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1 REPORT DI RICERCA TERRITORI CHE CONCILIANO PROGRAMMA DI POLITICHE E AZIONI PER LA FAMIGLIA IN VENETO di Riccardo Prandini e Vincenzo Marrone Marzo 2015
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Report. Territori che conciliano

Mar 27, 2023

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bruna pieri
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Page 1: Report. Territori che conciliano

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REPORT DI RICERCA

TERRITORI CHE CONCILIANO

PROGRAMMA DI POLITICHE E AZIONI PER

LA FAMIGLIA IN VENETO

di Riccardo Prandini e Vincenzo Marrone

Marzo 2015

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Questa ricerca è stata resa possibile anche grazie al sostegno de:

l‟Osservatorio Regionale delle Politiche Sociali - Regione Veneto, in particolare al contributo

della Dott.ssa Antonella Masullo, Dott.ssa Laura Nardini e Dott.ssa Chiara Palutan;

il Centro Produttività Veneto - Fondazione “G.Rumor” - in particolare il Direttore Dott.re

Antonio Girardi e la Dott.ssa Patrizia Bernardini;

le imprese in cui si è svolta la ricerca: Baxi, Crivertrade, Castelmonte, Keyline, Samo e Texa;

gli auditori Fabio Toffolon, Rosa Marina Danzì e Valeria Zagolin.

Riccardo Prandini è Prof.re ordinario di Sociologia

Vincenzo Marrone è dottore di ricerca in Sociologia

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INDICE

INTRODUZIONE (di Vincenzo Marrone) p.7

1. VANTAGGI AZIENDALI E VANTAGGI FAMILIARI DELLE POLITICHE DI CONCILIAZIONE

FAMIGLIA-LAVORO. QUALE CONTINUITÀ? (di Vincenzo Marrone) 13

1.1 – Le misure di conciliazione famiglia-lavoro. Declinazioni e applicazioni 13

1.2 – Un focus sulle politiche e sugli strumenti di flessibilità dell‟orario e

dell‟organizzazione del lavoro 17

1.2.1 – Misure di flessibilità, stress e vantaggi aziendali 19

1.2.2 – Misure di flessibilità e intensificazione del lavoro. Un paradosso?

1.3 – Misure di conciliazione famiglia-lavoro ed incidenza nella produttività.

Prove empiriche ed esiti discordanti 24

1.3.1 – L‟implementazione delle pratiche di conciliazione famiglia lavoro e le

performance aziendali. 26

1.3.2 – In quali aziende e per quali ragioni è più probabile che si adottino misure

di conciliazione. 32

1.4 – Il management 35

2. PERCHÉ LE IMPRESE CONCILIANO (di Vincenzo Marrone) 41

2.1 – Misure di conciliazione, certificazione Audit e indicatori di produttività.

Uno sguardo alle organizzazioni 41

2.2 – Conciliazione, innovazione tecnologica e creatività per eccellere nel mondo.

Il caso TEXA 53

2.3 – La conciliazione dai lavoratori ai cittadini, dalla fabbrica al territorio.

Il caso SAMO 59

2.4 – Conciliazione, tradizione e affezione per competere nel mercato globale.

Il caso Keyline 66

2.5 – Conciliazione, curare il prodotto e il lavoratore. Il caso Crivertrade 73

2.6 – Conciliare nelle cooperative sociali. Il caso di Castelmonte Onlus 79

2.7 – Conciliazione, fra premi incentivanti e pluralità di orari flessibili

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Il caso BAXI 88

3. LE PERCEZIONI DEI BENEFICI PER I DIPENDENTI E LE RISPOSTE

PROFESSIONALI (di Vincenzo Marrone) 93

3.1 – La survey ed il campione 93

3.2 – La percezione di benefici 95

3.3 – Le misure di conciliazione utilizzate 101

3.4 – Orientamenti e atteggiamenti verso il tema e gli strumenti di conciliazione

famiglia lavoro 105

3.5 – Le dinamiche del benessere 109

3.6 – La relazione indiretta fra produttività e benefici nelle relazioni familiari 110

3.7 – Fra conciliazione e produttività. Elaborazioni e percezioni dei lavoratori 113

3.7.1 – Soddisfazione, responsabilità, fiducia 115

3.7.2 – Flessibilità, disponibilità, affidabilità 119

4. QUALI DIMENSIONI RIPENSARE NELLA RELAZIONE FRA MISURE DI CONCILIAZIONE

E VANTAGGI AZIENDALI: SINTESI E PROSPETTIVE (di Vincenzo Marrone) 125

5. IL WELFARE AZIENDALE COME STRUMENTO DI SVILUPPO TERRITORIALE

SOCIO-ECONOMICO SOSTENIBILE E INCLUSIVO (di Riccardo Prandini) 133

5.1 - Il welfare aziendale territoriale e le sue sfide allo sviluppo economico

inclusivo. 133

5.2 - La trasformazione del sistema di Welfare collettivo: oltre lo Stato e

verso un sistema societario plurale 137

5.2.1 - Cosa significa oggi generare welfare: “secondo welfare” o “welfare

policontesturale”? 137

5.2.2 - La multidimensionalità del benessere: personale, lavorativa, familiare 141

5.2.3 - Contrattazione relazionale e promesse a lungo termine in un contesto lavorativo

sempre più incerto 143

5.2.4 - Personalizzazione come sistema di servizi “tagliati” sulla persona 149

5.3 - Cosa significa territorializzare il welfare aziendale: come riconnettere

l‟Amministrazione pubblica, il sistema delle aziende e il benessere familiare 152

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5.3.1 - De-territorializzazione e ri-territorializzazione dell‟economia: alcuni spunti

di riflessione 152

5.3.2 - Cosa è un territorio: oltre la semantica del locale-globale, verso una

governance sperimentale, poliarchica e di cluster 156

5.3.3 - L‟ordine costituzionale del territorio: come dare rappresentazione unitaria

a processi e strutture territoriali complesse 160

5.4 - La sfida delle Alleanze territoriali per lo sviluppo socio-economico: un territorio

che si costituisce e si attiva per generare benessere comune 165

5.4.1 - Le politiche familiari come investimenti generazionali per lo sviluppo

socio-economico del territorio 166

5.4.2 - Il dispositivo “Distretto“ e l‟attivazione familiare di un territorio 169

5.4.3 - Le Alleanze locali come drivers di investimento socio-economico sostenibile

e inclusivo 171

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 175

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INTRODUZIONE

È ormai ampiamente riconosciuto come l‟ingresso delle donne nel mercato del lavoro, le

trasformazioni demografiche e quelle dei legami familiari abbiano portato ad un profonda

riflessione scientifica e politica rispetto al tema della conciliazione famiglia e lavoro.

Espressione con cui si intendono tutte quelle programmazioni e modalità operative attraverso

cui bilanciare i due “mondi vitali” con le rispettive condizioni di necessità: da una parte quelle

di cura familiare e dall‟altra quelle riferite alla sfera professionale.

Quello conciliativo diventa dunque un tema cruciale che abbraccia tutte le pratiche concrete

con cui elaborare e “correggere” i conflitti esistenti fra il luogo della famiglia e quello del

lavoro (Donati e Prandini 2009; 2008; Donati 2005) e rispondere a nuove ed emergenti

istanze sociali, come la generazione di benessere (Prandini et alii 2014; Macchioni 2013). È

anche un‟opportunità per leggere le trasformazioni sociali in atto che coinvolgono la famiglia;

le questioni di genere e il tema delle pari opportunità – quindi di equità sostanziale – nel

mercato del lavoro e nella società; i profondi cambiamenti della cultura imprenditoriale e del

lavoro; l‟organizzazione aziendale; la produttività e la competizione in un mercato sempre più

globalizzato; le evoluzioni, gli sviluppi, le imperfezioni delle politiche di welfare.

Data l‟ampia portata del tema, è intuibile come esso possa definirsi come un crocevia – quindi

un punto di unione – di interessi disciplinari diversi. È possibile rintracciarne la portata

osservando come la letteratura scientifica ha declinato le varie accezioni e ne ha osservato le

applicazioni.

Il nostro contributo vuole rilevare un duplice movimento che si realizza all‟interno del tema

conciliativo. Se da una parte le misure di conciliazione sono ideate ed implementate per

andare incontro alle esigenze dei lavoratori e delle loro famiglie, prevedendo quindi i soggetti

sociali lavoratore e famiglia, dall‟altra le misure conciliative assumono necessariamente un

secondo soggetto attivo: l‟impresa (o azienda o anche organizzazione, come si preferisce nella

letteratura internazionale) che per questo è frequentemente etichettata come family friendly.

Le misure di conciliazione benché possano distinguere un momento familiare da uno

imprenditoriale, di fatto, contemplano sempre, rispetto alla “realtà del fenomeno”, una

Il report di ricerca è stato realizzato dal prof.re Riccardo Prandini, autore del capitolo 5 e dal dott. Vincenzo Mar-

rone, autore dell‟introduzione e dei capitoli 1,2,3,4.

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relazione fra questi due mondi. Per comprendere pienamente le ragioni dell‟implementazione

di misure di conciliazione, le forme e le funzioni, gli sviluppi e gli effetti associati, è quindi

opportuno osservare come i due mondi comunichino per mezzo di tali pratiche.

Il nostro lavoro – con i limiti che non mancheremo di evidenziare - vuole rappresentare un

piccolo contributo scientifico alla letteratura esistente operando attraverso un approccio “bi-

focale”, osservando cioè contemporaneamente, e mettendole in relazione, sia la prospettiva

dei lavoratori - che fruiscono di politiche e misure di conciliazione - che quella aziendale -

che offre misure di conciliazione (Quali misure? Perché? In cambio di cosa?).

Il tema della conciliazione, le politiche e le pratiche, configurano quindi una relazione fra le

due dimensioni in cui possiamo ipotizzare una dinamica “retroattiva”. Una dinamica cioè in

cui le implementazioni offerte dalle aziende possono determinare – più o meno

significativamente - degli effetti percepiti dai lavoratori che a loro volta metteranno in atto

comportamenti ed atteggiamenti ipoteticamente “conformi” alle aspettative delle imprese,

realizzando non solo “circolarità virtuosa” ma soprattutto dei valori aggiunti non più

riconducibili esclusivamente alla domanda/offerta di misure di conciliazione. Possiamo

schematizzare questa dinamica come segue:

qv = f (oLF;dLF)

ql= f (oLF;dLF)

Dal punto di vista del lavoratore, la percezione del miglioramento della qualità della vita (qv)

(intesa come esito della maggiore possibilità di cura ed organizzazione familiare e lavorativa e

riduzione del conflitto), deriva dalla soddisfazione per l‟offerta di misure di conciliazione

realizzate dall‟azienda (oLF) rispetto a richieste specifiche provenienti dal dipendente (dLF).

Dal punto di vista dell‟azienda, la percezione del miglioramento della qualità del lavoro (ql)

(intesa come attaccamento aziendale, performance, disponibilità, capacità di fare squadra,

impegno professionale ecc.), deriva dall‟efficacia delle misure di conciliazione offerte (oLF)

rispetto a richieste specifiche provenienti dal dipendente (dLF).

Possiamo semplificare – ricorrendo alla terminologia degli economisti – dicendo che quando

la richiesta di misure di conciliazione incontra una offerta di misure di conciliazione si

produce un equilibrio che definisce dei vantaggi per gli attori: i dipendenti, le loro famiglie e

le imprese.

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Possiamo parlare quindi di un equilibrio fra domanda e offerta così come di un equilibrio fra

vantaggi per i dipendenti e vantaggi per i datori di lavoro. La prospettiva è dunque win-win in

cui, cioè, tutti gli attori coinvolti sperimentano dei miglioramenti. E se tutti gli attori coinvolti

sperimentano livelli di miglioramento, dovremmo assumere che l‟implementazione di misure

di conciliazione, che incontrano e soddisfano una domanda, produce una “eccedenza”. Cioè

qualcosa che va oltre il semplice equilibrio dei fattori originari e che “crea” un valore

aggiunto – appunto – che può essere economico, sociale, psicologico ecc. (Kossek e Nichol

1992).

Abbiamo bisogno di entrare entro questo modello logico per comprendere meglio le

potenzialità, i limiti e le dinamiche. Possiamo trovarci difronte a differenti condizioni in cui i

due termini, anche se per ragioni diverse, non si incontrano producendo delle incongruenze.

Caso a: la richiesta di misure da parte dei dipendenti supera la disponibilità offerta

dall’azienda.

dLF>oLF

Siamo in una condizione di scarsità e, eventualmente, di inefficienza. Le misure presenti – se

presenti – non sono sufficienti a rispondere alle richieste dei lavoratori, producendo

potenzialmente degli scompensi a livello lavorativo e produttivo. Per esempio, la semplice

necessità di un genitore (ipotizziamo una madre lavoratrice) di accompagnare suo figlio

all‟asilo ogni mattina, in mancanza di altre risorse familiari o di servizi territoriali specifici, se

non incontra forme di flessibilità di orario all‟ingresso può comportare, ritardi a lavoro,

permessi e richieste di giorni di malattia ed in alcuni casi intenzioni di cambiare lavoro,

generando delle esternalità negative per l‟azienda.

Vediamo ora il caso contrario a quello appena descritto.

Caso b: le misure introdotte sono eccedenti o differenti da quelle richieste:

oLF>dLF

oLF≠dLF

Se le misure introdotte dall‟azienda superano o si differenziano dalle richieste e quindi dal

loro effettivo utilizzo, specie se hanno dei costi economici per l‟azienda, si configura una

condizione di inefficacia e di sprechi di risorse. Immaginiamo, che - in una situazione

paradossale - una organizzazione generosa e particolarmente sensibile al tema della

conciliazione, introduca un asilo nido aziendale ed assuma una educatrice (o stabilisca una

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convenzione con una cooperativa sociale) per la corretta fruizione del servizio. I responsabili

aziendali del progetto però non riflettono su un aspetto importante: dal momento della

richiesta di un nido aziendale da parte dei lavoratori, alla sua effettiva operatività è trascorso

del tempo. Quei bambini per cui era stato progettato sono cresciuti e ora non ci sono bambini

nelle famiglie dei dipendenti al di sotto dei tre anni. In più, le richieste dei genitori sono

cambiate: non hanno più bisogno di un asilo nido ma di una organizzazione flessibile

dell‟orario del lavoro per permettere loro di accompagnare i bambini presso le scuole materne

del paese. Se non ci sono più bambini sotto i tre anni, cosa fare del nido? E dell‟educatrice?

Evidentemente i costi sostenuti per questo particolare “servizio sociale” non ha corrisposto ad

un investimento valido e la percezione dei lavoratori – nonostante la sensibilità dell‟azienda

verso i bisogni di conciliazione - può indebolire il senso di appartenenza, i comportamenti

civici organizzativi, il benessere familiare ecc. Ci ritroviamo nella situazione descritta con il

caso a.

Questi esempi, talvolta paradossali – ma forse non troppo – illustrano come una cultura

aziendale non riflessiva (Prandini 2012) possa incontrare scompensi nella stessa attività

imprenditoriale e realizzare esternalità negative. Da una parte a causa di un basso livello di

cultura della conciliazione che comporta scarsi investimenti in strumenti e risorse per i

dipendenti; dall‟altra a causa di una sensibilità “acritica”, di una tradizione che non è al passo

con il tempo, o a causa di una desiderabilità sociale per cui si cerca di costruire un‟immagine

aziendale positiva o semplicemente di rincorrere le “mode del momento” che, di fatto,

vanificano gli investimenti.

Rimanendo in una prospettiva teorica, la condizione ottimale è raggiunta quando le misure di

conciliazione offerte incontrano le richieste concrete dei lavoratori. Ma per raggiungere

questo equilibrio gli attori devono mettere in campo diverse strategie, capacità di ascolto,

sensibilità e mobilitare risorse immateriali o posizionali che favoriscono tali processi.

Parliamo dunque di meccanismi che regolano lo scambio – quindi l‟equilibrio – fra

disponibilità di misure e offerta da una parte e, conseguentemente, vantaggi per i dipendenti e

vantaggi per le aziende dall‟altra. Così, nel passaggio fra il modello teorico – in cui si

riconosce una linearità logica – e la realtà – che è necessariamente più complessa e articolata

di qualunque modello logico e matematico -, le cose non si realizzano esattamente nel modo

descritto poiché intervengono diversi fattori che possono interrompere la relazione,

modificarla o enfatizzarla e su cui è necessario soffermarsi. Quest‟aspetto definisce la prima

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dimensione problematica della ricerca. Applicando, infatti, il nostro modello alla realtà

possiamo individuare – in via preliminare - una molteplicità di domande, tutte degne di

approfondimenti empirici.

Vista dalla parte del lavoratore possiamo chiederci: di quali misure di conciliazione si fruisce

prevalentemente (servizi, organizzazione dell‟orario, benefit economici ecc.) e in

corrispondenza di quali condizioni? Quali sono le ragioni che muovono i lavoratori a

richiedere misure di conciliazione ed in che modo si esprime tale richiesta (esplicita/implicita,

formale/informale, di gruppo/individuale)? Come incidono le diverse misure family friendly

nella percezione di miglioramenti nella qualità della vita dei lavoratori? Soprattutto, quali

sono gli elementi sui cui gli utilizzatori elaborano una associazione fra il benessere

sperimentato a livello individuale, famigliare e professionale?

Vista dalla parte dell‟azienda, possiamo ipotizzare ulteriori domande: che relazione c‟è fra la

cultura o la tradizione imprenditoriale e l‟offerta di misure di conciliazione? In che modo e

grado si è consapevoli della utilità delle misure di conciliazione? Quale il grado di riflessività

nell‟implementazione di tali strumenti di conciliazione? È prevista una “osservazione” degli

impatti sulla vita dei dipendenti e soprattutto sulle dinamiche produttive? C‟è una relazione

fra offerta di misure di conciliazione e clima aziendale? Rappresentano esclusivamente dei

costi o sono degli investimenti che producono vantaggi economici? Quali sono gli attori

prevalentemente coinvolti per favorire la corretta fruizione delle pratiche? Evidentemente,

l‟elenco delle domande non termina qui.

Un altro ambito problematico è quello per cui il tema trattato – se lo si vuole cogliere nella

sua complessità – si compone di una serie di aspetti che ne definiscono gradi di difficoltà

operativa. Uno di questi aspetti è quello per cui contempla, contemporaneamente, elementi

che possono essere direttamente matematizzati come alcuni indicatori “oggettivi” di

produttività1 come il numero di pezzi realizzati al giorno in una industria manifatturiera, il

numero di assenze da lavoro, ecc. e indicatori “soggettivi” di cui non esiste una unità di

misura e che sono rilevabili solo – o più opportunamente – a partire dalla percezione e dalla

testimonianza di persone, come per esempio possono essere: la cultura imprenditoriale, il

1In realtà sarebbe semplice solo in determinate condizioni, per esempio nell‟industria manifatturiera. Se

volessimo cogliere la produttività nel settore dei servizi, pensando per esempio alla produttività di un educatore

sociale, ci troveremmo a fare i conti con un problema di non poco conto.

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senso di appartenenza aziendale, la percezione del clima aziendale (Shellenback 2004).

Questo aspetto apre al problema della unità di analisi. Fra le aziende e i dipendenti, quale

unità di analisi prendere in considerazione per la valutazione del rapporto fra qualità del

lavoro, qualità della vita dei lavoratori e strumenti di conciliazione implementate e utilizzati?

Questa distinzione è fondamentale poiché da ciò deriva la costruzione e la raccolta dei dati o

delle informazioni, l‟obiettivo e i contenuti dell‟indagine. Se l‟unità di analisi è l‟azienda,

avremmo prevalentemente dati numerici facilmente matematizzabili (numero di assenze,

numero di dipendenti, utili, fatturato, ecc.) perdendo o limitando però la possibilità di

raccogliere le dinamiche “qualitative” che caratterizzano le pratiche di conciliazione. Se

invece consideriamo il lavoratore come unità di analisi, avremmo più facile accesso a

informazioni e dati “qualitativi” che “raccontano” le dinamiche della conciliazione ma ci

troveremmo difronte il problema di come standardizzare i dati e le informazioni sulla

produttività e la qualità del lavoro, che in questo caso non potrà che essere una espressione

soggettiva e individuale.

Tendenzialmente la ricerca e la letteratura scientifica hanno tenuto separati i due termini del

rapporto, concentrandosi da una parte sulla descrizione delle misure di conciliazione e sui

benefici percepiti dai fruitori (indagini sia qualitative che quantitative), ed elaborando

dall‟altra la relazione fra i costi e i relativi vantaggi (con indagini esclusivamente

quantitative). Ciò che invece, al momento, merita ulteriori contributi è la riflessione sulla

“integrazione” dei termini (ed eventuale loro circolarità) e sui meccanismi che descrivono

possibili relazioni fra l‟implementazione di pratiche di conciliazione, vantaggi/svantaggi

organizzativi, vantaggi/svantaggi per i lavoratori.

Prima di presentare il nostro contributo illustrando i soggetti coinvolti, i metodi, le tecniche,

le ipotesi di partenza ed i risultati ottenuti, proponiamo nei paragrafi seguenti una

rielaborazione delle principali evidenze empiriche emerse dalla letteratura sul tema che hanno

argomentato le dinamiche ed i meccanismi.

Page 13: Report. Territori che conciliano

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1. VANTAGGI AZIENDALI E VANTAGGI FAMILIARI DELLE POLITICHE DI CONCILIAZIONE

FAMIGLIA-LAVORO. QUALE CONTINUITÀ? (di Vincenzo Marrone)

1.1 Le misure di conciliazione famiglia-lavoro. Declinazioni e applicazioni

Abbiamo ampiamente accennato a come negli ultimi decenni, date le trasformazioni

demografiche legate ai cambiamenti della composizione familiare e l‟invecchiamento della

popolazione, quelle del mondo del lavoro che ha corrisposto a nuovi assetti organizzativi e di

gestione del personale e alla introduzione di una significativa quota di forza lavoro femminile,

dei livelli di istruzione più elevati che hanno contribuito alla espansione di settori industriali

con capitale culturale molto più elevato rispetto al passato e le importanti innovazioni

tecnologiche del mondo della comunicazione informatizzata, la domanda “concorrenziale”

(Beauregard e Henry 2009) fra la sfera domestica e mondo del lavoro ha assunto una

rilevanza crescente, sia per i dipendenti che per le organizzazioni. In risposta a questi

cambiamenti, alle “sfide” lanciate dei due mondi in competizione fra loro, e ai conflitti che si

generano tra i differenti ruoli che le persone ricoprono nella loro quotidianità, le imprese

appaiono sempre più orientate a implementare pratiche mirate a “ridurre” gli sforzi dei

lavoratori per soddisfare sia la loro performance sul lavoro che le loro responsabilità personali

e familiari (Rapoport, et alii 2002 – cit. in Beauregard 2009). A realizzare cioè politiche e

strumenti di conciliazione famiglia-lavoro. Ma cosa intendiamo quando parliamo di misure e

pratiche di conciliazione?

Nonostante il particolare successo di questa espressione - o forse proprio per questa fortuna -

non c‟è una “definizione” univoca, anche se è piuttosto riconosciuto come con questo termine

ci si riferisca normalmente a quella serie di strumenti e politiche che riguardano le forme di

sostegno dell‟organizzazione lavorativa per la cura personale e familiare del dipendente.

Generalmente i ricercatori utilizzano termini quali “work and family”, “work-family”, “work-

life” o “family-friendly” per classificare quei programmi che supportano o assistono i

dipendenti per affrontare più efficacemente problemi imprevisti o contingenze crescenti nel

nucleo familiare, come la malattia di un figlio o di un parente, o politiche che offrono ai

dipendenti la possibilità di avere orari di lavoro che permettono loro di rispondere meglio alla

doppia domanda del mercato del lavoro e alle necessarie attività familiari (Clifton e Shepard

2004). Queste politiche coprono quindi un ampio raggio di opzioni, inclusi gli orari di lavoro

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flessibile (per esempio tempo flessibile che permette di variare l‟orario di inizio e termine del

lavoro, o di concentrare le ore di lavoro settimanale in pochi giorni lavorativi o il part time);

le forme di telelavoro, in cui il dipendente svolge il suo lavoro parzialmente o totalmente a

casa (tele-working; home-working; e-working); il lavoro condiviso, ossia la condivisione di

un lavoro a tempo pieno tra due dipendenti (job sharing); i programmi di congedo parentali

(parentali, di adozione, o per altri motivi gravi); le forme e i servizi di assistenza all‟infanzia o

per gli anziani e infine, tutte le forme di assistenza informativa di natura burocratica ed

economica riguardo i servizi disponibili presso l‟azienda e/o il territorio di appartenenza con

riferimento alla cura personale e familiare (Estes e Michael, 2005). Seguendo le varie

definizioni presenti in letteratura, possiamo cogliere le sfumature applicative. Cascio (2000,

p.166) definisce i programmi di conciliazione famiglia lavoro come «qualunque benefit

sostenuto dal datore di lavoro, o condizioni di lavoro, che aiutano i dipendenti a equilibrare le

domande di lavoro e non lavoro dei dipendenti». Una definizione questa che estende

notevolmente i confini semantici delle pratiche e delle politiche di conciliazione: da una

questione di “facilitazione della organizzazione familiare” a “qualunque benefit” per i

lavoratori.

In altri casi, conciliazione famiglia lavoro è il termine generale utilizzato per descrivere le

iniziative organizzative finalizzate a migliorare l‟esperienza dei domini di lavoro e non lavoro

dei dipendenti. Le pratiche e le condizioni dei programmi di conciliazione famiglia lavoro si

riferiscono ad iniziative volontarie introdotte dalle aziende che facilitano la conciliazione

della vita personale e professionale dei dipendenti. Essenzialmente, le iniziative di

conciliazione famiglia lavoro sono offerte dalle organizzazioni per assistere le domande di

lavoro e vita personale nella gestione del personale (Grady, McCarthy, Darcy, e Kirrane,

2008). In questa definizione si evidenzia il carattere volontaristico della implementazione

delle misure di conciliazione e quello strumentale attraverso cui tali politiche possono

intendersi quali strumenti di gestione del personale rappresentando una questione chiave per

le aziende. Entrambi gli elementi, il volontarismo e l‟utilità strumentale, “determinano”

necessariamente un‟estensione semantica del concetto ed una pluralità accezioni e quindi di

pratiche operative.

È dunque sempre più frequente trovare annoverate fra le misure di conciliazione, strumenti e

pratiche che – a rigore di logica – non risponderebbero ad una definizione stretta di

conciliazione dell‟organizzazione della vita familiare e di quella lavorativa (per esempio: le

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convenzioni con esercizi commerciali, centri di assistenza sanitaria, legale, burocratica,

assicurativa, estetica, gli strumenti di semplificazione del trasporto, le campagne informative,

i corsi formativi, benefit aziendali di varia natura, ecc.). In molti casi, potremmo parlare di

misure indirette di conciliazione famiglia lavoro poiché non si rivolgono direttamente alla

cura familiare ma la presuppongono e, rientrando nel più ampio insieme di politiche e servizi

di welfare aziendale, prevedono una incidenza significativa rispetto alla sfera familiare dei

lavoratori.

Se il tema della conciliazione ha avuto tradizionalmente un focus relativamente ristretto

rispetto al tema della salute, dello stress da lavoro, della maternità, e dell‟occupazione

femminile, attualmente è sempre più evidente come questo argomento debba estendersi ad

altre dinamiche ed obiettivi sociali. Il termine “conciliazione” è quindi sempre più inteso

come un termine aperto a notevoli interpretazioni poiché articola il desiderio delle persone –

non solo di chi ha responsabilità familiari – di raggiungere un equilibrio tra il lavoro retribuito

e la vita che va oltre il lavoro, dalla cura dei figli, a quella domestica, alla realizzazione di

momenti di piacere. Khallash e Kruse (2012) fanno notare che estendendo i confini della

definizione di conciliazione famigli-lavoro è possibile rilevarne un elemento caratterizzante

nella capacità di gestione delle pressioni provenienti sia dagli ambienti esterni sia da quelli

interni dell‟individuo. Se per un verso, infatti, gli strumenti di conciliazione sono mezzi per

sostenere un modo di vivere e creare condizioni ottimali per la propria famiglia o per se stessi,

dall‟altra, il lavoro - che è sempre più competitivo - costituisce anche un elemento sociale e

psicologico che crea aspettative e sfide personali. Genera quindi pressioni interne. La

conciliazione riguarda quindi anche la gestione delle pressioni provenienti dalle aspettative di

ognuno e la definizione di obbiettivi che possono riferirsi alle responsabilità familiari o meno.

In altre parole, la conciliazione non riguarda solo la pressione posta sugli individui in quanto

lavoratori, ma anche la pressione esercitata dal livello di motivazione professionale personale.

Per queste ragioni assistiamo – come detto – ad una estensione del concetto di conciliazione

famiglia-lavoro che include anche l‟acquisizione di interessi intellettuali e lo sviluppo di

capacità personali (per esempio la formazione continua) e la possibilità di realizzare

condizioni che permettono di qualificare il proprio lavoro. Le misure di conciliazione

assumono quindi sempre più una connotazione pluralistica e, talvolta, personalizzata.

Il tema della conciliazione famiglia-lavoro entra così a far parte del più ampio argomento

dell‟organizzazione aziendale (Kossek e Ozeki 1998) e in particolare di quel settore

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conosciuto come High Performance Work System. Non è un caso allora che, secondo il

Boston Consulting Group2, le aziende europee devono far fronte a cinque capacità critiche per

competere nel mondo globale, ed una di queste è proprio la capacità di gestire la conciliazione

famiglia lavoro. Questo perché i confini fra vita privata e vita professionale si fanno più

sfumati e, se da una parte i lavoratori selezionano sempre di più quelle occupazioni che

offrono loro la possibilità di aiutarli nel rispondere alle responsabilità di cura familiare o

personale, dall‟altra, per attirare e mantenere persone talentuose e qualificate, le aziende

devono necessariamente offrire loro condizioni di lavoro favorevoli nel rispondere a queste

necessità.

Il dibattito sull‟argomento è molto vivace anche perché, le politiche e le pratiche di

conciliazione famiglia-lavoro, così come di tutto il welfare aziendale o occupazionale

(Pavolini et alii, 2013) trovano oggi sostenitori e oppositori. I primi evidenziano la necessità

di implementare questi programmi come strumenti per affrontare le trasformazioni della forza

lavoro e migliorare la produttività dei dipendenti riducendo assenteismo e turnover ed

aiutando le aziende ad attirare i lavoratori più qualificati. Gli oppositori di questi programmi

esprimono le loro perplessità facendo leva su diversi principi, come quelli di equità (come

giustificare tali pratiche per quei lavoratori che non hanno famiglia?); economici (incertezza

dei vantaggi per le aziende a fronte dei costi sostenuti); etici (è opportuno che l‟azienda sia

coinvolta in questioni familiari?). È una contrapposizione che anima il dibattito – e che in

questo contributo non possiamo approfondire – ma che ci invita a riflettere e a interrogarci

sulla reale utilità dell‟implementazione dei programmi di conciliazione famiglia-lavoro.

Proprio quest‟aspetto - l‟utilità, le ricadute o gli impatti delle misure di conciliazione, dirette e

indirette - rappresenta oggi il nucleo centrale di buona parte della ricerca. Nonostante

l‟interesse scientifico e delle organizzazioni verso il tema di analisi, le dinamiche che

caratterizzano i processi di “causa-effetto” non sono state ancora chiarite in modo definitivo e

il fatto che non ci siano indicazioni conclusive in questo senso deriva presumibilmente da due

aspetti. Il primo è dato dalla ricchezza del dibattito. Non ci sono assunzioni definitive poiché

la scienza continua a osservare il fenomeno sotto diverse angolature sedimentando una serie

2BCG (2014) The Future of HR in Europe. Key Challenges Through 2015. (documento disponibile on-line:

https://www.bcg.com/documents/file15033.pdf )

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di conoscenze del fenomeno e aprendo progressivamente alla necessità di altri

approfondimenti3. In sostanza la mancanza di indicazioni definitive è l‟esito di un dibattito

particolarmente vivace ma ancora descrittivo. Il secondo deriva invece dalla scarsa presenza

di studi empirici focalizzati sui “meccanismi” che legano l‟offerta di pratiche di conciliazione,

gli atteggiamenti, i comportamenti e le percezioni dei dipendenti alle performance aziendali

(Allen, 2001; Schutte e Eaton, 2004) nonostante la numerosa quantità di studi che ipotizzano

tali associazioni.

1.2 Un focus sulle politiche e sugli strumenti di flessibilità dell’orario e

dell’organizzazione del lavoro.

L‟organizzazione dell‟orario di lavoro flessibile è lo strumento più utilizzato con riferimento

al tema della conciliazione. Questo perché è normalmente riconosciuto come la possibilità di

gestire il proprio orario di lavoro offre maggiori opportunità di far fronte alle necessità

personali, familiari ed ai cambiamenti connessi al ciclo di vita familiare, influenzando

positivamente il senso di autonomia dei dipendenti. Inoltre, l‟offerta dell‟orario flessibile,

prevedendo una maggiore capacità dei dipendenti riguardo l‟inizio e la fine del lavoro

giornaliero è generalmente associato ad un basso assenteismo, a migliori condizioni di salute

fisica e psichica (Baltes et al. 1999) e per questo rappresenta uno strumento chiave nella

gestione del personale.

Al contrario, specialmente nella letteratura medica, emerge come l‟irregolarità dell‟orario di

lavoro (per esempio il lavoro su turni, il cambio improvviso di orario, il lavoro notturno, un

orario eccedente quello standard) e la minore possibilità di controllo del lavoro sono fattori

associati allo stress psichico e a lungo possono comportare problemi di salute (come

stanchezza, disturbi del sonno o alimentari, problemi cardiovascolari). In un‟ottica aziendale

puramente strumentale, a tali dinamiche conseguono incrementi dei tassi di assenze per

malattia (Ala-Mursula et al. 2002; Halpern 2005; Bohle et al. 2004). Se pensiamo al lavoro su

turni, la letteratura ci informa che questo ha ripercussioni importanti sulla salute fisica,

3 Come fanno notare Beauregard e Henry (2009) introducendo una ricca bibliografia, a partire da metà degli anni

Novanta dello scorso secolo, l‟oggetto “conciliazione famiglia lavoro” è stato ampiamente dibattuto in riviste

appartenenti a differenti settori disciplinari: economia, sociologia, psicologia sociale, relazioni industriali, studi

di genere, studi sulla famiglia, management e gestione delle risorse umane, caratterizzandosi come oggetto di

studio inter e multidisciplinare.

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psichica e rispetto al benessere sociale. Le famiglie di lavoratori a turni hanno matrimoni

meno soddisfacenti, tassi di divorzio più elevati e maggiori difficoltà nelle relazioni con i figli

rispetto ai lavoratori con orari standard, e non meno rilevanti sono le opportunità di vita

sociale extra-familiare connesse a questa tipologia di organizzazione dei lavoro (Grosswald,

2004 cit. in Olsen e Dahl 2010).

Se alcuni studi sul tema della flessibilità dell‟organizzazione del lavoro e la conciliazione

famiglia-lavoro appaiono conclusivi, altri ne rimettono in discussione i risultati (Lee e Devoe

2012). È probabile infatti che quando i dipendenti godono di maggiore flessibilità e capacità

discrezionale, sentano maggiormente la responsabilità delle proprie prestazioni e per questo

rischiano di spendere più tempo al lavoro, rendendo la conciliazione famiglia lavoro più

complicata. Così la flessibilità e l‟autonomia dei dipendenti può generare circolarità negative

fra lavoro e casa: orario di lavoro più lungo, stress, stanchezza, conflittualità.

Olsen e Dahl (2010) esaminano in che modo l‟orario di lavoro sia associato alle assenze per

malattia (oltre due settimane) e all‟equilibrio famiglia lavoro, in un campione rappresentativo

di lavoratori norvegesi, partendo dall‟incrocio di due condizioni:

La presenza di flessibilità (che definisce un grado di controllo e gestione del proprio

orario di lavoro);

l‟orario di lavoro irregolare (le ore irregolari sono definite come quel svolte fuori dal

periodo 6-18. Queste includono per esempio il lavoro serale o notturno, su turni e nei

fine settimana).

Ne derivano quattro gruppi di adattamento che presentano: orari irregolari senza flessibilità;

orari irregolari con flessibilità; orari regolari senza flessibilità; orari regolari flessibili. Da

questa configurazione si origina una ipotesi di ricerca: la condizione dei lavoratori con orario

irregolare combinato alla scarsa flessibilità è la più svantaggiosa per la salute e per le relazioni

famiglia-lavoro. Al contrario la regolarità delle ore di lavoro e la presenza di flessibilità è, in

linea di principio, la combinazione più vantaggiosa per i lavoratori e le aziende.

Dall‟analisi campionaria emerge come, in continuità con le ipotesi, gli uomini che hanno orari

irregolari in assenza di flessibilità, hanno un significativo tasso di assenza per malattia rispetto

agli altri e particolari difficoltà nelle dinamiche di conciliazione. Considerando le sole donne,

tale condizione lavorativa (orario irregolare e assenza di flessibilità) resta una discriminante

nello scoraggiare la conciliazione ma non incide sul tasso di assenteismo.

Page 19: Report. Territori che conciliano

19

Appare meno chiara invece la dinamica della flessibilità per chi ha un orario di lavoro

regolare, che sembra non avere effetti sull‟assenza per malattia né sulla conciliazione famiglia

lavoro. Un risultato che appare incongruente con l‟ipotesi di partenza ma che è probabile

risenta di effetti contrapposti: i vantaggi associati alla flessibilità percepiti da alcuni

dipendenti possono annullarsi per effetto di chi, fruendo di flessibilità, sperimenta un maggior

carico lavorativo che riproduce effetti negativi rispetto agli equilibri familiari ed al tasso di

assenteismo.

Ciò che ci preme sottolineare di questo contributo è un duplice aspetto: da una parte la

rilevanza della flessibilità dell‟orario di lavoro per la salute psichica e fisica dei lavoratori con

orari irregolari, quindi uno strumento che riduce gli effetti negativi di condizioni di lavoro

pesanti. Dall‟altra il carattere di “determinismo debole” della flessibilità che va associata e

considerata sempre all‟interno di altre dinamiche socio-lavorative. In questo contributo

vediamo infatti come nel gruppo di lavoratori con orario regolare, la flessibilità non si

configura come una discriminante per l‟assenteismo e la conciliazione.

Tuttavia, è rilevante sottolineare come in letteratura la flessibilità organizzativa del lavoro sia

stata spesso associata alla maggiore “capacità discrezionale” dei dipendenti che, a sua volta

incide positivamente rispetto all‟incremento ed alla migliore qualità delle prestazioni

professionali. La flessibilità rimanda cioè ad un maggior grado di autonomia nel lavoro che

incide favorevolmente nella prestazione professionale e definisce una modalità regolativa fra

benessere del lavoratore e interessi aziendali. I lavoratori con maggiore capacità discrezionale

devono affrontare e rispondere a livelli di competenze professionali superiori alla norma,

essere in grado di operare su diversi obiettivi (multitasking) e avere capacità di gestione delle

proprie mansioni in forma interdipendente con i colleghi e queste sono generalmente le

ragioni che muovono i datori di lavoro a fornire capacità discrezionale (Ortega 2009). In

questa direzione sembra muoversi anche il contributo di Halpern (2005), interessata tuttavia a

rilevare come le politiche di flessibilità e la capacità discrezionale, definita come “controllo

della propria organizzazione del lavoro”, favoriscano la riduzione dello stress per i lavoratori

e permettano risparmi economici per le aziende.

1.2.1 - Misure di flessibilità, stress e vantaggi aziendali

Generalmente si crede nell‟esistenza di una relazione diretta fra il carico di lavoro da

assolvere, le richieste di cura familiare, lo stress e la salute fisica e psichica. In realtà questa

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relazione non è lineare poiché intervengono molti aspetti che limitano la possibilità di definire

forti relazioni causali. Lo stress da lavoro si manifesta in condizioni di incompatibilità interne

alla sfera professionale (i tempi di realizzazione di un lavoro non sono congruenti con il grado

di accuratezza richiesta) o di incompatibilità con sfere esterne al lavoro (inconciliabilità di

ruoli sociali, per esempio essere al lavoro quando è necessario essere a casa con i figli

ammalati).

Dal punto di vista fisiologico, i fattori di stress attivano una catena di eventi in cui gli ormoni

che vengono rilasciati – il cortisolo, un ormone prodotto dalla ghiandola endocrina –

viaggiano attraverso il flusso sanguigno ed influiscono su molti organi. Siccome il flusso

degli ormoni è relativamente lento le conseguenze dello stress continuano ad influenzare gli

organi molto più a lungo degli eventi scatenanti stress. Così, uno stress costante associato a

eventi più intensi contribuisce a creare problemi di salute fisica e psichica che possono

manifestarsi attraverso differenti patologie. Un ampio corpo di letteratura medica mostra

come il cortisolo danneggia i neuroni nell‟ippocampo (l‟area principale del cervello che

sopporta la memoria) ed altre parti del cervello (Sapolsky, 1994 - cit. in Halpern, 2005)

influendo negativamente sulla memoria e su meccanismi psicologici cognitivi. Tutto questo

ha o può avere ricadute rilevanti per le imprese in termini di valore delle prestazioni dei

dipendenti e tasso di assenteismo. Quando i lavoratori sono malati, la loro prestazione

lavorativa è più scarsa, prendono più giorni di assenza per malattia e possono potenzialmente

danneggiare le prestazioni complessive se le loro mansioni sono svolte in collaborazione con

altri colleghi.

Lo stress può anche avere a che fare con il turnover che può rappresentare per i datori di

lavoro una voce di spesa piuttosto consistente, visto che i lavoratori che stano lasciando il loro

lavoro riducono la loro produttività e i costi di assunzione e formazione di personale possono

essere molto elevati. Ora, i carichi e le responsabilità familiari acuiscono il senso di pressione

rispetto alle responsabilità lavorative e possono incidere significativamente sul turnover. Lo

stress dovuto al sentire una costante scarsità di tempo aumenta la probabilità dei lavoratori di

cambiare o lasciare il lavoro (effetto prevedibile osservando l‟andamento di ritardi ed assenze

da lavoro). In tali condizioni l‟offerta di strumenti di conciliazione si configura come una

valida strategia per ridurre tali patologie associate allo stress. Questo perché è ampiamente

riconosciuto come la possibilità di controllare e prendere decisioni sulle modalità ed i tempi

del proprio lavoro è linearmente associata negativamente ai fattori di stress permettendo

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quindi ai lavoratori di elaborare strategie di coping che possono mitigare gli effetti dello

stress. Tale dinamica sottolinea come lo stress non sia legato agli obiettivi professionali e

familiari richiesti ma alla capacità dei lavoratori di controllare lo svolgimento del proprio

lavoro e gestire i carichi familiari.

Il contributo empirico di Halpern (2005) – la cui analisi teorica è quella che abbiamo

sinteticamente descritto - ha quindi l‟obiettivo di rilevare la relazione esistente fra lo stress da

lavoro, il numero di politiche di flessibilità presenti in azienda, il bisogno di politiche di

flessibilità espresso dai lavoratori, l‟impegno professionale rispetto al lavoro, i costi per

l‟organizzazione nell‟implementare misure di flessibilità4, partendo dall‟ipotesi secondo cui la

disponibilità di politiche del lavoro che permettono ai lavoratori la capacità di pianificare e

affrontare la domanda competitiva di tempo familiare e professionale, ridurrà il loro stress e

ripagherà i costi sostenuti dai datori di lavoro.

I costi di cura della salute, l‟assenteismo e il turnover sono tra i costi più significativi per i

datori di lavoro – costi che sono spesso ignorati o sottostimati quando i datori di lavoro

cercano il modo per ridurre le spese. Molti inoltre rigettano l‟idea di una maggiore flessibilità

e capacità decisionale dei dipendenti come metodo per risparmiare denaro. Il risultato di

queste miopie è che i datori di lavoro, quando pensano di tagliare i costi, raramente prendono

in considerazione la possibilità di politiche che permettano ai lavoratori di gestire il loro

impegno del tempo, sebbene molta letteratura sostenga l‟esatto opposto.

4Queste dimensioni sono operativizzate attraverso diversi indicatori come segue:

- la necessità di politiche del tempo flessibile del lavoro con tre indicatori (numero di figli minorenni, età

del figlio più giovane, cura di altri adulti, oltre i 65 anni)

- numero di politiche di flessibilità del tempo di lavoro con sei indicatori: (prendere tempo per occuparsi

del figlio ammalato; quanto è difficile prendere tempo; poter scegliere di avviare o fermare il tempo per il lavo-

ro; presenza assenza di una penalità per l‟utilizzo di lavoro flessibile, poter lavorare da casa; poter lavorare a

tempo pieno o part-time come necessario)

- impegno rispetto al datore di lavoro con tre indicatori: (lavoratore lavora più di quanto debba; lavoratore

è corretto verso il datore di lavoro; il lavoratore farebbe lo stesso lavoro ancora)

- lo stress da lavoro con sei indicatori: (frequenza negli ultimi tre mesi di sentimenti del lavoratore: emo-

tivamente svuotato; usato; stanco quando ci si alza al mattino per lavoro; stressato; con problemi di salute mino-

ri; particolarmente nervoso)

- costi per l‟organizzazione con quattro indicatori (negli ultimi tre mesi: il lavoratore ha avuto conflitti a

causa di problemi nel rispondere a scadenze con i lavoro; i conflitti familiari interferiscono con la capacità dei

lavoratori di fare un buon lavoro; numero di volte in cui il lavoratore ha iniziato il lavoro più tardi o la ha lascia-

to prima a causa dei conflitti familiari).

Page 22: Report. Territori che conciliano

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Generalmente, infatti, le aziende che hanno politiche di cura dell‟infanzia o programmi di

flessibilità dell‟orario o del luogo di lavoro, ricche possibilità di congedi parentali e altri

benefit, hanno lavoratori che sono più corretti nei confronti dell‟azienda, più soddisfatti del

proprio lavoro e prendono meno giorni di malattia, rispetto alle aziende che non hanno

politiche di questo tipo.

Lavorando sui dati del National Study of the Changing Workforce 1997, relativi a 1901

lavoratori uomini e 1651 donne, arriva ad una conclusione incoraggiante: «i dati offrono un

messaggio importante e chiaro ai datori di lavoro e ai policy makers, è un affare offrire

impieghi con opzioni di lavoro flessibile», suggerendo che un modo per ridurre i costi è dare

ai lavoratori la flessibilità con cui gestire il proprio tempo poiché il controllo della propria

attività lavorativa è un caratteristica importante che influenza la salute dei lavoratori e la loro

performance. Questa conclusione è sostenuta da dati che evidenziano come il maggior numero

di politiche di tempo flessibile offerte dalle aziende influenzano il maggior impegno del

lavoratore verso l‟azienda, incidono negativamente sulla dichiarazione di livelli di stress da

lavoro che riducono gli sforzi ed i costi organizzativi delle aziende.

L‟impegno verso il lavoro e la minore incidenza dello stress da lavoro si configurano come

regolatori della relazione fra offerta di pratiche di flessibilità e costi organizzativi sostenuti. In

estrema sintesi, il maggior numero di politiche offerte da una azienda riduce i costi

organizzativi sostenuti attraverso meccanismi di efficacia ed efficienza lavorativa.

Possiamo leggere questa relazione in senso inverso, considerando i casi in cui la richiesta di

misure di flessibilità resta inevasa. La necessità di politiche di flessibilità del lavoro non ha

effetti diretti sul numero di politiche di flessibilità offerte dalla organizzazione e così, visto

che la relazione tra la necessità di politiche della flessibilità e costi organizzativi è mediata dal

numero di politiche di tempo flessibile presenti, impegno verso l‟organizzazione e percezione

di stress, un crescente bisogno di politiche family friendly favorisce l‟emergenza di stress da

lavoro, fa diminuire l‟impegno verso l‟organizzazione e incrementa i costi organizzativi.

È evidente come la richiesta di pratiche di conciliazione non è necessariamente associata

all‟offerta. Per esempio i lavoratori che necessitano di tempo flessibile non sono più probabili

di lavorare per aziende che li offrono e ciò ha importanti ricadute per gli equilibri ed i vantag-

gi per aziende e dipendenti. Perché?

Questa domanda propone con forza il carattere culturale delle politiche di conciliazione, più

di quello strumentale.

Page 23: Report. Territori che conciliano

23

1.2.2 - Misure di flessibilità e intensificazione del lavoro. Un paradosso?

L‟espressione “organizzazione del lavoro flessibile” è stata utilizzata in senso ampio per co-

prire un ventaglio di modelli organizzativi del lavoro, incluso l‟orario ridotto, gli orari non

standard, varie forme di lavoro da remoto e l‟orario di lavoro compresso. La sua peculiarità è

che – in linea di principio – è il dipendente, non il datore di lavoro, a scegliere questa partico-

lare condizione. Quindi, le politiche del lavoro flessibile sono normalmente designate per of-

frire al dipendente un livello di scelta su quanto, quando e dove lavorare e aiutarlo a raggiun-

gere più soddisfazione nell‟equilibrio della vita personale e professionale. Per questo non ci si

aspetterebbe che l‟implementazione di lavoro flessibile possa favorire un processo

d‟intensificazione del lavoro. Tuttavia molti studi hanno illustrato un ventaglio di prove empi-

riche a generale supporto di tale ipotesi, rilevando un impatto positivo fra flessibilità e soddi-

sfazione per il lavoro, grado di autonomia, livelli più bassi di conflitti e – come abbiamo visto

– di stress. Nella prospettiva aziendale ciò può tradursi in una performance economica supe-

riore alla media e in un miglioramento della qualità del lavoro prestato (Golden 2011).

Il contributo di Kelliher e Anderson (2010) ha l‟obiettivo di indagare l‟esperienza vissuta dai

dipendenti con orario o organizzazione del lavoro flessibile, con riferimento specifico alle

evoluzioni della loro vita professionale e all‟intensità ed impegno nel lavoro. Secondo il loro

punto di vista l‟implementazione di pratiche di lavoro flessibile ha ricevuto una notevole at-

tenzione nella letteratura scientifica con particolare riguardo al tema della conciliazione fami-

glia lavoro ma scarsi risultati si sono ottenuti in merito alla valutazione degli impatti sulla in-

tensità del lavoro. Probabilmente – sostengono – il discorso predominante sulla conciliazione

vita lavoro ha oscurato altre importanti implicazioni. Gli autori indicano tre categorie princi-

pali entro cui osservare la modalità con cui si realizza l‟intensificazione del lavoro: imposta,

abilitata e come forma di scambio.

La percezione di una intensificazione del lavoro imposta rimanda a quella situazione in cui il

carico di lavoro non decresce in linea con il numero di ore di lavoro. Spostandosi da un orario

pieno ad uno ridotto, può definirsi una situazione in cui sono pagate un numero minore di ore

di lavoro per prestazioni simili a quelle di un orario pieno. Inoltre, l‟intensificazione del lavo-

ro può configurarsi come estensiva, in quelle situazioni in cui viene richiesta ampia disponibi-

lità che va oltre l‟orario di lavoro programmato.

L‟intensificazione abilitata si caratterizza per una particolare efficienza e qualità nel lavoro

svolto, favorito dall‟organizzazione flessibile del lavoro. Non solo dei tempi ma anche degli

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24

spazi, poiché è connesso alla capacità di concentrarsi sugli obiettivi più efficacemente quando

si è lontani da fonti di distrazioni. Questa particolare condizione appare problematica nel caso

del lavoro da casa in cui la possibilità di avere distrazioni può essere significativa e conflittua-

le con il lavoro.

Infine uno dei meccanismi che comporta l‟intensificazione del lavoro e atteggiamenti di mag-

giore disponibilità deriva da dinamiche di reciprocità e di scambio. Ciò si realizza quando i

lavoratori con un orario o un‟organizzazione del lavoro flessibile, esercitano volontariamente

forzi aggiuntivi in risposta a un generale sentimento di gratitudine e apprezzamento verso le

loro aziende. Per dare forma teorica a tali evidenze empiriche, gli autori assumono la teoria

sociale dello scambio (Blau, 1964) sostenendo che se una persona riceve alcuni vantaggi è

obbligato nei confronti del fornitore. Per risolvere tale obbligazione deve reciprocare e così,

per un dipendente che utilizza un‟opzione di lavoro flessibile, si genera un sentimento di ob-

bligazione verso il datore di lavoro che consolida e rigenera questo scambio. Lo scambio si

manifesta, infatti, quando gli attori offrono vantaggi reciproci, senza alcun accordo ma con

l‟aspettativa di godere di benefici nel futuro. Lo scambio reciproco tende ad essere stabilito

nel tempo, nei termini di relazioni durevoli. Tali dinamiche possono coinvolgere anche sog-

getti terzi e nel caso specifico può verificarsi che i lavoratori con formule di lavoro flessibile,

consapevoli dei possibili effetti negativi sui loro colleghi, possono sentire la necessità di au-

mentare i loro sforzi, per rispondere alle loro aspettative, o essere più disponibili nei loro con-

fronti favorendo così lo spirito e le performance del gruppo.

1.3 Misure di conciliazione famiglia-lavoro ed incidenza nella produttività. Prove empi-

riche ed esiti discordanti.

Nell‟ultimo decennio gli studi aziendali, in corrispondenza della evoluzioni

dell‟organizzazione del lavoro, si sono particolarmente interessati a quei sistemi definiti di

Human Resource High Performance in cui il raggiungimento di prestazioni professionali più

elevate è derivato dalla possibilità di partecipazione dei dipendenti nei processi decisionali e a

modalità di riconoscimento monetarie e non monetarie. L‟obiettivo organizzativo è dunque

quello di realizzare una forza lavoro di qualità elevata e con una forte motivazione

professionale ed elevato senso di responsabilità. All‟interno di tale prospettiva, anche i

programmi di conciliazione famiglia-lavoro possono configurarsi come strategie utili a

raggiungere quegli obiettivi poiché, se da un lato supportano i dipendenti nella riduzione del

Page 25: Report. Territori che conciliano

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conflitto fra la sfera del lavoro retribuito e quella familiare e di altre importanti attività

quotidiane, dall‟altra innescano processi di “fidelizzazione” - o appartenenza - aiutando le

aziende a mantenere i lavoratori più validi, che spesso hanno reclutato e formato e di

“vantaggi strumentali”, a cui i lavoratori preferirebbero non rinunciare.

Evidentemente – a fronte di possibili benefici per le aziende - le politiche di conciliazione

implementate hanno dei costi. Talvolta questi costi possono essere economicamente irrisori

(per esempio offrire informazioni sui servizi locali di cura e assistenza). In altri possono

essere economicamente irrilevanti ma rendere complicata la dimensione organizzativa del

personale (per esempio la flessibilità dell‟orario prevede investimenti economici nulli o molto

bassi, ma può risultare svantaggiosa – quindi sconsigliata – quando la produzione è

fortemente serializzata, dove cioè l‟attività di un lavoratore ha effetti su quello di un altro o

dipende da quello di un altro). In altri casi ancora l‟implementazione di misure di

conciliazione può comportare investimenti importanti (per esempio i nidi di infanzia possono

essere molto costosi da realizzare e coordinare). In tali circostanze, le aziende sono più

interessate a stimare i vantaggi a fronte di quegli investimenti.

Ora, se da un lato il legame tra misure di conciliazione e performance sembra ovvio, molte

strategie designate per migliorare la produttività della forza lavoro sono solo attese di tradursi

in misure di performance ma non è detto che ciò avvenga. Inoltre, l‟associazione tra pratiche

di conciliazione famiglia-lavoro e performance aziendale è generalmente considerata positiva

quando per performance si intendono gli atteggiamenti verso il lavoro, la cittadinanza

organizzativa, l‟impegno e la motivazione professionale ma meno rilevanti appaiono i risultati

se si considerano valori di produttività hard, come i fatturati, le vendite ecc. Parte del dibattito

scientifico si è concentrato su questi aspetti articolandosi entro due prospettive e domande di

ricerca:

chiarire la correlazione esistente fra l‟implementazione delle pratiche di conciliazione

famiglia lavoro e le performance aziendali.

definire in quali aziende e per quali ragioni è più probabile che si adottino misure di

conciliazione.

I due aspetti non sono affatto sconnessi fra loro ma, al contrario, offrono indicazioni riguardo

un momento comune, la ricerca cioè di come realizzare e interpretare quei meccanismi sottesi

alla dinamica fra l‟implementazione di politiche e le performance. Possiamo dire che, se il

primo aspetto cerca di leggere in modo diretto la connessioni esistente fra input (disponibilità

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26

e fruizione di strumenti) ed output (performance professionale), il secondo interpreta quei

meccanismi in forma inversa, ragionando su quelle condizioni che contribuiscono a ricercare

e promuovere le misure di conciliazione.

1.3.1 - L’implementazione delle pratiche di conciliazione famiglia lavoro e le performance

aziendali.

Una domanda implicita che ci aiuta a chiarire il contributo di questa seconda prospettiva al

dibattito è: se le pratiche di conciliazione famiglia-lavoro sono universalmente desiderabili,

perché non tutte le aziende le adottano?

Partiamo dal primo punto. Anche se la ricerca scientifica non ha prodotto una argomentazione

definitiva sulle effettive connessioni tra politiche e performance, sussistono tuttavia elementi

incoraggianti provenienti dagli studi empirici inoltre, sebbene si possa prendere teoricamente

in considerazione la condizione in cui l‟implementazione di pratiche di conciliazione abbia

effetti negativi su indici di performance e sui profitti, nessun caso empirico studiato ha

rilevato tale evidenza. Ciò rigetta la posizione di chi sostiene che l‟offerta di strumenti e

politiche di conciliazione aziendali sottraggano risorse dai profitti.

