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Maria Rita Saulle Relazioni internazionali e Diritti fondamentali 1981-2005 CRONACHE E OPINIONI ARACNE
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Relazioni internazionali e Diritti fondamentali 1981-2005 · Avendo avuto occasione di leggere su “Il Tempo” e su “Italia Oggi” alcuni articoli della prof.ssa Maria Rita Saulle,

Dec 01, 2018

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Page 1: Relazioni internazionali e Diritti fondamentali 1981-2005 · Avendo avuto occasione di leggere su “Il Tempo” e su “Italia Oggi” alcuni articoli della prof.ssa Maria Rita Saulle,

Maria Rita Saulle

Relazioni internazionali e Diritti fondamentali

1981-2005CRONACHE E OPINIONI

ARACNE

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Copyright © MMVIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1451–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre 2007

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Avendo avuto occasione di leggere su “Il Tempo” e su “Italia Oggi”alcuni articoli della prof.ssa Maria Rita Saulle, ordinario di Diritto interna-zionale e attualmente giudice, componente della Corte costituzionale italia-na, sono rimasto colpito dalla capacità di sintesi e dalla chiarezza della suascrittura. Questo spiega perché mi sono rivolto, alcuni mesi orsono, alla pro-fessoressa, proponendole di realizzare, con il suo consenso, una pubblicazio-ne che raccogliesse un consistente numero di articoli editi tra il 1981 e ilnovembre 2005, data del suo ingresso alla Corte.

Ottenuto l’assenso dei Direttori delle due Testate, si è proceduto a sele-zionare gli articoli e a sistemarli secondo un criterio temporale e secondoun indice per materia. Proprio a questo riguardo va detto che alcuni arti-coli sfiorano tematiche diverse: si è deciso, d’accordo con l’autrice, di sce-gliere l’argomento “prevalente” e di effettuare, almeno in qualche caso,alcuni rinvii.

In linea di principio ci si è orientati a distinguere gli articoli in due gran-di sezioni: Relazioni internazionali e Diritto.

Il lettore noterà come, in certi casi, alcune proposte formulate dallaSaulle, a commento di eventi internazionali o nazionali, si sono nel temporealizzate. Ciò induce a ritenere la ripubblicazione di questi scritti anchecome un servizio reso dall’Aracne editrice alla cultura italiana e giustificanoi ringraziamenti rivolti all’autrice.

Gioacchino Onorati

Nota dell’editore

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ELENCO DELLE SIGLE

ACNUR: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (v. UNHCR)AIDOS: Associazione Italiana Donne per lo SviluppoAIEA: Agenzia Internazionale per l’Energia AtomicaALADI: Associazione Latino–Americana di IntegrazioneALALC: Associazione Latino–Americana del Libero CommercioANFFAS: Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli e Adulti SubnormaliARFA: Associazione Romana tra le Famiglie degli AudiolesiAWR: Association for the Study of World Refugee Problem

(Associazione per lo Studio del Problema Mondiale dei Rifugiati)BIRS: Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo = Banca MondialeBIT: Ufficio Internazionale del LavoroCASD: Centro Alti Studi per la DifesaCFE: Treaty on Conventional Armed Forces in Europe

(Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa)CE: Comunità EuropeaCECA: Comunità Europea del Carbone e dell’AcciaioCED: Comunità Europea di DifesaCEE: Comunità Economica EuropeaCERN: Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire, poi Organisation européenne

pour la Recherche Nucléaire(Centro Europeo per la Ricerca Nucleare)

CIA: Central Intelligence AgencyCICT: Conseil International du Cinéma et de la TélevisionCOMECOM: Consiglio per la Mutua Assistenza EconomicaCOMITES: Comitati degli Italiani Residenti all’EsteroCRPC: Commissione per i Reclami Immobiliari in Bosnia e Erzegovina dei Profughi

e dei RifugiatiCSCE: Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in EuropaCSI: Comunità degli Stati IndipendentiEFTA: European Fair Trade Association

(Associazione Europea del Commercio Equo–Solidale)ETA: Euskadi Ta Askatasuna

(Paese Basco e Libertà)EURATOM: Comunità Europea dell’Energia AtomicaFAO: Food and Agricultural Organization

(Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura)FIADDA: Federazione italiana fra le Associazioni per la Difesa dei Diritti degli AudiolesiFMI: Fondo Monetario Internazionale (v. IMF)GAB: General Arrangement to BorrowGATT: General Agreement on Tariffs and Trade

(Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio)ICAO: International Civil Aviation Organization (v. OACI)ICCROM: Centro internazionale di Studi per la Conservazione e il Restauro dei Beni

Culturali

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ICPO–Interpol: International Criminal Police OrganizationIFAD: International Fund for Agricultural Development

(Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo)ILO: International Labour Organization

(Organizzazione Internazionale del Lavoro)IMF: International Monetary Fund (v. FMI)IMO: International Maritime Organization

(Organizzazione Marittima Internazionale)INSTRAW: United Nations International Research and Training Institute for the

Advancement of Women(Istituto Internazionale delle Nazioni Unite di Ricerca e Formazione per ilProgresso delle Donne)

IPDC: International Programme for the Development of Communication(Programma Internazionale per lo Sviluppo della Comunicazione)

IRO: International Refugee Organization(Organizzazione Internazionale per i Rifugiati)

ITU: International Telecommunication Union (v. UIT)JUNIC: Joint United Nations Information Committe

(Comitato Congiunto per l’Informazione delle Nazioni Unite)KFOR: Kosovo ForceMEC: Mercato Comune EuropeoNAFTA: North American Free Trade Agreement

(Accordo Nordamericano di Libero Scambio)NATO: Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del NordNOMIC: Nuovo Ordine Mondiale dell’Informazione e della ComunicazioneOACI: Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale (v. ICAO)OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo EconomicoOIL: Organizzazione Internazionale del Lavoro (v. ILO)OLP: Organizzazione per la Liberazione della PalestinaOMC: Organizzazione Mondiale del Commercio (v. WTO)OMPI: Organizzazione Mondiale della Proprietà IntellettualeOMS: Organizzazione Mondiale della SanitàONU: Organizzazione delle Nazione UniteOSA: Organizzazione degli Stati AmericaniOSCE: Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in EuropaOUA: Organizzazione per l’Unità AfricanaSELA: Sistema Economico Latino–AmericanoSIOI: Società Italiana per l’Organizzazione InternazionaleSTART: Strategic Arms Reduction Talks

(Colloqui per la Riduzione delle Armi Strategiche)UA: Unione AfricanaUE: Unione EuropeaUEM: Unità Economica e MonetariaUEO: Unione dell’Europa OccidentaleUIT: Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (v. ITU)

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UNCTAD: United Nations Conference of Trade and DevelopmentUNDOF: United Nations Disengagement Observer Force

(Forza di Osservazione per il Disimpegno delle Nazioni UniteUNDP: United Nation Development ProgrammeUNEF: United Nations Emergency Force

(Forza di Emergenza delle Nazioni Unite)UNESCO: United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization

(Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura)UNFICYP: United Nations Peacekeeping Force in Cyprus

(Forza delle Nazioni Unite a Cipro)UNHCR: United Nations High Commissioner for Refugees (v. ACNUR)UNICEF: Fondo delle Nazioni Unite per l’InfanziaUNIDO: United Nation Industrial Development Organization

(Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale)UNIFIL: United Nations Interim Force in Lebanon

(Forza Interinale delle Nazioni Unite per il Libano)UNMOVIC: United Nations Monitoring, Verification and Inspection Commission

(Commissione delle Nazioni Unite per il Monitoraggio, la Verifica el’Ispezione)

UNOSOM: United Nations Operation in SomaliaUNOC: United Nations Operation in the CongoUNPD: United Nations Program for Development

(Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo)UNWRA: United Nations Relief and Works Agency for PalestineUPU: Unione Postale UniversaleWMO: World Meteorological Organization

(Organizzazione Meteorologica Mondiale)WTO: World Trade Organization (v. OMC)

8 Elenco delle sigle

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INDICE

Nota dell’editore 5

Elenco delle sigle 6

Prefazione 15

Parte I – Relazioni internazionali

1. Africa, Paesi in via di sviluppo, economia internazionaleLa crisi manifesta dell’OUA va sanata in nome della pace, 21 – Quando calpestano i diritti dell’uomo,23 – Vogliamo migliorare le nostre condizioni di vita ovunque, 25 – Un caso da giuristi non da milita-ri, 28 – Sviluppo, nuove strategie per i PVS, 30 – Più aiuti all’Est a scapito dei PVS, 31 – La responsa-bilità italiana nei confronti della Somalia, 33 – Le molte incognite dell’operazione Somalia, 36 – Gliaiuti alimentari solo ai Paesi democratici?, 38 – Perché le Nazioni Unite picchiano duro in Somalia, 40– Nuove forme di intervento dell’ONU in Somalia, 42 – La missione in Somalia sta cambiando pelle,44 – Sulla Somalia l’Italia deve difendere le sue posizioni, 46 – Se gli USA si disimpegnano dalla mis-sione Somalia, 49 – Il possibile ruolo dell’Italia in Rwanda, 51 – Le poste in gioco con il G7 di Napoli,53 – All’Algeria dialogo e aiuti solo se sa meritarseli, 55 – Non dovevamo tornare in Somalia con learmi, 58 – Che cosa si dirà al vertice ONU di Copenaghen sulla povertà, 60 – Dal Vertice di Copenagheni motivi del sottosviluppo nel mondo, 62 – G7, ecco che cosa ha concluso il Vertice di Halifax, 64 – G7,un vertice economico per discutere del terrorismo, 67 – Tutti a Roma per lottare contro la fame nelmondo, 68 – Fidel Castro ha fatto naufragare il vertice della FAO, 71 – G7, verso un Nuovo ordine eco-nomico mondiale, 73 – G8, l’economia non può fare a meno della politica, 75 – Dopo Seattle l’ultimachance sarà Ginevra, 77 – Non basta cancellare il debito dei Paesi poveri, 79 – Dal G8 scarse prospet-tive per i Paesi più poveri, 81 – Globalizzazione e marginalità dei Paesi in via di sviluppo, 82

2. AlbaniaL’Albania scopre che democrazia non è sinonimo di benessere, 85 – Pronti a usare le armi in difesadegli aiuti umanitari, 87 – Prima che l’Italia rimanga con le mani nella tagliola albanese, 89

3. AmericheCuba può salvarsi soltanto se sceglierà la democrazia, 93 – Speriamo che non faccia scuola il casoHaiti, 95 – Tra Perù ed Ecuador si combatte una guerra fra poveri, 98

4. Asia (Cina)Diritto allo sviluppo e diritti umani, 101 – Deng Xiao Ping, il piccolo grande timoniere, 103 – Re-stituita Hong Kong, adesso vacilla Taiwan, 105 – La politica dei piccoli passi di Clinton in Cina, 107

5. EuropaDue mondi a confronto: Europa della CEE e America latina, 111 – Le Comunità europee, l’Italia e l’ac-ciaio, 114 – È in un trattato il futuro della CEE, 117 – La “consultazione” tra NATO e CEE strumentoper un migliore rapporto, 120 – Efficacia dei regolamenti comunitari nell’ordinamento italiano, 121 –La nuova Ungheria strizza cautamente l’occhio all’Ovest, 125 – Dodici Paesi, unica legge, 127 – Igoverni cercano una nuova sovranità, 130 – È lo Stato italiano che vuole andare in serie B, 131 –Analisi – Le incongruenze col diritto comunitario, 134 – Una sentenza storica sulle direttive comuni-tarie, 135 – L’integrazione europea è ormai una marcia senza ritorno, 137 – Sono immotivate le criti-che CEE, 139 – Professioni senza frontiere nella CEE, 141 – Esportazione dei capitali e norme antiri-

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ciclaggio, 143 – L’accordo sull’UEM ammette defezioni, 145 – Sì irlandese a Maastricht. Adesso spet-ta ad Amato in Italia, 147 – Quale politica italiana per l’Europa, 149 – Cosa succederà se non sarà rati-ficato il trattato, 151 – È sulla base dell’economia che si costruisce l’Europa unita, 153 – Come saràl’Europa del trattato di Maastricht, 155 – L’Europa a più velocità è già stata sancita, 157 – Il cammi-no verso uno Stato europeo è inarrestabile, 160 – In attesa di Maastricht vale il trattato di Roma, 162– Per costruire l’Europa bisogna pensare europeo, 164 – Sussidiarietà, facile da dire difficile da appli-care, 166 – Agricoltura e turismo dopo il referendum, 168 – Il Mediatore, nuova figura in difesa delcittadino CEE, 170 – L’iniziativa centro–europea alla prova in Bosnia, 172 – La locomotiva USA trai-nerà l’Europa, 174 – Quali sono i veri poteri del Parlamento europeo, 176 – Europa e USA alle presecon il regionalismo internazionale, 178 – È soltanto per colpa sua se nell’UE l’Italia è in B, 180 –Libera circolazione delle persone: nell’UE l’Italia è già in serie B, 182 – Le figuracce italiane in campoeuropeo, 184 – Non c’è solo Maastricht ma anche l’Europa sociale, 186 – L’Europa resta un oggettosconosciuto per gli italiani, 188 – Il federalismo è un’ipotesi poco approfondita, 190 – Il ’97 è l’annodella riconquistata credibilità italiana, 192 – Un bilancio del 1998 in attesa dell’Euro, 194 – L’Europadeve stabilire le modalità di allargamento, 196 – Gli sgravi sulla benzina all’esame dell’UE, 198 –Carta UE: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, 200 – Addio al 2002, anno della crescita europea,201 – L’asse franco–tedesco può rafforzare l’UE, 203 – Convenzione UE, inscindibile connubio traEuropa e Cristianesimo, 205 – Costituzione europea, un passo avanti nel complesso cammino verso ilconsolidamento dell’Unione, 207 – Bush in cerca di un nuovo rapporto con l’Europa, 209 –Costituzione UE uno stop non definitivo, 211

6. Fondo Monetario Internazionale (FMI)L’FMI privilegia i Paesi più forti, 215

7. Guerra e paceQuanti sono i modi per “costruire” la pace, 219 – La sovranità dei cieli, 222 – Guerra giusta e guerraingiusta, tema angoscioso ma sempre attuale, 224 – Ormai siamo stanche di piangere i morti, basta conle guerre, 227 – Le Nazioni Unite rilanciano il dialogo contro la guerra, 230 – La flotta americana entranel Golfo, 232 – Nel Golfo la paura delle mine, 233 – Caschi blu ONU: per ora un’ipotesi, 234 – E oraTeheran ha fretta di “sminare” il Golfo, 236 – Non atto di guerra ma legittima difesa, 238 – Aperturaall’Est, avanti ma con giudizio, 239 – Cresce il rischio di un conflitto per sbaglio, 241 – Chi ha vintonella guerra del Golfo non combattuta, 243 – Ulster, l’accordo primo passo per la pace, 245 – La pacenell’Ulster è scoppiata per motivi economici, 247 – La bomba atomica oggi è diventata uno status sym-bol, 249 – Agosto, un mese dedicato alla guerra, 251 – Le reazioni americane agli attentati terroristi-ci, 253 – 1999, guerra per la difesa dei diritti umani, 255 – Un 2004 segnato dall’ombra del terrori-smo, 257

8. IraqIraq a sovranità limitata per l’ONU, 261 – Quali scelte ha di fronte l’ONU per mettere a posto l’Iraq,263 – Hussein ha vinto questa guerra non combattuta, 265 – Dopo l’Euro bisogna costruire i cittadinieuropei, 267 – L’esempio della Baia dei Porci per evitare la guerra, 269 – Iraq, la risoluzione ONUlascia aperte molte strade, 271 – La guerra preventiva è vietata dal diritto internazionale, 273 – Iraqsospeso tra diritto di veto nell’ONU e guerra preventiva, 275 – Iraq, ora torna in gioco l’ONU, 277 –Tempi lunghi per costruire la pace, 279 – L’ONU e l’Iraq, un capolavoro di alta diplomazia, 281 – Lapartita irachena richiama in gioco il ruolo dell’ONU, 282

9. Santa SedePerché celebrato in Italia il processo ad Alì Agca, 285 – Una sentenza tutta da discutere, 289 –Complotto internazionale e relazioni tra gli Stati, 291 – Concordato e diritto internazionale, 293 –Santa sede e Israele, un accordo innovativo, 295

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10. Iugoslavia ed ex IugoslaviaIstria e Dalmazia, Osimo e Rapallo, 299 – Quell’eterna diatriba. La difficile convivenza delle etnie,301 – Crisi iugoslava: perché l’Europa non può intervenire con le armi, 304 – La CEE faccia atten-zione ai rapporti con le repubbliche iugoslave, 306 – I quesiti giuridici sulla crisi iugoslava, 308 –Iugoslavia, il compito dell’ONU, 310 – Armi, embargo alla Iugoslavia, 312 – Gli effetti giuridici delriconoscimento della Croazia e della Slovenia, 314 – Come risolvere la crisi iugoslava, 316 – Unerrore l’intervento italiano in Iugoslavia, 318 – Iugoslavia, perché l’ONU deve intervenire, 320 – Untribunale internazionale per i crimini in Bosnia, 322 – Iugoslavia, aiuti umanitari a rischio, 325 –Trieste dopo la crisi iugoslava, 327 – Un tribunale internazionale contro crimini e violenze, 329 –Un tribunale internazionale per i crimini in Bosnia, 331 – Iugoslavia, la comunità internazionale s’èdesta, 333 – Tra Italia ed ex Iugoslavia il modello Clinton–Cina, 335 – Perché si è resa possibileun’azione NATO in Bosnia, 337 – Bosnia, limiti e vantaggi dell’intervento militare ONU, 339 – Èpossibile e utile l’intervento NATO in Bosnia?, 341 – A Gorazde la NATO ingessata dall’ONU, 343 –È giustificato rinegoziare il Trattato di Osimo, 345 – A Sarajevo il Papa vuole esorcizzare la storia,347 – Slovenia, in Europa si entra solo se in regola, 349 – Cosa c’è dietro la brusca sterzata diClinton in Bosnia, 351 – Perché nell’ex Iugoslavia hanno vinto i cannoni, 353 – Bosnia, la tragediadegli equivoci voluti, 355 – Sulla Bosnia gli USA hanno violato una serie di obblighi, 357 – ExIugoslavia, l’azione ONU paralizzata da USA e Russia, 359 – È venuto il momento di costruire lapace in Bosnia, 361 – Elezioni in Bosnia, sono andate meglio di come sono state descritte, 363 – Nonè detto che in Kosovo funzioni la ricetta Bosnia, 365 – La guerra con la Serbia va riportata in ambi-to ONU, 368 – Dal summit di Sarajevo più democrazia per i Balcani, 370 – Il problema dei Balcani:UE e la trasformazione democratica, 372 – La nuova politica USA: il presidente Bush alla prova deiBalcani, 373 – Milošević al tribunale de L’Aja? Dipende dagli USA, 375 – Milošević alla sbarra nonpotrà avere alibi, 377 – Dopo gli Accordi di Dayton l’Europa si è dimenticata della Bosnia eErzegovina, 378 – La Bosnia oggi è un laboratorio di democrazia, 381 – Le radici antiche della con-flittualità nei Balcani, 383

