désillusions. Les leçons à tirer de l’EUFOR et de la MINURCAT”, operationsdepaix, 2 giugno 2009 (www.operationspaix.net).
117
missione era di evitare che gruppi armati implicati nel conflitto in Darfur utilizzassero la RCA
come retrovia o rifugio. Questo focalizzarsi sulla guerra nell'ingombrante vicino ha impedito
all'Eufor di affrontare più seriamente i problemi endogeni della RCA, limitando solo
relativamente l'instabilità della regione. Inoltre, se comparato con il numero di uomini
presenti sul territorio ciadiano, il potenziale dei contingenti impegnati in Centrafrica appare
decisamente sottodimensionato in confronto agli obiettivi prefissati.
Tuttavia, non si può negare che l'Eufor abbia svolto un ruolo molto importante nel preparare il
terreno alla successiva operazione militare delle Nazioni Unite.
Nel gennaio del 2009, infatti, una nuova risoluzione, oltre a prorogare il mandato della
missione ONU, ha stabilito che le forze armate dell'Eufor fossero sostituite alla scadenza del
loro mandato da una componente militare della MINURCAT comprendente 300 poliziotti, 25
ufficiali di collegamento, 5.200 militari e del personale civile. Questa volta il mandato
comprendeva:
a) una collaborazione con le autorità locali per la protezione dei civili e dei rifugiati
lottando contro i fenomeni del banditismo e della criminalità;
b) il monitoraggio e la promozione dei diritti umani;
c) un appoggio ad eventuali iniziative nazionali di riconciliazione;
e, per quanto riguarda specificatamente la RCA:
d) la protezione del personale, dei materiali e delle strutture delle Nazioni Unite;
e) un contributo alla creazione di un clima di sicurezza;
f) limitate operazioni di salvataggio di civili e personale umanitario in situazione di
pericolo407.
Il 15 marzo 2009 ad Abéché (Ciad orientale) si è svolta la cerimonia del passaggio di
consegne dall'Eufor alla MINURCAT, che nel simbolico cambio dei caschi europei per i
berretti blu delle Nazioni Unite ha svelato uno dei problemi della nuova forza militare: il lento
dispiegamento delle truppe ha costretto ad una transizione progressiva in cui molti militari
europei hanno continuato a servire sotto lo stendardo ONU e altri si sono fermati ancora
qualche tempo per garantire una certa continuità408. Anche in questo caso si è dovuto attendere
parecchio per raggiungere il completo dispiegamento delle forze e, nonostante ciò, non si è
mai raggiunto il numero di 5.000 uomini previsto dalla risoluzione. Molti dei contribuenti
sono infatti paesi cosiddetti in via di sviluppo e hanno avuto notevoli difficoltà a fornire gli
elementi e i mezzi richiesti sia per motivi economici che tecnici.
407ONU, Consiglio di Sicurezza, Risoluzione S/RES/1861 (2009).408Jacquel Sophie, “Le maintien de la paix...”, op. cit.
118
Il 25 maggio 2010 la Risoluzione 1923 del Consiglio di Sicurezza ha esteso il mandato della
MINURCAT fino al 31 dicembre 2010, data in cui, su richiesta del presidente Déby, avrebbe
dovuto esser ritirata. Inoltre, è prevista una riduzione della componente militare a 1.900
elementi in Ciad e 300 in RCA fino al 15 ottobre, data dell'inizio del ritiro definitivo409.
Nell'ultimo rapporto sulla missione ONU in Ciad e RCA il Segretario Generale ha messo in
luce come la situazione nel nord est della RCA continui ad essere instabile a causa degli
scontri interetnici, del banditismo e dell'attività criminale transfrontaliera. La scarsità di
risultati, secondo Ban Ki Moon, è da attribuire soprattutto alla debole presenza delle FACA
nella zona e alla loro scarsità di mezzi e logistica.
Per ora l'ONU ha quindi avanzato due ipotesi, per quanto riguarda la RCA. La prima prevede
l'invio di una missione di peacekeeping che garantisca la sicurezza per i civili e gli operatori
umanitari finché il governo non sarà in grado di farvi fronte autonomamente. La seconda
opzione si concentra invece sul rafforzamento delle capacità dello Stato di provvedere alla
sicurezza dei propri cittadini e al rispetto della legge, assieme ad un urgente intervento di
formazione delle FACA nel nord-est. In base alle constatazioni fatte sul campo dal Segretario
Generale e alla posizione espressa da Bozizé, questa seconda ipotesi sarebbe la più
accreditata410.
Anche la MINURCAT, come l'Eufor, non è stata risparmiata dalle critiche. Oltre alle difficoltà
già accennate nel riunire le truppe e i mezzi necessari, la MINURCAT ha avuto un impatto
ridotto sulla crisi centrafricana a causa di un mandato che privilegia decisamente il Ciad
rispetto alla RCA. Sia l'Eufor sia la MINURCAT sono state ampiamente contestate proprio su
questo punto perché, oltre a sottovalutare l'instabilità centrafricana, sarebbero state usate dalla
Francia e da Déby proprio per stabilizzare il regime di quest'ultimo. Infatti, essendo la
maggior parte delle truppe e degli ufficiali costituita da elementi francesi delle operazioni
“Boali” ed “Éparvier”, presenti in loco prima del mandato ONU, la leadership ciadiana
godrebbe di un accesso facilitato alle informazioni e alla direzione delle forze di pace411.
Qui si è voluto approfondire soprattutto l'aspetto militare delle operazioni che hanno
riguardato la RCA. Non si deve però dimenticare che, se l'intervento armato può risolvere
l'immediato problema della sicurezza, non affronta però le questioni che stanno alla base
dell'instabilità del paese: il fallimento dello stato e la marginalizzazione del nord rispetto a
409ONU, Consiglio di Sicurezza, Risoluzione S/RES/1923 (2010), 25 maggio 2010.410ONU, Segretario Generale delle Nazioni Unite, Rapporto del Segretario Generale sulla MINURCAT, 30
luglio 2010, S/2010/409 (www.un.org).411Berg Patrick, A Crisis-Complex..., op. cit.
119
Bangui. È quindi necessario dare una panoramica di quella che è stata l'attenzione
internazionale rispetto a queste problematiche.
§ 3. La riscoperta di una “crisi dimenticata”
Non è qui mio interesse fare una descrizione esaustiva del ruolo che ha avuto la comunità
internazionale in Centrafrica, poiché sarebbe un compito troppo vasto. Vorrei solo mettere in
luce quella che è la dinamica principale che ha portato negli ultimi anni ad un maggiore
impegno nel paese sia delle componenti istituzionali sia di quelle civili.
All'indomani della partenza della MINURCA, la prima missione ONU, nel 2000, un generale
oblio ha avvolto il paese allontanando da esso sia i finanziamenti sia l'attenzione
internazionale, che avrebbero forse aiutato a mantenere in piedi il traballante Stato africano.
Della RCA sono rimasti, come sempre, solo i ricordi delle stravaganze dell'ultimo imperatore
con l'ermellino, Bokassa I.
All'alba del golpe del 15 marzo 2003 un breve risveglio è stato giustificato dalla convinta
condanna da più parti del colpo di mano del generale Bozizé, ma tutto è tornato a tacere dopo
il verdetto delle urne. Nonostante gli abusi del regime fossero abbastanza palesi, infatti, alcuni
diplomatici e funzionari di organizzazioni internazionali li hanno giustificati e sottaciuti in
nome della legittimità conferita al presidente dalle elezioni del 2005 o ancora per poter
continuare a lavorare nel paese412.
Anche la Francia aveva abbandonato il campo, per tornare solo in forma ridotta con lo scopo
di proteggere i propri affari e cittadini nel 2003. Gli unici paesi che provavano un qualche
interesse per la Repubblica Centrafricana erano i membri della CEMAC, per ovvie ragioni
economiche, e i protagonisti dei principali giochi di alleanze nella regione: il Ciad, il Sudan,
la RDC e la Libia.
Il motivo di tanto disinteresse non è difficile da capire: si tratta di un paese estremamente
povero, strategicamente poco rilevante fino allo scoppio della guerra nel Darfur e il cui
sfruttamento economico è avversato da numerosi fattori, non ultimi l'isolamento e la
mancanza quasi totale di infrastrutture.
Nel 2006, però, da un lato l'arrivo di un nuovo coordinatore per l'azione umanitaria, Toby
Lanzer413, dall'altro la percezione di una “darfurizzazione” del Centrafrica, hanno segnato una
412International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 24.413Intervista a Sabrina Munao, op. cit.
120
svolta positiva per quanto riguarda l'attenzione internazionale nei confronti della crisi che
imperversava nel paese.
Se delle relazioni tra la RCA e la guerra nel Darfur parleremo più approfonditamente nel
prossimo capitolo, è doveroso almeno citare quanto detto dal Rappresentante del Segretario
Generale Walter Kälin a proposito delle conseguenze dell'arrivo del nuovo coordinatore per
l'azione umanitaria:
“La crise en République centrafricaine a longtemps été considérée comme une crise oubliée par le système international. Jusqu’à récemment, la communauté internationale s’est montrée très peu présente sur le terrain et allouait des ressources insuffisantes à l’assistance humanitaire. Depuis 2006 et l’arrivée d’un nouveau Coordonnateur résident et Coordonnateur de l’action humanitaire, on peut noter une amélioration sensible de la présence du système des Nations Unies dans le pays. Il a su en outre encourager d’autres acteurs notamment les organisations non gouvernementales (ONG) à s’investir en République centrafricaine.”414
La presenza delle Nazioni Unite nel paese risale al 1998, quando il Consiglio di Sicurezza ha
deciso il dispiegamento della forza di pace MINURCA per sostituire le truppe della MISAB.
In seguito alle elezioni legislative, gli effettivi sono stati notevolmente ridotti e la forza di
pace sostituita da un Ufficio delle Nazioni Unite per il consolidamento della pace, il
BONUCA. Il mandato di tale ufficio era:
[...]to support the Government’s efforts to consolidate peace and national reconciliation, strengthen democratic institutions and facilitate the mobilization at the international level of political support and resources for national reconstruction and economic recovery in the country. In addition, the Office is tasked with promoting public awareness of human rights issues in the country and monitoring developments in this field.415
414“La crisi in Repubblica Centrafricana è stata a lungo considerata come una crisi dimenticata dal sistema internazionale. Fino a poco fa, la comunità internazionale si è mostrata assai poco presente sul terreno ed allocava risorse insufficienti all'assistenza umanitaria. Dal 2006 e con l'arrivo di un nuovo Coordinatore residente e Coordinatore per l'azione umanitaria, si può notare un sensibile miglioramento del sistema delle Nazioni Unite nel paese. Egli ha inoltre saputo incoraggiare altri attori, in particolare le organizzazioni non governative (ONG) ad investire in Repubblica Centrafricana.” UN Human Rights Council, Report of the Representative of the Secretary-General on the Human Rights of Internally Displaced Persons, Walter Kälin : addendum : mission to the Central African Republic, 18 April 2008, A/HRC/8/6/Add.1, (http://www.unhcr.org).
415“[...] supportare gli sforzi del Governo nel consolidamento della pace e della riconciliazione nazionale, rafforzare le istituzioni democratiche e facilitare la mobilitazione a livello internazionale di appoggio politico e risorse per la ricostruzione nazionale e la ristrutturazione dell'economia nel paese. Inoltre, l'Ufficio ha il compito di promuovere la pubblica consapevolezza dei diritti umani nel paese e monitorare gli sviluppi in questo campo.” United Nations and Central African Republic, Peace and Security Section, Department of Public Information, ottobre 2000 (www.un.org).
121
Il BONUCA disponeva, oltre agli uffici centrali di Bangui, di antenne nelle diverse prefetture.
Tuttavia, sia nella capitale sia sul campo le condizioni di lavoro erano piuttosto precarie: la
presenza di energia elettrica a fasi alterne, la mancanza di mezzi di trasporto adeguati e
l'assenza di sicurezza per i dati sensibili metteva a rischio non solo gli operatori, ma anche le
vittime di cui il BONUCA cercava di occuparsi. Per questo la sezione diritti umani è stata di
gran lunga trascurata, affidandosi piuttosto al lavoro di altre organizzazioni non governative
sensibili sul tema.
All'indomani del colpo di stato del 15 marzo 2003 in RCA la Comunità internazionale era
rappresentata principalmente dal BONUCA e dall'UNDP, responsabile della gestione degli
aiuti esteri allo sviluppo. Già dal 2007 erano presenti anche altre organizzazioni: la FAO,
l'Organizzazione mondiale per la sanità (OMS), l'Ufficio per il coordinamento dell'azione
umanitaria (OCHA), l'UNICEF, il Programma Alimentare Mondiale, l'UNHCR, che si
occupava dei rifugiati congolesi nel sud, e il Comitato internazionale della Croce Rossa416
(CICR), incaricato di visitare il luoghi di detenzione, verificare le condizioni dei prigionieri e
facilitare le comunicazioni di questi con le famiglie.
