Università degli Studi “Roma Tre” Dipartimento di Ingegneria Laurea Magistrale in Ingegneria delle Infrastrutture Viarie e dei Trasporti Relazione di fine tirocinio A.A. 2014/2015 Acquisizione delle competenze informatiche per l’utilizzo dei software “Autodesk” ai fini della modellazione tridimensionale di progetti infrastrutturali Tutor: Prof. Ing. Fabrizio D’Amico Tirocinante: Andrea Lucaroni Matricola: 425789
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Università degli Studi “Roma Tre” Dipartimento di Ingegneria
Laurea Magistrale in Ingegneria delle Infrastrutture Viarie e dei Trasporti
Relazione di fine tirocinio
A.A. 2014/2015
Acquisizione delle competenze informatiche per l’utilizzo dei software “Autodesk” ai fini della
modellazione tridimensionale di progetti infrastrutturali
I primi metodi/modelli introdotti per la stima dell’incidentalità attesa sono stati i metodi
tradizionali.
Si tratta di metodi obsoleti, impiegati a partire dagli anni ’60, ossia dal momento in cui ci si pose il
problema della sicurezza stradale, poiché mutò la concezione della natura dell’evento incidentale da
CASUALE (anni ’30-’40) a CAUSALE, quindi determinato da una o più cause.
Tali metodi valutano l’incidentalità attesa mediante la stima di indicatori di rischio, basati
prettamente sulle condizioni geometriche del tracciato (trascurando gli effetti che geometria e flussi
di traffico hanno sul comportamento dell’utente).
Tuttavia, tali metodi hanno evidenziato limiti oggettivi, essenzialmente legati al fatto che:
- Non tengono conto della fruizione della strada (entità dei flussi);
- Per molti di essi, NON è emersa coerenza con l’incidentalità.
Solo per il CCR1 si è verificata una discreta coerenza con l’incidentalità, tuttavia episodica;
- Trattandosi di variabili puramente geometriche, non garantiscono una valida correlazione con i
sinistri rilevati.
Successivamente, nel corso degli anni, si è assistito ad un’evoluzione della progettazione stradale,
non più fondata sui soli criteri geometrici ma anche su criteri che tenessero in conto la funzionalità
(flussi di traffico), e successivamente, il “fattore umano” (interazione fra utente, strada, vettura).
Di pari passo, si è assistito ad un’evoluzione della letteratura relativa alla sicurezza stradale, volta a
definire metodi più efficaci che garantissero una previsione più affidabile dell’incidentalità attesa,
quali i metodi innovativi, che prevedono l’applicazione di procedure/protocolli provenienti da altre
discipline: reti neurali, prese in prestito dall’informatica, e analisi probabilistica (teoria del hazard
analysis).
Per quanto riguarda le reti neurali, si evidenziano due limiti principali:
- la rete non consente di verificare direttamente l’incidenza della modifica di una variabile di
input sulla variazione della variabile di output, ossia l’incidentalità attesa (si dice che “la rete
interpreta ma non esplicita i rapporti di causa-effetto”);
- la rete modellata sulla base di dati e caratteristiche di una determinata infrastruttura, non
funziona se applicata ad un infrastruttura con caratteristiche differenti. 1Curvature Change Rate CCR – 1978 Parametro che tiene conto dell’intero elemento curvilineo (sia dell’arco di cerchio, sia delle eventuali clotoidi) e relaziona: raggio dell’elemento circolare; angolo di deviazione dell’elemento circolare; parametri degli elementi contigui alla curva.
La Computer Grafica 3D (d’ora in poi abbreviata in CG3D) è un ramo della computer grafica che si
basa sull'elaborazione di un insieme di modelli tridimensionali tramite algoritmi, al fine di produrre
una verosimiglianza fotografica e ottica nell'immagine finale.
La CG3D risulta largamente impiegata per la creazione e postproduzione2 di opere o parti di opere
per il cinema o la televisione, nei videogiochi, nell’architettura, nell’ingegneria, nell’arte e in
svariati ambiti scientifici, dove la produzione di contenuti con altri mezzi non è possibile o non
conveniente.
Il metodo di produzione della computer grafica 3D si articola in 2 fasi essenziali:
- Descrizione e composizione della scena
Consiste nel descrivere e ricreare tutto ciò che si intende visualizzare – che prende il nome
di scena – tramite oggetti tridimensionali, ricreati attraverso rappresentazioni matematiche,
dette modelli;
- Rendering
Consiste nella produzione di un’immagine 2D dalla scena, tramite un meccanismo definito
“motore di rendering” che si fa carico di tutti i calcoli necessari per la sua creazione,
mediante algoritmi che simulano il comportamento della luce e le proprietà ottiche e fisiche
di oggetti e materiali.
2 La post produzione è la fase intermedia della produzione cinematografica, successiva alla fase di lavorazione in cui il film viene girato ed antecedente la fase di distribuzione al pubblico del prodotto finito. Anche nella fotografia si parla di post produzione alla fine di riprese fotografiche in digitale. Le componenti principali della fase di post-produzione sono:
- montaggio del film (con la moviola o più comunemente con le tecniche digitali); - registrazione delle musiche, nel caso non siano già pronte o si voglia sincronizzarle alla perfezione col film
montato (ad esempio per sottolineare una scena importante); - creazione degli effetti speciali visivi (ad esempio utilizzando le tecniche di animazione al computer); - aggiunta degli effetti sonori; - realizzazione del doppiaggio (se necessario, come per le voci fuori campo, ecc.); - montaggio, sincronizzazione e missaggio delle varie tracce audio a formare la colonna sonora; - correzione del colore; - taglio del negativo e stampa della copia definitiva, usata per creare le copie da distribuire.