11. LibiaTra USA e Gheddafi può vincere il diritto, 387 – Perché si assaltano le feluche in Libia, 389 – Laquestione libica e il trionfo del diritto, 391

12. Medio OrienteCon i nervi saldi al tavolo di Madrid, 395 – L’accordo OLP–Israele fra politica e diritto, 397 –Diplomazia segreta e questione mediorientale, 398 – Tra Israele e Giordania un trattato per la pace,401 – Politiche elettorali nazionali e uso della forza in Medio Oriente, 403 – Dove andrà Israele sottola guida di Netanyahu?, 405 – Nella polveriera mediorientale per ora le colombe hanno la meglio,407 – In Medio Oriente l’alternativa alla pace è solo la guerra, 409 – L’accordo Arafat–Netanyahupuò dare pace al Medio Oriente, 411 – Re Hussein lascia un’eredità difficile, 413 – Le possibilità diClinton nel negoziato di Camp David, 415 – Medio Oriente, i giovani chiedono pace vera, 416

13. NATO

Anche per la NATO è arrivata la prima volta, 419 – Bombardamenti NATO, alle volte le bombe ser-vono alla pace, 421 – Un’Alleanza (sempre meno) Atlantica e sempre più europea, 423 – La NATOsi allarga e i suoi compiti cambiano, 425 – La crisi di Timor è stata affrontata meglio di quella delKosovo, 427 – La caduta del Muro di Berlino non ha dato i frutti sperati, 429 – Politica estera e Terzavia all’attenzione internazionale, 431

14. Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)Nell’ambito degli aiuti ai Paesi meno avanzati, 433 – Quando l’ONU invia una “forza di pace”, 436– La pace odierna è una “non guerra”, 438 – L’ONU, l’Italia e le donne, 441 – Un rilancio per l’ONU,l’incontro tra Reagan e Gorbaciov, 444 – Diritti umani e apartheid, 446 – L’ONU e gli istituti spe-cializzati, 449 – Patto sui diritti economici e sociali, 450 – Quella telefonata a Gorki, 452 – Golfo,

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l’ora dei “caschi blu”, 453 – Se all’ONU andasse Shevardnadze…, 455 – Gli emendamenti alla Cartadell’ONU, 456 – L’ONU rappresenta un mondo bipolare che non c’è più, 458 – Troppe lacune neldocumento sulla famiglia delle Nazioni Unite, 460 – L’ONU ha cinquant’anni e li dimostra tutti, 463– Il dopo Yalta. Assestamenti in corso, anche monetari, 465 – Non si può tenere nel ghetto laGermania e il Giappone, 467 – L’ONU ha 50 anni e adesso deve decidersi a diventare adulta, 469 –Troppo magro il bilancio ONU nella gestione Ghali, 471 – Le Nazioni Unite daranno uno schiaffoall’Italia?, 473 – Riforma dell’ONU, buona l’idea di un seggio UE, 476 – Sud–Est asiatico, ONU allaprova degli aiuti umanitari, 477

15. Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL)L’Organizzazione internazionale del lavoro ha 75 anni, 481

16. Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)Da 40 anni al servizio della sanità mondiale, 485

17. Patto di VarsaviaIl crollo del patto di Varsavia cambia tutto, 487

18. TurchiaIl problema curdo è lontano ma ci tocca da vicino, 491

19. UNESCO

L’UNESCO “studia” la comunicazione, 495 – Posizione italiana alla conferenza UNESCO, 497 – Checosa gli USA contestano all’UNESCO, 499 – L’UNESCO da 40 anni in difesa della cultura, 501 – Lospirito di Delfi, 504 – UNESCO: eterno dilemma tra politica e cultura, 506 – I lavori a Sofia del-l’UNESCO, 510 – Il disgelo fa rifiorire anche l’UNESCO, 512 – Perché l’Italia non è più nel consi-glio esecutivo dell’UNESCO, 513

20. URSS – RussiaIl diritto violato dai russi, 517 – Il vero problema oggi in URSS è sapere chi ha il potere, 519 – 1992,dall’ex URSS all’apertura del grande mercato europeo, 520 – Perché Eltsin ha deciso un golpe demo-cratico, 524 – Democrazia, golpe e diritti umani in Russia, 526 – Dove sta andando Boris Eltsin?,528 – Russia, da potenza militare a potenza politica, 530 – La conferenza di Budapest è un ponte traEst e Ovest, 533 – Perché la Russia ha deciso l’invasione della Cecenia, 535 – Cecenia: fine di unconflitto o inizio di un incendio?, 537 – Cosa succederà se nella NATO entrerà anche la Russia, 539– Perché i russi hanno votato per un ritorno al passato, 541 – Dopo il disgelo, l’intesa fra Russia eGiappone, 543 – Russia, positiva la designazione di Putin alla presidenza, 545

21. USA

USA, approvato il rapimento a scopo processuale, 547

22. Questioni varieL’Italia “custode” dei beni francesi, 549 – L’alto mare protetto dal diritto internazionale, 551 –Teheran, una legge contro il diritto, 553 – Baldovino, l’uomo prima del regnante, 554 – Fascismo,nazismo, ONU e questione razziale, 555 – Cade il divieto di ingerenza negli affari interni statali, 557– La mafia è forte perché all’estero la considerano un fatto italiano, 559 – Il diritto internazionale ècambiato da così a così, 561 – Le leggi non si correggono con le interpretazioni, 563 – Le correzio-ni da fare al ddl sul voto degli italiani all’estero, 565 – Un anno di transizione per la politica interna-

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zionale, 567 – Ordine di esecuzione e trattati internazionali, 570 – Il 1995 sarà migliore, lo dice ancheLeopardi, 572 – 1996, un altro duro anno per rafforzare la democrazia, 574 – Autodeterminazione esecessione nel diritto internazionale, 576 – Gli avvenimenti internazionali che il 1996 lascia in eredi-tà, 578 – L’Italia che si autoflagella finisce per essere flagellata, 580 – I principali avvenimenti del-l’anno trascorso, 582 – Il 2003 si ricorderà come l’anno delle disillusioni, 584

Parte II. Diritto

1. IndividuoUn compito che spetta all’intera comunità internazionale, 589 – Prospettive per la tutela dei diritti umani,592 – Gli organismi internazionali e la tutela della persona umana, 593 – Il rifiuto del dolore, 595 – Unconvegno internazionale in Campidoglio, 597 – Quale servizio delle donne per lo Stato, 599 – Lacoscienza dei diritti, 602 – Europa sociale, 603 – La Conferenza mondiale di Nairobi sulla donna, 605 –Diritti umani: da Ginevra speranze deluse, 606 – Costituzione e poteri dello Stato, 608 – La legge deivincitori per i vinti?, 610 – Ma il principio del carcere è già contenuto nella Convenzione europea, 612– L’oscura mappa del pentitismo, la questione della credibilità, 613 – Quarant’anni di tutela dei dirittiumani, 614 – Diritti dell’uomo, conoscerli per applicarli, 615 – Conferenza ONU sui diritti umani, checosa c’è di nuovo, 617 – Legge elettorale, donne e legalità, 620 – Il Tribunale internazionale e i criminiin ex Igoslavia, 622 – Processo Priebke, il crimine internazionale è imprescrittibile, 624 – La Corte inter-nazionale criminale è una svolta storica, 626 – La nuova Corte europea per i diritti umani, 628 – Dirittiumani, dopo cinquant’anni molto resta ancora da fare, 630 – La Convenzione per la salvaguardia deidiritti umani ha cinquant’anni, 632 – Impegni e azioni comuni per tutelare meglio i bambini, 634

2. DonneLa donna secondo l’ONU, 637 – Militari in gonnella questione controversa, 639 – Qual è il ruolo delladonna nello sviluppo del Terzo Mondo, 642 – Ventitré milioni di elettrici, ma tre sole nel Governo, 644– L’Europa per le donne, 646 – Festa e recriminazioni, 648 – Le Olimpiadi e le donne, 650 –“Messaggio donna”: maggiore equilibrio, 651 – “Non discriminazione” fra l’uomo e la donna, 652 –Norme come specchio dei tempi per un ruolo ormai rinnovato, 654 – Otto Marzo, giorno dedicato alladonna, 657 – Codice donna, 660 – Perché dare il voto alle donne, 662 – Il giorno delle mimose, 664– Il pianeta donna e l’occupazione, 666 – Donna–soldato è un diritto, 668 – Violenza in casa contro ledonne, 670 – Le conquiste di ieri e le donne di oggi, 672 – Condizione femminile: troppe le differen-ze tra il Nord e il Sud, 674 – Ma la donna vuole anche solidarietà, 676 – La direttiva CEE e le lavora-trici madri italiane, 678 – Anche per le donne l’alternativa fra servizio militare o civile, 680 – Paritàin politica, giusta la campagna, 682 – Donne e politica, difficile connubio, 684 – Otto Marzo, festadelle pari opportunità, 686 – Il redditometro penalizza le donne che lavorano, 688 – Danneggia ledonne il divieto di lavoro di notte, 689 – Si fa presto a dire festa della donna, 692 – Proposte italianealla Conferenza mondiale sulla donna, 694 – Deludente conclusione della Conferenza di Pechino, 696– La grande risorsa delle donne italiane all’estero, 698 – Nuove opportunità dal servizio militare fem-minile, 700

3. MinoriLa mancata tutela del neonato causa dei traffici di bambini, 703 – Bambini di genitori separati: i millevolti di un grande dramma, 706 – Le adozioni “internazionali” presentano ancora problemi, 709 – Ilsuicidio dei ragazzi, 712 – La legge non difende il nascituro, soltanto la coscienza lo protegge, 713 –È dedicato alla gioventù l’anno che sta per arrivare, 715 – Fecondazione in vitro e diritto internazio-nale, 717 – Una famiglia per un bimbo, 719 – Una violenza artificiale, 721 – Sull’adozione ancoradubbi di legittimità, 723 – All’ONU la tutela del minore, 725 – Uteri in affitto, 727 – Auspicabile unalegge più chiara e incisiva per la tutela dei minori, 728 – Tutela più ampia per i minori, 730 – Con iminori la legge italiana è troppo indulgente, 732 – Italia inadempiente sulla Convenzione dei diritti dei

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minori, 734 – I dieci anni della Convenzione per i diritti del bambino, 736 – Quei bambini trattati comefossero delle cose, 738 – Illegale ogni violazione della dignità del minore, 740 – Nei processi vannotutelati i diritti dei minori, 742

4. DisabiliL’handicappato deve uscire dall’isolamento, 745 – Handicappati, famiglia e società, 749 – Il dirittoallo studio dei portatori di handicap, 751 – Quale tutela giuridica per gli handicappati?, 753 – Una tute-la costituzionale, 755 – Riabilitazione e legislazione internazionale, 757 – Cultura manchevole per benaffrontare il caso dei “diversi”, 759 – Come aiutare milioni di disabili. Da Stoccolma nuove proposteONU, 761 – Non gettiamo via con gli invalidi falsi anche quelli veri, 762

5. Migranti e profughiLa tragedia di milioni di profughi richiede una normativa più adeguata, 765 – Quando gli uomini sonotrattati come fossero “cose”, 767 – Gli indennizzi agli esuli istriani, 769 – Una tassa di entrata per gliimmigrati, 771 – Previdenza sociale, l’immigrato trattato meglio di un italiano, 773 – La tratta deiclandestini è un crimine internazionale, 775 – Sbarchi clandestini. Le norme ci sono, ma mancano imezzi, 776

6. RifugiatiIn cerca di patria lontani dalla patria, 781 – Rifugiati: dal Terzo Mondo ai ghetti di casa nostra, 785 – Irifugiati e l’Europa, 786

7. FamigliaIl matrimonio concordatario e le decisioni della Consulta, 789 – Una “strana” sentenza annullò lenozze Garibaldi–Raimondi, 792 – La tutela della famiglia nel diritto internazionale, 794 – Parità deigenitori: una garanzia in più per i bambini, 796 – La madre padrona, 798 – Il diritto all’abitazione, 800– Come tutelare un essere che si trasforma, 802 – Divorzio dai genitori: che cosa prevede la legge ita-liana, 804 – Il mondo cambia ma la famiglia resta, 806 – Nella politica per la famiglia non c’è solo laleva del fisco, 808

8. MinoranzeTutela delle minoranze o sopraffazione della maggioranza?, 811 – Maggioranza e minoranze, 814 –Alto Adige, vicenda chiusa ma a danno delle minoranze, 818 – È il momento di rinegoziare il Trattatodi Osimo, 820

9. InformazionePerché è doveroso riparlare di Helsinki, 823 – Una società migliore con l’unità dei popoli, 826 –Giornalismo, progetto UNESCO, 828 – Più fonti per evitare l’informazione di regime, 830

10. LavoroI venticinque anni della Carta Sociale Europea, 833

11. ReligioneMa quando finisce la potestà dei genitori?, 835 – Genitori “incapaci” e doveri dello Stato, 838

12. UniversitàL’addio a Gaetano Morelli grande giurista e maestro, 841 – Un anno di ritardo per i nostri studenti,842 – Il CNR apre la sua biblioteca alla Comunità Europea, 843 – Questione istriana e agitazioni stu-dentesche, 845 – Un’università competitiva ha dei costi, 847

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Parte I

RELAZIONI INTERNAZIONALI

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La crisi manifesta dell’OUA va sanata in nome della paceIl ventennale organismo panafricano rischia di spaccarsi

Il mancato raggiungimento del quorum da parte della Conferenza deiCapi di Stato e di governo dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA)che avrebbe dovuto riunirsi in questi giorni a Tripoli non può non richiamarealla mente, sia pure sulla base di motivazioni politiche assai diverse, la para-lisi che a Madrid ha colpito la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazionein Europa (CSCE), che si è riunita e ha dovuto quasi immediatamente aggior-nare i suoi lavori; nonché il continuo e snervante procrastinarsi della soluzio-ne del conflitto medio–orientale. Questi avvenimenti stanno a indicare le dif-ficoltà che la diplomazia internazionale incontra in questo momento sia inrelazione alla soluzione dei conflitti, sia in rapporto al funzionamento di orga-nismi a carattere universale, come l’ONU, o a carattere regionale, comel’OUA, finalizzati al mantenimento della pace, sia nell’ambito di quelleConferenze internazionali nelle quali è maggiormente possibile o l’incontro o— più frequentemente — lo scontro tra le Superpotenze.

Ciò premesso e non sottovalutandosi le riserve che la presidenza libicadella Conferenza, per la durata di un anno, suscita nel continente africano

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Africa, Paesi in via di sviluppo,economia internazionale

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come negli altri continenti, non si può non manifestare timore che gli eventiverificatisi in questi giorni in seno all’OUA possano determinare la fine diun’Organizzazione, creata in conformità del Capitolo VIII della Carta delleNazioni Unite, la quale ha avuto e ha tuttora, tra i vari altri, il merito di rap-presentare un coibente in un continente in cui gli Stati si diversificano profon-damente tra loro per tradizioni politiche, storiche e culturali, per situazioneeconomica oltre che per ragioni etniche.

Costituita il 26 maggio 1963 ad Addis Abeba, l’OUA ha rappresentato, almomento della sua istituzione, il risultato dell’azione svolta da un movimen-to indipendentista africano iniziatosi fin dal 1847 in seguito alla creazionedella Repubblica di Liberia, di cui un esponente di determinante rilievo fuJoseph Booth che per primo osò affermare, già sul finire del secolo scorso, inun’epoca quindi di pieno colonialismo, il principio dell’Africa for theAfricans (l’Africa agli Africani) che ottenne un seppur debole riconoscimen-to alla Conferenza di Berlino del 1884–1885, allorché si indicò tra gli obbli-ghi delle Potenze colonizzatrici, anche quello di tutelare e migliorare le con-dizioni materiali, morali e sociali delle popolazioni colonizzate; principio,destinato a ricevere pressoché completa attuazione soltanto dopo la fine dellaseconda guerra mondiale con la decolonizzazione.

Proprio l’OUA ha avuto il merito di riunire nel suo ambito gli Stati anglo-foni e quelli francofoni, e di prescindere, inoltre, dalla distinzione tra Africabianca e Africa nera. Lo strumento–base dell’Organizzazione, vale a dire laCarta istitutiva, è stata redatta nelle lingue dei colonizzatori, cioè in francesee in inglese, e «se possibile nelle lingue africane», i due testi facenti ugual-mente fede articolo XXIV, n. 2), in quanto nessun’altra lingua, al di fuori diqueste due lingue europee, ha ampia diffusione nel continente africano.

Ma è soprattutto in relazione ai fini che l’Organizzazione intende perse-guire che essa merita di essere preservata e anzi incentivata come mezzo dipace e di progresso per il continente africano. Tali fini sono in parte enuncia-ti all’art. III della Carta istitutiva e possono così riassumersi: il rispetto del-l’uguaglianza sovrana di tutti gli Stati membri; la non ingerenza negli affariinterni degli Stati; il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di qual-siasi Stato e del suo diritto inalienabile a un’esistenza indipendente; la sotto-posizione delle controversie a regolamento pacifico attraverso la negoziazio-ne, la mediazione, la conciliazione e l’arbitrato; l’astensione dal ricorsoall’assassinio politico e da ogni attività sovversiva esercitata dagli Stati vici-ni e da qualsiasi altro Stato; l’appoggio illimitato all’emancipazione totale deiterritori africani che non hanno ancora raggiunto l’indipendenza; l’afferma-zione di una politica di non allineamento nei confronti di tutti i blocchi.