La mancanza di coordinazione tra questi differenti attori ha fatto sì che nel gennaio 2010 il
BONUCA fosse sostituito dal BINUCA (Ufficio integrato delle Nazioni Unite in Repubblica
Centrafricana) perché coordinasse l'operato delle diverse agenzie ONU e mantenesse i contatti
con il governo e le ONG. Il mandato del BINUCA è di un anno e prevede, tra i suoi
compiti,417:
a) il supporto ai tentativi nazionali e locali di implementare i risultati del Dialogo
inclusivo, in particolare nei settori della governance e del processo elettorale;
b) il sostegno ai programmi di disarmo e reinserimento dei ribelli (DDR) e di riforma
delle forze di sicurezza (SSR), nonché alla promozione dello stato di diritto;
c) un aiuto agli sforzi miranti a rinforzare l'autorità statale nelle province;
d) la tutela dei diritti umani e del rispetto della giustizia;
e) il coordinamento con la MINURCAT per identificare e diffondere la notizia di
eventuali rischi o minacce per gli operatori umanitari attivi nella regione;
f) un particolare impegno nel seguire i diritti dei fanciulli, in special modo coloro che
sono stati coinvolti nel programma di disarmo.
416Il CICR ha aperto una delegazione in RCA nel 2007, ma ha condotto azioni nel paese già dal 1983.417UN Security Council, Statement [made on behalf of the Security Council, at the 6250th meeting, 21
December 2009, in connection with the Council's consideration of the item entitled "The situation in the Central African Republic"], 21 December 2009, S/PRST/2009/35, (http://www.unhcr.org).
122
Per quanto riguarda le organizzazioni non governative, fino alla fine del 2006, le uniche attive
in RCA erano Cooperazione Internazionale (COOPI), Caritas Internazionale, Medici Senza
Frontiere (MSF) e la Croce Rossa.
MSF si occupava di fornire
assistenza medica, sperimentando
nelle zone dov'era più difficile
raggiungere gli sfollati anche
delle cliniche mobili, e, in alcuni
casi, ha rappresentato l'unico
modo in cui tali persone hanno
potuto avere accesso ad un
trattamento sanitario o a medicine.
COOPI, presente da oltre
trent'anni nel paese, aveva ed ha
diversi progetti che vanno dalla distribuzione di generi alimentari (e non) all'educazione, fino
alla tutela dei diritti delle minoranze, come i pigmei della Lobaye.
Dal 2007 il numero di ONG è andato aumentato notevolmente, come si può notare dalla
comparazione tra le due immagini, anche se la penuria di partner locali e le difficoltà del
territorio hanno spesso compromesso il lavoro di queste organizzazioni.
123
Fonte: www.reliefweb.int
Fonte: www.hdptcar.net
Nel 2007, infatti, lo Humanitarian and Development Partnership Team della RCA (HDPT
CAR) osservava come vi fossero notevoli disfunzioni nella distribuzione degli aiuti umanitari:
la lontananza delle sedi delle agenzie complicava gli spostamenti, il coordinamento fra le
varie organizzazioni e lo scambio di notizie e dati per lo sviluppo di progetti; ancora poche
ONG, inoltre, lavoravano nel nord est e la regione era per un 60% inaccessibile al personale
umanitario. Il rischio, infine, era altissimo a causa del persistere della ribellione e del
proliferare del banditismo, anche se, a volte, era più il governo ad ostacolare la distribuzione
di aiuti che le milizie ribelli, proprio perché accusava le organizzazioni umanitarie di aiutare
questi ultimi418.
Anche per questo, quindi, nel 2007 si è deciso di affiancare alla missione ONU MINURCAT
una componente militare assicurata prima dall'Eufor, poi dai caschi blu della stessa ONU, per
proteggere i civili in pericolo, ma anche permettere un più sicuro svolgimento dell'attività
umanitaria. Probabilmente anche grazie a questa copertura militare vi è stato un ulteriore
aumento nella presenza di ONG, che bisognerà vedere se rimarranno all'indomani della
partenza della MINURCAT.
Dal 2006, inoltre, sono cresciuti notevolmente sia i budget a disposizione delle organizzazioni
internazionali per operare sul terreno sia gli aiuti bilaterali. I donatori, sollecitati dal nuovo
coordinatore per l'azione umanitaria e temendo un effetto domino del conflitto in Darfur, si
sono affrettati a donare alla fine del 2006 circa 110 milioni di euro – di cui molti, però, sono
andati a coprire il debito estero – con la promessa di altri 600 milioni di dollari per l'anno
successivo419. Nell'ambito dell'iniziativa PPTE (Pays pauvres très endettés) concluso con
l'FMI e la Banca Mondiale nel 2006, inoltre, la RCA ha beneficiato di una riduzione
considerevole del debito a cui la Francia ha dato il via nel 2008420.
Nonostante la Cina negli ultimi anni abbia sempre più esteso la propria influenza nel
continente africano, il suo contributo in RCA è ridotto al dono di uno stadio, di un ospedale e
alla promessa di costruire una nuova università, probabilmente a Birao. I principali
finanziatori rimangono infatti ancora i paesi “occidentali”, come la Francia, l'Unione Europea
e, recentemente, gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda i media, la crisi centrafricana avrebbe continuato a rimanere nell'oblio se
non fosse stato per due fattori, che hanno richiamato l'interesse della comunità internazionale
sulla situazione del paese: l'intervento francese su Birao in piena campagna elettorale in
418Intervista a Sabrina Munao, op. cit.419International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., pp. 32-33.420Agence France-Presse, “La France efface 38 million d'euros de dettes, selon Bangui”, 30 ottobre 2008.
124
Francia e lo scoppio della crisi in Darfur. Ultimamente, poi, l'ingresso dell'LRA nell'Haut-
Mbomou e le notizie delle brutali violazioni dei diritti umani hanno avuto una certa visibilità
anche sui media esteri. A parte la stampa francese e qualche sporadico articolo o servizio
radio dei mezzi di comunicazione britannici e statunitensi (BBC e CNN), la copertura
mediatica è stata generalmente assicurata da agenzie come Agence France Presse (AFP),
agenzie e periodici religiosi (MISNA, fonti vaticane, Nigrizia, Mondo Missione) o del
circuito ONU e dalla stampa africana. Per quanto riguarda i media locali, i giornali circolano
quasi solo a Bangui, il web è accessibile praticamente solo agli espatriati e l'unico mezzo di
comunicazione che abbia una certa risonanza è la radio, ma anch'essa non raggiunge tutti i
villaggi421.
La Repubblica Centrafricana, sebbene dal 2006 abbia goduto di una maggiore attenzione,
soprattutto grazie agli effetti regionali dell'instabilità in Darfur, è ancora lontana dall'essere
considerata una priorità dagli attori internazionali. Infatti, rispetto ai fondi e agli aiuti
necessari, solo una piccola parte delle reali necessità del paese sono state coperte, come
dimostrato dalla difficoltà nell'organizzare le elezioni. Ad ulteriore dimostrazione di ciò,
nell'agosto 2010 il Programma Alimentare Mondiale ha dichiarato che per mancanza di fondi
sarà probabilmente costretto a sospendere l'assistenza a circa 600.000 persone, soprattutto
nelle regioni settentrionali422. Inoltre, gran parte del denaro si disperde nelle maglie della
corrotta burocrazia centrafricana, generando frustrazione anche tra i cooperanti423.
L'annuncio nel maggio 2010 da parte della Casa Bianca di una futura strategia per combattere
l'LRA forse aiuterà il paese a raccogliere i fondi necessari ad una ripresa economica e a
portare a termine le riforme previste dal Dialogo politico inclusivo, ma, per ora, quella in
RCA rimane una crisi di secondo piano nell'agenda internazionale424.
421Interviste a Sabrina Munao e Valentina Bernasconi, op. cit.422MISNA, “Brevi dall'Africa”, 25 agosto 2010 (www.misna.org).423Intervista a Carlo Paolini, op cit.424Dalle parole di Carlo Paolini “La RCA, francamente, mi sembra veramente abbandonata. Ora come ora
tirano a campare.” intervista a Carlo Paolini, op. cit.
125
CAPITOLO V. INTERCONNESSIONI REGIONALI
“E se per loro c'erano i confini a che cosa servivanose con gli aeroplani potevano passarci sopra?
E se non c'erano confini in aria perché dovevano esserci sulla terra?E con questo «per loro» intendeva tutti quelli che i confini
ritenevano cosa concreta o sacra; ma per lui e quelli come lui,e non erano poi tanto pochi come potrebbe sembrare
per la maggioranza degli uomini, i confini non erano mai esistitise non come guardie da pagare o gendarmi da evitare.
Insomma se l'aria era libera doveva essere libera anche la terra.”(Mario Rigoni Stern, Storia di Tönle)
Uno degli aspetti che caratterizza il conflitto centrafricano e che ha più volte determinato
importanti cambiamenti storici nel paese è la stretta relazione con gli Stati vicini. Ciò è
dovuto non solo all'artificiosità dei confini coloniali, ma, soprattutto, alla permeabilità delle
frontiere e alla facilità con cui i vari attori in campo cambiano partito.
Le attuali frontiere della Repubblica Centrafricana, come in molti altri casi nel continente
africano, non riflettono un'originaria omogeneità etnica o un'identità comune. Che i confini in
epoca coloniale siano stati tracciati per opportunità politica e in base alle manie di
classificazione degli antropologi e avventurieri dell'epoca è cosa nota, spesso però li
consideriamo come immutati dalla prima volta che sono stati tracciati su una carta. In realtà,
se nel periodo precoloniale erano spesso inesistenti o sfumati, non bisogna dimenticare che
anche sotto la dominazione francese sono cambiati più volte. Già solo l'unione e poi
separazione dal Ciad, l'inclusione nell'Africa Equatoriale Francese e i territori ceduti e ripresi
al Camerun tedesco possono dare un'idea di come l'Oubangui-Chari fosse un'entità piuttosto
variabile e indefinita. Inoltre, mentre a sud il paese era diviso dal Congo belga da un limite
geografico facilmente identificabile e di grande importanza strategica (il fiume Oubangui), a
nord e ad est la vastità degli spazi e l'impossibilità di controllarli hanno portato al rispetto
delle frontiere solo sulla carta. Così, al momento dell'indipendenza si sono mantenuti i confini
definiti in quel preciso momento storico e non frutto di un definitivo assestamento. A riprova
di quanto detto basti pensare alla molteplicità di progetti panafricanisti sorti nella regione,
primo tra tutti quello di Boganda degli Stati Uniti dell'Africa latina.
L'attuale suddivisione risale al 30 giugno 1934, quando l'AEF divenne colonia unitaria
suddivisa in 4 regioni a loro volta ripartite in dipartimenti425. Un progetto di riforma promosso
425Pierre Kalck, Histoire ..., op. cit., p. 247.
126
nel 1945 da André Bayardelle, successore di Eboué, proponeva di dividere il paese in tre: un
Congo-Gabon unito, un Territorio dei paesi del fiume (Oubangui-Chari, Nord del Congo,
parte meridionale del Ciad non musulmana) e un Territorio delle terre islamizzate del Ciad.
Tale piano fu però affossato da una coalizione di compagnie commerciali426. All'indomani
dell'indipendenza, poi, tutti i progetti per creare un unico Stato federale crollarono,
confermando le frontiere che vediamo ancor oggi. La definitiva cristallizzazione dell'assetto
politico africano si ebbe infine con la conferenza di Addis Abeba nel 1963, quando si
concordò per un quieto vivere di mantenere i confini coloniali e di cercare di evitare ad ogni
costo secessioni e smembramenti. Da quel momento in Africa si è dovuto convivere con Stati
vasti e non omogenei né per religione né per etnia e con comunità, spesso nomadi, che vivono
a cavallo dei confini e non li percepiscono come tali.
I problemi ereditati con l'indipendenza vengono così a sovrapporsi a nuove difficoltà:
debolezza dello Stato, corruzione, incapacità operativa delle forze di sicurezza e instabilità
nelle regioni confinanti.
Non è dunque possibile circoscrivere il conflitto alla sola Repubblica Centrafricana, ma è
necessario vedere quali sono le relazioni che intercorrono con i paesi vicini e le minacce che
travalicano tali confini. Qui ci concentreremo sui tre casi che hanno maggiore influenza sugli
avvenimenti attuali: il Ciad, il Sudan e la Repubblica Democratica del Congo.
