Conferenza ESPAnet Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015 Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di sviluppo a confronto L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria. L’impatto della crisi su un deficit strutturale Autori Angela Bagnato*, Stefania Barillà* e Flavia Martinelli* * Dipartimento Architettura e Territorio – DarTe Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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Reggio Calabria. - Espanet Italia · 2017. 2. 24. · Reggio Calabria. L’impatto della crisi su un deficit strutturale Autori Angela Bagnato*, Stefania Barillà* e Flavia Martinelli*
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Conferenza ESPAnet
ITALIA Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015
Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di
sviluppo a confronto
L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a
Reggio Calabria.
L’impatto della crisi su un deficit strutturale
Autori
Angela Bagnato*, Stefania Barillà* e Flavia Martinelli*
* Dipartimento Architettura e Territorio – DarTe
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria.
L’impatto della crisi su un deficit strutturale.
ABSTRACT
Nel quadro della crisi economica che ha investito numerosi paesi determinando tagli alla spesa sociale
e un’accelerazione dei processi di ristrutturazione del welfare, gli autori hanno ricostruito lo stato
dell’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani (sia domiciliare che residenziale) nella città di
Reggio Calabria allo scopo di valutare gli effetti della crisi.
Tale ricostruzione è stata effettuata analizzando il quadro normativo e di programmazione delle
politiche sociali per gli anziani in Calabria e nel comune di Reggio Calabria (all’interno del più ampio
contesto nazionale), elaborando gli scarsi dati statistici disponibili su tali servizi, e realizzando
interviste a testimoni locali privilegiati (funzionari pubblici, operatori del settore, associazioni). La
rassegna ha consentito di individuare quelle caratteristiche specifiche del territorio che, intrecciate
alle più generali tendenze innescate dalle politiche di contenimento, determinano il quadro attuale
dell’offerta.
In particolare, la ricerca ha messo in luce come la ridotta dimensione dei servizi per gli anziani nella
città di Reggio Calabria, registrata tanto a livello socio-assistenziale quanto a livello socio-sanitario,
è connessa in prima istanza a un deficit strutturale storico del welfare calabrese, accentuato
dall’autonomia regionale in materia di servizi sociali seguita alla riforma del Titolo V della
Costituzione nel 2001, piuttosto che a un effetto contingente della crisi. La politica sociale regionale,
infatti, è caratterizzata da rilevanti vuoti normativi, specie nei regolamenti attuativi dei servizi sociali,
da una persistente assenza di analisi dei bisogni del territorio da parte dei governi regionale e locali,
e dalla mancanza di qualunque monitoraggio dell’offerta. A queste deficienze si aggiunge uno stile
di programmazione regionale improntato a un clima di perenne emergenza (con un forte orientamento
al cash-for-care), una protratta incertezza dei finanziamenti (grande frammentazione di fondi e azioni
, quasi mai dedicati), una forte centralizzazione del controllo, opacità delle procedure, e toni
familistici.
Sul versante locale, che è quello investito in prima linea dai crescenti bisogni degli anziani, si sono
così realizzate – anche in Calabria – grandi differenziazioni territoriali. A Reggio Calabria, in
particolare, benché negli spazi vuoti lasciati dalla programmazione regionale si siano avviate nel
tempo modalità sperimentali di erogazione di alcuni servizi (sia in termini di esternalizzazione, che
di accreditamento), i servizi di cura per gli anziani sono rimasti residuali e l’offerta pubblica che si è
formata nel territorio comunale è sempre stata labile e discontinua. Si rileva, inoltre, una perdurante
difficoltà di integrazione tra i servizi sociali e quelli sanitari, spesso con l’assunzione di ruoli impropri
in entrambi i settori. Vanno segnalate infine le difficoltà legate alla suddivisione del territorio
comunale in ben tre distretti sociosanitari, fatto che ha ulteriormente vincolato lo sviluppo di una
programmazione unitaria.