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Certo, non tutti i fini enunciati dall’art. III della Carta sono stati finoraperseguiti con uguale intensità da parte dell’Organizzazione e non sempre irisultati raggiunti hanno corrisposto agli sforzi compiuti da questa durante lasua esistenza. Ma non si può dimenticare quanto l’Organizzazione ha fattofinora — conformemente all’art. III — per migliorare il tenore di vita deipopoli africani, eliminare dall’Africa ogni forma di colonialismo, promuove-re la cooperazione internazionale attraverso il coordinamento della politicadei vari Stati in campo diplomatico, economico, culturale, tecnico, sanitario,scientifico e alimentare. Né si può sottovalutare l’importanza delle risoluzio-ni prese in materia di apartheid, specialmente con riferimento alla Namibia,di quelle sul disarmo, sulla cooperazione economica, sociale e culturale, diquelle concernenti la tutela dei diritti umani — nel senso più ampio dellalocuzione — in Africa.

Questi sono i motivi per i quali è auspicabile che l’Organizzazione supe-ri i contrasti immediati ed evidenti, concernenti la partecipazione ad essa dellaRepubblica Araba Saharaui, scaturiti nel suo ambito; ma soprattutto superi icontrasti più profondi e latenti, di vario ordine e di diversa genesi, che attual-mente, arrestando il funzionamento del suo organo principale, cioè laConferenza, paralizzano in modo virtuale l’intera Organizzazione.

“Il Tempo”, 18 agosto 1982, p. 16

Quando calpestano i diritti dell’uomoL’Africa e le risoluzioni dell’ONU

Il forzato esodo degli stranieri, che si sta verificando in questi giorni inNigeria, in seguito ai provvedimenti restrittivi emanati dal Governo per lacrisi economica che quello Stato sta attraversando e le allucinanti immaginidi desolazione e di disperazione, fornite dai mezzi di comunicazione dimassa, generano in ciascuno un senso di impotenza di fronte ad avvenimentiincontrollabili e per certi aspetti assai lontani — si intende in senso non esclu-sivamente geografico — ponendo come pressante interrogativo quello sul«perché i diritti umani siano così violentemente calpestati». Più volte, da que-ste colonne, ho fatto riferimento ai fondamentali diritti dell’uomo, quali ildiritto alla vita e a un minimo standard di vita, il diritto al lavoro e a un’equaretribuzione, eccetera, auspicando che essi vengano qualificati nell’ambitodell’ordinamento internazionale, come diritti inderogabili (ius cogens) e spie-gando, anche, sul piano pratico le conseguenze che potrebbero collegarsi con

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siffatta qualifica. Certamente, se questo “salto di qualità” nella tutela dei dirit-ti dell’uomo si fosse già verificato, oggi il soccorso non sarebbe lasciatoall’iniziativa di singoli governi come quello italiano, di associazioni religiosee di enti non governativi, ma vedrebbe impegnata, eventualmente attraversogli organi principali e sussidiari delle Nazioni Unite, o attraverso gli istitutispecializzati competenti nel settore — vale a dire, in primo luogo,l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e l’Organizza-zione Internazionale del Lavoro (ILO) —, l’intera comunità internazionale,cioè gli Stati Uniti che la compongono considerati sia individualmente checollettivamente.

Ma la qualificazione suddetta, oggi, non è stata ancora data, sebbene nonmanchino casi nei quali sia in Risoluzioni delle Nazioni Unite, sia da parte dienti internazionali si sia accennato alla’“inalienabilità” dei diritti dell’uomo odi una parte di essi che giuridicamente peraltro non equivale ad “inderogabi-lità”. Certamente sarebbe complesso spiegare la differenza fra i due terminiche, mi si creda, non è soltanto di ordine lessicale o accademico, ma ricca diconseguenze concrete. È tuttavia chiaro che allorché si parla di “inalienabili-tà” ci si riferisce a un rapporto esclusivo tra Stato e individuo, nel senso cheil primo non può privare di un diritto l’individuo, il quale, a sua volta, non puòrinunciare ad esso alienandolo; là dove il concetto di “inderogabilità” si espri-me nell’ambito delle relazioni internazionali, nel senso che gli Stati ricono-scono reciprocamente il diritto come cogente, con la conseguenza che l’indi-viduo, in quanto essere umano, venga a godere da parte di tutti gli Stati dellamassima protezione.

Venendo dunque a considerare più da vicino la drammatica sorte dei lavo-ratori scacciati dalla Nigeria dopo esservi giunti senza incontrare alcun osta-colo, anzi utilizzati nel periodo del benessere dell’era del petrolio per i lavo-ri più pesanti e ingrati, non si discute sulla liceità, allo stato attuale, dei prov-vedimenti presi dal Governo nigeriano in questa circostanza: provvedimentiche si giustificano con l’obiettiva mancanza di risorse diverse dal petrolio econ la crisi attraversata da questo settore dell’economia mondiale.

Di fronte alle immagini di questo terrificante esodo — che si spera nonassuma le forme di un genocidio — ci si domanda che cosa ne è dell’instau-razione di un nuovo ordine economico internazionale che nel 1974, nell’am-bito delle Nazioni Unite, aveva fatto sorgere nei popoli più depressi le speran-ze, risultate in gran parte vane come nel caso della Nigeria e soprattutto inquello dei Paesi di provenienza di questi lavoratori. Recita l’art. 4 dellaRisoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: «Il nuovo ordineeconomico internazionale dovrebbe fondarsi sul pieno rispetto dei seguenti

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Africa, Paesi in via di sviluppo, economia internazionale 25

principi: […] b) più ampia cooperazione di tutti gli Stati membri della comu-nità internazionale, basata sull’equità, per mezzo della quale possano esserebandite le prevalenti disparità del mondo e possa essere assicurata la prospe-rità per tutti».

Dal 1974 a oggi i lavoratori dei Paesi africani più poveri sono dovuti emi-grare in Nigeria alla ricerca di lavoro e di mezzi di sostentamento: oggi ven-gono respinti nelle loro terre di provenienza. C’è da sperare che di fronte aquesto dramma gli Stati africani e non africani prescindano dai loro allinea-menti, decidendo di collaborare attraverso le Nazioni Unite, se è il caso, especialmente mediante il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo(IFAD), dato il carattere prevalentemente agricolo dell’economia dei Paesi diprovenienza per la salvezza di individui, alla cui situazione di arretratezza eindigenza non sono certo estranei gli Stati che in passato li hanno sottoposti asfruttamento coloniale.

“Il Tempo”, 6 febbraio 1983, p. 16

Vogliamo migliorare le nostre condizioni di vita ovunque

La Conferenza mondiale delle Nazioni Unite di chiusura del Decennioper la donna, dal titolo “Uguaglianza, sviluppo e pace” si è svolta — com’ènoto — a Nairobi dal 15 al 26 luglio con la partecipazione delle delegazionidi quasi tutti gli Stati del mondo. La delegazione italiana, guidata dall’onore-vole Tina Anselmi, è risultata costituita: per il ministero degli Esteri, dall’on-nipresente attivissimo ministro plenipotenziario Onofrio Solari Bozzi (vicecapo delegazione), dall’ambasciatore a Nairobi Gian Luigi Valenza il quale hadato alla delegazione, oltre a un validissimo aiuto nel settore diplomatico,anche un efficiente supporto nell’organizzazione logistica che ha favorito gliincontri della delegazione italiana con le altre delegazioni, dalle dottoresseFiammetta Milesi Ferretti, Lucia Monami e Vincenza Lomonaco, quest’ulti-ma instancabile negoziatrice nel settore politico e cooptata, a titolo persona-le, dai colleghi stranieri in un comitato ristretto di negoziati sul documento dibase, nonché dall’onorevole Romana Bianchi, dalla dottoressa Ivanka Corti,dalla professoressa Alba Dini, dalla professoressa Renata Livraghi, dall’ono-revole Maria Magnani Noya, dalla senatrice Elena Marinucci, dalla dottores-sa Loretta Peschi, dalla dottoressa Beatrice Rangoni Machiavelli, dall’archi-tetto Paola Salmone e da chi scrive.

Le informazioni fornite dai mezzi di comunicazione di massa fin dall’ini-

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zio dei lavori e ancora precedentemente nella fase relativa all’elaborazionedei criteri procedurali hanno denotato un notevole pessimismo, giustificato,peraltro, sia dalle sorti della conferenza preparatoria avvenuta a Vienna (vedi“Il Tempo” del 30 marzo) che si era conclusa senza l’approvazione di undocumento finale, sia dalla tendenza, piuttosto diffusa tanto nell’ambito delleConferenze indette dalle Nazioni Unite quanto in altre sedi internazionali —per esempio nelle conferenze di verifica dell’attuazione dell’Atto Finale diHelsinki — di trasformare tematiche specifiche in argomenti più generali,caratterizzati dalla massima politicizzazione: in modo tale che sia possibiletrattare, anche in sedi diverse dalle proprie — e, quindi, anche senza adegua-ta preparazione delle presidenze delle conferenze e delle delegazioni che vipartecipano —, problemi come quelli inerenti al disarmo, alle guerre stellari,alle sanzioni economiche, quali l’embargo, al nuovo ordine economico inter-nazionale, al colonialismo e al neocolonialismo, ai conflitti tuttora in atto nelsettore mediorientale e in alcuni territori africani, alla fame, al sottosviluppoe all’apartheid…

Tuttavia proprio l’intervento del Segretario Generale delle Nazioni Uniteha impedito che la Conferenza — che faticava ad avviarsi per ragioniprocedurali — stagnasse sui noti argomenti, indicando come alternativa allostallo totale una certa duttilità nella procedura che implicava il ricorso al con-senso, senza tuttavia escludere la possibilità di votare anche a maggioranza sumolte questioni.

Superato questo primo punto, la conferenza ha iniziato i suoi lavori congli interventi di molti capi delegazione tra i quali, oltre a quello dell’onorevo-le Anselmi, quello della figlia del presidente degli Stati Uniti MaureenReagan, della signora Moubarak, di Valentina Tereškova, della signoraKenyatta, figlia del defunto presidente del Kenya, eletta presidente dellaConferenza, di Leticia Shahani, segretario generale della Conferenza stessa,della signora Papandreu. In un uditorio così vasto e, per certi versi, pittoresco,arricchito esteticamente dallo splendore di alcuni costumi nazionali indossa-ti, talora quasi jeraticamente, da alcune delegate, e dai tessuti che ri-producevano i simboli dell’uguaglianza, dello sviluppo e della pace, propridella Conferenza, i nomi delle figlie e delle mogli dei Capi di Stato e di gover-no suscitavano, a volte, qualche perplessità facendo riflettere sulla circostan-za per la quale l’emergere di una donna è spesso legata a quello di un uomoautorevole che la sorregga; ma conferivano notevole sicurezza — special-mente a chi scrive — che le tesi enunciate da queste delegate non sarebberostate mai sconfessate dai rispettivi governi, dei quali esse erano certamente eindiscutibilmente valide portavoci…

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In un susseguirsi di riunioni nell’assemblea plenaria, nelle dueCommissioni, nei vari “Gruppi” dei Paesi Africani, dei “77”, dei PaesiOccidentali e della CEE, con sedute diurne e notturne pressoché ininterrotte,alcune delegazioni dei Paesi in Via di Sviluppo, a ranghi particolarmenteridotti, si trovavano nell’impossibilità materiale di una costante parteci-pazione; mentre alcuni colleghi occidentali reclamavano «un maggior riposoper poter lavorare meglio». La delegazione italiana si è suddivisa al suo inter-no i vari compiti, al fine di assicurare una presenza costante e competente neivari gruppi e nelle varie Commissioni, spesso attraverso interventi precisi dimodifica e di integrazione dei documenti base della Conferenza, vertenti, daun lato sull’esame del rapporto presentato dalla Commissione sullo “statusdella donna”, specialmente diretto alla richiesta di intervento del ConsiglioEconomico e Sociale delle Nazioni Unite; dall’altro, sulla modifica delle stra-tegie che garantiscano l’avanzamento delle donne e prevedano misure concre-te per il superamento degli ostacoli per il raggiungimento degli obiettivi delleNazioni Unite per il periodo compreso tra il 1986 e il 2000.

Sarebbe troppo lungo ricordare i singoli punti di questi documenti che ri-guardano: 1) il miglioramento delle condizioni di vita delle donne in tutte leparti del mondo non solo su base legislativa — là dove essa, a differenzadell’Italia in cui può considerarsi abbastanza avanzata, è carente — ma anchesu quella concreta al fine di conseguire il risultato dell’uguaglianza; 2) losviluppo, nonché gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di esso siadal punto di vista concreto (ossia nei settori del lavoro, della salute, dell’istru-zione, dell’agricoltura, del commercio, della scienza, della tecnologia, dellacomunicazione, dell’ambiente e dei servizi sociali) sia da quello ideologi-co–culturale, questi ultimi individuati, tra l’altro, nell’aggravarsi di situazio-ni internazionali le quali impediscono che le risorse, destinate al progressoglobale e a quello delle donne, in particolare, siano realmente utilizzate a que-sto fine, risultando, al contrario, distratte per la scoperta di nuove armi sem-pre più sofisticate e per continuare le guerre tuttora in atto o attivarne altreancora; 3) la pace e il raggiungimento di questa, nonché gli ostacoli ad essafrapposti e che si individuano in quelli inerenti non solo alle tematiche del-l’uguaglianza e dello sviluppo, ma anche e soprattutto alla partecipazione aiprocessi decisionali a livello nazionale e internazionale.

“Il Tempo”, 30 luglio 1985, p. 18

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Un caso da giuristi non da militari

Da qualche giorno i problemi concernenti il Mediterraneo sono assurtiagli onori della cronaca, ponendo altresì in apprensione il mondo intero: siteme, infatti, che l’Anno internazionale della pace possa improvvisamentetrasformarsi per i Paesi che si affacciano su questo mare in un “anno di guer-ra” e che possa trovare nuovo credito una teoria, elaborata sul finire degli anniCinquanta, per la quale, in caso di conflitto tra Est e Ovest, l’Europa si sareb-be trasformata in “zona di teatro” di eventuali operazioni militari.

Certamente è auspicabile che le azioni militari cessino quanto prima e chegli Stati interessati alla controversia decidano di ricorrere — come sarebbestato opportuno fare sin dall’inizio — alla soluzione di essa con mezzi paci-fici: mezzi che avrebbero dovuto attivare non soltanto in funzione del rinno-vato clima di distensione tra USA e URSS (e che consiglia di non intraprende-re azioni che possano turbarlo) ma anche in relazione all’appartenenza daparte sia della Libia sia degli Stati Uniti all’Organizzazione delle NazioniUnite in qualità di membri.

Tuttavia, nella più fervida speranza che ciò si verifichi quanto prima, appa-re opportuno ricordare, sia pure rapidamente, i termini della questione dallaquale è scaturita la controversia che si è intesa risolvere dalle parti manu mili-tari. Al riguardo, va precisato che si tratta di una controversia giuridica, inquanto essa verte sull’interpretazione di norme giuridiche sulle quali si incen-trano tanto la pretesa libica quanto la contropretesa statunitense. La prima,difatti, tende a definire le acque comprese nel Golfo della Sirte sino al paralle-lo 32,5 come acque interne libiche; la seconda, cioè la tesi degli Stati Uniti,considera le acque del Golfo della Sirte al di là delle 12 miglia come acqueinternazionali. La diversa interpretazione data, rispettivamente, dalla Libia edagli Stati Uniti sullo status, e sulla situazione delle acque nel Golfo dellaSirte, comprese entro il ricordato parallelo, non ha solo valore formale, macarattere sostanziale. Le acque interne sono, infatti, quelle acque (per esempiocostituite dai laghi) che sono poste sotto la sovranità esclusiva di uno Stato, nelsenso, cioè, che su di esso, tale sovranità è da questo esercitata in modo asso-luto, a meno che, attraverso il lago, non passino i confini di due o più Stati, nelqual caso la sovranità di ciascuno si esercita sino alla linea di confine. Le acqueterritoriali, invece, sono, secondo l’articolo 2 della Convenzione delle NazioniUnite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, che ha codificato un principiogià esistente nella consuetudine degli Stati, le acque che si estendono sino a unmassimo di 12 miglia marine a partire dalla cosiddetta linea di base.

Sulle acque territoriali lo Stato costiero esercita, in conformità della

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Convenzione di Ginevra del 1958 e di quella ora citata del 1982, i propri dirit-ti, tra l’altro, in materia doganale, sanitaria e commerciale. Tuttavia, a differen-za di quanto può dirsi per le acque interne, nelle quali le navi straniere non pos-sono penetrare se non con l’autorizzazione dello Stato, nelle acque territoriali èconsentito alle navi straniere il passaggio inoffensivo, sempre che questo «nonrechi pregiudizio alla pace, al buon ordine o alla sicurezza dello Stato costiero».Nelle acque internazionali infine è lecito il passaggio di qualsiasi nave.

Ora la controversia tra Libia e USA verte sull’individuazione della lineadalla quale inizia il mare territoriale libico e sul modo di tracciare detta linea,essendo peraltro la Convenzione del 1982 non del tutto chiara in materia edipendendo altresì dal luogo in cui tale linea viene tracciata la maggiore ominore estensione delle acque territoriali, le quali appunto si estendono sino a12 miglia da essa. Con l’ulteriore conseguenza di collocare, a seconda dei duepunti di vista sopraccennati, le acque a sud del 32,5 parallelo come acqueinterne o come acque internazionali. Nei casi normali la linea di base coinci-de con la linea di bassa marea lungo la costa quale risulta dalle carte nautichea grande scala riconosciute ufficialmente dallo Stato costiero. In altri casi, siricorre alla cosiddetta “linea di base retta”: tale linea collega, secondo l’arti-colo 7 della Convenzione del 1982, dei punti appropriati della costa e da essasi estende il mare territoriale, rappresentando la parte interna di mare, rispettoalla linea di base “acque interne dello Stato”. Laddove la costa è instabile perla presenza di un delta o di altre caratteristiche naturali, si può scegliere secon-do il ricordato articolo 7, la linea più avanzata di bassa marea. In ogni caso lalinea di base non deve discostarsi sensibilmente dalla direzione naturale dellacosta e gli spazi marini devono essere sufficientemente collegati all’ambienteterrestre in modo tale da giustificare la qualifica di acque interne. Deve a ciòaggiungersi che il principio ora ricordato viene derogato dalla presenza dicosiddette baie storiche le cui acque sono considerate come acque interne eche sussistono le pretese di alcuni Stati di considerare in tal senso alcune pro-prie baie: la baia di Pietro il Grande da parte dell’URSS, il Golfo di Gabés daparte della Tunisia, le baie del Gabon e della Guinea, il Golfo di Panama, ilGolfo di Taranto (quest’ultima definita storica dal DPR del 26 aprile 1977, n.816, dall’Italia), ecc. Come si vede, si tratta di un problema complesso e deli-cato: proprio per tale ragione esso necessita di una soluzione in termini giuri-dici e non in termini militari, eventualmente sottoponendo la controversia allaCorte Internazionale di Giustizia che ha già avuto occasione di pronunciarsisu questa tematica, o ad altro tribunale internazionale.