Chiariti questi aspetti, possiamo presentare – sinteticamente – alcuni elementi e risultati del

dibattito internazionale. Evidentemente questa piccola rassegna non ha la pretesa di esaurire il

dibattito ma vuole semplicemente illustrarne la vivacità e ricchezza.

La decisione delle aziende di offrire misure si conciliazione è data non solo dalla domanda dei

dipendenti nel rispondere a necessità e responsabilità familiari, ma anche da come le aziende

credono che tali strumenti possano influenzare il loro profitto. Molti manager, policy maker e

studiosi attribuiscono infatti un‟importanza sempre maggiore alla implementazione di misure

di conciliazione come strumenti per garantire produttività e ridurre i tassi di assenteismo, i

livelli di stress e l‟intenzione di turnover. In linea generale possiamo raccogliere in tre grandi

ordini i vantaggi che le aziende si attendono di concretizzare in funzione dell‟offerta di misure

di conciliazione e che possiamo indicare come: dinamiche di supporto e riduzione dei carichi,

motivazionali, selettive del personale.

- Dinamiche di supporto e riduzione dei carichi: offrendo al lavoratore maggiori politiche di

congedi, flessibilità negli orari, risorse per questioni familiari, si possono prevenire i problemi

che generalmente contrastano le performance professionali e si possono raggiungere

risoluzioni più efficaci nella gestione dei conflitti famiglia-lavoro. Questo comporta una

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27

maggiore attenzione per il lavoro, minore assenteismo e intenzioni di turnover. Inoltre i

programmi di lavoro flessibile con elevata capacità decisionale e i congedi famigliari possono

definire strategie ottimali di adattamento dei picchi (positivi o negativi) di produttività

personale. Per esempio i congedi parentali possono essere favorevoli per rispondere a periodi

che potrebbero essere meno produttivi, così come la possibilità di decidere sugli orari in cui

lavorare può incontrare momenti di produttività personale più alti.

- Dinamiche motivazionali: il secondo aspetto rimanda alle dinamiche motivazionali. I

dipendenti possono lavorare con più impegno e con maggiore efficacia, cooperare più

pienamente nella formazione, assumersi maggiori responsabilità personali rispetto all‟operato,

assistere e monitorare gli obiettivi. Per esempio possono fare migliore uso del materiale di

produzione riducendo gli scarti. Possono facilitare le dinamiche comunicative interaziendali e

favorire la crescita formativa specie nel passaggio a nuove tecnologie e strumenti di

produzione.

- Dinamiche di selezione del personale: i lavoratori possono preferire le aziende con i

programmi di conciliazione famiglia lavoro, permettendo alle aziende di attingere da un

bacino più ampio di candidati, in cui scegliere i più qualificati.

Tuttavia, per quanto in linea di principio si ipotizzi una dinamica logico-consequenziale fra

benefici dei supporti familiari e produttività, i contributi quantitativi che documentino questi

effetti non sono definitivi. È presumibilmente questa la ragione per cui molte aziende sono

incerte rispetto alla implementazione di politiche di conciliazione, poiché non è sempre chiara

l‟entità dei rischi e dei vantaggi economici annessi.

Secondo Bloom e colleghi (2011) il complesso delle misure di conciliazione non sono in

generale “buone pratiche” che migliorano le performance aziendali. Le misure di

conciliazione - in quanto tali – non aiutano le aziende a creare valore aggiunto e soprattutto

non hanno un ruolo determinante nelle organizzazioni che massimizzano le perfomance

economiche. Questo aspetto è particolarmente rilevante da chiarire perché, se le pratiche di

lavoro family friendly rinforzano certamente la capacità dei dipendenti di combinare lavoro e

vita personale queste non agiscono direttamente sulle performance economiche aziendali.

L‟assenza di un impatto economico positivo non deve essere comunque considerato una

ragione valida per disincentivare tali implementazioni poiché esse hanno un effetto tangibile

sul benessere dei dipendenti e sono comunque considerate come politiche che migliorano le

performance aziendali in termini di soddisfazione dei lavoratori. L‟aspetto economico non

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28

deve cioè essere considerato il principale obiettivo per implementare pratiche di conciliazione

famiglia lavoro. Le aziende, infatti, possono offrire misure di conciliazione prendendo in

considerazione elementi diversi dai benefici economici, rispondendo, in particolare, alla

questione del benessere dei dipendenti o della responsabilità sociale d‟impresa.

In una ricerca in cui vengono coinvolte 120 organizzazioni di Onondaga County, New York,

Baughman e colleghi (2003) offrono un contributo al dibattito sugli impatti delle misure di

conciliazione sulla produttività e sul profitto per le aziende. L‟ipotesi di partenza è quella per

cui questi tipi di benefit possono “ripagare” le aziende attraverso la combinazione di due

elementi: l‟aumento della produttività e l‟offerta di salari più bassi. Le domande di partenza

sono: le aziende che offrono politiche “family friendly” godono di guadagni misurabili nella

produttività della propria forza lavoro? Queste aziende sono in grado di recuperare tutto o

parte dei costi dell‟offerta di benefit pagando salari più bassi?

Le misure di conciliazione osservate sono raggruppate in congedi familiari, lavoro condiviso,

presenza di asili nido aziendali mentre la produttività – associata a tali benefici – è declinata

come: stato d‟animo dei dipendenti, tasso di turnover, assenteismo, efficacia nel reclutamento.

I cambiamenti nello stato d‟animo possono trasformare direttamente i livelli di produttività

alterando il ritmo e la qualità del lavoro individuale, così come possono mediare le intenzioni

di turnover e l‟assenteismo. Tuttavia, sebbene i cambiamenti nei livelli dello stato d‟animo

siano soggettivamente descrivibili e rappresentabili in forma di narrazione, è estremamente

difficile “misurarli” e anche quando lo sono è molto difficile determinare come essi

influenzano la produttività. Il turnover, l‟assenteismo ed il reclutamento sono invece associati

maggiormente al profitto dell‟azienda poiché, prevedendo dei costi (la perdita di produttività

del dipendente che si prepara lasciare quel posto di lavoro; la posizione che resta vuota fino a

quando non viene rimpiazzato; i costi di assunzione di un nuovo dipendente; il periodo di

formazione e di ridotta produttività) sono rilevati con la stessa unità di misure: il denaro.

Inoltre, i datori di lavoro che offrono strumenti di supporto familiare possono attribuire gli

utili della produttività a migliori processi di reclutamento. I lavoratori si applicano nel lavoro

non solo per i livelli di retribuzione, ma anche in base a come il mix di salari e benefit

rispondono ai loro bisogni. Se molti lavoratori chiedono benefici come l‟orario flessibile,

congedi retribuiti e cure dei figli, allora le aziende che offrono tali benefici avranno un

maggiore bacino di candidati qualificati da selezionare e assumere.

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29

Date le premesse, i risultati non rilevano prove riguardo all‟aumento della produttività in

funzione dei maggiori sostegni familiari. Fanno eccezione quei casi in cui l‟offerta di congedi

per malattia e assistenza all‟infanzia si associa a tassi di turnover più bassi. Inoltre, con

riferimento alla seconda ipotesi, i risultati dell‟indagine offrono prove più robuste della teoria

economica: sebbene non si rilevi una decrescita significativa dei salari in funzione della

presenza di strumenti di conciliazione, si osserva come le aziende che offrono servizi di cura

per l‟infanzia, congedi per malattia e modalità organizzative flessibile dell‟orario di lavoro,

hanno salari più bassi in ingresso. Questo risultato suggerisce che le organizzazioni che

offrono benefici di sostegno familiare recuperano in parte i costi di questi benefici pagando

salari in ingresso inferiori.

Un risultato affine è quello proposto dall‟analisi di Heywood e colleghi (2007) che,

utilizzando i dati della Workplace Employment Relations Survey del 1998 (WERS - UK),

indagano la misura in cui le richieste di pratiche di lavoro family friendly possono avere

conseguenze inattese nella riduzione dei salari. Gli autori partono da una rivisitazione delle

letteratura economico-aziendale in cui si conferma come, in condizioni di lavoro in cui sono

più elevati i rischi per la salute e la incolumità fisica, i salari tendono ad essere più elevati. Al

contrario, in condizioni di maggiore sicurezza sul lavoro e quando i lavoratori hanno un

maggior controllo sui ritmi del proprio lavoro e dispongono di benefit più generosi, i salari

tendono ad essere più bassi. Entro questa cornice le pratiche family friendly sono viste come

servizi al lavoro, preziosi per i lavoratori e costosi per i datori di lavoro, che generano un

differenziale di compensazione salariale negativo.

Nella loro elaborazione introducono la variabile reddito che ritengono fondamentale per

rilevare la relazione fra salari e misure di conciliazione offerti, generalmente non valorizzata

nelle indagini su tale argomento. La letteratura su famiglia e lavoro infatti è piuttosto

concorde – sostengono – sul fatto che l‟offerta di pratiche family friendly è di interesse dei

datori di lavoro poiché “la felicità dei lavoratori rende più profittevoli le imprese”. Le pratiche

family friendly sono tendenzialmente associate alla maggiore soddisfazione per il lavoro e

quindi ad al maggior impegno professionale. Le pratiche family friendly sono viste come un

metodo che può ridurre il turnover così come permettono contemporaneamente di andare

incontro alle necessità delle famiglie. Gli studiosi apportano diversi studi (a cui rimandiamo)

che evidenziano risultati contraddittori. Da una parte i più scettici che sostegno la fallacia di

determinate assunzioni. Lanoie e colleghi (2001) comparano la produttività dei lavoratori

Page 30: Report. Territori che conciliano

30

prima e dopo l‟introduzione di un programma di lavoro condiviso ed osservano una decrescita

significativa della produttività. Shephard e colleghi (1996) trovano “ininfluente” l‟effetto

dell‟orario di lavoro flessibile sulla produttività mentre Hainese colleghi (1999) mostrando

come l‟orario di lavoro flessibile non ha effetti significativi sul tasso di turnover. Ma ci sono

anche osservazioni propositive che incoraggiano l‟adozione di politiche aziendali. Johnson e

Provan (1995) rilevano che l‟utilizzo di pratiche family friendly è associato ad una crescita dei

salari ed un risultato simile è riportato da Gariety e Shaffer (2001), che estendono questo

studio ad un campione nazionale rappresentativo degli Stati Uniti. In questo caso, nonostante i

numerosi controlli per variabili, come il settore e la dimensione industriale, il capitale umano

e le variabili come le ragioni per cui le persone desiderano pratiche family friendly, si rileva

che il tempo flessibile è associato ad un salario significativamente più elevato. Data questa

discontinuità, diventa necessario individuare quali sono le condizioni entro cui si realizza un

vantaggio sia per le aziende che per i lavoratori.

I ricercatori si concentrano sul salario perché è espressione di un equilibrio esistente nel

mercato del lavoro fra le istanze di flessibilità dell‟azienda e quelle provenienti dal lavoratore.

Quando l‟accordo sulla flessibilità si avvicina alla preferenza dell‟azienda i salari saranno più

elevati, mentre quando si sposta verso la preferenza del lavoratore i salari saranno più bassi.

Introducendo questa variabile è possibile argomentare una dinamica che altrimenti non si

vedrebbe e che viene definita come “effetto reddito”. L‟associazione positiva tra la

disponibilità e la fruizione di misure di conciliazione e i salari possono non aver e nulla a che

fare con la produttività ma riflettere invece gli effetti del reddito. I lavoratori con guadagni più

elevati ne utilizzano una parte per acquistare pratiche family friendly attraverso dinamiche del

mercato implicito. Le aziende, per reclutare e mantenere tali lavoratori devono offrire loro

salari più elevati e strumenti di conciliazione come asili nido e possibilità di lavoro da casa

(gli unici strumenti che in questo contributo sono associati alla produttività), tendenzialmente

più costosi. Al contrario, all‟interno del mercato del lavoro, le aziende in grado di offrire

pratiche di conciliazione a buon mercato attirano i lavoratori che apprezzano tali misure e ne

necessitano al punto da accettare salari ridotti per coprire i costi dell‟offerta. In questo caso i

lavoratori sono disposti a scambiare reddito per misure di conciliazione. I ricercatori rilevano

che in tale circostanza le misure di flessibilità del lavoro non incidono sulla produttività e

soprattutto che l‟indice complessivo delle pratiche family friendly è associato, a parità di

condizioni, con una forte riduzione (del 20%) dei salari.

Page 31: Report. Territori che conciliano

31

La disponibilità delle organizzazioni di offrire strumenti di conciliazione famiglia-lavoro sarà

dunque condizionata dal mercato del lavoro di figure professionali che hanno guadagni più

elevati in grado di sostenere i costi per acquisire realmente questi benefici impliciti e

“ripagare” gli strumenti offerti in termini di innovazione e produttività.

Anche il contributo di Clifton e Shepard (2004) sostiene come la stima della produttività può

offrire informazioni potenzialmente rilevanti per valutare i benefici economici associati ai

programmi di conciliazione famiglia-lavoro. Pochi contributi scientifici – sostengono – hanno

applicato un modello econometrico per rilevare l‟impatto dei programmi sulla produttività.

C‟è evidentemente un‟assenza di informazioni sui costi e sui benefici economici delle aziende

che implementano politiche orientate alla famiglia e ciò è dovuto in parte alla difficoltà

preliminare di rilevare e classificare la totalità delle pratiche di conciliazione messe in atto. In

questo lavoro, diversamente dai precedenti e in continuità con gran parte della letteratura, si

ipotizza che i programmi di conciliazione famiglia lavoro contribuiscono a migliorare la

produttività, per diverse ragioni. In che modo?

In questo contributo la produttività è intesa come il valore netto delle vendite per dipendente,

mentre l‟indice delle politiche di conciliazione (Family Friendly Index – FFI) deriva da una

classificazione proposta dal Family and Work Institute (US) che rimanda a tre principali

fattori:

Le risorse aziendali offerte per programmi di conciliazione famiglia lavoro;

la flessibilità dell‟orario di lavoro e le politiche di congedi;

la percezione di dipendenti su quanto l‟azienda o il management siano suppor-

tivi;

le variabili economiche e aziendali: il capitale lordo, il valore del capitale fisi-

co, il numero dei dipendenti.

Operativamente gli autori si affidano a diversi modelli di regressione da cui emerge – in

sintesi – come l‟aumento dell‟indice family friendly sia associato ad una crescita della

produttività. Con un aumento dell‟indice family friendly del 10% è atteso un aumento di

produttività di circa l‟1%. Inoltre, è ragionevole assumere che il livello di produttività di una

azienda dovrebbe influenzare la sua capacità di offrire tali programmi. Così, quando l‟indice

family friendly è trattato come variabile esogena si rileva come un suo incremento del 10% sia

accompagnato all‟aumento della produttività del 2-3%.

Page 32: Report. Territori che conciliano

32

Nonostante l‟importante apporto tecnico all‟argomento, questo studio manca di un elemento

fondamentale. Contrariamente alle proposte iniziali, che dichiarano, gli autori non riescono ad

identificare meccanismi specifici attraverso cui viene influenzata la produttività.

1.3.2 – In quali aziende e per quali ragioni è più probabile che si adottino misure di concilia-

zione.

Per risponde al secondo aspetto, con cui stiamo affrontando la letteratura, partiamo dal

contributo di Konrad e Mangel (2000) che si interessa di individuare le condizioni per cui le

aziende sono più probabili che realizzino politiche family friendly. Gli autori sostengono

l‟ipotesi secondo cui i benefici – in termini di produttività – dati dall‟implementazione di

programmi di conciliazione sono probabilmente più significativi e consistenti per quelle

organizzazioni che hanno:

una elevata percentuale di professionisti con elevata qualifica;

investito molto nella formazione di competenze specifiche dei dipendenti dell‟azienda;

una percentuale elevata di dipendenti donne.

La descrizione del perché ciò avvenga è l‟oggetto della ricerca che si articola secondo i tre

momenti.

a - Lavoratori con elevata professionalità

I professionisti – cioè gli esperti che applicano forme di conoscenze specialistiche ad una

serie di problemi complessi – sono risorse “critiche” per le aziende a causa della loro

conoscenza tacita, costi, scarsità e trasferibilità delle loro competenze. In quanto “portatori” di

conoscenze specializzate - difficili da reperire e costose da sviluppare nel breve periodo – i

professionisti hanno la capacità e la funzione di ridurre le incertezza che presenta il mercato,

il settore industriale, la produzione aziendale ecc., gestendo un complesso di problemi non

routinari. Inoltre, attirare e mantenere un nucleo di professionisti con qualifiche elevate può

essere particolarmente rilevante per le aziende perché molte delle competenze dei

professionisti sono generalizzabili, possono cioè essere apprezzate dagli altri dipendenti,

abilitare il lavoro degli altri e “contaminare” l‟ambiente di lavoro. In un periodo in cui le

imprese sono sottoposte ad una elevata competizione globale e a rapidi ed improvvisi

cambiamenti della domanda, per affermarsi in settori industriali e di mercato, disporre di

competenze generalizzabili è fondamentale. Non solo, tali competenze appaiono anche le

Page 33: Report. Territori che conciliano

33

risorse più difficili da proteggere poiché le organizzazioni competitor possono fare offerte

migliori per accedere a tali competenze. Mantenere professionisti di elevata qualità è una

questione critica perché la domanda di professionisti è in crescita rispetto agli altri lavoratori e

per tali ragioni le aziende che impiegano un maggior numero di professionisti sono più

probabili di adottare programmi di conciliazione estensivi.

Inoltre, un ulteriore aspetto per cui la gestione aziendale può essere particolarmente

interessata alla gestione dei conflitti famiglia-lavoro dei professionisti è dovuta alla maggiore

perdita di valore monetario in seguito a turnover, distrazioni e orario di lavoro ridotto, o della

riduzione dell‟impegno dei professionisti, rispetto a quei lavoratori meno qualificati e pagati

meno. In particolare le misure di conciliazione si configurano come strumenti particolarmente

adatti e vantaggiosi rispetto a queste figure professionali perché i professionisti con elevata

qualifica, esprimono il loro “picco di produttività” fra i trenta e quarant‟anni, in

corrispondenza della formazione familiare e della nascita del primo figlio – eventi ritardati dal

lungo periodo di istruzione e formazione. Nei professionisti la domanda competitiva fra

lavoro e famiglia è enfatizzata in corrispondenza del loro periodo di maggiore produttività.

Infine i programmi di conciliazione famiglia lavoro, specie quelli che riguardano

l‟organizzazione dell‟orario lavorativo, si adattano particolarmente bene agli elevati livelli di

autonomia di cui i professionisti necessitano per svolgere nel miglior modo possibile le

proprie mansioni.

b - Dipendenti formati in azienda e con competenze specifiche

Esiti simili possono essere rilevati ed attribuiti con riferimento a quei lavoratori che non sono

professionisti con qualifiche elevate e generalizzabili ma che hanno sviluppato, durante la loro

esperienza professionale, competenze specifiche tali da rendere l‟azienda “dipendente” dalla

loro professionalità e dalle loro prestazioni. Lo sforzo discrezionale, le iniziative, e i

suggerimenti provenienti dai lavoratori con competenze specifiche possono essere

particolarmente apprezzate per le aziende, perché questi dipendenti hanno le conoscenze

necessarie per risolvere efficacemente problemi e implementare delle soluzioni. Così le

aziende tenderanno ad offrire incentivi a ogni dipendente che possiede competenze e

conoscenze particolarmente rilevanti per il successo dell‟azienda che non sono facilmente

accessibili nel mercato del lavoro, soprattutto se sono realizzate attraverso percorsi di

formazione promossi dalla stessa azienda. Fornire strumenti di conciliazione famiglia-lavoro

Page 34: Report. Territori che conciliano

34

è una delle strategie aziendali per estendere il margine di produttività poiché induce questi

lavoratori a massimizzare l‟impegno sul lavoro; tendono a ridurre le perdite di produttività

derivanti dai conflitti famiglia-lavoro; motivano infine i dipendenti ad esercitare sforzi

discrezionali come parte di un processo di scambio generalizzato.

Differentemente dalla precedente situazione, queste figure – data la specificità professionale –

in generale non sono contese sul mercato nel lavoro e per questo le misure di conciliazione

non funzionano per trattenere i lavoratori da altri competitor ma scoraggiano comportamenti

di chi lavora sotto le proprie capacità e rappresentano un deterrente a cambiare settore

produttivo (dove non sarebbe riconosciuta tale professionalità) o a lasciare il lavoro, perdendo

anche i benefit associati.

c - Presenza rilevante di lavoratrici

Si tratta della condizione che possiamo considerare più intuitiva. Nelle aziende in cui la

presenza femminile è particolarmente elevata, il rischio di perdita di produttività dovuta a

carichi di cura e di organizzazione familiare è superiore rispetto a quelle aziende in cui la

presenza di donne è scarsa o minore. Questo è dovuto al fatto che la responsabilità principale

della cura domestica e dei figli ricade quasi esclusivamente sulle donne. Così, le aziende che

impiegano elevate percentuali di lavoratrici sono più “dipendenti” da loro ed è più probabile

che adottino programmi di conciliazione famiglia-lavoro estensivi per ridurre la perdita di

produttività dovuta all‟assenteismo ed agli effetti tipici del conflitto famiglia-lavoro.

In sintesi, siccome il conflitto famiglia-lavoro è maggiore per le lavoratrici rispetto ai

lavoratori, la riduzione d‟impegno, distrazioni, ritardi e assenteismo conseguenti, ha un

maggiore impatto sulla produttività delle aziende che impiegano un‟ampia forza lavoro

femminile. È quindi più probabile che queste aziende implementino programmi di

conciliazione famiglia-lavoro. In particolare si sostiene che l‟implementazione di misure

family friendly è più probabile che si realizzi in quelle organizzazioni in cui le donne coprono

ruoli manageriali (Bloom, Kretschmer, Reenen 2011). Tale legame è spiegato attraverso due

dinamiche, fra loro connesse:

in quanto manager, le donne sono in condizioni contrattuali migliori per richiedere e

negoziare pratiche vantaggiose per il loro benessere;

in quanto manager, le donne hanno maggiori probabilità di superare le resistenze am-

bientali nell‟implementare e generalizzare le misure di conciliazione.

Page 35: Report. Territori che conciliano

35

Quest‟ultimo aspetto apre ad una dimensione molto rilevante rispetto alla connessione fra

implementazione delle pratiche di conciliazione e produttività: il management.

1.4 Il management

Abbiamo già illustrato come l‟offerta di misure di conciliazione da parte delle aziende non è

affatto omogenea ma cambia in funzione di differenti fattori, come quelli strutturali (il settore

industriale, le dimensioni aziendali, l‟età dell‟azienda, la proporzione di donne impiegate);

quelli storico-culturali (che rimandano alla presenza di una tradizione con cui

l‟organizzazione supporta le necessità dei dipendenti); quelli strategico-strumentali (la

consapevolezza che alla misure di conciliazione si associano minori tassi di turnover,

assenteismo, fidelizzazione dei dipendenti, la costruzione di una immagine pubblica con

rispettivi ritorni economici) e abbiamo introdotto una riflessione sul ruolo del management e

della struttura organizzativa per la buona riuscita delle politiche di conciliazione.

Frequentemente la dimensione manageriale definisce un aspetto critico per l‟implementazione

e l‟efficacia delle misure di conciliazione. Questo aspetto può essere così rilevante da meritare

una sezione specifica di approfondimenti e definirsi come un “meccanismo” regolativo.

Bloom, Kretschmer e Reenen (2011) partono dalla considerazione che il management è la

chiave di volta per comprendere e favorire il corretto funzionamento delle politiche di welfare

aziendale e di conciliazione. Studiano l‟impatto delle pratiche di conciliazione famiglia lavoro

in 450 aziende di Germania Francia, Regno Unito e Stati Uniti distinguendo operativamente

due momenti: l‟esistenza di una relazione diretta fra produttività aziendale e misure di

conciliazione; l‟esistenza di una relazione indiretta, mediata dal “buon management”5. Fra le

5In particolare declinano:

1 - le misure di conciliazione includendo forme di flessibilità per la cura dell‟infanzia, il lavoro da casa,

flessibilità dell‟orario di lavoro, lavoro condiviso, sussidi per l‟infanzia attraverso formulazioni come: “Quanta

flessibilità c‟è se un dipendente ha bisogno di prendere un giorno per stare a casa per problemi con i figli”?

“Lavorare a casa nel normale orario di lavoro; cambiare da full time a part time; sussidi economici per aiutare a

pagare la cura dei figli.

2 - La qualità manageriale è rilevata attraverso quattro aree: operazioni, monitoraggio, obiettivi, incentivi

Le operazioni di management è centrata sulla introduzione di tecniche di produzione snelle, la docu-

mentazione di processi di miglioramento, e la logica dietro l‟introduzione di miglioramenti.

Il monitoraggio riguarda le performance di individui e la revisione delle performance (per esempio, at-

traverso regolari perizie e piani di lavoro) e conseguenze direttive (per esempio un sistema di premi e sanzioni

che garantiscano i piani di lavoro).

La sezione degli obiettivi esamina il tipo di obiettivi (se gli obiettivi sono semplicemente economici o

operativi o più olistici) il realismo degli obiettivi (troppo esteso, irrealistico) la trasparenza degli obiettivi (sem-

plice o complessa) il range e le interconnessioni degli obiettivi(esempio, se sono dati coerentemente attraverso

l‟organizzazione).

Page 36: Report. Territori che conciliano

36

diverse ipotesi che presentano e verificano – su cui non possiamo dilungarci – ci soffermiamo

su quella per noi più rilevante. Se le politiche family friendly aiutano a rendere il capitale

umano una risorsa aziendale più valida o inimitabile, aiutando i lavoratori ad essere più

produttivi o aiutando le aziende a mantenere i lavoratori validi ci aspetteremmo:

∂y/∂X ≥ 0

dove:

y = indice di performance (produttività e profitto)

X = indice di politiche family friendly (asili nido ecc.)

La relazione positiva fra le pratiche e le migliori performance aziendali è verificata, ma

omettendo la dimensione manageriale.

Quando invece – nei modelli di regressione – questa relazione è controllata attraverso l‟indice

di buon management, l‟associazione tende a scomparire. Ciò significa che la relazione fra

pratiche implementate e indicatori di performance è una relazione spuria, mediata dalla

capacità e dalle sensibilità del management di coordinare le richieste dei lavoratori e gli

strumenti di conciliazione alle loro prestazioni professionali. Tale studio offre importanti

spunti per – e invita la ricerca a – considerare la centralità delle capacità immateriali, come

quelle organizzative-manageriali, che sono elementi di regolazione in grado di rispondere, da

una parte alle richieste di conciliazione dei lavoratori e dall‟altra di influenzare le

performance e i risultati aziendali.

In uno studio condotto su 350 aziende americane, Konrad and Linnehan (1995) riportano

come il supporto del top management per le pari opportunità è positivamente correlato alle

“politiche formalizzate delle risorse umane”, una configurazione di politiche e pratiche family

friendly. Nella ricerca emerge come tali politiche migliorano lo status occupazionale delle

donne e delle persone di colore attraverso le funzioni svolte dal top management nelle

aziende, di facilitazione delle relazioni lavorative, di mediazione negli scambi fra lavoratori,

Gli incentivi includono criteri di promozione, pagamenti e bonus e o il colpire cattivi performers dove le

buone pratiche sono ritenute essere un approccio che da forti ricompense per chi ha sia capacità che sforzo.

3 - La produttività è invece intesa in termini di profitto economico

4 – Variabili di controllo date dalle caratteristiche della forza lavoro (età media dei dipendenti, ore di lavoro,

proporzione di dipendenti femmine, informazioni su competenze, formazione e sindacalizzazione ecc.).

Page 37: Report. Territori che conciliano

37

di sostegno di valori etici e di supporto del clima aziendale. Quando i top manager

enfatizzano alcuni valori come la correttezza e le pari opportunità e mettono questi valori in

pratica, ciò aiuta le aziende a ottenere l‟impegno dei lavoratori e una migliore reputazione

come impresa socialmente responsabile.

Inoltre, l‟adozione di pratiche di conciliazione è determinata da conoscenze, percezioni ed

esperienze dirette dei programmi di conciliazione dei manager. È quindi più probabile che una

azienda implementi politiche family friendly se i suoi dirigenti le hanno sperimentate e se

credono che tali pratiche possano raggiungere alcuni obiettivi organizzativi o il mantenimento

di personale di talento.

La rilevanza del management non si esaurisce però nei ruoli e nelle funzioni del top

management. Anche figure direttive intermedie, che connettono i livelli direttivi elevati agli

altri dipendenti, possono avere molta importanza nel corretto funzionamento ed

implementazione di politiche family friendly.

Le pratiche di gestione delle risorse umane hanno visto infatti un significativo spostamento

delle capacità e delle pratiche decisionali centralizzate a livello di management superiore ad

uno decentralizzato, devolvendo responsabilità a livello di line manager (responsabili o

direttori di linea di produzione da ora lm) (McCarthy et alii 2010). Tale devoluzione significa

anche una maggiore estensione delle incongruenze fra le politiche formulate a livello di

management superiore e le decisioni assunte al livello più basico. Appena le politiche delle

risorse umane si sviluppano entro una organizzazione gerarchica multilivello, i gradi

intermedi assumono particolare rilevanza nell‟influenzare le decisioni e l‟implementazione

pratica delle politiche, tanto che la politica delle risorse umane può essere qualcosa di distinto

dalla reale pratica (Legge, 2005 - cit in McCarthy et alii 2010). Le figure di direzione

intermedie regolano, negoziano ed interpretano le connessioni tra i livelli istituzionali e

strategici delle organizzazioni e quelli tecnico-operativi. Dato che essi, in molte aziende,

possono svolgere un ruolo attivo nei processi decisionali della gestione delle risorse umane,

includendo le decisioni sulla conciliazione, è importante comprendere come agiscono

influenzando il funzionamento in generale dell‟organizzazione, le politiche, i programmi e le

pratiche di conciliazione. Questo perché le politiche di conciliazione sono formalmente

designate e adottate a livello organizzativo, normalmente dal responsabile delle risorse

umane, ma sono ampiamente implementate e gestite figure intermedie come per esempio

supervisori o responsabili di progetto. Così tali figure rappresentano un momento critico fra la

Page 38: Report. Territori che conciliano

38

programmazione politica e la realizzazione pratica poiché concretizzano le politiche delle

risorse umane.

È questo l‟oggetto specifico del contributo di McCarthy, Darcy e Grady (2010) che applicano

la teoria del “comportamento pianificato” alle dinamiche con cui i lm mediano la relazione fra

programmazione e offerta a livello dirigenziale di strumenti di conciliazione e fruizione ed

efficacia percepita dai dipendenti. La teoria del comportamento pianificato è un approccio

disposizionale alla previsione del comportamento (Ajzen, 1991). Secondo tale teoria il

comportamento di una persona è determinato – anche se non in via esclusiva – dalla sua

intenzione di esprimere il comportamento e questa intenzione è a sua volta data

dall‟atteggiamento maturato verso quel comportamento, da norme soggettive e dal controllo

percepito rispetto al comportamento assunto. In sintesi, atteggiamenti, norme soggettive e

percezione di controllo del comportamento portano alla intenzione di manifestare un dato

comportamento.

Nel contesto delle politiche e delle pratiche famiglia lavoro, la teoria del comportamento

pianificato implica che il lm che ha atteggiamenti positivi verso i programmi di conciliazione,

che sperimenta maggiore pressione sociale (norme soggettive) per implementare politiche e

pratiche di conciliazione e che percepisce di avere maggior controllo sulla formazione e

implementazione di politiche di conciliazione, avrà una maggiore intenzione di adottare ed

implementare tali programmi rispetto al lm con atteggiamenti meno favorevoli.

Ma quali sono i fattori che influenzano le intenzioni di comportamento del line management

verso la conciliazione e, di conseguenza il comportamento e le azioni?

Atteggiamenti

- Il primo aspetto da considerare come un fattore importante nel determinare gli atteg-

giamenti verso le politiche e le pratiche di conciliazione è la consapevolezza cioè la reale co-

noscenza della disponibilità di politiche, delle modalità di accesso e dei loro generali impatti

sia per l‟azienda che per i dipendenti. L‟assenza della conoscenza per il lm delle varie politi-

che delle risorse umane, in generale, impatta negativamente sulla loro efficacia e possono in-

nescare incongruenze profonde fra la programmazione e la reale operativizzazione e fruizio-

ne. Al contrario, la consapevolezza del lm di varie politiche di conciliazione in termini di di-

sponibilità, eleggibilità e di specifici o possibili adattamenti operativi è una determinante im-

portante delle loro intenzioni e comportamenti verso queste politiche e della partecipazione

dei dipendenti nei programmi family friendly.

Page 39: Report. Territori che conciliano

39

- La seconda dimensione riguarda l’utilizzo personale in atto o pregresso di politiche di

conciliazione. È evidente come le esperienze di particolari comportamenti influenzano gli at-

teggiamenti e così, la misura in cui i lm utilizzano o hanno utilizzato programmi di concilia-

zione è un fattore che condizionerà i loro atteggiamenti verso tali programmi. Le intenzioni

dei manager di adottare opzioni di conciliazioni o iniziative per il personale sono cioè in-

fluenzate dalla loro personale esperienza di tali iniziative. Chi ha utilizzato misure di concilia-

zione nel passato sarà positivamente disposto a mettere in pratica tali programmi per il perso-

nale.

Le norme soggettive, che si configurano come risposta alle pressioni sociali nell‟adottare o

meno un dato comportamento, appaiono una determinante alle intenzioni di comportamento.

Quindi, in un ambiente aziendale dove la domanda di politiche di conciliazione è

particolarmente rilevante, il management è, in linea di principio, maggiormente soggetto a tali

pressioni ed è quindi più probabile che le intenzioni del lm di adottare ed implementare tali

iniziative siano superiori rispetto alle sezioni dove la domanda è inferiore.

Percezione di controllo del comportamento: la maggiore partecipazione nei processi

decisionali rispetto alle iniziative e politiche di conciliazione è probabile che influenzi il

controllo sull‟implementazione. Così, la misura in cui il lm è coinvolto nella formazione ed ha

un grado di controllo sulle politiche di conciliazione è probabile che influenzi le intenzioni ed

i comportamenti nella implementazione delle stesse politiche e soprattutto rispetto alla loro

efficacia.

Gli atteggiamenti positivi sono insufficienti per l‟implementazione o per l‟efficacia di

politiche di conciliazione poiché altri fattori come il potere di prendere decisioni, le risorse

disponibili e accessibili ecc. influenzano tali capacità. I lm sono spesso in una posizione di

difficoltà perché devono implementare strategie e iniziative in cui non sono stati

necessariamente coinvolti nella formulazione del piano e spesso soffrono condizioni di

frustrazione per implementare politiche determinate a livello manageriale superiore di cui non

sono stati partecipi. Al contrario, in quelle aziende in cui sono coinvolti nella formulazione di

politiche di conciliazione, si registrano maggiori percezioni positive (Maxwell 2005). I lm

dovrebbero avere un certo livello di coinvolgimento nelle decisioni sui programmi di

Page 40: Report. Territori che conciliano

40

conciliazione per evitare di gestire ed implementare politiche e trasformazioni che non

concordano o non comprendono pienamente.

Per sintetizzare, il ruolo del lm ci aiuta a cogliere una dimensione regolativa fra l‟offerta di

pratiche supportive di conciliazione, gli utilizzi e l‟efficacia. Questo ruolo organizzativo

intermedio si configura come interfaccia fondamentale fra l‟attività di programmazione, che

di solito è presa dalla direzione aziendale, e quella dell‟efficacia (che riguarda le modalità di

implementazione, la comunicazione, la fruizione e la soddisfazione rispetto alle necessità

espresse). Due aziende potrebbero per esempio implementare la stessa misura di conciliazione

in funzione delle medesime richieste ma ottenere esiti piuttosto differenti. Diventa quindi

necessario indagare i meccanismi e i ruoli regolativi che congiungono i due momenti. I lm

esprimono una modalità regolativa e possono favorire o scoraggiare la corretta formulazione,

comunicazione, applicazione e valorizzazione delle pratiche. Quella del lm può essere

considerata una figura di sostegno rilevante per le necessità di conciliazione dei dipendenti

poiché, quando lo è, tende ad avanzare richieste di politiche e di pratiche di conciliazione

nelle aziende, contribuendo significativamente alla cultura della conciliazione. Gli ambienti di

lavoro supportivi sono caratterizzati da un management che fa da sostegno alle

preoccupazioni della vita personale dei dipendenti, all‟esistenza di ampi programmi di

conciliazione, e ad un ambiente in cui i dipendenti sono incoraggiati ad utilizzare politiche e

programmi di conciliazione. Può anche avvenire che il lm possa tendere a contrastare lo

sviluppo e l‟implementazione di programmi e iniziative. Dove non sono supportivi - rispetto

al tema della conciliazione -, possono minare le politiche e i programmi designati per aiutare i

dipendenti nel bilanciare la domanda di lavoro e quella di non lavoro, per esempio

applicandoli scorrettamente o riducendone le possibilità di utilizzo. Possono quindi

condizionare quell‟equilibrio fra offerta di misure di conciliazione e domanda espressa, come

abbiamo ipotizzato in apertura di questo capitolo.

Page 41: Report. Territori che conciliano

41

2. PERCHÉ LE IMPRESE CONCILIANO (diVincenzo Marrone)

2.1 - Misure di conciliazione, certificazione Audit e indicatori di produttività. Uno

sguardo alle organizzazioni.

Il legame “causale” fra le misure di conciliazione e gli indicatori di produttività aziendale -

come abbiamo illustrato - è tutt‟altro che definito univocamente in letteratura. A parere di chi

scrive possiamo individuare due grandi impostazioni analitiche (ed empiriche) che partono da

accezioni differenti di produttività. Da una parte chi rileva la produttività con indicatori

economici “hard” come il profitto, il fatturato, le vendite ecc. (indicatori facilmente

standardizzabili e che trovano l‟unità di misura nel denaro), dall‟altra chi ha una approccio

alla produttività più “soft” e la rileva con tradizionali indicatori di turnover e di assenteismo

dei lavoratori dipendenti.

Le perplessità nascono quando si nota come, generalmente, l‟approccio econometrico “hard”

non rileva significativi apporti delle misure di conciliazione famiglia lavoro alla produttività

mentre, altrettanto generalmente, l‟approccio “soft” ne riconosce importanti contributi.

A nostro modo di vedere il primo orientamento risente della tradizionale impostazione della

produttività intesa come modalità attraverso cui si rapporta il costo di un ora di lavoro per il

valore economico del prodotto per ora. Esclude dal calcolo le dinamiche sociali ed umane che

possono condizionare la modalità, i tempi e la qualità produttiva, per esempio le motivazioni,

le responsabilità individuali del lavoratore, il clima aziendale e gli scambi comunicativi

orizzontali e verticali, il senso di appartenenza e la passione per la professione. Esclude

inoltre, necessariamente dal calcolo questi aspetti poiché altri fattori hanno una incidenza sul

valore aggiunto molto più rilevate (e non controllabile) rispetto all‟apporto delle risorse

umane, come per esempio l‟improvvisa variazione della domanda di prodotto, la variazione

dei costi delle materie prime, il tasso di cambio monetario ecc. L‟improvvisa svalutazione o

rivalutazione di una moneta estera può spostare notevolmente il valore di produzione molto

più di quanto non possa fare l‟impegno e la motivazione del personale.

C‟è un ulteriore aspetto che rende problematica questa modalità di calcolo della produttività e

che è ben illustrata da Enzo Rullani (2012). Secondo l‟autore – particolarmente interessato a

far emergere il fattore “conoscenza” quale elemento moltiplicatore del valore di produzione –

la società odierna non può più adottare i criteri della modernità per descrivere e calcolare la

Page 42: Report. Territori che conciliano

42

produttività. L‟azienda di tipo fordista-taylorista fondava – legittimamente - il calcolo della

produttività sulla semplice equazione ora di lavoro/numero di pezzi prodotti poiché la

capacità replicativa della macchina – nella produzione di massa – soddisfaceva

sufficientemente la domanda del mercato. Una domanda non solo standard ma, soprattutto,

certa o comunque ampiamente prevedibile.

«…in quel tipo di impresa (la catena di montaggio del modello fordista) la produttività era qualcosa di

preciso e misurabile: misurava e cadenzava il ritmo della produzione sulla base di un indicatore

preciso: il numero di pezzi (in output) ottenuti per ogni ora lavorata (in input). Ovvero, in modo

indiretto, il volume di prodotti ottenuti da una certa linea, da un certo stabilimento. Bastava il ritmo

per accrescere il valore replicabile dalla conoscenza replicabile, nella fabbrica della produzione di

massa. Ecco perché, allora, quella nozione di produttività era ragionevole e largamente

utilizzata: indicava, infatti, la fonte del valore, legando il ritmo lavorativo ai moltiplicatori cognitivi che

ne discendevano. Se oggi guardiamo alla produttività adottando questo punto di vista, è facile prendere

un abbaglio, pensando che il massimo della produttività si possa ottenere forzando la mano sul

lavoro, e dunque in condizioni di massimo stress lavorativo: ritmi incalzanti, poche pause, orari di

lavoro lungo e a ciclo continuo (comprese le notti e le feste comandate), ferie ridotte all‟osso» (ivi,

p.123).

Il processo di globalizzazione dei mercati e le capacità della telecomunicazione, che hanno

annullato gli spazi e quindi i tempi di reazione, hanno trasformato significativamente il

funzionamento dell‟impresa spostando nuovamente il focus della produttività dalla macchina

all‟uomo. In particolare è la risorsa conoscitiva – cioè le competenze, la professionalità, il

bagaglio teorico e tecnico in grado di “assecondare” le oscillazioni e i cambiamenti della

domanda internazionale – che appartiene all‟uomo e non alla macchina, ad assumere oggi una

rilevanza strategica per competere sul mercato.

«quando si pensa all‟aumento della produttività nell‟industria, due secoli e mezzo di modernità ci hanno

fornito una idea abbastanza precisa di come sia possibile in pratica raggiungere questo risultato. In

linea generale, si può procedere aumentando il grado di meccanizzazione dei processi, accelerando il

ritmo della catena, aumentando la potenza e la velocità delle macchine impiegate, parcellizzando

e razionalizzando il lavoro, ottimizzando la sequenza delle operazioni da compiere,

standardizzando i processi e i prodotti, aumentando i volumi produttivi, e così via. […] Ma che

succede, in tutti quei casi – e sono sempre di più – in cui l‟uso della tecnologia e delle macchine è

limitato dalla complessità dei problemi da affrontare, dovendo agire in un contesto troppo vario,

variabile e indeterminato per affidare la risposta unicamente alla potenza replicativa di una macchina o

di un software?» (ivi, p.23)

Anche la lettura di Solari (2011) ci aiuta a cogliere determinate dinamiche interaziendali che

riguardano la produttività. Argomentando il carattere sociale della relazione di impiego,

sostiene che:

«...la relazione di impiego deve essere considerata come un contratto sociale che si evolve nel tempo e

risente di condizioni diverse (politiche, economiche e sociali) non come uno scambio di mercato

perfetto. Incorporare gli obiettivi dei lavoratori all‟interno dell‟impresa diventa un tema strategico.

Page 43: Report. Territori che conciliano

43

Ottenere e mantenere la prevedibilità nelle relazioni di lavoro è un obiettivo centrale della gestione. Il

vero nodo della gestione delle risorse umane è ottenere un allineamento anche minimale tra gli interessi

all‟interno di una visione pluralista dell‟impresa. La consapevolezza dell‟importanza della relazione

d‟impiego è un presupposto necessario di qualsiasi ragionamento sulle modalità specifiche di

organizzazione e gestione del rapporto tra impresa e lavoratori» (idem, pp.19-20).

Questa riflessione nasce dalla consapevolezza secondo cui uno degli aspetti caratterizzanti la

centralità della gestione delle risorse umane in tempi recenti è proprio l‟accentuata

competizione internazionale e la richiesta di maggiore produttività (idem, p.27). Le pressioni

del mercato globale spostano l‟attenzione verso le persone, considerate risorse preziose su cui

fare affidamento per rispondere efficacemente alle improvvise variazioni della domanda. Per

queste ragioni la produttività non può più essere intesa semplicemente come un mero calcolo

econometrico di unità misurabili, ma deve integrare dimensioni immateriali che permettono

ad una azienda di reagire immediatamente ai cambi repentini del mercato, innovarsi, crescere,

competere, affermarsi.

“il rapporto con il valore non dipende da un parametro soltanto: ha valore l‟efficienza della “macchina

energetica” che eroga il lavoro, ma ha anche valore la capacità di emozionarsi, convincere, costruire il

mondo esterno in rapporto con gli altri. Per riportare la nozione di produttività a tutto questo, occorre attribuire

valore a pensieri o cose dotate di senso, e studiare i legami con altri che a questi pensieri o cose danno valore.

Insomma, in un mondo instabile, popolato di soggettività creative e di ecologie complesse – come è

diventato i mondo contemporaneo – la creazione di valore e dunque lo sviluppo della produttività “che

conta” rimanda ad un circuito tra senso, legame e valore che è proprio delle ecologie o dei paradigmi

produttivi, visti nella loro reale varietà di emozioni e circolarità di legami” (Rullani, pp.121-122).

È evidente come questa proposta ci inviti a considerare la produttività sotto nuove prospettive

che tengano conto del contributo umano – non razionalizzabile – al lavoro. Prospettive che

appaiono in perfetta sinergia con il tema della conciliazione famiglia lavoro. È questa sinergia

che accompagna la prospettiva win win, in cui si elaborano strategie aziendali per innescare

circuiti virtuosi e far emergere esternalità positive valide contemporaneamente per la sfera

produttiva del lavoro, per quella personale e familiare e, infine, per la dimensione sociale e

culturale di una data realtà territoriale.

La seconda prospettiva, quella che abbiamo definito “soft”, generalmente apprezza il

contributo delle misure di conciliazione famiglia-lavoro alla produttività partendo dalle

prestazioni individuali dei lavoratori. I limiti di tale impostazione – a parere di chi scrive –

sono rintracciabili in due aspetti prevalenti. Da una parte si pensa alla produttività o alle

prestazioni aziendali come ad un aggregato di prestazioni individuali o dall‟aggregato della

riduzione dei costi per dipendente. Dall‟altra la relazione conciliazione/produttività enfatizza

Page 44: Report. Territori che conciliano

44

particolarmente il carattere razionale e strumentale mentre riserva minori attenzioni alle

dinamiche di tipo espressivo, quindi l‟aspetto culturale, valoriale ed affettivo che sono parte

integrante dell‟attività professionale. Così, questa prospettiva, se da una parte ri-scopre la

centralità del contributo umano al processo produttivo, dall‟altra appare incompleta poiché

troppo focalizzata sul calcolo utilitaristico dei vantaggi per l‟azienda e quelli per il

dipendente. Ne deriva che se non emergono vantaggi “misurabili” in termini quantitativi ed

attribuibili alla implementazione e fruizione delle misure di conciliazione o di strumenti di

welfare aziendale, tutta la programmazione rischia di essere considerata svantaggiosa, costosa

e, in sostanza in-utile.

Entrambe le prospettive contribuiscono, tuttavia, in modo complementare al dibattito in

oggetto fornendo momenti imprescindibili della ricerca.

A proposito di questo, di particolare interesse sono i risultati ottenuti dall‟indagine

sull‟impatto delle misure di conciliazione del programma “Berufundfamilie” (Audit Famiglia–

lavoro) in Germania. Il programma Berufundfamilie nasce come “strumento strategico per

realizzare una politica di gestione delle risorse umane incentrata sull‟importanza della

famiglia, finalizzata a creare un equilibrio sostenibile e duraturo tra gli interessi dell‟azienda e

le esigenze familiari dei collaboratori” (Ghedina 2013, p.68) e questo si traduce per le aziende

come un aumento della produttività, maggiore fidelizzazione dei lavoratori e della clientela,

abbattimento dei costi di turnover, del reclutamento e inserimento di nuovo personale, facilità

di acquisizione e mantenimento di talenti, acquisizione di flessibilità organizzativa e di

capacità di prevenzione ed adeguamento, che permettono di assorbire meglio anche le

fluttuazioni del mercato (idem, p.70). Dall‟analisi condotta sulle aziende che partecipano al

programma e ne hanno ottenuto la certificazione, alcuni indicatori di produttività – osservati

nel periodo 2007-2012 – sembrano mostrare esiti confortanti.

I fattori che appaiono particolarmente sensibili all‟introduzione di strumenti e pratiche di

conciliazione sono: motivazione del personale, tasso di assenze per malattia, durata della

malattia, il numero di dimissioni spontanee, la qualità degli aspiranti, il tasso di assenteismo,

gli esigui costi d‟inserimento al lavoro. Positivi ma più deboli appaiono invece la produttività

del personale, il grado di fidelizzazione dei clienti, la durata dell‟impiego, i costi acquisizione

del personale.

I dati confermano quindi le tendenze riportate in letteratura con riferimento all‟approccio

“soft” della produttività.

Page 45: Report. Territori che conciliano

45

Anche nella nostra ricerca abbiamo indagato alcune tendenze attraverso i “classici” indicatori

di produttività delle risorse umane. Tuttavia quest‟analisi si configura – nell‟economia della

ricerca – come preliminare e contestuale, volta soltanto a presentare alcuni elementi descrittivi

delle realtà imprenditoriali in cui è stato realizzato lo studio.

Le sei aziende coinvolte nella ricerca sono Samo (Bonavigo, Verona), Texa (Monastier,

Treviso), Keyline (Conegliano Veneto), Castelmonte ONLUS (Preganziol, Treviso),

Crivertrade6 (Silea, Treviso) e Baxi di Bassano del Grappa e tutte hanno ottenuto la

certificazione Audit famiglia e lavoro dalla regione Veneto. Certificazione che garantisce la

presenza in azienda di pratiche e politiche family friendly.

Anno della certificazione AUDIT Famiglia

Lavoro

Samo 2014

Texa 2013

Keyline 2013

Castelmote 2010

Baxi 2014 Tab.2.1 – anno della certificazione Audit

Con riferimento alle dimensioni per numero di dipendenti, l‟impresa più piccola ha 37

dipendenti mentre la più grande ne conta oltre 700.

I contratti di lavoro dei dipendenti sono quasi esclusivamente di tipo full-time ad eccezione

della cooperativa sociale Castelmonte, dove la proporzione si inverte ed in cui i tre quarti dei

dipendenti hanno un contratto di lavoro part time.

Anche per quanto riguarda il genere degli occupati si riproduce una tendenza simile alla

precedente:

i lavoratori sono prevalentemente di sesso maschile (percentuale che oscilla fra il 68 e l‟83% )

ad eccezione di Castelmonte dove l‟88% dei soci lavoratori sono di sesso femminile,

inversione di tendenza dovuta alla tipologia di lavoro.

L‟età media per azienda varia dai 37 ai 45 anni con distribuzioni per classi di età molto

eterogenee. Alcune imprese possono contare su un capitale umano molto giovane: quasi un

terzo della popolazione dei dipendenti di Texa e Keyline non supera trenta anni di età, e per

6Non disponiamo di dati strutturati di questa azienda. Quelli presentati derivano dall‟intervista alla proprietà.

Page 46: Report. Territori che conciliano

46

queste due aziende oltre il 60% dei dipendenti è costituito da lavoratori che hanno fino a

quarant‟anni. Si tratta di un dato rilevante per almeno due motivi: il primo di natura

economico/strategica che evidenzia l‟investimento imprenditoriale nelle nuove generazioni; il

secondo evidenzia un dato strutturale della composizione del personale che si trova ad

affrontare un periodo del ciclo di vita familiare particolarmente sensibile alle dinamiche ed

alle necessità conciliazione con i lavoro. In altre (Samo e Castelmonte) le classi di età

appaiono più equamente distribuite mentre in Baxi c‟è una prevalenza di dipendenti con età

più avanzate che aprono nuove questioni rispetto al tema conciliativo: l‟invecchiamento della

popolazione dei dipendenti e soprattutto l‟elaborazione di strumenti e modalità per

l‟assistenza di genitori anziani o non autosufficienti.

Età media < 30 (%) 31 - 40 (%) 41 - 50 (%) > 50 (%)

SAMO 42 12 31 38 19

Texa 37 25 38 28 9

Keyline - 30 30 23 17

Castelmote 44 17 24 28 32

Baxi 45 2 28 46 24

Tab.2.2 - Composizione per età e classi di età dei dipendenti

Le assunzioni

Uno degli indicatori che possono aiutarci a comprendere le prestazioni delle organizzazioni

coinvolte nella ricerca è sicuramente il dato sulle assunzioni. In un periodo storico in cui il

tasso di disoccupazione in Italia è crollato a minimi storici (13,4%) specie per quanto

concerne l‟occupazione giovanile (43,9%), un‟azienda che assume lavoratori sembra andare

decisamente in controtendenza. Certo – sottolineiamo – questo non significa che le aziende

che hanno risposto alla nostra ricerca non risentano della crisi economica attuale. Tuttavia

sembrano porsi come operatori attivi nella creazione di lavoro e nell‟attrazione di capitale

umano. Rilanciano, e lo fanno – fra le altre cose – attraverso l‟investimento in capitale umano,

dimensione entro cui rientra l‟offerta di servizi di conciliazione.

In particolare i dati in nostro possesso evidenziano punteggi positivi rispetto alle assunzioni

nell‟ultimo triennio ed una conferma positiva nel primo semestre del 2014.

Fra il 2011 ed il 2013 la Samo, che attualmente conta 238 dipendenti, ne ha assunti 1207 e nel

primo semestre 2014, 41; la Texa, che ha 370 dipendenti ne ha assunti 99 nel triennio e 17 nel

7Parte di queste assunzioni sono legate all‟acquisizione dell‟azienda Inda

Page 47: Report. Territori che conciliano

47

2014; Keyline, con 93 lavoratori ne ha assunti 44 nel triennio e 3 nel primo semestre del

2014; la cooperativa sociale Castelmonte, che conta 314 soci-lavoratori ne ha assunti 18 nel

triennio e 11 nel 2014, infine Baxi ha assunto nel biennio 2012-13, 17 lavoratori.

N. dipendenti al

2014

Σ assunzioni

(2011-2013)

n. assunzioni/

tot. dipendenti (%)

Assunzioni

1°sem.2014

SAMO 238 120 50,42 41

Texa 370 99 26,75 17

Keyline 93 44 47,31 3

Castelmote 314 18 5,73 11

Baxi 723 17 2,35 0

Tab.2.3 – Le assunzioni

Se normalizziamo le assunzioni del triennio, le riferiamo cioè al numero di dipendenti totale,

vediamo come Samo e Keyline abbiano inserito nel proprio organico una forza lavoro pari

rispettivamente al 50% e al 47% dell‟attuale numero di dipendenti; Texa del 27% e

Castelmonte di circa il 6%. Meno significativo è il dato biennale di Baxi (2,35%). È

importante sottolineare come per quest‟ultima azienda i processi produttivi siano

particolarmente intensi nel periodo primaverile ed estivo, comportando un fabbisogno di

lavoratori stagionali con contratti di lavoro interinale. Se il numero di assunzioni cresce molto

poco, ciò deriva da questo aspetto.

Non possiamo parlare di crescita o di incremento del numero di dipendenti, poiché non

disponiamo del dato relativo a chi ha lasciato il lavoro nel triennio, né del numero di

dipendenti nel 2011. Possiamo però certamente parlare di assunzioni, un fattore significativo

nella valutazione generale delle prestazioni aziendali.

L'assenteismo

Un indicatore di produttività tipicamente utilizzato per rilevare le performance aziendale e le

prestazioni dei lavoratori è il tasso di assenteismo. Ad oggi non esiste una modalità univoca

per calcolare questo indicatore poiché concorrono molti fattori che vengono inclusi o esclusi

dal calcolo (fra questi fattori abbiamo la malattia, i permessi, i congedi, le assenze per motivi

familiari, gli scioperi). Nel nostro caso – per limitare le incertezze di rilevazione del dato -

abbiamo calcolato un indice di assenteismo ricorrendo allo scarto fra il numero di ore di

Page 48: Report. Territori che conciliano

48

lavoro complessivamente ed effettivamente realizzate in un anno (ore lavorate) e quelle

potenziali, previste per quello stesso anno (ore lavorabili).

Ciò che appare interessante notare è una progressiva riduzione del valore di questo indice, con

un‟unica eccezione in cui il dato appare in lieve aumento. Gli scarti registrati fra il 2011 ed il

2013 diventano sempre meno consistenti, cioè le ore lavorate si avvicinano progressivamente

a quelle lavorabili. Se ne deduce una generale riduzione del tasso di assenteismo.

Diff.% ore lavorate e ore lavorabili

2011 2012 2013

SAMO -12,68 -13,02 -6,89

Texa -21,41 -16,76 -14,71

Keyline -22,02 -15,03 -14,98

Castelmote -18,22 -16,50 -14,11

Baxi -20,22 -21,28

Tab.2.4 - Diff.% ore lavorabili e ore lavorate

Fig. 2.1 - Diff.% ore lavorabili e ore lavorate

Osserviamo ora la tendenza delle ore di malattia nel triennio. In particolare ci soffermiamo su

una tassonomia data dal rapporto fra le ore di malattia di un determinato anno e le ore

lavorabili previste per lo stesso anno. Per semplificare, possiamo leggere il dato come numero

di ore di malattia registrate per ogni 100 ore lavorabili in un anno.

Dalla tab.2.5, è possibile vedere come il tasso di malattia sulle ore lavorabili sembri rimanere

invariato per una azienda (2,61-2,64); diminuisce lievemente per due aziende (1,24-1,47;

3,50-3,24), e per una si riduce significativamente (3,18-2,71). In una sola organizzazione

questo tasso aumenta in maniera significativa (1,73-3,12) nel triennio.