Il risultato è che la famiglia torna a essere protagonista essenziale delle risposte locali alla crescente
domanda di cura per gli anziani, rappresentando nello stesso tempo uno degli attori meno visibili
nell’orizzonte di programmazione del welfare, senza alcun riconoscimento politico, sociale ed
economico del lavoro di cura. In un contesto di offerta limitata e di accesso sempre più selettivo e
residuale ai servizi, si generano così forme crescenti di esclusione sociale, sia per gli utenti che per i
loro familiari.
SOMMARIO
Introduzione
Il quadro teorico-analitico
L’approccio analitico
Modelli e regimi di welfare
Ruolo, forme e stili di governo
Il modello italiano di cura per gli anziani
La cura degli anziani in Calabria e a Reggio Calabria
La legislazione regionale e il modello di programmazione calabrese
La LR 23/2003
Il Piano dei Servizi 2007-09
Il modello di programmazione
L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria
I servizi residenziali
I servizi domiciliari
Una valutazione critica
Un deficit strutturale di lunga durata
I condizionamenti del modello regionale di programmazione
I problemi a scala comunale
Le difficoltà dell’integrazione socio-sanitaria
Le ricadute sociali Riferimenti bibliografici
Introduzione
In questo contributo presentiamo alcuni risultati di un caso studio sviluppato nel contesto dell’Azione
COST IS1102 SO.S. COHESION - Social Services, Welfare State and Places, finanziata dalla
European Science Foundation (2012-15) e coordinata dall’Università Mediterranea di Reggio
Calabria 1 . Il paper documenta il sottodimensionamento dei servizi di cura per gli anziani (sia
domiciliare, che residenziale) e gli effetti della crisi finanziaria sull’offerta di tali servizi nella città di
Reggio Calabria – nel contesto più ampio della programmazione dei servizi sociali in Calabria e del
modello italiano di cura per gli anziani – e avanza alcune ipotesi esplicative2.
La ricostruzione dello stato attuale dell’offerta pubblica di servizi socio-assistenziali e sociosanitari
per gli anziani è stata effettuata analizzando l’evoluzione del quadro normativo e di programmazione
delle politiche sociali per gli anziani nella regione Calabria e nel comune di Reggio Calabria,
elaborando gli scarsi dati statistici disponibili su tali servizi, e realizzando interviste a testimoni locali
privilegiati (funzionari pubblici, operatori del settore, associazioni). Va rilevato che non esistono
studi recenti sul settore in Calabria e la ricostruzione dei finanziamenti, della programmazione e
dell’erogazione dell’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani è stata effettuata consultando
direttamente le fonti amministrative (legislazione, regolamenti, decreti, delibere, bandi, graduatorie,
etc., sia regionali, che comunali). La rassegna – assieme alle interviste – ha consentito di individuare
quelle caratteristiche specifiche del territorio che, intrecciate alle più generali tendenze innescate dalle
politiche di contenimento, determinano il quadro attuale dell’offerta a Reggio Calabria.
La ricerca mette in luce come la ridotta dimensione dei servizi per gli anziani nella città di Reggio
Calabria, registrata tanto a livello socio-assistenziale quanto a livello socio-sanitario, è connessa a un
deficit strutturale storico del welfare calabrese, accentuato dall’autonomia regionale in materia di
servizi sociali seguita alla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, piuttosto che a un effetto
1 Il coordinamento scientifico dell’azione, che ha coinvolto 24 paesi europei e circa 40 istituzioni
universitarie e di ricerca, è stato assicurato dal DArTe – Dipartimento Archiettura e Territorio, nella
persona di Flavia Martinelli. Obiettivo dell’azione era condividere e confrontare le ricerche svolte dai
partner sui processi di ristrutturazione dei servizi sociali in corso nei diversi stati membri dell’UE,
con particolare attenzione agli effetti della crisi sulla coesione sociale e territoriale (per ulteriori
dettagli si veda il sito http://www.cost-is1102-cohesion.unirc.it). L’Unità di ricerca di Reggio
Calabria ha lavorato sui servizi socio-educativi per la prima infanzia, sui servizi di cura per gli
anziani e sui servizi per l’inclusione urbana degli immigrati.