“Il Tempo”, 27 marzo 1986, p. 2

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Sviluppo, nuove strategie per i PVS

Nei documenti delle Nazioni Unite, che dal 1961 in poi hanno previstouna strategia mondiale per lo sviluppo, attraverso la proclamazione dei quat-tro decenni per lo sviluppo (di cui l’ultimo concernente gli anni 1991–2000 èattualmente in corso), risulta evidente la necessità di pianificare gli interven-ti per la cooperazione in funzione dei bisogni, in considerazione soprattuttodel loro accrescimento e della possibilità di identificazione di essi nel perio-do della decolonizzazione.

Il sistema elaborato nel corso dei vari decenni era conforme ai principigiuridici e politici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite, ma talvolta, anzispesso, non coincideva con quello che, di fatto, veniva applicato e che, inve-ce, corrispondeva al bipolarismo allora esistente sul piano politico e che suquello economico, comportava la conclusione di accordi di assistenza tecnicae finanziaria da parte delle due superpotenze con gli Stati di nuova formazio-ne al fine di attrarli nell’orbita politica di ciascuna di esse.

Significherebbe, dunque, voler forzare la realtà storica negare che ancheil nuovo ordine economico internazionale, previsto dalla risoluzione delleNazioni Unite adottata il 12 dicembre 1974, abbia risentito nella sua formu-lazione e, soprattutto, nei suoi contenuti, del sistema bipolare, pur risultando,nel suo complesso ispirato a principi e valori non del tutto contingenti, maalcuni dei quali sono permanentemente validi. In effetti, la lettura odierna diquesta risoluzione comporta una valutazione della medesima come una spe-cie di transazione tra le opposte posizioni politiche ed economiche dei dueblocchi: in breve una transazione tra il sistema capitalistico e quello dell’eco-nomia pianificata.

Queste riflessioni risultano oggi particolarmente utili e importanti al finedi valutare i mutamenti attualmente in atto nei Paesi dell’Europa centro–o-rientale e per indicare, ove possibile, nuove strategie di sviluppo che certa-mente includono l’aiuto in loco, il trasferimento di conoscenze anche al finedi contenere il fenomeno migratorio. Questa esigenza appare chiara solo chesi rifletta sulla circostanza che oggi gli Stati dell’ex blocco comunista, untempo stati donatori e comunque artefici di politica di sviluppo nei confrontidei paesi in via di sviluppo, sono essi stessi beneficiari di accordi di assisten-za tecnica e finanziaria conclusi con gli stati dell’ex blocco occidentale, tra iquali figura, ovviamente anche l’Italia. E ciò dipende non soltanto dal proces-so di democratizzazione in atto o visto con estremo favore ovunque, ma anchee soprattutto dall’ormai pressoché ineluttabile passaggio dall’economia piani-ficata a quella di mercato: passaggio, nel quale il sistema di collettivizzazio-

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ne della terra rappresenta, forse, solo un retaggio anch’esso frutto di transa-zioni e destinato a scomparire entro qualche tempo.

Ciò premesso è chiaro che una parte della cooperazione realizzata daiPaesi comunitari, sia singolarmente sia nell’ambito dell’azione comune dellaComunità, non possa non essere indirizzata verso l’Europa centro–orientale,nella quale esiste un sistema produttivo di base più facilmente recuperabile intempi inferiori rispetto a quelli di cui necessitano i Paesi in via di sviluppo peracquisire cognizioni mai possedute. Ciò non soltanto per rendere inarrestabi-le il fenomeno di democratizzazione del quale tutti gli Stati del mondo sonodestinati a giovarsi per l’esclusione di tensioni e il superamento di conflitti traideologie pervicacemente contrapposte, ma anche allo scopo di rendere auto-nomi i Paesi dell’ex blocco comunista.

Solo in questo modo, infatti, è possibile garantire a questi ultimi Stati il“diritto allo sviluppo”, da essi rivendicato attualmente sia come diritto indivi-duale che come diritto collettivo: vale a dire come diritto del quale è titolare ilsingolo individuo e che concerne il suo miglioramento e come diritto propriodello Stato che, come entità, deve essere agevolato nella sua crescita economi-ca e culturale. Non si può negare che oggi più di prima la strategia dello svi-luppo deve tendere verso l’autonomia economica dei vari Stati escludendo leforme assistenziali finora privilegiate. E ciò va evidenziato presso i PVS allor-ché essi ricordano all’Europa di essersi avvantaggiata del piano Marshall altermine del secondo conflitto mondiale: piano, della durata di un quadrienniola cui applicazione fu subordinata alla circostanza che i singoli destinatari fos-sero amanti della vera democrazia. Senza dubbio ciò va ricordato ai PVS esoprattutto a quanti, tra questi, rivendicando una responsabilità storica per ilperiodo del colonialismo, richiedono aiuti continui per l’assistenza… Ma sequesta parte degli interventi di cooperazione allo sviluppo risulta tuttora vali-da, tutta la strategia elaborata nei precedenti decenni va riveduta totalmente eridisegnata in funzione dei mutamenti intervenuti nelle varie aree mondiali,tenendo principalmente conto dell’incidenza che la caduta del sistema bipola-re ha determinato sull’evoluzione (e sul suo arresto) dei Paesi meno avanzati.

“Italia Oggi”, 1° maggio 1992, p. 7

Più aiuti all’Est a scapito dei PVS

I recenti mutamenti intervenuti nei Paesi dell’Europa centro–orientalehanno avuto incidenze profonde anche nella politica di sviluppo in favore dei

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cosiddetti Paesi emergenti, privandoli di uno degli interlocutori e dei sosteni-tori del loro processo di autonomizzazione. In effetti, i Paesi dell’Europa cen-tro–orientale e, in particolare, l’ex Unione Sovietica, oltre a perdere questa fun-zione che aveva contrassegnato durante alcuni decenni la loro politica estera edeconomica, si sono trasformati attualmente, e forse questa è la novità più rile-vante, da propulsori in fruitori e destinatari del processo di sviluppo in quantobeneficiari di accordi di assistenza tecnica e finanziaria, analoghi a quelli chein passato essi avevano concluso con i PVS al fine di favorirne il progresso.Questa situazione merita certamente attenzione da parte delle Nazioni Unite,nelle quali in passato si sono fatte maggiormente sentire le conseguenze delbipolarismo anche in relazione all’elaborazione di schemi e processi di svilup-po: conseguenze che si manifestavano in tutta la loro evidenza allorché, in fasedi votazione nell’organo a composizione più larga dell’ONU, vale a direnell’Assemblea generale, si determinava agevolmente l’allineamento, o nonallineamento, sulla base degli accordi conclusi con ciascuna delle due superpo-tenze. L’odierna presa d’atto di questi cambiamenti, da parte delle NazioniUnite, non potrebbe non preludere alla riformulazione dei principi posti da essea base della politica di sviluppo, consacrati nelle due risoluzioni del 1974 con-cernenti rispettivamente la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati e ilnuovo ordine economico mondiale: principi che inducono a considerare le duerisoluzioni come “datate”, nel senso che esse ricalcano la situazione economi-co–politica degli anni Settanta, contrassegnati dal sistema della guerra freddae dall’antagonismo tra l’economia di mercato e l’economia pianificata.

I mutamenti ora accennati esplicano una profonda influenza anche nel-l’ambito della Comunità europea che per anni ha considerato i Paesi dell’exblocco comunista, aderenti al sistema del COMECON (Comitato per la MutuaAssitenza Economica) e del Patto di Varsavia come avversari economici dacontrastare e, semmai, con i quali intraprendere forme prudenti di collabora-zione e comunque da rispettare politicamente al fine di non suscitare reazioniinaspettate e in ogni caso non gradite. La stessa contiguità geografica accresce-va in pari misura la prudenza in relazione alle iniziative economiche e il rispet-to sul piano politico in un equilibrio che poteva permettersi solo forme lievis-sime di oscillazione, pena l’impossibilità di conservarsi come tale. Ora i Paesidell’ex blocco comunista chiedono alla Comunità e ai singoli Stati che la com-pongono aiuti economici: richiesta che ha determinato una scelta da parte diquesta e dei suoi membri che talora è risultata penalizzante rispetto agli impe-gni assunti o in fase di assunzione nei confronti dei PVS, nel senso che noto-riamente, proprio per il carattere repentino dei mutamenti, alcune risorse desti-nate ai PVS sono state dirottate verso i Paesi dell’ex blocco comunista.

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A parte le ragioni di contiguità, la scelta della Comunità e dei suoi mem-bri è stata dettata dalla volontà di favorire un processo di democratizzazionein una fase particolarmente delicata e di consentire a Paesi nei quali i tempidi sviluppo sono più brevi per le infrastrutture esistenti e per la preparazionedi base, di recuperare il ritardo accumulato anche in vista di ritorni in terminidi utilità economica più celermente.

Da ciò è derivato un certo nocumento ai Paesi che fino a ora hanno usu-fruito degli aiuti comunitari, peraltro non sempre adeguati alle loro necessitàper ragioni non soltanto quantitative ma soprattutto a causa degli interventinon sufficientemente mirati a soddisfare le necessità del singolo Stato che neha usufruito. La conclusione dell’ultima Convenzione di Lomé è valsa solo aconfermare che il sistema di aiuti previsti sulla base di tali convenzioni sareb-be stato mantenuto anche in costanza dei mutamenti realizzatisi e che il prin-cipio della parità nell’ambito dell’Assemblea sarebbe stato confermato. Vatuttavia precisato, in relazione alla più recente normativa prevista dal proget-to di Trattato di Maastricht, che tale Trattato (attualmente ancora in fase diprogetto) contiene per la prima volta, fra i trattati che vincolano esclusiva-mente i membri della Comunità creando tra essi obblighi di carattere istitu-zionale, l’indicazione della cooperazione allo sviluppo come di una vera epropria politica allo scopo di accentuarne l’importanza. Inoltre esso precisache tale politica deve contribuire al «consolidamento della democrazia e dellostato di diritto, nonché al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda-mentali». Tuttavia la realizzazione di tale politica suscita non poche preoccu-pazioni non solo per l’ancoraggio di essa al principio di sussidiarietà traComunità e Stati membri (che può comportare un reciproco rimbalzo diresponsabilità), ma anche per le difficoltà connesse con la realizzazione di uncoordinamento tra Comunità e Stati membri che l’attuazione di tale principiocomporta.

“Italia Oggi”, 3 giugno 1992, p. 8

La responsabilità italiana nei confronti della Somalia

Il susseguirsi degli avvenimenti degli ultimi tre anni ha prodotto dueeffetti nel vasto pubblico: l’uno è stato quello di stupire per la rapidità e perl’inaspettabilità di gran parte di essi e l’altro di creare speranze, alcune dellequali sono andate deluse. Tra queste speranze vi era e vi è quella di una paci-ficazione globale in un nuovo assetto internazionale nel quale le Nazioni

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Unite, a livello mondiale, e le organizzazioni regionali, nelle altre aree, svol-gerebbero un ruolo essenziale, cioè quello di creare norme giuridiche, il cuicontenuto, proprio a causa del loro processo formativo, verrebbe approvato daun gran numero di Stati e di curarne l’osservanza, attraverso strumenti di mo-nitoraggio già esistenti o da costituire.

A quella tendenza a radicalizzare, esistente in ogni essere umano, si è col-legato, quindi, al cessare della guerra fredda l’effetto, immediato e definitivo,di cancellare la parola guerra in un sol colpo dalla pratica degli Stati e, forse,addirittura dai dizionari, sulla base di una rivoluzione culturale di nuova por-tata. Ma la realtà ha provveduto a dimostrare che le cose stanno altrimenti esoprattutto che costruire la pace è un’impresa di gran lunga più complessa edifficile che scatenare una guerra per la quale basta il casus, cioè l’occasione,l’avvenimento, privo di ogni logica. E ha anche reso noti alcuni macroscopi-ci errori cui la stessa guerra fredda ha condotto: errori, che sono stati commes-si da entrambe le parti contendenti ora rappacificate. In particolare, l’averearmato alcuni popoli per le cosiddette guerre dimenticate, che altro non sonostate se non guerre indirette tra Stati Uniti e URSS in anni pregressi, è stato unerrore, comprovato, per quel che riguarda gli Stati Uniti, dall’arsenale adisposizione dell’Iraq e, per quanto concerne l’URSS, dalla tipologia e dalmarchio di fabbrica delle armi utilizzate in Somalia, uno Stato costituito cometale nel 1960, dopo essere stato per lunghi anni, fino alla fine della secondaguerra mondiale in parte colonia italiana e in parte sottoposta a dominio bri-tannico.

Il legame con l’Italia fu infatti instaurato nel lontano 1889 da Crispi attra-verso due accordi di protettorato con i sultanati di Obbia e dei Migiurtini.Successivamente un Trattato italo–inglese del ’24 consentì l’espansione ita-liana oltre il Giuba come forma di compenso della mancata soddisfazionedata alle pretese dell’Italia nel patto di Londra; nel ’36 la Somalia entrò a farparte dell’Africa italiana fino al ’41, quando fu occupata dagli inglesi. Talelegame fu ulteriormente rinsaldato negli anni 1949–1950, allorché fu sottopo-sta ad amministrazione fiduciaria del nostro Paese da parte delle NazioniUnite. Si può anzi ricordare che l’attribuzione all’Italia del territorio somaloin amministrazione fiduciaria fu considerata da questa una forma di parzialerisarcimento (di tipo ovviamente morale) per il trattamento ricevuto dall’Italianella Conferenza di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, nel corso della qualel’Italia fu considerata, nonostante la resistenza e l’armistizio del ’43, come unsatellite della Germania, e per la mancata ammissione alle Nazioni Unite chesi realizzerà solo nel 1955.

Ora il regime di amministrazione fiduciaria prevedeva, secondo l’art 76

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della Carta delle Nazioni Unite, che lo Stato incaricato di tale compito avreb-be dovuto contribuire a promuovere il progresso politico, economico, socialeed educativo degli abitanti dei territori stessi e il progressivo avviamentodegli stessi verso l’autonomia e l’indipendenza, tenendo conto delle partico-lari condizioni di ciascun territorio e delle sue popolazioni, nonché delle ispi-razioni liberamente manifestate dalle popolazioni interessate.

Che il comportamento dell’Italia sia stato conforme ai dettami dellaCarta, durante il regime di amministrazione fiduciaria, risulta dai riconosci-menti di cui è stato fatto oggetto, all’epoca, il nostro Stato, nonché dalla cir-costanza che contributi allo sviluppo sono stati dati successivamente anchecon riferimento alla creazione di infrastrutture di una certa rilevanza, comel’università di Mogadiscio, gli ospedali e le scuole.

Oggi, in un Paese dilaniato da una guerra civile che vede impegnati neicombattimenti addirittura dei bambini, sotto i limiti della sopravvivenza perpovertà, malattie e altri flagelli, anche la politica italiana di aiuto allo svilup-po viene discussa e valutata come sostegno indiretto di un regime che soven-te ha violato i diritti umani e rispetto al quale la guerra civile, attualmente incorso, rappresenterebbe una prevedibile conseguenza. A questo rimproveroviene spesso unito quello concernente la responsabilità storica della cosiddet-ta ex madrepatria nei confronti delle ex colonie… In effetti sarebbe statoopportuno condizionare, da parte italiana, gli aiuti allo sviluppo al rispetto deidiritti umani in Somalia come altrove, cosa che è stata fatta solo nella secon-da metà degli anni Ottanta. Ma forse sarebbe stato anche assai più importan-te, da parte italiana, realizzare, nei confronti delle ex colonie, una politicaestera analoga a quella perseguita da sempre da parte francese nei confrontidelle proprie ex colonie ed ex protettorati; una politica, cioè, di attenzione edi collaborazione che prevede solo forme limitate di assistenza in un rappor-to che si configura più tra eguali che non fra assistiti e donatori e, comunque,erogatori di aiuti.

Ciò non è stato fatto e nel darne atto la responsabilità non può essereaddebitata esclusivamente all’Italia, in quanto sovente gli Stati africani gradi-scono restare assistiti piuttosto che rendersi autonomi. Ma questa constatazio-ne non riduce l’entità della gravità della situazione della popolazione inermeche può essere alleviata sul momento, in attesa di realizzare interventi miratisul piano internazionale, mediante l’intervento diretto in loco di organizzazio-ni non governative italiane che evitino ulteriori speculazioni e traffici illecitisugli aiuti erogati.

“Italia Oggi”, 14 agosto 1992, p. 1, 2

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Le molte incognite dell’operazione Somalia

In questi giorni di decisioni rapide e fattive, sostenute e moltiplicate daimmagini di persone cadenti e lacrimanti riprese nella posa giusta, l’affareSomalia si prospetta come un’enorme tragedia. Tragedia per il Paese che lavive e che certo non andrà incontro, nell’immediato, a tempi migliori e trage-dia per la comunità internazionale che, più o meno consapevolmente, dichia-rando la propria impotenza si avvia a riapplicare il celebre motto del “Si vispacem, para bellum” (Se vuoi la pace, prepara la guerra).

È vero che alla base dell’operazione vi è una risoluzione del Consiglio diSicurezza dell’ONU e che realmente sono in gioco le vite di migliaia di donnee bambini denutriti e sottonutriti, nella miseria totale, esposti a malattie epi-demiche di ogni tipo, oltre che alle inclemenze del clima. Ma è anche vero chel’operazione Somalia (cosiddetta operazione speranza) verrà a rimettere inmoto quei meccanismi e quelle industrie che la caduta del muro di Berlino ela fine della guerra fredda avevano fatto ritenere aboliti o per sempre messi incrisi.

Non si pensi che queste siano riflessioni di pacifisti a oltranza: proprio inquesti giorni, l’ambasciatore statunitense a Nairobi (Paese oltretutto confinan-te con la Somalia) ha affermato di «essere sconvolto e allarmato dalla frettademoniaca con cui il governo americano desidera lanciarsi nel pantano soma-lo»; e lo stesso ambasciatore, il cui nome è Smith Hampstone, avrebbe fattopresente al Dipartimento di Stato americano che i somali si dedicheranno aimboscate e ad attacchi a sorpresa… Ne consegue che, fatte queste riflessio-ni sulla conduzione e sul successo dell’operazione restore hope, ripristina lasperanza, la Somalia si presenti come un’incognita per tutti gli Stati che inten-dono partecipare a tale operazione e, in particolare, per l’Italia.