-25,00

-20,00

-15,00

-10,00

-5,00

0,00

2011 2012 2013 2014

Samo Texa Keyline Castelmonte Baxi

Page 49: Report. Territori che conciliano

49

Ore di malattia

/ore lavorabili (%)

Ore per infortuni sul lavoro

/ore lavorabili (‰)

2011 2012 2013 2011 2012 2013

Samo 2,71 2,22 2,64 6,65 0,61 3,56

Texa 1,24 1,54 1,47 0,68 0,98 1,24

Keyline 3,18 2,90 2,71 1,66 2,57 1,14

Castelmote 1,73 2,67 3,12 2,44 5,10 0,90

Baxi - 3,50 3,24 3,40 2,02

Tab.2.5 - Rapporto ore di malattia per ore lavorabili e rapporto delle ore per infortuni sul lavoro per ore

lavorabili

Fig.2.2 - Rapporto ore di malattia per ore lavorabili (%)

Fig.2.3 - Rapporto ore per infortuni sul lavoro per ore lavorabili (‰)

Un indicatore meno utilizzato nelle statistiche che affrontano il tema della relazione fra

conciliazione e produttività è quello che riguarda il numero di infortuni sul lavoro.

La stanchezza per i ritmi lavorativi particolarmente intensi, lo stress da lavoro e in particolare

l‟affaticamento derivante dai turni, dagli orari prolungati e dal pendolarismo, sono fattori

0,00

0,50

1,00

1,50

2,00

2,50

3,00

3,50

4,00

2011 2012 2013

Samo Texa Keyline Castelmote Baxi

0,00

1,00

2,00

3,00

4,00

5,00

6,00

7,00

2011 2012 2013

Samo Texa Keyline Castelmote Baxi

Page 50: Report. Territori che conciliano

50

normalmente attribuiti agli incidenti sul lavoro. Questo fenomeno, particolarmente grave nel

nostro paese, può comportare danni temporanei o permanenti per il singolo, fino alla morte e

può rappresentare un danno importante per l‟impresa. Le misure di conciliazione,

permettendo orari flessibili ed un adattamento dei ritmi professionali alle esigenze dei singoli,

possono configurarsi come strumenti importanti per limitare il verificarsi di tali eventi.

Se consideriamo il rapporto fra le ore di infortuni sul lavoro registrate dalle aziende in un

anno e le ore lavorabili previste per quell‟anno (per mille), notiamo come tale valore tenda a

decrescere nel tempo, anche se non in modo lineare. Per tre aziende (Keyline, Castelmonte,

Baxi) decresce significativamente nel biennio 2012-13; per una (Samo) aumenta nel biennio

ma resta ben al di sotto del valore registrato nel 2011; in un solo caso (Texa) aumenta

gradualmente ma possiamo pensare ad un andamento fisiologico visto che i valori registrati

restano i più bassi in assoluto fra le aziende. È doveroso considerare anche la tipologia di

lavoro svolta nelle nostre imprese, poiché a seconda del settore produttivo possiamo avere

maggiori o minori probabilità di riscontrare infortuni sul lavoro. Per esempio, l‟azienda Samo

produce cabine doccia e la probabilità di incidenti sul lavoro è ragionevolmente superiore a

quanto possa accadere presso Texa dove si producono prevalentemente software e strumenti

digitali.

Vertenze sindacali e turnover

Un indicatore significativo che abbiamo rilevato per “sondare” la qualità del clima aziendale,

è il numero di vertenze sindacali aperte durante l‟anno. Nelle aziende coinvolte nella ricerca è

un fattore praticamente assente dalla rilevazione. In un solo caso si registrano due vertenze

sindacali nel triennio su una popolazione di oltre settecento dipendenti. Questo dato sta ad un

indicare generalmente un rapporto fra i lavoratori e la direzione o la proprietà, non

conflittuale.

Infine il turnover. È un indicatore tipico utilizzato per rilevare un aspetto della produttività: un

basso turnover porta a minori costi per le assunzioni e la formazione e soprattutto significa

poter contare su competenze apprese e sedimentate nel corso di un lungo periodo

professionale e formativo. Tuttavia è stata una nostra scelta non considerarlo in questa fase di

ricerca (anche se i responsabili delle risorse umane delle aziende coinvolte sostengono livelli

di turnover molto bassi). Questo perché – a parere di chi scrive – date le difficoltà di

collocamento professionale e di un mercato del lavoro che appare bloccato, al momento è un

Page 51: Report. Territori che conciliano

51

indicatore poco affidabile. Resta comunque interessante indagare le “intenzioni” di turnover

dei dipendenti che fruiscono delle misure di conciliazione, aspetto che affronteremo nel

prossimo capitolo.

In questa presentazione abbiamo seguito l‟orientamento “soft” che associa determinati

outcome di performance agli input degli strumenti di conciliazione condividendone gli esiti.

Tuttavia, riteniamo doveroso sottolineare come le tendenze appena illustrate non siano il

risultato diretto della certificazione Audit, visto che le aziende vengono certificate fra il 2013

ed il 2014 – eccetto Castelmonte che è certificata nel 2010 -, né sono conseguenze dirette

delle misure family friendly. Negli anni precedenti la certificazione, - che di fatto formalizza

un percorso pregresso – vengono introdotte misure di conciliazione e di welfare aziendale che

possiamo genericamente legare alle performance aziendali positive, ma non si tratta

necessariamente di fattori causali. È più opportuno parlare di fattori concomitanti, cautela

giustificata da differenti motivi (che molto spesso l‟orientamento soft non considera).

Primo: molte associazioni fra misure di conciliazione e produttività possono essere spurie e

determinate da fattori intervenienti che nell‟analisi dei dati non vengono considerati ma che

emergono nelle interviste. Per esempio il responsabile del personale di una delle sei aziende –

in cui si registra una riduzione consistente del tasso di assenteismo – durante l‟intervista

descrive i criteri di calcolo ed assegnazione del premio di produttività, evidenziandone

l‟effetto positivo sul tasso di assenteismo ed esortando – per questo motivo – a non valutarne

l‟esito come effetto delle misure di conciliazione.

Tutto può essere collegato ma mi sentirei in difficoltà a collegare alcuni indici di produttività con certe

misure. Tra l‟altro noi abbiamo istituito questo premio di assiduità che è una contrattazione di secondo

livello, quindi è assolutamente non dovuta. Per due anni noi abbiamo agganciato questo premio, che è

una cifra che sono 700-800€ lordi, viene agganciato a degli obiettivi. Gli obiettivi per due anni sono

stati il fatturato, quindi il raggiungimento del fatturato, sia collettivo che individuale e poi un calcolo di

riparametrizzazione del premio in base all‟assenteismo. Non è direttamente collegato perché il premio,

dove l‟obiettivo è raggiunto, viene assegnato, però riparametrizzato individualmente in base alla

presenza (Int. KM, Keyline).

Il tasso di assenteismo decresce perché l‟“assiduità” del lavoratore è il fattore principale nel

calcolo del premio di produttività. Così la riduzione dell'assenteismo non deriva dalle misure

di conciliazione, ma dalle prospettive degli incentivi economici.

Questo aspetto ci porta ad una seconda osservazione. Un motivo per non considerare le

performance aziendali finora descritte come conseguenze delle misure di conciliazione sta nel

fatto che la direzione causale può essere letta nel verso opposto: le misure di conciliazione

Page 52: Report. Territori che conciliano

52

non sono necessariamente una causa delle prestazioni professionali ma è possibile che in una

azienda in cui si registrano performance apprezzabili è più probabile che si offrano misure e

facilitazioni per il personale e le loro famiglie. In pratica, resta l‟associazione ma viene meno

la direzione causale.

Il terzo elemento che ci impedisce di cogliere l‟incidenza delle misure di conciliazione

famiglia lavoro alla produttività riguarda la cultura e la tradizione imprenditoriale. Come

vedremo nelle sezioni successive, le aziende in cui si è svolta la ricerca hanno sempre avuto

una sensibilità spiccata ed una attenzione particolare al tema della conciliazione e del

benessere dei lavoratori, atteggiamento che si è espresso con l‟offerta di misure di

conciliazione ante litteram.

Questo elemento “storico” ci impedisce di separare un prima da un dopo e cogliervi delle

differenze. È preferibile allora proporre un percorso di lettura ed una interpretazione

dell‟origine e degli sviluppi del tema della conciliazione in azienda e dell‟adesione al

programma Audit. Questa narrazione può aiutarci a capire meglio di tante relazioni statistiche

in che modo le misure di conciliazione posso configurarsi come strumenti strategici per

l‟efficacia di una azienda.

Page 53: Report. Territori che conciliano

53

2.2 - Conciliazione, innovazione tecnologica e creatività per eccellere nel mondo. Il caso

TEXA

(dalle interviste al responsabile della comunicazione e marketing, dr. Pavanello; responsabile

delle risorse umane, dr. Doro, e segreteria ufficio risorse umane, dott.ssa Bassetto;)

Texa è una azienda che ha fondato il suo successo sulla produzione e la vendita di

apparecchiature diagnostiche per il settore automotive. È un‟azienda che crea innovazione

lavorando entro un settore industriale, quello delle centraline elettroniche, molto piccolo ma

fortemente competitivo in cui le competenze professionali, le capacità tecniche, operative e

conoscitive delle persone fanno la differenza.

L‟azienda TEXA (acronimo di Tecnologie Elettroniche X Automobili) nasce dall‟attività dei

fondatori: Bruno Vianello attuale presidente e direttore generale ed Emanuele Cavalli ora

amministratore delegato e ha sede nel comune di Monastier, Treviso. È presente in tutto il

mondo con una capillare rete di distribuzione: commercializza direttamente in Spagna,

Francia, Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti, Polonia, Russia e Giappone tramite filiali. I

progetti attuali più ambiziosi riguardano la videoassistenza e la telediagnosi ragioni per cui ha

siglato un importante accordo di collaborazione con Google Search Appliance, destinato a

costituire la base per tutte le sue nuove generazioni di prodotti. Questa progettazione prevede

una diagnosi che parte dalla strumentazione montata sulle vetture che restano sempre

connesse alla rete, e che permette una diagnosi fatta da remoto, senza che il veicolo entri in

officina.

I fondatori iniziano progettando e realizzando artigianalmente apparecchiature diagnostiche

per il controllo e la riparazione delle prime centraline elettroniche montate sulle automobili, in

un periodo storico in cui pochi erano in grado di farlo. I primi strumenti raggiungono un

successo rilevante tanto da essere fortemente richiesti dalle officine meccaniche del territorio.

Quindi la produzione viene commissionata da una azienda bolognese - la Tecnotest – che

vende gli apparecchi con il proprio marchio. Nel 1992 Texa pone il suo marchio sulla

strumentazione che produce e si afferma in questo settore industriale. Nei primi anni l‟azienda

conta una decina di lavoratori – fondatori compresi – ma l‟aver intercettato un cambiamento

in atto ed un settore produttivo vergine porterà ad una crescita vertiginosa del numero di

dipendenti (attualmente sono 450 di cui 370 nella sede di Monastier) e ad un aumento del

fatturato continuo, fino ai nostri giorni.

Page 54: Report. Territori che conciliano

54

Sono cominciati veramente in pochi. Erano una decina di persone, però sono entrati in un momento

importante. Soprattutto hanno intercettato un momento di cambiamento: la chiave inglese, il martello

non servivano più a riparare guasti che erano prettamente elettronici, legati alle centraline e quindi sono

arrivati su un terreno vergine, in cui tutti avevano bisogno di uno strumento e quelli della Texa erano

probabilmente migliori rispetto a quelli della concorrenza perché dietro c‟erano delle menti brillanti e

delle idee particolari legate per esempio a … i primi strumenti ad essere aggiornati via web, i primi

strumenti ad avere una tele-assistenza nel senso che era possibile contattare un esperto per farsi aiutare

ed erano anche belli esteticamente che è una caratteristica di Texa. Se guardiamo i nostri strumenti,

sono piacevoli perché c‟è chi studia la grafica e l‟estetica, cosa che spesso non è per i competitor.

I primi anni del 2000 sono stati fondamentali per le sorti ed il successo dell‟impresa e a ciò ha

certamente contribuito la realizzazione di “Axone 2000” uno strumento di elevatissima

qualità, precisione e semplicità di utilizzo da essersi affermato sul mercato al punto che oggi –

a distanza di quattordici anni – continua ad essere utilizzato nelle officine di riparazione. È

con i primi anni del 2000 che si registra una crescita significativa dell‟azienda e ciò è

facilmente documentabile passando in rassegna le sedi che nel tempo si sono notevolmente e

gradualmente ampliate, passando da un piccolo capannone industriale nel ‟92 alla sede attuale

– inaugurata nel 2012 – che si estende per 30mila mq coperti in un‟area di oltre 100mila mq e

che – come indicato nel sito web – “rappresenta un vero monumento contro la

delocalizzazione e la spersonalizzazione del lavoro, con un continuo alternarsi di

avanzatissimi luoghi di lavoro e centri di aggregazione legati nella filosofia e

nell’architettura alla tradizione locale”.

Lo stile, l‟estetica, l‟architettura, gli spazi offerti dalla struttura fisica dell‟azienda sono un

indicatore indiscutibile di attenzione per i lavoratori. La mensa è di fatto un ristorante, il bar è

un caffè posto in un atrio che riproduce lo scorcio di un borgo antico - una piazzetta con

panche e lampioni-, un ampio corridoio interno accoglie una fontana, una sala è destinata alle

attività ludiche e ricreative in cui giocare a biliardo o ping-pong e le ampie vetrate permettono

una visuale suggestiva, rasserenate e prevedibilmente “lungi-mirante”. Grande rilevanza

hanno gli spazi verdi, con un parco di 40mila mq, un grande giardino pensile ricco di piante e

spezie e la presenza di diffusi spazi d‟acqua e fontane. Insomma l‟investimento nella struttura

architettonica e nell‟attenzione ai particolari estetici indica una precisa volontà di creare un

ambiente non solo di comfort ma soprattutto in cui i lavoratori possano esprimere al meglio le

loro capacità. Il concetto ispiratore di questa sede consiste nel realizzare un luogo in cui il

dipendente si senta valorizzato e motivato, partecipando in maniera creativa alla vita

aziendale.

Page 55: Report. Territori che conciliano

55

È stata costruita questa nuova sede che è stata inaugurata nel 2012 e nonostante la crisi, che comunque

ha toccato anche noi, si è continuato ad andare avanti con i lavori, che è segno di grande lungimiranza

da parte della proprietà, con la filosofia di creare un ambiente molto a misura d‟uomo. L‟ispirazione che

ha Vianello è quella un po‟ di Olivetti, di creare un ambiente in cui, visto che ci si passa tanto tempo

qui, il dipendente si senta a suo agio, si senta valorizzato e apprezzi il fatto che si cerchi di creare

attorno un ambiente confortevole. Questo crea quell‟attaccamento all‟azienda e quella spinta creativa

che magari non avrebbe in altri luoghi.

A conferma di tali atteggiamenti è rilevante come i nostri interlocutori insistano

frequentemente su un‟espressione: il presidente, per riferirsi ai lavoratori, tende a preferire

l‟espressione “appartenenti” a quella di “dipendenti” quasi a volere sottolineare la dimensione

del coinvolgimento e dell‟entusiasmo, della responsabilità e dell‟impegno per un unico grande

progetto. Un progetto industriale e di cultura industriale i cui esiti non sono misurabili

esclusivamente con le voci di fatturato ma possono essere espressi anche dai numerosi

riconoscimenti nazionali ed internazionali che l‟azienda ha ottenuto negli anni. Fra gli altri,

uno particolarmente prestigioso è il Premio Nazionale dell‟Innovazione 2011, consegnato al

fondatore Vianello dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Questi risultati non sono dettati dalla “fortuna” di aver intercettato un mercato in espansione,

o da una specifica capacità e competenza tecnica ma da una serie di fattori che si intrecciano

fra loro: una personalità alla guida dell‟impresa con una spiccata capacità di leadership e di

coinvolgimento; un capitale tecnico-culturale molto elevato (il 45% dei dipendenti sono

ingegneri, cento dei quali impegnati nel settore Ricerca e Sviluppo); un clima aziendale

favorevole allo scambio ed alle comunicazioni orizzontali; un senso di appartenenza

all‟azienda robusto e gratificante.

Diciamo che si è creato con un certo tipo di persone che sono qua magari da più anni, un clima molto

familiare, di coinvolgimento. Gran parte delle persone sentono l‟azienda come propria. Questo anche

per il rapporto di estrema familiarità che c‟è con il proprietario, che è un rapporto che non passa

attraverso barriere e quindi ci si sente tutti un po‟ parte di una avventura […]posso andare a parlare con

il fondatore, con il titolare, confrontarmi con lui, lui comunque ascolta le mie idee e questo crea,

soprattutto su una certa popolazione, una volontà di fare, di pensare, di dare il proprio apporto perché

ci si senta tutti partecipi di questo evento. Sui più giovani si cerca di lavorare molto con la struttura,

creando l‟orgoglio di far parte di una azienda che spesso citata sui giornali, che è presa ad esempio e

quindi di valorizzare e di tirar fuori qualcosa di più che non sia il mero lavoro.

Un‟azienda, inoltre, particolarmente giovane (l‟età media è di 37) e che investe sui giovani

per quello stesso senso di lungimiranza che metaforicamente esprimono – secondo la nostra

lettura - le vetrate dell‟edificio. Oltre ad assumerli, TEXA forma i giovani, tanto che a partire

dal 2004 finanzia il progetto TEXAEDU con cui organizza in trenta istituti professionali

italiani un corso biennale, riconosciuto dal Ministero dell‟Istruzione, Università e Ricerca per

Page 56: Report. Territori che conciliano

56

conseguire il diploma di “meccatronico”, ovvero di meccanico specializzato in elettronica.

TEXA prepara il piano di studi, forma i professori, realizza i libri e fornisce gli strumenti per

le lezioni ad ogni scuola. Questi corsi sono sostenuti dall‟azienda e completamente gratuiti

per le scuole e gli studenti.

Una eccellenza italiana in grado di competere con i grandi marchi internazionali, europei ed

orientali (come Audi, Bosch, Launch) sul terreno della innovazione tecnologica, della

creatività, della qualità ed dell'efficienza nelle prestazioni. Innovazione, creatività e

prestazioni date dall‟impegno e dalle competenze dei lavoratori ma anche delle loro

motivazioni e dallo spirito di squadra che li accompagna. Così le misure di conciliazione

famiglia lavoro, con la conseguente certificazione Audit ottenuta dalla regione Veneto nel

2013, sono parte integrante di questa cultura industriale. Di un atteggiamento sensibile ed

attento che “ha cura” delle persone, delle loro ambizioni e gratificazioni, dei loro rapporti

umani dentro e fuori il luogo di lavoro.

L‟azienda vuole un certo tipo di approccio verso i dipendenti. Quindi il welfare aziendale non è altro

che la formalizzazione di quello che in parte è stato fatto e si vorrà fare ma non perché te lo chiede

l‟Audit o la certificazione, ma perché è insito nel modus operandi dell‟azienda.

Queste dimensioni “culturali di impresa” sono inoltre favorite da una struttura organizzativa

poco gerarchizzata che, nonostante il profilo internazionale, mantiene ancora alcuni aspetti

tipici dell‟impresa familiare/padronale, dove i livelli organizzativi sono pochi e i processi

decisionali snelli, perché soggetti ad un numero limitato di valutazioni ed eventuali

autorizzazioni.

In primis è una questione organizzativa. Noi abbiamo una struttura organizzativa abbastanza piatta. Nel

senso che, se penso al nostro uffici, fra il presidente, il direttore generale e … (l‟impiegato, ndr) c‟è un

livello soltanto in mezzo. L‟organizzazione più strutturata è quella dell‟area D dove ci sono tre livelli

organizzativi. Quindi c‟è una organizzazione che porta ad un processo decisionale abbastanza diffuso

rispetto ad altre realtà dove ciascuno vede soltanto un piccolo pezzetto e fa fatica a condividerlo con gli

altri.[…] Poi la nostra è una azienda “familiare” dove c‟è una proprietà presente. Il fatto che ci sia una

organizzazione snella e con pochi livelli gerarchici, il fatto che le idee e le innovazioni, la

partecipazione venga incentivata … , se la persona dice: ma questo potrebbe essere fatto così! Viene

ascoltata in azienda.

L‟ambito principale entro cui l‟azienda ha avviato e sta sperimentando misure di conciliazione

è quello della organizzazione dei tempi vita-lavoro che ha declinato secondo i seguenti

strumenti:

a) convenzioni con asili nido;

Page 57: Report. Territori che conciliano

57

b) organizzazione dell‟orario in entrata flessibile.

La convenzione con gli asili nido prevede una disponibilità di pochi posti (da 4 a 2) per i figli

dei dipendenti Texa presso strutture private a fronte di una contribuzione integrativa della

retta mensile (20-25%). Si tratta di un servizio convenzionato che rappresenta per i dipendenti

un risparmio economico da una parte e soprattutto una facilitazione logistica nella

organizzazione della vita familiare (vedremo nel paragrafo/capitolo dedicato ai lavoratori la

rilevanza di tale servizio). Un servizio che appare essere apprezzato dai lavoratori che hanno

re-iscritto i loro figli nello stesso asilo per il secondo anno, portando l‟azienda a rinnovare la

convenzione.

A luglio, al momento di decidere se rinnovare la convenzione con l‟asilo nido, chiaramente la prima

cosa è andare a chiedere ai fruitori se il servizio era in linea con le loro aspettative o meno. Ed erano

entrambi genitori più che soddisfatti. Hanno deciso di re-iscrivere i loro figli anche quest‟anno. Se non

erano contenti sicuramente non li avrebbero re-iscritti. Poi c‟è la possibilità di iscrivere i propri figli ad

una struttura comodissima alla sede dio lavoro che grazie al contributo che da l‟azienda ha dei prezzi

vantaggiosi rispetto a quelli che la famiglia avrebbe dovuto sostenere da un‟altra parte. Ed in terzo

luogo una struttura che presenta un livello di qualità piuttosto alto. E quindi la decisione di procedere su

quel tipo di intervento.

Nella stessa direzione va la disponibilità a concedere un orario flessibile di ingresso. Oltre

trenta dipendenti hanno una flessibilità di ingresso di 15-30 minuti. Sebbene sia una pratica

ormai consolidata ciò non vuol dire che sia priva di dis-effcienze. La flessibilità dell‟orario di

lavoro è normalmente concessa per esigenze legate ai figli ed ai loro orari di scuola ma può

scontrarsi con difficoltà organizzative nell‟ambiente di lavoro. Per quanto riguarda le linee

produttive, dove l‟attività di lavoro di ogni singolo è legata a quella degli altri, la flessibilità

oraria non è possibile da realizzarsi o è particolarmente sconsigliata. È più probabile invece

che sia concessa là dove i lavoratori hanno un livello di autonomia operativa e professionale

maggiore tale da non condizionare significativamente i tempi di lavoro dei colleghi.

Ci sono due aspetti legati all‟organizzazione. Ci sono della aree dell‟azienda cui la flessibilità non è

pensabile, non è possibile. Se lavoro a turni non posso fare flessibilità di orario, perché non posso

avvicendarmi. Se lavoro in produzione e ho delle persone che lavorano su linee di assemblaggio, quindi

il mio lavoro è vincolato a quello degli altri: devo iniziare alla stessa ora e finire alla stessa ora. Ci

sono altre postazione all‟interno della fabbrica in cui potrei in linea di principio applicare la flessibilità,

poi però il mio lavoro dipende a monte o a valle da quello di qualcun altro, o ho una necessità di fare

dei lavoro di squadra … si pensi a due manutentori che devono andare insieme a fare un determinato

intervento. Se uno arriva più tardi a lavoro, l‟altro sta a guardarsi, finché non arriva. Quindi ci sono

delle esigenze tecniche che rendono inapplicabile la flessibilità o comunque se fosse applicabile lo

sarebbe a costi eccessivi per l‟impresa.

Page 58: Report. Territori che conciliano

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In altri casi la “dis-efficienza” legata all‟orario flessibile può essere considerata accettabile a

livello organizzativo – di cui l‟organizzazione di fa carico – a fronte di un beneficio rilevante

per il lavoratore. È il caso in particolare del lavoro d‟ufficio in cui se il personale impiegato

ha differenti orari di ingresso e di uscita, il tempo complessivo per coordinarsi come gruppo

tende a restringersi. Cioè, l‟orario in cui tutte le persone sono insieme contemporaneamente,

si riduce.

È chiaro che questo comporta delle dis-efficienze accettabili, e in ogni caso uno se ne fa carico perché

capisce che è uno strumento che per il lavoratore rappresenta un beneficio molto importante non a

livello economico, ma l‟aspetto più importante è la possibilità di organizzare la propria vita meglio.

Una ulteriore misura che nasce e si sviluppa dall‟attività diretta dei lavoratori ed in cui

l‟azienda fa da supervisore e organo di promozione è quella del car-pooling. Anche se questa

misura non è ideata, organizzata né finanziata dall‟azienda, ma è realizzata esclusivamente dai

lavoratori, la proponiamo per due ragioni:

i vantaggi economici e non economici associati a tale pratica per i lavoratori e per

l‟impresa;

il carattere informale della pratica che rappresenta una modalità di azione che parte

“dalla base”, differente dalle classiche pratiche aziendali coordinate dalle direzioni

con le eventuali prospettive di integrazione e coordinamento vertice/base.

Rispetto a questa pratica, attualmente l‟impresa ha messo a fattore comune i dati di residenza

dei dipendenti in modo da facilitare e permettere di organizzarsi spontaneamente per andare in

azienda utilizzando una macchia, facendo quindi un percorso comune. L‟azienda ha cioè fatto

in modo che i dipendenti avessero le informazioni base con cui organizzarsi. Il car-pooling,

ossia la turnazione nella guida e nella disponibilità di utilizzo del proprio mezzo di trasporto e

la condivisione delle spese di spostamento, rappresenta per i lavoratori uno strumento

significativo di risparmio economico e di alleggerimento dello stress legato alla guida.

Infine, dal punto di vista della comunicazione Texa dispone di una bacheca elettronica

Texainside su cui appaiono tutte le comunicazioni “sociali” che riguardano l‟azienda e i suoi

dipendenti. Non rientra fra le misure di conciliazione ma rappresenta uno strumento di

comunicazione che favorisce anche la trasmissione di informazioni relative al tema ai

dipendenti. Texainside si configura quindi anche come uno strumento utile nel favorire la

realizzazione del senso di coinvolgimento e integrazione.

Page 59: Report. Territori che conciliano

59

2.3 - La conciliazione, dai lavoratori ai cittadini, dalla fabbrica al territorio. Il caso

SAMO.

(dall’intervista all’amministratore delegato, dott.ssa D. Venturato)

L‟azienda SAMO viene fondata dal signor Venturato che nel 1963 apre il primo sito

produttivo a Bonavigo, un piccolo paese della provincia veronese, luogo di nascita del

fondatore. Attualmente l‟azienda ha sedi produttive anche presso altre località (Bergamo,

Treviso, Varese) e distributori in tutto il mondo ma mantiene la sede legale e lo stabilimento

produttivo principale in questa località, a quaranta chilometri da Verona, in un contesto

prevalentemente agricolo e isolato dalle grandi arterie di trasporto e comunicazione. Sebbene

questa possa apparire una condizione scarsamente strategica per l‟azienda, si tratta di una

scelta ponderata dettata da un forte legame con il territorio che, vedremo, condiziona e

caratterizza le scelte in materia di conciliazione e welfare aziendale.

Mio padre ha fondato questa azienda. Poi però nel „63 è stato aperto questo sito produttivo, dove siamo,

e l‟ha aperto in questo piccolo paese che si chiama Bonavigo, un piccolo paese di mille e duecento

abitanti perché questo è il paese dove mio padre è nato. Mio padre ha girato un po‟ poi è voluto ritornare

nel suo paese natale per incominciare questa attività. Quindi dal ‟63 la nostra sede è questa qui. Questo

punto lo volevo un pochino rimarcare perché non è banale nel senso che noi siamo a 40 km da Verona,

non ci sono strutture logistiche, nel senso: l‟autostrada non esiste, c‟è la superstrada ma l‟abbiamo attesa

per anni. Questa superstrada che è ancora incompiuta è l‟unica superstrada poi il resto sono tutte strade

normali. Sono paesi prevalentemente agricoli, nella zona ci sono alcune aziende, siamo un po‟ nascosti

nella nebbia... perché ci dicono così, ci sono grosse aziende anche qui nei dintorni però siamo fuori

dalle zone industriali ben attrezzate.

Samo nasce come azienda produttrice di accessori da bagno e nel tempo si specializza in un

settore specifico, quello dalla produzione di cabine doccia. Il fondatore nasce nel 1927 e, nel

dopoguerra, lavorando come rappresentante di vendita di attrezzature per la lavorazione dei

metalli individua nel segmento degli accessori da bagno un settore promettente. Si tratta di

una intuizione accompagnata da un background che il territorio offriva (e offre tuttora) nella

produzione artigianale di mobili. Il territorio veronese, come il Veneto in generale, ha sempre

espresso eccellenze nel settore del legno e della falegnameria. Così viene coniugata la

tradizione e l‟esperienza offerta dal territorio con l‟“innovazione” offerta dall‟applicazione e

dall‟utilizzo di nuovi materiali, nella sfera domestica.

…questa era una zona oltre che di agricoltura anche di falegnami, anche adesso è tutta una zona di

mobili, e quindi cominciò con i mobili per il bagno e cominciò con questa toilette – così si chiamavano

– con questi armadi da bagno, con gli specchi. Quindi incominciò con questi mobili in acciaio per il

bagno, poi a seguire il porta asciugamano, le tende, noi allora ne facemmo tantissime. Quindi il porta-

tende con le tende da doccia. Con le tende da doccia siamo entrati in ogni casa. E da lì, si è passati… ma

stiamo parlando della fine degli anni „70, l‟evoluzione di una tenda da doccia fu la cabina doccia. Che

Page 60: Report. Territori che conciliano

60

venne sempre fatta con l‟acciaio che era quello che noi utilizzavamo per fare gli accessori ed i mobiletti

da bagno e poi cominciammo non con il vetro ma con la plastica. Quindi molto leggere, poco costose

rispetto al vetro, sicure e flessibili e facili da istallare, non c‟era bisogno di un professionista quindi

l‟evoluzione della tenda doccia fu questa prima cabina doccia che era più strutturata, un pochino più

carina comunque non usciva l‟acqua, quindi noi cominciammo con quel tipo di produzione. Noi siamo

diventati grandi con quel tipo di produzione. Noi avevamo l‟80% del mercato su questo elemento.

Attualmente il gruppo di Samo opera con circa 250 dipendenti e l‟80% del fatturato è

realizzato in Italia. Nonostante la stabilità del gruppo ed il ruolo di leader nel settore, le

trasformazione del mercato internazionale e le ripercussioni su quello interno, condizionano

pesantemente le scelte industriali portando l‟azienda ad estendere il ramo produttivo

attraverso l‟acquisizione di un altro importante marchio italiano. La consapevolezza

dell‟esperienza negativa di altri importanti marchi italiani come Pozzi Ginori e Ideal Standard,

che operavano nello stesso settore e che non hanno retto alle sfide della globalizzazione,

portano il gruppo Samo ad acquisire nel 2013 Inda, un‟azienda storica nata agli inizi degli

anni ‟50 a Varese specializzata nella produzione di accessori da bagno con importanti quote di

fatturato sia in Italia che all‟estero. Nasce il marchio Samo Industrie. Questa scelta è dettata

necessariamente da ragioni industriali che permette all‟azienda di estendere il proprio settore

produttivo e di mercato uscendo dalla nicchia delle cabine doccia e competere nel settore

dell‟arredo bagno tout court. Inoltre permette di realizzare delle ottimizzazioni dovute alle

economie di scala. Inda ha infatti al suo interno una vetreria che manca a Samo, un settore di

produzione strategico per non dipendere nei tempi e nei costi di produzione da soggetti

esterni.

A parte la zona di Civita Castellana non c‟è più nessuno che produce sanitari. Arrivano tutti dall‟estero.

Ideal Standard, Pozzi Ginori, sono dei marchi che non esistono neanche più. Ma una volta la produzione

era tutta da noi, Noi ci siamo concentrati su un segmento. Per tutta una serie di vicissitudini noi due anni

fa abbiamo pensato … si è cercato di fare una strategia diversa. Quello che siamo riusciti a fare, quello

che cercavamo, era unirsi con un altro gruppo. Quindi in un periodo di profonda crisi in cui molte

aziende chiudono per problemi finanziari, commerciali o di gestione, […] abbiamo fatto un accordo con

un'altra grossa azienda del nostro settore che invece aveva seri problemi e abbiamo acquistato questa

azienda. Quindi Samo, che produceva solo cabine doccia adesso si è unita con Inda. Da due anni

abbiamo creato questa Samo Industrie che detiene le quote di Samo e Inda, dove Samo ha la

maggioranza. Ora non abbiamo solo le cabine doccia che - poteva essere riduttivo - ma abbiamo anche i

mobili da bagno e gli accessori da bagno. Ecco che in questo mix di prodotti ci consente di proporre al

mercato dei prodotti che non sono solo di nicchia ma di coprire altre fette di mercato. Questa unione

consente di fare delle economie di scala. Questa azienda per esempio ha una vetreria, a noi serve la

vetreria perché il mercato è cambiato e i pannelli sono tutti di vetro, con grado di sicurezza molto

elevato rispetto ad una volta, per cui noi abbiamo necessità di avere una vetreria. Prima li acquistavamo

da terzi ora li facciamo al nostro interno. Quindi ci sono delle ottimizzazioni.

Page 61: Report. Territori che conciliano

61

Se l‟operazione industriale ha una ragione economica, questa operazione rappresenta tuttavia

una sfida nell‟organizzazione del personale ed una motivazione reale di adesione al

programma Audit Famiglia-Lavoro proposto della regione Veneto per “rivedere” le pratiche di

conciliazione famiglia lavoro tradizionalmente offerte dall‟azienda e riflettere sulla loro

rilevanza, necessità e strutturazione. Gli strumenti di conciliazione proposti dall‟azienda

infatti – come in tutti i casi analizzati in questo lavoro – precedono la data di certificazione

Audit Famiglia tanto da poter sostenere molto serenamente che il marchio Audit Famiglia-

Lavoro non fa che formalizzare delle pratiche preesistenti e riconoscere a determinate imprese

una cultura imprenditoriale orientata al benessere di dipendenti e delle loro famiglie. In questo

caso specifico, la certificazione Audit Famiglia rappresenta anche un momento di

razionalizzazione e di ricerca di un principio di equità nell‟offerta di servizi verso i

dipendenti. Finché l‟azienda conserva le caratteristiche di una organizzazione poco struttura,

la fruizione e la richiesta di misure di conciliazione avviene attraverso canali informali e

personali. In sintesi il dipendente si rivolge direttamente al datore di lavoro con cui c‟è

generalmente un rapporto di reciproca conoscenza. Diverso è quanto accade ad una azienda

più strutturata, con stabilimenti produttivi dislocati sul territorio e con un numero di lavoratori

importante tanto da impedire o limitare quel rapporto di reciproca conoscenza. In questo caso

la programmazione, l‟offerta e la fruizione di strumenti di conciliazione si realizza attraverso

canali formalizzati e standardizzati validi per tutti allo stesso modo.

Quello che avveniva prima deriva dalle conoscenze personali e dalla persona, dalla sensibilità delle

persone, del titolare ecc. Ma perché se viene lì una persona e te lo chiede, anzi addirittura c‟era questo

salto, non si va dalle risorse umane per alcune problematiche ma si passa direttamente ai titolari, non si

passava da chi faceva le risorse umane, non esisteva. Con il discorso dell‟Audit e con l‟aumento delle

persone, mentre dei vecchi (gli operai, ndr) me li ricordo tutti, so dirle quanti figli hanno, dei nuovi ... di

là con questo nuovo stabilimento non so neanche i nomi. Allora in questo caso il discorso dell‟Audit

significa anche scavalcare questo discorso del personale, della richiesta direttamente al titolare per

mettere delle regole. Se c‟è una persone delle risorse umane ci si rivolge a questa persona e questa

persona dà le agevolazioni per quanto possibile, ma ha una visione globale, cioè viene fatta a tutti. Cioè

non è che a uno viene fatto perché ti conosce. E quello che non ti conosce, allora? Quindi una

formazione, con delle regole che però possano essere uguale per tutti. Perché altrimenti quello che mi

conosce mi ferma quando esco da qui, ma quello che non mi conosce …

In un periodo storico economico caratterizzato da estrema incertezza della domanda, e per

un‟azienda che vede crescere il numero dei dipendenti in modo rilevante, tanto da

compromettere il controllo della dirigenza sul lavoro dei singoli, l‟offerta di misure di

conciliazione si traduce in uno strumento che favorisce il senso di responsabilizzazione e di

collaborazione del personale dipendente e di comunicazione efficace all‟interno dell‟azienda.

Page 62: Report. Territori che conciliano

62

Le misure di conciliazione offerte sono pensate come controparte per lo sviluppo di interesse,

motivazione e senso di responsabilità dei lavoratori per il loro lavoro e per l‟organizzazione.

La catena del coordinamento aziendale e del controllo delle attività industriali supera la

relazione diretta e diventa molto più articolata tanto da richiedere una forte motivazione ed

impegno individuale nelle performance e nei risultati aziendali.

Mentre per una piccola azienda è più facile tenere sotto controllo un po‟ tutto, più si diventa grandi

come personale da gestire, più ci si allontana dal controllo. […]Per cui, a maggior ragione, serve una

collaborazione delle risorse umane, collaborazione che sia fattiva e professionale. La professionalità

delle persone è una cosa molto importante. Anche dal solo dal lato fiscale, delle cose che non vengono

fatte correttamente, poi dopo ti ritrovi che magari viene la finanza per dei controlli e per delle cose

insignificanti che sembravano non preoccupanti, invece si hanno dei problemi. Una di queste cose qui è

soprattutto l‟impegno e la professionalità delle persone.

Il percorso di certificazione Audit Famiglia-Lavoro, intrapreso da Samo ha una particolare

connotazione che potremmo dire comunitaria. Lo sforzo è, infatti, quello di “agganciare” il

tema della conciliazione non solo al benessere dei dipendenti, in quanto dipendenti, ma anche

in quanto cittadini e residenti di quella località. Così l‟azienda nel promuovere pratiche per il

benessere dei dipendenti si “estende” al contesto comunitario-territoriale8. L‟azione aziendale

non può prescindere dalla località sia per l‟origine e la tradizione che lega l‟azienda al

territorio, sia per ragioni di continuità fra la dimensione residenziale e quella professionale dei

lavoratori: i dipendenti sono prevalentemente cittadini di Bonavigo e delle località limitrofe e

per questo l‟incidenza delle attività aziendali sul territorio è particolarmente rilevante.

Un elemento paradigmatico di tale impostazione riguarda la convenzione in fase di

progettazione con un asilo privato. La convenzione prevede un numero di posti riservati ai

bambini, figli dei dipendenti Samo (si tratta di poche unità, 2-3). In cambio l‟azienda

s‟impegna a contribuire economicamente nel sostenere alcune spese di gestione dell‟asilo.

Prevale allora l‟idea di un supporto ad un servizio territorialmente collocato di cui possono

beneficiare anche i non dipendenti piuttosto che di un contributo economico individuale

slegato dal territorio e che per questo non produrrebbe ricadute sul territorio, a vantaggio di

una pluralità

8Al momento si tratta di pratiche in ideazione e programmazione, per cui non è possibile valutarne gli impatti.

Tuttavia le accezioni adottate nella descrizione dei progetti ci permettono di coglierne il carattere originale e

specifico.

Page 63: Report. Territori che conciliano

63

quello che stiamo valutando, nel senso che io preferisco dare un contributo all‟asilo che va a beneficio

di tutta la comunità, cioè non un beneficio alla mamma che magari poi non ci va ma preferisco dare un

contributo all‟asilo come il rifacimento del giardino, dei giochi, l‟acquisto dei quaderni …

Un ulteriore elemento che possiamo cogliere come caratterizzante l‟elaborazione dei progetti

di conciliazione famiglia-lavoro, riguarda il risparmio del tempo. Il tempo assume una

valenza prioritaria rispetto a tutte le altre dimensioni che normalmente riguardano il tema

conciliativo. Per esempio le convenzioni con altri esercizi non sono orientate semplicemente

al risparmio economico ma a quello del tempo. Sono in fase di sperimentazione una serie di

convenzioni atte a ridurre i tempi nella prestazione delle attività.

Di convenzioni io posso farne finché voglio. Non è mica un problema. Ma allora va a finire che c‟è un

calderone di convenzioni … C‟è la fila per fare le convenzioni però in questo momento stimo facendo

una lista di quelle che fanno risparmiare tempo. […] Il gommista che fa comunemente il 5% di sconto a

tutti ... va bene a quelli di Samo gli fa il 6%, ma in più io chiedo che venga a prendere la macchina in

azienda quando il dipendente arriva e la riporti entro le 5 e mezza. Che non è una questione di costo.

Perché io preferisco quasi quasi pagare il 5% in più ma che mi porti la macchina qui. Che la mattina

venga a prenderla qui quando arrivo e la riporti quando vado a casa. Quindi io piuttosto faccio il

contrario pago in cambio di un servizio. Se poi noi riusciamo ad ottenere sia uno sconto economico che

un risparmio di tempo, è il massimo. […] Questa è una. L‟altra con cui stiamo trattando … qui ci sono

delle aziende agricole per cui tu puoi fare l„ordine via internet, e una volta alla settimana ti portano la

spesa, la verdura a casa. Quindi quella sarebbe già una convenzione, io ordino della verdura e me le

portano in aziende o a casa. Perché non è ancora in atto la convenzione. Perché gli agricoltori passano

prima nei vari comuni e logicamente qua passano alle tre. A me che passino alle tre non interessa,

devono passare alle cinque e mezza quando i dipendenti finiscono. Allora io sto trattando per far

cambiare giro in modo tale che arrivino alla Samo alle cinque e mezza.

Appare chiaro come la questione tempo e organizzazione del tempo sia un tema

particolarmente sensibile per la direzione aziendale con cui tenta di facilitare la gestione della

quotidianità dei lavoratori. È nello stesso ordine di idee e di finalità che l‟azienda sta

elaborando un piano con le amministrazioni comunali per ottenere la banda larga. Potrebbe

sembrare un obiettivo molto distante dal tema conciliativo ma, in realtà, l‟accesso a servizi

informatizzati accessibili e soprattutto rapidi consente di raggiungere differenti obiettivi:

permette di lavorare in remoto e porre le basi per il telelavoro comportando vantaggi

economici per l‟azienda in termini di riduzione di costi per gli spostamenti e maggiori

possibilità di conciliazione attraverso la flessibilità del luogo di lavoro. Inoltre gli

investimenti in strutture e tecnologie informatiche e di comunicazione con la relativa

informatizzazione dei servizi amministrativi, permettono ai lavoratori e, ancora una volta, ai

cittadini, il risparmio di tempo nel disbrigo di pratiche burocratiche.

Qui non esiste la banda larga. È un problema tecnico di cui ne abbiamo parlato con i sindaci. Cosa

c‟entra la banda larga con la conciliazione? Centra! Io ragiono nei termini delle persone che stanno

Page 64: Report. Territori che conciliano

64

lavorando e delle loro famiglie. Tantissima gente di questo posto lavora qui. Se delle persone devono

chiedere anche dei documenti, informazioni, il collegamento in questo posto è molto lento. Se devo

aspettare un‟ora in comune per avere una carta perché non ho il collegamento dell‟anagrafica, sono ore

che sono perse. […] in accordo con il comune, noi la portiamo e in qualche modo voi vi potete

aggregare per l‟utilizzo. E che cosa succede: nel pacchetto che noi stiamo trattando si possono creare

delle agevolazioni per tutta la comunità. Che cosa vuol dire: wi fi in piazza; se vai in comune per

qualsiasi tipo di documento che uno deve chiedere, deve aspettare perché i tempi di collegamento sono

molto lunghi. E non riesci a collegarti perché una volta su tre non c‟è segnale. Logicamente se noi

arriviamo con la banda larga e il comune si attacca alla linea a costi zero però può dare un servizio alla

cittadinanza, perché ne usufruisce e quindi ne ha beneficio tutto il comune.

È evidente come tale prospettiva presenti una sovrapposizione dei due assi che caratterizzano

l‟elaborazione delle pratiche di conciliazione di questa organizzazione. Da una parte il

risparmio del tempo per i dipendenti e dall‟altra l‟offerta di un servizio che non si esaurisce

nella fruizione particolaristica di affiliati ma interessa tutta la comunità territoriale. Questa

valenza ritorna al discorso proposto in apertura, quello per cui la localizzazione dell‟azienda

non rappresenta un vantaggio logistico né economico, ma definisce un senso di attaccamento

al territorio imprescindibile ed un senso di responsabilità sociale.

Avevo raggruppato tutti i sindaci dei comuni della zona per cercare di fare un discorso … perché non

dobbiamo lavorare solo noi aziende ma ci deve essere – e quello secondo me è la cosa più importante –

una relazione con il territorio. Quindi anche con tutti i comuni della zona riuscire a trovare una cosa che

possa facilitare le aziende.

Questo aspetto caratterizza l‟operare del nostro attore in merito alle politiche di conciliazione

tanto da differenziarlo da altre organizzazioni che ugualmente affrontano i medesimi

problemi. La dimensione del piccolo paese agrario caratterizza gli stili di vita della

popolazione, le strutture ed i legami familiari e l‟organizzazione della quotidianità è ciò

differenzia notevolmente le prospettive e la realizzazione di servizi di welfare aziendale nella

comparazione con aziende situate in contesti industriali e fortemente urbanizzati. Tutta la

programmazione Audit non può – se vuole essere efficace – prescindere dal contesto culturale

ed economico entro il quale opera l‟azienda.

Abbiamo fatto tutto un percorso sull‟Audit e sulla conciliazione dove venivano prese sempre in

considerazione delle aziende in aree industriali organizzate e vicine ai grossi centri, dove i problemi

sono diversi rispetto a delle aziende isolate. In altre zone […] si parla di asili o di scuole e qui non

vogliono la scuola a tempo pieno. Per cui i bambini finiscono e … vanno solo la mattina, nel

pomeriggio non vano a scuola. Qui al contrario ci sono i genitori o comunque la comunità che non

vogliono il tempo pieno e quindi i bambini vanno a scuola solo la mattina. Ma questo non perché le

strutture non ci sono. La disponibilità c‟è ma in realtà tantissime scuole si fa solo la mattina. Quindi

questo significa che c‟è una rete di supporto familiare molto presente. Nonni, zii … una rete piuttosto

presente, altrimenti non si capirebbe questa richiesta

Page 65: Report. Territori che conciliano

65

L‟investimento in misure di conciliazione o in pratiche di welfare aziendale si motiva come un

elemento in grado di favorire una condizione per lavorare con maggior rigore ed impegno. In

particolare si evidenzia lo scrupolo per la qualità del lavoro volto a minimizzare gli sprechi ed

i costi nelle varie fasi operative. Le misure di conciliazione mettono nelle condizioni di

lavorare meglio e soprattutto equilibrare gli svantaggi di una domanda esterna incerta e

altalenante. La corretta e puntuale valutazione dei costi di gestione, del magazzino e delle

varie fasi di attività industriale, diventano gli obiettivi principali da considerare e perseguire.

Per fare ciò è imprescindibile l‟apporto scrupoloso delle risorse umane ed il loro controllo

sulle loro specifiche mansioni. Le risorse umane, il capitale umano, sono allora uno dei

pilastri su cui le aziende muovono i loro sforzi. L‟attenzione delle risorse umane nei processi

produttivi diventa, in questo periodo storico di difficoltà economiche e di un mondo esterno

che non è prevedibile, un obiettivo aziendale ed una scelta strategica. Le misure di

conciliazione rappresentano uno degli strumenti per concretizzare tale obiettivo.

Il mondo esterno non è prevedibile e quindi quello dell‟azienda, almeno al suo interno deve

essere stabile, certo. Le dimensioni del controllo e della certezza, proprio perché all‟esterno

non sono garantiti, all‟interno dell‟azienda vengono maggiormente enfatizzate. Le direzioni

aziendali cercano così di produrre un atteggiamento nei dipendenti che si muova lungo questa

traiettoria. Che favoriscano il controllo e la certezza

Sia le persone che andranno a vendere che devono essere motivate ed io personalmente penso che sono

le persone che fanno al differenza. Per cui sia all‟interno, perché devono fare una gestione più possibile

oculata, senza sprechi, sia di persone che anche operativamente lavorano perché deve esserci una

qualità corretta, perché se una cosa viene fatta male c‟è una ripercussione a costi pazzeschi. Io penso

sempre che il discorso delle risorse umane sia importante perché si riesce a vendere e a produrre se tutta

la filiera è motivata. Questa è secondo me una delle cose più importanti. Se le cose al nostro interno

vengono fatte bene si hanno delle economie e quindi anche dei costi che sono certi ma anche

controllati.[…] Non è detto che se c‟è una domanda di un prodotto, l‟azienda possa andare bene. Se le

cose vengono prodotte male e vengono vendute, poi ritornano perché non fatte correttamente.

L‟azienda Samo ha articolato le politiche di conciliazione che partiranno dal 2015 e che si

svilupperanno in un triennio, secondo tre aree principali:

informazione e comunicazione;

servizi e benefit a favore del personale;

competenza dirigenziale.

Attualmente i maggiori sforzi si sono compiuti in funzione delle aree della informazione e

comunicazione e, in parte, nei servizi ai dipendenti.

Page 66: Report. Territori che conciliano

66

In particolare, per quanto riguarda la prima area, l‟azienda ha realizzato un logo per la

comunicazione SamoVillage, che accompagna ed accompagnerà le comunicazioni inerenti il

tema della conciliazione. Questa comunicazione viene stampata e diffusa via intranet e c‟è un

area di lavoro dedicata in cui vengono archiviati i documenti per creare un archivio.

La seconda area entro cui l‟azienda sta programmando degli interventi è quella dei servizi e

dei benefit a favore del personale. Come abbiamo già discusso, si tratta di quelle misure che

tendono prevalentemente a favorire i tempi per i dipendenti nella gestione della quotidianità.

Il capitolo sulle competenze dirigenziali è invece, al momento, tutto da scrive.

2.4 – Conciliazione, tradizione e affezione per competere nel mercato globale. Il caso

Keyline.

(dalle interviste all’amministratrice unica, dott.ssa Gribaudi; responsabile delle risorse

umane, dott.ssa Mazzer; coordinatrice dei progetti di conciliazione, dott.ssa DalMistro)

L‟azienda Keyline, azienda leader mondiale nel settore delle produzioni di chiavi e di

macchine duplicatrici di chiavi, ha un‟origine secolare, datata 1770. Il gruppo Bianchi1770

nasce a Ciliana di Cadore, un paesino incastonato fra le dolomiti dove più di due secoli fa

esistevano circa trecento fucine che piano piano sono scomparse. Si tratta di un‟azienda

familiare – della famiglia Bianchi – che da otto generazioni ricopre un ruolo importante in

questo settore di mercato. Ed è proprio la tradizione e la dimensione familiare ad aver

probabilmente contribuito a favorire una particolare sensibilità verso il tema della

conciliazione famiglia-lavoro.

Ci stanno studiando a livello di family business, come è possibile che siamo arrivati alla ottava

generazione, quali sono le motivazioni che possano spingere sia l‟imprenditore e le persone che

lavorano con te a seguire un progetto del genere. E io credo che in quest‟ambito quella che adesso noi

chiamiamo la certificazione della conciliazione lavoro famiglia, abbia sempre fatto parte del DNA di

questa famiglia. Nel senso che se vuoi avere una buona squadra, ma questo nel tempo, […] questo può

essere fatto nella consapevolezza di condividere gli aspetti problematici e gli aspetti di business che

puoi portare avanti. E questo lo abbiamo fatto negli anni.

La certificazione Audit Famiglia-Lavoro ottenuta dalla regione Veneto nel 2013 si sovrappone

ad una modalità operativa in essere, quale riconoscimento di un modus operandi e di una

cultura imprenditoriale attenta al tema del benessere dei lavoratori e delle loro famiglie: la

formalizzazione di un programma sostanziale

Page 67: Report. Territori che conciliano

67

Quando la regione Veneto ci ha proposto di certificarci, per noi è stato un passaggio naturale. Naturale a

tal punto che quando i certificatori sono arrivati, noi che avevamo fatto tutta una serie di azioni, ma che

non sapevamo che erano delle azioni che facevano parte di una certificazione, perché era il nostro

modus operandi, praticamente ce l‟hanno data d‟ufficio.

L‟85% della produzione industriale è esportato all‟estero e questo comporta necessariamente

– per l‟azienda - una continua attenzione alle richieste, agli andamenti e alle imprevedibilità

del mercato globale ma anche una cultura industriale che punti alla soddisfazione del capitale

umano. Poter stare nel mercato, competere ed affermarsi sono obiettivi irraggiungibili se non

si può contare sull‟attenzione, la motivazione e la professionalità dei lavoratori:

Le difficoltà dell‟azienda in questo momento sono le difficoltà di tutti di stare in un mercato globale, e

avere la dinamicità e la flessibilità di adattarsi a quelle che sono le richieste di un mercato globale. Noi

esportiamo fuori dall‟Italia l‟85% della produzione quindi ci troviamo per esempio a lavorare con paesi

che hanno delle richieste completamente diverse e culture diverse. Perché lavorare con i giapponesi

vuol dire avere un approccio … un prodotto che va spedito in Giappone chiede la massima attenzione e

quindi ancora una volta devo richiedere ai miei collaboratori flessibilità, specializzazione,

professionalità e quindi do da una parte ma certamente ricevo dall‟altra perché nel momento in cui

voglio stare in un mercato globale, … anche solo i fusi orari hanno bisogno di disponibilità. Alle volte

noi ci troviamo a fare delle conference call con della gente che - io magari sono in Giappone -,

costringo a venire alle cinque del mattino in ufficio. Perché ho bisogno di avere delle persone sul posto

che mi diano delle risposte.

L‟investimento in capitale umano non si esaurisce nella produzione di competenze e

professionalità, ma riguarda anche una serie di atteggiamenti e comportamenti atti a generare

e irrobustire i rapporti umani fra la direzione aziendale e i lavoratori. Relazioni in cui trovino

spazio esperienze di fiducia, affezione, appartenenza. Particolarmente esemplificativo appare

il caso del signor P., un lavoratore malato di cancro che si sottopone ad una terapia

sperimentale che prevede, per il malato, la condizione di continuare per quanto possibile il

regolare svolgimento delle proprie attività quotidiane, compresa quella lavorativa.

In un caso di malattia di un nostro collaboratore della produzione, era un tumore allo stomaco, invasivo

… e lui è entrato in un progetto di sperimentazione. Erano in tre che avevano lo stesso problema ed è

stato chiesto di chiedere all‟azienda in cui lavoravano di continuare a lavorare. E la sperimentazione

era: facciamo prima la chemioterapia, riduciamo il tumore e poi vi operiamo. Però dovete avere una vita

normale. In questo caso P. è stato l‟unico che ha avuto l‟opportunità di continuare a lavorare. Perché io

mi sono assunta la responsabilità del caso. Questo voleva dire vederlo arrivare a 50chili, con la morfina,

lavorare tre ore e poi riaccompagnarlo a casa. Creare un posto di lavoro per lui. Io credo che quando

ricevi tanto devi dare tanto. Racconto questo episodio che è poi emerso con la conciliazione. Episodio

di 5-6 anni fa, … non lo abbiamo fatto oggi per essere visibili con la certificazione. In un contesto in cui

era giusto fare così. E devo dire che per esempio P. è una delle persone che dà giorno e notte

all‟azienda. […] Quando è stato intercettata questa notizia del Sole 24, sono venuti ad intervistarlo e lui

ha detto: «io non sono bravo con le parole, io sono un operaio e quello che posso dire è che dopo la mia

famiglia questa è la mia seconda famiglia. Perché mi ha supportato in un momento …». […] Io lo

ricordo benissimo. Il giorno prima gli ho detto: «P. stai così male. Domani non venire!». E lui mi ha

detto: «No, non vengo». E la mattina me lo vedo qui che l‟avevamo messo assente. Perché non stava in

Page 68: Report. Territori che conciliano

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piedi. Io gli ho detto: «P., ma?» E lui mi ha detto: «Cristina, fossi rimasto a casa oggi … mi sarei

suicidato. Mi buttavo giù dal balcone».

Questa testimonianza – sebbene particolarmente estrema -, esprime probabilmente al meglio

una relazione “di cura” che si realizza fra le due parti. Una relazione che ha una forte valenza

emotiva. È la dimensione simbolica ed affettiva che porta all‟esperienza di benefici concreti

per i lavoratori e per le loro famiglie da una parte ma anche a benefici – non solo strumentali,

ma culturali ed espressivi - per le aziende. In questo aneddoto si legge e si realizza quella

disposizione umana che abbiamo chiamato della “cura”. Una cura che non è monodirezionale,

e verticistica ma che si trasmette “culturalmente” e in modo trasversale. La cura per il singolo

contagia l‟ambiente sociale, e si articola in attenzioni, premure, responsabilità. Lo stesso

lavoratore ci dice nell‟intervista che questa esperienza “umana” ha modificato il suo

atteggiamento nei confronti del proprio lavoro e il suo modo di riferirsi all‟impresa:

Io sono magazziniere. Mi arrivano i pezzi dal fornitore, devo controllare se la quantità è giusta e …

oppure prima di mandarli fuori devo controllare se c‟è da fare un‟ulteriore lavorazione […]. Prima lo

facevi di routine e vabbè, cinquanta pezzi e via. Adesso se c‟è qualche particolare che intravedo che non

funziona, mentre prima sorvolavo, adesso…sei più attento quando lo fai…

Sono più attento perché … praticamente la fabbrica per me non è del padrone. Il lavoro che fai non è del

padrone ma è tua e allora mi sono reso conto che essendo tua la devi portare avanti al meglio possibile

e, facendo un esempio, se io conteggio i pezzi e al posto di 50 ne trovo 49, chiamo i fornitori e dico:

guarda che mi manca un pezzo …adesso rompo le scatole e dico: manca quel pezzo me lo devi dare

oppure me lo devi togliere dal documento.