2 Il rapporto sul caso studio nella sua interezza è in corso di pubblicazione. Si veda Bagnato, A.,
Barillà, S. e Martinelli, F. (2016), ‘L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio
Calabria. Le ragioni di un deficit strutturale, l’impatto della crisi e le opportunità di politica sociale’,
COST Working Papers. Case studies Series, Reggio Calabria: Edizioni Centro Stampa di Ateneo-
Università Mediterranea di Reggio Calabria.
contingente della crisi. La politica sociale regionale, infatti, è caratterizzata da rilevanti vuoti
normativi, specie nei regolamenti attuativi dei servizi sociali, da un’endemica assenza di attenzione
all’analisi della domanda proveniente dal territorio e al monitoraggio dell’offerta esistente, e da un
persistente sotto-finanziamento dei servizi. A queste deficienze si aggiunge uno stile di
programmazione regionale improntato a un clima di perenne emergenza (con un forte orientamento
al cash-for-care), una protratta incertezza dei finanziamenti (grande frammentazione di fondi e
azioni, quasi mai dedicati), una forte centralizzazione del controllo, opacità delle procedure e toni
familistici.
Sul versante locale, che è quello investito in prima linea dai crescenti bisogni degli anziani, si sono
così realizzate – anche in Calabria – grandi differenziazioni territoriali. A Reggio Calabria, in
particolare, benché il comune abbia avviato negli spazi vuoti lasciati dalla programmazione regionale
alcune modalità sperimentali di erogazione di alcuni servizi (sia in termini di esternalizzazione, che
di accreditamento), i servizi di cura per gli anziani sono rimasti sostanzialmente residuali e l’offerta
pubblica che si è formata nel territorio comunale è sempre stata labile e discontinua. Si rileva, inoltre,
una perdurante difficoltà di integrazione tra i servizi sociali e quelli sanitari, spesso con l’assunzione
di ruoli impropri in entrambi i settori. Vanno segnalate infine le difficoltà legate alla suddivisione del
territorio comunale in ben tre distretti socio-sanitari, fatto che ha ulteriormente vincolato lo sviluppo
di una programmazione unitaria.
Il risultato di queste caratteristiche strutturali, ulteriormente aggravate negli ultimi anni dalla crisi, è
che la famiglia torna a essere protagonista essenziale delle risposte locali alla crescente domanda di
cura per gli anziani, rappresentando nello stesso tempo uno degli attori meno visibili nell’orizzonte
di programmazione del welfare, senza alcun riconoscimento politico, sociale ed economico del lavoro
di cura. In un contesto di offerta limitata e di accesso sempre più selettivo e residuale ai servizi, si
determinano processi di crescente esclusione sociale, sia per gli utenti che per i loro familiari.
Il paper è strutturato in tre parti. Nella prima parte tracciamo il quadro teorico all’interno del quale si
è mossa la ricerca, specificando la nostra strumentazione analitica. Nella seconda parte entriamo nel
vivo del caso studio e, dopo una breve descrizione del contesto regionale in termini di regolazione e
programmazione dei servizi per gli anziani, documentiamo l’evoluzione e il quadro attuale
dell’offerta pubblica di tali servizi nella città di Reggio Calabria, considerando sia i servizi socio-
assistenziali che quelli socio-sanitari, sia i servizi residenziali che quelli domiciliari. Nella terza parte
presentiamo una valutazione critica dei risultati dell’indagine, identificando alcuni fattori esplicativi
e i principali nodi da sciogliere.
1. Il quadro teorico-analitico
Il tema della ricerca si trova alla confluenza di diversi filoni di letteratura: da una parte la letteratura
sui modelli di welfare e – più specificamente – sulle caratteristiche del modello sociale italiano, con
particolare attenzione ai servizi di cura per gli anziani; dall’altra, dato il ruolo chiave dello stato nelle
politiche sociali, la letteratura su forme, ruoli e stili di governo. Nella cornice di questa letteratura,
inoltre, abbiamo applicato al caso studio una lettura storica e geografica.