Per quel che concerne la questione dal punto di vista strettamente giuri-dico, non si può negare che lo stato attuale del diritto internazionale si pro-spetti nel senso che, ovunque vi sia una violazione dei diritti umani fonda-mentali, è possibile l’ingerenza nella vita interna degli Stati, essendo conside-rata come non più cogente in questa materia la norma sulla competenza esclu-siva e sul dominio riservato dagli Stati. Pertanto, ove si riscontri una violazio-ne massiccia e numericamente rilevante dei diritti fondamentali, è possibilel’ingerenza, in varie forme, esercitata da un’organizzazione internazionale,qual è l’ONU, anche delegando altri soggetti, come è accaduto nella guerra delGolfo.

Non si può negare che, nel caso in cui sia messa in pericolo la sopravvi-venza di centinaia di migliaia di persone, ci si trovi di fronte a una violazio-

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ne del tipo sopra indicato, comportante, cioè, la possibilità di ingerenza negliaffari interni degli Stati.

Il problema che si pone ora, al riguardo, concerne le modalità di tale inge-renza, dovendosi rilevare che l’atteggiamento attuale delle Nazioni Unitecomporta la necessità di rafforzare la pace (enforcing the peace), una voltasuperata la posizione tradizionale della stessa Organizzazione in merito almantenimento della stessa (keeping the peace). Ora l’attuale problematicapuò riguardare proprio le misure da adottare per rafforzare la pace e pergarantire alle popolazioni somale il diritto alla sopravvivenza attraverso l’uti-lizzo degli aiuti umanitari.

Forse, andando indietro nel tempo, quando, cioè, la situazione in Somalianon era ancora giunta all’attuale situazione di pericolo, l’intervento per il raf-forzamento della pace sarebbe potuto essere diverso; si sarebbe dovuto cioèlimitare l’ingresso delle armi destinate ai guerriglieri, si sarebbe dovuto impe-dire che parte dei viveri destinati alle popolazioni civili fosse distribuitaall’esercito e che altra parte venisse venduta in cambio di armamenti. Tutto ciòsarebbe stato possibile all’ONU, agli Stati che hanno inviato aiuti, all’Or-ganizzazione per l’Unità Africana (OUA), il cui compito precipuo resta quellodi realizzare, su scala regionale, gli obiettivi e gli ideali delle Nazioni Unite.

Ma non è stato fatto. Tutti gli interventi sopra accennati sarebbero statilegittimi alla luce dell’odierno diritto internazionale che contempla, appunto,una facoltà di ingerenza da parte di terzi ove ci si trovi di fronte a una mas-siccia e duratura violazione dei diritti dell’uomo. L’inerzia della comunitàinternazionale di fronte a questa situazione e il concentrare la propria atten-zione su un solo problema che pure esiste e va valutato, ma non è l’unico diquell’area mondiale, vale a dire la questione della distribuzione degli aiutiumanitari, ha consentito a molti di sottovalutare la portata della crisi e, a tito-lo di scusante, di parlare di impotenza della Comunità, là dove sarebbe statopiù opportuno ed esatto riferirsi all’incapacità della stessa di gestire la que-stione Somalia nei tempi e nei modi adeguati. Ora il momento favorevole èpassato e il rischio di un’operazione militare è quello di trasformare laSomalia in un nuovo Vietnam: del resto la costruzione di strade e di aeropor-ti, annunciata dagli USA, non comporta certo tempi brevi; e il rischio imme-diato è anche quello di aumentare il commercio degli armamenti e di volereinnovare la dottrina della guerra giusta con nuove casistiche che nulla hannoa che vedere con la giustizia. L’augurio di oggi è che chi scrive e l’ambascia-tore Hampstone siano nel torto. Lo speriamo di cuore.

“Italia Oggi”, 9 dicembre 1992, p. 1, 2

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Gli aiuti alimentari solo ai Paesi democratici?

La recente Conferenza mondiale, tenutasi alla FAO, a Roma, sulla nutri-zione, oltre a fornire dati statistici aggiornati sulla situazione nutrizionale nelmondo, ha posto in luce alcuni temi innovativi in questo campo e ne ha ripro-posti altri, i quali, sebbene sovente reiterati su scala internazionale, non risul-tano ancora esauriti. Deve considerarsi, infatti, innovativa l’affermazione,contenuta nel documento finale, per la quale ogni Stato ha la responsabilitàprimaria di proteggere e promuovere la sicurezza alimentare e il benesserenutrizionale del suo popolo con particolare riguardo ai gruppi più vulnerabi-li, quali donne, bambini, anziani, disabili, rifugiati, ecc.

In effetti questa affermazione rappresenta una forma di responsabilizza-zione dei Governi dei Paesi in via di sviluppo, arroccati in passato su noteforme di assistenzialismo che determinavano continue richieste di aiuto neiconfronti dei Paesi più ricchi nel nome di una “responsabilità storica” perpe-tuata illimitatamente nel futuro, da parte di questi ultimi, anche nei casi in cui(come può dirsi per l’Italia, divenuta Stato unitario solo nel 1861), il regimecoloniale instaurato su tali Paesi ha avuto una durata che non ha superatoquella di alcuni decenni.

Quanto, invece, agli altri argomenti ricorrenti e non ancora sufficiente-mente affrontati, i problemi connessi con la malnutrizione e con la meno ido-nea distribuzione del cibo disponibile e inutilmente distrutto e inutilizzatonelle varie aree mondiali sono stati ripresi e approfonditi specialmente in rela-zione alle conseguenze ad essi collegate sul piano sanitario, al dilagare dellemalattie infettive, nonché al verificarsi di forme invalidanti, parzialmente etotalmente.

L’utilizzazione delle risorse alimentari disponibili sul pianeta nel modomigliore è stato uno dei temi di maggior richiamo nel corso del dibattito: untema che, per chi appartenga a uno Stato ricco, sembra quasi ovvio, ma chepresenta un’importanza davvero vitale per quei popoli i quali, per ignoranzae per antiche tradizioni e soprattutto per la povertà, non sono in grado di sfrut-tare i prodotti di base di cui eventualmente dispongono.

Tra gli altri temi, ancora ricorrenti, vi è stato quello piuttosto complesso,anche sotto il profilo politico, concernente il diritto all’aiuto alimentare che inquesta Conferenza è stato definito “diritto alla nutrizione”: diritto sancitoanche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ove si consideriche il diritto a uno standard di vita adeguato include anche quello al cibo, inte-so come diritto alla libertà dalla fame.

Certo, in passato il diritto alla nutrizione è stato, in certi casi, inglobato

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nel diritto allo sviluppo, suscitando, talora, vivaci polemiche tra quanti hannoaffermato che il diritto allo sviluppo dei popoli che hanno tali necessità debbaprescindere da valutazioni di qualsiasi tipo (in particolare dalla valutazionedei regimi insediati nei vari Stati) e coloro i quali, invece, ritengono che l’aiu-to allo sviluppo debba essere destinato esclusivamente a quei popoli i cuiGoverni diano prova di democrazia.

In realtà l’aiuto alimentare non esaurisce integralmente il diritto allo svi-luppo che implica anche altri interventi, quali, per esempio, l’accesso all’in-formazione e alle nuove tecnologie, la conoscenza dei sistemi produttivi piùcomplessi e via dicendo.

Per quanto riguarda l’aiuto alimentare, esso può configurarsi sotto dueforme: l’aiuto di emergenza e l’aiuto ad autonomizzarsi nel settore alimenta-re.

Si può dire che l’aiuto alimentare di emergenza debba prescindere davalutazioni politiche proprio per il suo carattere, legato al verificarsi di even-ti eccezionali quali carestie, guerre, distruzioni, siccità e altro, laddove l’aiu-to diretto a conseguire l’autonomia nel settore alimentare è più strettamenteconnesso con il ricordato diritto allo sviluppo.

In quest’ultimo caso, è evidente che tale aiuto debba subordinarsi da partedegli Stati del nord al rispetto dei principi di democrazia e dei diritti dell’uo-mo da parte dello Stato destinatario e del regime in esso insediato. Del resto,anche la storia d’Europa è stata legata a siffatti condizionamenti, se si rifletteche gli aiuti previsti nel piano Marshall, alla fine della seconda guerra mon-diale, furono subordinati al rispetto dei principi di democrazia degli Statieuropei cui erano diretti…

È molto importante che la Conferenza della FAO, non essendo riuscita atrovare l’unanimità in una dichiarazione che ribadisse i principi che, a suotempo, furono posti a base del piano Marshall, non si sia espressa in mododiverso, cioè considerando irrilevante l’esistenza di un regime democratico.

In effetti, i partecipanti a tale Conferenza si sono limitati a considerare lenecessità nutrizionali e le cure mediche delle popolazioni civili situate in zonedi conflitto, affermando che, nel contesto del diritto internazionale umanita-rio, il cibo non deve essere usato come mezzo di pressione politica e negatoper le influenze politiche che gravano su quel Paese, per la collocazione geo-grafica, per il sesso, l’età, l’identità religiosa, etnica o tribale.

Ora la situazione delle popolazioni civili in zone di belligeranza è unasituazione di emergenza e, come tale, doveva e deve essere trattata. Pertanto,si rileva con soddisfazione l’aderenza della Dichiarazione finale dellaConferenza di Roma ai principi sostenuti dagli internazionalisti in materia di

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tutela dei diritti umani fondamentali, negando in questo caso, ma solo in que-sto, forme di condizionamenti.

“Italia Oggi”, 24 dicembre 1992, p. 1, 9

Perché le Nazioni Unite picchiano duro in Somalia

Lo scenario politico internazionale ha mutato enormemente (cioè più diquanto l’uomo comune possa apprezzare) il ruolo delle Nazioni Unite, allequali, tuttavia, una parte dell’opinione pubblica mondiale continua a rimpro-verare uno stato di inerzia nelle questioni internazionali e, in particolare, neiconfronti dell’ex Iugoslavia. Sta di fatto (e qui si accenna solo brevementeperché il discorso potrebbe essere assai complesso e implicare ampie rifles-sioni) che ormai il principio di ingerenza negli affari interni di uno Stato infunzione di azioni concernenti minacce alla pace, violazioni della pace e attidi aggressione è generalmente riconosciuto.

Non che prima non fosse affermato, in quanto il riferimento a esso è con-tenuto in modo esplicito e come unica eccezione a quello, che ha governatoper millenni la comunità internazionale, del divieto di ingerenza negli affariinterni di uno Stato: principio, questo accolto nell’art. 2, n. 7, della Carta delleNazioni Unite. Ma sul piano concreto si è negata per anni la possibilità diinserirsi negli affari interni di uno Stato. Ora, invece (e questo è il mutamen-to forse più interessante nell’azione delle Nazioni Unite), l’ingerenza è nonsolo affermata in linea di principio, ma praticata in concreto dalle stesseNazioni Unite.

Le ultime risoluzioni del Consiglio di Sicurezza concernenti l’exIugoslavia, in particolare la n. 827 del 25 maggio, e la Somalia (ris. n. 837 del6 giugno 1993) contengono elementi tali da consentire di affermare che ilprincipio riguardante la non ingerenza negli affari interni di uno stato ha subi-to enormi limitazioni, tali da non farlo ritenere come uno dei principi fonda-mentali del diritto internazionale, collegato a quello della sovranità degliStati.

In effetti, la prima delle risoluzioni citate, completata dalla risoluzione n.836, prevede l’attivazione di un tribunale internazionale per i crimini com-messi in Bosnia e Erzegovina, da insediarsi anche in altra parte del mondo,con lo scopo di perseguire gli autori dei diversi crimini commessi e invita leforze dell’ONU a occupare le zone chiave indicate nel piano di pace, vietan-do altresì i combattimenti nelle aree a ciò interdette (aree protette).

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Quanto alla Somalia, la citata risoluzione n. 837, seguita all’uccisione dialcuni appartenenti ai contingenti delle Nazioni Unite a opera dei ribellisomali, ha previsto un intervento degli stati membri per realizzare attacchiarmati diretti contro gli obiettivi appartenenti a coloro i quali siano responsa-bili di tali attacchi contro le truppe delle Nazioni Unite.

Sempre con tale risoluzione il Consiglio di Sicurezza ha invitato gli statiad accrescere le unità poste a disposizione fino a raggiungere il contingente di28mila uomini e ad accrescere i mezzi come indicato nel rapporto del segre-tario generale dell’ONU.

In ottemperanza a questa risoluzione, nella notte tra l’11 e il 12 giugno(per l’Italia) e nei giorni successivi le forze aeree americane e di altri Stati(esclusa l’Italia, che non partecipa a questo tipo di operazioni) hanno realiz-zato un’azione militare consistente nel bombardamento delle più importantipostazioni del generale Aidid, presunto autore dello stato di tensione persi-stente in Somalia e mandante dell’eccidio perpetrato nei giorni scorsi ai dannidel soldati appartenenti al contingente delle Nazioni Unite.

Da notizie pervenute risulta che l’operazione condotta in Somalia da aereied elicotteri statunitensi ha avuto connotazioni e finalità analoghe a quelle giàrealizzate in Iraq ai tempi della guerra del Golfo: colpire, dunque, obiettivimilitari, preservare al massimo i civili e i centri abitati, svolgere un’azionedissuasiva intensa.

Certo, l’opinione mondiale si porrà il quesito perché ciò è stato possibile inSomalia e non in Bosnia e perché l’intervento degli Stati Uniti è Stato così mas-siccio. Indubbiamente non mancherà chi risponderà a tale quesito facendo rife-rimento alla debole posizione di uno stato già sottoposto a regime coloniale daparte dell’Italia e della Gran Bretagna e alla sua maggiore fragilità in campointernazionale che significherebbe disponibilità di un minor numero di alleati o,comunque, di Paesi a esprimersi a suo favore, sfidando le Nazioni Unite.

Il fattore religioso, rivolto verso una maggiore accentuazione dell’inte-gralismo islamico, gioca un ruolo ulteriore, che da un lato vittimizza lo Stato,dall’altro ne esalta la capacità di resistenza, confermandogli il ruolo di marti-re nei riguardi degli Stati che condividono lo stesso orientamento religioso.

E non mancherà neppure chi si richiamerà a un interesse strategico e forsecommerciale della regione in una prospettiva di pace da parte statunitense…

Quanto alla Bosnia, la situazione è diversa politicamente e geografica-mente: mentre per la Somalia gli Stati dell’ex blocco comunista hanno dimo-strato disinteresse, lasciando una sorta di mano libera alle altre potenze, nellaregione balcanica se ne avverte costantemente la presenza, attraverso sostegnidi vario genere, richiesta di interventi in appoggio di azioni per la pace, ecc.

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Oltre a riflettere sulla minore contiguità dell’ex Iugoslavia dal punto divista geografico (nemmeno la Somalia, vicinissima agli USA), resta da valu-tare la presenza in Europa della CEE, che dagli Stati Uniti è talora persinosopravvalutata, verso cui inevitabilmente tutti gli stati d’Europa sono calami-tati. Tutto ciò non giustifica il concetto dei due pesi e delle due misure, mapuò fornirne, forse, una sia pure parziale chiave di lettura.

“Italia Oggi”, 15 giugno 1993, p. 1, 2

Nuove forme di intervento dell’ONU in Somalia

La fase storica nella quale stiamo vivendo può indubbiamente definirsicome fase di transizione, bisognosa (al pari di tutte le fasi di tal genere) diopportuni assestamenti.

La caduta del muro di Berlino ha infatti determinato, oltre alla distruzio-ne dei blocchi, conseguenze vastissime e varie, che vanno dall’affermazionedella presenza delle minoranze che chiedono autonomie sempre più vaste finoall’autodeterminazione, all’incerta situazione di alcuni Paesi in via di svilup-po, al nuovo ruolo delle Nazioni Unite.

La vicenda che coinvolge l’Italia in Somalia e che ha determinato lutto epreoccupazione nel nostro Paese, assume, in sé, due degli elementi sopraaccennati, vale a dire quello concernente un Paese in via di sviluppo e il ruolodell’ONU.

Quanto al primo, si può dire che la caduta del sistema dei blocchi (siste-ma ampiamente deprecato per l’assenza di democrazia e del rispetto dei dirit-ti umani negli Stati dell’Europa centro–orientale) ha determinato forme disbandamento, talora evolutive e talaltra involutive, in alcuni Paesi in via disviluppo, i quali hanno perduto punti di riferimento politici ed economici espesso tendono ad assumere posizioni politiche non facilmente controllabili eprevedibili.

A ciò si aggiunga che (per restare in un ambito politico generale) losmembramento della Iugoslavia ha provocato la vacanza nel ruolo di leaderdei cosiddetti Paesi non allineati: ruolo che, se oggi non ha valore comemezzo di equilibrio tra i blocchi, mantiene pur sempre un suo significato inrelazione alla formazione delle maggioranze nell’ambito delle Nazioni Unite.

Ora, proprio al ruolo di leader degli ex non allineati, aspirano Statidell’Estremo Oriente i quali se la contendono attraverso la loro abilità di voltain volta a contrastare o a sostenere le posizioni degli Stati più autorevoli.

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In questo scenario, la situazione della Somalia è piuttosto emblematica,per la protezione prima richiesta al blocco comunista, per i successivi muta-menti politici verso il socialismo con qualche momentanea tendenza di filoa-mericanesimo.

Quanto alle Nazioni Unite, proprio le diverse situazioni della Bosnia edella Somalia e il diverso approccio adottato in relazioni a esse rappresenta-no il banco di prova per l’Organizzazione, impreparata a così repentini muta-menti che l’hanno portata da testimone e spettatrice degli avvenimenti inter-nazionali ad attrice e gestore delle crisi.

In questo contesto ciò che sta accadendo in Somalia acquista un signifi-cato preciso e soprattutto fornisce elementi per evitare ulteriori errori. Permeglio comprendere questa affermazione, occorre ricordare che le NazioniUnite sono intervenute in Somalia in conformità del cap. VII della Carta del-l’ONU, che contempla l’«azione rispetto alle minacce alla pace, alla violazio-ne della pace e agli atti di aggressione».

Posto che la situazione in Somalia è caratterizzata da una guerra civilecon numerose fazioni in lotta, ricche di armamenti, in un Paese in cui la popo-lazione vive nell’indigenza massima, le Nazioni Unite hanno invitato le fazio-ni in lotta a dare attuazione agli impegni assunti nell’incontro preparatorioinformale di Addis Abeba e a procedere al disarmo, stabilendo, con la risolu-zione n. 837 del Consiglio di Sicurezza, misure dirette a rafforzare la pace, aconferma delle misure già previste con la precedente risoluzione n. 814.