(È cambiato, ndr) il mio modo di vedere il padrone. Prima era che era uno che ti dava il lavoro, basta.

Invece adesso ha creato come … più di una amicizia. Allora non è solo un rapporto di lavoro: io lavoro

tu mi paghi. No! È anche un rapporto sentimentale. Adesso avendo vissuto quella cosa là e sapendo il

valore della vita che hai, al mattino io parto, vengo al lavoro … cioè io adesso ho 56 anni, manca poco

alla pensione e non è che non vedo l‟ora che arrivi (Int.Dip.13).

Con questa testimonianza esortiamo il lettore a non confondere l‟attenzione dell‟azienda con

un puro calcolo strumentale o all‟interesse per un ritorno d‟immagine. In questa esperienza ci

sono in gioco valori molto più importanti della produzione in sé ma che, definiscono e

partecipano alla realizzazione di un ambiente lavorativo “familiare” in cui gli interessi delle

parti si sovrappongono e configurano una condizione favorevole per lo sviluppo umano oltre

e prima che quello economico.

Per noi il focus è certamente l‟azienda, certamente gli utili, perché se non facciamo utili siamo una

associazione di beneficenza e chiudiamo domani mattina. Però il focus è la persona. Perché agli utili ci

arrivi attraverso la persona. Per noi il rapporto umano, del capitale umano è al numero uno. Il loro

benessere è il nostro benessere.

Page 69: Report. Territori che conciliano

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Una promozione umana e sociale che è alla base ed è fondamentale per dare garanzia di

continuità della professionalità e delle competenze. Per questo la dirigenza si sofferma su un

dato significativo e fa notare come trenta dipendenti totalizzino 510 anni di esperienza

professionale. Un dato rilevante per competere nei mercati globali.

Se io voglio stare in un mercato globale è solo la professionalità di tutte queste persone, questa

contaminazione fra le nuove generazioni e le persone che hanno fatto la storia delle aziende nel Key

business, che quindi hanno questa grandissima esperienza, può permettermi di volare lontano. Cioè le

radici. Tutto sommato le radici di questo territorio.

Una professionalità allora che radica nel passato e che si spinge verso le nuove generazioni e

le coinvolge in una progettualità di ampio respiro. Una cultura industriale orientata a integrare

le generazioni ed i settori produttivi, a dis-alienare il lavoro e rendere partecipi nei processi e

nelle scelte produttive. Da una parte dunque la continuità fra le generazioni, il passaggio del

testimone che è nell‟esperienza formativa e professionale, dall‟altra la continuità fra le

professioni e le competenze:

Quando abbiamo delle difficoltà sulle duplicatrici di fronte ai nostri dodici ingegneri, la cosa che mi

viene più facile è quella di andare in produzione e prendere gli operai che hanno più esperienza,

contaminarli con gli ingegneri e molte volte delle soluzioni, che parte da una esperienza, da un valore

aggiunto che è nel loro cervello nelle loro mani, la trovano loro. Quindi io credo che tutto questo passi

come un valore condiviso. Quindi è un valore che cambia l‟approccio culturale anche della persona che

sta all‟interno della produzione.

La sovrapposizione degli interessi e delle premure di lavoratori e datori di lavoro permette

una “sintonia”, condizione necessaria per far fronte alle sfide ed alle imprevedibilità del

mercato globalizzato. In particolare la dirigenza si sofferma su un ulteriore episodio che

illustra bene queste dinamiche, intese come frutto di una cultura organizzativa attenta alle

persone. Negli ultimi anni il mercato mondiale delle chiavi è stato invaso – sono le parole

della intervistata – dai competitors cinesi che hanno immesso nel mercato una quantità

importante di chiavi riducendo la domanda di quelle prodotte in Europa. Le previsioni

lasciavano pensare ad una continua riduzione della domanda e a maggiori investimenti in

macchine duplicatrici. In realtà il mercato sembra aver risposto in modo differente rispetto a

queste prospettive. La bassa qualità della produzione orientale, spesso non conforme alla

normativa europea, si è scontrata con una domanda del prodotto di maggiore qualità. Tale

inversione di tendenza, secondo la nostra intervista, ha avuto il supporto degli operai che si

sono mostrati disponibili a rispondere ad un mercato imprevedibile.

Page 70: Report. Territori che conciliano

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Il mercato è isterico. Prima era impazzito adesso siamo all‟isteria totale. Difficile anche da

programmare e questo operaio mi dice: nel momento in cui dovessero arrivare degli ordini inaspettati,

c‟è un gruppo di persone disponibili a venire a fare il turno di notte. […] Vuol dire che queste persone

sanno bene che io sto facendo fatica a rispondere ad un mercato globale e quindi ho pianificato che

quest‟anno avremmo fatto meno chiavi e più duplicatrici. Il mercato mi ha risposto, più chiavi e meno

duplicatrici. E perché? Perché i nostri concorrenti a forza di mettere sul mercato le chiavi cinesi, adesso

abbiamo l‟effetto contrario. È vero che l‟anno scorso abbiamo venduto meno chiavi, sono due anni che

vendiamo meno chiavi - perché hanno immesso sul mercato chiavi cinesi, però sono fatte con sostanze

cancerogene, si staccano, non sono a norma perché non hanno le norme che abbiamo noi, europee. […]

Hanno riempito il mercato, però il mercato che probabilmente valuta, almeno alcuni mercati, ci ha

messo nella condizione di dover aggiustare il tiro. Quindi abbiamo pianificato una cosa e abbiamo

dovuto gestire un‟altra cosa. Il fatto che questa persona mi abbia informato e me l‟abbia detto, vuol dire

che questo l‟ha capito benissimo. Aveva capito il mio stato d‟animo e quello che stavo vivendo negli

ultimi quindici giorni. Ma sono convinta che se non ci fosse questa sintonia, che ha fatto emergere la

certificazione, di cui loro sono molto orgogliosi...perché questo è il nostro modo di essere.

Ed è proprio analizzando il rapporto tra una piccola azienda e l‟oceano del mercato globale,

con le sue sfide e le sue opportunità che emerge un aneddoto dal forte carattere simbolico,

cosa che evidenzia lo spirito di gruppo, il comune sentire, l‟appartenenza. Contrariamente ad

un‟impostazione classica della gestione delle risorse umane, che ha sempre trascurato la

dimensione ludica nell‟organizzazione aziendale, il gioco è – e lo è sempre più - una delle

strategie chiave di managing volta a coinvolgere i dipendenti, a far emergere qualità

individuali e ad amplificare dinamiche relazionali con ricadute positive sul corretto

funzionamento organizzativo, sui livelli di comunicazione interni, sulla riduzione dei conflitti

e sulla efficienza e qualità nell‟attività produttiva (Andersen, 2013).

Io torno dai viaggi di lavoro, ne parlo in produzione e dico: sono stata in Giappone, sono stata di qua,

sono stata di là ecc. Insomma dicevo sempre noi andiamo alla conquista di terreni nuovi, di mercati

nuovi. E quindi è nata questa cosa che siamo dei pirati e delle piratesse. Ad un certo punto P. mi dice:

«dobbiamo fare la foto annuale con tutti e ce la facciamo con i cappelli da pirati». Io gli dico: «tu sei

scemo!. Io domani sono sui giornali. Non posso mettere ad uno il cappello … I sindacati mi mangiano

viva»!. E lui mi sfida. Mi dice: «facciamo così. Io compro cento cappelli. Se non li mettono li pago io.

Se invece li mettono li paga lei». Io accetto la sfida. Insomma facciamo prima la foto ufficiale. Poi P. va

a prendere i cappelli. Io ero terrorizzata e dicevo: «chi non vuole fare la foto con i cappelli per favore

vada via»! E, ad un certo punto vedo tutti che vanno fuori per prepararsi per la foto. Insomma tutti

volevano fare la foto “noi siamo dei pirati”. E questa è l‟appartenenza.

Nel corso degli anni l‟azienda ha offerto strumenti di conciliazione di varia natura e con

differenti e specifiche finalità. Tutte sono state realizzate prima – ed a prescindere – dal

percorso di certificazione Family Audit. E in particolar modo sono nate dalla disponibilità

immediata dell‟azienda a fare fronte a problemi o limitazioni che i dipendenti incontravano

nel regolare svolgimento del loro lavoro. È il caso dei due pulmini aziendali acquistati

dall‟organizzazione che si è accollata anche tutti i costi di manutenzione dei veicoli - per

favorire il trasporto casa-lavoro di un gruppo di dipendenti particolarmente svantaggiati dalle

Page 71: Report. Territori che conciliano

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distanze. Oppure il caso del parcheggio rosa che limita gli spostamenti per le donne incinte.

Anche questa esperienza nasce da un episodio casuale in cui la dirigenza nota le difficoltà di

una dipendete in stato di gravidanza nel parcheggiare il suo veicolo in prossimità

dell‟ingresso in azienda. Altri sforzi sono fatti nell‟ambito della comunicazione interna dove i

temi di discussione non sono esclusivamente inerenti la questione della produttività,

dell‟impresa o delle relazioni sindacali ma si estendono anche a problematiche sociali di

attualità come per esempio il femminicidio, a dimensioni ludiche come le attività sportive o le

feste aziendali aperte alle famiglie dei dipendenti, ad eventi celebrativi in occasione di

premiazioni o a momenti di promozione culturale.

La certificazione Audit, sebbene si sia sovrapposta a pratiche ed atteggiamenti consueti e

consolidati nel tempo, ha corrisposto ad un momento di ulteriore sensibilizzazione e

consapevolezza maturata non tanto dalla direzione aziendale quanto dagli stessi dipendenti, i

fruitori diretti delle patiche. La sensibilizzazione ha fatto emergere una ulteriore domanda di

attenzione e di riflessione verso il tema della conciliazione.

Ho notato che prima della certificazione nei reparti c‟erano delle beghe. Più di una volta ho dovuto

intervenire in queste situazioni che potrebbero anche non essere considerate … ma che hanno la loro

importanza nella collaborazione e nell‟efficienza. Mi pare che dopo la certificazione - sicuramente

questo lo posso dire – quelli che erano i problemi familiari, l‟ho notato perché sono diminuite queste

beghe sciocche e sono affiorate questioni un pochino più consistenti che posso essere proprio di ordine

familiare. Quindi la comunicazione su quelli che erano i problemi familiari è affiorata. Mi viene in

mente una coppia, marito e moglie che lavorano qui che fanno anche dei turni, avevano problemi con la

mamma, insomma abbiamo cercato di aggiustare i turni e i tempi così potevano assistere la mamma.

Sinceramente non credo che con il clima che c‟era precedentemente … probabilmente ci sarebbe stato

un atteggiamento più restio nel chiedere anche questi piccoli accorgimenti, che sembrano tanto piccoli e

poi … Voglio dire, l‟approccio: la mia azienda è attenta a delle problematiche ed io le porto. Si crea quel

clima aziendale in cui si coltiva anche una cultura family friendly, dell‟attenzione a certe dinamiche che

non sono solo lavorative.

L‟attenzione al tema della conciliazione è presumibilmente legata anche ad una dimensione,

rilevata in letteratura, che ha a che fare con la presenza ai vertici delle organizzazioni di

donne. Come sostenuto dal nostro interlocutore è il suo stesso ruolo di madre che ha favorito

lo sviluppo e la sensibilizzazione verso determinate problematiche.

Quello che io ho fatto emergere sono tutte le problematiche legate ai bambini. Ma perché io sono donna

e sono madre. Sono madre di sei figli, quindi al di là di tutti gli aiuti che posso aver avuto nella mia vita,

so molto bene cosa vuol dire se la scuola non ha il pomeridiano, poi magari deve fare l‟attività sportiva

e come incastrare tutte queste cose qua. Quindi il focus che noi abbiamo dato, ma perché per noi era una

esigenza che percepivo dalle madri in azienda. Cioè il parcheggio rosa mi è venuto in mente perché ad

un certo punto mi è arrivata una ragazza del commerciale incinta di due gemelli, che quella mattina

aveva fatto un esame del sangue, che ha parcheggiato in tanta malora perché è arrivata alla fine con

questo pancione e … «adesso mi ricordo che ho parcheggiato lontano»! «Come ho parcheggiato

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lontano»?. E da lì ho detto: «ma come è possibile»!. Ed è stato così, ho detto di comprare un cartello

rosa. Abbiamo appeso un cartello e da questo momento in poi questo deve rimanere a disposizione delle

persone incinte. Quindi probabilmente, lei non avrebbe mai osato chiedere una cosa del genere. E

probabilmente se il suo capo fosse stato un uomo, avrebbe detto: «sì, vabbè, però la prossima volta

cerca di arrivare prima!».

Riguardo le misure di conciliazione famiglia lavoro, al di là delle classiche misure di

flessibilità dell‟orario di lavoro, della semplicità e disponibilità (come sostenuto dai

lavoratori) di concedere permessi, concessione di un orario ridotto per madri che rientrano al

lavoro – oltre quello previsto dalla legge - attualmente l‟azienda sta programmando una serie

di convenzioni con esercizi commerciali esterni. L‟obiettivo è quello di ottenere uno sconto

sul costo di beni e di servizi per i dipendenti con riferimento a odontoiatri, agenzie viaggi,

lavanderie, centri estetici ecc. Queste opportunità, sebbene possano apparire irrilevanti

vengono particolarmente apprezzate dai dipendenti. Inoltre si stanno realizzando convenzioni

con cooperative che gestiscono asili o centri per l‟infanzia specie nella stagione estiva. Un

ulteriore servizio in fase di ideazione è quello che permetterebbe il pagamento di bollette ed il

disbrigo di alcune pratiche di natura burocratica attraverso l‟ausilio di un soggetto esterno

all‟azienda. L‟obiettivo espresso dalla proprietà – in cambio dell‟offerta di tali servizi – è

quello di permettere e favorire la riduzione del conflitto fra le domande espresse dalla sfera

familiare e quelle espresse dal luogo di lavoro.

Mi rendo conto che per avere delle persone che possono “serenamente”, mi rendo conto che è una

parola grossa, voglio dire cercando di venire a lavorare togliendoli tutta una serie di problemi… cioè la

qualità della loro vita perché io ho bisogno di persone che vengano qua con la voglia e la passione di

lavorare che non ha prezzo. […] Nel momento in cui mi produci una chiave e la produci senza dedicare

quell‟attenzione, magari mi stai producendo delle chiavi che diventeranno uno scarto. Che può capitare.

Se però io ti metto in una situazione tale per cui tu comprendi ed hai la sensibilità di dire: «ma quanto

costa questo scarto all‟azienda»? Se io mi rendo conto prima, attivo tutta una serie di recettori … Io

continuo a dire che in questa azienda ognuno è imprenditore di sé stesso. Cioè ognuno deve difendere la

sua posizione.

Uno strumento aziendale particolarmente efficace adottato dall‟azienda per ridurre il tasso di

assenteismo e migliorare la qualità della produzione è il premio di produttività, regolamentato

dalla contrattazione di secondo livello. Fino al 2013 il premio era ottenuto in base al

raggiungimento di un livello di fatturato aziendale e gli incentivi erano calcolati a partire dal

tasso di assiduità, cioè dal numero di presenze sul lavoro. Nel 2014 l‟azienda sceglie di

adottare come criterio prevalente non più il fatturato ma il numero di prodotto non conforme.

Essendo un‟azienda certificata ISO 9000 – il protocollo che regola la certificazione di qualità

– il premio di produttività risente complessivamente del numero di prodotto non conforme,

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cioè di prodotto che per difetti non può essere immesso sul mercato. Il premio di produttività,

ricalcolato in base al tasso di assiduità, viene elargito se la produzione resta sotto una certa

soglia di produzione non conforme. È evidente come lo sforzo dell‟azienda sia tutto teso a

creare le condizioni professionali migliori ed un clima aziendale favorevole per esprimere un

prodotto qualitativamente elevato in grado di affermarsi nei mercati mondiali.

2.5 – Conciliazione, curare il prodotto e il lavoratore. Il caso Crivertrade (dall’intervista alla fondatrice, dott.ssa Pivato; responsabile delle risorse umane, dott.ssa

Beroaldo: medico del lavoro, dott. G.D.G.)

L‟azienda Crivertreade di Silea, nasce nel 1995-96 da una piccola esperienza produttiva

semiartigianale espandendosi per tutto il ventennio successivo. L‟azienda opera nel settore del

visual merchandising e produce espositori di articoli di varia natura per marchi presenti in

tutto il mondo. L‟avvio della attività imprenditoriale appare piuttosto insolito ed è

particolarmente legato alla capacità tecnica e creativa del fondatore e a quella amministrativa

e commerciale di sua moglie. Entrambi non avevano mai lavorato in questo settore

produttivo, il fondatore aveva una piccola azienda – con un solo socio – e si occupava di

grafica mentre sua moglie lavorava nel settore alimentare, ma quando fu proposto loro di

realizzare un prototipo di espositore per il distributore locale di Pepsi, non ebbero alcuna

difficoltà a realizzarlo, né a produrne un migliaio di esemplari. Questo momento segna la

nascita di Crivertrade.

Nasciamo per caso, io uscivo da un settore e mio marito da un altro settore e ci siamo incontrati per

puro caso e abbiamo detto: cosa possiamo fare? Fatalità un nostro amico aveva bisogno di un espositore

della Pepsi-Cola […] che ci ha detto: «mi servirebbe questo campione di questi bicchieri con una molla

ecc.» Io allora sono venuta a casa e gli ho detto: «ma tu riesci a fare sta roba»? - «Mamma mia, è una

stupidaggine»! Ha fatto questo disegno ed un preventivo di cosa poteva costare, io sono andata da

questo mio amico che era all‟ufficio commerciale della pepsi-cola a Scorzè e ha detto: «va bene, mille

pezzi». E da lì dopo, un altro amico che aveva un negozio di occhiali sportivi, e dopo il passaparola e

qua e là e siamo partiti.

Con il tempo si affacciano brand sempre più numerosi e prestigiosi, come nel caso di

Benetton e l‟azienda cresce nel fatturato negli spazi e nel numero di dipendenti che passa da

uno, con l‟avvio, ai 37 e i circa venti lavoratori interinali di oggi. La sede iniziale, una

stanzetta ricavata dall‟azienda in cui il fondatore lavorava, trova locazione in un capannone

industriale di duecento metri quadrati in San Biagio di Callata. Un capannone che sembrava

enorme ma che presto non è più sufficiente a contenere macchinari e commesse. Così, dopo

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cinque anni l‟impresa si sposta in un nuovo edificio di 3500metri quadri nei pressi del

comune di Silea, finché nel 2008 l‟azienda si sposta definitivamente a Silea in uno spazio di

10mila metri quadrati. L‟estensione dello spazio aziendale è un indicatore importante per

cogliere la repentina crescita dell‟impresa. Ci sembra rilevante per sottolinearne il successo

ma, in questo caso – vedremo – questo elemento ci accompagna anche a riflettere sulla

dimensione fisica e strutturale dello spazio aziendale quale elemento su cui la proprietà si è

particolarmente interessata per favorire un clima aziendale e di collaborazione propositivo.

Siamo partiti da una stanzetta, affianco all‟aziendina che lui aveva con un altro socio con cui faceva

telai serigrafici. Facevano le scritte sui camion, sulle vetrine però non avevano la struttura per fare gli

espositori. Abbiamo preso una stanzetta da un‟altra parte, poi abbiamo preso un lavoro da Benetton,

sono venuti a vederci perché … mio marito è sempre stato un ottimo tecnico, per cui le soluzioni

proprio dell‟espositore, dell‟oggetto… per cui molto probabilmente le classiche agenzie non riuscivano

ad avere le stesse attenzioni e le proposte… Il lavoro quindi veniva avanti e da li ci siamo spostati a in

affitto e ci sembrava un capannone enorme. Da una stanzetta e un magazzinetto a duecento metri di

capannone ci sembrava ... non so di diecimila metri. Però ci siamo rimasti poco: cinque o sei anni. Poi

abbiamo acquistato un altro stabilimento di tremila e cinquecento metri vicino a Silea e in un

battibaleno lo abbiamo riempito per cui nel 2008 ci siamo spostati e qua oggi siamo in diecimila metri

quadrati.

L‟azienda ha maturato negli anni una credibilità su cui ha fondato il proprio successo e posto

le basi per gli sviluppi futuri. Una credibilità data dall‟elevata precisione nei dettagli e dalla

qualità del prodotto destinato a operatori nazionali e indirettamente a mercati internazionali

dove il made in Italy è sinonimo di qualità, creatività e accuratezza. È lo stesso livello di

qualità espresso a definire e condizionare un certo tipo di atteggiamento e di attenzioni della

dirigenza verso il personale. Gli sforzi aziendali nell‟ambito delle politiche di conciliazione e

di welfare aziendale tout court vertono proprio a creare le migliori condizioni possibili per

favorire l‟impegno del personale, l‟attenzione e la cura per il proprio lavoro. L‟azienda non

dispone della certificazione di qualità ma – stando alla testimonianza della dirigenza – è lo

stesso mercato che individua e seleziona la qualità.

Noi abbiamo un lavoro difficile. Bello però difficile. Se non sono tutti quanti attenti, precisi e meticolosi

sul lavoro che fanno, lo vedi di là […] Qui ci sono pochi lavori con commesse difettose perché, essendo

brand molto importanti, quando sbagli una volta non ti danno più lavoro. Sei fuori dal mercato. […]

Generalmente quando esce un prodotto da qui è già certificato dalla nostra produzione perché pensi un

Bulgari, se lei le manda un prodotto che ha dei difetti, te lo rendono ma poi non lavori più con loro. È

un po‟ anomala come produzione ecco perché le persone devono essere molto attente a quello che

fanno. […]Perché le risorse umane vanno al primo posto. Se non ho le risorse umane che lavorano bene,

che sono tranquille, che hanno un ambiente di lavoro sano … non producono bene.

Page 75: Report. Territori che conciliano

75

Da ciò deriva la necessaria richiesta di prestazione certosina ai lavoratori ed è proprio

attraverso questo aspetto che si motivano le operazioni welfareistiche atte a promuovere il

benessere dei dipendenti e che possiamo articolare secondo i seguenti capitoli:

misure di flessibilità organizzativa dell‟orario di lavoro;

investimento e progettazione degli spazi per favorire la comunicazione interaziendale;

ambulatorio di medicina del lavoro e prestazione medica eccedente quella obbligatoria

prevista dalla legge.

La flessibilità è applicata al periodo di ferie permettendo ai dipendenti ampia libertà di fruirne

durante l‟anno, alla gestione dei turni atta a favorire le richieste provenienti da chi presenta

particolari necessità di cura familiare, ma soprattutto è una pratica consueta con riferimento

all‟orario di lavoro di tutti i giorni. La flessibilità dell‟orario di lavoro – come abbiamo già

abbondantemente argomentato – è una pratica molto diffusa ed efficace di conciliazione dei

tempi familiari e professionali.

Nel caso di Crivertrade è da evidenziare come la questione della flessibilità oraria dei tempi

abbia coinciso con un percorso di responsabilizzazione del personale. È il lavoratore che si

coordina con i colleghi con cui è a più stretto contatto nello svolgimento delle sue mansioni in

modo da garantire il servizio e la copertura oraria di quell‟ufficio o settore produttivo. La

direzione delle risorse umane o il titolare si limitano ad autorizzare i permessi, le uscite o le

variazioni dell‟orario di lavoro in entrata/uscita e ciò semplifica enormemente i problemi

dirigenziali di natura organizzativa. Attraverso il senso di responsabilità si concretizza

un‟efficace modalità operativa di gestione delle risorse umane.

… questo ha dato modo attraverso un‟organizzazione all‟interno dell‟azienda di sviluppare con più

coordinamento l‟elasticità. Perché se tu dai l‟elasticità a tutti diventa un caos. Allora generalmente gli

addetti entrano per esempio alle 8 del mattino, però l‟elasticità sta nel senso che l‟azienda può dare

anche la fattibilità di scegliere il quarto d‟ora, dopo si organizzano, timbrano e di conseguenza è

regolare l‟orario ecc. Il tempo flessibile può essere anche di mezzora se però questo avviene tramite un

sistema d‟ufficio. Prendiamo per esempio l‟ufficio amministrativo: l‟organizzazione è però che l‟ufficio

sia sempre coperto. Si gestiscono tra di loro, però noi sappiamo che c‟è sempre un ufficio che è

regolarmente presente. […] Diventa una cosa importante per l‟ufficio e per l‟azienda. Diventa

importante anche fra le persone perché se qualcuno ha bisogno di un supporto – una nostra collega ha

avuto un problema grave con la nonna, si sono organizzate, si sono strutturate, non è che devono andare

ogni due minuti dalla sig.ra Pivato, a dire: «scusi eh…?» C‟è la titolare che dopo autorizza la firma,

però di fatto quando vengono a chiedere il permesso, lei sa già che si sono gestite fra di loro. Questo è

importante e loro sono molto responsabili su questo. Difficilmente qua succede che ci sono uffici

sguarniti. Non accade.

Page 76: Report. Territori che conciliano

76

Questo obiettivo viene inoltre favorito dall‟organizzazione fisica dello spazio aziendale in cui

i titolari hanno investito per creare – da una parte – un luogo esteticamente piacevole visto

che accolgono frequentemente importanti marchi di moda ed abbigliamento, dall‟altra per

agevolare lo scambio comunicativo fra i lavoratori. I titolari hanno dato particolare rilevanza

all‟aspetto fisco dell‟azienda e questo è avvenuto in concomitanza del percorso Audit

intrapreso:

…non solo perché è importante l‟immagine dell‟azienda - tenga presente che qui ogni tanto vengono i

grandi brand - ma anche perché hanno puntato sul benessere psicofisico dei dipendenti dell‟azienda.

Perché è anche vero che noi qui, nell‟arco di una giornata siamo all‟interno di una struttura aziendale.

Credo che faccia molto effetto stare in un ambiente silenzioso, non ci sono urli e generalmente siamo

tutti molto tranquilli. Questo dà modo anche ai dipendenti di essere in un ambiente bello, sereno […]

Inizialmente erano tutti assieme in ufficio, con l‟azione di audit hanno capito che la tranquillità degli

addetti è che non puoi avere sette persone in contemporaneo perché se io parlo e tu parli al telefono

inizia ad indisporre le persone. Sono banalità ma sono molto importanti per lo stress - che già abbiamo

tutti - quindi hanno suddiviso dopo l‟azione dell‟audit, è stata fatta una azione molto costruita, hanno

creato quest‟anno degli uffici – per esempio questo non c‟era - hanno creato la sala caffè, l‟uffici

amministrazione è lì, l‟ufficio progettazione e commerciale lo hanno spostato ed hanno fatto una serie di

cambiamenti anche strutturali da quando abbiamo fatto il percorso audit. Perché abbiamo capito che tra

colleghi a volte non c‟è una diretta comunicazione. Non sempre siamo tutti amici nell‟ambiente di

lavoro – perché è una barzelletta - e allora cercare di far dialogare gli addetti mettendoli in ufficio

insieme … ecco che abbiamo cercato di dare facilità di azione che permettesse il dialogo fra colleghi,

(in maniera tale da permettere loro di socializzare e dividersi le responsabilità e le competenze di

quell‟ufficio, ndr). […] Hanno sintonia, vanno d‟accordo, si aiutano a vicenda, si danno una mano. E

poi vengono volentieri a lavorare.

Crivertrade ottiene la certificazione Audit famiglia lavoro nel 2013 dopo un lungo percorso di

valutazione e di formazione per la progettazione di misure di conciliazione durato un anno.

Questo percorso accompagna la riflessione su come produrre benefici e benessere per i

lavoratori e alcune misure adottate rappresentano delle scelte consapevoli maturate anche alla

luce di questo percorso formativo e di sensibilizzazione. Inoltre il percorso Audit rappresenta

un banco di prova per le pratiche già in essere e fornisce degli spunti per introdurvi dei

correttivi, affrontare zone critiche o far emergere aspetti e problematiche meno visibili ma

rilevanti. Anche la ristrutturazione dello spazio architettonico è in parte l‟esito di tali

riflessioni, così come la scelta di promuovere la prevenzione della salute sul luogo di lavoro.

Questa attività si concretizza nella collaborazione professionale di un medico del lavoro con

cui attualmente si sta predisponendo un piccolo ambulatorio in azienda.

Attraverso questa collaborazione – nata nel 2013 - l‟azienda ha sviluppato un piano di

controllo e prevenzione della salute per i dipendenti che prescinde e supera in numero le

normali visite regolamentate dalla legge. L‟attività medica viene esercitata frequentemente, la

Page 77: Report. Territori che conciliano

77

presenza del medico in azienda è settimanale tanto che si prevede la realizzazione di un vero e

proprio – seppur piccolo - ambulatorio. Ci sembra rilevante evidenziare questa peculiarità

poiché la salute di una persona e la prevenzione da malattie è certamente l‟elemento fattuale e

simbolico più significativo del prendersi cura. E quando si parla di cura e prevenzione non si

fa riferimento esclusivamente a quanto avviene nella sfera lavorativa, ma si ha cura della

persona in quanto tale. Ora, l‟attività di medicina del lavoro è una attività normata, i lavoratori

devono cioè effettuare – per legge – delle visite mediche che sono applicate secondo dei

protocolli validati scientificamente. Il medico del lavoro nell‟esercizio delle sue mansioni e

nell‟attività di prevenzione della salute ha cura del suo assistito in quanto persona e non in

quanto lavoratore. È un passaggio che può apparire banale ma è invece molto significativo

poiché è attraverso questo “servizio” che si ripropone l‟unità della persona (biopsichica) che

invece i ruoli sociali tendono scomporre. Il medico (del lavoro) – stando alla testimonianza

del nostro intervistato – non può essere medico a “scompartimenti stagni”. Deve interessarsi

alla persona in quanto tale e per questo comunicare con ambienti esterni a quello del lavoro.

Riconnettere il mondo professionale e quello non professionale.

Un esempio banalissimo: il rilievo della pressione arteriosa elevata non è correlato direttamente al

lavoro ma è il mio compito che venga fatta una lettera al medico curante che vengano fatte delle analisi

accurate di laboratorio, perché sebbene non siano correlate al lavoro, sono legate alla persona e quindi

per fare prevenzione vera bisogna avere un collegamento stretto, quando è necessario, con le figure

giuste a risolvere il problema. Magari scrivo al medico di famiglia: attenzione al suo assistito perché ho

riscontrato una pressione elevata. Magari ho riscontrato un soffio cardiaco, ecc.

Si tratta di attenzioni particolarmente rilevanti poiché la prestazione medica, se da una parte

rileva disturbi della salute non gravi e particolarmente diffusi nella società attuale, tanto da

essere quasi fisiologici, prescindendo dalle mansioni lavorative - la maggior parte delle

persone intorno ai cinquanta anni comincia a prendere farmaci per la pressione arteriosa, per

prevenire eventi cardiaci, o per il tasso di colesterolo elevato - dall‟altra ha una importanza

considerevole rispetto all‟opera di sensibilizzazione e prevenzione della salute. Una buona

attività di prevenzione ha di fatto ridotto le tecnopatie a livelli molto inferiori rispetto al

passato. Soprattutto quello che più interessa – per i nostri obiettivi descrittivi - è la rilevanza

che questo servizio ha nel congiungere i mondi vitali che i lavoratori abitano

quotidianamente. Questa scelta, e questo orientamento valoriale, risente di una sensibilità e di

una attenzione con cui la stessa azienda opera:

Page 78: Report. Territori che conciliano

78

Fin dall‟inizio loro mi hanno prospettato la volontà di fare in modo che i loro lavoratori potessero

sentire che sono tutelati dall‟azienda. Cioè che l‟azienda non è solo una azienda, cioè un posto dove uno

svolge una certa attività e gli viene remunerata quell‟attività ma fosse un posto familiare […] Diciamo

con un livello di percezione del lavoro non come un obbligo e costrizione ma come un posto piacevole

dove svolgere la propria attività. […] Anche perché un lavoratore contento è un lavoratore che

mediamente riesce a lavorare meglio e questo – a mio parere – può avere una influenza sui giorni di

lavoro persi, sulle assenze, le influenze. Un posto piacevole di lavoro è un posto dove uno ci va

volentieri.

Un caso di particolare significatività che ci permette di raccogliere la dimensione della “cura”

riguarda un grave infortunio domestico accaduto ad un lavoratore molto giovane che perde il

pieno utilizzo di una mano. In questa vicenda, con la menomazione fisica e con il conseguente

declino psicologico, l‟azienda si attiva prestando specifiche attenzioni e prestazioni al

giovane. In particolare la sinergia che si sviluppa includendo il ruolo e la professionalità del

medico del lavoro ruota intorno all‟interesse per la persona ed alle sue prospettive future, che

affronta un percorso di reinserimento graduale a partire proprio dal suo lavoro, ambito in cui

gli svantaggi dovuti all‟incidente potevano risultare particolarmente problematici. Si nota

inoltre dalle testimonianze il carattere plurale non solo dell‟intervento ma anche

dell‟“attenzione” alla persona. Ed è significativo che si usi il “Noi”, la prima persona plurale,

per evidenziare il successo dell‟intervento, il fatto si aver superato insieme il problema. Non

quindi un problema personale ma collettivo.

C‟è stato un nostro dipendente che stava facendo dei lavoro a casa e si è tranciato due dita. Un ragazzo

giovane e anche bravo. Noi l‟abbiamo accolto subito [e abbiamo fatto, ndr] tante piccole cose che

hanno fatto in modo che lui abbia superato,.. adesso è qua e tranquillo. Soprattutto sereno. Lui fa il

lavoro che faceva prima. Il nostro medico aziendale lo ha seguito tanto. Lui veniva qua la mattina, lo

controllava per vedere se riusciva a fare dei movimenti che faceva prima. Il medico lo incentivava, era

sempre qui a fianco a lui. Comunque abbiamo superato anche questo problema e lui sta bene (la

proprietà).

L‟azienda mi è stata vicino e mi ha consentito di fare tutto quello che era necessario. […] Gli hanno

dato subito la possibilità di rientrare a lavoro, ha seguito il suo percorso, ha ripreso a lavorare

prontamente e il lavoro invece di aver rappresentato un ostacolo per la sua ripresa ha rappresentato

invece un punto di forza. Perché lui si è completamente ripreso ed ha potuto anche seguire il suo

percorso. È andato a vivere da solo, ha fatto delle scelte personali. Mi ha tenuto informato, abbiamo

fatto dei colloqui informali anche per telefono e il ragazzo adesso lavora pienamente, anche più di prima

forse (il medico).

Anche in questo caso – come in quello già citato del lavoratore in cura oncologica

sperimentale – notiamo come sia la dimensione della “cura” a configurarsi come un “ponte”

fra la sfera vitale del lavoro e quella della vita personale e familiare. Sono la sensibilità e le

attenzioni verso la persona gli elementi attraverso cui il tema della conciliazione e del

Page 79: Report. Territori che conciliano

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benessere dei lavoratori trova la sua massima espressione ed enfasi. Un benessere che viene

restituito alle aziende non in forma strumentale ma in forma affettiva, di appartenenza ad una

“seconda famiglia” ove sono riposti sentimenti di fiducia, del sentire comune, della

motivazione e della piena gratificazione.

2.6 – Conciliare nelle cooperative sociali. Il caso di Castelmonte Onlus

(dalle interviste a: responsabile delle relazioni istituzionali e comunicazione, dr. Brunello;

responsabile di progetto di laboratori dott.ssa Staffa; responsabile delle relazioni industriali,

dr. Rodio; responsabile ufficio amministrativo, dott.ssa Marconato; responsabile di progetto,

dr. Zeppa)

Fra le organizzazioni selezionate per la ricerca, la cooperativa sociale Castelmonte ONLUS di

Mogliano veneto rappresenta un caso di evidente differenza e specificità. Tale differenza non

deriva esclusivamente dal suo carattere statutario che la definisce come ente non-profit ma

anche dall‟ambito sociale entro cui opera l‟organizzazione, dalla mission, dagli attori con cui

e per cui realizza i suoi interventi, dal tipo e dall‟organizzazione dei servizi erogati. Queste

caratteristiche condizionano necessariamente la domanda ed i bisogni espressi dagli operatori

(i soci dipendenti) in termini di benessere personale e rispetto al tema della conciliazione.

Prima di analizzare il caso entro il nostro framework, presentiamo alcuni dati

dell‟organizzazione, ricavati dai bilanci sociali e dalla documentazione raccolta durante il

periodo di rilevazione sul campo. I dati economici riportati nei bilanci sociali disponibili e

relativi al triennio 2011-2013 evidenziano progressive tendenze di crescita. Il fatturato della

cooperativa aumenta di circa 1milione e cinquecentomila euro, un incremento pari al 20%. Il

valore del capitale sociale – cioè dei depositi corrisposti dai soci prestatori - aumenta di circa

100mila euro nel triennio, cioè del 47%, così come aumenta il numero di soci prestatori, che

da 206 diventano 279 per un aumento percentuale di 35 punti. Anche il capitale economico

destinato alla remunerazione per il personale dipendente cresce negli anni del 7,3% nel primo

biennio e del 5,54% nel triennio come effetto dell‟aumento del personale. Infine il rapporto

percentuale fra il numero di ore lavorabili e quelle lavorate tende a diminuire nel corso del

triennio, ciò sottolinea una riduzione del tasso di assenteismo.

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Dati economici del bilancio sociale9 2011 2012 2013 Δ% (2012-2011) Δ% (2013-2011)

FATTURATO (x mille) 7.334 8.217 8.803 12,04 20,02

Remunerazione personale dipendente (x mille) 4.385 4.706 4.628 7,32 5,54

CAPITALE SOCIALE (x mille) 226 271 332 19,91 46,90

N. soci prestatori 206 229 279 11,17 35,44

Δ% ore lavorabili e ore lavorate -18,22 -16,50 -14,11

Fonte: nostre elaborazioni da bilancio sociale 2011 e bilancio sociale 2012-2013

I valori di ogni singolo indice, nel corso del triennio, registrano segni positivi. Anche in

questo caso – per ragioni già esposte – esortiamo il lettore a non associare direttamente tali

performance alla disponibilità di misure di conciliazione o all‟adesione al programma Audit

Famiglia. Tuttavia, questo non corrisponde al dire che l‟attenzione, le motivazioni ed il senso

di responsabilità dei lavoratori per le proprie mansioni e - in maniera particolare – per i

fruitori dei servizi, in quanto esiti di misure di conciliazione e di welfare aziendale, siano

irrilevanti per le prestazioni complessive dell‟impresa sociale. Al contrario, la qualità del

servizio, da cui deriva la credibilità dell‟azienda e in parte la continuità e l‟accesso negli

appalti pubblici, è un elemento fondamentale da controllare e perseguire. Ma in che modo la

cooperativa può promuovere il benessere di soci lavoratori in circostanze in cui la prestazione

lavorativa non genera oggetti ma consta di rapporti umani?

Ora, qualificare le differenze che contraddistinguono un‟impresa sociale da altre forme

imprenditoriali – quelle di mercato -, è una questione importante da affrontare per cogliere il

modo e le ragioni con cui l‟organizzazione “riflette” e introduce pratiche facilitanti il

benessere dei dipendenti e una più corretta prestazione del servizio. Si tratta di un punto

cruciale cui prestare particolare attenzione, come fa la direzione:

Ci siamo trovati da soli a dover spiegare che contrariamente ad una azienda come la [xxx] dove la

conciliazione … loro riducono l‟orario dello sportello del pubblico e…Nell‟ultimo corso che ho fatto con

gli operatori sociali, molti di loro mi hanno detto: «quando sto staccando, il paziente che sto seguendo,

l‟ospite che sto seguendo si è fatto addosso ed io ho dovuto cambiarlo. Non è che posso dire alle sei e

cinque me ne vado. No, ho dovuto aspettare». Per esempio noi favoriamo il cambio turno, però il cambio

turno non sempre è possibile perché innanzitutto devo garantire la professionalità ma devo anche essere

certo che la persona che mi sostituisce è accettata dal nucleo degli ospiti.

9Si veda il bilancio sociale di Castelmonte Onlus. Documento on line disponibile al sito:

www.castelmonteonlus.it/UserFiles/File/bilancio_corretto.pdf

Page 81: Report. Territori che conciliano

81

Per cogliere il significato delle performance individuali dell‟operatore proponiamo un

passaggio di intervista che illustra la rilevanza della relazione interpersonale intesa come

nucleo elementare su cui si fonda la prestazione professionale.

È successo l‟anno scorso. Avendo fatto dei soggiorni con l‟utenza, ero arrivato al punto in cui stavo per

scoppiare, nel senso che non riuscivo più a rendere per come avevo fatto nei giorni precedenti. Questo è

stato dovuto forse al fatto di aver avuto tanti giorni di lavoro continuativi.

Quando dice “rendere” a che cosa si riferisce?

Rendere significa dare il massimo di se stessi nella relazione con l‟utenza. Il mettersi in gioco. Il saper

capire chi hai davanti e come comportarsi.

In quel periodo in cui lei dice che non riusciva a rendere, in realtà lei non riusciva a relazionarsi.

Era una relazione forzata, meccanica, non sentita. Sapevo che con lei dovevo parlare in una certa

maniera e allora parlavo in quella maniera e basta. Non perché lo sentissi io, ma perché era un ruolo che

dovevo coprire. (Int. dip.6).

Questi passaggi sottolineano la condizione specifica del lavorare con e per le persone con

disabilità e la distanza rispetto a quanto accade per altri tipi di imprese. L‟attività

professionale si esplica non in funzione della produzione di un oggetto ma nella costruzione

di una relazione fra almeno due persone: l‟operatore e il fruitore del servizio. Il servizio

erogato non può non risentire del coinvolgimento personale degli attori. Se si vuole

promuovere e facilitare il ruolo dell‟operatore, il suo benessere e una prestazione

professionale efficace diventa necessario costruire delle pratiche mirate che partano dai disagi

e dalle problematiche che emergono durante lo svolgimento del lavoro a cui partecipano

anche altri soggetti.

Io lavoro dentro una comunità psichiatrica per cui il lavoro è molto impegnativo a livello psichico perché

il carico emotivo è molto alto perché gli ospiti sono giovani e hanno molte potenzialità, hanno molte

richieste, per cui sì, la difficoltà è proprio tenere una forza nostra perché non ci travolgano. Dobbiamo un

po‟ rafforzarci per riuscire a contenere questi ospiti che hanno al capacità di travolgerci. Le cose che

succedono sono a volte molto pesanti. Un ospite può andare in crisi e quindi può iniziare a battere sui

vetri a gridarti dietro: «io ti uccido! Ti do un pugno»! tutte cose … e quello che sto cercando di [fare è]

aiutarmi per stare bene anche con loro e che non mi esca comunque anche a me l‟aggressività verso di

loro. (Int.Dip.1)

Mi è successa una cosa sgradevole con un ragazzo. Questi sono giovani, sono forti. Ha incominciato a

mettermi le mani addosso … mi ha dato degli schiaffi sulla testa e questo sinceramente mi ha fatto

passare un periodo un po‟ brutto perché adesso ho più paura di affrontare ... magari quando vado a fare la

notte. Cioè mi ha lasciato dentro qualcosa, sono sincera. Però voglio superarlo. Non voglio avere paura,

voglio essere più forte io di loro, nel senso che loro dipendono da noi da una parte perché li portiamo

fuori, li fai il te, li fai da mangiare, li fai la merenda, cioè sono loro che dipendono da noi. Io non li

voglio maltrattare, non è il mio carattere, né urlare, assolutamente non è nel mio essere, però non voglio

neanche portarmi a casa questi episodi. (Int.Dip.2)

Un operatore, paragonando la sua mansione a quella di altre professionalità sostiene.

Da noi invece è differente, perché la relazione è in cima a tutto quanto. Quindi sfrutti tanto la tua materia

grigia e il tuo ritorno a casa deve essere tranquillo, sereno e appunto per questo bisogna staccare.

Page 82: Report. Territori che conciliano

82

Uscendo fuori dal cancello della struttura devi abbandonare tutti i tuoi pensieri lavorativi e ritornare a

essere te stesso con gli altri: amici, parenti, familiari (Int.Dip.6).

Analizzare l‟ambito di una cooperativa sociale è un‟operazione rilevante per osservare come

il tema della conciliazione, coinvolgendo dinamiche psicologiche, emotive e

comportamentali, superi la questione dell‟organizzazione della vita familiare del lavoratore e

si estenda alla qualità di vita tout court, condizionante quella familiare.

Da ciò deriva la considerazione per diversi strumenti di conciliazione o di facilitazione e

promozione del benessere come la flessibilità dell‟orario di lavoro - tradizionalmente

utilizzata nelle imprese e ritenuta efficace per il corretto svolgimento delle varie mansioni -

come una condizione necessaria al normale svolgimento del lavoro e per questo

metabolizzata, quasi secondaria. Questo non significa che la flessibilità dell‟orario di lavoro

non comporti dei vantaggi. Al contrario, presenta vantaggi sia per l‟azienda sia per il

dipendente. Prendiamo per esempio la banca ore di cui la cooperativa si è dotata, ben prima

della certificazione Audit. Questo strumento permette ai dipendenti di “accumulare” fino a

cinquanta ore annuali di eccedenze di tempo di lavoro prestato che vengono “restituite” in

forma di permessi o giorni di ferie aggiuntivi da utilizzare entro l‟anno. Dal lato dell‟azienda

la banca ore permette, rispetto all‟utenza di realizzare l‟intervento nella sua completezza,

rispetto all‟ente appaltatore di onorare il contratto nelle sue parti e di garantire l‟efficienza

nella prestazione:

«… non ci sono mai stati turni scoperti e, anche chiamando la mattina per il pomeriggio, noi non

abbiamo mai avuto i turni scoperti. Questo è un indicatore importante!».

Inoltre la banca ore rappresenta una risorsa di tipo economico per l‟organizzazione poiché

permette di ridurre i costi potenziali che dovrebbe sostenere se quelle ore fossero pagate come

lavoro ordinario o lavoro straordinario. I dati a nostra disposizione sottolineano tale rilevanza

economica – che nel tempo è cresciuta. Nel 2014 il monte ore accumulato ha superato le 4500

ore, corrispondenti ad un valore economico – e quindi ad un potenziale risparmio per

l‟impresa - di 64mila euro. Nel 2011 il dato registrato era di circa un terzo e ciò sottolinea la

rilevanza ed il successo dell‟utilizzo di tale strumento.

Page 83: Report. Territori che conciliano

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La banca ore

Anno Saldo recuperi (ore) Valore

corrispondente (€) 2011 1.609 € 22.523 2012 3.855 € 53.970 2013 3.474 € 48.636 2014 4.576 € 64.064

Ma, a sottolineare il valore aggiunto di questo strumento non è il solo dato economico. Alcuni

dei soci lavoratori intervistati concordano, infatti, sul vantaggio - sociale e organizzativo

familiare – che la banca ore rappresenta per loro. A fronte di un‟eccedenza di ore di lavoro

prestate, molti preferiscono poterle utilizzare per gestire meglio i tempi e le attività familiari:

dall‟avere più tempo per le vacanze, alla cura di genitori anziani, alla maggiore disponibilità

di tempo per seguire i propri figli e la casa. Ricordiamo che questo dato emerge anche come

conseguenza della composizione dei lavoratori che sono per l‟88,5% donne. La banca ore –

sebbene non sia uno strumento particolarmente innovativo riguardo al tema della

conciliazione – rappresenta tuttavia un mezzo particolarmente efficace e vantaggioso per le

parti.

In una realtà abbiamo sperimentato attraverso la richiesta alle persone se preferivano utilizzare la banca

ore o se una giornata accumulata poteva essere pagata come lavoro ordinario in più. Effettivamente la

maggior parte delle persone ha preferito la banca tempo perché questo permette di avere più tempo per

loro, la possibilità di avere permessi, possibilità di stare a casa o di avere ferie in più perché non è che

devono essere utilizzate nella settimana successiva ma si possono accumulare. Essendo cinquanta ore

uno può ottenere una settimana di ferie in più tranquillamente. Sono quasi due settimane.

Alla domanda sulla preferenza se fruire delle ore accumulate con la banca ore o del

corrispettivo aumento salariale, una intervistata con il marito in cassa integrazione ed un

genitore da accudire risponde:

In certi periodi te volessi vedere un po‟ di soldi. Certi altri … ho degli impegni con papà che sta poco

bene, che è anziano e utilizzo quelle poche ore che magari mi scalano e mi va bene rimanere a casa.

È all‟interno di questa ampia riflessione che viene ideato e programmato l‟ “Osservatorio

Famiglia” un servizio di supporto informativo e di orientamento che si articola attraverso gli

sportelli di ascolto attivi. La finalità di tale servizio è quello di raccogliere le istanze

provenienti dai lavoratori nello svolgimento delle proprie mansioni fornendo consigli e

sostegno psicologico.

Sebbene questa iniziativa possa apparire rilevante per il benessere dei lavoratori nella gestione

del proprio equilibrio psicologico, ben presto la direzione realizza l‟inefficacia di tale

Page 84: Report. Territori che conciliano

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programmazione. Le richieste provenienti dai dipendenti sono numericamente irrisorie e gli

sportelli stentano a funzionare come previsto. L‟insuccesso del servizio è legato alle resistenze

con cui i lavoratori sono disposti a parlare delle proprie questioni private. Dal voler mantenere

distinti il mondo professionale da quello personale e familiare. È attraverso questa presa di

coscienza che la direzione della cooperativa – includendo i coordinatori che rappresentano un

ruolo intermedio fra i lavoratori e la direzione – introduce dei corsi specifici, ossia modalità

relazionali attraverso cui abbattere o ridurre tali resistenze. Questi corsi si configurino come

dei veri e propri correttivi per il funzionamento dei servizi di ascolto e del programma

“Osservatorio Famiglia”. Particolare successo è quello legato al corso di scrittura maturato in

seno ad una prospettiva di intervento non più individuale ma di gruppo.

Quello degli sportelli di ascolto è un meccanismo che richiede dei tempi più lunghi. Ci sono state delle

risposte ma per avere un ritorno si dovrebbe proiettarlo su un tempo più lungo. Perché è un servizio che

viene percepito con difficoltà, nel senso che c‟è un problema di privacy da superare. Per il dipendente

avere un rapporto diretto su questioni molto personali è un problema. […] Per superare questo blocco

abbiamo pensato di aggiungere dei servizi che sono anche quelli dei percorsi a tema perché abbiamo

come suggerito una strada diversa per raggiungere le persone che in quel caso venivano contattati in

piccoli gruppi. Un gruppo diventava un contesto più semplice. E anche molto utile in termini

“educativi”, auto-formativi, in certe occasioni è stato uno strumento formativo di per sé il gruppo. Quello

che abbiamo verificato è che dopo un primo approccio di gruppo c‟è stato un ritorno.

Ora, il fatto che noi lavoriamo insieme e che ad un certo punto ci siamo trovati a fare il corso di scrittura

ha facilitato i rapporti interpersonali perché abbiamo un interesse comune di cui possiamo non

vergognarci. Ci facciamo anche noi una riflessione, perché ci poniamo il problema di come farlo e

soprattutto il problema qual è?. È che se dobbiamo farli parlare, dobbiamo rassicurarli che l‟azienda non

c‟entra nulla.

Per esempio rispetto alle ausiliarie – le donne che fanno le pulizie – soprattutto per loro che è un gruppo

che aveva delle problematiche all‟interno, a loro è servito molto e i risultati li vediamo oggi perché …

innanzi tutto hanno imparato a conoscersi e fino a prima non lo avevano fatto, si scambiavano solo

classici discorsi da colleghi. Quindi hanno scoperto di avere cose in comune. E questo si vede oggi

perché il gruppo, almeno una parte del gruppo ha atteggiamenti diversi tra di loro e anche nei confronti

dell‟ente e ci hanno chiesto di continuare. E si vede perché hanno apprezzato che noi mettessimo a

disposizione questo servizio senza chiedere nulla in cambio. Questa era la loro paura iniziale.

È nostra intenzione sottolineare come un “corso di scrittura” non rientrerebbe fra le pratiche

di conciliazione famiglia-lavoro. Siamo tuttavia interessati a proporre questo caso per almeno

due motivi. Il primo è di natura tecnica ed analitica delle pratiche implementate. La

programmazione – anche se maturata con le migliori delle intenzioni da parte delle dirigenze -

può determinare degli insuccessi in corrispondenza di un grado di riflessività basso, specie

quando i destinatari non partecipano al disegno ed alla implementazione degli strumenti. In

questo caso – come osserviamo – l‟introduzione di correttivi ha la funzione di facilitare e

regolare lo scambio (di fiducia) fra le parti. Inoltre la programmazione può prevedere dei

tempi di realizzazione che possono non coincidere con gli sviluppi e con gli impatti previsti.

Page 85: Report. Territori che conciliano

85

Per questo i correttivi diventano parte integrante di un percorso dinamico più che di una

programmazione stabile e definitiva.

Se c‟è una criticità è proprio nei tempi. I progetti finanziati hanno dei tempi che sono stretti e la

proiezione che si può fare come programmazione e come incisività è relativa. La nostra ambizione è

quello di farlo diventare un processo che continua a prescindere da … e poi i risultati si vedono con il

tempo.

Il secondo motivo riguarda i contenuti della pratica che – sebbene non sia diretta alla

conciliazione famiglia lavoro – ha importanti ripercussioni nelle dinamiche qualitative della

vita personale e familiare comportando – come vedremo – vantaggi personali in termini di

benessere e importanti sviluppi sociali sul luogo di lavoro.

L‟esperienza che ogni operatore fa dei corsi/laboratori di supporto psicologico ed in

particolare del corso di scrittura è sintetizzabile in tre aspetti prevalenti, differenti ma connessi

fra loro.

Il primo riguarda la possibilità di conoscere e scambiarsi opinioni ed esperienze fra colleghi.

L‟esperienza della scrittura – proposta in forma di laboratorio – ha una valenza socializzante

in cui i colleghi di lavoro non solo imparano a conoscersi ma “socializzano” le loro emozioni:

le difficoltà, i dubbi e i problemi che incontrano nell‟esercizio della propria professione.

Questa dimensione è quella sociale che integra e favorisce la nascita del “clima aziendale”

positivo, fatto di comunicazione, intesa e collaborazione. La dimensione di gruppo permette

inoltre di condividere il peso delle responsabilità che si hanno nei confronti delle persone di

cui ci si prende cura.

Ognuno di noi scriveva… ha tirato fuori una parte della propria vita. Della propria esperienza dei propri

passati, su quello che avevano scritto e posso dire, ho capito dai miei colleghi, che anche loro hanno

vissuto delle cose spiacevoli nella vita, per cui certi atteggiamenti magari un po‟ più rudi, un po‟ più

rigidi oppure troppo liberali o troppo … sono dovuti all‟esperienza che si hanno avuto. (Int.Dip.3).

Se vedi la tua collega che ha espresso alcune cose o particolarità della sua vita: dove era prima, cosa

faceva … che prima tu non si conoscevi perché te trovi a lavorare, te parli però non te vee nel profondo

di niente, quindi qualcosa è servito anche per conoscerci meglio. Sicuramente!. E anche per aver un

rapporto, che magari quando uno si apre un po‟, ti avvicini sempre un po‟ di più. Più notizie si ha l‟uno

dell‟altro, più particolarità del carattere, del modo di pensare, del modo di agire, più ci si conosce,

meglio funziona. Perché quando non si esteriora più di tanto, tu hai sempre un muro. […]

È come una valvola che tu puoi uscire, dire ciò che … anche quello che ti sta dentro. Facendole

settimanalmente tu non ti carichi mai di un carico che dopo te scoppi … (Int.Dip.2).

Nel fatto di riconoscere che i tuoi colleghi di lavoro, pensi di loro … come posso dire, le “giudichi”.

Vedendole sotto un altro aspetto riesci poi anche a lavorarci meglio perché poi vedi che hanno anche

altre qualità, altri pregi. Il fatto di aver fatto questo incontro mi ha fatto vedere che determinate persone

che pensavo che fossero un po‟ chiuse, che fossero un po‟ di un certo tipo, vedendole tirar fuori un po‟

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86

più di loro stesse, mi ha fatto stare un po‟ meglio con loro. [e] questo è un lavoro che ci deve essere

intesa, ci deve essere collaborazione (Int.Dip.1).

Il secondo aspetto ha una valenza emotiva e di equilibrio psicologico che agisce a livello

individuale ma che si riflette nelle relazioni con gli utenti del servizio. L‟esercizio della

scrittura permette di esprimere delle emozioni e di riscoprirle in quelle degli altri ma

soprattutto permette di ordinare i pensieri e di ancorarli ad un percorso lineare, ad una

continuità che segna l‟individuo. La memoria e la costruzione biografica rappresentano

strumenti importanti per rinforzare il sé e porsi con determinazione in circostanze

problematiche o impreviste.

Non è facile parlare anche con gli altri, perché quando si tratta di parlare di emozioni, perché le emozioni

non sono … come posso dire … un campo che è culturalmente accettato. Sembra una cosa che è l‟ultima

cosa, invece le emozioni fanno parte del nostro benessere (Int.Dip.1).