§ 1. RCA, Sudan e Ciad. Il “triangolo tormentato”427
Se guardiamo il conflitto in Centrafrica da un punto di vista più ampio risulta evidente il fatto
che questo non possa esser slegato dall'instabilità dei vicini Ciad e Sudan. Il nord della RCA è
una zona da tempo più legata ai due Stati confinanti che a Bangui e caratterizzata da frontiere
assai permeabili. Essendo la presenza dello Stato assai debole, è infatti molto difficile che
riesca a controllarle efficacemente: solo tra Centrafrica e Sudan vi sono 1.200 km di frontiera
in comune per cui esistono solo due valichi, distanti 700 km l'uno dall'altro in linea d'aria, a
Bambouti e ad Am-Dafok428. Le popolazioni nomadi che vivono di pastorizia attraversano
periodicamente il confine senza nessun controllo e i bracconieri429 si muovono liberamente in
426Pierre Kalck, Berthélemy Boganda..., op. cit., p.114.427Giroux J., Lanz D., Sguaitamatti D., The Tormented Triangle: the regionalisation of conflict in Sudan, Chad
and Central African Republic, Center for Security Studies, EHT, Swisspeace, aprile 2009.428International Crises Group, Central African Republic: Keeping..., op. cit.429Il fenomeno del bracconaggio è abbastanza frequente nell'est del Centrafrica, una zona di passaggio tra
127
tutta la zona alla ricerca di avorio430, ma, all'occorrenza, dandosi anche al commercio di armi
leggere. Perfino gli Stati non li rispettano: il Sudan ha addirittura fatto costruire una strada tra
Yubu ed Ezo che invade il territorio centrafricano431. Alla frontiera col Ciad la situazione si
ripete, basti pensare ai pastori armati che a più riprese sono scesi in Ouham e Ouham Pendé
distruggendo campi e pascoli. A ciò si aggiungano le relazioni, a volte di amicizia a volte di
ostilità, tra i tre paesi, spesso influenzate da altri attori esterni come la Francia o la Libia.
Lo stesso Bozizé aveva trovato rifugio a N'djamena dopo esser stato accusato da Patassé di
aver partecipato al tentato colpo di stato del 2001 e da Déby aveva ottenuto truppe mercenarie
per ridiscendere a Bangui e rovesciare il governo. Ancor oggi parte di questi ex liberatori è
rimasta nella guardia del corpo presidenziale o si è unita alle schiere ribelli del nord.
Il ruolo del Sudan in RCA è forse meno evidente, poiché è limitato ad un vago sostegno a
gruppi di combattenti come l'UFDR o il FUC ciadiano, che nel 2006 era partito proprio dal
Vakaga per sferrare un attacco alla capitale N'djamena. Quest'ultimo esempio ci è però utile
per capire come la relazione della RCA con Ciad e Sudan dipenda dal rapporto esistente tra i
governi di quest'ultimi e dal ruolo strategico della regione del Darfur.
La zona di confine tra i sultanati dell'Oudai e del Darfur prima della colonizzazione era
periodicamente passata dall'influenza di uno a quella dell'altro per conquista o per
cambiamenti nelle alleanze dei capi locali. L'arrivo di francesi e britannici ha fatto venir meno
questa dinamica, ma non ha interrotto i movimenti di popolazione e di merci. È con
l'indipendenza che invece è stata sancita la definitiva separazione tra i due Stati, lasciando
alcune popolazioni sparpagliate a cavallo del confine. Uno di questi gruppi etnici è costituito
dagli Zaghawa, a cui appartiene anche l'attuale presidente del Ciad Idriss Déby. Il Darfur
dagli anni '60 è divenuto un territorio di passaggio e di rifugio per numerosi gruppi ribelli
ciadiani come il FROLINAT (Front de libération nationale du Tchad) e il FAN (Forces armées
du nord) che da est potevano aggirare le forze armate e puntare sulla capitale. Ben due
presidenti, Habré e Déby, hanno conquistato il potere in questo modo432. La stessa funzione di
foresta “chiusa” e savana in cui abbonda la fauna caratteristica di entrambi gli ambienti. Molti sudanesi e ciadiani sostengono di avere il diritto storico di cacciare anche oltre confine e difficilmente trovano chi li fermi. La preda più ambita è l'elefante per le sue zanne d'avorio, veduto a prezzi astronomici sui mercati cinese e giapponese, i maggiori acquirenti. Se 1Kg di avorio costa € 2.000 in Cina, ai bracconieri non ne rimangono che 30, guadagnando per ogni elefante circa € 300 sui 20.000 che vale l'animale sul mercato. Da queste cifre si comprende come il giro d'affari sia enorme e che solo una minima fetta rimanga nelle mani degli “operai del bracconaggio”. Fino ad ora sono stati uccisi circa 100.000 esemplari e in Centrafrica ne sopravvivono solo 5.000. Intervista a Carlo Paolini, op. cit.
430Ibn-Oumar A., Fontrier M., Tubiana J., Weissman P., Magrin G., Les problèmes de la paix dans la région du Tchad, Soudan, RCA, tavola rotonda INALCO, Parigi, 14 gennaio 2010.
431International Crises Group, Central African Republic: Keeping..., op. cit.432Giroux J., Lanz D., Sguaitamatti D., The Tormented Triangle..., op. cit.
128
regione di passaggio e retrovia è stata assunta dal Vakaga sia in anni recenti – come nel caso
del FUC – sia nel passato. Questa prefettura negli anni '80 aveva infatti già fornito rifugio ai
combattenti sudanesi dello SPLA (Sudan People's Liberation Army), che nei primi anni della
seconda guerra civile sudanese (1983-2005) la attraversarono per prendere alle spalle
l'esercito di Khartoum. Lo stesso fecero nella decade successiva le forze governative nei
confronti dello SPLA nell'Ovest del Bar el-Ghazal.
Nel 2003, allo scoppio della guerra del Darfur433, che in un primo tempo si era sviluppata
come conflitto centro-periferia, Déby aveva garantito il proprio sostegno a Khartoum. Parte
delle schiere ribelli, però, appartenevano all'etnia Zaghawa a cui Déby in patria aveva affidato
i posti chiave del potere. Quando la popolarità del regime ciadiano è venuta meno e parte
dell'élite Zaghawa ha minacciato di ritirare il proprio sostegno al presidente, Déby ha cercato
di strumentalizzare il conflitto in Darfur sostenendo i ribelli per mantenere coesa la propria
etnia. Di conseguenza i movimenti armati ciadiani hanno cominciato a godere del supporto
del regime di Bashir, FUC compreso. È sempre in quest'ottica che va visto il sostegno
sudanese ai combattenti centrafricani.
Non si può infatti sostenere che Khartoum voglia rovesciare il potere a Bangui. Il sostegno
economico, in armi e in logistica del Sudan non è sufficiente a far giungere a queste
conclusioni434. I movimenti centrafricani si autofinanziano principalmente con atti di
banditismo ed impossessandosi di armi tramite attacchi ai depositi delle forze armate
regolari435, solo pochi combattenti hanno ricevuto una formazione in Sudan o usano armi
fornite da Khartoum. Più facile è che queste provengano da commerci illegali transfrontalieri
con bracconieri o rivenditori. Questo settore infatti è fiorente in una regione dove abbondano i
conflitti e i programmi di disarmo sono poco rigorosi436.
Sicuramente il sostegno sudanese ha contribuito a destabilizzare il paese, ma probabilmente
l'obiettivo era più ridotto e sostanzialmente in chiave anti-Déby. Questa tesi è provata dal fatto
che il primo attacco su larga scala in cui il Sudan ha avuto un ruolo, pur essendo partito dalla
RCA, fu diretto a N'djamena. Khartoum starebbe quindi usando il sostegno ai movimenti
ribelli come ricatto per persuadere Bozizé a limitare l'influenza del Ciad in Centrafrica,
433Per una storia aggiornata del conflitto in Darfur, cfr. De Waal Alex-Flint Julie, Darfur, a new history of a long war, African Arguments, Zed Books, 2008.
434L'unica grande dimostrazione di sostegno all'insurrezione è stato il volo delll'Antonov che portò a Tiringoulou armi e alcuni combattenti poi dispersi nella boscaglia.
435Prunier Gérard, Armed Movements in Sudan, Chad, CAR, Somalia, Eritrea and Ethiopia, Center for International Peace Operations, Berlino febbraio 2008.
436Small Arms Survey project, A Widening War..., op. cit.
129
privando così Déby di un alleato nella regione437. Inoltre, strategicamente un focolaio
insurrezionale gioca a favore del Sudan. Il governo di Bozizé, infatti, dipende in gran parte
dalle truppe ciadiane (quelle della FOMUC e parte della guardia del corpo presidenziale) e
quindi preme su Déby perché non le ritiri in un momento in cui le turbolenze interne
potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza del regime. Ciò distoglierebbe alcuni effettivi
ciadiani dal confine in comune con il Sudan, permettendo di manipolare con maggiore agilità
le ribellioni in Ciad e in Darfur.
Nonostante Bozizé abbia apertamente accusato Khartoum di sostenere l'UFDR, la RCA non
ha mai interrotto le relazioni diplomatiche con il Sudan. Il massimo grado di tensione si è
raggiunto con la chiusura delle frontiere nel 2006, ma è probabile che fosse una richiesta di
Déby per scongiurare nuovi attacchi dal Vakaga sostenuti da Bashir438. È da notare che al
momento del dispiegamento della MICOPAX il mediatore per le questioni centrafricane della
CEMAC, Omar Bongo, ha chiesto che la missione, all'interno della quale figurano anche
truppe ciadiane, non operasse lungo i confini sudanesi, evidentemente per evitare un'ulteriore
testa di ponte a sostegno della ribellione in Darfur.
Tuttavia, l'atteggiamento compiacente che Bashir continua a tenere nei confronti dei partigiani
di Oumar Sodiam, fuoriuscito dell'UFDR che ha attaccato Am-Dafok nel settembre 2008, non
promette bene ed è stato criticato dalle autorità centrafricane. I sudanesi, inoltre, continuano a
sostenere i Kara del Vakaga contro i Gula dell'UFDR439.
Altro discorso è quello sul collegamento tra la crisi centrafricana e quella nel vicino Darfur.
L'opinione internazionale nel 2006, allo scoppio del conflitto nel Vakaga, ha infatti subito
visto la prima come una conseguenza della seconda, denunciando la “darfurizzazione” del
Centrafrica. Di certo l'instabilità regionale ha aiutato la diffusione di armi e la precarietà della
situazione di sicurezza alla frontiera440, ma non vi son altri elementi per stabilire una
connessione tra i due casi. Il rapporto del Segretario generale dell'ONU del 23 febbraio 2007
avvalora questa tesi: “durante la sua breve visita la missione di valutazione non ha visto
prove schiaccianti del diretto collegamento della situazione nella prefettura di Vakaga con la
crisi in Darfur. Tuttavia, memori degli eventi di ottobre-dicembre 2006, quando un certo
numero di città nella prefettura di Vakaga furono occupate da gruppi ribelli che avevano
437Prunier Gerard, Darfur: The ambigous Genocide in Giroux J., Lanz D., Sguaitamatti D., The Tormented Triangle..., op. cit.
438Small Arms Survey project, A Widening War..., op.cit.439International Crises Group, République centrafricaine: débloquer..., op. cit., p. 14.440United Nations, Security Council, Interim report of the Secretary-General on the situation in the Central
African Republic subsequent to the press statement of 7 July 2006 by the President of the Council, 19 ottobre 2006, S/2006/828 (www.un.org) .
130
presumibilmente ricevuto un appoggio esterno, la missione prese nota della visione del
Governo il quale riteneva le due situazioni collegate”441.
Il tentativo di collegare le due crisi da parte del governo aveva un chiaro obiettivo: attirare
l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale focalizzata sul Darfur anche sulla situazione
in RCA, ottenendo così aiuti e finanziamenti altrimenti insperati442. Effettivamente questo
effetto domino ha funzionato e nel 2006 e 2007 sono stati raccolti più del doppio dei fondi
ottenuti tra 2003 e 2005. Inoltre, la richiesta dell'intervento di una missione di pace
internazionale di Bozizé e lo stato di emergenza dichiarato da Déby in seguito agli
sconfinamenti di ribelli in territorio ciadiano avevano entrambi come scopo ottenere degli
aiuti esterni per garantire la tenuta del regime443. Gli effetti concreti della guerra nel Darfur
sono stati però molto più limitati: i profughi sudanesi in RCA sono “solo” 4.000444. Molto più
gravi erano state le ripercussioni della seconda guerra civile tra nord e sud Sudan, quando
furono 36.000 i sudanesi (di cui la metà si stima fossero combattenti) che trovarono rifugio a
Mboki, a sud-est della RCA445.
Alla luce di questi fatti Giroux, Lanz e Sguaitamatti sostengono quindi che non si possa
parlare di tre distinti conflitti, ma, piuttosto, di un “sistema di conflitto”446. Nonostante ogni
ribellione abbia cause distinte, possono essere evidenziate delle strutture comuni, cioè un
insieme di elementi geografici, storici e sociali che hanno facilitato una regionalizzazione
degli scontri.
Innanzitutto i tre autori hanno evidenziato come in questi tre Stati vi sia una tendenza al
clientelismo e al monopolio del potere da parte di un'élite, non supportata da un effettivo
controllo militare del territorio. Ciò porterebbe ad una continua minaccia da parte degli attori
esclusi dai benefici statali a cui i governi rispondono costruendo ulteriori relazioni clientelari
con gruppi etnici avversari, ribelli, servizi segreti e governi di altri Stati della regione447. È
questo il caso del reciproco sostegno di Sudan e Ciad alle rispettive ribellioni o dell'alleanza
tra Bozizé e Déby.