Ora, proprio questo concetto di “fare la pace, rafforzare la pace” (peacemaking e peace enforcing) è un concetto che le Nazioni Unite stanno elabo-rando soprattutto in questi anni, successivi alla caduta del muro di Berlino: etale concetto autorizza le Nazioni Unite a fare qualcosa di più e di altro,rispetto al semplice mantenimento della pace (peace keeping).

Significa, in altri termini, che le Nazioni Unite impongono con la forzaciò che in modo diverso non sarebbe ottenibile, analogamente a quanto acca-de in uno Stato nel quale i pubblici poteri possono imporre l’ordine.

Ma, come in uno Stato l’imposizione dell’ordine è assai delicata per lanecessità di rispettare i principi democratici dell’ordinamento, così anche neldiritto internazionale l’azione di imposizione della pace è particolarmentecomplessa per i caratteri da cui essa deve essere connotata, che escludonoforme di preminenza da parte di uno Stato sull’altro e, soprattutto, grandeimparzialità e conformità agli ideali delle Nazioni Unite.

Proprio per realizzare questi ultimi obiettivi sarebbe stato necessarioapplicare anche gli articoli 46 e 47 della Carta delle Nazioni Unite che preve-dono un Comitato di stato maggiore dell’ONU; e non già delegare ad alcuni

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Stati membri il compito di procedere alla realizzazione delle misure adottatedal Consiglio di Sicurezza, dando adito al verificarsi di tutte le discrasie rile-vate da più parti, che hanno contribuito anche alle recenti perdite da partesomala e da parte dei pakistani e degli italiani.

Ma sarebbe necessario anche un ulteriore sforzo da parte delle NazioniUnite, che esse dovrebbero realizzare in tempi brevi, assumendosi, in casocontrario, la responsabilità di perdere il ruolo di gestori della crisi che l’epo-ca attuale loro attribuisce, senza alternativa.

Tale sforzo concerne la revisione delle norme di diritto bellico che ven-gono applicate e invocate in operazioni militari che non sono definite comerientranti in azioni di guerra, ma che comunque implicano il ricorso ad alcu-ne regole.

Se non si vuole dire che, nonostante i conclamati ideali dell’ONU, le rego-le da applicare da parte delle forze come l’UNOSOM II, operanti in Somalia,sono le stesse di oltre due millenni fa, concernenti la guerra, occorre prevede-re altre norme ove le operazioni militari (o di polizia) siano realizzate dal-l’ONU con l’intento non certo di “fare la pace preparando la guerra”, bensì(come deve essere) a sostegno di una forte azione diplomatica, che deve esse-re sempre privilegiata, come intenti umanitari e nello spirito della conciliazio-ne dei popoli.

“Italia Oggi”, 8 luglio 1993, p. 1, 2

La missione in Somalia sta cambiando pelle

Solo qualche giorno fa, occuparsi del problema somalo poteva essereconsiderato, forse, come una perdita di tempo, tanto le connotazioni di essoapparivano semplici, di facile identificazione e, pertanto, suscettibili di supe-ramento, dando luogo a una soluzione globale dello stesso. Si trattava, in altritermini, di fornire aiuti umanitari alle popolazioni in indigenza, di indurre lefazioni alla pace, di restaurare l’ordine e, soprattutto, la speranza nel futuro.

L’episodio dell’uccisione di alcuni soldati pakistani, appartenenti allaforza inviata dagli Stati membri delle Nazioni Unite su delega dell’organizza-zione, seguita dalla rappresaglia, ha contribuito a innescare un meccanismo diviolenza che, oggi, appare difficilmente arrestabile, una volta che gli StatiUniti hanno scelto l’azione militare per “restaurare la speranza”.

Che questo scenario si sarebbe realizzato è stato previsto alcuni giorni orsono su questo giornale e le previsioni, purtroppo, si sono puntualmente avve-

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rate. Ed è naturale che, in questo stesso scenario, la posizione dell’Italia vengaposta in discussione dalle Nazioni Unite, per il prevalente carattere umanita-rio e diplomatico dato alla nostra azione, in contrasto con gli ultimi avveni-menti; così come essa stessa tende a procedimenti di revisione e di riflessio-ne all’interno del nostro Paese.

I passati legami esistenti con la Somalia, dapprima sottoposta, sia pure inparte, al regime coloniale italiano e, successivamente, dal 1949 fino al 1960,ad amministrazione fiduciaria dell’Italia, dopo il trattato di pace con il nostroPaese, hanno determinato, anche negli anni più recenti, rapporti più stretti (avolte soggetti a critiche e ad allusioni, ma in altri casi valutati positivamentein senso obiettivo) tra l’Italia e la Somalia, facendo in modo che, forse, tratutti, lo Stato italiano sia quello che maggiormente conosce la realtà del Paesedal punto di vista politico e sociale.

Tale circostanza non dovrebbe essere sottovalutata né nell’ambito delleNazioni Unite, né da parte statunitense. Gli Stati Uniti, da sempre alleati pri-vilegiati dell’Italia nell’Alleanza atlantica e sostenitori della nostra democra-zia, vivono, da parte loro, un momento storico–politico assai complesso, con-giuntamente a una fase economica in via di ripresa. Tale momento può sinte-ticamente configurarsi ricordando che:

1) l’attuale presidente Clinton ha incentrato la propria campagna elettoralesulla politica interna e non già su quella estera, manifestando in tal modola propria maggiore propensione verso gli affari interni;

2) il sistema della ricerca del consenso popolare attraverso i sondaggi di opi-nione non è sempre obiettivo e può indurre a scelte imprudenti, se nonaddirittura avventate, purché paganti sul piano della popolarità;

3) l’uso della forza in un Paese giovane (quali sono ancora gli Stati Uniti),congiunto agli ideali di libertà che fanno parte del patrimonio culturale diquello Stato, alimenta facilmente il consenso;

4) l’assenza di un antagonista di livello dell’URSS, col quale equilibrare ipropri interventi, può determinare valutazioni politiche inesatte;

5) la presenza nell’ONU di un gran numero di Stati bisognosi di aiuti, prividi fondamenti democratici, militarmente dotati e politicamente disorien-tati (o, più semplicemente aperti a orientarsi sul momento) rappresenta unincentivo ad assumere ruoli senza ponderazione nel presupposto che taliStati non solo non si opporranno agli USA, ma, semmai, potranno alline-arsi in vista di qualche ulteriore beneficio.

In questo complesso contesto si colloca il nuovo ruolo delle Nazioni

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Unite e il contenuto del mandato che esse hanno attribuito alle forze di pacein Somalia. Quanto al ruolo dell’ONU, si è detto più volte da questo giornaleche attualmente le Nazioni Unite si configurano come l’unico potenzialedetentore e gestore dell’ordine mondiale tra gli Stati: configurazione allaquale (giova ripetere) non esistono allo stato attuale alternative.

Inoltre il mandato previsto dalla risoluzione n. 837, che richiama la riso-luzione n. 814, contempla la possibilità di adottare «tutte le misure necessa-rie contro coloro i quali si sono resi responsabili degli attacchi armati» controil personale dell’UNOSOM II e di quanti hanno pubblicamente incitato versotali attacchi, prevedendo altresì inchieste sulle azioni criminali, l’arresto, ladetenzione, il processo e la punizione di costoro al fine di ristabilire l’autori-tà dell’UNOSOM II in Somalia (par. 5 della risoluzione 837).

Come si vede, l’azione militare statunitense effettuata qualche giorno farientra a fatica nell’ambito dei provvedimenti sopra indicati, sebbene non nesia direttamente esclusa. Certo, il problema è di interpretazione, ma è soprat-tutto un problema di opzione militare tradizionale o di scelta diplomatica,supportata da una seria azione di polizia. Si potrebbe obiettare che l’apparte-nenza all’ONU obbliga tutti gli Stati a una medesima condotta: ebbene la sto-ria dimostra che la fedeltà italiana alla Germania nell’ultima guerra mondia-le fu nefasta per entrambe. Forse, senza l’Italia, la Germania non si sarebbeinoltrata in operazioni catastrofiche. Chissà… Con questo non si vuole nega-re l’importanza e l’obbligatorietà dei trattati, in genere, e della Carta del-l’ONU in ispecie. E, certo, sarà utile ricordare la frase pronunciata qualcheanno fa da un giornalista italiano nei confronti degli impegni del nostro Paeseche non venivano sufficientemente osservati. Costui disse: «Quando si faparte di un club, bisogna stare alle sue regole». Questo è vero. Ma forse restada chiedersi: «E se il club cambia destinazione? Se un club che protegge glianimali si trasforma a un tratto in un circolo della caccia o viceversa, allorache si fa?». Questo è l’interrogativo che oggi, rapidamente, le Nazioni Unitedevono porsi e al quale devono dare risposta.

“Italia Oggi”, 15 luglio 1993, p. 1, 2

Sulla Somalia l’Italia deve difendere le sue posizioni

Vi sono fatti, sia a livello nazionale che a quello internazionale, che tur-bano l’opinione pubblica e vengono talora utilizzati in modo non obiettivoallo scopo di creare ulteriori turbamenti e di avvalorare un’immagine distor-

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ta del nostro Paese. In relazione ad essi, oggi, si pone un dilemma che puòriassumersi nei termini seguenti: è più opportuno tacere e procedere come senulla sia avvenuto o è meglio chiarire, approfondire e, semmai, voltare pagi-na e ricominciare con un approccio nuovo?

Senz’altro il primo termine del dilemma è il più semplice e indolore e,soprattutto a livello nazionale, è quello auspicato da molti, specialmente daquanti contano sulla labilità della memoria umana, al fine di coprire con uncolpo di vernice e una spessa coltre un passato ingombrante e discutibile. Ilsecondo termine è, invece, quello che cerca approfondimenti e precisazioninon già per spirito polemico o alla ricerca di pettegolezzi, ma nella consape-volezza che, solo sapendo e conoscendo, sia possibile por fine a situazioninegative e creare un metro positivo di valutazione.

A livello internazionale, nel campo della politica estera, cioè, il dilemmaqui posto non sempre può delinearsi in termini così precisi poiché le norme cheregolano tale politica, pur riproducendosi con cadenze storiche abbastanzasimili, sono sempre esigue e non idonee, comunque, a disciplinare integral-mente tutte le possibili situazioni che si prospettano. Inoltre c’è da riscontrarein questo settore l’assenza di un’elaborazione filosofico–morale, tendente cioèall’affermazione di valori immutabili, da applicare e da seguire, analoga aquella che, invece, si è delineata con riferimento ai principi di democrazia, deidoveri e dei diritti dello Stato verso i cittadini, non più sudditi, e viceversa.

Tranne rare eccezioni, i principi vigenti nel diritto internazionale prescin-dono dalla configurazione di una morale internazionale, facendo, ovviamen-te, riserva della rilevante posizione assunta dalla Santa Sede dopo il 1870,allorché essa perse il dominio temporale per mantenere solo quello spirituale:posizione non sempre seguita proprio per la caratterizzazione della sua fonteche, parafrasando una domanda storica, può definirsi come priva di un ade-guato numero, visto che esso è zero, di divisioni corazzate.

Questa premessa risulta particolarmente utile per valutare i recenti avve-nimenti che hanno coinvolto il contingente italiano in Somalia, avvenimentisui quali si è espressa la stampa estera sulla base di rapporti, dichiarazioni einterviste rilasciate da rappresentanti delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti edi altri Stati.

E il riferimento sopra effettuato agli avvenimenti di politica interna non èsoltanto funzionale in relazione all’approccio che si intende qui avere, ma sigiustifica altresì sulla base dell’asserzione fatta da taluno che l’Italia risultereb-be inaffidabile a causa dei problemi di giurisdizione domestica che l’affliggono.

Non si intende entrare in questa polemica, sterile e odiosa, dopo averchiarito, proprio su questo giornale, i principi che dovrebbero regolare gli

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interventi delle Nazioni Unite. Si vuole solo fare qualche riflessione in rela-zione all’utilità di contestazioni pubbliche e pubblicizzate, in un ambito chenon sempre privilegia, come invece dovrebbe essere in qualunque situazione,la diplomazia aperta.

Ora, proprio la lamentata assenza di valori nella politica estera, o megliodi principi e norme che si ispirano a valori, fa sì che molti auspichino l’assun-zione da parte delle Nazioni Unite, nel mutato contesto internazionale, di unruolo–guida al di sopra delle parti, tale da imporre agli Stati la pace non solocon i mezzi che le sono propri e che non coincidono con quelli consuetudina-riamente applicati, ossia con la violenza e con la guerra, ma con un insiemedi azioni che si discostino chiaramente da forme di neocolonialismo.

In effetti molti commentatori, non soltanto italiani, hanno rilevato chel’impegno degli Stati Uniti in Somalia, previsto per la durata di due anni, èsproporzionato all’entità dello scopo che riguarda la pacificazione dell’area el’erogazione di aiuti umanitari: un simile impegno potrebbe giustificarsi, adetta di costoro, solo se gli Stati Uniti risultassero interessati, sotto il profilopolitico–strategico (e probabilmente anche economico), alla regione. In quelcaso (continuando a dare credito alle affermazioni più diffuse) la permanenzain Somalia risulterebbe conforme alle attuali linee politiche statunitensi cheprivilegiano l’economia rispetto alla politica estera semplicemente.

E si comprenderebbe anche il diverso atteggiamento degli USA verso laBosnia, ove essi percepiscono nettamente la presenza economica dellaGermania, cui lasciano mano libera: quella stessa libertà che essi intendonoottenere in Somalia soprattutto da chi, nel bene e nel male, ha avuto legamipiù stretti con quello Stato, come è accaduto per l’Italia e la Gran Bretagna,per la quale ultima gli attuali legami preferenziali escludono forme di rimo-stranze analoghe a quelle rivolte all’Italia.

Che fare ora? La politica (e anche la politica estera) è l’arte del praticabi-le e la tecnica è, invece, l’arte del possibile. Dal punto di vista tecnico èopportuno spegnere le contestazioni senza abdicare alla propria posizione chesi fonda su principi indiscutibili. Per il resto offrire disponibilità e coerenza,tenendo presente che il trinomio diritto internazionale–politica–economia nonè frutto di invenzione, ma da sempre corrisponde a realtà. Proprio per questoil risanamento economico e il lindore politico nella sfera domestica dell’Italiapossono non soltanto salvare il nostro Paese dalle accuse di cui oggi vienefatto oggetto, ma anche porlo al riparo da situazioni economiche negative alivello internazionale.

“Italia Oggi”, 12 agosto 1993, p. 1, 6

48 PARTE I – Relazioni internazionali

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Parte II

DIRITTO

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Un compito che spetta all’intera comunità internazionaleOccorrono norme non derogabili per la tutela dei diritti umani

I recenti avvenimenti, di estrema gravità, verificatisi nei campi profughipalestinesi suscitano, oltre a giustificati sentimenti di orrore e di sgomento,alcune considerazioni di carattere giuridico relativamente alla tutela dei dirit-ti dei popoli e, in particolare, alla tutela dei diritti dell’uomo.

Per quanto concerne la tutela dei diritti dei popoli, non si può non rileva-re l’uguale diritto, da parte degli israeliani e dei palestinesi all’autodetermina-zione e al mantenimento della propria patria, in conformità del n. 2 dell’art. 1della Carta dell’ONU e delle Risoluzioni emanate nel corso degli anni dalConsiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in tal senso. Spetta, poi, allacomunità internazionale, cioè all’insieme degli stati, alle Organizzazionimondiali — specialmente all’ONU — e regionali — ad esempio alla LegaAraba — fare in modo che tale tutela venga assicurata e vengano bandite le

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Individuo (*)

(*) Vedi anche “Iugoslavia ed ex Iugoslavia”, “Organizzazione delle Nazioni Unite”, “Cina”,“Questioni varie” (Parte I – Relazioni internazionali).

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590 PARTE II – Diritto

pretese che l’una e l’altra parte contendente hanno formulato dalla fine dellaseconda guerra mondiale al fine di egemonizzare una larga fascia del MedioOriente. In particolare è ormai tempo di dimenticare definitivamente e di nonpiù ripetere affermazioni analoghe a quelle contenute nella Convenzionenazionale palestinese del 1964, emendata nel 1966, i cui articoli 19, 20 e 21tendono ad affermare: l’illegalità della creazione dello Stato di Israele, l’in-sussistenza di legami storici e religiosi degli ebrei di formare un popolo conuna propria identità, la necessità, da parte del popolo arabo palestinese diesprimersi attraverso la lotta armata per conseguire la liberazione completadella Palestina e di rinnegare per sempre affermazioni simili, formulate daparte israeliana.

Con riferimento poi ai diritti dell’uomo e alla loro tutela, alcuneconsiderazioni, di ordine giuridico, possono farsi sia in relazione alla tutelaspecifica dei diritti dei profughi palestinesi, sia in ordine a una più vasta tema-tica. La situazione dei profughi palestinesi nei territori occupati dagli israelia-ni — e ciò vale, ovviamente, ove sia definitivamente accertata la “reale occu-pazione” da parte di Israele del territorio in cui si trovano i campi profughi —è contemplata dalla IV Convenzione di Ginevra del 1949, concernente la pro-tezione delle persone civili in tempo di guerra; convenzione della quale sonoparti contraenti Israele, il Libano, la Giordania, la Siria, la RAU, ecc. e allaquale, nel 1977, è stato aggiunto — come alle altre tre convenzioni di Ginevradel 1949 — un Protocollo per la protezione delle vittime dei conflitti armatiinternazionali. L’applicabilità di tale Convenzione è stata tuttavia posta indubbio in relazione ai territori occupati da Israele che, pur attuandone di fattoalcuni dei principi informatori, non ha fatto ammissioni esplicite al riguardo.Da un punto di vista oggettivo, poi, l’assenza di una “potenza” protettrice,incaricata — ai sensi della Convenzione — di salvaguardare gli interessi delleparti in conflitto, la quale, cioè, nel caso specifico, curi gli interessi palestine-si, crea notevoli inconvenienti relativamente all’applicazione della conven-zione stessa. Né si può dimenticare — sempre con riferimento alla situazionedei profughi palestinesi — che nel 1949 l’Organizzazione delle Nazioni Uniteha creato l’Ufficio di assistenza per i rifugiati della Palestina nel MedioOriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine – UNWRA)per fornire aiuto materiale e morale ai rifugiati, i quali, in seguito al conflittoarabo–israeliano, abbiano perduto la propria dimora e i mezzi di sussistenza.L’UNWRA, che è organo sussidiario dell’Assemblea delle Nazioni Unite, havisto prorogare il proprio mandato fino al 30 giugno 1984.