Prima venivo dalla fabbrica. Nel lavoro di fabbrica cominci la mattina, esci di sera e io non avevo mai il

tempo di scrivere, buttare giù, riflettere. Il corso di scrittura mi ha fatto un po‟ riflettere sul fatto che

sarebbe bene tenere un diario in cui ogni giorno, le tue emozioni le butti giù, quello che ti succede si

butta giù … solo che il tempo… magari lo faccio domani, lo faccio domani e poi non lo fai. Perché, la

signora che ci ha fatto questo corso mi ha fatto notare che le emozioni che tu provi quotidianamente,

buttate giù subito … è una cosa molto importante secondo me. Perché dopo, quando vai a veder magari

fra qualche anno, lo trovi scritto nero su bianco … sì, bisognaria farlo secondo mi! Perché rivedi un po‟

la tua vita, cosa ti è rimasto, cosa è passato ciò che non è passato (Int.Dip.2)

Io ho seguito i vari corsi messi a disposizione degli operatori, al servizio di tutti. Ho fatto anche quello

della scrittura, quello che ho apprezzato di più, che ho vissuto di più. Sono riuscita a mettere per iscritto

tante cose che avevo in mente e che non riuscivo mai a collegare parola per parola a scriverla, a mettere

in ordine. Mettere in ordine per iscritto ma mettere in ordine in testa. […] Tutti mi dicono che sono una

persona calma paziente, è una mia serenità ed io cerco di darla. Ed avere le idee chiare, ed avere la

serenità interna vuol dire tanto, perché quando si va a lavoro con determinate persone e non sei sereno …

intanto loro lo vedono subito. Ti guardano negli occhi e ti dicono: «ma cosa hai oggi? mi sembri

strana!». Per cui la serenità è qualcosa che influisce molto nel nostro lavoro (Int.Dip.3).

A conferma della relazione fra serenità sperimentata sul luogo di lavoro, benessere personale

e dinamiche relazionali familiari, la testimonianza di una lavoratrice appare rilevante. In

questo caso particolare, i corsi promossi dalla cooperativa, permettono alla lavoratrice di

adattarsi ad un ambiente di lavoro ostile. La relazione con i responsabili della struttura in cui

l‟intervistata presta servizio sono difficili da gestire e il supporto della cooperativa a sua

difesa appare poco determinato nel riportare l‟equilibrio e un clima pacificato. Soprattutto tali

dinamiche professionali comportano un malessere nel dipendente che viene trasposto nella

sfera domestica. Il corso, supportato dalla figura di uno psicologo, permette al lavoratore di

reagire all‟ambiente di lavoro, di costruirsi una “corazza” attraverso cui affrontare e talvolta

assecondare le ostilità dei superiori e di recuperare la serenità familiare.

Page 87: Report. Territori che conciliano

87

Grazie a questi corsi, ne sono uscita da sola. Mi sono trovata veramente bene e questo ha portato un

miglioramento anche nella mia famiglia, perché ho problemi abbastanza grossi a casa. Con mio marito

mi sono trovata in positivo. Mi sono trovata ... ho cominciato a reagire diversamente da come reagivo

prima. […]A lavoro non porto mai i miei problemi però quando venivo a casa logicamente riversavo in

famiglia. [E questo aveva delle ripercussioni importanti] perché mio marito non sta bene, però invece di

seguire lui … l‟avevo messo in un angolo, c‟ero io prima. Ero egoista perché pensavo a me. A quanto

male stavo io (Int.Dip.5).

C‟è infine una terza dimensione che emerge come rilevante e che chiama in causa la fiducia

fra i dipendenti e la direzione della cooperativa e l‟autostima. I corsi permettono a molte

operatrici di raccontare se stesse fuori dal loro ruolo professionale “restituendo” un‟immagine

di sé più ricca ed articolata, quindi gratificate. È importante sottolineare che molte operatrici

sono di origine non italiana e molto spesso il loro titolo di studio o le loro competenze

superano di molto le funzioni e le richieste legate alla professione. Raccontare la pienezza del

loro essere, del loro saper fare è una forma di soddisfazione e gratificazione che il lavoro non

permette o addirittura “contraddice”. Tutto questo ha un‟importante ripercussione sul grado di

autostima a livello individuale e sulla fiducia che le operatrici iniziano a riporre nei promotori

dei programmi di laboratorio e nell‟impresa cooperativa.

La prima reazione positiva in questo approccio è stato il fatto di un riconoscimento nei confronti

dell‟azienda. Quando hanno capito che questo tempo dedicato a loro era un tempo regalato, era uno

spazio pensato completamente per loro, perché l‟idea era: «ma dov‟è il trucco, perché l‟azienda fa questo

per noi, ma come la Castelmonte fa questo per noi»!? Ecco, questa è stata la reazione e quando l‟hanno

capito l‟hanno apprezzato, è stato un buon punto di partenza sia nel lavoro che facevamo ma anche in un

senso più ampio perché ha creato un rapporto di fiducia maggiore con l‟azienda. In più, nello sviluppo

dei laboratori, la cosa che si è manifestata sempre è stata la necessità di esprimersi che veniva

finalmente appagata, gratificata. Loro avevano questa necessità, questa voglia di raccontare anche il loro

privato. Non nel dettaglio della questione familiare, che poi veniva fuori nei racconti, ma proprio di

raccontare il sé al di là del proprio ruolo di lavoro. cioè l‟operatrice di struttura o l‟ausiliaria che fa le

pulizie aveva bisogno e quasi l‟urgenza di dire però era un‟artista. Perché - ho sempre dipinto -

raccontavano e portavano le loro cose. C‟era una che dipingeva, una fotografa, una che faceva delle cose

con le stoffe e lo rivendicavano come … quasi a raccontare un sé diverso da quello che comunemente

viene percepito anche dalle colleghe.

Page 88: Report. Territori che conciliano

88

2.7 – Conciliazione, fra premi incentivanti e pluralità di orari flessibili. Il caso Baxi. (Intervista al responsabile delle risorse umane, dott.ssa Bordignon)

L‟azienda Baxi fa parte di un gruppo multinazionale olandese, la BDR Thermea. La sigla

deriva dalla fusione di diversi marchi come Baxi, DeDietrich, Remeha, Thermea, tre brand del

settore del termo-sanitario, uniti in un unico gruppo nel 2009. Il primo italiano, Remeha

olandese e la francese DeDietrich. Alcuni dati: il gruppo ha sede ad Amsterdam, ha circa 5000

dipendenti ed un fatturato di circa 1700milioni di euro. Ha sedi produttive nei principali paesi

europei, e Turchia e sedi commerciali sparse nel mondo: i principali sono in Russia, in

repubblica Ceca, in Cina ed in Argentina.

L‟origine di Baxi spa di Bassano del Grappa, è più antica del gruppo di cui fa parte -

quest‟anno compie 90 anni – ed ha quindi una storia molto più lunga e articolata. Nasce nel

1925 come “Smalteria Metallurgica Veneta”, quindi come impresa la cui produzione non

aveva niente a che fare con quella attuale. Le principali tappe evolutive sono legate

all‟acquisizione del gruppo Zanussi – a partire dagli anni ‟70 – azienda che operava nel

settore degli elettrodomestici. Volendo ampliare il suo mercato, inserendosi nel settore del

riscaldamento domestico, la Zanussi acquisisce lo stabilimento di Bassano per avviare la

produzione di caldaie e scaldabagni e lo guida per tutti gli anni ‟70 e parte degli anni „80. Da

quel momento in poi questo settore diventerà il core business dell‟azienda. A metà anni ‟80 lo

stabilimento passa ad una nuova proprietà, viene acquisito dal gruppo Ocean, un altro gruppo

italiano che in quel periodo produce lavastoviglie e lavatrici, anch‟esso interessato ad entrare

nel settore del riscaldamento. L‟azienda matura robuste competenze tecniche in questo tipo di

produzione e questo nuovo gruppo porta con sé un elevato know-how riguardo il

funzionamento dei mercati internazionali, le esportazioni, l‟accesso a mercati esteri. Nel 2000

Ocean cede lo stabilimento a Baxi, un gruppo inglese.

Per la prima volta l‟azienda passa da un gruppo italiano ad uno straniero, un gruppo

multinazionale – qual era Baxi – che permette di sperimentare nuove strategie industriali

specie in direzione dei mercati internazionali. Da quel momento si realizza un ulteriore

cambiamento sempre più spinto verso le esportazioni.

Dal punto di vista produttivo si assiste invece ad una sempre maggiore specializzazione verso

un settore produttivo – quello di proporre soluzioni climatiche per l‟ambiente domestico – che

richiede prodotti molto più sofisticati, innovativi e sostenibili, in grado di rispondere alle

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domande specifiche dei vari mercati internazionali e competere nel settore. Con il 2009 –

siamo ai nostri giorni – Baxi UK cede lo stabilimento al gruppo olandese BDR Thermea.

Attualmente lo stabilimento Baxi di Bassano del Grappa realizza prodotti per il comfort

climatico domestico, cioè impianti e strumenti sia di riscaldamento che di climatizzazione.

Baxi spa, è l‟unico stabilimento italiano del gruppo, con settecento dipendenti e con un

fatturato di circa 280milioni di euro di cui un terzo realizzati in Italia e due terzi all‟estero.

Presso questa sede sono presenti tutte le funzioni aziendali: il consiglio di amministrazione, la

direzione generale, il settore produttivo, la distribuzione, il settore di progettazione ricerca e

sviluppo e il settore dei sistemi informativi. La rete vendita è invece in parte interna ed in

parte esterna poiché l‟azienda si affida anche ad agenti e distributori indipendenti.

La certificazione Audit Famiglia-Lavoro arriva nel 2014 come naturale conseguenza di un

percorso di politiche e interventi di welfare aziendale che procede da almeno quindici anni.

Una serie di politiche in cui è centrale la regolazione della controparte sindacale. Se per le

altre aziende abbiamo visto una programmazione ed interventi particolarmente informali o

non mediati da soggetti terzi, in questo caso, data anche la struttura aziendale e la numerosità

del dipendenti, il ruolo di mediazione e di negoziazione del sindacato come rappresentante

delle istanze dei lavoratori è imprescindibile. In particolare nella negoziazione fra i risultati di

produzione aziendale e il benessere dei lavoratori la relazione con le parti sindacali ha avuto

un rilievo importante.

I miei predecessori hanno portato sempre avanti una politica di relazioni sindacali molto presente. Vuoi

perché siamo uno stabilimento metalmeccanico, vuoi perché abbiamo una lunga storia di relazioni

sindacali, il tema del benessere in senso lato dei lavoratori contro un premio di produttività è stato

sempre un tema fondamentale delle relazioni sindacali di questa azienda. Per cui noi siamo partiti nel

1994 quando è stato definito per la prima volta l‟accordo interconfederale che prevedeva che le aziende

potevano erogare questo premio di produzione, penso che l‟allora Ocean sia stata una delle prime che ha

fatto questo premio di risultato che voleva da un lato premiare le performance dell‟azienda in termini di

flessibilità e dall‟altro la parte sindacale chiedeva delle tutele, delle agevolazioni magari degli istituti

particolari per i propri lavoratori e su questa base si sono evolute le politiche di conciliazione negli anni.

Soprattutto si assiste – nello sviluppo e nella progettazione di politiche per il benessere dei

lavoratori – al passaggio dal tema della sicurezza sul lavoro e dell‟ambiente di lavoro, al tema

della conciliazione, prima declinato come supporto – in particolare – per le madri lavoratrici –

poi declinato come programmazione per far fronte all‟invecchiamento della popolazione

lavoratrice - tema oggi centrale e in divenire.

Page 90: Report. Territori che conciliano

90

Le ragioni strumentali che muovono verso l‟offerta di misure di conciliazione sono legate alla

gestione razionalizzata delle risorse umane tale da affrontare i repentini cambiamenti della

domanda internazionale. È l‟imprevedibilità del mercato globale a condizionare la gestione

aziendale proponendo sempre più forme di flessibilità dell‟organizzazione del lavoro.

Nel 94-94 e negli anni successivi, la politica di conciliazione non si chiamava così e si badava di più

alla sicurezza dei lavoratori. Poi il tema sicurezza è diventato un tema acquisito perché noi abbiamo

tutte le certificazioni: OHSAS 18000, anche sull‟ambiente abbiamo la 14000 insomma abbiamo

raggiunto i notevoli standard di rispetto di queste due materie e quindi ci si è più concentrati, anche per

l‟evoluzione della popolazione aziendale sulle politiche di conciliazione. Perché? Perché noi chiediamo

oggi ai lavoratori di essere sempre più flessibili. Noi, come tutti quanti, abbiamo un mercato talmente

poco prevedibile che ci costringe a seguire la domanda. Un giorno hai un picco e il mese dopo hai un

abbassamento, e dobbiamo modulare la produzione e tutto quello che ci va insieme, a questa domanda.

Vuoi perché facendo parte di un gruppo multinazionale sei misurato su degli obiettivi a breve e medio

termine che sono il mese, il trimestre. Dove hai tutta una serie di indicatori che riguardano il fatturato, il

risultato operativo, il magazzino che devi assolutamente raggiungere. Allora ci sono tutta una serie di

strumenti che noi mettiamo in campo dalla flessibilità al part-time, la flessibilità divisa per reparto, in

cambio la rappresentanza sindacale dice per esempio: in cambio noi vogliamo tutelare le madri che

tornano al lavoro. Quindi per esempio noi abbiamo i permessi per maternità - oltre quelli di legge,

parliamo di tutte cose che vanno oltre la legge. Per esempio quando una signora torna dalla maternità,

fino ai tre anni del bambino può lavorare ad un orario ridotto che può essere di quattro, di sei, di sette

ore. Può fare un orario differenziato, abbiamo una linea ad orario differenziato. Vuol dire che fanno

comunque otto ore ma le fanno con un orario diverso. Quindi, la pausa più corta in modo tale che

cominciano dopo, finiscono prima degli altri, riducendo la pausa in modo da permettere a coloro che ci

lavorano di portare i figli a scuola e di andare a prenderli. Con tutte le regole che ci sono per entrare in

questo gruppo. Cioè devi avere un figlio entro i tre anni o entro gli otto anni oppure i dieci, oppure se

questo numero di persone non copre tutto l‟organico della linea ci possono andare coloro che studiano o

coloro che hanno dei familiari da accudire.

È evidente come le misure di conciliazione rappresentino in questo caso - più di ogni altra

azienda studiata - uno strumento attraverso cui le parti cercano un equilibrio fra l‟efficienza e

la capacità di risposta dell‟azienda ai mercati ed il benessere dei lavoratori. Per fare questo

l‟organizzazione industriale struttura al suo interno delle linee di produzione che possano

garantire forme di flessibilità oraria. Abbiamo visto come la flessibilità – presso altre aziende

non sia proponibile per le linee di produzione, poiché produce dis-efficienze e costi troppo

elevati. Questo caso rappresenta invece una strategia organizzativa tesa a far rientrare gli

strumenti della flessibilità anche per i lavoratori in linea. Una linea impiega 25 lavoratori.

L‟azienda dispone di una linea ad orario differenziato in cui è prevista una variazione oraria in

ingresso/uscita dei lavoratori rispetto alle altre linee produttive. Orario differenziato dettato

dal soddisfare le esigenze organizzative dei genitori con figli di età scolare o prescolare. C‟è

una linea ad orario ridotto dove i lavoratori, che esprimono determinate necessità, lavorano

per sei ore otto. In questo caso si registra una riduzione di produzione rispetto al potenziale di

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91

otto ore ma si tratta di un misura organizzativa dettata anche dall‟invecchiamento della

popolazione operaia.

Un'altra linea, un'altra cosa rispetto alla conciliazione è la linea a sei ore. Questa è stata fatta nell‟ultimo

accordo integrativo vagliando un po‟ l‟età media della popolazione aziendale che per noi è 43 anni,

quindi alta. Quindi abbiamo iniziato ad affrontare il tema dell‟ageing, il tema dell‟età dei lavoratori che

devono lavorare in linea di montaggio e a 60 anni puoi fare un po‟ fatica. Quindi su proposta della RSU

abbiamo fatto questa line di sei ore.

L‟azienda ha inoltre previsto otto ore di permessi annui retribuiti per i dipendenti con

patologie oncologiche, tali da favorire i regolari controlli, analisi ed accertamenti medici. Ha

invece abbandonato la prospettiva delle convenzione con asili e scuole di infanzia per almeno

tre ragioni: l‟impossibilità di convenzionarsi con strutture pubbliche per evidenti motivi di

equità di accesso ai servizi; la questione della disponibilità economica dei lavoratori.

Nonostante il sostegno economico elargito dell‟azienda come previsto dalle convenzioni, gli

asili nido sono strutture troppo costose per i dipendenti; la dimensione logistica/organizzativa:

il territorio di provenienza dei lavoratori è troppo esteso e per rispondere equamente a

determinate esigenze familiari e si dovrebbero stipulare convenzioni con un numero di

strutture eccessivo.

In passato, negli anni 2000, ci abbiamo provato [convenzioni con asili nido, ndr] ma la struttura privata

costa, quindi io azienda nonostante ti do un sostegno per la retta dell‟asilo, ma tu devi pagare di più…

poi teniamo conto che la maggioranza dei dipendenti non ha uno stipendio molto alto quindi non va in

una scuola privata. Altro fattore è stato che ... noi abbiamo una popolazione aziendale che per il 90%

abita nel raggio di 20 Km e qui la conciliazione è molto difficile, perché l‟asilo deve essere molto vicino

o dove è più comodo per tuo tragitto, dove stano i nonni, tutta una serie di fattori per cui anche

convenzionarsi con un asilo non aveva senso perché si accontentavano un gruppo di persone, ma se ne

scontentava tantissima. Così, l‟abbiamo abbandonato. Oggi non ci serve tanto perché la popolazione è

cresciuta e quindi i problemi sono altri, sono quelli che riguardano l‟assistenza di genitori o parenti

anziani che hanno bisogno.

Certamente gli interventi più robusti per il benessere dei lavoratori sono di tipo economico.

L‟azienda elargisce dei “buoni scolastici”, una somma annuale destinata ai figli dei lavoratori,

valida a tutti i livelli di istruzione, incluso il percorso universitario. Infine, di particolare

rilevanza economica è il premio di risultato, che corrisponde a 4200€, elargito annualmente

per ogni lavoratore. Una somma importante che rappresenta il raggiungimento di standard

elevati con riferimento alle prestazioni aziendali.

La conciliazione … ovviamente non è che queste cose vengono date perché ci piace, dobbiamo avere un

ritorno. Che è appunto il fatto che siamo un azienda che non ha ancora fatto un ora di cassa

integrazione, siamo un azienda che è un momento difficile, non raggiunge il budget ma comunque ha

270milioni di euro di fatturato. Questo vuol dire che questo paga. Dall‟altra parte c‟è una conciliazione

economica ancora favorevole nei confronti dei lavoratori perché ogni lavoratore prende dall‟azienda un

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92

premio di risultato che è sui 4200euro l‟anno. Noi abbiamo un premio di produzione, un premio di

efficienza, un premio di qualità e il premio eco-indice. Che è un premio che va a misurare l‟indice di

conformità o meno agli audit in materia di sicurezza e ambiente.

Si tratta di benefit che vengono associati – dalla nostra interlocutrice – a condizioni di lavoro

favorevoli per i lavoratori e che rappresentano degli esiti di performance positivi per l‟azienda

ma di cui manca un indice robusto ed affidabile che possa riassumere tale relazione. Il tasso di

turnover, che è indicativo del senso di appartenenza all‟azienda, non è affidabile in questo

periodo di crisi per il mercato del lavoro ed è un indicatore che ha da sempre registrato valori

molto bassi. Tuttavia i dati di crescita aziendale risentono di condizioni di lavoro favorevoli –

legate alla sicurezza, alla qualità dell‟ambiente e alle misure di conciliazione -, condizioni che

però non possono essere disaggregate per individuare l‟apporto di ogni singolo fattore alla

crescita aziendale. Possiamo allora generalmente far convergere una condizione di lavoro

positiva alle performance aziendali.

Il senso di appartenenza all‟azienda lo vedi con il turnover. Il tasso di turnover è rasente allo zero. Ma in

questo momento non è un indicatore affidabile? Non lo era neanche in passato, ma l‟azienda ha sempre

avuto un tasso di turnover basso. Se le condizioni di lavoro, io do per scontate la sicurezza e l‟ambiente

di lavoro e che però non sono scontate in altre aziende, però da noi ci sono e sono degli standard

altissimi, ma quando parlo di conciliazione queste cose le ho superate perché per noi … sono uno

standard non possiamo prescindere da questo. In ogni integrativo c‟è un capitolo sulla sicurezza, in ogni

integrativo c‟è un capitolo sull‟ambiente. Io peno che tutte queste cose fanno sì che i lavoratori si

trovino bene nell‟azienda e l‟azienda riesca a performare. Ora se mi chiede di misurar il link fra queste

due cose, non ce l‟ho. Ho degli indicatori di efficienza, di qualità che sono riferiti al prodotto ed alla

produzione e c‟è una crescita costante, quindi c‟è un miglioramento costante. Probabilmente in futuro

bisognerà misurare qualcos‟altro, perché abbiamo raggiunto un livello tale che ... ed è costante e quello

ti dice che quella misura l‟hi sotto controllo, devi mantenerla ma adesso è il momento di andare a

misurare qualcos‟altro. Una cosa che abbiamo incominciato a fare misurando la qualità esterna. Noi la

qualità interna la misuriamo da sempre ma la qualità esterna è qualcosa di differente perché non dipende

da noi. La stiamo monitorando perché, quello che si tenta di fare è misurare tutto il processo. Non devo

essere bravo soltanto a produrre le caldaie ma devo essere bravo ad istallarle anche se questa cosa non

dipende da noi ma noi facciamo la formazione dell‟installatore.

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93

3. LE PERCEZIONI DEI BENEFICI PER I DIPENDENTI E LE RISPOSTE PROFESSIONALI

(diVincenzo Marrone)

Se nel capitolo precedente il soggetto di analisi è l‟azienda (espressa attraverso la direzione

aziendale) in questo capitolo ci concentriamo sulle opinioni che i lavoratori-dipendenti hanno

maturato rispetto agli strumenti di conciliazione famiglia-lavoro. Soprattutto ci interessiamo

alle ragioni che hanno portato loro a farne richiesta e ai comportamenti ed agli atteggiamenti

che hanno maturato rispetto al loro datore di lavoro, al luogo di lavoro e rispetto al proprio

lavoro.

L‟obiettivo che si presenta in questa sezione è chiarire in che modo le misure di conciliazione

non solo si configurano come strumenti di supporto per il benessere dei dipendenti e delle

loro famiglie, ma permettono una elaborazione personale attraverso cui è possibile valutare il

valore aggiunto – in termini sociali, cognitivi, emotivi ecc. - che i lavoratori offrono

all‟azienda.

Il capitolo è articolato in due parti. Nella prima parte illustriamo i principali risultati di una

survey finalizzata a rilevare le percezioni di benessere attribuite alla fruizione di misure family

friendly da parte dei lavoratori, gli atteggiamenti, gli orientamenti le loro opinioni maturate

nei confronti di tali strumenti. In questo caso l‟analisi coinvolge altre aziende, diverse dalle

sei selezionate e finora descritte, appartenenti al territorio veneto.

Nella seconda parte, analizziamo invece le prospettive descritte dai lavoratori nelle intervista

face to face. Daremo molto spazio alle loro testimonianze dirette per cogliere le modalità con

cui la fruizione di misure di conciliazione favorisce un atteggiamento propositivo verso il

lavoro.

3.1 - La survey ed il campione

Il numero complessivo di lavoratori che hanno fruito di misure di conciliazione è pari a 647.

Il criterio utilizzato per la selezione delle aziende per questa parte di ricerca – attività curata

dall‟Osservatorio regionale sulle Politiche Familiari del Veneto - è stato la presenza di

programmi family friendattivi nelle imprese.

La survey è stata realizzata attraverso il canale web. Ogni dipendente aveva accesso al

questionario collegandosi ad un link tramite una codice che per ragioni di anonimato è stato

realizzato da un soggetto terzo, diverso dall‟azienda e dal gruppo di ricerca. Al questionario

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94

hanno risposto 154 persone su un universo di popolazione di 647 unità (23%). Il tasso di

restituzione è stato inferiore alle aspettative, tuttavia, nonostante la bassa numerosità del

campione, i risultati che proponiamo possono offrire stimoli e suggerimenti di certo interesse.

Il campione di intervistati si compone di una prevalenza femminile, quasi tre quarti (il 74.7%)

di loro sono donne. Rispetto allo stato civile circa il 70% dichiara di essere coniugato e il 22%

è invece celibe o nubile. Il 7,1% dichiara di essere separato o divorziato, mentre l‟1,3%

dichiara di essere vedovo o vedova.

DENOMINAZIONE

Azienda Ospedaliera di Padova Società Nuova Società Cooperativa Sociale

Comune di Jesolo Cooperativa sociale Porta Aperta s.c.s. ONLUS

Confezioni Volpato srl Il Raggio Verde Cooperativa sociale A.R.L. ONLUS

Berner SpA Mano Amica Società Cooperativa Sociale ONLUS

Centro Servizi Sociali Villa Serena ESU DI VENEZIA

“I Piosi” Società Cooperativa Sociale Il Sestante Cooperativa Sociale a R. L. ONLUS

Una casa per l‟uomo Società Cooperativa Sociale Stireria Barin snc

Fondazione Giacomo Rumor Centro Produttività Veneto C.C.S. Consorzio Cooperative Sociali

Fineco Innovazione srl Studio Zeta di Zuccon Mauro sas

Azienda ULSS21 di Legnago Automazione Veneto srl Unipersonale

Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione SpA Energia Territorio Risorse ambientali – ETRA SpA

Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Geox SpA

Servizi Educativi Cooperativa Sociale Lowara srl Unipersonale

Baxi SpA Forum Media Edizioni srl

Castel Monte Società Cooperativa Sociale – ONLUS Acque Veronesi scarl

Telecom Italia SpA Fiore Technologies SpA

Comune di Monselice Recchia Ambulatorio Polispecialistico srl

Provincia di Padova Fairtrade TransFair Italia Soc. Coop.

Tab. 3.1 - Elenco delle organizzazioni coinvolte nella survey

Il gruppo di intervistati ha una età media di 42 anni, valore che si distribuisce fra i 26 anni del

più giovane e di 71 del più anziano10.

La quasi totalità dei rispondenti (94.8%) ha la nazionalità italiana. Un quarto di loro risiede

nella provincia di Padova (25,3%). Seguono le province di Verona, Venezia e Treviso che

registrano valori percentuali piuttosto simili (rispettivamente del: 17,5; 16,9 e 15,6%), quindi

Vicenza (10,4%), Rovigo (8,4%) e infine Belluno (5,8%).

10

E probabile che si tratti di un lavoratore in pensione che continua a svolgere una attività lavorativa integrativa

visto che dichiara di svolgere meno di dieci ore di lavoro settimanali. Il secondo lavoratore più anziano ha 60

anni.

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95

Rispetto alla composizione familiare, per la maggioranza dei casi – circa i tre quarti - sono

coppie di genitori con uno o più figli. Il 13% è composto da genitori soli con figli mentre il

6,5% sono coppie senza figli. Infine, il restante 7,7% si divide fra single che vivono da soli e

persone che vivono con la loro famiglia di origine.

Se oltre il 14% degli intervistati dichiara di non aver figli, il 35,7% ne ha uno solo, il 33,8%

due e il restante 16,1% ha tre figli o più di tre. Se si considera il figlio più grande, l‟età media

è di dieci anni mentre, considerando il figlio più piccolo l‟età media scende a sette anni.

Infine, alla domanda: “Tra i membri della sua famiglia ci sono persone, anche non conviventi,

con disabilità o non autosufficienti di cui si prende cura?” il 18,8% risponde di sì, con

particolare riferimento alla presenza di anziani (14,3%).

Riguardo al livello d‟istruzione conseguito, la percentuale più elevata si registra in

corrispondenza del titolo di scuola media superiore (36,4%), seguito dalla laurea (29,2%). Il

16,2% dei rispondenti non supera la qualifica professionale e la stessa quota di intervistati

(9,1%) dichiara di aver conseguito un diploma universitario e un titolo post laurea. In linea

generale siamo di fronte ad un livello d‟istruzione mediamente elevato.

Per quanto riguarda la composizione per professione, notiamo come l‟attività di impiegato sia

quella prevalente (35%), seguita da quella di educatore professionale o di operatore di servizi

educativi (22,1%), e di operatore socio assistenziale e operatore sanitario (22%). Quindi le

figure dirigenziali (13,6%) e gli operai, generici o specializzati (7,1%).

La quasi totalità del campione ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato (94%). La

maggioranza (64,3%) ha un contratto di lavoro full time di 36-40 ore settimanali; circa un

quarto del campione (24%) ha un orario di lavoro compreso fra ventuno e trentacinque ore

settimanali; mentre l‟11,7%, di venti ore settimanali o meno.

3.2 - La percezione di benefici.

Nel questionario abbiamo chiesto ai rispondenti di indicare – in una scala con valori compresi

fra 0 e 10 – la percezione dei benefici associati all‟utilizzo di misure di conciliazione famiglia

lavoro. Queste percezioni erano rilevate attraverso affermazioni che a loro volta rimandavano

a tre differenti macro-aree di benessere: quella personale, quella lavorativa e quella familiare.

Infine, ognuna di queste dimensioni si componeva di tre sottodimensioni: la percezione di

benefici personali si configurava come percezione di benessere fisico, psichico e sociale; la

percezione di benefici lavorativi come livelli di performance o produttività, senso di

Page 96: Report. Territori che conciliano

96

attaccamento all‟azienda e clima lavorativo; infine, il benessere familiare era rilevato

attraverso il benessere di coppia, quello genitoriale e le facilitazioni nella cura e nelle

relazioni parentali.

Page 97: Report. Territori che conciliano

97

Variabile Stato %

SESSO M 25,3

F 74,7

STATO CIVILE Coniugato/a 69,5

Celibe/Nubile 22,1 Separato/a - divorziato/a 7,1

Vedovo/a 1,3

Età media 42,36

Dev.st 7,44

Min 26 Max 71

Quartile 25 37

Quartile 50 41 Quartile 75 47

Contratto di lavoro Indeterminato 94,2 Determinato 3,9

Progetto 1,9

Orario di lavoro Fino a 20 ore 11,7

da 21 a 35 ore 24,0

da 36 a 40 ore 64,3

Provincia di residenza Padova 25,3 Verona 17,5

Venezia 16,9

Treviso 15,6 Vicenza 10,4

Rovigo 8,4

Belluno 5,8

Composizione famigliare Coppia con uno o più figli 72,7

Genitore solo con uno o più figli 13 Coppia senza figli 6,5

Single (vivo da solo) 4,5

Vivo con la mia famiglia di origine (genitori/fratelli/sorelle) 3,2

Numero di figli nessuno 14,3 1 35,7

2 33,8

3 o più 16,1

Età figlio (considerando il più grande - N=131) Media 10,27

Dev.st 7,73 Età figlio (considerando il più piccolo - N=131) Media 7,1

Dev.st 6,58

Persone di cui prendersi cura No 81,2

Sì, anziani 14,3

Sì, adulti 2,6 Sì, minori 1,9

Titolo di istruzione conseguito Scuola dell'obbligo 4,5 Qualifica professionale 11,7

Scuola media superiore 36,4

Diploma universitario 9,1 Laurea universitaria 29,2

Titolo post laurea (master, dottorato di ricerca) 9,1

Professione Impiegato 35,0

Educatore profess. / Operatore di servizi educ. 22,1

Operatore socio assistenz. e operatore sanitario 22,0 Dirigente o carriera direttiva 13,6

Operaio 7,1

Dove non specificato, N=154

Tab. 3.2 – Alcune informazioni sul campione

Page 98: Report. Territori che conciliano

98

Di seguito osserviamo i valori medi registrati per ogni singolo item delle tre macro-aree.

La percezione dei benefici da quando si utilizzano misure di conciliazione media Dev.st N

Benefici personali: g. Sono più sereno/a nell'affrontare la quotidianità 5,88 2,78 154

Benefici personali: e. Sono meno stressato/a 5,40 2,85 154

Benefici personali: l. Sono più disponibile ad ascoltare i bisogni degli altri 5,12 2,85 154

Benefici personali: h. Sono più sicuro/a di me stesso 5,10 2,89 154

Benefici personali: c. Sono più riposato/a ed energico/a 4,96 2,74 154

Benefici personali: f. Sono più riflessivo/a e giudizioso/a 4,95 2,86 154

Benefici personali: d. Mangio meglio e con maggiore equilibrio 4,55 3,01 154

Benefici personali: i. Posso coltivare di più i miei hobby 4,25 3,06 154

Benefici personali: k. Frequento di più gli amici 4,19 3,04 154

Benefici personali: b. Curo di più la mia forma fisica e il mio aspetto esteriore 4,18 2,83 154

Benefici personali: a. Mi ammalo di meno 3,97 2,96 154

Benefici personali: j. Dedico più energie al volontariato e all'associazionismo 3,09 2,87 154

Benefici lavorativi: m. Constato che l'azienda realizza in pratica i valori di cui

parla 6,51 3,36 154

Benefici lavorativi: k. Mi sento più orgoglioso di lavorare per questa azienda 6,45 3,17 154

Benefici lavorativi: d. Sono più disponibile ad andare incontro alle necessita

dell'azienda 6,20 3,06 154

Benefici lavorativi: l. Mi fido di più dell'azienda e del suo management 6,16 3,20 154

Benefici lavorativi: e. Sono più attento/a alle esigenze dei miei colleghi 6,12 2,83 154

Benefici lavorativi: g. Condivido di più il lavoro con i miei colleghi 5,96 2,84 154

Benefici lavorativi: h. Il clima di lavoro con i superiori è migliorato 5,77 3,19 154

Benefici lavorativi: a. Lavoro con più entusiasmo e professionalità 5,75 2,83 154

Benefici lavorativi: c. Raggiungo con più facilità gli obiettivi che mi sono

assegnati 5,69 2,91 154

Benefici lavorativi: f. Mi sento più libero/a di esprimere le mie esigenze ai

superiori 5,68 3,08 154

Benefici lavorativi: j. In azienda mi sento più rispettato come persona 5,65 3,22 154

Benefici lavorativi: b. Mi assento di meno dal lavoro 5,41 3,18 154

Relazione figli: a. Sono più agevolato nell'organizzare le loro giornate 6,96 2,85 122

Relazione figli: c. Sono più attento ai loro bisogni di crescita 6,83 2,88 121

Relazione figli: d. Posso seguirli maggiormente nai loro percorsi e nelle loro scelte 6,82 2,97 122

Relazione figli: e. Se mi chiamano ed hanno bisogno di me riesco a liberarmi più

facilmente dai miei impegni 6,71 2,96 120

Relazione figli: b. Li aiuto di più nelle loro attività quotidiane (vestirli, lavarli,

accompagnarli a scuola o nelle attività sportive o sociali, ecc.) 6,45 2,98 121

Rapporto familiari: d. Se mi chiamano ed hanno bisogno di me, riesco a liberarmi

più facilmente dai miei impegni 6,40 2,84 89

Rapporto familiari: c. Ho più tempo per stare con loro 6,20 2,89 85

Relazione di coppia: d. Siamo più sereni come coppia 6,13 2,71 123

Rapporto familiari: a. Mi prendo maggiormente cura di loro personalmente 5,97 2,83 86

Rapporto familiari: b. Posso organizzare meglio le persone che si prendono cura di

loro 5,83 3,02 84

Relazione di coppia: c. Abbiamo maggiori occasioni per parlare e fare nostri

progetti. 5,67 2,73 123

Relazione di coppia: a. Condividiamo maggiormente i compiti e le faccende

domestiche 5,47 2,74 121

Relazione di coppia: b. Passiamo più tempo nel fare cose insieme 5,42 2,68 123

Tab. 3.3 - Valori medi degli item sulla percezione di benefici (Scala 0-10)

Page 99: Report. Territori che conciliano

99

Dai valori medi si nota come gli item su cui si registrano i punteggi più elevati sono quelli che

rimandano alle relazioni genitoriali. Ciò evidenzia la specificità delle misure di conciliazione

quali strumenti che favoriscono le relazioni di cura dei figli. Particolarmente rilevanti sono

anche i benefici che si registrano in corrispondenza della cura ed assistenza dei familiari.

Anche in questo caso i dati offrono un riscontro congruente legato alla fruizione di misure di

conciliazione: le misure di conciliazione vengono richieste per favorire l‟equilibrio con le

responsabilità di cura ed organizzazione familiare e tendenzialmente rappresentano degli

strumenti soddisfacenti.

Se guardiamo alla sfera del lavoro, particolarmente rilevanti sono i valori medi che si

registrano in corrispondenza dei benefici declinati come “riconoscimento” dei valori

aziendali, orgoglio per la propria azienda, disponibilità nei confronti dell‟azienda e fiducia

riposta in essa. Dati che ci confortano su una primissima associazione positiva fra fruizione di

misure di conciliazione e atteggiamento professionale.

Per quanto riguarda il benessere personale notiamo come gli unici indicatori in cui si

registrano valori leggermente superiori alla soglia media di scala “5” riguardano i benefici di

natura psicologica: la serenità nella quotidianità, la disponibilità e l‟ascolto degli altri, la

sicurezza di sé stessi. Al contrario, le dimensioni in cui gli item non superano la soglia media

sono quelle che riguardano il benessere personale fisico e quello sociale. Ciò sta ad indicare,

in linea del tutto generale che, gli intervistati associano le misure di conciliazione al benessere

personale fisico e sociale molto meno di quanto non facciano con le altre dimensioni rilevate.

Per semplificare11 le accezioni di “benefici percepiti” riducendo il numero degli item abbiamo

calcolato la media delle sottodimensioni e delle macro-aree in modo congruente con le nostre

ipotesi di ricerca. Questo ci permette di gestire con maggiore semplicità i dati di cui

disponiamo.

È particolarmente evidente (tab.3.4) come i benefici percepiti nel rapporto genitoriale

configurino una dimensione che più “sensibilmente” si associa alla fruizione di misure di

conciliazione; seguita dal senso di attaccamento all‟azienda; quindi dalla maggiore possibilità

di cura nei confronti di familiari.

Inoltre è interessante notare come le sfere della percezione dei benefici siano fra loro

fortemente correlate (tab.3.5). Ciò sta ad indicare come i benefici percepiti si intreccino fra

11

Una tecnica particolarmente efficace per questo scopo sarebbe stata l‟analisi fattoriale in componenti

principale, ma data la bassa numerosità del campione si è preferito procedere con il calcolo della media.

Page 100: Report. Territori che conciliano

100

loro e come non sia possibile distinguere dove inizia e dove termina l‟influenza di una sfera

sulle altre due12. Tuttavia, nel prossimo paragrafo cercheremo di individuare possibili

dinamiche – ipotizzando direzioni di causa effetto - attraverso cui testiamo l‟incidenza che il

benessere familiare e personale ha rispetto alla sfera lavorativa.

Macroaree dei benefici percepiti media Dev.st. N

Benessere personale 4,64 2,40 154

Benessere fisico

[Mi ammalo di meno, Curo di più la mia forma fisica e il mio aspetto esteriore, Sono

più riposato/a ed energico/a, Mangio meglio e con maggiore equilibrio]

4,42 2,60 154

Benessere psichico

[Sono meno stressato/a, Sono più riflessivo/a e giudizioso/a, Sono più sereno/a

nell'affrontare la quotidianità, Sono più sicuro/a di me stesso]

5,33 2,54 154

Benessere sociale

[Posso coltivare di più i miei hobby, Dedico più energie al volontariato e

all'associazionismo, Frequento di più gli amici, Sono più disponibile ad ascoltare i

bisogni degli altri]

4,16 2,61 154

Benessere familiare 6,17 2,48 141

Benessere figli

[Sono più agevolato nell'organizzare le loro giornate, Li aiuto di più nelle loro

attività quotidiane, Sono più attento ai loro bisogni di crescita, Posso seguirli

maggiormente nei loro percorsi e nelle loro scelte, Se mi chiamano ed hanno

bisogno di me riesco a liberarmi più facilmente dai miei impegni]

6,74 2,76 123

Benessere coppia

[Condividiamo maggiormente i compiti e le faccende domestiche, Passiamo più

tempo nel fare cose insieme, Abbiamo maggiori occasioni per parlare e fare nostri

progetti, Siamo più sereni come coppia]

5,65 2,53 124

Benessere familiari

[Mi prendo maggiormente cura di loro personalmente, Posso organizzare meglio le

persone che si prendono cura di loro, Se mi chiamano ed hanno bisogno di me,

riesco a liberarmi più facilmente dai miei impegni, Ho più tempo per stare con loro]

6,01 2,81 90

Benessere lavorativo 5,95 2,78 154

Produttività

[Lavoro con più entusiasmo e professionalità, Mi assento di meno dal lavoro,

Raggiungo con più facilità gli obiettivi che mi sono assegnati, Sono più disponibile

ad andare incontro alle necessita dell'azienda]

5,76 2,82 154

Clima aziendale

[Sono più attento/a alle esigenze dei miei colleghi, Mi sento più libero/a di

esprimere le mie esigenze ai superiori, Condivido di più il lavoro con i miei colleghi,

Il clima di lavoro con i superiori è migliorato]

5,88 2,83 154

Attaccamento azienda

[In azienda mi sento più rispettato come persona, Mi sento più orgoglioso di

lavorare per questa azienda, Mi fido di più dell'azienda e del suo management,

Constato che l'azienda realizza in pratica i valori di cui parla]

6,19 3,02 154

Tab.3.4 – Le macroaree dei benefici percepiti

12

Abbiamo proposto un modello analitico e tecnico per affrontare questo aspetto in: Prandini, Macchioni,

Marrone 2014

Page 101: Report. Territori che conciliano

101

BenPers BenFis BenPsic BenSoc BenLav Produtt.

Clima Attaccam BenFam BenCopp BenFig

Ben.fisico ,941

Ben.psichico ,927 ,825

Ben.sociale ,917 ,794 ,758

Ben.lavorativo ,836 ,761 ,850 ,721

Produttività ,824 ,749 ,846 ,700 ,962

Clima aziendale ,814 ,732 ,829 ,707 ,970 ,915

Attaccamento azienda ,778 ,716 ,779 ,674 ,955 ,865 ,886

Ben.familiare ,694 ,596 ,711 ,615 ,755 ,716 ,680 ,761

Ben.coppia ,702 ,610 ,677 ,640 ,741 ,707 ,674 ,746 ,893

Ben.figli ,682 ,586 ,702 ,591 ,767 ,728 ,704 ,770 ,954 ,743

Ben.familiari ,733 ,623 ,732 ,686 ,747 ,708 ,701 ,737 ,919 ,747 ,853

Tab.3.5 – I benefici percepiti. Correlazioni, r di Pearson. Tutte le correlazioni sono significative al livello 0,01

3.3 - Le misure di conciliazione utilizzate

Nel questionario abbiamo proposto un elenco di misure di conciliazione famiglia-lavoro che

gli intervistati dovevano indicare nel caso in cui li avessero utilizzati nell‟ultimo anno. La

flessibilità organizzativa del lavoro (che include voci quali l‟orario di lavoro flessibile, il part

time e forme di congedi parentali) è una categoria di strumenti utilizzata da oltre i tre quarti

della popolazione d‟intervistati. Seguono i servizi disponibili per il dipendente e per la sua

famiglia (per esempio gli asili nido, i servizi per la prima infanzia, i servizi per il risparmio

del tempo); quindi gli strumenti di informazione, orientamento e formazione al tema della

conciliazione famiglia-lavoro; la strumentazione e le tecnologie informatiche atte a facilitare

l‟equilibrio fra vita famigliare e vita professionale; infine gli aiuti monetari elargiti

direttamente ai dipendenti ed alle loro famiglie.

Categorie di misure di conciliazione N %

16a. Flessibilità dell'organizzazione del lavoro 118 76,6

16b. Utilizzo di tecnologie informatiche 69 44,8

16c. Aiuti monetari e benefit 39 25,3

16d. Servizi per il dipendente e la sua famiglia 89 57,8

16e. Formazione-Informazione e sensibilizzazione 85 55,2

Tab.3.6 – Fruizione di misure di conciliazione aggregate.

È importante chiedersi se l‟utilizzo di specifiche misure di conciliazione abbia rilevanza

rispetto ai benefici percepiti. Affrontiamo questo aspetto illustrando e commentando la

tab.3.7. in cui per ogni dimensione di benessere (in riga) abbiamo tre colonne che indicano

rispettivamente:

Page 102: Report. Territori che conciliano

102

la differenza dei punteggi medi dei benefici percepiti per l‟utilizzo o meno di quella

misura di conciliazione. Calcola la differenza, per esempio, fra il punteggio medio del

benessere psicologico di chi utilizza misure di flessibilità e il punteggio medio di chi non

utilizza misure di flessibilità. Da questo dato rileviamo come l'utilizzo di misure di

conciliazione sia sempre associato a valutazioni superiori dei benefici sperimentati rispetto al

non utilizzo (nella tabella i valori riportati hanno tutti segno positivo).

La seconda colonna riguarda il test F di Fischer che esprime l‟affidabilità e la

significatività di quella differenza fra medie di gruppi.

Infine la colonna dei punteggi standardizzati (z) ci permette di confrontare non solo i

valori in colonna ma anche quelli in riga. Con gli z_score, possiamo cioè standardizzare i dati

al punto da vedere quale fra i gruppi di strumenti di conciliazione incide maggiormente nel

discriminare i benefici di una determinata dimensione. Per esempio possiamo vedere come la

flessibilità, non solo incide significativamente sulla produttività, ma è quello strumento che

incide più degli altri su tale aspetto.

Guardiamo nello specifico le singole classi di pratiche di conciliazione partendo dalla

flessibilità.

a- Notiamo come le dimensioni in cui la differenza nella percezione dei benefici è

particolarmente rilevante riguardino la sfera dei familiari da accudire, la relazione genitoriale

cioè il rapporto con i figli e due dimensioni della sfera lavorativa: il senso di produttività ed il

clima aziendale.

b- Rispetto alla strumentazione tecnologica informatica - sebbene siano in pochi ad

utilizzare tali dispositivi - le distanze sembrano aumentare. In particolare sono proprio le

percezioni di benessere a livello familiare, quelle che risentono maggiormente dell'utilità

nell'accesso a tali strumenti.

c- I benefit di natura economica non sembrano discriminare le dimensioni di percezione

dei benefici ad eccezione del benessere dei figli. È probabile che tale tendenza risenta di

quegli strumenti classici ma sempre efficaci come le borse di studio erogate dalle aziende per

i figli dei dipendenti.

d- I servizi si configurano come misure di conciliazione che incidono significativamente

nelle dinamiche familiari specie per quanto concerne i familiari che hanno bisogno di cura ed

attenzioni specifiche. Ma sono anche associati ad un senso di attaccamento all'azienda.

Page 103: Report. Territori che conciliano

103

e- Infine, le attività di formazione, informazione e sensibilizzazione al tema della

conciliazione non discriminano significativamente le percezioni di benessere, anche se è

rilevante notare come la dimensione che appare più sensibile a tali strumenti è la relazione di

coppia. Possiamo pensare che l'attività di informazione e di diffusione della cultura della

conciliazione, muova atteggiamenti e comportamenti, sensibilità ed attenzioni che si

trasferiscono e manifestano in famiglia fra i partner.

Page 104: Report. Territori che conciliano

104

Flessibilità Tecnologia Benefit economici Servizi Informazione e formazione

Δ F z Δ F z Δ F z Δ F z Δ F z

Ben. fisico 0,7 2,05 -1,47 0,73 3,11 -1,88 0,41 0,74 -0,68 0,51 1,43 -1,42 0,19 0,21 -1,88

Ben. psichico 1,07 5,01* -0,31 1,08 7,12** -0,82 0,57 1,46 0,05 0,7 2,91 -0,89 0,82 4,04* 0,64

Ben. sociale 0,89 3,26 -0,88 1,14 7,52** -0,64 0,36 0,54 -0,91 0,71 2,78 -0,86 0,55 1,65 -0,44

Produttività 1,47 7,80** 0,94 1,54 12,17** 0,58 0,41 0,62 -0,68 1,01 4,92* -0,03 0,86 3,64 0,80

Clima aziendale 1,46 7,67* 0,91 1,5 11,38** 0,45 0,48 0,83 -0,36 0,83 3,26 -0,53 0,8 3,07 0,56

Attaccamento az. 1,01 3,16 -0,50 1,24 6,67* -0,33 0,58 1,07 0,09 1,43 8,82** 1,14 0,49 1,00 -0,68

Ben. coppia 0,92 2,72 -0,78 1,49 11,48** 0,42 0,65 1,44 0,41 1,15 6,43* 0,36 0,96 4,54* 1,20

Ben. figli 1,38 4,96* 0,66 1,82 14,79** 1,42 1,1 3,70 2,45 1,32 6,76* 0,83 0,48 0,88 -0,72

Ben. familiari 1,6 4,72* 1,34 1,6 7,87** 0,76 0,46 0,44 -0,45 1,51 6,61* 1,36 0,83 1,98 0,68

Ben. familiare 1,18 3,86 1,69 6,64* 0,8 1,01 1,26 2,69 0,73 1,79

Ben. lavorativo 1,31 6,38* 1,42 10,65** 0,49 0,90 1,09 5,94 0,72 2,56

Ben .personale 0,88 5,45* 0,98 18,23** 0,45 2,81 0,64 9,08** 0,52 3,02

**p<0,01; *p< 0,05

Tab.3.7– Misure di conciliazione e benefici percepiti nella sfera personale, lavorativa e familiare

Page 105: Report. Territori che conciliano

105

3.4 - Orientamenti e atteggiamenti verso il tema e gli strumenti di conciliazione famiglia

lavoro

Con il questionario abbiamo anche rilevato alcuni orientamenti degli intervistati rispetto al

tema del welfare aziendale, con particolare riguardo alle misure di conciliazione, secondo

diverse angolature. Per fare questo abbiamo costruito cinque forced choice statement

chiedendo agli intervistati di collocarsi lungo un continuum i cui poli sono espressi da

affermazioni contrapposte (tab.3.8).

Affermazione 1 Affermazione 2 Dimensione Media Dev.st.

In questo momento di crisi le

aziende devono investire

esclusivamente nei mezzi di

produzione

In questo momento di crisi le

aziende devono continuare ad

investire sulla conciliazione

famiglia lavoro

Capitale fisico

VS

Capitale umano

7,37 2,63

E' compito esclusivo dello

Stato fornire servizi di welfare

per tutti. Le imprese hanno

altri scopi e funzioni

Non è compito esclusivo dello

Stato fornire servizi di welfare

per tutti. È giusto che anche le

imprese facciano la loro parte

Welfare State

VS

Welfare Aziendale

7,06 2,89

Le misure di conciliazione

sono uno spreco di risorse per

le aziende

Le misure di conciliazione

sono un investimento in risorse

Spreco di risorse

VS

Investimenti

8,68 1,91

Le misure di conciliazione

servono ad aumentare

esclusivamente la produttività

dei lavoratori

Le misure di conciliazione

servono ad aumentare la qualità

di vita dei dipendenti

Produttività

VS

Qualità vita

7,55 2,34

Le misure di conciliazione

sono soltanto pubblicità per le

azienda

Le misure di conciliazione

aumentano il senso di

appartenenza all'aziende

Immagine azienda

VS

Appartenenza

8,25 2,06

N=154

Tab.3.8 – Orientamenti verso il tema della conciliazione e del welfare aziendale

a) La prima coppia di affermazioni rileva un‟opinione riguardo la rilevanza degli

investimenti aziendali in funzione del capitale fisico/strumentale o in quello umano. Il valore

medio registrato, superando la soglia media di scala “5” rileva come gli intervistati tendano a

dare prevalenza al secondo tipo di investimenti. Appare rilevante come – secondo gli

intervistati - in un periodo di crisi economica sia necessario investire in capitale umano con

riferimento alle misure di conciliazione.

b) La seconda coppia di affermazioni rileva la contrapposizione fra l‟accordo ad un

orientamento esclusivo dello Stato nell‟offerta di politiche e di servizi sociali ad un

atteggiamento concorde sul ruolo che le aziende possono assumere in termini di welfare

aziendale. Anche in questo caso i rispondenti sono maggiormente orientati verso la seconda

posizione. Trovano cioè importante il carattere sussidiario del welfare aziendale.

Page 106: Report. Territori che conciliano

106

Le ulteriori tre coppie di affermazioni rilevano con maggiore specificità il significato e

l‟opinione che gli intervistati hanno delle misure di conciliazione famiglia-lavoro.

c) Il primo caso rileva una dimensione economica delle misure di conciliazione,

compresa in una valutazione che va dall‟essere uno spreco di risorse all‟essere un

investimento. Il dato, abbondantemente superiore al valore soglia 5, indica che i rispondenti

giudicano le misure di conciliazione come degli investimenti più che dei costi per le aziende.

d) Nel secondo caso si rileva l‟utilità delle misure ipotizzando una contrapposizione fra i

vantaggi pro-azienda e quelli pro-dipendenti. La prima affermazione tende a evidenziare

l‟aumento degli sforzi e della produttività dei lavoratori, la seconda evidenzia invece le utilità

per i dipendenti in termini di migliore qualità della vita. Generalmente le misure di

conciliazione sono intese come strumenti per migliorare la qualità della vita dei dipendenti

più che la produttività dei lavoratori a favore delle imprese.

e) Infine, le ultime due affermazioni contrapposte distinguono la funzione simbolica.

L‟immagine dell‟azienda ed i vantaggi che ne deriverebbero, da una parte e dall‟altra il senso

di appartenenza dei dipendenti. In questo caso i rispondenti rilevano una particolare efficacia

delle misure di conciliazione rispetto al senso di attaccamento aziendale.

Una prima valutazione, che emerge dalle affermazioni contrapposte, indica una prospettiva

ottimistica delle misure family friendly. Tutti gli indicatori utilizzati rilevano una

predisposizione o consapevolezza da parte dei dipendenti della “utilità” di tali pratiche sia per

loro che per le stesse aziende.

A conferma degli atteggiamenti dei dipendenti, rispetto alle misure family friendly, abbiamo

chiesto di indicare una preferenza fra l‟implementazione e/o l‟incrementi di misure di

conciliazione e maggiori incentivi economici secondo la seguente formulazione: “A parità di

risorse che l’azienda potrebbe investire, dove preferirebbe che l'azienda le investisse?”.

L‟output mostra come il 61% dei rispondenti è più favorevole alle misure di conciliazione a

fronte del 39% che preferirebbe un corrispettivo aumento di stipendio. Questo dato ci sembra

di particolare interesse vista l‟attuale situazione economica in cui versa la maggior parte delle

famiglie italiane. Ci saremmo infatti aspettati una prevalenza di preferenze per incrementi di

retribuzioni salariali. Al contrario, la fruizione di determinati servizi e misure – come

vedremo nel prossimo capitolo - sembra essere un importante strumento di supporto familiare.

Page 107: Report. Territori che conciliano

107

A parità di risorse che l’azienda potrebbe investire, dove preferirebbe che l'azienda le investisse? %

Ulteriori misure di conciliazione 61

Corrispettivo stipendio per i dipendenti 39

Tab.3.9 – Preferenza fra misure di conciliazione e corrispettivo aumento salariale

Particolare rilevante si evidenzia quando chiediamo di indicare una preferenza rispetto alla

possibilità di incrementare gli incentivi legati al tema della conciliazione e del supporto alle

famiglie, secondo la seguente formulazione: “Quale fra i seguenti servizi, la sua azienda

dovrebbe potenziare?”. In questo caso gli incentivi preferiti dagli intervistati sono di natura

economica che possono realizzarsi tramite borse di studio, bonus, voucher ecc. Sembra un

dato in controtendenza rispetto al precedente ma tale incongruenza – a parere di chi scrive – è

solo “apparente” o di natura aritmetica: gli incentivi economici registrano la percentuale più

elevata perché le voci dei servizi sono molteplici e diversificate. Se i servizi fossero aggregati

in un‟unica classe, supererebbero di molto la percentuale degli incentivi economici13

.

È inoltre interessante notare come oltre un quinto della popolazione intervistata vorrebbe

avere maggiore possibilità di fruire di servizi dell‟organizzazione dell‟orario di lavoro. Questo

sta ad indicare che, nonostante la flessibilità dell‟organizzazione lavorativa sia lo strumento

più utilizzato, restano ampi margini entro cui elaborare programmi ed iniziative che vadano

verso questa direzione.

Quale fra i seguenti servizi, la sua azienda dovrebbe potenziare? %

Incentivi economici, in forma di borse di studio, bonus, voucher etc. 25,3

Servizi per l'organizzazione degli orari di lavoro 21,4

Servizi per la prima infanzia, da 0 a 3 anni 12,3

Servizi per i bambini dai 4 ai 10 anni 11,0

Servizi destinati ai familiari che necessitano di assistenza 9,7

Servizio di risparmio del tempo 9,7

Servizi per la cura del proprio benessere psico-fisico 8,4

Servizi per i ragazzi, dagli 11 ai 18 anni 1,9

Tab.3.10 – la richiesta di potenziamento degli strumenti di conciliazione.

Infine, un ulteriore indicatore sugli atteggiamenti verso le misure di conciliazione è fornito

dalla seguente condizione che abbiamo sottoposto agli intervistati: “Pensando alla sua

giornata tipo, quale fra le seguenti risorse ritiene determinante e prevalente nel favorire la

conciliazione fra gli impegni familiari e quelli lavorativi?”.

13

Le categorie dei servizi per la prima infanzia, per bambini e per ragazzi, se aggregate, equivalgono al valore

percentuale degli incentivi economici.