L’approccio analitico
L’approccio analitico da noi applicato (Martinelli e Novy 2013) è, infatti, particolarmente sensibile
alle dimensioni del tempo e dello spazio. La dimensione tempo contribuisce a identificare
l’evoluzione dei fenomeni, ovvero i periodi storici significativi, che nel caso delle politiche
economiche e sociali sono caratterizzati da specifiche ideologie sul ruolo dello stato, precisi quadri
regolativi e distinti strumenti di intervento pubblico. Nella nostra analisi facciamo riferimento a due
principali regimi di welfare nel tempo: quello Keynesiano, che va generalmente dalla fine della
seconda guerra mondiale (anche se in alcuni stati inizia già negli anni tra le due guerre) alla metà
degli anni ’80 ed è caratterizzato da un forte intervento dello stato in ambito sociale, sorretto da
principi universalistici di cittadinanza sociale; e quello Neo-liberale, attuato a partire dagli anni ’80
in alcuni stati e dagli anni ’90 in altri, caratterizzato da una sostanziale riduzione dell’intervento
pubblico, a favore di meccanismi regolativi guidati da o ispirati al mercato (liberalizzazioni,
privatizzazioni, managerialismo, etc.). La dimensione spazio, invece, contribuisce al nostro approccio
analitico in due modi: nell’accezione di luogo ci aiuta a spiegare le differenze – ovvero i diversi
modelli di welfare – che esistono tra nazioni, regioni e località, ognuna storicamente condizionata da
specifiche strutture e istituzioni, che definiscono anche i meccanismi di path-dependency;
nell’accezione di scala, ci consente di apprezzare il ruolo reciprocamente condizionante dei rapporti
tra le diverse scale di governo: quello che avviene a livello locale è, infatti, influenzato dalle scale
superiori e viceversa.
In quest’ottica analitica, il caso dei servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria è stato da noi
contestualizzato sia nel particolare periodo storico in cui si afferma il modello sociale italiano, sia nel
particolare modello italiano di servizi di cura per gli anziani e nel particolare modello regionale di
programmazione, porgendo particolare attenzione alle relazioni tra governo centrale, governo
regionale e governo comunale.
Modelli e regimi di welfare
Nella ormai vasta letteratura sui modelli di welfare – iniziata da Esping-Andersen con il suo famoso
saggio del 1990 sui tre ‘mondi’ del welfare e perfezionata da numerosi altri contributi (fra i tanti si
vedano in particolare Arts e Gelissen 2002; Jensen 2008; Kazepov 2008; Ferrera 2010; Schiek 2013),
che hanno portato a cinque le principali ‘famiglie’ di welfare state – l’Italia è generalmente
classificata nel ‘modello mediterraneo o familistico’ (Ferrera 1996; Da Roit e Sabatinelli 2005;
Gough 2010). In estrema sintesi, tale modello, che include anche la Spagna, la Grecia e il Portogallo,
è caratterizzato da un ruolo residuale dello stato, un protratto affidamento dei servizi di cura alla
famiglia (essenzialmente le donne), e un ruolo sussidiario della chiesa e dell’associazionismo
cattolico.
Per quanto riguarda i regimi di welfare, il modello sociale italiano è un ‘late comer’, si afferma cioè
– in forte ritardo rispetto agli stati nordici o continentali – a partire dalla seconda metà degli anni’70.
Si caratterizza pertanto per un approccio ‘schizofrenico’: da una parte un progressivo riconoscimento
di rischi e bisogni sociali, associato ad ambiziosi obiettivi universalistici ancora improntati
all’ideologia Keynesiana, che si traducono in un quadro normativo a crescente complessità; dall’altra,
e contemporaneamente, stanziamenti di risorse limitati rispetto agli obiettivi e ad altre nazioni
europee, così come l’adozione di modalità di gestione già improntate ai principi neo-liberali.