Ma, oltre alle osservazioni specifiche riguardanti il tragico evento svolto-si recentemente, altre possono effettuarsi in senso più vasto sul tema della

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Individuo 591

tutela dei diritti umani in genere. È noto che la tutela dei diritti dell’uomo harappresentato il risultato di una sorta di rivoluzione culturale verificatasi allafine della seconda guerra mondiale, che ha coinvolto — nei trenta–quarantamilioni di morti — un gran numero di “non–combattenti”, di civili, cioè, tra iquali numerosissimi gli ebrei massacrati nei campi di sterminio nazisti. Ed èaltresì noto che la normativa internazionale sui diritti umani — alla quale hoavuto occasione di fare cenno più d’una volta su questo giornale — si fondaattualmente sui trattati internazionali: su atti, cioè, dei quali gli Stati possonovolontariamente fare o non fare parte.

Già all’inizio del secolo la dottrina più qualificata, capeggiata dal giuristaitaliano Dionisio Anzilotti, aveva posto in rilievo la presenza di norme“cogenti”, ossia imperative, non derogabili, nel diritto internazionale, tra lequali aveva individuato quella concernente la tutela della vita dei prigionieridi guerra. La Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969 ha rece-pito il concetto di diritto cogente (jus cogens), inserendo all’art. 53 la normasecondo cui «è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione,sia in contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale»,intendendo per tale «una norma che sia stata accettata e riconosciuta dallacomunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma allaquale non è permessa alcuna deroga».

Ora le reazioni suscitate nella «comunità internazionale nel suo insieme»dalle stragi verificatesi nei giorni scorsi sono di tale portata da far pensare chela tutela dei diritti umani, nei suoi principi fondamentali, sia contemplata nonsolo da norme pattizie bensì da norme accettate e riconosciute dalla comuni-tà internazionale nel suo insieme come norme non suscettibili di deroga, ossiacome diritto cogente. Se questo mutamento nella normativa sulla tutela deidiritti dell’uomo sia in corso di attuazione, come è auspicabile, o meno e qualiconseguenze pratiche potranno derivare da questo eventuale mutamento saràpossibile dire solo dopo che i singoli Stati, le Organizzazioni internazionali, isoggetti diversi dagli Stati, quali — prima fra tutti — la Santa Sede, i tribu-nali internazionali di organizzazioni universali o di organizzazioni regionaliavranno qualificato la normativa fondamentale sui diritti dell’uomo (tuteladella vita, dell’integrità fisica, della libertà di pensiero, ecc.) come dirittointernazionale cogente.

“Il Tempo”, 2 ottobre 1982, p. 24

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592 PARTE II – Diritto

Prospettive per la tutela dei diritti umani

Gli avvenimenti verificatisi di recente a Roma, davanti alla Sinagoga, aVarsavia, inerenti allo scioglimento del sindacato Solidarnosc, e in Argentina,ove sono state rinvenute le fosse comuni, così come le violazioni dei dirittiumani perpetrate in qualsiasi parte del mondo, inducono a ribadire con mag-giore vigore l’urgenza — già affermata in relazione ai fatti avvenuti inPalestina (vedi “Il Tempo” del 2 ottobre) — che gli Stati, le Organizzazioniinternazionali e sovranazionali, la Santa Sede e i tribunali internazionalidichiarino norme cogenti, cioè inderogabili, le norme poste a tutela dei fonda-mentali diritti dell’individuo, in particolare il diritto all’integrità fisica, allavoro — e quindi libertà dal bisogno e dalla fame —, alla libertà di pensie-ro, di religione, di associazione, ecc. Tale esigenza appare giustificata sia sulpiano del diritto internazionale, sia su quello del diritto interno, sia, infine, sulpiano politico. Dal punto di vista del diritto internazionale deve rilevarsi chela presenza di norme non suscettibili di deroga, accanto a quella delle normederogabili (cosiddette norme dispositive), appare ormai accettata a tutti ilivelli (dottrina, prassi, codificazione del diritto internazionale): nessuno,infatti, osa oggi discutere sul carattere inderogabile delle norme che vietanoil commercio degli schiavi, la tratta delle bianche e dei minori. Un trattatointernazionale che avesse per oggetto, in ipotesi, la vendita di persone, rica-drebbe senza alcun dubbio nella normativa dell’articolo 53 della Convenzionedi Vienna sul diritto dei trattati del 1969 e sarebbe senz’altro nullo.

Ora, se si estendesse il carattere dell’inderogabilità alle norme concernen-ti i fondamentali diritti umani si verificherebbe innanzitutto la nullità dei trat-tati che gli Stati concludessero in manifesta violazione di tali diritti. Ma setale ipotesi può apparire improbabile, nel senso che è assai difficile che gliStati — per motivi di ordine politico e giuridico — si determinino alla con-clusione di tali trattati, più probabile può risultare la conclusione di trattati iquali indirettamente mettano in pericolo la sopravvivenza o il benessere disingoli individui o di gruppi di individui o, ancora, di intere comunità e dipopoli. Basti pensare ai trattati che implicano comunque una modificazionedell’ambiente naturale. Ma anche comportamenti di singoli Stati, i quali vio-lino i diritti umani, risulterebbero illeciti dal punto di vista internazionale conla conseguenza che gli altri Stati potrebbero chiedere l’osservanza delle nor-me che tutelano tali diritti. Oltre a ciò, ove fosse riconosciuta da parte degliStati la competenza a un tribunale internazionale — oltre alla già esistenteCorte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo — questo sarebbe tenuto apronunciarsi in detto settore: e ciò sarebbe maggiormente possibile ove fosse

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riconosciuta a singoli individui o a gruppi di individui la possibilità di attiva-re direttamente — mediante opportuni meccanismi giuridici — la giurisdizio-ne del tribunale stesso.

Sul piano poi del diritto interno, il carattere inderogabile delle normeaccennate comporterebbe, almeno per la maggior parte degli ordinamentidegli Stati, la necessità di adattarsi immediatamente e automaticamente allenorme internazionali in questione e, in ogni caso, l’impossibilità di contem-plare disposizioni in contrasto con le norme stesse. Ora, se ciò non costituis-se alcun problema per gli ordinamenti costituzionali di tipo democratico, do-vrebbe dare luogo a modifiche — positive per l’individuo — nei regimi conordinamenti di tipo autoritario.

Sotto il profilo politico, infine, la qualificazione delle norme fondamenta-li sui diritti umani come norme cogenti implicherebbe, per le ripercussioni nelcampo delle relazioni internazionali, una maggiore cautela, da parte degliStati, delle proprie scelte politiche che dovrebbero risultare assolutamentefunzionali per l’uomo. Forse non sarebbe eccessivo parlare, a questo proposi-to, di un nuovo umanesimo, nel senso che l’uomo, relegato dal processo dellastoria, dalle scoperte della scienza e dal progresso della tecnologia, dal ruolodi soggetto attivo a quello di soggetto passivo, riacquisterebbe i propri valorigiuridici, etici e sociali.

L’ambiente e il lavoro sarebbero “per l’uomo” e non viceversa, così comela tecnologia non potrebbe che essere mezzo costruttivo di pace e di progres-so per l’umanità. Auguriamoci per la sopravvivenza stessa dell’umanità e peril suo pacifico progresso che tutto ciò non sia utopia.

“Il Tempo”, 6 novembre 1982, p. 18

Gli organismi internazionali e la tutela della persona umanaAnche per lo Stato italiano una condanna dalla Corte Europea per i dirittiumani

La tutela dei diritti umani coinvolge, per la sua stessa finalità, personeappartenenti ad aree scientifiche e culturali diverse: giuristi, filosofi, sociolo-gi, politici, teologi e via dicendo. L’interesse dimostrato in questo settore sispiega — ovviamente — con la considerazione che, in ogni caso l’uomo, inquanto tale, resta il fulcro delle cose terrene. Già il sofista Protagora — alquale per il periodo storico cui appartenne mancò la luce della fede cristiana— affermò, in un’epoca in cui si tentava di rinvenire nello studio degli ele-

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menti naturali il “principio” dell’essere, che l’uomo è “misura di tutte lecose”. Alcuni secoli dopo, l’avvento del Cristo, con il riconoscimento dellapari dignità umana di tutti gli uomini in quanto figli di Dio, esaltò l’essereumano dandogli inoltre — con il mistero dell’incarnazione — la consapevo-lezza dell’esistenza di Enti (cioè Dio) e di Beni (quali la Fede) che sfuggonoa ogni “misura” dell’uomo. Il progredire dell’umanità, le sue scoperte, l’evo-luzione del pensiero dettero vita — in varie epoche storiche — a movimentiche ancora incentrarono il loro interesse sull’individuo, quali — solo percitarne alcuni — l’umanesimo, il rinascimento, l’illuminismo, il romantici-smo…

È stato tuttavia proprio in questo secolo che la tutela dei diritti umani haottenuto una maggiore rilevanza, spostandosi dal diritto interno — ove già erastata contemplata fin dai tempi della rivoluzione americana e di quella fran-cese — al diritto internazionale, mediante la redazione di un’apposita Dichia-razione e la conclusione di Convenzioni in materia di cui ho ampliamente par-lato in passato (vedi “Il Tempo” del 2 ottobre e 6 novembre 1982). L’ultimoatto internazionale riferentesi in modo espresso e con maggior ampiezza a taletutela è, in ordine di tempo, l’Atto Finale di Helsinki il cui principio VII, con-cernente la tutela dei diritti delle minoranze nazionali, risulta tuttavia in con-trasto, specialmente secondo le affermazioni degli Stati appartenenti al Pattodi Varsavia, col principio VI, riguardante il dovere di non intervento, da partedegli Stati partecipanti negli affari interni degli altri partecipanti.

È certo, peraltro, che tale contrasto potrebbe essere superato ove — con-formemente a un’indicazione da me fornita più volte su questo giornale (vedi“Il Tempo” del 2 ottobre e del 6 novembre 1982) — i diritti fondamentalidella persona umana, quali il diritto alla vita, la libertà di espressione in tuttele sue forme, la libertà di pensiero e altre libertà connesse con l’essenza stes-sa dell’individuo venissero dichiarati, dagli Enti internazionali, come contem-plati da norme inderogabili (jus cogens). In effetti siffatta qualificazione dellenorme internazionali in questo settore renderebbe impossibile l’elevazionedella barriera del dovere di non intervento, in quanto uno Stato non potrebbemai esimersi dall’osservare dette norme, alle quali molte costituzioni — comedel resto quella italiana (art. 10) — darebbero immediata e automatica esecu-zione nell’ambito dell’ordinamento dello Stato. Questo, inoltre, potrebbe pre-tendere la stessa osservanza da parte degli altri Stati.

Certamente la rilevazione delle norme internazionali concernenti questosettore come norme inderogabili contribuirebbe all’esaltazione dell’uomo ealla creazione di un “nuovo umanesimo”, in un’epoca in cui il progresso, intutte le sue varie forme, rischia di trasformare l’individuo da “misura delle

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cose” in essere che deve competere con esse, da autore e fattore di progressoin vittima del progresso stesso. Non si può infatti non osservare che la tecno-logia più avanzata e sofisticata non può e non deve prevaricare l’uomo inalcun modo, ma deve essere posta a servizio di questo come elemento di atte-nuazione della fatica e di benessere in ogni senso, consentendogli quegli“spazi” e quei “tempi” che comunque sono necessari al miglioramento nonsoltanto ed esclusivamente materiale della specie umana.

Ciò posto, se sarebbe auspicabile un mutamento rapido nella qualificazio-ne — e, quindi, nella natura — delle norme sui diritti umani, non sarebbeinvece necessario modificare la procedura esistente per la tutela di tali diritti.Tanto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo quanto il Patto internazio-nale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea generale delle NazioniUnite contemplano, infatti, meccanismi tali da assicurare detta tutela non sol-tanto agli Stati che ne sono parti, ma anche a singole persone fisiche, a grup-pi di privati.

Si può anche aggiungere per dovere di informazione che, per esempio,lo stesso Stato italiano, il quale tutela ampiamente i diritti dell’individuo, hariportato condanne dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: nel 1980 nel-l’affare Artico e nell’affare Guazzardi; e nel 1982 nell’affare Corigliano enell’affare Foti e altri. Ne consegue l’inopportunità di proposte tendenti adaffiancare o a sostituire con altri i meccanismi attualmente esistenti, i quali,malgrado alcune difficoltà, risultano tuttavia funzionanti e funzionali rispet-to alla tutela stessa. Tali proposte, che possono esaltare o catturare facilmen-te l’opinione pubblica più vasta per quel tocco d’innovazione che sembracontraddistinguerle, si prestano in sede scientifica a varie critiche e rischia-no comunque di seminare diffidenza e scoraggiamento negli strati più ampidell’opinione pubblica, la quale, invece, ove fosse opportunamente infor-mata, potrebbe constatare quanto adeguata sia la tutela internazionale inquesto settore.

“Il Tempo”, 19 gennaio 1983, p. 13

Il rifiuto del dolore

La sentenza pronunciata qualche giorno fa dalla Corte di Assise di Romadi condanna del giovane che uccise il congiunto handicappato ha suscitato edè destinata a suscitare in futuro molti interrogativi cui si è già tentato in qual-che sede di dare risposta. È certo che, come molti affermano, il diritto alla vita

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è un diritto fondamentale della persona umana cui nell’ordinamento italianonon è possibile alcuna rinuncia e che per quanti vivono nella fede cattolicadeve considerarsi ugualmente fondamentale e imprescindibile essendo la vita,in sé, un Dono Divino. È, per altro, altrettanto vero che per un disabilitato sipone il problema della “qualità della vita”: problema che è stato affrontato e,almeno dal punto di vista teorico, risolto dalla ben nota Dichiarazione delleNazioni Unite del 1975 sui diritti delle persone disabilitate, oltre che attraver-so una ben precisa e specifica normativa contenuta in essa, mediante il notoslogan “piena partecipazione e uguaglianza”.

Sebbene non sia stato espressamente accolto in numerosi ordinamentiattraverso apposite norme, il principio ora ricordato ha tuttavia determinatonell’ambito specifico dell’ordinamento italiano l’emanazione di alcune norme— precisamente in materia di assistenza e di integrazione scolastica e moltomeno nel campo del lavoro — dirette a migliorare la situazione dei disabili-tati e delle loro famiglie.

Deve tuttavia notarsi che se in taluni ordinamenti la Dichiarazione sopramenzionata ha determinato oltre che sul piano giuridico un mutamento di cul-tura nei confronti dei disabilitati — per restare in Europa ciò può dirsi in par-ticolare per la Francia e la Germania — ciò non si è ancora verificato in misu-ra adeguata in Italia ove la generalità dei consociati noti è ancora in grado dirivolgersi verso il problema dell’handicap con quella comprensione e sensibi-lità che esso richiede. Se si riflette — non soltanto sotto l’ottica giuridica —sul caso ora accennato e su quello verificatosi negli Stati Uniti di una giova-ne gravemente sofferente la quale ha chiesto alla magistratura di non esseretrattenuta in vita, si comprende come la società moderna, nel suo complesso,rifiuti il dolore e non sia in grado di porgere aiuto a quanti convivono quoti-dianamente con esso. Il consumismo, la ricerca della felicità fanno si che chi,per circostanze indipendenti dalla propria volontà, vive in una situazionediversa si senta inutile ed emarginato, spesso disperato, specialmente ove lacoscienza presenti cedimenti e non soccorra una fede adeguata in una vitafutura e felice.

È probabile che alla base della motivazione della sentenza vi siano, tra lealtre, anche le considerazioni cui qui si è accennato, più che il riferimento alconsenso della vittima: considerazioni che, se sono certamente giuridiche,lambiscono — e non può essere altrimenti — il campo della morale di una so-cietà. Ma è anche probabile che i giudici, senza voler con ciò indulgere sul-l’eutanasia, ma valutando con comprensione il singolo caso concreto sottopo-sto al loro esame, lo abbiano, più o meno consapevolmente, comparato adaltri, nei quali, in relazione a reati di omicidio in assenza di attenuanti speci-

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fiche o generiche, la magistratura, in conformità di norme eccezionali, hadeciso con pari o addirittura maggiore clemenza.

“Il Tempo”, 13 dicembre 1983, p. 5

Un convegno internazionale in CampidoglioDiritto dello Stato e dignità della persona

Filosofi e giuristi italiani e stranieri discutono sull’opportunità di riconoscereallo Stato un potere incondizionato di normazione — La definizione del con-cetto di comunità — Necessità di adeguare l’ordinamento italiano ai trattatiinternazionali.

Si apre oggi a Roma, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, sottol’alto patronato del Presidente della Repubblica, il colloquio internazionaledal titolo La concezione del diritto e dello Stato nell’era di rivendicazionedella dignità della persona umana. Dopo la relazione introduttiva, tenuta dalprof. Giuseppe Sperduti, i lavori proseguiranno presso la Sala Convegni delConsiglio Nazionale delle Ricerche. Ai lavori parteciperanno giuristi italianie stranieri, quali, tra i numerosi altri, il prof. Vegleris dell’Università di Atene,il prof. Fazzalari dell’Università di Roma, il prof. Ermacora, membro dellaCommissione europea dei diritti dell’uomo, il prof. Kiss, Segretario generaledell’Institut International des Droits de l’Homme, il prof. Lachs, giudice e giàpresidente della Corte internazionale di giustizia, il prof. La Pergola, giudicecostituzionale, il ministro plenipotenziario Giacomelli, direttore generale delDipartimento per la cooperazione allo sviluppo del nostro Ministero degliEsteri, alcuni giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo e docenti uni-versitari. Il convegno è organizzato dalla Facoltà di Scienze Politichedell’Università di Roma “La Sapienza”, d’intesa con il Comitato consultivoitaliano per i diritti dell’uomo e con l’Institut International des Droits del’Homme di Strasburgo.

Ormai da alcuni secoli filosofi e giuristi discutono sul problema concer-nente la legittimazione dello Stato a emanare norme che, per il fatto di posse-dere il carattere della giuridicità, contengono comandi diretti ai singoli e aiquali questi, proprio in ragione della provenienza di tali comandi e del carat-tere che li contraddistingue, sono tenuti ad adeguarsi.