Le tre regioni in cui si sono sviluppati i conflitti, il nord della RCA, il Ciad orientale e il
Darfur, inoltre, hanno in comune un aspetto: si tratta di zone che una volta erano luoghi di
441United Nations, Security Council, Report of the Secretary-General on Chad and the CentralAfrican Republic, 23 febbraio 2007, S/2007/97 (www.un.org).
442International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 30.443Lettera 22, "I giochi di Repubblica Centrafricana e Ciad", 21 novembre 2006.444International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit., p. 30.445Small Arms Survey project, A Widening War, op. cit.446Giroux J., Lanz D., Sguaitamatti D., The Tormented Triangle..., op. cit.447Ibid.
131
passaggio e fiorenti centri di commercio, ben collegate fra loro per motivi economici, sociali
e religiosi. Con l'indipendenza si sono trovate ad essere periferie dimenticate dal centro in cui
la debolezza della presenza dello Stato ha favorito la creazione di alleanze economiche e
politiche trasversali a cavallo delle frontiere448.
Come già evidenziato, poi, l'indipendenza ha lasciato alcune comunità divise dai confini. In
regioni periferiche questo ha dato vita ad alleanze basate più sui legami di sangue che sulla
nazionalità449, poiché lontano dalla capitale difficilmente l'anticolonialismo si è trasformato in
un profondo sentimento nazionale. Inoltre, in paesi dove lo Stato è praticamente assente o
quasi e non fornisce protezione e servizi sociali, ad esso si sostituiscono altri attori che
provvedono alla soddisfazione di tali bisogni.
La debolezza dello Stato nel controllo delle frontiere ha per di più permesso che commerci e
movimenti di persone continuassero illegalmente anche dopo l'indipendenza450. È così che
materiale bellico e combattenti dalla “lealtà fluida”451 attraversano regolarmente i tre confini
alimentando i conflitti regionali. Un grosso problema causato dallo scarso controllo alle
frontiere e dall'esistenza di canali commerciali in nero è il riciclo delle armi. Se, come
avvenuto in Ciad ed ora in RCA, i programmi di disarmo non sono capillari e ben gestiti,
parte del materiale non viene consegnato e può essere rivenduto altrove, soprattutto se le
ricompense date dall'autorità preposta sono inferiori al prezzo sul mercato nero. La
pacificazione di una regione può quindi andare a detrimento di un'altra dove si riversano tutte
le armi e i combattenti che ritengano le condizioni del reinserimento meno favorevoli del
proseguimento delle ostilità, anche in un altro paese.
Questo della lealtà fluttuante di alcuni ribelli è un fattore molto importante che nel caso della
RCA è stato messo in luce soprattutto da Marielle Debos nel suo saggio “Fluid Loyalties in a
Regional Crises: Chadian “Ex-liberators” in the Central African Republic”. La presenza di
uomini armati ciadiani in Centrafrica è diffusa in tutte le parti in conflitto: ve ne sono nella
FOMUC e nelle forze regolari che hanno aiutato Bozizé a combattere il banditismo, tra le fila
dei coupeurs de route come dei ribelli, alcuni formano parte della GP e della guardia del
corpo personale del leader, altri hanno usato la RCA solo come retrovia per attaccare il Ciad.
La Debos si concentra però su quei combattenti che hanno aiutato nel 2003 Bozizé ad ottenere
il potere. Molti di questi erano di origine ciadiana o mista ciado-centrafricana ed erano mossi
448Ibid.449Ibid.450Ibid.451Debos Marielle, Fluid Loyalties in a Regional Crises: Chadian "Ex-liberators" in the Central African
Republic, 2008, African Affairs 107(427).
132
sia da motivazioni economiche – essendo stati promessi loro circa CFCA 15 milioni e
l'integrazione nelle forze armate regolari - sia da sentimenti di vendetta nei confronti dei
crimini commessi dalle milizie patassiste di Miskine nel nord. Una volta giunti a Bangui
abbiamo visto come le promesse di una ricompensa non siano state rispettate e come questo
abbia portato a soprusi e crimini contro la popolazione della capitale, che li aveva
soprannominati “i gialli”, dal colore del loro turbante452. Non essendo riuscito a mettere fine a
queste scorribande con la forza, Bozizé, in accordo con Déby, ne aveva rimpatriata la maggior
parte pagando loro un quindicesimo di quanto pattuito all'inizio453. Di quelli che invece sono
rimasti in RCA alcuni sono entrati a far parte della GP o della guardia personale di Bozizé, ma
gli altri, non essendo stati nemmeno inseriti nel programma di disarmo e smobilitazione, ben
presto sono andati ad ingrossare le fila della ribellione che si stava nel frattempo profilando al
nord o il FUC di Mahamat Nour. Anche coloro che erano tornati in Ciad dopo poco erano
pronti per riprendere le armi poiché la ricompensa era stata ben misera rispetto alle loro
aspettative e nemmeno in patria erano ben accetti, dal momento che si temeva si rivoltassero
questa volta contro N'djamena454.
Ma cosa porta queste persone a riprendere continuamente le armi prestandosi alla difesa di
cause non loro? Sicuramente uno dei fattori è il fallimento dei processi di pace, spesso
incentrati più sui guadagni personali dei rappresentanti seduti al tavolo delle contrattazioni
che su strategie di pacificazione a lungo termine oppure minati dalla mancanza di coesione tra
i diversi movimenti ribelli. Quest'incapacità di presentarsi con posizioni condivise ha diverse
cause: la politica del “divide et impera” del governo, le rivalità tra leader e i dissidi tra
diverse componenti etniche o sociali all'interno dei gruppi. Vi sono sempre alcuni movimenti
che si rifiutano di partecipare o non riconoscono le decisioni prese dalla maggioranza,
rendendo così inutili tutti gli obiettivi raggiunti con gli altri. Le frange secessioniste, se in un
primo momento sembrano marginali, in poco tempo possono raccogliere maggior consenso e
divenire attori fondamentali del conflitto. È il caso del MLCJ, che nel 2006 era solo una delle
sigle riunite sotto l'ombrello dell'UFDR ed ora è una delle forze più importanti in campo, o di
Miskine su cui pende per di più la minaccia di un mandato d'arresto della CPI.
Inoltre, l'organizzazione di programmi di DDR e SSR non è sufficiente a risolvere il problema
del reinserimento dei ribelli. Quando sono mal gestiti gli arruolamenti vengono fatti su basi
politiche o etniche lasciando fuori degli elementi che facilmente torneranno a ribellarsi,
mentre la reintegrazione nella società civile fallisce per lo stigma di cui sono vittime gli ex
combattenti. Anche qualora siano portati a termine in maniera sufficientemente rigorosa, la
militanza nelle forze armate regolari è percepita solo come una fase transitoria e spesso non
incompatibile con altre attività come il banditismo455.
Una terza causa è la sopravvivenza di reti sociali di combattenti che possono essere
facilmente mobilitati qualora risorgano le cause che avevano portato al conflitto o assoldati da
potenze vicine456. Tra due guerre, infatti, molti ex ribelli si trasformano temporaneamente in
coupeurs de route o pastori nomadi, soprattutto se appartengono a ceppi familiari che vivono
lungo i confini457.
Purtroppo però, una delle ragioni di base della fluidità delle alleanze è il fatto che parecchi
lottino non tanto per motivi politici quanto per quelli economici458. Molti di essi, infatti, sono
giovani disoccupati in cerca di una rapida ascesa sociale e, in zone di povertà estrema e di
violenza diffusa come il Ciad, il Sudan e la RCA, la via delle armi diventa un'opzione come
un'altra per sopravvivere. Lo slittamento da una parte all'altra del conflitto si spiega allora con
la spirale del “chi offre di più” in cui questi gruppi di giovani si muovono più che con una
strategia politica a lungo termine per trarre un beneficio immediato dalla guerra. Inoltre,
l'impossibilità di tornare alle loro occupazioni precedenti e l'emarginazione da parte delle
comunità d'origine fa sì che l'esperienza delle armi sia il loro unico capitale utile.
Gli Stati, trovando abbondanza di “manodopera” a basso prezzo (poiché, spesso si tratta solo
di promesse di pagamento) preferiscono sfruttare quest'opportunità che usare truppe regolari
poiché risulta più economico e non impegna in una guerra aperta. Lo scopo, normalmente, è
solo quello di destabilizzare i vicini, non la conquista di territori459.
Dal punto di vista politico l'interconnessione delle tre crisi, se è evidente nel caso di Ciad e
Darfur, non lo è altrettanto per la RCA, che è un teatro secondario dei dissidi tra Déby e
Bashir. Il lavoro di Marielle Debos è invece molto utile per analizzare le dinamiche sociali
che accomunano l'intera regione e attraverso la porosità delle frontiere facilitano la diffusione
dell'instabilità.
I “conflitti regionalizzati”460 condividono inoltre delle caratteristiche che li
contraddistinguono da altri tipi di guerre, siano essi conflitti interstatali, guerre civili o di
455Ibid.456Ibid.457Ibid.458Giroux J., Lanz D., Sguaitamatti D., The Tormented Triangle..., op. cit.459Ibid.460Ibid.
134
resistenza.
In primo luogo gli attori in gioco sono sia statali sia non statali, ma sono questi ultimi a
rivestire maggiore importanza in entrambi gli schieramenti. Gruppi ribelli e milizie intessono
alleanze e ostilità attraverso le frontiere più di quanto non facciano le relazioni diplomatiche o
i servizi segreti. Queste guerre, poi, non sono confinate al territorio di uno Stato, ma si
estendono oltre le frontiere e nelle periferie senza riuscire quasi mai a raggiungere la capitale.
Le strategie sono invece prese in prestito in parte dalla guerriglia, in parte dalle tecniche di
repressione delle insurrezioni. I ribelli si nascondono tra la popolazione dei villaggi o nella
boscaglia, nelle grotte, compiono attacchi isolati che raramente permettono di conquistare
terreno. Inoltre, il rifornimento dei viveri e dei materiali bellici avviene sia sottraendoli al
nemico sia prelevandoli dalla popolazione. Le forze governative, invece, non essendo
abbastanza numerose per pattugliare tutto il territorio, cercano di distruggere l'appoggio dei
civili alla ribellione bruciando case e campi, abbandonandosi ad estorsioni, saccheggi ed
esecuzioni sommarie. Le guerre regionali sono quindi caratterizzate da eccessi di brutalità e
da massicce migrazioni di sfollati e rifugiati, come conseguenza di una violenza perpetrata
direttamente a danno dei civili461. Infine, nei conflitti regionalizzati le cause e gli incentivi di
natura economica spesso hanno un'importanza maggiore rispetto alle rivendicazioni
politiche462.
La guerra, però, non è solo una successione di crimini, è anche “un potente acceleratore di
trasformazione sociale”463. Oggigiorno i tre paesi condividono un altro grave problema, quello
umanitario. Il conflitto ha provocato importanti movimenti interni di persone in direzione
delle città o di un posto dove possano trovare sicurezza, ma anche masse di rifugiati accolti a
pochi chilometri dalle rispettive frontiere. A volte si è verificato anche un fenomeno di
“parassitismo” - come alcuni vogliono chiamarlo -, cioè la migrazione verso i centri di
accoglienza ed assistenza umanitaria di soggetti non direttamente coinvolti nel conflitto,
spinti più dalla fame e dal sottosviluppo che dalla paura464. Questi importanti movimenti di
persone non sembrano essere del tutto temporanei e potrebbero portare a cambiamenti
significativi nella distribuzione della popolazione e delle risorse, nonché costituire un futuro
problema tra Stati confinanti.
461Ibid.462Ibid.463Ibn-Oumar A., Fontrier M., Tubiana J., Weissman P., Magrin G., Les problèmes de la paix..., op. cit.464Ibid.
135
§ 2. La minaccia proveniente da Sud: da Bemba all'LRA
Il fiume Oubangui, oltre a dividere la RCA e la Repubblica Democratica del Congo (RDC), è
sempre stato un'importante via di comunicazione e arteria fondamentale del commercio. A
causa della scarsità di strade e ferrovie e della lontananza dal mare, infatti, le vie fluviali
costituiscono il solo modo di arrivare all'Oceano. Nel sud-ovest del paese le dimensioni e la
portata del fiume hanno costituito inoltre una barriera facilmente controllabile, soprattutto per
difendere la capitale Bangui, che sorge proprio sul confine. Al contrario, le prefetture orientali
sono molto più vulnerabili ad attacchi esterni, come dimostrato dalle incursioni dello SPLA
durante la seconda guerra civile sudanese e più recentemente dall'ingresso dei ribelli del
Lord's Resistance Army.
La prima volta che si è temuto che l'instabilità endemica congolese contagiasse anche la RCA
è stato alla vigilia dell'indipendenza, quando i giochi della Guerra Fredda hanno favorito
l'ascesa di David Dacko nonostante i suoi metodi poco democratici. Il paese è stato così
mantenuto nella sfera dell'occidente grazie all'ancora ingombrante presenza francese e al
subitaneo intervento occidentale per mettere fine alla crisi in Congo.