Page 108: Report. Territori che conciliano

108

Pensando alla sua giornata tipo, quale fra le seguenti risorse ritieni determinante e prevalente nel

favorire la conciliazione fra gli impegni familiari e quelli lavorativi? %

La presenza di misure di welfare aziendale promosse dalle imprese. 33,8

La presenza di una rete familiare disposta ad aiutare. 28,6

La presenza di adeguati servizi sul territorio 22,1

L‟aiuto proveniente dal partner 15,6

Tab.3.11 – Fattori determinanti per la conciliazione

È interessante notare come – sorprendentemente – la maggior parte degli intervistati trovi le

misure di welfare aziendale come le più “determinanti” nel favorire la conciliazione. Segue la

rete familiare e i servizi istituzionali territoriali. L‟aiuto proveniente dal partner è soltanto

l‟ultima delle possibilità indicate. È probabile che tali tendenze derivino da una questione di

genere visto che la maggior parte degli intervistati è di sesso femminile.

Complessivamente, questi risultati sugli atteggiamenti e gli orientamenti degli intervistati,

restituiscono l‟immagine di un gruppo di lavoratori che fruisce di varie misure di

conciliazione che percepisce come importanti per sperimentare vantaggi in forma di benessere

familiare, lavorativo e personale. Percezioni che sono riscontrate nella opportunità di

incrementare ulteriormente tali interventi.

3.5 - Le dinamiche del benessere

Se finora abbiamo illustrato le tendenze generali che emergono dai dati, ora cercheremo di

sviluppare un percorso di ricerca – e di interpretazione - che ci permetta di capire alcune

dinamiche interne alla percezione ed elaborazione del benessere. Secondo le ipotesi della

nostra ricerca e della letteratura che finora abbiamo presentato, le misure di conciliazione

incidono positivamente nel regolare la riduzione dei conflitti familiari e del benessere

personale con la produttività. Data tale premessa ipotizzeremo un nesso “causale” che lega

queste dimensioni.

Ben. Lavorativo

(a) Produttività

(b) Clima aziendale

(c) Attaccamento az.

(d)

Ben. familiare ,318*** ,249*** ,196*** ,454*** Ben. fisico ,135*** ,097*** ,083*** ,202*** Ben. psichico ,473*** ,565*** ,534*** ,268*** Ben. sociale ,033*** ,012*** ,090*** -,006*** R

2 = 0,631

N = 141 ***p<0.01; **p<0,05

Tab.3.12 - Come le sfere dei benefici personali e familiari incidono sulla sfera del benessere lavorativo.

Regressione lineare multipla, coefficienti β

Page 109: Report. Territori che conciliano

109

Tecnicamente abbiamo utilizzato un modello di regressione lineare per valutare il grado di

influenza delle variabili indipendenti su quella dipendente. Dalla tabella 3.12 (a) emerge come

il benessere psichico ed il benessere familiare siano i fattori che maggiormente “riproducono”

la variazione del fattore “benessere lavorativo”. Il benessere percepito a livello fisico incide

debolmente mentre quello sociale non ha alcuna rilevanza. Questo risultato ci porta a

considerare che, se le misure di conciliazione incidono sul benessere psicologico dei

dipendenti e su quello delle relazioni familiari, sarà più probabile che gli stessi lavoratori

sperimenteranno un maggiore benessere o agiatezza rispetto al campo professionale. Una

prima evidenza empirica che ci conforta sulla presenza della “influenza” della dimensione

personale e familiare su quella professionale.

Nella costruzione degli indici abbiamo presentato tre dimensioni differenti che compongono il

benessere lavorativo e che abbiamo indicato con le espressioni di: produttività, clima

aziendale senso di attaccamento all‟azienda. Vediamo ora se ed in che modo queste

dimensioni sono influenzate dai fattori del benessere personale e familiare e se ripresentano le

stesse dinamiche del modello generale (a).

Se osserviamo i fattori della produttività (b) e quello del clima aziendale (c) notiamo come, in

entrambi i casi, il predittore più rilevante sia il benessere psichico. Come nel modello

precedente, percepire maggiori benefici a livello mentale ed emotivo favorisce il senso di

efficacia nel lavoro (produttività) e migliora il rapporto con i colleghi ed i superiori (clima

aziendale). Più debole ma ancora significativa è l‟incidenza del benessere familiare. Ciò

significa che, in entrambi i casi, i migliori rapporti vissuti e sperimentati in famiglia con

l‟utilizzo di pratiche di conciliazione, favoriscono atteggiamenti virtuosi verso il lavoro e

l‟ambiente di lavoro. Il benessere fisico e quello sociale continuano a non essere rilevanti.

Differente è lo scenario che ci si prospetta guardando all‟indice dell‟attaccamento aziendale

(d). In questo caso i benefici sperimentati a livello psicologico, pur rimanendo rilevanti

incidono relativamente meno rispetto ai modelli precedenti ed a quello generale. Assume

rilevanza la percezione di benefici sperimentati a livello fisico, ma, soprattutto, diventa

preponderante l‟effetto dei benefici sperimentati a livello familiare. Questo fattore diventa il

più rilevante nel riprodurre la varianza della variabile dell‟attaccamento aziendale.

Possiamo proporre un‟interpretazione ed una lettura di questa tabella cercando i significati in

profondità, che trascendono i dati statistici. Nei primi due casi (clima e produttività)

assistiamo ad una “ri-generazione” del benessere psichico che supporta le attività lavorative e

Page 110: Report. Territori che conciliano

110

gli atteggiamenti verso l‟ambente di lavoro. In questo caso le misure di conciliazione sono

risorse per il benessere mentale, emotivo e di equilibrio psichico. Possono – come vedremo

con le interviste in profondità – ridurre il carico di stress, le preoccupazioni per gli altri

contesti non lavorativi e le distrazioni che ne derivano e, per questo, facilitano la qualità del

lavoro e la costruzione di un clima aziendale propositivo e più agevole. Possiamo sintetizzare

dicendo che le misure family friendly regolano la relazione fra benessere lavorativo e il

benessere personale attraverso la leva del benessere e dell‟equilibrio psichico.

Differente è la prospettiva del senso di attaccamento all‟azienda. In questo caso non abbiamo

più una mera strumentalità delle misure di conciliazione ma una dinamica decisamente più

profonda che rimanda ad un legame simbolico ed affettivo. Le misure di conciliazione, in

questo caso, mediano il rapporto fra due mondi: quello della famiglia (luogo simbolico

affettivo per antonomasia) e quello dell‟azienda (che - non a caso - in molte interviste è

considerata una seconda famiglia). Le misure di conciliazione, quando agiscono

significativamente nel permettere la “cura” familiare e personale e nel favorire migliori

rapporti di coppia, genitoriali e parentali, comportano la genesi di dinamiche altrettanto

simboliche ed affettive nei confronti del luogo di lavoro. La dimensione trasversale che

attraversa questa relazione possiamo definirla come “della cura” intesa come farsi carico,

prendersi cura, aver cura ecc. Queste differenti prospettive hanno bisogno di riflessioni

importanti cui è possibile accedere attraverso una ricerca qualitativa, che illustriamo nei

prossimi paragrafi.

3.6 - La relazione indiretta fra produttività e benefici nelle relazioni familiari

Molta letteratura pone l‟accento alla relazione esistente fra la produttività, l‟elaborazione dei

conflitti famigliari e i migliori rapporti di cura ed organizzativi dovuti alle misure di

conciliazione. Se in linea di principio tale relazione può sembrare data ed ovvia, non

possiamo assumerne una direzione lineare. Detto in altri termini, non tutte le aziende possono

vedersi incrementare la produttività con l‟introduzione delle misure di conciliazione che

migliorano i rapporti familiari.

Nel nostro lavoro – sebbene con i limiti della numerosità del campione – abbiamo indagato

tale relazione integrando il modello già esposto con uno in cui re-introduciamo due indici

importanti per la produttività: il clima aziendale e l‟attaccamento all‟azienda (tab.3.13). Così

Page 111: Report. Territori che conciliano

111

abbiamo una sfera endogena rispetto alla produttività (clima aziendale e attaccamento

all‟azienda) e sfere esogene alla produttività (benessere familiare e benessere personale).

Come già visto, il benessere psichico e quello sperimentato a livello familiare hanno una

incidenza importante rispetto alla produttività. Quando invece inseriamo nel modello analitico

le variabili indipendenti del clima e dell‟attaccamento aziendale, vediamo come questi ultimi

fattori riducano l‟effetto del benessere psichico sulla produttività e annullino quello del

benessere familiare. Ciò sta ad indicare che la relazione fra produttività e benessere familiare

non è diretta ma è regolata dagli altri due fattori.

Dagli output di questi nuovi modelli emerge come il clima aziendale ed il senso di

attaccamento all‟azienda configurino due paradigmi differenti nella relazione che si genera fra

produttività e benessere familiare.

Sembra, infatti, che il clima aziendale incida sulla produttività con delle logiche proprie che

prescindono dal benessere familiare. La relazione è tutta interna alla sfera del lavoro ed è in

parte influenzata dal benessere psicologico individuale che partecipa a tali dinamiche.

Al contrario, il senso di attaccamento all‟azienda lega il benessere familiare alla produttività

del lavoratore. È possibile notare, infatti, come il benessere familiare nonostante

l‟introduzione delle due variabili della sfera lavorativa (clima e produttività) mantenga

un‟incidenza rilevante per l‟attaccamento aziendale.

Questa relazione conferma il carattere regolativo specifico dell‟attaccamento aziendale, e

quindi di una dimensione simbolica ed affettiva, nella relazione fra benessere familiare e

produttività. Se la produttività è influenzata certamente dal buon clima aziendale e da una

condizione psichica più serena ed equilibrata, è anche influenzata dal benessere familiare non

direttamente ma attraverso la sperimentazione di un‟esperienza affettiva e simbolica verso

l‟azienda. L‟attaccamento all‟azienda è parte integrante di questa esperienza, condivide cioè

lo stesso spazio semantico (che abbiamo detto essere quello della cura).

Le misure di conciliazione volte al benessere familiare e personale possono certamente

favorire la cura e l‟organizzazione della vita familiare ma non necessariamente incidono sulla

produttività. Possono trasformarsi in vantaggi per l‟azienda in termini di produttività e di

qualità del lavoro realizzato, di efficienza ed efficacia nel lavoro, quando si ri-genera un senso

di attaccamento, appartenenza e fiducia nella propria azienda.

Page 112: Report. Territori che conciliano

112

Produttività Clima azienda Attaccamento

Benessere familiare 0,080*** -0,015*** 0,309***

Benessere fisico 0,024*** -0,044*** 0,142***

Benessere psichico 0,240*** 0,145*** -0,109***

Benessere sociale -0,036*** 0,087*** -0,055***

Produttività - 0,507*** 0,178***

Clima aziendale 0,538*** - 0,517***

Attaccamento 0,140*** 0,384*** - R

2 0,84 0,85 0,80

N =141 ***p<0.01; **p<0,05

Tab.3.13 - Come la dimensione della produttività individuale è influenzata dagli altri fattori. La relazione spuria

con il benessere familiare. Regressione lineare multipla, coefficienti β

Fig. 3.1 – La “relazione di cura”, fra senso di attaccamanto all‟aziedna e benessere familiare.

Page 113: Report. Territori che conciliano

113

3.7 - Fra conciliazione e produttività. Elaborazioni e percezioni dei lavoratori.

Dalla survey emerge come le misure di conciliazione non comportino direttamente una

maggiore produttività ma siano leve che abilitano/disabilitano meccanismi regolativi di natura

sociale, psicologica e culturale. Le sfere entro cui possiamo sintetizzare tali dinamiche

regolative sono quindi quelle del “clima aziendale” e del “senso di attaccamento”. In sintesi,

le misure di conciliazione famiglia lavoro incidono sulla produttività mediante queste due

sfere. La prima ha un carattere prevalentemente sociale e comunicativo e si “esaurisce”

nell‟ambiente del lavoro e nella relazione con quello della personalità. La seconda rimanda

invece a dimensioni psicologiche, valoriali e simboliche, quindi culturali e coinvolge – per

questo – anche l‟ambiente familiare (con la semantica della cura). Ricorrendo al classico

modello AGIL possiamo rappresentare la nostra prospettiva come segue:

A - le misure di conciliazione sono mezzi, risorse abilitate per raggiungere determinati

obiettivi;

G - gli obiettivi sono quelli di una migliore qualità di vita dei lavoratori e di vantaggi per le

aziende in termini di produttività e performance, favorite da:

I - clima aziendale, che rimanda alle logiche sociali e comunicative esplicite o tacite interne

all‟azienda;

L - attaccamento aziendale, espressione di una cultura d‟impresa - che viene trasmessa e

socializzata - a cui partecipano i lavoratori, fondata su dinamiche simboliche, valoriali ed

affettive.

Fig.3.2- Il ruolo regolatore del clima aziendale e del senso di attaccamento, fra misure di conciliazione e

produttività

Page 114: Report. Territori che conciliano

114

Dobbiamo quindi chiederci in che modo le misure di conciliazione favoriscono i processi di

attaccamento all‟azienda e di costruzione di un clima aziendale propositivo e come questi

permettano a loro volta di realizzare maggiore efficienza ed efficacia nei processi produttivi.

Per elaborare queste dinamiche proponiamo un percorso di ricerca non standard, affidandoci

all‟analisi dei contenuti delle interviste face to face svolte presso le sei aziende coinvolte nella

ricerca. Il metodo narrativo può aiutarci più di quello statistico a qualificare tali dinamiche.

Abbiamo intervistato complessivamente ventotto lavoratori14

. Tuttavia le testimonianze

raccolte saturano abbondantemente i contenuti dell‟oggetto di ricerca e altre interviste

avrebbero presumibilmente apportato scarse informazioni aggiuntive ai temi emergenti.

In questa sezione non separeremo le interviste in base all‟azienda di appartenenza ma le

tratteremo unitariamente, individuando accezioni ricorrenti dell‟oggetto di ricerca, momenti di

continuità e divergenze nelle percezioni, nelle scelte e nelle motivazioni degli intervistati con

riferimento all‟utilizzo di misure di conciliazione e valutazioni della propria qualità

produttiva.

Le sfere del cima aziendale e quella del senso di appartenenza, non vanno intese come

rigidamente separate ma come dimensioni fra loro interrelate. Il clima aziendale può favorire

lo sviluppo del senso di appartenenza così come quest‟ultimo aspetto può a sua volta generare

un migliore clima aziendale. Se separiamo i due aspetti è solo per ragioni analitiche. C‟è un

secondo criterio che ci permette di definire le due sfere, e tale criterio si basa prevalentemente

sulla presenza dell‟interazione sociale. Il clima aziendale prevede relazioni sociali – quindi la

presenza di altre persone con cui relazionarsi – mentre il senso di attaccamento può anche

prescindere dalla relazione sociale ed “esaurirsi” in dinamiche psicologiche, emotive e

simboliche. Per esempio un lavoratore autonomo può percepire un senso di attaccamento per

il proprio lavoro sulla base di elaborazioni personali ma – finché lavora da solo - non può

sperimentare né parlare di un clima aziendale.

Così possiamo individuare le componenti del clima aziendale nei caratteri comunicativi

orizzontali e verticali, nell‟intesa fra colleghi, nell‟empatia. Caratteristiche queste che

favoriscono la fluidità organizzativa delle attività di lavoro.

Riassumiamo invece con l‟espressione di “senso di attaccamento” quelle dimensioni che

coinvolgono emotivamente il lavoratore rispetto al proprio lavoro ed al luogo di lavoro. Per

14 Due aziende – per ragioni legate ai processi produttivi – non hanno concesso la disponibilità di intervistare i

loro dipendenti.

Page 115: Report. Territori che conciliano

115

esempio il grado di soddisfazione per il proprio lavoro, il senso di responsabilità, la

disponibilità, l‟orgoglio, l‟identità, la lealtà, l‟affetto. È evidente che molte delle dimensioni

elencate si pongono come momenti di confine fra le due sfere, a conferma della loro

continuità semantica.

Nelle interviste realizzate emergono con molta frequenza e vigore le accezioni elencate e tutte

sono associate dai lavoratori alle misure di conciliazione proposte dalle aziende. Non solo.

Tali riconoscimenti “riflettono” quasi specularmente le attenzioni che le direzioni aziendali

prestano ai loro dipendenti, anche quando non formalizzate nel programma Audit ma offerte

in modo informale come espressione di un “tipico” o tradizionale modus operandi. Di una

cultura imprenditoriale da sempre attenta ai bisogni dei propri dipendenti.

3.7.1 - Soddisfazione, responsabilità, fiducia

Un ambiente di lavoro amichevole e sereno permette di acquisire più facilmente le

competenze, crescere professionalmente e rendersi autonomi nelle proprie attività. Condizioni

queste che a loro volta ri-generano un senso di soddisfazione e gratificazione per il proprio

lavoro e di riconoscimento della fiducia che le aziende ripongono nei dipendenti. Aspetti che

cor-rispondono ulteriormente ad un senso di responsabilità del dipendente nei confronti della

propria azienda. È evidente come in questo caso si stia parlando di trasmissioni simboliche ed

emotive (Miller e Monge 1986) fra la dimensione sociale lavorativa e la dimensione

individuale. Il clima aziendale, il senso di attaccamento e la qualità e l‟attenzione per la

propria produzione sono aspetti circolarmente interconnessi e si fondano sulle esperienze di

condivisione, fiducia, responsabilità (Schulte et alii 2006). È esemplificativo un passaggio

d‟intervista che illustra l‟apporto del clima aziendale amichevole alla maturazione del senso

di responsabilità per il proprio lavoro. Un giovane lavoratore, riferendosi all‟esperienza di

lavoro fatta durante il periodo di affiancamento sostiene:

l‟ho vissuta con una leggerezza che mi sembrava di avere un amico che conosco da dieci anni. Perché

era giovane, stessi pensieri, ti aiuta e mentre lavora ti parla e cerca di conoscerti e quindi vedi in lui una

parte che vuole socializzare. Imparavo talmente volentieri il lavoro che anche il tempo mi è passato

velocissimo. L‟affiancamento serve nel primo periodo, dopodiché l‟azienda ti lascia andare. Quando

vede che tu prendi in mano … prendi l‟iniziativa, l‟azienda ti lascia fare e vede fin dove arrivi.[Ora] ho

una responsabilità più grande, perché io comincio a costruire una macchina dalla a alla zeta e nessuno

controlla prima. Arriva al cliente e io ho firmato per quella macchina. Quindi sanno che sono stato io. È

una responsabilità molto grande perché secondo me …c‟è tutto, tutto quello che ho appreso, c‟è quello

che mi ha insegnato il ragazzo che mi ha affiancato per i primi mesi, se ho capito o no, quello che mi ha

Page 116: Report. Territori che conciliano

116

spiegato, se sono autonomo, se la macchina la so costruire bene. Secondo me l‟azienda vuole vedere fin

dove sai arrivare e io ovviamente faccio quello che so fare ma voglio far capire all‟azienda che sono un

ragazzo autonomo, che so lavorare, che ascolto, imparo e sono un ragazzo serio. Secondo me l‟azienda

vuole vedere questo. (Int.Dip.20)

Il clima aziendale collaborativo, d‟intesa e sinergia, l‟idea di squadra che accompagna

l‟organizzazione aziendale e permette la fluidità dei processi, la fiducia ed il senso di

responsabilità si riflettono nella soddisfazione personale e nella ricerca della qualità del

prodotto che ne deriva.

Si è pesante però è appagante perché poi ti da soddisfazione quando vedi il lavoro. L‟altro giorno mi è

capitato di andare in un centro commerciale qua vicino e mi è capitato di vedere le macchine

duplicatrici che facciamo noi e la chiave che avevo fatto io. E dico: «Caspita. Però, bello»!. Oppure

l‟altro giorno, io abito in un condominio in cui è stata cambiata la serratura della porta centrale.

L‟amministratore mi da la chiave… l‟ho fatta io!. Cioè ti da soddisfazione poi alla fine ... tanto

impegno. Io sono soddisfatta (Int.Dip.14).

La realizzazione di un clima aziendale favorevole, diventa quindi un obiettivo importante da

realizzare, permesso anche dall‟offerta di misure di conciliazione. Anna15

è madre di due

bambini, di otto e tre anni (Int.Dip.15). È operaia di un‟azienda che produce chiavi e lavora

nel settore della coniatura. Carica dei conii su delle presse che schiacciano e marchiano le

chiavi. Il suo è un lavoro faticoso e stressante. Faticoso dal punto di vista fisico perché i coni

di acciaio sono molto pesanti da sollevare, stressante perché i ritmi di lavoro sono molto

veloci. Deve seguire contemporaneamente tre presse che producono singolarmente fino a 200

coniature al minuto. Tuttavia Anna è soddisfatta del suo lavoro, nonostante questo comporti –

come ci mostra orgogliosa – il fatto di aver sempre delle mani nere, sporche di grasso. Non

sarebbe disposta a cambiarlo con altre attività nella stessa azienda, neanche con la confezione,

dove l‟ambiente è pulito e meno rumoroso. La soddisfazione per il proprio lavoro che cura

con attenzione meticolosa - cosa che si può comprendere dal modo e dal tono con cui ne parla

- è una miscela di impegno e passione personale,

Io faccio il marchio della chiave. A noi ci arriva la chiave e dobbiamo fare proprio il marchio, lo

stampo. Ci sono dei macchinari, si attrezzano le macchine in base alla tipologia della chiave e, la pressa

schiaccia la chiave, schiacciamo la chiave e facciamo i diversi marchi. A me piace tantissimo! Ho

lavorato anche in altri reparti e … niente da fare. Sono ritornata dalla maternità e ho lavorato in altri

reparti, in fresatura ma anche in confezione che magari è tutto pulito … guardi le mie mani sono queste,

però a me piace lì. Tanti mi dicono ma come fa a piacerti per avere le mani così? Però, l‟ho sempre fatto

e mi piace perché... forse trovo soddisfazione in quello che… quando vedo che mi viene fuori bene la

15

Per tutela della privacy e dell‟anonimato, i nomi dei lavoratori intervistati sono inventati.

Page 117: Report. Territori che conciliano

117

chiave allora sono soddisfatta. […] Essere soddisfatta di una chiave è banale forse, però essere

soddisfatti di quello che si fa tutti i giorni è importante;

di supporto dei colleghi nei momenti di difficoltà,

magari non riesco a vederle tutte e tre (le presse, ndr) perché devo caricarne una e allora mi trovo in

difficoltà e allora si respira un attimo, si prende fiato e mi fermo. Mi fermo un attimo, mi organizzo,

magari spengo una macchina, ne guardo una, ne attrezzo una. Io ho un buon rapporto nel mio reparto e

ci aiutiamo a vicenda. Non mai avuto nessun problema, […] e quando abbiamo difficoltà, perché

naturalmente loro hanno l‟esperienza notevole davanti, non hanno mai, assolutamente, fatto pressione

perché abbiamo la macchina spenta. Anzi preferiscono che piuttosto che facciamo errori, ci si deve

fermare e vedere insieme per risolvere il problema;

di gratitudine nei confronti di una direzione capace di ascoltare le necessità familiari dei

dipendenti, specie se in corrispondenza della maternità e della cura dei figli,

ho avuto problemi in gravidanza e sono rimasta a casa dall‟inizio. Poi mi sono fatta i nove mesi dopo e

non è semplice per … io mi metto nei panni anche di un datore di lavoro. Sì, insomma, un anno e mezzo

… poi ho ripreso il mio lavoro e mi hanno trattata bene. Quindi non posso dire niente. Cosa può fare

l‟azienda per una mamma? Beh già se chiedo i permessi quando i bambini stanno male, qui non mi

hanno mai creato nessun problema. Anche quando ho i bambini che… mi chiamano e devo andare a

casa. Non mi creano mai nessun problema.

Una gratitudine che si manifesta in maniera particolare prendendo atto che la disponibilità

della sua azienda di ascoltare e supportare le richieste di cura familiare non è una caratteristica

riscontrabile in tutte le aziende. Ed il metro di paragone deriva proprio dal confronto con

l‟azienda ed il lavoro di suo marito. Confronto in cui coglie il valore “sociale” aggiunto di una

impresa vicina alle famiglie.

[Con] mio marito che lavora in un'altra azienda, alla sera ci si parla. Il lavoro è un argomento che viene

fuori in famiglia e parlando con mio marito … però, però. Per esempio tutti questi servizi … La

disponibilità verso i dipendenti, il sentire i problemi dei dipendenti da parte … dall‟alto. Qui abbiamo

tante più cose che loro non fanno. Non hanno nessun ascolto. Lui non si lamenta tanto, però magari

piacerebbe che fossero più ascoltati. Se io ho un problema non mi chiudono la porta. A mio marito un

po‟ sì.

Motivi per cui nutre un sentimento di orgoglio e si dice non intenzionata a cambiare il suo

lavoro.

È una vita che sono qua. No, anche perché ci sono dei servizi che l‟azienda offre e quindi – magari è

poco, ma al giorno d‟oggi. Io ne ho usufruito di uno con la mia famiglia e mi sono trovata benissimo.

Non so se sarei mai riuscita ad averne l‟opportunità: sono andata in agenzia e ho avuto un bello sconto

grazie all‟azienda. E abbiamo passato tre giorni da favola in questo hotel in Slovenia che non sarei mai

andata per conto mio a Postumia, in questo hotel così, perché avrei detto: «no, no risparmio! Vado da

un‟altra parte!». Era bellissimo perché eravamo in piazza a Postumia che non ci sarei mai andata.

Anche a Natale ci hanno dato un buono spesa e per una famiglia - io che spendo cento euro a settimana

per la spesa - aver ricevuto il buono spesa che ci hanno dato è un bel regalo di Natale.

Page 118: Report. Territori che conciliano

118

Questa testimonianza ci permette di sottolineare due aspetti. Il primo è quello secondo cui le

percezioni e le motivazioni personali sono espressione di un intreccio (che distinguiamo solo

analiticamente) fra l‟esperienza individuale, quella collettiva e quella simbolica. L‟impegno e

la soddisfazione personale non solo sono supportati dal gruppo e dalla cultura imprenditoriale,

ma diventano anche ingredienti che rinforzano “circolarmente” i primi due elementi. Ciò ci

permette di chiarire il secondo aspetto, quello per cui tali dinamiche non vanno intese

esclusivamente come strumentali – come vorrebbe la prospettiva dello scambio (economico)

razionale - ma si configurano anche come espressioni culturali. È nella trasmissione dei valori

e dei simboli che possiamo rintracciare la costruzione del clima aziendale, dello spirito di

squadra, del senso di responsabilità, del senso di attaccamento, di soddisfazione per il lavoro,

nell‟impegno individuale e collettivo.

Nel seguente passaggio di intervista si rileva la dinamica che collega la dimensione del clima

aziendale a quello del supporto del dipendente - in maniera particolare durante la maternità -,

ad una idea di cultura imprenditoriale “responsabile”. La percezione del lavoratore,

consapevole dei vantaggi associati all‟utilizzo di determinate pratiche di conciliazione e di

benefit per sé e per la propria famiglia - è elaborata come confronto delle condizioni di lavoro

e dei modi di intendere il lavoratore, rispetto a esperienze professionali pregresse.

Io fino ad adesso mi sono trovata bene, meglio di altre aziende in cui ho lavorato. […]

Fondamentalmente qui ho trovato maggior volontà di creare un gruppo, anche da parte della direzione,

cosa che invece nelle altre aziende fondamentalmente non c‟è perché, lì dove ho lavorato io, per la mia

esperienza personale, più che altro ci si occupava del rendimento finale, del fatturato del cercare di

lavorare più possibile, questo era fondamentalmente l‟obiettivo. Qua mi sembra che tutto sommato si

voglia cercare di creare un clima … Se per esempio una persona ha dei problemi famigliari oppure sta

male, l‟azienda si interessa, non è estranea a questa cosa. Oppure il fatto di voler creare dei momenti di

aggregazione, per esempio nel periodo natalizio o nel periodo estivo, per cercare comunque di creare un

minimo di festa insieme agli altri colleghi. Non è il mio caso però mi hanno riferito delle gravidanze che

sono state seguite e comunque accolte sempre in maniera abbastanza positiva (Int.Dip18).

Un clima aziendale – quindi – che non si limita alla relazione di collaborazione e intesa fra i

dipendenti, né che esalta l‟aspetto monodirezionale dirigenza-dipendenti, ma che si configura

come circolarità virtuosa fra le due parti sociali. La direzione e i dipendenti “partecipano”

attivamente alla costruzione del clima aziendale in una prospettiva in cui i vantaggi sociali

hanno un carattere emergente, superano cioè la somma degli “investimenti” delle parti

enfatizzando caratteri quali l‟impegno ed il senso di responsabilità per la propria attività.

Io credo che sia molto importante l‟ambiente di lavoro dove il dipendente viene considerato comunque

a tutto tondo, non solo un dipendente “da profitto”. Quindi una attenzione che gli viene considerata e

Page 119: Report. Territori che conciliano

119

che gli viene comunque rivolta, conta: “vengo al lavoro più volentieri”. Penso che sia anche un po‟

scontato, se io sto bene … anche se ho la febbre vengo al lavoro. Non so, lavorando con serenità e con

tranquillità, penso che uno possa rendere anche duecento al posto di cento (Int.Dip19).

Io penso che la risposta la diamo da sempre. Il fatto di impegnarsi in maniera totale e limitando anche le

eventuali assenze per non dar fastidio sia alle aziende che alle colleghe, dimostra un certo attaccamento

all‟azienda. Perché comunque, io parlo per me, cerco sempre di limitare quello che può essere la mia

non presenza proprio per non creare disarmonia e difficoltà. Essendo io poi l‟unica alla gestione della

macchina al laser, capisco che quando non ci sono è un problema. Quindi cerco di limitare … e questo

dimostra un certo attaccamento all‟azienda perché magari un‟altra persona potrebbe fregarsene e

comunque gestire le cose in una maniera diversa. Il fatto di essere sempre presenti e di evitare in ogni

modo, fino all‟ultimo la mia assenza, per me dimostra anche attaccamento. Il fatto di portare comunque

a temine il lavoro (Int.Dip18).

3.7.2 – Flessibilità, disponibilità, affidabilità

Un aspetto a cui prestiamo particolare attenzione riguarda il tema della flessibilità dell‟orario

lavorativo e alle valutazioni che i lavoratori fanno di questa possibilità. Questo

approfondimento è dovuto al fatto per cui tutte la organizzazioni che abbiamo analizzato

hanno adottato varie forme di flessibilità dell‟orario di lavoro. D‟altra parte, come abbiamo

sottolineato, questo strumento è presumibilmente quello maggiormente utilizzato dalle

imprese in tema di politiche di conciliazione, anche se, in determinate circostanze comporta

delle dis-efficienze.

Una prima distinzione che possiamo rilevare – anche attraverso le interviste – è quella che

riguarda il grado di formalizzazione della flessibilità. In alcuni casi si tratta di un

atteggiamento da parte della direzione aziendale che si mostra attenta ad accogliere e

rispondere alle esigenze di organizzazione dei tempi di vita familiare di dipendenti in assenza

di un vero e proprio “protocollo” o programma di orario flessibile. Dall‟altra abbiamo invece

una formalizzazione di questa modalità organizzativa, segnata da criteri di accesso.

Emerge infatti come molto spesso le aziende rispondano positivamente alle richieste ed

esigenze di gestione dei tempi familiari dei dipendenti per una tradizione o cultura

imprenditoriale fondata sulla conoscenza diretta e sullo scambio di fiducia tra

datore/lavoratore. Sono numerose le sezioni di interviste che confermano questo aspetto e

molto spesso a tale atteggiamento corrisponde la disponibilità dei lavoratori di “restituire” il

proprio sostegno in caso di improvvise necessità per l‟azienda.

Io ho notato una buona disponibilità e per correttezza si cerca di comunicare però se c‟è l‟imprevisto …

diciamo che non è mai stato negato. Anzi ho avuto problemi di salute del papà e sono stati

disponibilissimi […] mi è stato detto: fai quello che devi fare che qua ci arrangiamo noi.[Quindi] se c‟è

bisogno di fermarsi mezz‟ora, se c‟è necessità oppure se c‟è tanto lavoro, non è che io, arrivano le sei,

metto giù la penna e me ne vado a casa (Int.Dip.10).

Page 120: Report. Territori che conciliano

120

È ovvio che se lo sai prima ti organizzi un attimo … ma altrimenti puoi usufruire di tutto. Poi anche

quando ho avuto … quando ho problemi di orari perché devo andare a prendere la bimba, ho spostato il

mio orario ma non mi hanno assolutamente detto niente e se c‟è bisogno anche nei pomeriggi. L‟orario è

fondamentale, c‟è una grande flessibilità. È ciò che impedisce ad una persona di lavorare se non riesce a

tenere … [Il lavoratore] restituisce altrettanta disponibilità perché nel momento stesso in cui sei coperta

e garantita è logico che lavori meglio e sei anche più disponibile se c‟è da fare uno spostamento di

orario per coprire… o se c‟è necessità di lavoro. Se c‟è necessità di coprire certi lavori sei molto più

disponibile e poi, con meno preoccupazioni. Se sei più tranquillo nel tuo lavoro perché sai che non hai

problemi nell‟andare a prendere la bimba, perché hai l‟orario organizzato in un certo modo è logico che

la tua testa è più libera e riesci a lavorare meglio (Int.Dip.11).

I passaggi riportati descrivono un meccanismo reciprocitario che non va confuso con uno

scambio esclusivamente strumentale ma si fonda su aspettative fiduciarie che rappresentano le

fondamenta stesse dei legami sociali e nel caso particolare della stabilità aziendale

(McAllister 1995). Una accezione che trapela quando i lavoratori intervistati, alla

disponibilità offerta dall‟azienda, “ricambiano” con atteggiamenti espressi con le parole di

“lealtà”, “correttezza”, “responsabilità”.

In altri contesti possiamo invece osservare come la pratica della flessibilità dell‟orario venga

standardizzata per permettere a tutti di avere pari opportunità nell‟accedere ad una

determinata prestazione.

È esemplificativa la motivazione che una azienda dà al processo di certificazione. In un

momento di espansione dell‟impresa e di inserimento di nuovi dipendenti, la certificazione

Audit diventa uno strumento strategico di direzione aziendale con cui permettere a tutti i

dipendenti di fruire equamente dei dispositivi aziendali riducendo il “rischio” dei

particolarismi a vantaggio dei vecchi dipendenti, conosciuti personalmente dalla direziona

aziendale. Alla base di questa motivazione non c‟è solo una questione di equità “morale” o un

principio democratico, ma il chiaro sforzo di non produrre iniquità fra dipendenti che

produrrebbe un clima di lavoro ostile e conflittuale.

Inoltre la formalizzazione dell‟orario flessibile ci permette di cogliere un importante aspetto.

Attraverso le interviste prendiamo atto che chi ha un orario flessibile – contrattualizzato – non

lo utilizza sistematicamente ma solo in quelle circostanze in cui la domanda familiare

compete con quella lavorativa. La flessibilità sembra funzionare come una “fascia di

sicurezza” da ansia e stress, promuovendo maggiori attenzioni e cure familiari e permettendo

contemporaneamente un grado di serenità e tranquillità superiore. Risorse importanti per

affrontare il lavoro.

Page 121: Report. Territori che conciliano

121

Guido è padre di due bambine piccole, vive con sua moglie e nella gestione della famiglia non

possono avere il supporto dei nonni. A causa delle necessità di gestione e organizzazione

familiare, le sue timbrature orarie sono caratterizzate da frequenti ritardi sul lavoro che si

trasformano in un monte ore di permessi, significativo.

La mia situazione famigliare è che io e mia moglie non abbiamo appoggi esterni, quelli che sono i

suoceri non sono materialmente presenti, quindi con due bambine di cui una di otto mesi e l‟altra di

quattro anni, dobbiamo arrangiarci noi. Ovviamente anche solo portare a scuola la bambina più grande,

con la più piccola presente diventa un problema.

Guido è un ingegnere il cui ruolo professionale è cruciale per la crescita di una azienda che ha

fondato il suo successo sulla ricerca e l‟innovazione tecnologico-informatica. È un formatore

e per istruire altri lavoratori sul funzionamento delle centraline elettroniche, la loro

programmazione e la realizzazione degli strumenti di diagnosi, deve analizzarle

scrupolosamente cogliendone la logica e la progettazione. Un profilo professionale quindi

particolarmente elevato, una risorsa importante per l‟azienda. Ora Guido gode della

flessibilità di orario in ingresso – una opportunità presentatagli dall‟azienda – che gli permette

di seguire correttamente le sue figlie e di rimanere legato all‟azienda.

Se lavorassi in una azienda che mi fa iniziare alle otto di mattina e mi fa finire alle sette di sera, per me

quella non è una azienda in cui potrei lavorare, perché non mi permetterebbe di portare avanti in modo

concreto la famiglia. Il fatto che ci sia una flessibilità, su quella che è la gestione dell‟orario, per me fa

sì di dire «per me questa è ancora una azienda che ha un occhio verso la famiglia e anche verso il

dipendente padre, che può dire: «Io qui dentro ci lavoro perché riesco a conciliare le esigenze della

famiglia».

Quando chiediamo se fosse disposto a cambiare azienda in funzione di una retribuzione

superiore a quella attuale, risponde:

Se mi impongono l‟orario no!. Non accetto il passaggio, allo stato attuale. Mi sono reso conto che

quando cominci ad avere famiglia e vuoi portare avanti in modo concreto l‟educazione dei bambini e

l‟equilibrio famigliare, bisogna conciliare.

Come molta letteratura illustra, l‟offerta di misure di conciliazione rappresenta una strategia

imprenditoriale vincente per mantenere lavoratori altamente qualificati il cui capitale tecnico e

culturale rappresenta una risorsa fondamentale per quelle aziende che vogliono competere nei

mercati internazionali.

Una ulteriore conferma di questo aspetto deriva dal caso di Gianluca (Int.Dip3).

Page 122: Report. Territori che conciliano

122

Gianluca è un ingegnere elettronico che si occupa del collaudo degli strumenti di diagnosi

delle centraline elettroniche per automobili. I suoi interessi di studio coincidono con l‟attuale

professione tanto da aver sviluppato la tesi di laurea nell‟azienda in cui lavora, ormai da dieci

anni. In questi dieci anni cambia anche la sua condizione familiare: si sposa e con sua moglie

hanno due bambini e con questo cambiano anche le dinamiche legate al lavoro.

Inizialmente facevo nove ore e delle volte anche di più perché non avevo altre cose, cioè arrivavo a casa

e mia mamma mi faceva trovare tutto pronto … Prima era facile. Poi mi sono sposato nel 2007. Cosa è

cambiato rispetto al lavoro? Quando mi sono sposato niente. Quando è nato il primo figlio invece ho

incominciato ad avere i primi effetti, delle corse, di avere sempre poco tempo. Poi è nata la seconda

quindi, è andata in via esponenziale. Inizialmente c‟era il supporto anche dei miei genitori che anche

loro abitano qua vicino e non ho avuto necessità di flessibilità in entrata o in uscita. Dopo, mia mamma,

c‟è stato un periodo che si è ammalata e abbiamo dovuto farci aiutare da una baby sitter. Un altro

discorso che può essere importante sottolineare è che mia moglie fa i turni in ospedale, fa l‟infermiera a

Treviso, facendo dei turni deve essere sempre mezz‟ora prima a lavoro per il passaggio di consegne. Per

cui la flessibilità l‟ho dovuta mettere in campo io.

La flessibilità è – come ampiamente riconosciuto - uno strumento di supporto fondamentale

all‟organizzazione della vita familiare ma, quello su cui vogliamo soffermarci è il fatto che

non ha soltanto una rilevanza organizzativa. Piuttosto incide su dinamiche psichiche che

contrastano lo stress e su quelle sociali per cui il ritardo a lavoro è percepito come una

trasgressione a norme e codici di comportamento. Notiamo, infatti, che in molti casi l‟orario

d‟ingresso a lavoro non cambia da quello standard, valido per tutti. Ciò equivale a dire che

l‟offerta della flessibilità dell‟orario non è utilizzata pienamente. Tuttavia la consapevolezza

di godere di tale possibilità genera un senso di maggiore tranquillità nell‟affrontare gli

imprevisti familiari e gli spostamenti casa-lavoro. Un senso di tranquillità che è rafforzato da

un secondo aspetto: la consapevolezza di non trasgredire la norma dell‟orario di lavoro.

L‟uso che ne faccio è essenzialmente quello di quando ho la necessità, tipo di quando mia moglie fa il

turno di mattina. Tutti gli altri giorni vengo qua alle otto e mezza e faccio l‟orario – diciamo - normale.

Ma non faccio più le corse che facevo prima. Dal mio punto di vista la flessibilità, penso al 70%, si ha

questo punto della tranquillità, del gestire meglio i tempi, dopo magari arrivo lo stesso alle otto e mezza,

però sono più tranquillo con i bambini magari non li metto fretta. Dal punto di vista della famiglia lì

secondo me ho avuto i maggiori benefici, soprattutto con i bimbi. Perché quando non avevo questa

flessibilità e sentivo quest‟ansia di fare le cose in fretta per essere qui alle otto e mezza, mi rendevo

conto che con i bimbi ero più teso, alzavo la voce più facilmente. Al mattino il bimbo ha i propri orari, i

propri tempi e magari succedeva che aveva un imprevisto o succedeva che doveva andare in bagno

prima dell‟asilo o che…, lì scattava in me l‟ansia di arrivare alle otto e mezza e timbrare che adesso non

c‟è.

Una misura – quella della flessibilità - che, a parere degli intervistati, influisce positivamente

nella prestazione professionale. Chi fruisce di determinate facilitazioni – come è ampiamente

Page 123: Report. Territori che conciliano

123

rilevato in letteratura – da una parte tende a “restituire” queste attenzioni in forma di cura per

la qualità del lavoro, di disponibilità verso l‟impresa ed i colleghi, di senso di integrazione e

dall‟altra è posto in condizioni psico-fisiche migliori per poter realizzare il suo lavoro.

Vedendo questa apertura dell‟azienda verso il dipendente viene anche più spontaneo da parte del

dipendente aprirsi di più all‟azienda nel senso che se c‟è una cosa che posso finire stasera, occupa un

quarto d‟ora in più, lo faccio volentieri. Magari invece prima avrei detto: vado via alle cinque e mezza,

lo faccio domani mattina. Quindi dal punto di vista aziendale c‟è questo ritorno. Sentendomi fortunato

per il discorso della flessibilità, a me non costa niente impiegare un po‟ di più del mio tempo, quindi

fermarmi un po‟ di più la sera. Questo sentirmi fortunato significa anche voler bene al mio lavoro e

quindi spero di farlo bene. Cioè se facessi una cosa controvoglia sicuramente i risultati sarebbero

diversi.

Una consapevolezza dei vantaggi per i dipendenti e l‟azienda che porta a suggerire di

generalizzare l‟offerta di questi strumenti – dove possibile – anche ad altri lavoratori. Ed è

proprio in questo passaggio che si coglie, da una parte lo spirito collaborativo di gruppo e

dall‟altra la modalità di costruzione culturale di un impresa attenta ai dipendenti ed alle loro

necessità familiari.

Se per l‟azienda non influisce tanto, proporrei di espandere questo benefit anche agli altri dipendenti

perché quella volta che è uscita la possibilità di fare richiesta era per chi aveva problemi familiari, figli

piccoli ecc. Invece credo che anche per chi non ha necessità familiari, per esempio tante persone che

vengono da lontano, magari si fanno 50km al mattino e 50 al pomeriggio, sapere che hanno questa

fascia di tranquillità, anche per il viaggio stesso, secondo me inciderebbe in maniera positiva.

Queste dinamiche sono ulteriormente evidenziate da Dario (Int.Dip.28), un tecnico

collaudatore di strumenti diagnostici. Il suo profilo – ci spiega – è a metà strada fra quello di

un dipendente e quello di un lavoratore autonomo. Il suo lavoro richiede, infatti, una

particolare capacità imprenditoriale che lo porta quotidianamente a contatto ed alla ricerca di

clienti sul territorio. Dario, con la sua squadra, composta da altri due colleghi, deve ricercare

partner e clienti con esigenze specifiche, proponendo loro strumenti e soluzioni diagnostiche

individuali. Il suo è quasi un lavoro artigianale con cui affronta problemi particolari ideando e

realizzando strumenti ad hoc. La funzione legata alla sua professionalità è decisamente

strategica per una azienda con un elevato valore tecnologico aggiunto poiché permette di

coprire fette di mercato che le logiche di produzione seriali devono necessariamente

escludere. Soprattutto tale funzione comporta un‟importante introduzione di creatività quale

valore professionale aggiunto. La soluzione di casi particolari è spesso la molla che permette

di aprire nuovi mercati.

Page 124: Report. Territori che conciliano

124

Tempo fa, con un mio collega di lavoro, abbiamo fatto un progetto, su uno strumento nuovo. Abbiamo

fatto tutto, dalla a alla zeta. Tutto. E infatti dopo, dalla direzione c‟è stata una mail di ringraziamento

perché il lavoro era stato fatto bene. L‟idea era partita dal nostro ambiente perché noi volevamo uno

strumento specifico, limitato, che facesse solo determinate cose. È andato fuori e subito ci sono state

500 vendite.

Dario ha però necessità di conciliare la sua attività professionale con il suo ruolo di padre. Ha

due bambine ed è separato. Le domande di cura familiare entrano pienamente in conflitto con

quelle professionali evidenziando gli scompensi maturati a livello di qualità di vita personale.

Conflitti che amplificano uno stato di stress e di ansia e che si riproducono nell‟ambiente di

lavoro.

L‟intervistato elabora un prima ed un dopo - rispetto alla sua qualità di vita familiare e

professionale -, in funzione della fruizione dell‟utilizzo di un orario di lavoro flessibile. Una

misura - propostagli dall‟azienda – percepita come uno strumento efficace per ridurre e

superare il conflitto famiglia lavoro e restituirgli un grado di tranquillità e serenità utile a

vivere meglio la quotidianità e a svolgere efficacemente il suo lavoro. Utile inoltre a

raggiungere successi professionali e a godere di una soddisfazione fatta di responsabilità e

appartenenza.

Dovevo prendere sempre quarti d‟ora, due volte alla settimana e alla sera dovevo mandare sempre i miei

o qualcuno a prendere le bambine, perché io sono da solo, sono separato e … ho tutto un castello in

piedi ben complesso da gestire. Invece così … ad esempio io domani finisco alle 17 e così posso andare

a prendere le bambine. Vado tranquillo, arrivo giusto, non ho problemi. E così io comincio la mattina

alle 8, le mie otto ore le faccio sereno, tranquillo, non ho problemi. […] Io vengo sereno e non devo fare

le corse per strada, per non avere il pensiero, perché se arrivo alle 45, non importa, posso fermarmi fino

alle 6, non è un problema. […] Questo si riproduce nei rapporti, più che nel lavoro, nei rapporti con i

colleghi. Nel lavoro fai fatica, perché arrivi qua già stressato, preso magari da altre cose … Se tu sei più

tranquillo, sereno e vedi che l‟azienda fa degli sforzi nei tuoi confronti, se io mi devo fermare anche un

quarto d‟ora in più per finire delle cose mi fermo. Se sono in giro a finire una cosa, la finisco.

Anche nel suo caso l‟ipotesi – che gli presentiamo - di un lavoro meglio retribuito ma con

orari rigidi viene scartata. Al contrario – con questo poniamo l‟accento sul carattere della

trasmissione culturale di una pratica e degli atteggianti associati e della modalità di

costruzione del clima aziendale - sostiene l‟importanza di estendere tali provvedimenti

aziendali a quei colleghi che non ne fruiscono ancora.

No. Non so neanche se valga la pena. Direi di no!. Perché la tranquillità, ripeto quando sono in ritardo,

adesso non faccio più le corse perché sono tranquillo. Prima facevo le corse per strada, un casino nel

traffico, perché avevo sempre paura di arrivare in ritardo. A me sta cosa qua mi ha dato molta

tranquillità. […] Sarei il primo a dire che dovrebbe essere esteso a tutti, perché alla fine con il sistema di

badge di ingresso e di uscita, tu riesci a fare il calcolo delle otto ore a fine sera. Io l‟avevo richiesto

appena ho visto la comunicazione. Subito perché prendevo tre quarti d‟ora di permessi, sempre.

Page 125: Report. Territori che conciliano

125

4. QUALI DIMENSIONI RIPENSARE NELLA RELAZIONE FRA MISURE DI CONCILIAZIONE E

VANTAGGI AZIENDALI: SINTESI E PROSPETTIVE (diVincenzo Marrone)

Il contributo che abbiamo presentato con questo report si inserisce nel dibattito nazionale ed

internazionale che vede le misure di conciliazione famiglia lavoro e le proposte di welfare

aziendale come leve importanti nella gestione delle risorse umane atte a promuovere

dinamiche virtuose sia per i lavoratori che per le organizzazioni datoriali. In letteratura è

ampiamente dibattuto il tema - con particolare riguardo ai vantaggi associati alla conciliazione

- e la pluralità delle prospettive e delle discipline scientifiche coinvolte e gli esiti delle

rilevanze empiriche non sempre concordi evidenziano la vivacità del dibattito e la

significatività dell‟argomento per la società attuale.

L‟obiettivo del lavoro proposto è stato proprio quello di sintetizzare alcuni passaggi chiave del

dibattito, proponendo e analizzando parte della letteratura scientifica internazionale

evidenziandone momenti di continuità e discontinuità.

Abbiamo visto come le misure e le pratiche di conciliazione non hanno una definizione

univoca e standard ma siano adattabili a varie interpretazioni che risentono delle modalità con

cui vengono applicate nelle realtà imprenditoriali. Le misure di conciliazione si estendono

dunque dal nucleo concettuale che le intende come strumenti importanti per l‟organizzazione

della vita familiare e lavorativa ad accezioni che abbracciano, in senso più ampio, il benessere

dei lavoratori. Questa estensione semantica è causa e conseguenza di una pluralizzazione di

interventi – da annoverare come strumenti di conciliazione – che si adattano a specifiche

esigenze dei dipendenti e delle organizzazioni. È proprio grazie a questa trasformazione

semantica e operativa che possiamo apprezzare – anche nella nostra indagine – le ragioni che

stanno alla base della progettazione e dell‟implementazione di tali strumenti per le

organizzazioni e le ragioni che muovono i dipendenti ad avanzare richieste e fruirne.

La ricerca scientifica si è interessata particolarmente alla valutazione dei vantaggi associati a

questi due momenti: l‟implementazione per le aziende; l‟utilizzo per i dipendenti. Se per

questi ultimi i risultati emersi, sono piuttosto confortanti e allineati – le misure di

conciliazione rappresentano vantaggi importanti per il benessere dei lavoratori e delle loro

famiglie -, lo stesso non si può dire riguardo ai vantaggi in termini di produttività per le

Page 126: Report. Territori che conciliano

126

aziende. Questo dipende – secondo la nostra interpretazione - da come si considera il concetto

di “produttività”.

In particolare, abbiamo rilevato come, in generale, gli studiosi – quando valutano il concetto

di produttività affidandosi a indici econometrici, come le voci di fatturato, gli utili o le vendite

ecc. - tendono a ridimensionare il contributo delle misure di conciliazione fino a considerarlo

irrilevante. Al contrario quando adottano indicatori più soft, come il tasso di assenteismo o il

turnover (che rappresentano comunque delle voci di costo importanti per le aziende)

riscontrano un‟incidenza significativa. In questo caso le misure di conciliazione famiglia-

lavoro fanno la differenza per le imprese.

Secondo la nostra lettura il primo approccio – troppo concentrato sull‟output

economico/monetario per le imprese, sullo scarto aritmetico costi-benefici – trova il suo

limite nella sottostima dei contributi conoscitivi, sociali, psicologici - umani - alla produzione.

Aspetti che – al contrario – seppur difficilmente quantificabili, rappresentano oggi delle leve

strategiche fondamentali per le imprese che vogliono concorrere nel mondo (Berger 2006).

Il secondo orientamento rimette al centro il lavoratore ma – teso a standardizzare e “misurare”

le prestazioni – produce due ordini di sottostima. Il primo è quello che vede la produttività

come un semplice aggregato di performance individuali, perdendo la dimensione

emergenziale dell‟apporto delle relazioni sociali e dei meccanismi di trasmissione e

costruzione culturale. Cioè di qualcosa che supera il semplice aggregato dei contributi

individuali. Abbiamo rilevato come la creazione e la trasmissione della cultura della

responsabilità d‟impresa – la diffusione e la socializzazione di questo particolare aspetto fra le

proprietà e i lavoratori e fra lavoratori – abbia un ordine di realtà che – per quanto non

misurabile – produce effetti rilevanti per le aziende.

Il secondo ordine di sottostima è dato dall‟enfasi posta su particolari indicatori di produttività

(assenteismo, turnover, malattia ecc.) che, sebbene siano indicatori importanti, rappresentano

solo “parzialmente” degli output (quindi ipotetiche conseguenze) e non esauriscono il

discorso sulle “ragioni” che le collegano alle misure di conciliazione. Non sempre vengono,

infatti, chiariti i meccanismi che legano le misure di conciliazione a questi indicatori e alle

prestazioni individuali, elementi che possono - come emerge in alcuna letteratura e nella

nostra indagine – correlare in modo spurio. Diventa quindi importante ricercare e argomentare

le “ragioni” che permettono una associazione positiva fra la conciliazione e la produttività,

apprezzando in particolare quelle dinamiche che permettono alle imprese di produrre valore

Page 127: Report. Territori che conciliano

127

aggiunto, andando quindi ben oltre il problema della riduzione dei costi per le aziende (come

si fa con gli indicatori di assenteismo).

Il lavoro che abbiamo proposto vuole uscire da entrambe le logiche analitiche sintetizzate per

focalizzarsi sulle dinamiche sociali che hanno – poiché tali – una reale incidenza sia per le

organizzazioni sia per i lavoratori (e per i territori) e rappresentano aspetti che a loro volta

producono/non producono vantaggi (sociali, culturali, economici ecc.).

Benché presentiamo dei dati e delle analisi in continuità con il secondo approccio indicato

(abbiamo riservato una sezione specifica all‟interpretazione di dati di performance aziendale)

il nostro obiettivo si propone di superare tale impostazione interrogandosi sul valore delle

dinamiche sociali che caratterizzano il passaggio dalla presenza/fruizione di misure di

conciliazione alle prestazioni professionali ed al valore aggiunto per le imprese.

Per fare questo abbiamo adottato un metodo di indagine non standard intervistando sia i datori

di lavoro e/o i responsabili delle risorse umane che i lavoratori. Dall‟analisi delle interviste è

emersa una circolarità virtuosa che lega l‟offerta e la fruizione delle misure di conciliazione

con atteggiamenti propositivi al lavoro ed aspettative da parte delle organizzazioni, conformi.

Le dinamiche che regolano lo scambio sono sintetizzabili in due ordini di realtà: il clima

aziendale e il senso di attaccamento all‟azienda. Il primo aspetto rimanda a dinamiche

comunicative verticali fra dirigenza e dipendenti ed orizzontali fra i lavoratori, che

permettono la maggiore fluidità dei processi decisionali e conoscitivi, la generalizzazione

delle competenze professionali, l‟intesa e l‟empatia che rendono l‟ambiente di lavoro meno

conflittuale. La seconda sfera è invece parte integrante di dinamiche sociali e psicologiche che

legano le persone al proprio lavoro ed al contesto di lavoro. Rimandano in maniera particolare

alla semantica della “cura”. Si tratta di esperienze con una forte valenza simbolica ed affettiva

che originano atteggiamenti di fiducia, responsabilità, correttezza, cura del proprio lavoro. Le

due dimensioni non sono evidentemente slegate ma partecipano congiuntamente alla

definizione di “meccanismi” con cui le misure di conciliazione si pongono come strumenti

vantaggiosi per le prestazioni professionali individuali e per i risultati aziendali.

Il senso di attaccamento all‟azienda ed il clima aziendale sono fattori che migliorano la

qualità del prodotto e dell‟attività produttiva. In letteratura aziendale è ampiamente

riconosciuto come la qualità sia un fattore determinante per l‟aumento della produttività e del

profitto poiché abilita ulteriori leve intermedie. Per esempio migliora l‟immagine aziendale e

la fidelizzazione dei clienti, fattori che riducono la concorrenza dei prezzi aumentando il

Page 128: Report. Territori che conciliano

128

fatturato. Aumentando il numero di clienti aumentano anche le economie di scala che

permettono risparmi economici nelle fasi produttive. Con la cura per la qualità della

produzione, diminuiscono i costi di lavorazione, gli sprechi e le risorse impiegate per

correggere le lavorazioni non conformi. Diminuisce l‟invenduto e le spese per le materie

prime e i materiali non utilizzati. Queste dimensioni della produttività sono aspetti che

mediano il rapporto fra l‟apporto umano (sociale, culturale e organizzativo di un‟impresa) ed i

risultati economici: i profitti. Sono queste le ragioni per cui le misure di conciliazione

famiglia e lavoro agiscono sulla produttività qualificando sia l‟attività professionale del

singolo lavoratore che le relazioni sociali e culturali esistenti fra i lavoratori e fra lavoratori e

la dirigenza. La produttività quindi non rimanda esclusivamente ad un aggregato di

prestazioni individuali, né può esaurirsi nel calcolo economico fra valori di input (ore lavoro;

materie prime; investimenti in capitale fisico) e valori di output (vendite di beni e servizi), ma

deve tener conto di quelle qualità che regolano gli input e gli output, ovvero di quei fattori

“moltiplicatori” che permettono di aumentare i vantaggi a parità di risorse investite.