Tuttavia la constatazione che — come opportunamente rileva il prof.Giuseppe Sperduti nella Relazione introduttiva al Convegno — «la storia

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ripetutamente insegna che in nome dello Stato sono compiute efferatezze chela coscienza giuridica condanna», ha indotto sia i filosofi sia i giuristi a dubi-tare dell’opportunità di riconoscere allo Stato — così come invece vorrebbela corrente di pensiero nota come “positivismo giuridico” — un potere incon-dizionato di normazione: un potere, cioè, che non tenga conto della corrispon-denza tra norme giuridiche e valori superiori, nel nome dei quali e comeespressione dei quali le norme stesse acquistano significato.

Che questa tendenza sia antica e che essa sia stata evidenziata proprio infunzione della determinazione della natura delle norme che compongono l’or-dinamento internazionale risulta — come osserva ancora il prof. Sperdutinella sua Relazione — dal pensiero di alcuni scrittori cattolici del XVI seco-lo, specialmente da quello di Alberico Gentili, cui si deve l’affermazione delprincipio di compenetrazione del diritto delle genti con un ordine superiore divalori. Ugualmente Grozio, vissuto tra il XVI e il XVII secolo, ha ricercato ilfondamento del diritto internazionale nel communis consensus gentium, valea dire nel comune consenso delle genti che, a sua volta, non potrebbe prescin-dere da forme di giustizia naturale.

Anche in epoca più recente, è stata avvertita l’esigenza di “ancorare” ilprecetto giuridico a un ordine di valori, se non trascendente, almeno sicura-mente immanente: il giurista austriaco Verduoss, gli italiani Ago e Sperduti e,per certi versi, anche il Balladore Pallieri hanno forse — più dei giuristianglosassoni — riconosciuto tale esigenza, più espressamente, con riferimen-to all’ordinamento internazionale.

Date queste premesse, si pone — e rappresenta uno dei temi centrali diquesto convegno — il problema di interpretare il contenuto della Dichia-razione universale dei diritti dell’uomo in relazione al rapporto tra lo Stato ela persona, la quale è titolare di un’ampia sfera di situazioni giuridiche sog-gettive, consistenti in diritti e obblighi (oggi, peraltro, si tende ad accentuarela situazione “attiva” dei diritti rispetto a quella “passiva” degli obblighi) pre-visti dall’ordinamento statale e, per i cittadini degli Stati membri della CEE,da quello comunitario.

In particolare, tra le norme della Dichiarazone Universale, merita partico-lare attenzione quella contenuta nell’art. 29, in base alla quale «ciascuno hadoveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il pieno sviluppodella propria personalità», in quanto detta norma implica sia la definizione delconcetto di “comunità”, sia la determinazione dei “doveri” di ciascuno versola comunità stessa.

Per quanto concerne la definizione del concetto di “comunità” si rileva —ovviamente — la necessità di individuare che cosa si intenda per essa e se

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essa debba identificarsi con lo Stato, ponendosi, allora, l’ulteriore quesito sel’ordinamento dello Stato sia, nei confronti dei singoli individui, una sovra-struttura, vale a dire alcunché di imposto autoritativamente, o una semplice,valida ed efficiente struttura, nella quale gli individui razionalizzano i propricomportamenti, finalizzandoli al bene comune. Osserva lo Sperduti che dalcitato art. 29 non si deduce «un principio normativo, volto ed erigere il dirit-to della comunità a sistema di valori» e che punto di partenza deve essere «lapersona umana come valore».

Quanto, poi, alla determinazione dei «doveri verso la comunità», di cuiall’art. 29 sopra ricordato, essi sono da intendersi — sempre secondo loSperduti — come il dovere dei singoli di «sottostare al diririto della comuni-tà». Da tale interpretazione discendono gli obblighi che, sulla base della soli-darietà sociale, gravano sull’individuo sia in relazione alla comunità statalecui appartiene, sia in relazione alle norme poste mediante gli accordi, unavolta che l’ordinamento interno le abbia rese esecutive. Proprio in rapporto alproblema dell’adattamento dell’ordinamento italiano ai trattati internazionali— dai quali possono provenire obblighi gravanti sull’individuo — è stata evi-denziata da alcuni internazionalisti italiani l’opportunità di emendare, sia puresecondo le diverse indicazioni fornite da ciascuno (si fa riferimento special-mente a Giuliano e a Sperduti), la Costituzione al fine di facilitare l’adegua-mento dell’ordinamento italiano ai trattati internazionali.

“Il Tempo”, 29 ottobre 1984, p. 12

Quale servizio delle donne per lo StatoPuò essere alternativamente civile o militare

La proposta di legge presentata recentemente in Parlamento, volta a con-sentire alle donne l’accesso alla carriera militare — contemplato, anche dal-l’ultimo “libro bianco” della Difesa — trova riscontro tra l’altro, in uno stu-dio effettuato dalla scrivente nel 1981 per conto del Centro Alti Studi per laDifesa (CASD) nell’ambito di una ricerca condotta dal Centro stesso sul ser-vizio militare femminile.

In tale studio, del quale si è dato a suo tempo notizia su questo Giornale(Se la donna impugna il fucile, del 17 settembre 1981), si è rilevata l’esisten-za di alcuni importanti presupposti normativi, dipendenti specialmente dal-l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle convenzioni internazionali dellequali è parte il nostro Stato, e soprattutto alle Convenzioni di Ginevra del

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1949 concernenti rispettivamente: il miglioramento della sorte dei feriti, deimalati e dei naufraghi delle Forze Armate terrestri, il miglioramento dellasorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze Armate sul mare nonchéil trattamento dei prigionieri di guerra. Da tali presupposti si deduceva, giàallora, la non estraneità ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano;del servizio militare femminile e si indicava l’opportunità — anche in consi-derazione di altra normativa direttamente creata dal legislatore nazionale —di consentire alle donne che lo desiderassero (e, quindi, su base volontaria)l’accesso alla carriera militare da percorrersi, come avviene in altri Stati, inte-ramente, pur escludendosi — come del resto si prevede anche nelle citate con-venzioni — il contatto diretto col nemico, in caso di guerra.

Tuttavia il trascorrere del tempo e le accresciute necessità di tipo umani-tario che si sono manifestate sul piano interno come su quello internazionalein questi anni, verso le quali — come nel caso dell’intervento italiano inLibano e delle catastrofi naturali abbattutesi sul nostro Paese — le ForzeArmate italiane non solo hanno dimostrato sensibilità, ma anche hanno datoprova di grande dedizione, assumendo concrete e felici iniziative, inducono aconsiderare sotto una prospettiva diversa l’eventualità di un servizio delledonne allo Stato.

Nel corso del Colloquio internazionale su «la concezione del diritto edello Stato nell’era di rivendicazione della dignità della persona umana»,svoltosi alla fine di ottobre a Roma con la partecipazione di studiosi del dirit-to internazionale di vari Paesi, di giudici della Corte Europea dei diritti del-l’uomo, di rappresentanti del Consiglio d’Europa e di altri organismi interna-zionali, la scrivente ha presentato una comunicazione, riguardante il serviziodelle persone allo Stato, con specifici riferimenti al servizio delle donne alloStato.

Lo spunto delle riflessioni contenute in questa comunicazione è certa-mente stato fornito dall’art. 29 della Dichiarazione universale dei diritti del-l’uomo, in base alla quale «ogni individuo ha dei doveri verso la comunitànella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personali-tà». Posto, difatti, in conformità con l’opinione prevalente, che la “comunità”,di cui all’articolo citato, sia lo Stato ci si è chiesto quali siano i doveri delledonne verso di questo, ove si tralascino il dovere fondamentale ed esistenzia-le verso i figli — dovere che, sia pure con manifestazioni diverse ma ugual-mente importanti hanno anche gli uomini — e il dovere di concorrere allespese dello Stato attraverso il pagamento dei tributi — cui tutti, in condizio-ni di uguaglianza, sono tenuti, ove posseggano un reddito.

La risposta a questo quesito è stata semplice e quasi ovvia sul piano giu-

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ridico: in una società quale quella attuale, caratterizzata da profonde istanzesociali riguardanti: l’invecchiamento della media della popolazione mondia-le, i problemi sanitari e assistenziali, la tutela dei minori, figli di madri lavo-ratrici, l’accresciuto numero di profughi e di rifugiati, il consistente numerodi disabili nei cui confronti sussiste l’obbligo umano e sociale di assistenza edi riabilitazione, la lotta contro la droga e quella contro gli esiti più negatividella povertà, l’intervento in caso di pubbliche calamità e la protezione del-l’ambiente, le donne dovrebbero essere disposte a offrire il loro Servizio alloStato avendo la possibilità di scegliere — si auspica alla pari con gli uomini— tra il servizio militare, pur con le caratteristiche già indicate e il serviziocivile. È probabile che quest’ultimo raccolga la maggiore adesione delledonne, data la vocazione alla pace che ormai contraddistingue uomini e donneal di là di ogni strumentalizzazione politica di tipo interno o internazionale, difronte al pericolo di un olocausto nucleare e alla persistenza di guerre, siapure a carattere locale, combattute con armi convenzionali o semiconvenzio-nali. La realizzazione di esso consentirebbe allo Stato di riappropriarsi e digestire, con la dovuta competenza e funzionalità, alcuni servizi, oggi lasciatiall’iniziativa, spesso peraltro assai valida ed efficiente, dei singoli. Opportu-namente razionalizzato attraverso adeguati corsi di formazione, tale servizioconsentirebbe altresì di convogliare verso settori oggi trascurati forze lavorofemminili da utilizzare nello stesso ambito, anche al termine del servizio stes-so. Per quanto concerne, i problemi logistici, si ritiene, sulla base di una rile-vazione sul territorio nazionale, che essi potrebbero essere abbastanza facil-mente superati; così come quelli finanziari, essendo possibile il ricorso agliaiuti del Fondo Sociale Europeo.

Certamente l’istituzione di un servizio delle donne allo Stato de-terminerebbe una profonda innovazione dei rapporti tra lo Stato e le donne e,più ampiamente, tra lo Stato e le persone; esso potrebbe avere durata inferio-re al servizio militare prestato dagli uomini (o del servizio civile alternativo)in considerazione della vocazione e dell’impegno delle donne verso la mater-nità, potrebbe realizzarsi prima del compimento, da parte delle donne del ven-tesimo anno di età, in analogia con quello attualmente prestato dagli uomini,e potrebbe articolarsi sia come servizio militare sia come servizio civile.

“Il Tempo”, 3 gennaio 1985, p. 16

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602 PARTE II – Diritto

La coscienza dei dirittiNon basta averli, bisogna anche saperlo

Molte organizzazioni internazionali e, particolarmente, l’Organizzazionedelle Nazioni Unite sogliono rimproverare agli Stati la scarsa conoscenza chele donne hanno dei propri diritti e, quindi, invitano gli Stati stessi a promuo-vere al massimo tale conoscenza. Se tale rimprovero — accompagnato dallaconseguente raccomandazione affinché gli Stati assumano un atteggiamento“positivo” — riveste grande importanza per quegli Stati nei quali si riscontra-no nella popolazione — e specialmente tra le donne — problemi di alfabetiz-zazione o, comunque, di scarsa cultura di base, esso non è del tutto superfluoanche nel caso in cui sia rivolta a Stati culturalmente più evoluti, potendosianche in questi individuare consistenti strati della popolazione nei quali scar-seggia un’adeguata conoscenza giuridica. In effetti, se è vero che la conoscen-za “tecnica” delle norme, del loro contenuto, della loro applicazione e dellaloro interpretazione appartiene a chi, a diversi livelli e con diverse competen-ze e preparazione, si occupa di diritto, è anche vero che gli strumenti di cono-scenza del diritto sono, a loro volta, un diritto — mi si perdoni l’iterazione —il cui esercizio, deve essere garantito dallo Stato a qualsiasi cittadino, a nullavalendo dal punto di vista concreto per una persona l’essere destinataria di undiritto a propria insaputa. Se, difatti, la non conocenza del diritto non puòessere addotta a scusante da parte di colui che ha violato una norma che con-templa un obbligo stesso (ignorantia juris non excusat), la stessa situazione,cioè l’ignoranza del diritto, comporta l’impossibilità concreta — che si tradu-ce in ultima analisi in un’impossibilità giuridica, specialmente ove sussistanotermini di decadenza — da parte del destinatario di una norma di far valere ildiritto di cui è titolare in virtù di essa.

In questa situazione — analogamente agli altri Stati più evoluti — si ètrovata anche l’Italia, nella quale abbondano (come tutti sanno) le leggi, alcu-ne delle quali risalgono addirittura alla formazione del Regno: leggi, dellequali non sempre si conosce il contenuto non soltanto tra la popolazione, ma,talora, perfino tra gli esperti. Date, poi, le caratteristiche che hanno contrasse-gnato l’evoluzione della condizione femminile, tale situazione di scarsa cono-scenza dell’esistenza di norme che prevedono la titolarità di situazioni giuri-diche soggettive consistenti in diritti e obblighi, concerne nel nostro Paesesoprattutto le donne.

Proprio per ovviare ad essa, o, meglio, per rendere le donne più consape-voli dell’esistenza di loro diritti — i quali spesso sono anche accompagnati daobblighi verso la famiglia, la società e lo Stato — la Commissione nazionale

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per la parità tra uomo e donna ha promosso la compilazione di un CodiceDonna. Come ogni codice anche questo si presenta come una raccolta dinorme, cioè di leggi interne e di atti internazionali che riguardano direttamen-te le donne o che possono interessarle, selezionate dalle autrici, tra le qualifigura anche chi scrive, secondo le rispettive preminenti competenze.

Ne è risultata un’opera di notevole vastità e complessità: al punto che perle stesse autrici si sono posti problemi di valutazione circa l’opportunità diintrodurre una data legge e di ometterne un’altra; di inserire una certa conven-zione e di tralasciarne un’altra, di dare adeguato spazio alla normativa comu-nitaria…

Certo, può darsi che i criteri adottati non incontrino l’approvazione una-nime e che l’articolazione del lavoro susciti qualche perplessità, sebbene sisiano adottati sistemi di “agilità” e di facilità di consultazione utlizzabilianche da parte di persone non particolarmente esperte in campo giuridico.Nonostante eventuali imperfezioni è certo che oggi le donne possono consul-tare un codice pensato per loro e redatto per loro al fine di accertare i lorodiritti e di farli valere, da sole o con l’aiuto di esperti. E questo, davvero, nonè poco!

“Il Tempo”, 15 marzo 1985, p. 19

Europa socialeL’ONU e la tutela della persona umana

In questo particolare periodo di bilanci consuntivi e preventivi dell’azio-ne della massima organizzazione internazionale, l’ONU, che celebra in questoscorcio di tempo i 40 anni dalla sua fondazione, e della più attiva delleorganizzazioni di tipo regionale, la CEE, della quale si auspica proprio in que-sti giorni la ripresa attraverso sia il rafforzamento delle sue istituzioni sia unmigliore equilibrio economico nei rapporti con gli Stati estranei, assumeparticolare rilievo il cosiddetto fattore sociale. Con riferimento all’ONU,difatti, si osserva che, senza tralasciare l’aspetto politico dell’operadell’Organizzazione, che peraltro incontra sovente non poche difficoltà diattuazione sul piano concreto, l’azione più rilevante di essa si è diretta allevarie forme di tutela della persona umana: di ciò è prova, tra l’altro, la tena-cia con la quale l’Organizzazione difende i diritti individuali e ne raccoman-da la tutela agli Stati membri attraverso appositi atti quali soprattutto le rac-comandazioni e le convenzioni dei testi delle quali provvede alla redazione,

Page 60: Relazioni internazionali e Diritti fondamentali 1981-2005 · Avendo avuto occasione di leggere su “Il Tempo” e su “Italia Oggi” alcuni articoli della prof.ssa Maria Rita Saulle,

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sollecitando la ratifica da parte degli Stati stessi. In questo settore l’ONU ècoadiuvata peraltro dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la cuiopera ha prodotto importanti conseguenze a partire dal 1919 fino a oggi.Anche considerato in rapporto all’aspetto politico, il fattore sociale acquistanell’ONU un valore importantissimo, se si riflette sulla circostanza che unapiù adeguata tutela dei diritti individuali nell’ambito degli ordinamenti deisingoli Stati, implicando un miglioramento della qualità della vita in sensolato, garantirebbe una maggiore stabilità tra le nazioni, spesso messa in peri-colo sia dai dislivelli di ordine economico sia dall’inosservanza dei diritti fon-damentali della persona umana.

Analoghe osservazioni possono farsi con riferimento all’Europa, in cui lapolitica sociale rappresena non solo uno dei cardini dell’azione comunitaria,ma quella, tra le politiche, che fino a oggi ha trovato maggiore attuazione daparte degli Stati membri. La libera circolazione dei lavoratori, infatti, soprat-tutto se raffrontata a quella dei servizi, dei capitali e dei trasporti, è stataincentivata al massimo, in ambito comunitario, insieme al regime concernen-te, in senso ampio, la sicurezza sociale; così, come tutto il settore sociale hatrovato impulso considerevole attraverso e in conseguenza dell’azione, anchenormativa, delle Comunità. È pertanto auspicabile che questa azione continuie che in relazione ad essa permanga l’accordo degli Stati tendente all’attua-zione di misure adeguate che consentano, da un lato, l’occupazione dei lavo-ratori; e, dall’altro, il miglioramento della qualità della vità di tutti i cittadinieuropei, uomini e donne, specialmente dei più poveri ed emarginati.

Proprio allo scopo di favorire lo sviluppo dell’Europa nel settore sociale,la Commissione della comunità, oltre a promuovere una serie di azioni —alcune delle quali in passato sono state esposte da chi scrive su questo gior-nale — ha diffuso attraverso una rivista nelle lingue inglese e francese, inti-tolata «L’Europa sociale», i problemi sociali dell’area comunitaria, indicandoanche la normativa comunitaria in materia. La versione italiana della stessaRivista, presentata alcuni giorni orsono presso il Ministero degli Esteri, dalsottosegretario Fioret, dal ministro Masotti e dal ministro Berlinguer, oltreche da altri diplomatici, è destinata a produrre in campo europeo, conriferimento specifico all’Italia, una migliore conoscenza dei propri diritti daparte dei cittadini; conoscenza, che costituisce l’indispensabile premessa peruna più efficace integrazione, i cui risultati non potranno non riverberarsi nelsettore delle istituzioni come in quello concernente l’attuazione delle altrepolitiche comunitarie.

“Il Tempo”, 2 luglio 1985, p. 13