In due occasioni poi, nel 1997 e nel 1999, forze armate congolesi sono entrate in RCA per
trovarvi rifugio. La prima volta, in seguito al colpo di stato che aveva rovesciato il presidente
Mobutu Sese Seko, le sue truppe, comprese la polizia, la gendarmeria e la Guardia
Presidenziale, si sono ritirate oltre confine per scappare all'avanzata dell'Alliance des forces
démocratiques pour la libération du Congo-Zaïre di Laurent Désiré Kabila, che nel maggio
1997 avrebbe conquistato la capitale. Delle 30.000 unità dispiegate nel nord del Congo circa
4.500 hanno attraversato l'Oubangui in aprile da Gbadolite a Mobaye e qualche altro centinaio
sarebbe giunto da Zongo a Bangui il mese successivo. Il resto delle forze di Mobutu si sono
disperse in Congo-Brazzaville, Sudan e nelle province settentrionali congolesi. Due anni dopo
un esodo simile ha coinvolto le truppe di Kabila, spinte dal MLC (Movimento per la
Liberazione del Congo) di Jean Pierre Bemba e dall'Ugandan People’s Defence Forces
(UPDF). Secondo la missione di pace dell'ONU MINURCA sarebbero stati tra i 5.000 e i
6.000 i soldati di Kabila che hanno trovato rifugio in RCA465.
In seguito a questi due sconfinamenti sono entrate nel paese numerose armi, finite per la
maggior parte negli arsenali governativi, in mano ai soldati delle FACA che si erano ribellati a
465Berman Eric G., Lombard Louisa N., The Central African Republic and Small Arms, a Regional Tinderbox, Small Arms Survey, Graduate Institute of International and Development Studies, Ginevra 2008.
136
più riprese a partire dal '96 o sul mercato nero466.
Le relazioni tra i due paesi sono però saltate agli onori della cronaca quando Patassé si è
rivolto a Jean Pierre Bemba per essere aiutato a riportare la sicurezza nella capitale e ad
evitare nuovi colpi di stato nel 2001 e 2002.
Prima della presa del potere da parte di Laurent-Désiré Kabila nel '97, Bemba era un
imprenditore, ma, dopo un breve esilio di un anno, con il sostegno delle truppe ugandesi ha
fondato il MLC stabilendone la base a Gbadolite (nella provincia settentrionale
dell'Equateur). L'iniziale alleanza con altri gruppi armati antagonisti di Kabila nel 2001-2002
si è trasformata in un conflitto di cui ha pagato le conseguenze soprattutto la popolazione
della regione.
Bemba era inoltre un vecchio compagno d'affari di Patassé con il quale divideva i benefici del
traffico clandestino di diamanti, oro, legno, cacao e caffè provenienti dalla regione controllata
dal suo movimento. Questi beni attraversavano l'Oubangui, le cui rive erano in mano al MLC,
e transitavano per la capitale centrafricana, da cui ripartivano per i mercati esteri. Molti
diamanti provenivano da giacimenti in mano allo stesso Bemba, ma vi erano anche pietre
rinvenute in Niger o in Angola, da dove l'UNITA le inviava attraverso il Congo a Bangui per
il riciclaggio467. La tracciabilità dei minerali centrafricani è sempre stata difficoltosa e solo di
recente il governo sembra essersi impegnato a far rispettare i requisiti del processo di
Kimberley. Inoltre, a causa delle alte tasse di esportazione quasi la metà del commercio
avveniva in nero, non certo all'insaputa del governo. Con l'avvento di Bozizé ai ribelli
congolesi è venuta a mancare la base d'appoggio alle loro spalle, costringendoli a ridirigere i
loro commerci verso l'Uganda.
Il MLC e il suo presidente non sono attori secondari della scena congolese: dopo la firma di
un accordo di pace Bemba è stato nominato vice presidente del governo di transizione e nel
2006 ha partecipato alle elezioni presidenziali, venendo sconfitto al secondo turno da Joseph
Kabila, figlio di Laurent-Désiré, ucciso da una guardia del corpo nel 2001. Il sostegno dato a
Patassé – al di là della ricompensa promessa - aveva quindi l'obiettivo sia di garantire delle
retrovie sicure in un momento in cui le truppe del MLC erano impegnate in un conflitto con
altri attori non statuali sia di procurarsi un alleato politico, anche se, obiettivamente, di scarsa
importanza468.
466Ibid.467Dietrich Christian, Porous borders and diamonds, in Cilliers J., Dietrich C. (ed.), Angola's War Economy.
The Role of Oil and Diamonds, Institute for Security Studies, Pretoria, 2000, pp. 317-345 ( www.iss.org.za).468Corte Penale Internazionale, Mandato d'arresto per Jean-Pierre Bemba Gombo, N° ICC-01/05-01/08 23,
maggio 2008.
137
Patassé, invece, in seguito agli ammutinamenti del '96 delle FACA non aveva più fiducia nel
loro operato e ha affidato la sicurezza dello Stato a milizie private come quella di Miskine o
truppe straniere, in particolare i banyamulengues di Bemba e le forze armate libiche. La Libia,
infatti, dall'indipendenza delle colonie africane ha sempre avuto come obiettivo l'estensione
della propria influenza in Africa centrale. I principali scenari in cui la sua presenza ha cercato
di ritagliarsi uno spazio sono stati il Ciad e il Sudan, ma il colonnello Gheddafi non ha
disdegnato nemmeno la Repubblica Centrafricana.
Bemba è stato chiamato in RCA per la prima volta nel giugno 2001 a seguito del tentato colpo
di stato di Kolingba, ma dopo un mese i 700 uomini del MLC erano già tornati in Congo, non
senza essersi macchiati di numerosi omicidi ai danni dell'etnia Yakoma a cui apparteneva
Kolingba. Quando nell'ottobre 2002 i fedeli di Bozizé hanno lanciato l'attacco alla capitale,
Patassé ha fatto nuovamente appello all'aiuto di Bemba che ha fornito 2.000 banyamulengues,
molto probabilmente armati dalla Libia469.
Queste truppe si sono fermate più a lungo delle precedenti e hanno aiutato non solo a
respingere i ribelli dalla periferia di Bangui, ma anche a ricacciarli a nord verso il Ciad.
Durante questa controffensiva i banyamulengues, organizzati in piccoli gruppi, avrebbero
assassinato numerosi civili e proceduto sistematicamente a saccheggi, pestaggi e stupri di
gruppo e in pubblico con una violenza inaudita, seminando il terrore tra la popolazione470. Per
questi crimini Bemba è stato messo sotto inchiesta dalla CPI ed arrestato in Belgio471 il 24
maggio 2008 in seguito ad un mandato d'arresto internazionale emesso dalla stessa CPI del
giorno precedente. Il processo è ancora in corso e la prossima udienza si terrà il 30 agosto
2010.
L'intervento politico e militare in Centrafrica di attori stranieri, statuali e non, è dovuto
principalmente alla debolezza dei regimi, i quali poggiano spesso su un sostegno al di fuori
del paese. In tempi meno recenti questo sostegno era garantito dalla Francia, mentre ora è
divenuto sempre più a carattere regionale, importando così sistemi di alleanze preesistenti.
L'alleanza di Patassé con Bemba, per esempio, ha inevitabilmente portato Joseph Kabila a
sostenere la ribellione di Bozizé fornendogli le armi utilizzate per la conquista di Bangui il 15
469Berman Eric G., Lombard Louisa N., The Central African Republic and Small Arms..., op. cit.470Intervista a Sabrina Munao, op. cit. e FIDH, La FIDH et la situation en République centrafricaine devant la
Cour pénale internationale. L'Affaire Jean-Pierre Bemba Gombo, Rapport du Groupe d'action judiciaire (GAJ) de la FIDH, n° 502, luglio 2008.
471In seguito allo scoppio nel 2007 di un nuovo conflitto tra le truppe di Bemba e di Kabila figlio, contro il primo era stato emesso un mandato d'arresto per alto tradimento. Dall'ambasciata del Sudafrica dove aveva trovato rifugio Bemba è riuscito a fuggire in Portogallo con l'intenzione di raggiungere un'altra località rimasta sconosciuta passando per il Belgio.
138
marzo 2003.
Con l'emergere della nuova ribellione nel 2005 i timori di un'ingerenza congolese sono rinati,
tanto più che nel 2006 in RDC si sono tenute le elezioni, eccellente occasione per il ritorno in
scena di gruppi armati insoddisfatti del risultato delle urne. Tuttavia, l'unico tentativo di
riportare le truppe di Bemba in RCA di cui si è venuti a conoscenza è legato al cosiddetto
“affare Yabanda”: Damafouth avrebbe preso contatti con un ufficiale del MLC e gli avrebbe
chiesto di creare un gruppo di elementi armati pronto ad intervenire nella capitale, ma ciò non
si è mai realizzato. Uno degli intermediari addetti al pagamento sarebbe stato proprio
Yabanda, arrestato e costretto a confessare472.
Al di là di questi sospetti, durante i primi anni della ribellione non vi è stata un'ulteriore
infiltrazione di elementi congolesi nel paese né un aperto sostegno politico ad una delle parti.
Slegato dal conflitto in sé, ma sicuramente causato dalla situazione di generale insicurezza e
dalla scarsa attenzione delle forze armate centrafricane nel nord-est, è invece l'ingresso in
RCA dell'LRA (Lord's Resistance Army) nella primavera del 2008 nei pressi di Obo.
L'LRA è un movimento nato in Uganda nel 1987 con lo scopo di rovesciare il regime di
Museveni ed istituire uno Stato teocratico basato sui dieci comandamenti. I suoi aderenti agli
esordi della lotta dichiaravano di combattere per Dio e a volte si richiamavano al
nazionalismo Acholi, popolazione dell'Uganda settentrionale a cui appartiene il loro leader
Joseph Kony e che si ritiene trascurata dalle autorità centrali ugandesi. Ma dietro queste
ombre di nazionalismo e cristianesimo si nasconde solo una brutalità autoreferenziale.
Inizialmente il movimento di Kony ha goduto dell'appoggio della popolazione Acholi, andato
poi erodendosi col crescere di violenze, saccheggi, rapimenti ed uccisioni nel territorio di ben
quattro Stati473.
Negli anni '80 il governo di Khartoum, come rappresaglia nei confronti di Kampala che si era
schierata a fianco dello SPLA, ha iniziato ad appoggiare il movimento fino alla firma nel '99
di un reciproco impegno a non supportare gruppi ribelli nei rispettivi territori. Dal 2000 il
governo centrale del Sudan ha ridotto le proprie relazioni con l'LRA, per interromperle
definitivamente nel 2005, ma vi sono timori che tornino a verificarsi le premesse per una
ripresa474. Anche in questo caso possiamo vedere, come sopra descritto per il triangolo Ciad,
RCA e Sudan, una tendenza a servirsi di gruppi ribelli per indebolire indirettamente il
governo di un paese vicino o per esercitare pressioni su di esso.
472FIDH, République centrafricaine. Oubliées, stigmatisées..., op. cit., p. 60.473Human Rights Watch, The Christmas Massacre. LRA attacks on Civilians in Northern Congo, febbraio 2009.474International Crises Group, République centrafricaine: anatomie..., op. cit.
139
Con l'obiettivo di eliminare il movimento, in Uganda sono state condotte diverse campagne
militari nel 1988, 1991 e dal 1994 al 1996, ma ogni volta il gruppo è riuscito a riformarsi
estendendo il suo campo d'azione anche al Sudan meridionale. Nel 2002 è stata lanciata da
Kampala e Khartoum un'operazione congiunta chiamata “Operation Iron Fist” per distruggere
i santuari del gruppo, ma senza successo. È solo nel 2006 che le truppe ugandesi sono riuscite
a sconfiggerli costringendoli alla fuga verso il Sudan e la RDC, dove hanno scatenato la loro
vendetta sulla popolazione. Quasi sempre, infatti, l'LRA preferisce compiere rappresaglie sui
civili piuttosto che attaccare reparti o postazioni militari regolari475.
I primi insediamenti in Congo risalgono al 2005, quando uno dei luogotenenti di Kony,
Vincent Otti, e una sessantina di uomini hanno attraversato i confini ugandesi per stabilire un
campo-base nel Garamba National Park. Qui, nel giro di un paio di anni, si è riunito l'intero
gruppo, dopo che il Sud Sudan, una volta ottenuta la pace con Khatoum, ha concordato con i
dirigenti dell'LRA una tregua e la fuoriuscita del gruppo dal territorio sudanese.