In un modello del tutto teorico - in cui ipotizziamo l‟esistenza di un mercato economico e

fiscale stabile (domanda del prodotto, mercato dei cambi, politica fiscale, costi delle materie

prime ecc). - possiamo pensare al rapporto fra la variazione degli utili (Δu) - in un periodo di

tempo dato (t1- t0) – e le risorse investite (r) – considerate stabili nel tempo (costo del lavoro e

retribuzioni, costi delle materie prime, costi strumentazione, ecc.) – come funzione

dell‟effetto moltiplicatore dei fattori del clima aziendale (Xc) del senso di attaccamento (Xa) e

di altri moltiplicatori come per esempio la creatività, l‟esperienza ecc. (Xn).

fatt

ori

di p

rod

uzi

on

e

risorse investite p

rod

utt

ivit

à

fatt

ori

mo

ltip

licat

ori

clima e attaccamento

aziendale et al.

pro

du

zio

ne

uti

li e

valo

re a

ggiu

nto

differenziale degli utili

Page 129: Report. Territori che conciliano

129

𝛥𝑢(𝑡1− 𝑡0)

𝑟= 𝑓 (𝑋𝑐 + 𝑋𝑎+. . . 𝑋𝑛)

Tuttavia, se questo modello illustra la logica finora elaborata, è solo un modello ipotetico e

teorico che può non trovare una applicazione puntuale per due motivi. Il primo è quello per

cui le risorse investite in un periodo possono generare effetti a distanza di tempo o in periodi

differenti da quelli previsti. Il secondo – più rilevante - è quello per cui non possiamo parlare

di un mercato stabile. Al contrario, il clima aziendale e il senso di attaccamento aziendale

sono fattori moltiplicatori che emergono come rilevanti proprio in un periodo storico

economico in cui la concorrenza internazionale genera una domanda instabile e imprevedibile

da una parte e richiede continua innovazione e creatività dall‟altra. Per lo stesso motivo le

politiche aziendali delle risorse umane – in cui s‟inseriscono le pratiche di conciliazione – non

determinano immediatamente profitti e successi di breve periodo per un‟azienda ma possono

certamente partecipare a generare vantaggi economici e strategici di medio e lungo periodo.

Per esempio - come abbiamo evidenziato – l‟introduzione di misure di conciliazione e le

dinamiche socio-culurali innescate possono non corrispondere a un conseguente ed immediato

incremento del profitto e degli utili, ma permettere alle aziende di programmare interventi in

nuovi mercati, investire, porre le basi per affrontare settori inesplorati. La produttività di

un‟impresa che investe in misure di conciliazione – per apprezzare tali pratiche – deve tener

conto quindi degli effetti di lungo periodo e di dinamiche multivariate entro cui operano tali

fattori. Ed è rilevante accorgersi di come le aziende – fornendo misure di conciliazione -

lavorino proprio nella “costruzione” di queste due dimensioni.

In particolare si nota come gli aspetti salienti e attesi dalle imprese, riguardino non solo le

competenze dei dipendenti ma anche la loro affidabilità ed il senso di responsabilità. Si tratta

di risorse non misurabili ma imprescindibili per un‟impresa che vuole (o deve

necessariamente) competere nel mercato internazionale. Più volte, dalle interviste con i datori

di lavoro emerge un fatto peculiare: se la domanda del mercato è incerta, instabile e le sue

variazioni non sono in nessun modo prevedibili nel medio periodo, le dinamiche interne alle

aziende devono paradossalmente “restituire” un grado di affidabilità maggiore.

L‟impossibilità di una programmazione industriale necessita del massimo supporto e

collaborazione interna e di una visione comune in grado di “attenuare” le incertezze del

mercato e rispondere efficacemente alle oscillazioni della domanda.

Page 130: Report. Territori che conciliano

130

Per questo motivo la “disponibilità” dei lavoratori ad incontrare e condividere le sfide

aziendali, il “senso di responsabilità” che li porta curare nel dettaglio la qualità della loro

produzione e ridurre gli sprechi, il “senso di attaccamento” basato sulla fiducia reciproca che

realizza una integrazione fra prospettiva individuale e prospettiva collettiva, sono aspetti e

risorse centrali per il successo delle imprese. Successo che non corrisponde necessariamente

ad un immediato incremento del fatturato o ad un aumento delle vendite, ma che significa

confrontarsi in settori industriali ed economici estremamente competitivi. Stare sul mercato

internazionale, scoprire nuovi territori in cui inserirsi ed investire. Sono queste le ragioni che

ci spingono ad invitare la riflessione teorica ed empirica sulla relazione fra produttività e

conciliazione verso nuovi indicatori e nuove modalità di rilevazione che entrino nella “black

box” delle relazioni sociali e culturali.

Non solo. Diventa fondamentale la riflessione sugli attori coinvolti affinché si esca

dall‟equazione imperfetta fra conciliazione/produttività e famiglia/impresa.

Dalla nostra ricerca emergono tre accezioni paradigmatiche con cui le aziende valorizzano il

percorso di certificazione Audit Famiglia Lavoro che si sovrappone a pratiche “informali”

pregresse.

La prima è di natura “simbolica” e si concretizza nel ritorno di immagine che ha l‟azienda.

Poter inserire il “logo” della certificazione Audit in documenti pubblici permette di

presentarsi e rappresentarsi come un‟impresa “amica della famiglia”, aspetto che certifica un

valore sociale aggiunto ed evidenzia la qualità delle relazioni lavorative.

La seconda è di natura strettamente “funzionale-organizzativa”. Il percorso di certificazione

permette una riflessione interna all‟azienda con cui strutturare politiche, pratiche e strumenti

validi per tutti i dipendenti, uscendo dal rischio dei “particolarismi” basati sulla conoscenza

diretta, che si verificano maggiormente nelle configurazioni spontanee e informali.

La terza ha una valenza che possiamo definire “formale-evolutiva”. La certificazione

formalizza delle pratiche in essere che derivano da una cultura imprenditoriale pre-esistente e

latente. Tale formalizzazione non ha solo un carattere istituzionale ma anche uno di tipo

evolutivo poiché pone le basi per promuovere ulteriormente la cultura imprenditoriale della

conciliazione famiglia-lavoro, sensibilizzare al tema e incoraggiare la realizzazione di nuovi

dispositivi. Questa terza accezione ci accompagna nella riflessione su un nodo critico. Con la

nostra ricerca abbiamo visto, infatti, che sussiste una circolarità virtuosa fra i due mondi,

quello delle imprese e quello delle famiglie. Tuttavia tale circolarità non può dirsi stabilizzata,

Page 131: Report. Territori che conciliano

131

né definitiva, sia per l‟evidente carattere contingente che accompagna tutte le relazioni sociali

che per le “aspettative” che i lavoratori nutrono nei confronti delle loro aziende. Dalle

interviste emerge, infatti, come – nonostante l‟elevato grado di soddisfazione maturato per la

propria azienda, con riferimento agli sforzi per conciliare – restano ancora domande inevase e

necessità familiari da supportare. Tale consapevolezza va incontro ad un paradosso. È la

stessa certificazione Audit Famiglia-Lavoro, con i vari percorsi di formazione e

sensibilizzazione a produrre richieste ed aspettative ulteriori da parte dei lavoratori. Richieste

che non sempre le organizzazioni possono affrontare da sole, per ragioni di costi economici

(per esempio gli asili nido o la disponibilità di spazi ed attività estive dei figli); per ragioni

organizzative (il tempo da dedicare alla progettazione dei “servizi” è tempo sottratto alla

attività principale); per ragioni di competenze, opportunità e mission (per quanto una azienda

possa essere sensibile ad alcuni temi non può “accollarsi” tutti gli oneri e gli sforzi – specie di

natura burocratica - per garantire determinate risposte).

Si solleva un momento critico che vede le imprese “responsabili” di fronte ad un paradosso.

Finché le aziende introducono benefici per i lavoratori come elementi appartenenti ad una

propria cultura e tradizione imprenditoriale, le percezioni dei lavoratori sono evidenti e

congruenti con tali impostazioni e finalità. Quando tali attenzioni vengono “formalizzate” ed

enfatizzate, come nel percorso Audit, le aspettative dei lavoratori aumentano. Il livello delle

aspettative per quantità, qualità, efficienza ed efficacia delle pratiche di conciliazione aumenta

ma non è automatico che aumentino anche le disponibilità e gli sforzi messi in campo dalle

aziende. Per questo è fondamentale che la pratica della certificazione non si esaurisca in un

momento simbolico con cui l‟amministrazione pubblica riconosce e premia gli sforzi delle

aziende family friendly. È invece doveroso che l‟attore pubblico contribuisca alla piena

realizzazione di un programma ponendosi come interfaccia che renda più fluidi gli scambi fra

il mondo delle imprese e quello dei servizi alla persona ed alle famiglie. Il settore pubblico

per la sua capillare diffusione territoriale può, più di ogni altro attore, mettere in contatto

mondi sociali differenti, orientati al raggiungimento di determinati obiettivi.

Obiettivi che riguardano il benessere di lavoratori ed il benessere delle aziende. Non si tratta

di favorire semplicemente il successo delle imprese, ma di partecipare attivamente alla

costruzione di un contesto territoriale in cui si generi benessere. Non solo economico ma

anche – se non soprattutto – sociale, civico e culturale. Abbiamo visto come le dimensione

della responsabilità e della fiducia caratterizzino gli scambi virtuosi fra azienda e lavoratori. È

Page 132: Report. Territori che conciliano

132

necessario che tali circolarità si estendano e coinvolgano anche l‟attore pubblico che, in

quanto tale, ha non solo la facoltà ma l‟obbligo di promuovere e favorire il benessere, lo

sviluppo, l‟equità e l‟integrazione sociale. Solo facendo leva sul potenziale integrativo che

l‟attore pubblico può attivare, per unire imprese, terzo settore, famiglie e cittadini, è possibile

raggiungere livelli di conciliazione famiglia-lavoro che permettano – non alle singole aziende

ma al territorio -, di esprimere al meglio la produzione industriale nel mondo. Produzione il

cui valore aggiunto è sempre manifestazione di aspetti sociali e culturali.

Page 133: Report. Territori che conciliano

133

5. IL WELFARE AZIENDALE COME STRUMENTO DI SVILUPPO TERRITORIALE SOCIO-

ECONOMICO SOSTENIBILE E INCLUSIVO (di Riccardo Prandini)

5.1 Il welfare aziendale territoriale e le sue sfide allo sviluppo economico inclusivo.

La ricerca condotta da Vincenzo Marrone mostra a mio parere quali enormi cambiamenti

stiano riguardando le relazioni tra datori di lavoro (imprese), dipendenti (lavoratori), famiglie

dei dipendenti, ma anche dei datori di lavoro (anche se purtroppo queste sono quasi sempre

fuori da ogni tipo di osservazione scientifica), territori e sistemi locali di welfare. Mostra

soprattutto che al centro del “sistema azienda”, composto dai proprietari, dagli azionisti, dagli

imprenditori, dai manager, dai lavoratori, dalle reti e filiere di fornitori e clienti, dai rapporti

con il territorio, etc., stia emergendo una rivoluzione ancora non del tutto compresa e, quindi,

non ancora ben governata-diretta. Evidenzia inoltre come la volontà di sostenere i propri

dipendenti – con processi di Family-Audit e con dispositivi di conciliazione famiglia-lavoro –

dia risultati estremamente positivi sia sotto il profilo del cosiddetto “clima aziendale” sia

rispetto alla capacità di ingaggiare-motivare responsabilmente il dipendente che è fortemente

interessato a rimanere in una azienda che si “prendono cura” in modo esplicito delle sue

esigenze sia lavorative sia extra-lavorative. La ricerca evidenzia infine quanto sia difficile

“misurare” l‟impatto dei dispositivi di conciliazione famiglia-lavoro, dato che il sistema

azienda-lavoratore-famiglia, non è un “sistema chiuso” su cui poter svolgere delle vere e

proprie sperimentazioni da cui trarre informazioni su presunti nessi causali. Le ricerche che ad

oggi hanno parlato di “correlazioni” positive tra dispositivi di conciliazione e produttività, lo

hanno fatto in modo piuttosto ipotetico e spurio, non potendo appunto isolare il “sistema” in

modo da sperimentare l‟attivazione oggettiva di nessi causali. Solitamente, e Marrone espone

con precisione queste procedure di analisi, si correla la presenza di dispositivi di welfare con

indicatori di produttività “spuri”, quali il turnover, le assenze per malattia o per bisogni

familiari, etc. Si tratta però di procedure analitiche ancora poco precise e affidabili, soprattutto

ancora tutte legate a una idea di produttività come presenza sul “posto” di lavoro.

Occorrerebbe invece usciere da questa visione ristretta, analizzando con maggiore precisione

come la presenza di politiche conciliative influisce sulla capacità personale e relazionale di

impegnarsi nel proprio lavoro, diminuendo lo stress negativo in tutte le sue componenti,

mettendo le persone in una condizione di lavoro più tranquilla, generando un clima di

Page 134: Report. Territori che conciliano

134

collaborazione migliore con i datori e con i colleghi di lavoro, capace di influire

positivamente sulla produttività individuale e di gruppo. Ma per fare questo tipo di analisi

occorrerebbe avere una disponibilità da parte dell‟azienda di lasciar entrare nei propri processi

di lavoro e a permettere di “ascoltare” i bisogni e i progetti di vita dei propri dipendenti, che

non si riesce a trovare quasi mai, visto che (nel mentre) l‟azienda deve operare. In termini

molto generale, e nei settori produttivi a bassa specializzazione, possiamo osservare che la

forza-lavoro è ancora concepita come un capitale “oggettificato” che deve produrre, come se

si trattasse di un mero strumento di produzione, una “macchina banale” da poter sostituire a

breve dalla automazione. Nella realtà invece, soprattutto dove un capitale umano elevato è

necessario alla produzione e dove le competenze dei lavoratori diventano la risorsa principale

dell‟azienda, è in atto una rivoluzione importantissima che tocca lo stesso concetto di

contratto di lavoro. La ricerca di Marrone cerca di aggiungere qualche indicazione su quali

siano gli “indicatori” da utilizzare per misurare l‟impatto dei dispositivi di conciliazione sulla

produttività, ma il lavoro da fare rimane ancora molto in quanto la collaborazione con le

aziende, per sviluppare nuovi algoritmi di calcolo, rimane a livelli molto generali e

insufficienti. La speranza è che gli imprenditori comprendano quanto sarebbe importante per

loro capire la “portanza” di un clima di lavoro positivo e di dipendenti fortemente impegnati e

responsabili, variabili che certamente – e il Rapporto lo mostra chiaramente – sono fortemente

influenzate dalla cultura conciliativa del management.

In queste mie conclusioni vorrei perciò riprendere le argomentazioni di Marrone e svilupparle

in due direzioni distinte ma intrecciate, pena rimanere soltanto “o” in una logica di erogazione

“volontaria” dell‟azienda “o” in discorsi generici sullo sviluppo territoriale. Il primo

approfondimento riguarda il rapporto il “patto” tra azienda e dipendente, patto che va

analizzato da entrambi i punti di vista ed anche in connessione alle enormi mutazioni di

aspettative reciproche che stanno emergendo – e che esploderanno in futuro – entro il

contratto di lavoro. Il secondo riguarda invece le innovazioni che il “territorio”, in particolare

l‟amministrazione pubblica e i rappresentanti delle parti sociali, dovrebbero innescare per

agevolare lo sviluppo di una economia inclusiva e sostenibile. Per poter provare a riflettere su

queste due problematiche, devo prima introdurre – seppure molto sinteticamente – cosa

intendo per “welfare aziendale territoriale”.

In prima battuta infatti, il termine-concetto “welfare” tende a rimanere del tutto opaco – a

meno che non ci si accontenti di riferirsi a una generica idea di “benessere”. Ma, allora,

Page 135: Report. Territori che conciliano

135

benessere in che senso? E quali dimensioni del benessere sono coinvolte? Individuali o

collettive? Materiali o psicologiche? E perché una azienda dovrebbe impegnarsi a produrre

benessere? Non dovrebbe occuparsi solo di profitto, come viene detto in ogni dove? E

“benessere” di chi? Dei suoi dipendenti (ma non paga già uno stipendio per le loro

prestazioni?): dei loro familiari (e perché mai dovrebbe farlo; non si invade così la sfera

privata?). Di altri attori del territorio? Con tutti o solo con quelli con cui le aziende hanno

davvero rapporti? La nostra proposta sarà quella di utilizzare il termine welfare in modo molto

specifico: come risultato di una particolare modalità riflessiva di re-entry, nel contratto di

lavoro, che include aspetti della vita – sia “privata” che lavorativa –solitamente esclusi.

Questa re-entry presuppone però che l‟azienda percepisca il suo “stare nella società”, in modo

nuovo: c‟è chi lo definisce Corporate Citizenship (Adler 2006; Crane et alii, 2012) e chi,

invece, ne sottolinea l‟innovativo e crescente ruolo politico (Scherer e Palazzo, 2011).

Comunque lo si interpreti, questo è lo spazio-tempo dove emerge la possibilità di “contratti

relazionali” specifici o – detto in altri termini – dove si rendono possibili processi di braiding,

intrecciamento tra dimensioni di vita “modernamente” tenute separate. Come avremo modo di

vedere, piuttosto che di una generica creazione benessere, qui è in atto una vera e propria

rivoluzione che innesca la “personalizzazione” della relazione di lavoro e che avrà certamente

conseguenze enormi sui processi di contrattazione e quindi anche sul welfare aziendale. In

seconda istanza occorre specificare meglio cosa si intende per “aziendale”. La letteratura e i

case studies a disposizione, sono generalmente riferiti a esperienze di grandi aziende,

soprattutto multinazionali, capaci di “internalizzare” alcune delle funzioni che in passato

svolgeva lo Stato. Se volessimo schematizzare questo processo di internalizzazione del

welfare state potremmo farlo (Fig. 5.1) indicando 4 aree di intervento che ricalcano quelle

tradizionalmente statali: 1) area di previdenza complementare; 2) area dei beni e servizi

sanitari integrativi; 3) area dell‟assistenza sociale; 4) area della promozione e

dell‟apprendimento personale. Se le prime due aree rispondono principalmente

all‟assicurazione rispetto a rischi “moderni” (la fine o l‟interruzione momentanea del lavoro e

la perdita della salute), le altre due affrontano invece i cosiddetti “nuovi” rischi sociali e cioè,

da un lato, la conciliazione tra famiglia e lavoro (con relativi carichi di cura), dovuta

prevalentemente all‟aumento dei tassi di attività femminile (in specie di madri con figli

piccoli), all‟incremento della popolazione anziana e ai profondi cambiamenti avvenuti

nell‟organizzazione e nei tempi di lavoro: dall‟altro le plurime transizioni e intrecci tra

Page 136: Report. Territori che conciliano

136

sistema della formazione e del lavoro (Prandini 2012a).

Fig. 5.1. Il sistema del welfare aziendale

Al centro di questo nuovo “campo” sta il tema del cosiddetto Shared Value (Porter e Kramer

2006; 2011). Con questo concetto si intende un modo nuovo di concepire e realizzare la

catena del valore. In sintesi si tratta di ri-entrare nel profit la creazione di valore “sociale”.

L‟azienda non è più solo legittimata dal “fare profitti”, bensì da generare valore “a partire da-

per-con” il territorio, valore di cui il profitto è solo una minima parte. I dispositivi di welfare

aziendali, rappresentano esattamente una faccia di quella medaglia. È però risaputo che in

prevalenza vengono gestiti solo in grandi aziende, quelle con a disposizione rilevanti risorse

di personale ed economiche. Tutt‟altro problema hanno invece le miriadi di piccole e medie

imprese che popolano e innervano il nostro Paese. Le Pmi non possono seguire la strada delle

grandi imprese, internalizzando il welfare. Debbono organizzarsi in tutt‟altro modo, da un lato

attivando processi di pooling, dall‟altro comprando beni e servizi di welfare dall‟esterno: nel

primo caso vengono elaborati contratti di rete (Cafaggi 2009; Teubner 2011), dove il soggetto

è la relazione tra aziende, oppure vengono siglati patti e piattaforme di lavoro comune; nel

secondo vengono creati mercati di welfare aziendale estremamente interessanti per la crescita

Sistema fisico-organico e

comportamentale

Sistema della Personalità

Aspettative e rapporti

con l’esterno

Sistema della cultura e

della socializzazio

ne

Area A S S I C U R A T I V A

Area O R G A N I Z Z A T I V A

Area CRESCITA PROFESSIONALE

Area SOSTEGNO AI GENERI E GENERAZIONI

Consulenti Referente aziendale

Portale Blog

Page 137: Report. Territori che conciliano

137

del territorio, ma che vanno regolati in un modo specifico, viste le asimmetrie informative

potenziali.

Il tema dello Shared Value e gli accoppiamenti strutturali tra economia e società che esso

richiede, ci porta al terzo termine-concetto che va ri-specificato: quel “territoriale” che ormai

ovunque è presentato come “la” soluzione a tutti i problemi sociali. Solitamente è utilizzato

per riferirsi a strutture e processi sociali siti-posti in una determinata frazione di spazio. Se si

rimane a questo livello, però, non si riesce a fare più alcuna differenza tra, per esempio,

“spazio locale” e “territoriale”, perdendo così una delle connotazioni che sarebbero più utili

per indicare l‟innovazione in atto (Moulaert et alii 2013): la funzione di attiva inter-azione tra

attori che “crea” i confini di senso del territorium. Se, infatti, lo spazio locale, la località, è

semplicemente un dato topologico relativo a un osservatore, per cui ognuno è sempre in una

posizione spaziale derivata dalla differenza tra un valore locale e uno globale, il “territorio” è

sempre dato da un processo attivo di costruzione dello spazio: si scrive sempre territorio, ma

si tratta di processi continui di “territorializzazione – de-territorializzazione – re-

territorializzazione” (Magnaghi a cura di 2011). La proposta che qui faremo sarà dunque di

definire come “territoriale” uno specifico modo di “operare” di attori sociali, individuali o

collettivi, indirizzato a generare valori comuni (Shared Values) atti ad arricchire la relazione

di collaborazione così prodotta. Un territorio non è quindi una porzione di spazio definita

politicamente, o culturalmente e nemmeno economicamente (o in qualsiasi altro modo): è

invece un modo di co-operare, con molteplici effetti di ordine economico, politico, culturale,

etc., che ha come obiettivo la creazione di un contesto capace di moltiplicare le risorse

comuni, necessarie al funzionamento di ciascuno e di tutti gli attori coinvolti.

5.2. La trasformazione del sistema di Welfare collettivo: oltre lo Stato e verso un sistema

societario plurale

5.2.1. Cosa significa oggi generare welfare: “secondo welfare” o “welfare policontesturale”?

La prima operazione di chiarimento da compiere riguarda il senso del concetto-termine “wel-

fare”, la cui semantica viene generalmente utilizzata in modo generico a indicare un “benesse-

re” non meglio specificato. Questa genericità non è adeguata a descrivere la realtà attuale, so-

prattutto per due ordini di motivi: a) perché vi è ancora forte una abitudine a pensarlo solo in

Page 138: Report. Territori che conciliano

138

connessione con lo “Stato sociale”, attribuendo al settore pubblico-statale l‟unico e indiscuti-

bile dovere di intervento sociale e di compensazione dei rischi: b) perché ormai gli attori di

tale “benessere”, nel nostro caso gli enti pubblici, le aziende e i dipendenti, le associazioni di

categoria, etc., influiscono e producono-distruggono benessere ben oltre i classici confini

amministrativo-politici. In particolare e in certi casi, l‟azienda “entra” nella vita dei dipenden-

ti in modo del tutto nuovo rispetto al passato, così come questi collabora in modalità imprevi-

ste e innovative. Al centro di questa nuova relazione sta il tema, rilevantissimo, dei contratti

(e delle partnership) di lavoro.

Rispetto al punto a), oggi gode di ottima ricezione a livello scientifico e, soprattutto giornali-

stico, il concetto di “Secondo welfare”, cioè di quel “mix di protezioni e investimenti sociali a

finanziamento non pubblico, fornite da una vasta gamma di attori economici e sociali collega-

ti in reti caratterizzate dal forte ancoraggio territoriale, ma aperte al confronto e alle collabo-

razioni trans-locali, che vanno progressivamente affiancandosi al primo welfare di natura

pubblica ed obbligatoria”. Secondo i teorici del Secondo welfare (http://secondowelfare.it/),

nell‟ambito del Primo rientrano le prestazioni e i servizi considerati “essenziali” per una so-

pravvivenza decorosa e per un‟adeguata integrazione nella comunità, nonché per garantire il

godimento dei diritti fondamentali di cittadinanza; mentre nell‟area del Secondo rientra il set-

tore della protezione sociale integrativa volontaria, soprattutto nel campo delle pensioni e del-

la sanità, nonché quella parte dei servizi sociali – con confini da definire pragmaticamente:

bisogno per bisogno, territorio per territorio, comunità locale per comunità locale – che il set-

tore pubblico non è oggi in grado di garantire. Il punti critici di questo approccio mi paiono

almeno tre, in brevissima sintesi. In primo luogo si continuano a pensare le trasformazioni del

welfare, entro la cornice novecentesca dello “Stato” sociale, in specifico dei “gloriosi

trent‟anni”. Ma quella configurazione fu solo un momento di un ciclo storico che partì prima

e che è ancora in fase di morfogenesi. Continuare a prendere come parametro quel tipo di wel-

fare (appunto inteso come il “Primo” e come riferito allo Stato novecentesco), non può che

portare a considerare gli attori e i dispositivi del “Secondo” come affiancamenti compensativi

(cioè, di riserva) o, al massimo, come soggetti da co-involgere nella macchina statale. In tal

senso “Secondo” rappresenta un indice temporale – di un ciclo osservato però troppo “tardi” –

e un indice gerarchico di una struttura a due pilastri pensati come ancora ben distinti. In realtà

la strutturazione del welfare state del dopo-guerra, rappresenta a sua volta una morfogenesi di

un momento precedente e non può essere preso come parametro finale, così come la sua strut-

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139

turazione attuale non è definitiva. In seconda battuta la “narrazione” delle ragioni genetiche

del secondo welfare, considera prevalentemente due fattori molto differenti e non comparabi-

li: da un lato i vincoli di bilancio degli stati-nazione che renderebbero necessari tagli al welfa-

re; dall‟altro l‟emergere di nuovi bisogni non includibili in quelli “moderni”. Questa distin-

zione però non è coerente in quanto i “nuovi rischi” necessiterebbero in realtà di nuovi inve-

stimenti anche del Primo welfare, mentre d‟altra parte la richiesta di tagli ricade su qualsiasi

tipo di spesa. In definitiva però è evidente che al cosiddetto Secondo welfare viene lasciato

spazio solo come compensazione “privata” – cioè “intervento ex post” – di bisogni sociali non

più affrontabili con risorse statali. Di nuovo però sembra che se lo Stato fosse capace di inter-

venire in modo adeguato, il Secondo welfare dovrebbe rientrare nella sfera “privata”. Qui pe-

rò si innesta il terzo problema. Quello di una distinzione pubblico/privato non adeguata ai

cambiamenti in atto che, tra l‟altro, porta a considerare alcuni servizi e prestazioni come “in-

dispensabili” e quindi riconducibili a diritti, mentre altre come accessorie e quindi “privata-

mente” affrontabili. Ma proprio questa distinzione pubblico/privato – indispensabi-

le/dispensabile, non regge vista la complessità delle dinamiche sociali in atto. Non solo è

estremamente arbitrario distinguere in necessario dal contingente (il problema dei Liveas è

qui, per esempio, chiarissimo) in quanto i bisogni sono in continua evoluzione: non solo è

molto problematico lasciare praticamente tutto il campo dei servizi sociali nel lato del contin-

gente. Il vero punto critico è che questo “frame” non riesce a rendere in modo adeguata la ri-

voluzione che le identità degli attori, delle loro relazioni e delle loro logiche di funzionamen-

to, sta producendo nel campo del welfare. Non è un caso che oggi i concetti più interessanti

(con conseguenti ricerche), indichino come fondamentali strutture e processi ibridati/danti,

accoppiamenti strutturali, crossing di confini, partnership, regimi di regolazione pubblici ma

non statali, governo per standard, costituzionalizzazione delle sfere civili, regimi sperimenta-

listi, etc. Ognuna di queste realtà ci narra di un mondo sociale non più governato dallo Stato-

nazione e, soprattutto, dove cambiano le identità-funzioni di Statale-civile/pubblico-privato e,

conseguentemente, di bene comune e di beni comuni. Come esempio delle trasformazioni che

riguardano il campo delle aziende, accenniamo all‟idea della Corporate Citizenship, così co-

me a quella dell‟impresa come attore politico che genera veri e propri diritti sociali (Crane et

alii 2008). Detto in estrema sintesi, la narrazione di Primo e Secondo welfare, pare estrema-

mente debole e inadeguata a comprendere questo passaggio d‟epoca. La generazione di welfa-

re è oggi operata da una pluralità di attori, relazioni, intrecci, ordini emergenti che pratica-

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140

mente non hanno più a che vedere con la distinzione “primo-secondo”: questo è invece un

welfare assolutamente policontesturale: un ordine emergente complesso che genera bene co-

mune del tutto non riconducibile a pubblico/privato (Macchioni 2014).

Rispetto al b) la riflessione necessaria per uscire dalle secche del mainstreaming è ancora più

profonda perché implica null‟altro che il ripensamento completo della relazione tra

dipendente (ma per quanto dipendente?), datore di lavoro (per quanto?) e territorio (con quali

confini?), con tutti i diritti e doveri che ne emergono. Su questo versante occorre essere

radicali, ben oltre il dibattito piuttosto stantio che è avviato nel nostro Paese. Bisogna essere

capaci di considerare la rivoluzione che sotto i nostri occhi sta sconvolgendo le stesse identità

delle organizzazioni for profit e delle loro relazioni con il cosiddetto capitale umano e con il

territorio. Si tratta di pensare a un management riflessivo capace di dare forma, da un lato, a

una impresa che sempre più deve abbandonare i tratti classici di una organizzazione moderna

e, dall‟altro, a un lavoratore che è spinto sempre più a doversi includere come “persona”

nell‟organizzazione (che a sua volta cambia) (Andersen 2013). Se cambia il senso del welfare

e quello della relazione tra impresa e dipendenti, allora dovrà cambiare anche il nesso tra

azienda, benessere e territorio. Siamo qui al centro di almeno due importantissime

innovazioni sociali, laddove con tale concetto si intenda il cambiamento delle relazioni sociali

che rendono possibile un cambiamento positivo capace di rispondere in maniera migliore a

bisogni emergenti. Da un lato, quello interno, siamo in presenza di innovazioni relative alla

relazione tra azienda e dipendenti che necessità di contratti relazionali specifici (e oltre). La

contrattazione deve osservare la relazione dipendente-datore di lavoro in modo “ampliato”,

includendo nel contratto non solo molti più temi di aspettativa, ma soprattutto l‟aspettativa

che il contratto sarà ricontrattabile nel tempo. Al centro di questa innovazione sta il tema della

“personalizzazione” dei contratti che, evidentemente, appare ancora in prevalenza come una

bestia nera per le parti in causa e per i loro rappresentanti sindacali o imprenditoriali. Dal lato

esterno, invece, l‟innovazione comprende l‟intero sistema di governance del territorio,

finalizzato alla sua crescita in termini di qualità di vita. È questa la sfida concettuale e pratica

maggiore perché occorre definire cos‟è un territorio, da chi è abitato, con quali diritti-doveri e

quale possa essere la forma della sua governance (ma di questo ci occuperemo dopo).

Vediamo in sintesi quali sono i punti cruciali di questa complessa tematica.

Page 141: Report. Territori che conciliano

141

5.2.2. La multidimensionalità del benessere: personale, lavorativa, familiare.

Il welfare aziendale va declinato in termini sia multidimensionali sia osservando ciò che

accade sui confini che connettono la sfera privata del dipendente a quella professionale e

pubblica (osservazione dell‟in-betweeness). Da una ricerca svolta su aziende della Provincia

di Trento (Prandini, Macchioni, Marrone 2013), questa multidimensionalità è apparsa

chiaramente. In primo luogo (per mezzo di analisi fattoriale) sono emerse tre dimensioni ben

distinte di “benessere”: uno di tipo “personale” che riguarda le dimensioni della salute fisica e

psichica come quelle della capacità individuale di focalizzarsi su problemi e affrontarli; uno

“professionale” che riguarda il rapporto con i colleghi di lavoro, la produttività e

l‟identificazione/impegno verso l‟azienda; uno “familiare” relativo alle relazioni con il

coniuge e con i figli. Le tre dimensioni sono indipendenti, ma fortemente interconnesse a

livello empirico. Ciò significa che qualsiasi approccio monodimensionale, sia esso soltanto

riferito a una delle dimensioni secondo interessi manageriali o di politica familiare o di

interesse psicologico, non è adatta a comprendere multidimensionalità degli aspetti di vita

realmente attivati nella relazione di lavoro. In seconda istanza e non meno importante, la

generazione di benessere personale, professionale e familiare – attivata (o meno) dai diversi

dispositivi conciliativi aziendali – non segue per nulla logiche “addizionali” e mono-causali:

non è che prima venga generato benessere personale a cui poi si aggiunge quello

professionale e infine quello familiare (o in qualsiasi altra forma addizionale e temporale si

vogliano porre le co-relazioni). Ciò che invece accade è che i benesseri sono uno per l‟altro un

fattore di com-possibilità. In altre parole il benessere che il dipendente sperimenta è un

benessere “complesso” e “plurale”: complesso perché ognuno dei fattori che abbiamo

analizzato concorre alla sua emersione globale; plurale perché ogni fattore in gioco, seppure

con “portanze” diverse, contribuisce a generarlo. Questo benessere è perciò un “fenomeno

emergente” che soltanto a fini di osservazione scientifica può essere scomposto

analiticamente. È evidente che un lavoratore che può usufruire di dispositivi conciliativi,

percepirà un aumento del suo benessere in relazione, prima di tutto, ai suoi bisogni e le sue

esigenze. Se per esempio ha figli molto piccoli e se usufruisce di un orario flessibile o meglio

personalizzato, sperimenterà in prima battuta un beneficio maggiore nella relazione

genitoriale, potendo stare più tempo con i figli, dando loro più attenzione e quindi riuscendo

ad aiutarli maggiormente nella crescita. Probabilmente questo miglioramento nel campo

genitoriale, potrà generare anche un miglio benessere bio-psichico (meno stress, più serenità e

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142

meno tendenza ad ammalarsi) che si riverbera su un equilibrio psicologico. Questo a sua volta

avrà probabilmente effetti positivi sulla relazione di coppia e, essendo più capace di gestire

queste relazioni, il dipendente sarà anche più performativo al lavoro, più sicuro di sé, più

capace di esprimere i propri problemi alla dirigenza, etc. A sua volta questa nuova

“configurazione” di benessere complessivo, avrà effetti positivi retroagenti sui suoi elementi

costitutivi. In altre parole qui ci troviamo di fronte a un ordine di realtà – il benessere

complessivo e plurale del dipendente – emergente. A contare non sono specifiche e isolabili

relazioni causa-effetto, quanto il sistema globale e le azioni-retro-azioni del “tutto” sui suoi

elementi “costitutivi”.

Questa fenomenologia, che ha che vedere con sistemi complessi e ciberneticamente auto-

regolati, dovrebbe avere un impatto decisivo su chi decide di implementare i dispositivi

conciliativi, a dire: non cercare tanto di isolare alcuni fattori ritenuti fondamentali per

accrescere un tipo solo di benessere, quanto di “progettare” un sistema complesso e

personalizzato di dispositivi che influenzeranno in maniera differenziale tutti gli aspetti del

benessere del dipendente (che tra l‟altro sono tutti importanti). L‟approccio economicista che

privilegia solo l‟aspetto della produttività del dipendente, è cieca rispetto a questa realtà

emergente, ma non comprende che non è possibile solo operare su un livello di realtà nella

ipotesi (falsa) che questo non abbia poi influenze sugli altri. Vi sono manager che

implementano dispositivi conciliativi per liberare tempo lavorativo a scapito di quello

personale o familiare. Ma ciò non può funzionare perché il benessere è un effetto emergente,

complesso e globale.

Se il benessere che possiamo osservare è un effetto emergente complesso e globale – che

implica sia dimensioni personali che professionali che familiari – allora quel benessere

rappresenta un “equilibrio riflessivo”. Ed è proprio in quanto tale che va trattato e sostenuto.

Con questo concetto intendiamo quella particolare “configurazione” di benessere personale,

professionale e famigliare, unica per ogni diverso dipendente, che viene raggiunta attraverso

l‟utilizzo di strumenti conciliativi. Ogni lavoratore ha chiaramente esigenze sia sotto il profilo

strettamente personale (distinto in esigenze fisiche e psicologiche, per essere sintetici),

professionale (di rapporti con colleghi, di produttività, di senso di appartenenza) e familiare

(genitoriali, di coppia e di cura agli anziani). Ognuna di queste esigenze necessita di risorse

per essere affrontata e per poter dare risposte: ma evidentemente non si può investire in

ciascuna di esse allo steso modo, perché spesso sono in conflitto. Dovrò passare più tempo

Page 143: Report. Territori che conciliano

143

con i miei figli? O con mia moglie? Dovrò così sacrificare la mia carriera? Oppure dovrò

sacrificare la cura dei genitori anziani per fare carriera? Oppure dovrò rinunciare alla carriera

e anche alla famiglia per motivi di salute? La combinazione (e i conflitti) che ognuno deve

“inventare” per trovare il suo equilibrio dipende da moltissimi vincoli e risorse, sia personali

che sociali (salute, capacità cognitive, risorse economiche, conoscenze, etc.). Dipende per

esempio dalle priorità che ognuno dà a quegli aspetti della sua vita, ma non solo da questi

perché se così fosse tutto dipenderebbe solo dalla volontà. In realtà ci sono molti vincoli che

limitano i proprio progetti di vita, così come diverse abilitazioni. Quello che la ricerca ci ha

mostrato è che i nostri intervistati cercano di raggiungere il loro equilibrio specifico,

riflettendo sui “pro” e i “contro” delle loro decisioni. Questo “equilibrio riflessivo” personale,

dipende anche dall‟equilibrio riflessivo del Noi costituito dalla coppia o dalla famiglia

(Prandini 2013a). Nessuno può mai scegliere come se fosse solo, almeno laddove ha

responsabilità famigliari. E se lo fa, significa che quelle responsabilità sono state poste

all‟ultimo posto nella scala dei valori.

5.2.3. Contrattazione relazionale e promesse a lungo termine in un contesto lavorativo

sempre più incerto

A fronte di questa multidimensionalità dei bisogni e, soprattutto, a fronte della velocità di

cambiamento che tocca tutte le sfere di vita, il rapporto di lavoro tra dipendente e datore non

può che subire una profondissima mutazione. I temi in esame sono almeno, ma non solo, due:

1) la continua flessibilizzazione o precarizzazione dei contratti di lavoro; b) la

complessificazione dei contenuti di vita che entrano nella relazione di lavoro. Del primo

aspetto ci occuperemo nel prossimo paragrafo, trattando di contratti relazionali. Rispetto alla

complessificazione dei contenuti di vita che entrano nella sfera lavorativa, possiamo

accennare soltanto alla tematica emergente e centrale. La questione fondamentale che oggi

riguarda la relazione di lavoro, può essere così definita: cosa significa organizzare un rapporto

di lavoro, quando tutto cambia a velocità estrema? La risposta ha a che vedere, probabilmente,

con il concetto di membership che, nel presente contesto, ha molto a che vedere con il tipo di

relazione: a tempo indeterminato, determinato, e in nuove e cangianti modalità. La

rivoluzione in ci mostra che la realtà di “un lavoro per tutta la vita e nella stessa

organizzazione” è in via di sparizione, o comunque in fortissima crisi. Il rapporto di lavoro da

contrattualizzare, diventa contingente e fortemente oscillante. In tutti i sensi: materiale,

Page 144: Report. Territori che conciliano

144

sociale e temporale. Materialmente (il cosa del contratto) ci si aspetta sempre di più che il

dipendente sappia cambiare mansioni, continui la sua formazione, sia disponibile ad

apprendere “al momento” ciò che serve per lavorare. In un contratto discreto è quasi

impossibile “fermare” queste aspettative. Dal punto di vista “sociale”, al dipendente viene

chiesto sempre di più di riconfigurare i confini tra vita privata/professionale, per lasciare che

le proprie capacità di relazione, affidabilità, capacità di prendersi cura, finanche di anticipare i

bisogni del datore (una forma peculiare di amore!), possano arricchire la sue competenze

professionali. Dal punto di vista temporale, crollano tutte le vecchie barriere tra tempo di

lavoro e tempo di vita, fino alla invasione dei primi sui secondi. Questa riconfigurazione dei

confini tra interno-esterno, prende la forma di una continua re-entry tra aspetti di vita privata e

vita lavorativa, andando a creare uno spazio emergente pieno di nuove aspettative, sia sul

lavoro che nella vita privata, con conseguenti problemi di gestione. In altri termini viene

richiesto alle persone di essere molto più disponibili sul lavoro, sotto punti di vista che fino a

pochi anni fa erano richiesti solo ai top manager. Inoltre la capacità di “dedicarsi” al lavoro

sembra aumentare. Ma viene chiesto all‟azienda di essere molto più flessibile di prima, per

permettere alle persone di poter gestire meglio la propria vita privata. D‟altra parte anche

l‟azienda, subisce una estrema trasformazione in quanto deve sempre più dipendere da quelle

capacità molto personali e idiosincratiche che richiede ai suoi dipendenti. Deve organizzare

ciò che è difficilmente prevedibile e contrattare ciò che non è contrattualizzabile. In fin dei

conti anche l‟azienda subisce la precarizzazione, anche se dal suo punto di vista. Non è un

caso che per certe mansioni, molto importanti in una azienda, i contratti somiglino più a

“matrimoni”, cioè a partnership (Andersen 2008). Questa duplice imprevedibilità-instabilità,

rende il rapporto di lavoro simultaneamente più flessibile e inflessibile, più instabile, ma più

intenso. La gestione di queste nuove aspettative, richiede che la contrattazione sia capace di

attivare processi di braiding (Sabel 2010), cioè di “intrecciamento” tra dimensioni materiali,

sociali e temporali altamente complesse. I dispositivi di welfare aziendale sono esempi di

queste nuove trecce.

Vista la complessità delle dimensioni del benessere implicate e i processi di crossing, è

evidente che la contrattazione discreta non può essere adatta a regolare il welfare aziendale.

Da questo punto di vista, la contrattazione nazionale collettiva è ancora troppo

standardizzante dal punto di vista “sociale” (non personalizzata”), lenta e rigida dal punto di

vista “temporale” (non on demand) e poco innovativa da quello “materiale”. Il welfare

Page 145: Report. Territori che conciliano

145

aziendale serve proprio per far emergere, intercettare e dare risposte a bisogni più

personalizzati che vanno al di là dei confini tradizionali dei contratti discreti. Questi sono

dispositivi giuridici di tipo tradizionale dove, a fronte di una retribuzione fissa, si richiede un

determinato tipo di attività. Un primo modo di andare oltre questo modo di contrattazione, è

quello di introdurre benefits, in forma di retribuzione variabile (per esempio a fronte di

maggiore produttività) e poi beni e/o servizi. Se le parti contrattuali non sono in grado, o non

vogliono, legarsi in modo specifico e definitivo, allora si definiscono dei contratti

“relazionali” (MacNeil 2011). Una definizione precisa dei diritti-doveri implicati, può essere

impraticabile a causa della incapacità di identificare incerte condizioni futuri o per la

difficoltà di determinare gli adattamenti complessi adeguatamente. Così, la sostituzione delle

clausole di aggiustamento sono inclusi nell‟ambito del processo per stabilire una

cooperazione per l‟organizzazione del prodotto o del servizio. In pratica un contratto

relazionale, è un contratto che prevede la possibilità di cambiare le specifiche del contratto

stesso, assumendo così una forte flessibilità e adattabilità materiale (cosa è contrattato),

sociale (con chi si contratta) e temporale (per quanto e in che tempi). Secondo Andersen

(2013), i contratti relazionali a loro volta vengono poco a poco sostituiti dalla forma delle

partnership, una sorta di contratto di secondo ordine, che serve per tentare di fare i conti con

il fatto che ogni circostanza di promessa (contenuto del contratto) è in continuo cambiamento.

In pratica sono promesse di continuare a promettere: ci si lega in modo tale da poter cambiare

la forma del legame, pur mantenendo questo ben stretto. Si allargano gli orizzonti temporali,

sociali e materiali, per tenere stretto il legame di collaborazione. Questo sviluppo di

partnership può anche proiettare una lice diversa sul processo di precarizzazione del lavoro. È

evidente che ormai per quote crescenti della popolazione, non è più possibile un contratto di

lavoro discreto e neppure a tempo indeterminato. La “determinazione” temporale sta

irrompendo in modo strutturale nel campo del lavoro. E gli osservatori mostrano grande

preoccupazione, soprattutto per le generazioni più giovani. Dal punto di vista dell‟azienda, la

precarizzazione significa impossibilità di includere lavoratori come membri “per sempre”. E

anche questo è un problema, non da poco. L‟azienda deve poter impegnare il lavoratore non

potendo però impegnarsi per un tempo lungo. Come può convincere il lavoratore a

impegnarsi? E il lavoratore deve trovare motivi per impegnarsi sapendo che non potrà

rimanere in quell‟azienda per molto. Come si esce da questa situazione? La soluzione sembra

essere appunto una “intensificazione” della relazione che include più dimensioni di vita

Page 146: Report. Territori che conciliano

146

cercando risposte molteplici ai bisogni che ne conseguono. La contrattazione relazionale e i

dispositivi di welfare sono formule per trattare questi aspetti “intrattabili” del nuovo mondo

del lavoro.

È certamente questo uno dei temi più interessanti che emergono dal Rapporto. La relazione tra

datore di lavoro e dipendente, una volta basata sul contratto di lavoro discreto, sta prendendo

forme estremamente complesse e ricche di contenuti difficilmente includibili nelle forme

contrattuali classiche. Ciò che viene a modificarsi è, più in profondità, l‟insieme delle

aspettative che legano datore e dipendente. La formula contrattuale classica e discreta si

basava prevalentemente su aspettative piuttosto generiche. Dal lavoratore ci si attendeva che

mettesse a disposizione il suo tempo di vita e un insieme di competenze lavorative fortemente

riferite alla missione dell‟azienda. Si trattava dunque di un contratto “discreto” cioè

decisamente delimitato nei suoi contenuti. In termini teorici potremmo dire che l‟appartenere

come dipendente alla organizzazione, passando per una contrattualizzazione, sintetizzava il

motivo generalizzato per cui l‟imprenditore cercava forza lavoro (lo scopo dell‟azienda),

insieme alla motivazione del lavoratore in cerca, da un lato, di reddito e, dall‟altro, di auto-

realizzazione. Si trattava di due serie di aspettative parallele (ricerca di forza lavoro

competente e ricerca di reddito/auto-valorizzazione) che erano collegate in modo forte

attraverso il “posto di lavoro” tendenzialmente a tempo indeterminato. Vigeva una altissima

zono di “indifferenza” tra le politiche dell‟azienda che venivano decise dal management o

dall‟imprenditore-proprietario e la vita privata del lavoratore che una volta terminate le ore di

lavoro poteva tornarsene a casa senz‟altro a cui pensare (se non a mantenere il posto). Entro il

rapporto di lavoro erano incastonate anche aspettative prevalentemente implicite e latenti

riguardanti, da un lato l‟aggiornamento e la crescita professionale che il datore metteva a

disposizione del dipendente e, dall‟altro, l‟impegno di quest‟ultimo a lavorare e impegnarsi

oltre le mere mansioni contrattualizzate. Con il complessificarsi del mondo del lavoro, sia

rispetto alle richieste di beni e di servizi sempre più diversi e specialistici, sia rispetto

all‟organizzazione della produzione con tempi e modi incrementalmente diversificati, il

contratto tradizionale discreto non riesce più a contenere serie di aspettative che non

coincidono più in modo semplice. Il datore di lavoro comincia ad aspettarsi che i dipendenti

siano più flessibili rispetto agli orari; che si impegnino maggiormente davanti a problematiche

non routinarie e prevedibili; che imparino a lavorare in un team e che, soprattutto, siano

sempre motivati a imparare nuove soluzioni. I dipendenti si aspettano che i datori prendano in

Page 147: Report. Territori che conciliano

147

considerazione i loro carichi familiari; che siano interessati alla loro carriera e che siano

disponibili a farli crescere professionalmente. Le mutazione del mondo del lavoro che dal lato

della offerta si presenta come aumento della precarizzazione, dei contratti atipici o a tempo

determinato, delle richieste di flessibilità e di disponibilità personale a cambiare mansioni e

ruoli, così come quelle dal lato dell‟offerta con sempre maggiore richiesta di attenzione verso

i bisogni e gli interessi di vita privata così come alla crescita e accumulo di competenze,

spinge verso la ricerca di nuove forme contrattuali e di nuove culture della membership

occupazionale. Secondo Andersen (2013) sono tre i codici culturali che entrano nella gestione

delle aspettative lavorative innovandone i contenuti e quindi anche il bisogno di gestirli.

Il primo ha a che vedere con la “adolescentizzazione” del lavoratore. Con questo concetto si

intende che il datore di lavoro si aspetta sempre più dal lavoratore che egli trovi una

motivazione personale – e non istituzionale – a formarsi e a rendersi disponibile ad acquisire

competenze importanti per il lavoro. In altri termini deve essere il dipendente stesso a

specificare il suo impegno lavorativo eccedendo le aspettative e i doveri meramente richiesti

nel contratto. Il dipendente deve auto-attivarsi nel senso di un crescente impegno per mettersi

autonomamente, senza che gli venga richiesto esplicitamente, nelle condizioni di operare

efficacemente per l‟azienda. Il riferimento alla “adolescenza” (cioè al continuare a crescere),

si riferisce proprio alla aspettativa che il dipendente concepisca il suo lavoro nei termini del

life-long-learning, ossia come a un insieme di competenze da potenziare e apprendere senza

tregua. Questo sforzo che apre un orizzonte temporale indefinito è certamente una richiesta

che nella cultura del lavoro precedente non era presente e che riempie di nuovi contenuti il

ruolo del lavoratore con tutto lo strascico di energie motivazionali e di apprendimento che

vengono ora attese. Il secondo codice culturale che va ad arricchire le aspettative di ruolo del

lavoratore, prende spunto dalle relazioni intime basate sull‟amore. Con ciò si intende

l‟aspettativa che il dipendente sappia “anticipare” (come un buon partner!) i bisogni del datore

di lavoro, mettendosi nei panni di chi deve prevedere le problematiche emergenti e dare

soluzioni prima che diventino tema di comunicazione formale. Qui è in gioco quella che viene

chiamata intelligenza “emotiva” delle persone, la loro capacità di lavorare in gruppo e di “fare

squadra”. Anche in questo caso si tratta di modalità di lavoro che in precedenza non erano

richieste e che comunque rimanevano nell‟informalità del rapporto tra dipendente e datore di

lavoro. Ora invece si tratta di competenze che possono anche rientrare nel contratta, ma anche

se non sono contrattualizzate, fanno parte delle contratto esplicito che avviene tra le parti e

Page 148: Report. Territori che conciliano

148

che va a creare le basi per quello che gli economisti e gli operatori del management chiamano

modello del “Total Reward”. L‟ultimo codice culturale che entra nel rapporto di lavoro è

quello del “gioco”, cioè di tutta quella serie di attività volontarie che i dipendenti possono

scegliere di fare o meno – riunioni dove ognuno deve esprimere come vede gli altri, dove

viene chiesto di assumere la prospettiva e il ruolo di altri per vedere l‟azienda da un punto di

vista diverso, momenti “eccitanti” con i colleghi dove si mette alla prova il proprio coraggio,

test psico-motivazionali che vengono utilizzati per permettere al dipendente di aggiornare le

sue motivazioni personali al lavoro – dove viene messo in moto la gestione della

immaginazione e dell‟innovazione e dove si costruiscono scenari “strani”, non routinari,

paradossali, ma in grado di osservare la vita aziendale in modo creativo. La funzione del

gioco è quella di mostrare come l‟organizzazione aziendale, così come i propri ruoli

nell‟azienda, è contingente, cioè potrebbe essere attualizzata in modo diverso.

Queste tre culture del lavoro trasformano, insieme alle condizioni contrattuali in profondo

cambiamento, la relazione tra dipendente e datore. La trasformazione in atto riguarda anche il

lato dell‟azienda. Questa deve a sua volta cambiare la sua “vision” aziendale, le sue forme

organizzative, il suo modo di entrare nei nuovi mercati, la sua presenza sul territorio, in modo

da rispondere alle sfide sociali. In particolare, e questo è un tema pochissimo osservato,

l‟azienda sfruttando moltissimo le modalità di flessibilizzazione e delocalizzazione del lavoro,

si viene a trovare in una situazione imprevista. Ha sempre di più a che fare con dipendenti

che, in negativo, sanno di non poter contare su contratti a tempo indeterminato e su carriere

“lineari”, con tutto lo strascico di problematiche motivazionali che ne consegue; in positivo,

invece, che a loro volta sfruttano i contratti di lavoro a termine o atipici per “acquisire”

competenze, liste di clienti, informazioni, risorse da poter poi utilizzare quando il contratto

scadrà e dovranno cercare un altro posto. A questo punto il contratto di lavoro non è più

considerabile come un dispositivo giuridico semplice che “lega” giuridicamente due serie di

aspettative chiare, discrete e definite. La contrattazione diventa relazionale includendo al suo

interno aspetti della vita del dipendente che prima non sarebbero mai stati concepiti come

rilevanti per un contratto di lavoro. Il tema della conciliazione famiglia-lavoro, riguarda

proprio uno di questi aspetti, cioè i diritti di cura che un dipendente ha nei confronti dei suoi

familiari e che un datore di lavoro può tenere in considerazione quando stringe un rapporto

contrattuale.

Nel prossimo futuro il combinato disposto della differenziazione dei territori e della

Page 149: Report. Territori che conciliano

149

personalizzazione delle relazioni industriali, spingerà certamente verso forme di

contrattazione di secondo livello, spesso gestite insieme a diversi attori del territorio. Esiste

infatti una tendenza, seppure ancora piuttosto in nuce, di trattare queste innovazioni sociali

entro progetti di “sviluppo territoriale” con il sostegno delle associazioni imprenditoriali, dei

sindacati degli enti bilaterali e anche di pezzi rilevanti di servizi sociali territoriali. Come si

comprende si connette la forma della partnership, altamente flessibile dal punto di vista

contrattuale, con quella del territorio, estremamente flessibile dal punto sociale. In pratica si

usano artefatti semantici che lasciano aperti orizzonti di possibilità ampi, pur mantenendo la

capacità di regolarli. Tutto ciò – al di là della sua formalizzazione giuridica – necessita

certamente di elementi non-contrattuali del contratto, quali fiducia reciproca, impegno verso

un bene comune, capacità di co-operazione che non possono essere definiti contrattualmente.

è proprio in questo punto che entrano in gioco gli attori sociali del territorio che possono

sviluppato schemi di pacchetti di welfare, anche adatti alle piccole imprese, dove gli enti

pubblici e le associazioni di categoria, il sistema della formazione, i sindacati, etc. offrono

sostegno per la loro fattibilità (Treu, a cura di, 2013). Di fatti se l‟ambito aziendale è il più

adatto per poter osservare i reali bisogni dei dipendenti e quindi personalizzare i dispositivi di

welfare, quello territoriale il migliore per osservare i percorsi di sviluppo del territorio. La

costruzione partecipata del welfare aziendale, cioè di programmi bilaterali o ancora meglio

multilaterali, non solo è indice di un profondo radicamento dell‟azienda, ma pure che sono in

atto processi di ri-territorializzazione.

5.2.4. Personalizzazione come sistema di servizi “tagliati” sulla persona.

“Personalizzare” un servizio significa operare e orientarlo in modo da interagire con la

persona in quanto medium di potenzialità plurali (a diversi livelli di osservazione ontologica:

potendo cioè contare su diversi strati esistenziali (Prandini e Sabel 2013). Operare in due

direzioni diverse: 1) cucendo il servizio addosso alle contingenti e peculiari potenzialità del

soggetto; 2) per generare un passaggio dalla potenza all‟atto, cioè attivando qualcosa che era

dis-attivato. È la logica interna del servizio, la sua configurazione, a essere dirimente. A

contare sono i meccanismi generativi che producono personalizzazione, cioè le procedure del

servizio che portano le potenzialità a venire attualizzate e “realizzate”. In altri termini

possiamo dire che la “personalizzazione” è la formula di contingenza di un modo iper-

specificato di produrre servizi. Sebbene tutto potrebbe significare “personalizzazione”, solo

Page 150: Report. Territori che conciliano

150

laddove è presente una logica generativa di “capacitazione”, se ne può parlare in modo

congruo. Da questo punto di vista il medium persona è il piano di pogtenzialità su cui operare

con il servizio, trasformando la persona in una nuova forma, cioè portandola in una situazione

di nuova auto-realizzazione. Nell‟operare in questo modo (Fig.5.2), la persona non è

semplicemente una tabula rasa su cui imprimere forme, bensì esattamente quel piano di realtà

stratificata ontologicamente da riconoscere nella sua contingenza peculiare, su cui fare “leva£

per il progetto di riforma. Qui, forma-persona significa che le potenzialità latenti e non

ordinate (dis-ordinate) che ogni individuo possiede, vanno ri-ordinate ed enacted, affinché

passino dalla potenza all‟atto e, così, possano aiutarlo a cogliere opportunità sociali che nella

sua configurazione (deficitaria) precedente non potevano essere colte. In altre parole: la

(ri)attivazione delle potenzialità personali latenti, diventa condizione di possibilità per poter

cogliere opportunità sociali.

I risultati della ricerche e le riflessioni che stiamo elaborando, dovrebbero convincere i datori

di lavoro che un programma conciliativo ben progettato e implementato, soprattutto se basato

sulla flessibilità dell‟orario di lavoro, ma arricchito da ulteriori dispositivi, dovrebbe essere

personally tailored. Il sistema conciliativo, oltre a dover essere complesso e ricco, deve anche

essere fortemente ritagliato-disegnato sui bisogni dei dipendenti. Non bisogna seguire le mode

e fare quello che al momento è più pubblicizzato dai mass-media.