Ma una delle caratteristiche più salienti del modello sociale italiano è la sua forte differenziazione
territoriale. Come hanno messo in luce numerosi studiosi, le storiche differenze strutturali tra le
diverse regioni del paese, benché si siano attenuate con l’avvento dello stato unitario e specialmente
durante la prima repubblica, non sono affatto scomparse. Le istituzioni dello stato unitario si sono
realizzate e hanno operato in modo diverso nelle diverse parti del paese, condizionate dalle strutture
e istituzioni pre-esistenti (path-dependency). Nell’ambito della politica sociale, il lento processo di
convergenza avviatosi nel secondo dopoguerra ha subìto un primo rallentamento negli anni ‘70 con
l’istituzione delle regioni a statuto ordinario, cui sono state progressivamente trasferite competenze
di politica sociale, pur se con finanziamenti e norme nazionali. Si è poi definitivamente interrotto con
la parziale federalizzazione della politica sociale avvenuta nel 2001 con la riforma del titolo V della
costituzione, che sottrae la politica sociale al controllo dello stato centrale, senza però chiarire i
rispettivi ruoli in termini di finanziamento, né definire standard minimi. Si è così sancito e accentuato
un sistema di welfare frammentato e fortemente differenziato tra regione e regione, vanificando di
fatto il principio costituzionale dell’universalismo (Kazepov 2008; Costa 2009; Kazepov e Barberis
2013)
Ruolo, forme e stili di governo
Lo stato – nelle sue diverse articolazioni territoriali – è il principale attore nelle politiche sociali, in
termini di regolazione, finanziamento, erogazione, nella maggior parte delle economie mature,
benché in misura e con ruoli diversificati. Un altro filone di letteratura rilevante per il nostro caso
studio riguarda, pertanto, il ruolo, la forma e lo stile di governo dell’amministrazione pubblica.
Per quanto riguarda ruolo e stile di governo, assumiamo – in linea con l’approccio di Cerase (2012)
– che una ‘buona’ amministrazione pubblica debba essere caratterizzata dalla sua capacità di
rispondere, date le risorse disponibili, ai bisogni sociali espressi dal proprio territorio. Ma lo stato è
un attore complesso, definito e condizionato dalla sua struttura (più o meno decentrata), dalle sue
regole e dalle persone che lo compongono, con la loro cultura, le loro motivazioni e le loro
competenze (Cerase 2012). Come è stato messo in evidenza da numerosi studiosi, uno dei fallimenti
dell’unificazione italiana nel 1861 è stata l’incapacità di costruire una robusta amministrazione
pubblica unitaria, in senso weberiano (Paci 1989; Fantozzi 1993, 2011; Costabile 2009). Pertanto, le
nuove istituzioni periferiche dello stato furono condizionate dalle pre-esistenti strutture e relazioni
sociali. In molte regioni e località del Mezzogiorno – come anche in altre regioni dell’Europa
Meridionale (Sotiropoulos 2004) – la debolezza dello stato e le relazioni sociali pre-capitalistiche
hanno favorito il rafforzarsi delle tradizionali relazioni e pratiche clientelari nel nuovo sistema
politico e amministrativo. Nel secondo dopoguerra, lo sviluppo del welfare italiano è diventato un
veicolo privilegiato per la riproduzione del sistema clientelare meridionale (Fantozzi 2011; Costabile
2009; si veda anche Ferrera 1996). L’istituzione delle regioni a statuto ordinario nel 1971 ha in molti
casi ulteriormente rafforzato i sistemi di potere locali, basati sulla gestione clientelare e
particolaristica della spesa pubblica, specie quella sociale.