Nel 2006 Kony, spinto da Otti, aveva fatto sapere di esser disponibile a discutere i termini per
un accordo di pace, ma il negoziato, mediato dallo SPLM e tenutosi a Juba, capitale del Sud
Sudan, è andato per le lunghe a causa delle sue continue richieste e ripetute assenze. Il punto
su cui si sono arenate le parti è stato il mandato d'arresto internazionale richiesto da Museveni
ed emesso dalla Corte Penale Internazionale nel 2005 nei confronti di cinque leader del
movimento. Per tentare di superare l'impasse il governo di Kampala aveva chiesto di poter
ritirare le denunce, ma, essendo i primi mandati emessi dalla nascita della corte, un'azione
simile avrebbe screditato l'organo a pochi anni dall'inizio della sua attività. Anche la
popolazione Acholi era contraria alla giustizia internazionale, poiché non prevedeva una
compensazione del danno subito né l'ammissione della colpa e la richiesta del perdono. I capi
tribali si sono quindi recati all'Aja per rinnovare a Moreno Ocampo la richiesta di un ritiro del
mandato, ma senza risultati. L'unica soluzione possibile era dunque la richiesta al Consiglio di
Sicurezza di interrompere temporaneamente la procedura, ma al leader dell'LRA non bastava.
Il giorno concordato per la firma del trattato di pace, quindi, Kony non si è presentato,
rimanendo in territorio congolese. Questo è uno dei casi in cui i principi della giustizia
internazionale confliggono con le esigenze della pace, ostacolando di fatto un negoziato. In
alcuni casi, poi, si è ricorso alla CPI per escludere dal gioco politico i propri oppositori, come
nel caso di Kabila contro Bemba e di Museveni nei confronti di Kony. Dei cinque dei
dirigenti dell'LRA deferiti alla CPI da Museveni, Vincent Otti e Raska Lukwiya sono morti,
475Human Rights Watch, The Christmas Massacre..., op. cit.
140
mentre Joseph Kony, Okot Odhiambo e Dominic Ongwen476 sono ancora in libertà e hanno
continuato a perpetrare crimini ai danni della popolazione di RCA, Sud Sudan e RDC,
vanificando gli sforzi della CPI.
Nel frattempo l'Uganda, il Congo e la comunità internazionale avevano fornito viveri ed altri
beni per sostenere il processo di pace, collaborando al rafforzamento del movimento. Kony
aveva infatti sfruttato quei due anni per mettere insieme nuovi mezzi di sostentamento per i
suoi uomini: erano stati creati campi e i recenti “reclutamenti” avevano reso disponibili la
“manodopera”, perlopiù minorile, necessaria all'agricoltura, al trasporto e ai bisogni carnali477.
La maggior parte di queste persone sono state prelevate lontano dalla base congolese, in Sud
Sudan - dove hanno ripreso gli attacchi nonostante la tregua firmata qualche anno prima - e in
RCA. Obiettivi dei ribelli sono uomini e donne sui 25 anni o più giovani per portare le merci
rubate nei villaggi fino agli accampamenti, fungere da lavoratori o essere destinati ad
imbracciare le armi dopo un breve addestramento. Alle donne si aggiunge il destino di esser
trasformate in schiave del sesso o, comunque, di subire ripetuti abusi e violenze478. L'LRA
conta tra le sue fila anche numerosi bambini. Questi, preferibilmente sotto i 15 anni, vengono
solitamente prelevati dalle case o dalle scuole e legati tutti in fila con un'unica corda fissata
alla vita per permettere loro di portare il bottino dei saccheggi. Una volta giunti al campo
vengono addestrati o destinati anch'essi come gli adulti ai lavori più svariati, mentre le
bambine diventano “mogli” dei combattenti e cuoche479. Di solito i minori vengono separati
dagli altri e mantenuti vicino ai capi perché apprendano in fretta l'Acholi e ad obbedire agli
ordini. Per insegnar loro ad uccidere spesso li costringono a picchiare a morte con dei bastoni
gli adulti o gli altri bambini che non obbediscono o tentano di scappare480. Molti degli attuali
combattenti sono “ex” bambini-soldato che ora riversano la violenza appresa durante
l'infanzia sulle stesse comunità da cui provengono. Per alcuni di loro, scappati o catturati, è
molto difficile la reintegrazione nella società, perché il movimento per loro è stato da più o
meno anni l'unica casa o comunità a cui fare riferimento.
I rapimenti e le uccisioni sono tutte strategie decise dall'alto per rimpinguare continuamente i
ranghi dell'Esercito di resistenza del Signore. Questi attacchi in RCA e Sudan inizialmente
sono stati minimizzati o celati, indicando che erano stati compiuti da ribelli in parziale tuta
476Ongwen, che era stato dato per morto, pare che sia ancora vivo, mentre le voci che indicavano che Odhiambo volesse arrendersi sono state smentite. Risulta difatti molto difficile avere notizie univoche sull'LRA.
477Ibid.478Ibid.479Ibid.480Human Rights Watch, “CAR/DR Congo: LRA Conducts Massive Abduction Campaign. New Regional
Strategy Needed to Protect Civilians and Rescue Children”, 11 agosto 2010 (www.hrw.org).
141
mimetica probabilmente ugandesi, ma non accennando mai all'LRA per non compromettere il
processo di pace. I donatori hanno invece interrotto la fornitura di viveri per qualche mese,
per poi riprenderla con il superamento di uno stallo nelle negoziazioni481.
Inizialmente, per non mettere a rischio la finta tregua i ribelli erano restii ad intraprendere
simili azioni anche in RDC, ma con lo scadere dell'ultimatum per la firma del trattato di pace
il 30 novembre 2008 e l'improvviso attacco aereo del campo-base nel Garamba National Park,
non vi è stato più alcun freno alla loro brutalità. Insospettiti infatti dai ripetuti fallimenti del
processo di pace, Sud Sudan, Uganda e Congo col sostegno logistico e dell'intelligence degli
Stati Uniti avevano preparato un'operazione congiunta chiamata “Lightning Thunder” che è
stata lanciata ai primi di dicembre. Kony è tuttavia riuscito a scappare dall'attacco aereo e
molti dei suoi uomini si sono dispersi per la foresta, rendendone più difficile il
rintracciamento da parte dei militari, giunti per altro con 72 ore di ritardo. In mancanza di un
piano di riserva da parte dell'esercito e di forze sul posto a tutela dei civili (10 giorni dopo
l'attacco, infatti, i militari se n'erano andati), i ribelli hanno potuto compiere indisturbati
cruente rappresaglie sulla popolazione. Il caso più grave è il cosiddetto “massacro di Natale”,
che per crudezza e brutalità non ha eguali: i ribelli hanno scelto questa data per sorprendere la
popolazione ammassata nei villaggi di Doruma, Faradje, Duru e fare una carneficina a colpi
di machete, con bastoni o sbattendo i crani delle vittime l'uno contro l'altro, mentre le donne
venivano violentate e alcuni uomini costretti a cantare. La brutalità di questi attacchi è stata
esacerbata dalla fame e dalle condizioni in cui i ribelli hanno vissuto dopo la distruzione della
loro base nel Garamba National Park. Nemmeno la forza di peacekeeping delle Nazioni Unite
in Congo, la MONUC, è riuscita far qualcosa a causa della scarsità di effettivi nella zona
(circa 300). Malgrado l'estensione del mandato l'anno seguente e un aumento delle forze
disponibili, la priorità della MONUC è rimasta ancora la regione del Kivu, lasciando
sguarnito l'Haut-Uelé e mano libera all'LRA482. Questa prima ondata di massacri ha portato
nel giro di due mesi a più di 1.000 morti e quasi 500 rapimenti di bambini, vittime più facili
da rieducare al gioco delle armi e della morte.
Dal marzo del 2009 le truppe ugandesi si sono ufficialmente ritirate dal Congo e sia Museveni
sia Kabila hanno dichiarato inizialmente che l'LRA era stato respinto al di fuori dei territori
congolese e ugandese. In realtà le forze armate di Kampala hanno continuato ad operare in
Congo, Sud Sudan e RCA (dove si sono istallati a Obo e Djema) utilizzando basi più piccole e
meno vistose, per non dover ammettere all'elettorato la sconfitta. I sopravvissuti
481Ibid.482Ibid.
142
all'operazione “Lightning Thunder”, infatti, si sono dispersi in piccoli gruppi nel nord del
Congo, in Sud Sudan e in RCA, dove hanno continuato a compiere attacchi nei villaggi483. A
riprova della sopravvivenza dell'LRA nell'Haut Uelé, dal 14 al 17 dicembre 2009 è stato
compiuto nella zona di Makombo uno dei peggiori massacri della storia del movimento, che
ha portato all'uccisione di 321 civili e al rapimento di altri 250, di cui almeno 80 bambini484.
Fingendosi soldati congolesi o ugandesi i ribelli hanno riunito interi villaggi rassicurando gli
abitanti, si sono fatti indicare le scuole, i centri sanitari e altri luoghi dove potessero trovare
nuovi rifornimenti per ricostruire i loro campi, avendo dovuto abbandonare tutto dopo
l'attacco al Garamba National Park. Una volta ottenuto ciò che volevano hanno svelato la loro
vera identità legando i prigionieri in lunghe file, uccidendo qualcuno sul posto e
trascinandone altri nella boscaglia per appenderli agli alberi e finirli a colpi di machete o con
asce485.
Nonostante le dichiarazioni altisonanti dei presidenti Museveni e Kabila gli attacchi
continuano concentrati soprattutto tra l'Haut Uelé congolese e l'Haut-Mbomou centrafricano.
Nel sud-est della RCA l'LRA ha iniziato operazioni su larga scala dal luglio 2009 e da allora
HRW stima che siano state rapite circa 300 persone, tra cui vari bambini. Le prime incursioni
sono avvenute nei villaggi intorno alla cittadina di Obo, poi, in seguito ad alcune operazioni
dell'esercito ugandese, i ribelli si sono spostati lungo due direttrici: la prima segue il confine
congolese verso ovest in direzione di Rafai, Guérékindo, Gouyanga, Kitessa e Mboki, mentre
la seconda punta a nord verso Djema, Baroua, and Derbissaka486. In seguito a questi attacchi
decine di migliaia di persone hanno abbandonato le loro case cercando rifugio presso le città,
mentre il governo di Bangui metteva a disposizione 200 uomini per assicurare un minimo di
protezione, assistiti dalle forze ugandesi487. Parecchi rifugiati congolesi, inoltre, hanno
attraversato la frontiera centrafricana andando ad aggravare la situazione umanitaria nel sud-
est del paese.
I ribelli sembra utilizzino per ora degli accampamenti mobili servendosi delle persone rapite
per trasportare i loro possedimenti da un posto all'altro, mentre Kony ed altri dirigenti si
muoverebbero lungo il confine sudano-centrafricano, comunicando tra loro attraverso delle
staffette e riunendosi in luoghi concordati.
Le operazioni dell'LRA in RCA sarebbero dirette dal generale Okot Odhiambo, il secondo
483Human Rights Watch, Trail of Death. LRA Atrocities in Northeastern Congo, marzo 2010, p. 16.484Ivi, p. 18.485Ibid.486Human Rights Watch, “CAR/DR Congo: LRA Conducts Massive Abduction Campaign...”, op. cit.487Ibid.
143
membro più importante del movimento dopo la morte di Otti, mentre alcuni gruppi più ridotti
sarebbero alle dirette dipendenze di Kony. Secondo HRW anche le zone attorno a Yalinga e
Bria nell'Haut-Kotto sarebbero state attaccate da elementi dell'LRA agli ordini del generale
Caesar Acelam488.
Nel maggio 2010 il Presidente Obama ha firmato una legge che impegna gli USA ad
elaborare una strategia per mettere fine alle atrocità commesse dall'LRA489. Tuttavia, i fatti
dimostrano che è necessaria un'operazione massiccia, dotata di mezzi adeguati (come velivoli
silenziosi per identificare i campi dall'alto), ben coordinata e che possa agire sul territorio di
più Stati contemporaneamente, per evitare che i ribelli trovino nuovamente rifugio in una
zona poco controllata a cavallo di queste tre frontiere turbolente. A medio-lungo termine, poi,
serve un rafforzamento degli eserciti di tutti i paesi coinvolti nella piaga dell'LRA perché
possano essere in grado di pattugliare la regione e difendere (senza abbandonarsi ai medesimi
crimini) la popolazione in maniera coordinata, superando le alleanze e gli opportunismi
politici.
Oltre alle migliaia di rifugiati spinti dall'LRA nella prefettura dell'Haut-Mbomou, la RCA
deve far fronte alle circa 30.000 persone che attualmente vivono in campi allestiti
dall'UNHCR nella regione della Lobaye. Si tratta di cittadini della RDC di etnia Boba fuggiti
nel novembre del 2009 a seguito di una nuova escalation di violenza nella provincia
dell'Equateur, già sconvolta dai combattimenti tra il MLC di Bemba e il governo Kabila.
All'origine del nuovo conflitto vi sarebbe uno scontro sui diritti di pesca in alcuni bacini tra
elementi delle comunità Boba e Lobala490. Il centro delle violenze è stata la cittadina di
Dongo, temporaneamente occupata da alcuni Lobala fino all'arrivo delle forze armate
congolesi. Gli abitanti di Dongo e dei villaggi vicini, memori di quanto successo durante la
guerra civile tra 1996 e 2003, non hanno atteso una recrudescenza del conflitto e, senza
nemmeno darsi il tempo di prendere lo stretto necessario, si sono diretti verso le rive
dell'Oubangui491. La maggior parte ha trovato rifugio nella Repubblica del Congo, ma un
numero non indifferente ha raggiunto la Lobaye dove nel solo campo di Mogoumba sono
state registrate circa 17-18 mila presenze, che dal 16 agosto verranno riallocate a Batalimo492.