È la personalizzazione del sistema conciliativo che conta. Per questo occorre una analisi

preliminare che colga esattamente i bisogni in campo. E occorre, infine, anche un sistema di

valutazione capace di mostrare cosa funzione e cosa invece va cambiato. Se infatti siamo in

presenza di un benessere complessivo e globale che deriva da un lavorio costante di scelte che

portano ad un equilibrio riflessivo personale, allora non ha molto senso progettare un sistema

di dispositivi conciliativi mono-diretti, con la presunzione di toccare un solo livello della vita

del dipendente.

Page 151: Report. Territori che conciliano

151

Fig. 5.2 – La logica dei servizi personalizzati (relazionali e riflessivi) come logica di trans-formazione

I manager, o i proprietari delle aziende, dovrebbero essere consapevoli di questa verità, anche

perché la vivono in prima persona come tutti. Un vero sistema di conciliazione deve essere

rivolto alla persona nella sua interezza, calcolando anche come variabile decisiva i suoi

“impegni” familiari, il suo equilibrio psicologico e, naturalmente, anche la sua capacità

produttiva. Il dipendente va dunque considerato come un persona “integrale” che va rispettata

in tutte le sue dimensioni e i suoi diritti. Isolare solo un aspetto di quell‟intero, significa fallire

completamente lo scopo. Per lo stesso motivo, anche voler giustificare i dispositivi di

conciliazione soltanto come strumenti per aumentare la produttività o il benessere familiare,

non ha molto senso perché ognuna di quelle dimensioni è collegata alle altre. Per poter

erogare questo tipo di servizi serve organizzare il territorio in modo innovativo, attivando tutti

gli attori capaci di contribuire alla generazione di benessere.

Tempo 1

Persona come medium di

potenzialità “sciolte” e

dis-attivate

Tempo 4

Persona come forma di

potenzialità ri-attivate

e ri-organizzate

Tempo 2-3

Erogazione del servizio personalizzato,

relazionale e riflessivo;

- assessment dei problemi

- pianificazione del servizio

Processo di trans-formazione

Page 152: Report. Territori che conciliano

152

5.3. Cosa significa territorializzare il welfare aziendale: come riconnettere

l’Amministrazione pubblica, il sistema delle aziende e il benessere familiare

5.3.1. De-territorializzazione e ri-territorializzazione dell’economia: alcuni spunti di

riflessione.

LA riflessione sul welfare aziendale non può però limitarsi a quanto accade dentro alla

azienda. Fondamentale è il sistema di governance territoriale che deve sostenere lo sviluppo

“a rete” delle innovazioni aziendali. È risaputo che il problema del nostro Paese non sia quello

della mancanza di innovazione, nel nostro caso di innovazione di welfare aziendale, quanto di

disseminarla nelle PMI. È a quel livello che i problemi sorgono. Occorre quindi collegare la

teoria e la pratica dello Shared Value a una riflessione sui fattori economico-sociali che

spingono verso la reticolazione, il pooling, il clustering. In particolare, occorre una riflessione

sulla ri-territorializzazione dell‟economia capace di orientare verso la costituzione di cluster

aziendali, cioè “concentrazioni territoriali di aziende specializzate in determinati settori (ma

anche di settori differenti), interconnesse tra di loro insieme a fornitori, erogatori di servizi e

istituzioni (università, associazioni sindacali e datoriali, agenzie regolative, amministrazioni,

etc.) che competono e cooperano simultaneamente. Non è qui possibile sintetizzare la

rilevanza di questi cluster per i vantaggi competitivi delle economie, teoria sviluppata da M.

E. Porter (1985; 1990). E neppure possiamo introdurre il tema, estremamente interessante per

il futuro, dell‟emergere di una nuova economia di città-stato (World Economic Forum, 2014).

Rimane il fatto che da più parti sta chiarendosi la rilevanza di una nuova territorializzazione

dell‟economica, fortemente embedded in territori coesi, innovativi, fortemente connessi,

governati in modo sperimentale, capaci di attrarre e di far crescere culturalmente,

civicamente, politicamente, i propri cittadini. Il fattore centrale rimane sempre quello della

capacità di porre in relazione identità e interessi diversi, in modo tale che possano auto-

sostenersi.

Entro il complesso campo della scienza economica, esiste una disciplina estremamente

rilevante per il nostro tema: la geografia economica, recentemente tornata alla ribalta a motivo

della notorietà raggiunta dai premi Nobel Krugman e Stiglitz. Studia i processi e le strutture

spaziali delle attività economiche, sottolineando i fattori che ne influenzano il radicamento o

lo sradicamento (Clark et alii, 2000). Lo spazio, anche nel caso dell‟attività economica, non è

mai “liscio”, cioè uniforme: non è uno spazio geometrico newtoniano. Viene costantemente

Page 153: Report. Territori che conciliano

153

organizzato e “costituito” per renderlo abitabile e produttivo. Le interazioni e gli scambi nello

spazio sono sempre costosi. Il costo dipende dal tipo di scambio e dalle fattezze geografiche

dello spazio. In particolare ha enorme importanza il costo dei trasporti (comunicazioni) e

quello dell‟accesso ai mercati. Dipende inoltre dalla comunicazione e coordinazione dei

lavoratori. Un secondo insieme di fattori riguarda la possibilità di raggruppare i fattori della

produzione e /o di concentrarli nello spazio. Alcuni assets sono da considerarsi “beni

pubblici” o “beni comuni”, altri sono da considerarsi come esternalità positive quali

knowledge spillovers tipicamente idee, innovazioni, etc. che possono essere osservate e

copiate dalle aziende che risiedono in quei cluster. Un esempio classico è la densità del

mercato del lavoro, cioè il numero, le relazioni e la possibilità di attivarle di lavoratori entro

un certo spazio. Una alta densità di lavoro agevola fortemente la relazione tra domanda e

offerta di lavoro, mettendo in connessione competenze dei lavoratori e bisogni delle aziende.

Nel modello centro-periferia di Krugman (1991) la mobilità del lavoro è centrale in quanto la

concentrazione di lavoratori in uno spazio economico, agevola la creazione di mercati

profittevoli per le aziende, così come la presenza di aziende che lavorano rende profittevole

per i lavoratori insediarsi in quel luogo. Uno dei suoi risultati più rilevanti sta nell‟aver

dimostrato come il successo di una azienda è fortemente connesso alla presenza di cluster di

altre aziende, di reti di fornitori, da fornitori di servizi, infrastrutture logistiche, istituzioni

politiche, presenza di leggi e di standard resi effettivi, centri universitari, associazionismo di

vario tipo, etc. In pratica le aziende fioriscono entro un ecosistema innovativo e supportivo

che fiorisce entro un contesto con aziende innovative e produttive. Potremmo anche affermare

che l‟economia è sempre fortemente localizzata e che in verti casi va a catalizzare contesti in

equilibrio dinamico e auto-rafforzantesi. Questo equilibrio va concepito sia in termini di

opportunità reciproche, sia in termini di costi potenziali. Una azienda “piantata” nel centro di

nulla, dovrà probabilmente investire sulla formazione dei dipendenti, su servizi, sul

istituzioni, connessioni, etc.

Michael Storper ha proposto uno schema molto semplice per spiegare i diversi sentieri verso

la territorializzazione o de-territorializzazione economica, basato sull‟analisi

dell‟organizzazione della produzione enacted entro i due contesti del mercato e dei fornitori

necessari. Egli costruisce una tabella a doppia entrata (Fig. 5.3): sull‟ascissa pone i costi di

trasporto e di transazione (TMM: Transactions and Transport to Market); sull‟ordinata i

fattori relazionali che servono per produrre il bene finale (TEKSS: Upstreams Trasactions,

Page 154: Report. Territori che conciliano

154

Externalities, Knowledge Spillovers, Scale). Se i costi TMM vengono di solito pensati come

in diminuzione, quelli TEKSS sono molto più variabili, vista la velocità della domanda e dei

bisogni in continuo cambiamento. Per tale motivo, la narrazione della blobalizzazione

economica come sradicamento, de-terrritorializzazione, spazializzazione neutrale, etc., ha

fortissimi limiti. Le forze che spingono alla territorializzazione e alla clusterizzazione della

produzione sono fortissime e in atto. In particolare la teoria predice un aumento rilevante di

specializzazione economica territoriale dovuta al fatto che l‟organizzazione della produzione

cerca di localizzarsi dove maggiore è la facilità di approvvigionare fattori di produzione

(compresa la forza lavoro, il capitale sociale, culturale e istituzionale, etc.).

TTM

T

E

K

S

S

Isolamento Concentrazione

Basso Medio Alto

Basso

Impianti isolati

e dispersi (possibili catene di

fornitori internazionali intra-

industriali)

3

Area di mercato

per impianti isolati

(possibili catene di

fornitori internazionali intra-

industriali;

importazione)

2

Medio

Grandi impianti

dispersi;

grandi cluster

interconnessi

(alta esportazione; catene di fornitura

complesse)

3, 4

Grandi impianti

interconnessi

(alto export?;

catene di fornitura

complesse)

3, 4

Impianti orientati

ai grandi mercati

(catene di fornitura

per import)

Alto

Cluster

Interconnessi

(orientati all‟export)

1

Supercluster

(orientati all‟export)

1

Cluster isolati

locati in aree di

mercato

(catene di fornitura

per import?)

2

Concentrazione

Fig.5.3. Forze che influenzano la territorializzazione: prossimità e mercati + modelli di territorializzazionee di commercio.

Legenda:

1. Il vincitore prende tutto, specializzazione per competenze

2. Beni e servizi parzialmente non commercilizzabili

3. Manifatturiero sensibile all‟importazione, con divisione del lavoro

4. Mercati globalmente contendibili con flussi di sapere globale

Secondo questo modello possiamo osservare quattro strati dell‟economia globalizzata.

Il primo (n. 1), include attività altamente specializzate e capaci di servire ogni parte del

Page 155: Report. Territori che conciliano

155

mondo. Si tratta del livello più specializzato attualmente operante a livello economico. Si

tratta di due realtà estremamente diverse. 1a) da un lato specialisti nel campo della finanza,

dei media, dello sport, della consulenza manageriale, della scienza, della medicina, etc. Le

loro iper-competenze vengono generate in contesti economici molto localizzati, ma i loro

servizi sono facilmente commercializzabili e, oggi, richiesti da mercati globali, mentre il

costo della loro commercializzazione rimane basso. 1b) Dall‟altro si tratta di cluster

industriali altamente specializzati e orientati all‟export, quelli che la letteratura ha chiamato

“distretti”.

Il secondo livello (n.2), è composto da realtà che servono beni e servizi parzialmente o

totalmente non trasmissibili al di fuori del territorio. La loro vendita necessita di una

fortissima prossimità con l‟acquirente. Si pensi a tutto il “movimento” a km. 0.

Il terzo (n.3) livello corrisponde al processo di globalizzazione mediante de-

territorializzazione. La produzione non necessita di particolari rapporti con il territorio ed è

facilmente vendibile. Si pensi ai servizi di annuncio o di call center, oppure alla manifattura a

basso livello di specializzazione.

L‟ultimo livello (n.4) è composto da beni e servizi presi sempre più in mercati aggredibili.

Per quanto riguarda il nostro tema, quello della territorializzazione, mi pare evidente che la

costruzione di reti di welfare aziendale rappresenti una opportunità di crescita sia per le

aziende, sia per il territorio che andrebbe a caratterizzare economie del tipo 1 e 2, tipiche di

molti dei nostri contesti italiani. Costruendo reti di welfare, le aziende non solo scambiano

conoscenze, beni, servizi, abbattendo i costi: innescano anche lo sviluppo di mercati di beni e

servizi innovativi; la creazione di partnership pubblico-private, etc. L‟espansione di saperi e

competenze, così come la possibilità di copiare innovazioni è fondamentale come gran parte

della letteratura dei cluster ha già mostrato mediante il tema della competizione-solidarietà tra

aziende. Stesso logica sottintende la creazione di un mercato denso di lavoratori specializzati,

soprattutto nei campi che caratterizzano la path-dependency del territorio (programmi di

welfare per orientare i figli dei dipendenti e per farli studiare). I legami tra le aziende e la loro

filierizzazione (Prandini 2012b) è un ulteriore capo saldo del territorio in esame (programmi

di welfare per le filiere, reti di imprese). Questa “reticolazione” è solo possibile laddove le

aziende, insieme, sono capaci di porsi domande quali: il mio operare e i prodotti che produco,

sostengono lo sviluppo integrale del territorio? I miei prodotti includono crescita sociale?

Sono responsabili verso il contesto in cui vivo? Purtroppo però non pare che questa capacità

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156

riflessiva sia presente in molti imprenditori – che continuano a concepire il loro ambiente

come una scatola di opportunità da sfruttare a basso prezzo – e neppure nei rappresentanti dei

sindacati delle associazioni di categoria e negli amministratori pubblici. Manca quello che

Porter chiama cluster thinking che altro non è che la capacità di pensare per grappoli di attori

e per territorio, la propria strategia imprenditoriale (Donati e Prandini 2009). Questa tendenza

viene proposta laddove si vogliono potenziare i Paesi in via di sviluppo, ma in realtà riguarda

allo stesso modo le nostre imprese. Vediamo più in specifico di cosa si tratta e come lo si può

collegare al tema della territorializzazione.

5.3.2. Cosa è un territorio: oltre la semantica del locale-globale, verso una governance

sperimentale, poliarchica e di cluster

In questa parte voglio entrare nel cuore della argomentazione e affrontare il tema, sempre

molto confuso, del territorio. Confuso perché molto spesso: 1) lo si identifica semplicemente

con un pezzo di spazio delimitato politicamente-amministrativamente o sotto qualche altro

aspetto; 2) per tale motivo lo si equipara al “locale”. Ma così facendo il territorio va a indicare

soltanto una porzione di spazio definita non dalle sue costituencies, ma solo dal livello

politico-amministrativo (quindi “estrinsecamente”), in un riferimento oppositivo al globale. A

mio parere, invece, occorre procedere con due modalità di riflessione completamente diverse.

La prima ha a che vedere con una concezione “costituzionale” del territorio e con il relativo

cluster thinking: la seconda con il tipo di governance che può regolare tale costituzione.

1) Un territorio è una porzione di spazio che viene distinta dal resto, delimitata e ri-

differenziata al suo interno (Schumacher 2012). La prima operazione è quella del distinguere

tra un interno ed un esterno: l‟interno diventa lo spazio operativo di chi ha posto il confine e

produce i beni che verranno poi distribuiti tra i costituenti. A porre la distinzione, a segnare il

confine è un attore, individuale e collettivo, che si appropria di quello spazio. Questa

complessa operazione di delimitazione, appropriazione, distribuzione di beni è il momento

“costituente” del territorio. Costituente significa che la territorializzazione non ha nulla a che

vedere con la realtà naturale di una ambiente, bensì con un atto di invenzione “politica”. I

costituenti, gli attori che vanno a costituire il territorio, sono coloro che “collettivamente” gli

assegnano identità e funzioni, istituendo confini con un esterno su cui non possono operare.

Una volta che è stato costituita una “sfera” di azione, i costituenti la utilizeranno come

confine di senso per dare significato alle loro progettualità. Territorializzare significa perciò

Page 157: Report. Territori che conciliano

157

costituire un confine contenente-delimitante uno spazio che diventa l‟eco-sistema di sviluppo

dei suoi costituenti e di cui occorre prendersi cura (Magnaghi 2010). Questo eco-sistema è

costituito dagli attori in gioco (nel nostro caso: aziende, istituzioni culturali, politiche,

scientifiche, famiglie, cittadini, etc.; culture civiche, politiche, economiche, senso civico,

abitudini e stili di vita, saperi rilevanti, competenze di vario tipo, etc,). L‟insieme degli attori

“costituenti” – gli stakeholder – traccia una distinzione andando – di “rimbalzo” – ad “auto-

costituirsi” come un Noi che diventa visibile e istituito, prendendo identità e cominciando a

operare come una collettività: questo “Noi” ri-entra in questo spazio-operativo, curandone la

crescita e lo sviluppo inclusivo (Prandini 2012b). Senza questa riflessività – l‟agire in termini

di un Noi (cluster) e dei suoi stakeholder ambientali, curandosi di generare benessere e

potenzialità di sviluppo per essi – senza questo cluster thinking non esiste affatto un

“territorio”, bensì solo uno spazio operativo “locale”, senza nessuna vera identità specifica.

Sentirsi parte di un territorio, operare per creare un “welfare territoriale”, significa invece

operare come una collettività che possiede un bene comune oltre quella dei suoi costituenti.

Bene comune che può essere pensato solo mediante un pensiero di cluster: agisci sempre in

modo che il territorio che di cui sei parte costituente e che mi ri-costituisce ogni giorno, si

sviluppi e cresca insieme alle tue attività. Se cresce solo l‟azienda, ma questa crescita provoca

una de-crescita del territorio, allora l‟azienda non fa “parte” di un territorio: semplicemente

utilizza uno spazio operativo per realizzare i suoi obiettivi. Che quello spazio sia qui o su

Marte, non fa la differenza. Il territorio è quindi lo spazio operativo di una azienda, costituito

insieme ad altri istituendo confini di senso, in cui l‟azienda ri-entra, prendendosene cura come

suo luogo di crescita e sviluppo. In tal senso il territorio è un “bene comune”, cioè la

condizione di possibilità per è produrre il bene di tutti i suoi costituenti. È evidente che il

territorio è costituito da una pluralità di attori, non solo quelli economici, ma pure quelli

politico-amministrativi, quelli della cultura, della formazione, dalle famiglie, etc. da chiunque

se ne prenda cura, riflettendo sulle conseguenze delle sue proprie operazioni sul resto dei

costituenti.

2) La governance di tale territorio-costituito, non può assolutamente rifarsi ai vecchi modelli

governativi del command-and-control, cioè non può essere governato da un centro-vertice che

decide per la periferia: deve invece elaborare una strategia di governo poliarchica e

sperimentale.

Una governance di questo tipo è stata teorizzata Charles Sabel (2013) – prendendo nel corso

Page 158: Report. Territori che conciliano

158

del tempo – il nome di sperimentalismo democratico, governance sperimentalista, poliarchia

direttamente deliberativa, regimi contestualizzanti. Questa logica di governa prevede, in

buona sostanza, che le istituzioni centrali (come che siano costituite), attribuiscano autonomia

a quelle locali per perseguire scopi generali espliciti. Il centro monitora le prestazioni locali,

colleziona informazioni di tipo comparativo e crea pressioni e opportunità per un

miglioramento continuo a tutti i livelli. Il dispositivo è vincente proprio perché riesce ad

adattarsi meglio a contesti, come quelli sociali, che sono connotati dall‟incertezza e da

contingenze che non possono essere calcolate con facilità. Esso implica: 1) la

decentralizzazione delle azioni e il coordinamento centralizzato della loro valutazione; 2) la

piena considerazione dei segnali di deviazione dalla norme, perché le anomalie e le devianze

sono concepite come sintomi di problemi e come opportunità per migliorare il sistema. La

funzione di questo processo non è il controllo, ma rendere trasparente il funzionamento del

sistema. 3) La partecipazione degli stakeholder non è obbligata normativamente, bensì libera

e basata sul impegno a risolvere un problema comune. I vantaggi del modello sono molteplici:

1) stimola a individuare e rispondere ai deboli segnali di errore, con prassi di diagnosi e

correzione condivisa. Le diverse unità operative sono spinte a gareggiare verso il meglio, col

fine di acquisire reputazione intersistemica; 2) riduce notevolmente la massa di informazioni

che il centro dovrebbe avere per costruire la norma o la procedura di riferimento. Questo

potere è infatti attribuito agli attori locali; 3) stimola comportamenti autonomi e creativi,

mentre chiede rendicontabilità e trasparenza; 4) produce una messe di cambiamenti

amministrativi e regolativi che possono circolare tra le unità, arricchendole; 5) induce una

riflessione a diversi livelli del sistema (nelle unità operative, tra di loro, a livello centrale); 6)

stimola l‟apprendimento e la correzione reciproca; 7) si basa su processi di impegno

collaborativo, riducendo i rischi di opportunismo.

Una variante del modello è quella dei regimi contestualizzanti (contextualizing regimes).

Questi emergono a livello nazionale, ma soprattutto globale, laddove i decisori istituzionali si

trovano a dover decidere (sempre più spesso) su problematiche estremamente complesse,

transnazionali, metadisciplinari, etc. In queste situazioni critiche, scelgono di delegare la

decisione, o almeno la fase di analisi della problematica, a organizzazioni di stakeholder

esperti (pubblici, privati, Ong, partnership, etc.). Questa tendenza è sempre più forte perché:

1) i decisori istituzionali non posseggono le conoscenze specifiche per risolvere i problemi

crescentemente più intricati; 2) sanno che la scelta della normativa e delle procedure da

Page 159: Report. Territori che conciliano

159

applicare è contestuale, quindi non generale né deducibile da un corpus completo di dati; 3) la

globalizzazione richiede l‟implementazione di norme che sono a cavallo di legislazioni

nazionali diverse. I regimi in esame possono essere generati da livelli diversi del sistema e

sono composti da attori estremamente dissimili. Possiedono però una struttura comune che

include alcune caratteristiche basilari. 1) La prima caratteristica è data dai confini vaghi e

cangianti della membership. Questi regimi sono del tutto differenti, per esempio, dalle

associazioni di commercio che si focalizzano sugli scambi bilaterali, perché hanno a che fare

con beni e servizi che non sono regolabili al momento dell‟erogazione. La conformità

concerne piuttosto la filiera di produzione e non il prodotto. Poiché anche le regole e le

procedure della filiera sono cangianti, questo tipo di regime associa al processo di valutazione

anche quelli di investigazione e di sperimentazione. La deviazione dalla norma è quindi intesa

come richiesta di sostegno, training e monitoraggio reciproco da parte delle unità. La

sanzione più pesante è quella di essere esclusi dal processo di certificazione. 2) Le strutture

tendono ad essere amorfe e complesse, soprattutto cercano di includere tutti gli stakeholder

che si avvicinano e sono in grado di dare un contributo. 3) I regimi hanno la forza di rendere

esecutive le loro normative perché utilizzano una cultura dell‟equità e della giustizia

(fairness) procedurale, fondata sui valori della trasparenza; della pubblicizzazione delle

performance e dei dati rilevanti; dell‟inclusione di tutti i coinvolti; di procedure decisionali

massimamente consensuali, basate sulla buona fede e sulla deliberazione ragionata; della

auto-valutazione continua; della critica costruttiva e cooperativa.

Il dispositivo, che per ragione di sintesi chiamiamo di sperimentalismo democratico, può

essere descritto come una procedure che implica la relazione “sussidiaria” tra attori centrali (i

sovraintendenti) e unità operative che sono chiamate a implementare i programmi del

territorio, avendo però massima libertà di azione (fig.5.4). Questa libertà di azione viene per

così dire compensata da forme di controllo obbligatorie, svolte però da peer che riflettendo

suoi diversi piani d‟azione scambiano informazioni, suggerimenti, vie d‟uscita da problemi

incontrati, etc. In questo modo il “territorio” – cioè l‟insieme degli attori che si sono auto-

costituiti in un Noi ben riconoscibile e che agiscono per realizzare, oltre ai loro progetti

specifici, bene comuni necessari alla crescita collettiva – riescono a “vedere” l‟interesse

comune e a lavorare per esso. Ognuno, sia essa l‟amministrazione pubblica, o il sindacato, o

l‟ente bilaterale, o l‟azienda, o il comitato dei consumatori-cittadini, i rappresentanti famiglie,

etc., percepisce più chiaramente che il suo modo di agire e di perseguire i propri interessi è

Page 160: Report. Territori che conciliano

160

legato al modo di agire degli altri e che il loro agire “comune” genera quei beni né privato né

pubblici che sono necessari alla crescita di tutti. Si tratta di un “gioco” a somma maggiore di 0

dove chi opera deve vincere facendo vincere anche gli altri, almeno nei termini della

manutenzione e dello sviluppo di quelle risorse che servono a tutti.

Fig. 5.4: Lo sperimentalismo democratico come struttura poliarchia direttamente deliberativa.

5.3.3. L’ordine costituzionale del territorio: come dare rappresentazione unitaria a processi e

strutture territoriali complesse

Un modo diverso, ma funzionalmente equivalente di concepire la regolazione del territorio, è

quello della sua auto-costituzionalizzazione. Le Costituzioni (politiche) moderne sono emerse

dall‟accoppiamento strutturale tra il sistema politico e quello giuridico. Mediante l‟invenzione

della Costituzione il primo ha risolto il problema della legittimità del potere (potenzialmente

arbitrario), sottoponendolo al controllo del diritto; il secondo ha risolto il paradosso della sua

fondazione, richiamandosi al decisore politico e alle fonti del diritto. Una volta

L‟attore centrale sceglie, insieme ad altri stakeholder più informati ed esperti, gli

scopi generali da perseguire (il suo valore di bene comune) e le misure di massima

per raggiugerli.

Le unità operative (aziende, sindacati, associazioni civili, agenzie private, e ogni

altro tipo di attore) si attivano e/o sono attivate, per decidere come raggiungere gli

scopi e come misurarne il valore (economico, politico, sociale, culturale, etc.),

elaborando piani d‟intervento.

A fronte di questa libertà di azione, le unità si obbligano a riferire in modo

regolare e chiaro, i successi raggiunti, le modalità di lavoro utilizzate, i modi per

misurarli, etc., e a confrontarli insieme ad altri attori competenti. Se del caso,

procedono a una loro riscrittura

Al centro del processo sta una nuova forma di rendicontabilità, basata sulla Peer

review. Le unità operative devono rendicontare, davanti a un pubblico

rappresentativo delle constituencies del contesto in cui si opera, del loro operare,

cioè debbono rendere ragione delle loro scelte

È obbligatorio per tutti rendere conto dell‟uso della libertà attribuito dal sistema,

alla luce delle altre esperienze implicate. La rendicontabiltà non è più basata sulla

comparazione delle prestazioni rispetto a una regola/standard fisso, bensì sulla

attività di giustificazione davanti a attori esperti e stakeholder

La rendicontabilità richiede di mostrare come è stato considerato l‟impatto delle

loro decisioni su tutti gli altri stakeholder; di spiegare i motivi delle loro decisioni;

di essere soggetti a un valutazione periodica.

Page 161: Report. Territori che conciliano

161

costituzionalizzato lo Stato – cioè la forma di autorappresentazione semplificata del potere

politico – ha potuto includere e quindi controllare e regolare ogni altro attore sociale. La

complessità sociale ha però richiesto forme diverse di “costituzionalizzazione” degli attori

sociali: le configurazioni già descritte del neo-corporativismo e delle costituzioni economiche

ci hanno ricordato che la Modernità oscilla dal suo inizio tra spinte neo-liberiste e neo-

welfariste, senza riuscire a trascenderle. Le due figure di “governo” inventate dal Moderno

per ridurre i costi di trasazione, sono state non a caso le “gerarchie” e i “mercati”

(Hollingwood e Boyer 1997). Queste hanno rappresentato per tutto il Novecento due

“metafore” dell‟ordine sociale, ben oltre le loro tecnicalità, in quanto si sono strettamente

legate, la prima al valore del controllo centrale (e di conseguenza della redistribuzione e della

perequazione), la seconda della libertà (e di conseguenza della produzione e della

concorrenza). Sarebbe interessante seguire le rappresentazioni simboliche di questi due

principi organizzativi e di ordine – che topologicamente prendono rispettivamente la figura

della “piramide” e della “rete” (Ost e van de Kerchove 2002) – ma non possiamo che

sintetizzarne le logiche così da far emergere per differenza gli ordini costituzionali.

Le gerarchie sono strutture d‟ordine composte da unità (spesso burocratiche) chiamate anche

“agenti” e da un ufficio centrale (o capo ufficio) chiamato “principale”. Ogni unità

(burocratica) è direttamente subordinata ad una – e solo ad un‟altra – unità (burocratica) fino

ad arrivare al vertice o “principale”. Questa forma di organizzazione e di trasmissione

verticale di comandi e controlli, è estremamente funzionale per decomporre problemi

complessi (e “continui”) in una serie discreta di problemi più semplici. Ognuno di questi,

però, è solo lascamente connesso agli altri e perciò poco influente sul processo di soluzione.

Potremmo dire che la gerarchia è una macchina per decostruire la complessità, trasformando

realtà emergenti in realtà addizionali (con i rischi di riduzionismo del caso). Il vertice è anche

quel centro che: i) determina le responsabilità e le giurisdizioni delle sotto-unità

(burocratiche); ii) le dota di risorse; iii) le supervisiona e ne monitora le prestazioni. Questa

forma di governo funziona bene ed è adeguata, solo se il “vertice” ha a disposizione tutte le

informazioni necessarie a controllare e dirigere le sotto-unità (e anche tutte le informazioni

sulle unità), così da poter risolvere tutti i problemi di coordinamento che emergono nel

processo di governo. È evidente che lo Stato moderno costituzionale e di diritto è una

concretizzazione di questa struttura d‟ordine. Il problema è che in una società complessa e

“accelerata” come l‟attuale è altamente improbabile che: 1) il suo vertice “politico-

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162

governativo” sia così ben informato; 2) le sotto-unità utilizzino le informazioni e i poteri a

loro attribuiti solo per svolgere la loro funzione (mentre le usano non per “servire”, ma per

mantenere e aumentare i loro interessi-poteri); 3) la suddivisione del problema in micro-

problemi aiuti alla sua soluzione (in realtà crea difficoltà crescenti di coordinamento tra

principale e agenti, e fortissime inefficienze e inefficacie di sistema). Per tali motivi l‟ordine

gerarchico, nel suo complesso, ha una capacità di reazione al cambiamento ambientale molto

lenta (per di più dipendente dalle capacità di comprensione delle innovazioni da parte dei

vertici) e non si crea alcuna reale condivisione collettiva dei problemi, dei saperi, delle

soluzioni e degli obiettivi.

I mercati consistono invece solo di attori indipendenti e non ordinati reciprocamente

attraverso alcun un vertice. Nessun attore è sovraordinato-subordinato ad altri e ognuno può

impegnarsi in qualsiasi tipo di transazione con chi vuole. Possono naturalmente nascere

filiere, economie di scale, collaborazione, cluster, distretti, ma senza un loro ordinamento

gerarchico. In altre parole le regole che governano le transazioni sono autoprodotte attraverso

lunghi processi di eduzione sociale che vanno a costituire ordini spontanei. Le istituzioni del

contratto e della proprietà, garantite giuridicamente, cementano il sistema. Il mercato si adatta

velocemente alle novità e trasmette quasi in diretta le informazioni utili al suo funzionamento

(si pensi all‟importanza della formazione “immediata” dei prezzi senza che sia necessaria

alcune “programmazione” centralistica, tema troppo spesso sottovalutato). Qui, a differenza

della gerarchia, il problema sta nel fatto che i mercati funzionano bene quando il futuro è

facilmente prevedibile, quando i meccanismi di domanda e offerta non vengono pervertiti da

altre logiche e, soprattutto, quando vi sono clienti solvibili.

Gli “ordini costituzionali” (Sabel 1997) consistono invece di unità (costituenti) e di un

sovraintendente (costituito). Le unità costituenti possono essere qualsiasi cosa: attori di

mercato come aziende; cittadini; membri di un sindacato o di altre associazioni, uffici di

organizzazioni private o pubbliche, agenzie governative, organizzazioni di Ts. Il

sovraintendente potrebbe essere una Corte (Costituzionale o privata arbitrale); il capo ufficio

di una gerarchia pubblica o privata; l‟ufficiale eletto di una associazione; una entità

burocratica; un comitato arbitrale; infine un “soggetto” composto da questi ed da altri

soggetti, per esempio un cartello locale per lo sviluppo economico formato da rappresentanti

di sindacati, imprese, banche locali, grandi e piccole aziende, agenzie di welfare, istituzioni

educative, etc.. La topologia degli ordini costituzionali è “frattale”, dove una distinzione

Page 163: Report. Territori che conciliano

163

rientra in se stessa creando sotto-insiemi. Solitamente un sovraintendente è l‟unità di un

ordine istituzionale di ordine superiore che così va a costituirsi come un “ordine di ordini”. La

funzione del sovraintendente (costituito) è di determinare le responsabilità e le giurisdizioni

delle unità (costituenti) e di porre le regole attraverso cui esse possono agire e risolvere i

conflitti che insorgono. Egli svolge una funzione regolativa (legislativa), di governo e di

giudizio. La sua autorità, giurisdizionale e legislativa, deve essere coerente con le regole a cui

anche il sovraintendente è obbligato in quanto unità (logica dell‟auto-governo) e tutte le

regole devono essere necessariamente stabilite consultando i costituenti. Le forme di

consultazione possono essere le più diverse.

Diversamente dai mercati, gli ordini costituzionali – attraverso i sovraintendenti – possono

programmare e decidere di allineare (o ridisegnare) le diverse unità, i loro compiti e le loro

dotazioni. Diversamente dalle gerarchie, possono fare conto su unità che auto-allineano

reciprocamente i loro interessi, mediante processi di consultazioni e deliberazione comune. In

buona sostanza gli ordini costituzionali sono più efficienti ed efficaci dove: esistono forti

problemi di coordinamento spontaneo e/o dove l‟ambiente sociale cambia in fretta. Negli

ordini costituzionali, infatti, le relazioni orizzontali tra le parti (costituenti) – tipiche del

mercato – possono essere modifiche tramite consultazione e deliberazione a livello verticale

(costituito). Così è possibile ri-ordinare l‟ordine costituzionale, potendo cambiare i propri

interessi, identità e regole di coordinamento, senza distruggere l‟ordine. Questo modo

d‟ordine costituzionale è, questa la mia ipotesi, il più adeguato per costituzionalizzare il

Territorio così da dotarlo di una sua specifica identità differente sia da quella delle istituzioni

dello Stato sia da quella delle organizzazioni del mercato (Prandini e Teubner 2011).

Nel nostro caso è un territorio che cerca il suo ordine costituzionale poliarchico. Il territorio,

proprio perché non è più identificabile con confini politici o amministrativi, deve trovare una

nuova forma di rappresentazione unitaria capace di includere tutti i “costituenti” che se ne

prendono responsabilità. Tra questi ci saranno “anche” gli attori istituzionali politico-

amministrativi – la Regione, la Provincia, il Comune, etc. – ma in realtà i protagonisti saranno

molti di più e posti in una configurazione fortemente orizzontale. Per specificare meglio

questa idea, propongo la figura 5.5 che traggo da miei lavori di ricerca precedenti. In

orizzontale metto la variabile che descrive i tipi di attore e di organizzazione che vanno

volontariamente a costituire un territorio. Questi possono essere attori di provato for profit (e

loro rappresentanti), di privato non for profit (e loro rappresentanti) e, infine, regimi

Page 164: Report. Territori che conciliano

164

pubblico/privati. In orizzontale pongo il grado di regolazione, meglio di giuridicizzazione, del

loro accordo/legame di territorio. A seconda della logica di interpolazione tra le due variabili,

si strutturano tipi di costituzionalizzazione del territorio molto diverse. Alcune hanno un

carattere estremamente informale e semplice, come quelle della casella 1 che vede la presenza

di soli attori for profit legati da una cooperazione informale poco strutturata giuridicamente:

altre, invece, si costituzionalizzano in modo più strutturato come le realtà della casella 7 che

includono diversi attori pubblici, privati, for e non for profit, regolati attraverso una

giuridificazione particolarmente stretta. Centrale in questo contesto è la costruzione di

partnership tra attori diversi che servono a sviluppare nel tempo e senza una specificazione

troppo restrittiva, progetti comuni. La rilevanza di questa tipologia sta nel sottolineare che i

territori possono rappresentarsi unitariamente “eccedendo” la loro regolazione politico-

amministrativa, costituendo “sovraintendenti” complessi dove vige la logica di una

rappresentanza funzionale invece che politica. Detto in altri termini, il governo del territorio

può andare ben oltre la configurazione moderna dell‟ente pubblico, andandosi ad auto-

costituire mediante una pluralità di attori che hanno identità, risorse, capacità operative, molto

diversificate. Si tratta davvero di “politicizzare” in modo nuovo il territorio, uscendo da una

logica politico-amministrativa angusta che non riesce più a governare processi simultanei di

delocalizzazione, rilocalizzazione, generazione di partnership pubblico-private e sociali,

l‟ibridazione di forme imprenditoriali, la formazione di nuove entità amministrative che

superano i vecchi confini.

Page 165: Report. Territori che conciliano

165

TIPO DI

ATTORE

Grado di formalizzazione del legame

Basso Medio Alto

Privato for

profit

1

Distretti

Cluster

Distretti economici

emiliani

(Ceramico; tessile;

biomedicale, etc.)

2

Contratto di rete

esempi

- Rete Giunca di Varese

- Associazione imprese

modenesi per la RSI

Privato non

for profit e

for profit

3

Distretti socio-economici

4

Partnership privato/privato

Pubblico/

privato

5

Contratto di area/Patto

territoriale/

Piani di Zona (come

documenti di

programmazione

territoriale)

6

Partnership

pubblico/private

Esempi

- contratti di secondo

livello:

- partnership per la

realizzazione di servizi di

cura (es. asili aziendali)

- accordo collettivo di

Prato

7

Distretti sociali e

Alleanze

Esempi

- Distretti Family Friendly

Trentino

- Alleanza per le Famiglie

del Comune di Schio

Fig. 5.5. Tipi di costituzionalizzazione del territorio

5.4. La sfida delle Alleanze territoriali per lo sviluppo socio-economico: un territorio che

si costituisce e si attiva per generare benessere comune

Un ultima riflessione la vogliamo dedicare ad un esempio di auto-costituzione territoriale che

ha al centro il tema del benessere familiare, ma che potrebbe generalizzarsi ad altre

problematiche emergenti. Per svolgere il punto dobbiamo distinguere almeno tre diverse

questioni, prendendo come esempio ciò che sta realizzando la Provincia di Trento con il suo

Distretto-famiglia:

1) le politiche sociali, in generale, e quelle per la famiglia, in particolare, rappresenteranno nel

prossimo futuro dispositivi di investimento pubblico estremamente rilevanti poiché finalizzati

alla generazione di capitale umano e sociale di qualità, due risorse sempre più necessarie ad

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166

uno sviluppo socio-economico equilibrato (Hemerijk 2012);

2) il Distretto-famiglia della Provincia di Trento rappresenta, in Italia, il primo e più

importante esperimento di ri-territorializzazione di benessere socio-economico: è

caratterizzato, in questo momento, da processi di “ri-attivazione“ di attori territoriali e da una

logica generativa plurale capace di ridefinire l‟identità e il senso di appartenenza territoriale

(Magnaghi 2010);

3) Il Distretto-famiglia possiede potenzialità che, se ben orientate, portano alla realizzazione

di una Alleanza locale per la famiglia, intesa come messa in rete sinergica e riflessiva di tutti

gli attori ri-attivati sul territorio. L‟Alleanza locale per la famiglia ci porta oltre il meridiano

della sussidiarietà moderna, e verso il nuovo orizzonte della policontesturalità sociale

riflessiva (Malfer 2011).

Queste tre fenomenologie, già in atto nella Provincia di Trento che qui prendiamo come

esempio di ri-territorializzaione delle politiche per uno sviluppo socio-economico integrato, si

dipanano all‟interno di un processo più ampio e di lungo periodo: la riscoperta del territorio

come luogo di vita capace di fornire senso di appartenenza comune e risorse per una qualità di

vita elevata. La ri-territorializzazione degli spazi che la prima globalizzazione sembrava aver

reso “astratti, senza qualità e senza storia“, è un movimento di medio termine che porterà a

una competizione tra luoghi dell‟abitare per l‟acquisizione delle migliori risorse umane,

economiche, politiche, sociali, culturali, etc. Solo i territori che saranno capaci di auto-

condursi in modo equilibrato, sostenibile e generativo, rimarranno luoghi del con-vivere bene,

mentre chi non riuscirà in questo esercizio socio-politico, si trasformerà in uno spazio di

flusso (dove nessuno vuole davvero vivere e fermarsi) o in una zona emarginata e di

esclusione (da dove non si riesce più ad uscire). La sfida è appena iniziata, ma la geo-politica

della seconda globalizzazione è già ben visibile. Si pensi solo all‟idea di riconfigurare

l‟Europa non in termini di Stati nazionali ma di macro regioni socio-economiche qualificate

da peculiari modalità di fare società, economia e sviluppo. Il caso della Provincia autonoma di

Trento va dunque considerato come un esperimento di nuovo sviluppo sociale che potrebbe

essere copiato e riadattato anche ad altre zone dell‟Italia.

5.4.1. Le politiche familiari come investimenti generazionali per lo sviluppo socio-economico

del territorio

La prima tesi che intendo sostenere, pertiene il cambiamento delle logiche che sottendono lo

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167

sviluppo dei modelli di welfare. I dispositivi di welfare, da meccanismi generali e

prevalentemente impersonali di assicurazione contro rischi tipici dei corsi di vita moderni, si

trasformano in dispositivi specifici e personalizzati di investimento socio-economico. I

programmi di welfare tradizionali, basati su assicurazioni standard calcolate su base attuariale

e per un tipo di cittadino lavoratore, maschio, capace di lavorare per un massimo di quaranta

anni, in una stessa occupazione per tutta la vita, con una carriera interrotta solo per incidenti

come la malattia oppure la disoccupazione (che però era correlata ai cicli economici), non

rispondono più né a i vecchi né ai nuovi bisogni dei cittadini. Molte categorie di persone che

nella Modernità erano escluse dal mercato del lavoro - donne, disabili, anziani, madri sole -

sono ora sempre più centrali in esso, mentre altre che erano concepite come incluse sono

sempre più escluse - per esempio i giovani. L‟immigrazione, il cambiamento delle forme

familiari, l‟entrata massiccia delle donne nel mercato del lavoro, ha messo fine al panorama

sociale dei Trent‟anni gloriosi.

Per questi e per molti altri motivi, il valore della solidarietà sociale che nel vecchio welfare

era espresso dal patto generazionale, tacito, tra lavoratori e pensionati e che era basato su

meccanismi di redistribuzione di denaro, sta radicalmente cambiando. Sempre più i rischi che

debbono essere affrontati non sono attuarializzabili: sono rischi così imprevedibili che è

impossibile dire chi e quanto si dovrebbe pagare per creare una massa di assicurazioni tale da

indennizzare chi incorre davvero nelle perdite. Da qui la necessità di una strategia a lungo

termine dove il welfare diventi un fattore di produzione cioè di investimento per il benessere

del territorio. Si tratta di un welfare dove i sevizi devono permettere alle persone di navigare

meglio tra i contesti più diversi delle loro vite (Prandini 2012). Al centro di questo welfare sta

la partecipazione al mercato del lavoro, il diritto delle giovani generazioni di poter maturare e

prepararsi all‟ingresso nella società degli adulti e, infine le garanzie per le generazioni anziane

di poter godere di benessere anche una volta usciti dal mondo del lavoro.

Un welfare siffatto, fattore di crescita per le società europee, deve poter sostenere le persone e

le loro relazioni lungo tutto il ciclo di vita cosicché esse possano essere messe nelle

condizioni di realizzare al massimo le loro potenzialità individuali e sociali. Centrali per il

nuovo welfare sono le aree di policy che concernono: la capacitazione e professionalizzazione

occupazionale lungo tutto il ciclo di vita; la life-long learning; servizi per l‟infanzia di elevata

qualità per una adeguata inclusione nella società; servizi per l‟adolescenza finalizzati a una

coerente entrata nella società e nei ruoli da adulti; la conciliazione tra tempi di vita e di

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lavoro; servizi per gli anziani che li motivino a rimanere in attività se non lavorativa, di tipo

sociale; servizi e politiche per l‟integrazione degli immigrati e dei loro figli; politiche per la

disabilità, etc..

I nuovi servizi, in sintesi, vanno: finalizzati alla piena inclusione delle persone e delle loro

relazioni sociali fondamentali; cuciti sulle caratteristiche delle persone per renderle

pienamente capaci di attuare i loro potenziali; integrati al ciclo di vita; resi policontesturali,

cioè capaci di allacciare relazioni tra contesti di politiche sociali diverse.

In altri termini il nuovo welfare si indirizza verso l‟erogazione di servizi relazionali e

personalizzati (Prandini 2008): più che mantenimento e compensazione (la vecchia assistenza

sociale) si parla di capacitazione. Quando l‟aggregazione dei rischi fallisce, allora occorre

aiutare gli individui e le famiglie ad auto-assicurarsi contro i rischi rendendoli capaci di

acquisire le capacità di cui hanno bisogno per affrontare i problemi. Il nuovo orizzonte è

quello dei beni relazionali, beni che necessitano di relazioni sociali coesive per essere prodotti

e goduti. Il bene comune necessita di cittadini impegnati per la coesione sociale; per

trasformare gli individui in cittadini impegnati servono servizi personalizzati sui bisogni e sui

progetti personali, tali che vadano a stimolare la crescita del capitale umano e sociale di

ciascuno e che contrastino la trappola della dipendenza, dell‟isolamento sociale e della de-

responsabilizzazione o peggio della depressione (con erosione del capitale umano). Questa

nuova filosofia dei servizi personalizzati non può funzionare con la vecchia idea

compartimentale dell‟organizzazione pubblica dei servizi. È infatti sempre più evidente che i

problemi non possono essere affrontati e risolti “a pezzi“ - lavorando a compartimenti stagni -

ma debbono essere posti in un ordine relato: ecco perché occorre sviluppare “fasci o

pacchetti“ di servizi: per esempio tra politiche attive del lavoro e servizi per la relazione

familiare, per la salute e l‟istruzione. L‟efficacia dei servizi personalizzati, tra l‟altro, non è

indipendente dalla risposta dell‟utente. Il dispositivo dei nuovi servizi personalizzati è basato

sulle logiche della fioritura e della attivazione delle risorse personali e sociali dell‟utente.

In conclusione, il welfare del nuovo millennio sarà concepito come un mezzo di investimento

per lo sviluppo equilibrato della società. Equilibrato significa qui: rispettoso delle diverse

“ecologie“ che danno energia e risorse alla società. La prima e più fondamentale di queste

ecologie è la famiglia, intesa qui precisamente come “attore fiduciario“ della società, ossia

come relazione tra i sessi e le generazioni dove originalmente vengono elaborate e fatte fiorire

risorse fondamentali per la società: la fiducia, la capacità di donare, la reciprocità, la

Page 169: Report. Territori che conciliano

169

socializzazione a ruoli adulti e la generazione di motivazioni positive per partecipare alla

società (Prandini 2012). Il welfare come capacitazione personale e investimento sociale, sarà

dunque un dispositivo generazionale, nel duplice significato di: a) saper generare risorse

decisive per la società; 2) relazione adeguata tra generazioni diverse di cittadini che si legano

in nuovi patti sociali.

5.4.2. Il dispositivo “Distretto“ e l’attivazione familiare di un territorio

Dentro a questa enorme trasformazione dei sistemi di welfare, sta l‟elaborazione di nuove

politiche territorializzanti. Il Distretto-famiglia della Provincia autonoma di Trento ne è uno

dei primi esempi. Come si può vedere analiticamente nella fig. 6, il Distretto ha una struttura

e una logica generativa molto precisa e innovativa.

1 - Seguendo visivamente il disegno, si osserva al suo centro il significato fondamentale del

Distretto: l‟orientamento o ri-orientamento di beni e servizi dagli attori del territorio, in modo

da far ri-entrare nelle loro specifiche logiche operative il valore della famiglia. In pratica ogni

attore del territorio (servizi ai cittadini, esercizi commerciali, enti amministrativi, scuole, etc.)

deve prevedere almeno una azione che prenda in considerazione la cura della famiglia. In tal

senso ogni attore, con le sue diverse logiche funzionali, svolge un compito rivolto a creare

agio familiare. Qui il termine “agio“ sta precisamente a significare il rapporto tra la famiglia e

il suo intorno sociale in termini di comodità, cioè di “adeguatezza alla misura della famiglia“.

Il territorio viene così attivato “familiarmente“, ri-orientando la sua operatività al benessere

famigliare.

2 - Questo “cuore“ del distretto, confina in alto e in basso con due funzioni politiche: quella

dello sviluppo socio-economico e quella dello sviluppo dell‟agio familiare. L‟intenzionalità

del distretto è perciò duplice e capace di regolare le proprie operazioni sia dal lato economico

che familiare. Si noti come questo modo di procedere è fondamentale, per fare un esempio,

nel campo delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, riviste in termini non

semplicenmente di compensazione, bensì di sviluppo socio-economico.

3 - La bi-focalità verso politiche socio-economiche e familiari viene sviluppata in modo

duplice, come è chiarito dal disegno. Dal lato delle politiche per l‟agio familiare troviamo

l‟elaborazione di: i) politiche sussidiarie e capacitative; ii) politiche riflessive e

personalizzanti. Le prime sostengono una governance orizzontale del sistema di servizi che

dovrebbe capacitare i membri delle famiglie; le seconde dovrebbero esercitare riflessività per

Page 170: Report. Territori che conciliano

170

gestire le relazioni tra i diversi attori e personalizzare i servizi di capacitazione. Dal lato delle

politiche di sviluppo socio-economico, troviamo invece: i) politiche di sviluppo locale e ii)

politiche di sviluppo sostenibile. Qui si tratta di policies che fanno del territorio non una

superficie “liscia“, senza storia e identità, da sfruttare per motivi economici, bensì una vera e

propria ecologia abitativa da riprodurre e da fruire nel rispetto dei diversi ambienti, anche a

fini economici, ma non solo (anche sociali, politici, culturali, sanitari, etc.).

4 – L‟area delle politiche per l‟agio familiare, si apre a destra e a sinistra, mediante logiche di

generazione di legami sociali. Sulla sinistra si osservano politiche per lo sviluppo della

coesione e inclusione sociale; sulla destra politiche di prevenzione del disagio e per la

promozione sociale. L‟area delle politiche di sviluppo socio-economico, si aprono in alto e a

destra verso politiche di attrattività territoriale, mentre in alto e a sinistra verso politiche per lo

sviluppo e la crescita sostenibile del territorio.

5 - Ancora più a lato, incastonate in quattro rombi, troviamo i processi di generazione-

creazione delle nuove risorse del welfare. Dall‟alto e da sinistra, girando in senso orario e

verso il basso, incontriamo: 1) i processi di catalizzazione e di aggregazione degli attori per la

crescita sostenibile del territorio; 2) i processi di promozione e generazione delle risorse per

l‟attrattività territoriale; 3) i processi di creazione capitale umano mediante servizi di

capacitazione; 4) i processi di creazione di legame e capitale sociale per lo sviluppo di

coesione e inclusione sociale.

6 - Gli attori e gli strumenti del sistema che sono richiesti dal Distretto sono quelli posti nei

due grandi contenitori rettangolari che chiudono in alto e in basso la figura. Si noti che gli

attori includono sia realtà istituzionali politiche ed economiche, sia di terzo settore e le

famiglie. Gli strumenti sono principalmente dispositivi di standardizzazione, audit,

certificazione, disciplinari. Si tratta di una nuova ondata di metodologie normo generative di

grande interesse, perché tentano di dare una regolazione a modi di operare estremamente

peculiari e diversificati. Non è questa la sede per riflettere su questa nuova metodologia di

lavoro, molto interessante (S. Ponte, P. Gibbon e J. Vestergaard 2012).

7 - Infine ai lati estremi della figura, troviamo gli outcome che dovrebbero derivare dal

funzionamento del distretto. Sempre dall‟alto al basso in senso orario, processi di

valorizzazione del:

a) circuito economico e culturale che crea, collega e distribuisce una pluralità di capitali per

creare l‟effetto emergente di un territorio ricco e pieno di qualità

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171

b) attrazione e accoglienza di famiglie e dei cittadini, senso di appartenenza, identità locale,

pratiche di radicamento e territorializzazione, creazione di reti;

c) mezzi, beni e servizi finalizzati alla fioritura delle giovani generazione e al sostegno per

l‟invecchiamento attivo;

d) legame sociale ricco e differenziato che crea fiducia e reciprocità per generare stili di vita

civici e civili.

Si noti, infine, come questa architettura che traggo dal Distretto, ha al suo interno la

possibilità di svilupparsi come dispositivo per la creazione di una filiera territoriale family

friendly. Mi pare infatti evidente che se ogni attore del territorio deve operare riorientandosi

all‟agio della famiglia, allora dovrà riflessivamente richiederlo anche ai suoi fornitori o

clienti. In tal senso “esplode“ la corsa verso la regolazione di modi di operare family friendly

che vanno a creare la filiera delle nuove politiche territoriali a sostegno della famiglia

(Prandini 2013b). Un buon sistema pubblico-amministrativo di premialità e di marchi di

qualità (come Family in Trentino) per chi fa parte della filiera dovrebbe dare incentivi alla

catalizzazione di nuovi attori intorno ai beni e servizi familiari.

5.4.3. Le Alleanze locali come drivers di investimento socio-economico sostenibile e inclusivo

A partire dalla innovazione del Distretto-famiglia e avendone valorizzato le strutture, i

processi e le logiche generative che ne fanno uno dei dispositivi di politica socio-economica e

familiare più interessanti al momento attuale, possiamo chiudere questa breve riflessione

rilanciando il tema delle Alleanze locali. A mio parere, queste Alleanze (di derivazione

tedesca) sono qualcosa di diverso, ma compatibile e addirittura complementare alla logica del

Distretto. Le Alleanze locali sono reti di attori provenienti dall‟ambito dell‟economia, della

politica e della società civile. I diversi partner si ritrovano nel territorio di appartenenza su

base volontaria, e mirano a migliorare le condizioni di vita e dei loro cittadini tramite progetti

mirati ai bisogni specifici. I progetti possono riferirsi a temi i più diversi intervenendo in una

pletora di campi di attività. I partner delle Alleanze territoriali si impegnano in base alle

rispettive possibilità, offrendo il contributo del proprio know how. Tematiche fondamentali

possono essere sono la conciliazione famiglia e lavoro, assistenza ai minori, infrastrutture

family friendly, la conciliazione tra attività professionale e cura familiare e l‟assistenza ai non

autosufficienti: ma anche lo sviluppo di infrastrutture comuni, la creazione di collaborazioni

tra aziende, la firma di un contratto di rete, la realizzazione di formazione al lavoro per

Page 172: Report. Territori che conciliano

172

giovani e disoccupati, etc.. Tra gli attori protagonisti possono essere presenti: i rappresentanti

dei Comuni, gli imprenditori, le aziende for profit, le Camere del lavoro e i sindacati, le

agenzie del lavoro, associazioni, Fondazioni, Università, Ospedali, Chiese e operatori

nell‟ambito dell‟assistenza ai minori e ai giovani.

Le Alleanze locali, rispetto al Distretto-famiglia, si specificano per almeno tre motivi

fondamentali:

1) non sono necessariamente attivate dall‟amministrazione pubblica, ma in prevalenza si auto-

attivano. L‟amministrazione fornisce solo sostegno tecnico-operativo mediante una società di

consulenza specializzata. Non è necessario che l‟amministrazione finanzi con denaro, essendo

il suo sostegno molto più rilevante in termine di infrastrutturazione regolativa e di sostegno

alla creazione di reti;

2) operano mediante reticolazione, cioè legando i diversi attori a un progetto comune che deve

essere perseguito insieme;

3) si rivolgono a progettualità estremamente specifiche, a partire dai bisogni presenti sul

territorio e quindi sono meno legate ai processi di standardizzazione.

In buona sostanza potremmo affermare che nel nostro Paese le Alleanze locali possono

rappresentare uno sviluppo coerente del Distretto, ampliandone la portata in termini di attori e

di progettualità. Il Distretto, incrociandosi con la logica più bottom-up delle Alleanze, si

arricchirebbe di progettualità condivise e reticolari. In pratica gli attori che il Distretto ha

prima attivato e poi orientato a progettualità comuni, verrebbero messi in una relazione più

stretta andando così a “costituire” proprio quella rete sociale fortemente informale prospettata

dal Distretto. Sarebbe possibile anche lo sviluppo delle due prospettive l‟una

indipendentemente dall‟altra.

A differenza dalla Germania dove le Alleanze locali sono rivolte alla creazione di risorse per

le famiglia, nel nostro Paese e in assenza di un vero impulso del Governo centrale a fare delle

Alleanze una politica strutturale (ben comunicata, finanziata e sostenuta a livello locale),

come è avvenuto nel caso tedesco, è evidente che iniziare con il Distretto pare più semplice ed

efficace. In realtà anche in Germania almeno i due terzi dei progetti locali è sostenuto e

finanziato dalle amministrazioni locali. In Italia potrebbero essere le Regioni a prendere

l‟iniziativa per le Alleanze locali sostenendo i Comuni che a loro volta sosterrebbero la

società civile. Le Regioni potrebbero gestire la costituzione di Distretti-economici e questi

fare uso di metodologie generative di Alleanze locali a livello comunale. La logica non

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173

dovrebbe essere quella del finanziamento diretto, che tende a “drogare“ l‟offerta, ma di un

sostegno alle progettualità in termini di know-how. Si andrebbero così a innervare i territori

mediante logiche sussidiarie di investimento intergenerazionale, volte a rigenerare il tessuto

sociale ed economico, orientandosi al benessere dei cittadini (Prandini 2012d). Esattamente i

nuovi e antichi valori del welfare coniugati alla necessità di sostenere una crescita economica

altamente inclusiva e innovativa.

Page 174: Report. Territori che conciliano

174

Fig.5. 6. Esempio di costituzionalizzazione di una Alleanza territoriale

Page 175: Report. Territori che conciliano

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