Tutte queste procedure messe assieme richiedono spesso molto più tempo di quello impiegato a girare il film.
Per la descrizione della scena e la costruzione di oggetti tridimensionali semplici si ricorre
all’impiego di equazioni operanti su un sistema di riferimento cartesiano tridimensionale. Sebbene
l’impiego di equazioni così semplici possa sembrare limitativo, in realtà l'insieme di oggetti
rappresentabili viene ampliato mediante la tecnica, definita geometria solida costruttiva
(constructive solid geometry – CSG), la quale combina oggetti solidi (cubi, sfere, cilindri, ecc.) per
formare oggetti più complessi attraverso le operazioni booleane (unione, sottrazione e intersezione)
(es. un tubo può essere rappresentato come differenza fra due cilindri aventi diametro differente).
Tuttavia, le sole equazioni non sono sufficienti a descrivere con accuratezza le forme complesse che
costituiscono buona parte del mondo reale, pertanto, per la modellazione di superfici curve, si
ricorre alle patch, ovvero l’estensione delle spline3, che approssimano curve continue alle tre
dimensioni.
L’impiego di equazioni matematiche richiede l'utilizzo di una gran quantità di potenza di calcolo, il
che ne esclude l’impiego per le applicazioni in tempo reale, quali videogiochi e simulazioni.
Pertanto, è stata sviluppata una tecnica alternativa a quella basata sulle equazioni matematiche, più
efficiente, diffusa e flessibile, definita modellazione poligonale (dall’inglese poly-modelling):
questa garantisce un maggiore livello di dettaglio a spese però della maggiore quantità di
informazioni necessaria a memorizzare l'oggetto risultante, chiamato modello poligonale.
Tramite la tecnica definita superfici di suddivisione, basata su algoritmi per la rappresentazione di
superfici curve, è possibile raffinare ulteriormente un modello poligonale: attraverso un processo di
interpolazione iterativa, si rende il modello sempre più denso di poligoni, che consentono di
approssimare al meglio curve ideali, derivate matematicamente dai vari vertici del modello.
Tramite i suddetti modelli tridimensionali, è possibile rappresentare le più semplici forme
geometriche, dette primitive, che costituiscono il primo passo verso la composizione della scena. A
partire dalle primitive si procede con la creazione di oggetti più complessi, tramite la scomposizione
in singole facce o la combinazione di più forme.
Le primitive sono descritte all'interno del proprio sistema di riferimento locale e vengono
posizionate sulla scena attraverso opportune trasformazioni, quali omotetia, rotazione e traslazione.
3 La spline è una funzione costituita da un insieme di polinomi raccordati tra loro, il cui scopo è interpolare, in un intervallo, un insieme di punti (nodi), in modo tale che la funzione risulti continua almeno fino ad un dato ordine di derivate, in ogni punto dell'intervallo.
Il rendering è il processo di produzione dell'immagine finale a partire dal modello matematico
tramite cui si è pervenuti alla descrizione della scena: esistono numerosi algoritmi di rendering e
tutti implicano la proiezione dei modelli 3D su una superficie 2D.
Gli algoritmi di rendering si dividono in due categorie:
- Scanline renderers
Operano oggetto per oggetto, disegnando direttamente su schermo ogni poligono o
micropoligono: essi richiedono quindi che tutti gli oggetti (anche quelli modellati con curve
continue) siano stati sfaccettati in poligoni.
- Ray tracers.
Operano pixel per pixel, tracciando un raggio visuale immaginario dal punto di vista,
all'interno della scena, e determinando il colore del pixel dalle intersezioni con gli oggetti.
Uno degli aspetti principali della fase di rendering è legato alla determinazione della superficie
nascosta: gli algoritmi del tipo Ray tracers svolgono implicitamente questa funzione, determinando
il colore di un pixel in base all'intersezione del raggio visuale con il primo oggetto, mentre l’altra
tipologia di algoritmi richiede tecniche più avanzate per determinare quale poligono sia il più vicino
al punto di vista.
Il metodo più semplice è costituito dalla tecnica painter’s algorithm (algoritmo del pittore), la quale
consiste nel disegnare i poligoni a partire da quelli più lontani, in modo tale che quelli più vicini li
sovrascrivano; tuttavia tale tecnica risulta inefficace in caso di poligoni sovrapposti.
Per ovviare a tale problematica è stato sviluppato l’algoritmo z-buffering, che impiega un buffer4
per conservare la coordinata z relativa ad ogni pixel elaborato: se la profondità del pixel del
poligono che sta per essere elaborato è minore della profondità del pixel in memoria, il pixel viene
riscritto, altrimenti l'algoritmo passa al pixel successivo.
4 Per buffer si intende una zona di memoria usata temporaneamente per l'entrata o l'uscita dei dati, oppure per velocizzare l'esecuzione di alcune operazioni.