488Ibid.489Ibid.490IRIN, “DRC: fish war prompts thousands to flee”, 5 novembre 2009 (www.irinnews.org).491UNHCR, Central African Republic Protection and assistance for new influx of refugees from the Democratic
Republic of the Congo, Donor Relations and Resource Mobilization Service, marzo 2010 (http://www.unhcr.org).
492Centrafrique-presse, “Congo-Kinshasa: Rélocalisation des 18.000 réfugiés congolais établis à la RCA”, 19 agosto 2010 (http://centrafrique-presse.over-blog.com)
144
Nonostante il governo di Kinshasa abbia ripetutamente dichiarato che nella regione è tornata
la pace, invitando quindi i cittadini congolesi rifugiati all'estero a tornare alle loro case,
nessuno ha fretta di fare ritorno per timore di una ripresa delle violenze493.
L'instabilità nella vicina Repubblica Democratica del Congo non aiuta di certo la RCA a
risollevarsi né dalla propria situazione di insicurezza né dalla povertà in cui versa la sua
popolazione. Se l'attenzione statunitense al problema dell'LRA ha mobilitato fondi e nel
futuro potrebbe mettere nuovamente a disposizione il proprio sostegno ad un'operazione
armata nella regione, non bisogna dimenticare l'errore già fatto con la MONUC. Concentrarsi
infatti su un singolo conflitto in quel grande bacino di instabilità che è la RDC significa
lasciar spazio ad altri focolai di violenza di alimentarsi alle spalle della popolazione. Per far
fronte ad un problema tanto vasto non bastano le operazioni di pace né l'intervento armato;
occorre ristabilire l'autorità e il controllo effettivo da parte dell'apparato statale ricostruendo il
rapporto tra i cittadini e lo Stato perché questo torni ad essere uno strumento nelle mani della
gente e non un bottino da saccheggiare.
Nel presente capitolo abbiamo analizzato i rapporti della RCA con i paesi suoi confinanti. Le
instabilità e le tensioni che li caratterizzano hanno serie implicazioni sugli equilibri interni ed
esterni del paese e ciò è dovuto, come ricordato, alla sostanziale artificiosità dei confini
geografici ed amministrativi della regione (artificiosità di cui gli scontri militari, la fluidità
delle alleanze e le rivalità trasversali sono la prova più evidente).
Per ciò che concerne le principali problematiche confinarie della RCA, abbiamo quindi
ricordato la difficile convivenza con il Sudan e il Ciad, una situazione che è stata chiamata, in
ragione della sua tragica complessità, il “triangolo tormentato”. Qui, in assenza di frontiere
definite e a fronte della mancanza di un effettivo controllo statale, sono numerose le
interferenze militari reciproche, soprattutto attraverso il sostegno dato ad organizzazioni
paramilitari, come pure sono numerosi i traffici e i focolai di tensione che sicuramente non
contribuiscono a donare stabilità all'area. Proprio in ragione della profonda interconnessione
tra le crisi di confine all'interno del triangolo, pare più opportuno vedere queste ultime come
le manifestazioni di un più grande sistema di conflitto, nel quale ogni singolo scontro è parte
di un insieme di rivolgimenti militari profondamente connessi: basta pensare alla recente crisi
493IRIN, “DRC-Central African Republic: Refugees not ready to return”, 15 gennaio 2010 (www.irinnews.org).
145
del Darfur per accorgersi di come le problematiche dell'area vadano pensate unitariamente,
fatto che implica la constatazione che qualsiasi soluzione non potrà mai essere parziale, ma –
per essere definitiva – dovrà riguardare la regione nel suo insieme.
Altra situazione degna di nota è quella che interessa la Repubblica Democratica del Congo, le
cui instabilità si ripercuotono direttamente sulla Repubblica Centrafricana. Due problematiche
legate a questi equilibri sono quelle dei profughi stanziatisi nella RCA e dell'organizzazione
paramilitare che va sotto il nome di LRA.
Si noti che, in base a quanto detto, non esistono tante diverse “crisi”, bensì un unico scenario,
un mosaico i cui pezzi sono strettamente interrelati. Non si può pensare di mettere fine a un
conflitto in questa regione senza, contemporaneamente, agire sulla situazione generale che ne
è la matrice.
Una tale azione è, del resto, di fondamentale importanza. La RCA si trova in una posizione
strategica tra l'Africa dei Grandi Laghi e il Sahel, ma, invece di goderne i benefici in termini
commerciali o culturali, assorbe parte dell'instabilità dei vicini aggiungendola ai propri
conflitti endogeni. La sfida quindi sarà duplice sia per il Governo che seguirà alle elezioni del
2011 sia per la comunità internazionale: è necessaria una visione d'insieme che abbia un
occhio di riguardo tanto al macrosistema regionale quanto alle dinamiche sociali che lo
sottendono. È infatti su tensioni preesistenti all'interno di comunità non omogenee che lavora
chi vuole sollevare un conflitto ed è quindi importante saperle individuare per dar loro una
soluzione prima che giungano allo sfogo finale. Allo stesso tempo non si può dimenticare
come soluzioni ritagliate in fretta per avere un ampio ritorno d'immagine al minor costo
possibile non facciano altro che posticipare la rinascita del problema o, allontanandolo dal
teatro attuale, spingerlo poco più distante.
146
CONCLUSIONI
Fin dall'epoca precoloniale la Repubblica Centrafricana è stata una zona di passaggio, di
movimenti di popolazioni, di commerci e depredazione. Nonostante la ricchezza del territorio,
le razzie di schiavi e le malattie ne hanno decimato la popolazione e non hanno permesso la
formazione di entità statali di qualche rilevanza. L'arrivo degli europei alla fine dell'800 non
ha migliorato la situazione, ma ha portato ulteriore sfruttamento della manodopera e
dell'ambiente, lasciando un segno indelebile nel paese. Essendo il cul-de-sac dell'impero
coloniale francese, lontano dalle coste e dai grandi commerci, le possibilità di uno
sfruttamento economico vantaggioso erano ridotte e ben presto la madrepatria ha infatti
abbandonato la colonia nelle mani di avventori e compagnie concessionarie senza scrupoli.
Questo non ha fatto che aggravare i problemi demografici e di povertà di cui soffriva il paese,
dando luogo a diverse rivolte, sempre represse nel sangue.
La Seconda Guerra Mondiale anche in Centrafrica, come nel resto delle colonie, ha avviato
un processo di graduale emancipazione guidato da Berthélemy Boganda, sacerdote e politico,
panafricanista convinto e gran visionario. La sua morte, probabilmente non accidentale, ha
lasciato al paese un'indipendenza mutilata. Col sostegno dell'ex potenza coloniale, infatti, si
sono susseguiti una serie di regimi assolutistici che hanno governato la RCA all'insegna del
patrimonialismo e del clientelismo. Il più celebre è stato senz'altro la presidenza (e poi
impero) di Jean Bédel Bokassa. Divenuto ormai scomodo per la Francia, questi è stato
rovesciato con l'operazione “Barracuda” che ha rimesso al potere il presidente precedente,
David Dacko. Il monopartitismo è stato abbandonato solo negli anni '90, quando l'allora capo
di stato André Kolingba, leader del regime militare succeduto a Dacko, sotto la pressione
della comunità internazionale ha avviato un graduale processo di democratizzazione ed
apertura politica.
Le prime elezioni libere dopo anni hanno portato nel '93 alla vittoria di Ange Felix Patassé,
ma il paese è ripiombato nei problemi di sempre. Il saccheggio delle casse statali effettuato
dai regimi precedenti e le malversazioni del nuovo governo hanno infatti portato ad un
malcontento diffuso tra diversi strati sociali della capitale, ma comune soprattutto all'esercito
e agli impiegati pubblici. Le rivolte scoppiate nel 1996 sono state sedate solo grazie
147
all'intervento delle truppe libiche e della milizia di un ribelle congolese, Jean-Pierre Bemba,
che si è lasciata dietro una scia di inaudite violenze. Il sostegno al regime è continuato a
calare e un tentato colpo di stato nel 2001, attribuito a Kolingba, ha sfaldato l'entourage di
Patassé, ormai divenuto sospettoso di tutto e di tutti. L'incriminazione del Capo di Stato
Maggiore delle forze armate François Bozizé per aver collaborato alla progettazione del golpe
sarà poi alla base della rovina di Patassé, che verrà destituito il 15 marzo 2003. Rifugiatosi in
Ciad per sfuggire alle persecuzioni, Bozizé ha infatti conquistato il potere in tale data
servendosi dell'appoggio delle truppe fornitegli dal presidente ciadiano Idriss Déby e dei
militari centrafricani rimastigli fedeli.
Nonostante le promesse fatte alla popolazione all'indomani del colpo di stato e la
legittimazione datagli dalle elezioni del 2005 che l'hanno confermato alla presidenza, il suo
regime non si è distinto dal precedente in quanto a gestione clientelare e patrimonialistica
della cosa pubblica. A questo si sono aggiunte le discriminazioni, iniziate con Kolingba, che
hanno causato l'etnicizzazione delle forze armate e, soprattutto, dell'arma direttamente alle
dipendenze della presidenza, la Guardia Presidenziale.
Le prime ribellioni sono nate nel nord-ovest nel 2005, prendendo come bersagli i simboli del
potere statale e dell'esercito. L'anno successivo la rivolta è scoppiata anche nel nord-est,
questa volta con l'ingerenza del vicino Sudan. I principali movimenti attivi tra 2005 e 2008
sono stati l'APRD (Armée populaire pour la restauration de la République et la démocratie) e
l'UFDR (Union des forces démocratique pour le rassemblement), delle sigle all'interno delle
quali agivano vari gruppi con le rivendicazioni più diverse. Generalmente queste facevano
leva sulla trascuratezza delle regioni del nord da parte della capitale, ma le reali radici
dell'insoddisfazione risiedevano nell'esclusione dal potere o in una mancata ricompensa. La
maggior parte dei combattenti è infatti formata da sostenitori di Patassé espulsi dall'esercito o
dall'amministrazione in seguito al cambio di regime e da “ex liberatori”, ossia quei mercenari
che hanno sostenuto il colpo di stato del 15 marzo 2003 e son stati poi allontanati da Bozizé.
La repressione di tali ribellioni ha dato origine nel nord a violenze e crimini nei confronti
della popolazione civile da parte sia delle forze di sicurezza sia dei movimenti armati, che
hanno spinto molti a fuggire dai villaggi per trovare rifugio nella foresta o nei campi profughi
al confine col Ciad e il Camerun.
Nel 2007 i primi accordi di pace e un'amnistia generale hanno aperto la strada ad un Dialogo
Politico Inclusivo che nel dicembre 2008 ha riunito intorno allo stesso tavolo rappresentanti
del governo, dell'opposizione, dei ribelli e della società civile. Il Dialogo ha prodotto una serie
148
di raccomandazioni la cui implementazione, supportata e monitorata dalla comunità
internazionale, procede ancora a rilento. I punti focali delle riforme sono la costituzione di un
governo che raccolga il consenso di tutti, nell'attesa di organizzare una nuova tornata
elettorale, la riforma delle forze di sicurezza e il programma di disarmo, smobilitazione e
reinserimento dei ribelli nella società. I principali ostacoli al pieno soddisfacimento degli
obiettivi sono rappresentati, oltre dalla generale indisponibilità della presidenza e del governo,
dalla mancanza di fondi e dal persistere dell'instabilità nel nord. Alcuni gruppi ribelli non
avevano infatti firmato il 21 giugno 2008 l'Accordo globale di Libreville, mentre i ritardi nella
realizzazione del programma di disarmo hanno reso insofferenti alcune frange di quelli che vi
avevano aderito, dando luogo a scissioni e diserzioni. A questo si aggiunga che nel nord-est
erano scoppiate delle conflittualità etniche in seno all'UFDR, mentre nel sud-est l'ingresso nel
2008 del Lord's Resistance Army (LRA) aveva seminato il panico tra i civili e costretto a
nuovi esodi di massa. Parallelamente l'organizzazione delle elezioni è stata continuamente
posticipata a tal punto che si è reso necessario prolungare il mandato presidenziale e
dell'Assemblea oltre la scadenza naturale dell'11 giugno 2010. Al momento la data per le
presidenziali è stata fissata al 23 gennaio 2011, ma già si profila la possibilità di brogli e
manipolazioni. Principali candidati in lizza sono Bozizé, il presidente uscente e favorito,
Patassé, tornato dall'esilio, Jean-Jacques Demafoth, rappresentante dei ribelli, e Martin
Ziguelé, capo del MPLC, il più importante partito d'opposizione.
La crisi centrafricana è stata lasciata in secondo piano dalla comunità internazionale, che ha
cominciato ad interessarsene solo quando si è profilato il rischio di un'estensione oltre
frontiera del ben più conosciuto conflitto del Darfur, nel Sudan occidentale. Nonostante dal
2006 siano aumentati i finanziamenti e la presenza di organizzazioni umanitarie sul territorio,
questi non sono minimamente sufficienti a ridare una speranza al paese. Allo stesso tempo
l'impegno militare dell'ex potenza coloniale è stato ridotto e poi ritirato alla fine degli anni
'90, con l'obiettivo di contenere le spese e scagionarsi dall'accusa di neocolonialismo. La
politica estera francese, ancora legata da forti interessi economici ai paesi africani, ha cercato
di spingere perché la responsabilità della sicurezza nel continente venisse allargata su scala
europea o a livello dell'ONU. È grazie infatti all'opera di persuasione della diplomazia
parigina che le missioni dell'Unione europea (l'Eufor Ciad/RCA) e ONU (la MINURCAT)
sono state dispiegate in Ciad e nel nord-est della Repubblica Centrafricana. Accanto ad esse
hanno operato in momenti successivi, ma sempre confinate nel nord-ovest, due forze di pace
regionali, la FOMUC, emanazione della CEMAC (Comunità economica e monetaria
149
dell'Africa centrale), e la MICOPAX, braccio armato della CEEAC (Comunità economica
degli Stati dell'Africa centrale). Quest'ultima è l'unica operazione il cui mandato copre anche
il 2011 e che quindi potrà garantire la sicurezza durante le elezioni.
Un aspetto di questa crisi che viene spesso trascurato è la sua interconnessione con
l'instabilità che pervade gli Stati vicini e, in particolare, il Ciad e il Sudan. L'artificiosità dei
confini adottati dopo l'indipendenza non ha infatti tenuto conto della complessità etnica e
religiosa del territorio. Alcuni gruppi etnici si sono quindi trovati a vivere a cavallo di
frontiere che nessuno rispetta e che gli Stati non riescono a controllare. Le zone periferiche si
sentono inoltre più legate economicamente e socialmente alle regioni confinanti che alla
propria capitale, scatenando quei conflitti centro-periferia di cui il Darfur e la crisi
centrafricana sono fulgidi esempi. Non bisogna tuttavia ritenere che queste siano una la
conseguenza dell'altra, come invece ha cercato di far credere il governo centrafricano per
attirare nel paese il sostegno della comunità internazionale. Piuttosto, l'instabilità in Ciad,
RCA e Sudan ha delle dinamiche comuni, come la presenza di combattenti dalla “lealtà
fluida”494, che hanno spinto alcuni autori a preferire la definizione di “sistema di conflitto”495,
anziché identificarli come tre guerre distinte.
A ben vedere anche il confine tra RCA e RDC ha spesso dato luogo ad infiltrazioni e
sconfinamenti che hanno reso contagiosa l'instabilità dei due paesi. La riva destra
dell'Oubangui è infatti stata usata più volte dalle forze antigovernative congolesi come
retrovia o porto franco per le attività commerciali illegali necessarie al finanziamento della
ribellione. Il caso più grave e recente è costituito dalla penetrazione dell'LRA nella prefettura
centrafricana dell'Haut-Mbomou.
Da una tale analisi risulta evidente come qualsiasi tentativo di ricercare una soluzione alla
crisi centrafricana non possa prescindere da un approccio regionale, sebbene questo risulti
senz'altro più complesso e di difficile implementazione.
Nonostante si sia giunti a definire i primi passi di un processo di pace, sono ancora molti i
problemi che attanagliano il paese.
Innanzitutto alcune zone del nord-est e del sud-est sono ancora insicure, mentre su tutto il
territorio la criminalità e il banditismo stentano ad essere affrontati dalle forze dell'ordine. È
necessario quindi che il dialogo venga esteso anche a quegli attori che attualmente non sono
coinvolti, come i movimenti ancora attivi nel nord-est e il FDPC di Abdoulaye Miskine. In
caso contrario nemmeno gli attuali aderenti al programma di disarmo saranno disposti ad
494Debos Marielle, Fluid Loyalties..., op. cit.495Giroux J., Lanz D., Sguaitamatti D., The Tormented Triangle..., op. cit.
150
abbandonare le armi, mantenendo il paese in una condizione di instabilità permanente e
chiudendo le porte ad ogni passo successivo in vista di un miglioramento della situazione
economica. Sia nell'organizzazione di una strategia per affrontare l'LRA sia per portare a
termine i programmi di disarmo e reinserimento è importante la cooperazione con gli Stati
vicini, affinché si riesca ad ottenere un risultato durevole anche nel tempo. Avendo infatti
evidenziato come le armi e i combattenti si riciclino da un conflitto all'altro, spesso
strumentalizzati dai governi, è fondamentale offrire degli incentivi e creare dei legami che
rendano la scelta delle armi sconveniente e svantaggiosa. Non ci si deve però accontentare di
una soluzione rapida come può essere quella dell'inserimento nelle forze armate o
nell'amministrazione, poiché al primo cambiamento di governo, viste le dinamiche comuni a
molti Stati africani, è probabile che gli incentivi vengano meno e si ricreino i presupposti per
una nuova rivolta. Sicuramente parte della soluzione è costituita da uno sviluppo economico
che offra opportunità diverse dalla lotta armata e traguardi raggiungibili. Non si può tuttavia
ritenere che sia sufficiente “dare”: le sole concessioni rischiano infatti di legittimare la scelta
delle armi come il solo metodo per ottenere che sia data risposta alle proprie richieste, come è
stato finora.
Indissolubilmente legata al problema dell'insicurezza è la seconda questione, a cui ancora non
si è trovata soluzione né in RCA né nei paesi vicini: l'emergenza umanitaria. Centinaia di
migliaia di sfollati e di rifugiati vivono ancora in condizioni non solo di indigenza, ma di serio
pericolo per la loro vita e la loro salute. Nel breve termine è urgente che essi non vengano
abbandonati e che si trovi un modus vivendi con i ribelli per assicurarne l'assistenza senza
mettere eccessivamente a rischio gli operatori. Nel medio e lungo periodo, invece, ammesso
che scelgano di far ritorno ai luoghi d'origine, è necessario riaccompagnarne il reinserimento
nel tessuto sociale ed economico, fornendo gli strumenti e i finanziamenti per la ricostruzione
delle abitazioni e l'avvio di un'attività che garantisca un reddito minimo. Non si può poi
tralasciare l'aspetto del risarcimento o della giustizia, ma con un occhio di riguardo a quelle
che sono le tradizioni locali di gestione di un contenzioso, non basandosi solo sui metodi più
propri ad altre culture come quelle europee. In un conflitto, infatti, spesso le esigenze della
giustizia e della pace confliggono e la transizione difficilmente può soddisfare appieno
entrambe le parti. Più che di “giustizia”, quindi, è opportuno parlare di “riconciliazione”.
Un terzo punto su cui ancora c'è molto da lavorare è l'agenda di riforme delineata dal Dialogo
politico inclusivo. Paragonando il documento finale del dicembre 2008 e il precedente
risultato del Dialogo nazionale del 2003 risulta evidente che i problemi istituzionali ed
151
economici si protraggono nel tempo e che pochi sono stati i passi avanti. Ai cambiamenti
formali, quali l'introduzione di una legislazione più severa in ambiti come i diritti civili,
politici e sociali o la tutela dell'ambiente, deve corrispondere una presa di coscienza e
un'educazione che modifichi anche l'atteggiamento delle persone e delle collettività. Tale
formazione non deve prescindere da quelli che sono i legami e le strutture di apprendimento e
fiducia tradizionali, o difficilmente verrà accettata e fatta propria. Inoltre, è necessario ridurre
l'ostruzionismo dei gruppi di potere autoctoni e delle poche grandi società straniere che
operano sul territorio, rendendoli parte del processo di ricostruzione, ma non dipendendo da
essi.
L'inefficienza dell'intervento post-conflitto di ricostruzione di un intero paese è infatti dovuta,
oltre al persistere dell'insicurezza in buona parte del territorio, principalmente a due fattori. In
primo luogo, l'amministrazione e il governo sono ancora dominati da logiche
patrimonialistiche e clientelari, che divengono evidenti nell'ostruzionismo rispetto alle
riforme concordate e nella tendenza dell'esecutivo a prendere decisioni unilaterali. La
corruzione, poi, spesso disperde gli sforzi e il denaro della cooperazione internazionale, che
non può fare a meno di passare per le maglie delle istituzioni statali per garantire il suo aiuto.
Le stesse risorse di cui è ricco il Centrafrica, il legname, i minerali, le pietre preziose, che
potrebbero consentire un parziale risollevamento economico, vengono sfruttate a favore di
pochissimi. Questi si accontentano di incassare la commissione per la vendita delle miniera o
delle concessioni senza garantire una percentuale delle entrate per il paese. Addirittura molte
di queste risorse una volta acquistate vengono abbandonate, poiché al momento non è
conveniente estrarre e trasportare il materiale fino ai porti dell'Atlantico, non generando
nemmeno occupazione, come nel caso Areva496.
In secondo luogo, la scarsa presenza della comunità internazionale non aiuta questo paese,
uno dei più poveri del mondo, a risollevarsi sia moralmente sia economicamente. Rispetto ad
altri Stati, infatti, la crisi centrafricana raccoglie le briciole della cooperazione internazionale
e le stesse agenzie ONU faticano a risvegliare l'interesse dei donatori per raccogliere i fondi
necessari al loro funzionamento. Il paese è sostanzialmente abbandonato a se stesso. C'è il
rischio, poi, che una volta realizzatesi le elezioni, la comunità internazionale si senta
nuovamente legittimata a disinteressarsi ulteriormente della RCA, nascondendo dietro al
verdetto “democratico” delle urne una nuova spartizione di potere.
I problemi qui evidenziati sono sicuramente frutto della situazione di conflitto vissuta negli
496Vedi cap. V.
152
ultimi anni, ma le cause profonde sono altre, ed in particolare mi preme evidenziarne due.
Innanzitutto l'estrema povertà che caratterizza il paese e la marginalizzazione di alcune zone
rispetto alla capitale e al meridione. Non si tratta solo di una povertà di risorse, perché questo
è vero solo in parte; nasce piuttosto da un'enorme sperequazione sociale che priva di
opportunità il 95% dei cittadini scatenando delle violente lotte per costituire quel 5% che si
spartisce la ricchezza. Nella situazione in cui versa la RCA le vie traverse (la corruzione, il
clientelismo, ma anche la violenza) risultano essere il metodo più semplice e rapido per
entrare a far parte di questa piccola élite.
È qui che entra in gioco il secondo fattore. È infatti una gestione dello Stato come un
patrimonio privato, subordinato alle logiche familiari e clientelari che legittima l'uso di vie
diverse da quelle amministrativo-burocratiche per raggiungere i propri fini. Non si parla
infatti di un diritto di tutti in quanto uguali, ma di alcuni in quanto appartenenti alla
“famiglia”.
Il conflitto nasce da una posizione di squilibrio, generata da differenze economiche, di potere
o da rappresentazioni delle stesse. L'obiettivo di chi si trova in una posizione di inferiorità
gerarchica spesso non è di raggiungere la posizione superiore, ma di superarla. Questo tipo di
dinamica genera un'escalation, ma non risolve il conflitto, lo alimenta. La soluzione risiede
nel ritorno ad un equilibrio, che si ottiene o con la distruzione totale o con la rinuncia ad
ottenere più dell'altra parte.
Nella prima figura B si trova in posizione superiore ad A (la posizione gerarchica viene espressa dalla freccia continua). A, quindi, cerca di scalzare B (linea tratteggiata) da tale posizione di privilegio, ma ricostruisce un'equivalente situazione di instabilità a cui B risponderà nello stesso modo, generando un circolo vizioso. Nella figura n. 2, invece, l'equilibrio si ristabilisce nel momento in cui A raggiunge lo stesso livello di B o B scende a quello di A. Ancor più completo sarebbe il caso in cui A e B si incontrassero ad un livello intermedio.
Tenendo conto di queste problematiche è necessario nel breve tempo creare una società delle
opportunità più diffusa, estendendo anche alle zone più povere e dimenticate la presenza di
153
Figura n. 1 Figura n. 2
A
B
B
A
servizi sociali, dando impulso all'educazione, costruendo infrastrutture e ristabilendo un
rapporto di fiducia tra i cittadini e lo Stato, perché nel lungo periodo si riducano le differenze
economiche e di potere e, quindi, gli squilibri.
154
ALLEGATI
155
ALLEGATO N. 1
REPARTITION DE LA POPULATION PAR SEXE, SELON LA PREFECTURE EN 1988 ET EN 2003
PREFECTURE MASCULIN FEMININ TOTAL RM** DENSITE
RGP* 1988 RGPH 2003 RGP 1988 RGPH 2003 RGP 1988 RGPH 2003 EN 2003 EN 2003
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Documentari
Herzgog Werner, Bokassa I, echi di un regno oscuro, Germania 1990.