Per quanto riguarda la forma dello stato, un altro – e strettamente connesso – problema del welfare
italiano riguarda le relazioni tra i diversi livelli di governo, ovvero tra stato centrale, governi regionali
e amministrazioni locali. Come si è già accennato, il definitivo trasferimento delle responsabilità in
materia di politica sociale alle regioni, attuato nel 2001, ha sottratto questo settore al controllo dello
stato, senza peraltro chiarire le responsabilità reciproche in termini di risorse finanziarie e standard
di servizio. Di conseguenza, le già notevoli differenze esistenti tra le regioni si sono ulteriormente
accentuate, in funzione delle priorità, delle risorse e degli stili governo dei diversi contesti. Si
osservano oggi differenze eclatanti nelle capacità dei governi regionali di identificare, valutare e
soddisfare i bisogni sociali dei loro territori, ma soprattutto nel modo in cui interagiscono con le
amministrazioni locali, che sono quelle deputate all’erogazione dei servizi (Cerase 2012; Martinelli
e Sarlo 2014). La regione Calabria, come vedremo, è tra le ultime in termini di spesa sociale e ha
attuato fino ad oggi uno stile di programmazione che ha delegittimato e depotenziato le
amministrazioni locali.
Il modello italiano di cura per gli anziani
Benché molto differenziato regionalmente, il settore dei servizi di cura per gli anziani in Italia
presenta alcune caratteristiche generali, che possono far parlare di un modello ‘italiano’.
Le caratteristiche principali del modello italiano
In primo luogo, i servizi di cura per gli anziani entrano a far parte della politica sociale italiana con
molto ritardo, rispetto ad altri servizi di cura (come, ad esempio, quelli per la prima infanzia). Fino a
tutti gli anni ’80, la cura degli anziani era un servizio essenzialmente residuale, affidato alle regioni
e agli enti locali, ma erogato soprattutto all’interno della famiglia o dalle associazioni del volontariato
eminentemente cattolico. Misure nazionali a favore degli anziani vengono progressivamente istituite
a partire dalla fine degli anni ’80, prima con l’estensione dell’Indennità di accompagnamento agli
anziani non autosufficienti (1988), successivamente con l’istituzione del Fondo Nazionale per la
Politica Sociale (1997) e infine con l’istituzione del Fondo per la Non Autosufficienza (2006) e del
Fondo per le Politiche della Famiglia (2006). Come si è detto, si tratta di provvedimenti tardivi,
rispetto ad altri paesi europei, avviati in una fase in cui la stagnazione economica e la crisi fiscale
dello stato non riescono a garantire le risorse pubbliche necessarie per sostenerne la piena attuazione.
In secondo luogo, la politica sociale per gli anziani in Italia è estremamente frammentata e
stratificata: non vi è alcun fondo o programma specificamente destinato agli anziani, ma si
sovrappongono numerosi fondi, programmi e istituzioni responsabili, che non necessariamente
riescono ad interagire e integrarsi funzionalmente. Un primo problema è dal lato della domanda di
servizi per gli anziani, che non è univoca, nella misura in cui si intersecano segmenti di domanda con
caratteristiche diverse, quali età, non autosufficienza, o salute. Dal lato dell’offerta, la compresenza
di fonti di finanziamento diverse e di attori istituzionali diversi (stato, regioni, comuni), rende la
programmazione di questi servizi molto complessa. In particolare, vanno sottolineate, nel caso dei
servizi di cura per gli anziani, le difficoltà di integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali3, che
presume la collaborazione tra due sistemi diversi, ognuno con diverse unità territoriali di
programmazione: da una parte il Sistema Sanitario Nazionale (a sua volta organizzato in sistemi
sanitari regionali e articolato in Aziende Sanitarie Locali (poi Provinciali); dall’altra gli assessorati
alle politiche sociali delle regioni e dei comuni, questi ultimi spesso associati in Zone o Distretti.
Anche in questo caso, l’integrazione tra i due sistemi si è realizzata in modo molto diverso tra le
regioni.
In terzo luogo, come hanno sottolineato in molti, il sostegno pubblico per gli anziani in Italia è tra i
più bassi d’Europa (Lamura e Principi 2009; Melchiorre et al. 2010; Chiatti et al. 2011), nonostante
la quota percentuali di anziani (≥65 anni) sia tra le più alte (21,4% nel 2014). Inoltre, a parte l’IdA,
l’allocazione delle risorse dei fondi nazionali a questo settore di policy è soggetto alle leggi di bilancio
e negli ultimi anni è stata particolarmente discontinua, sia a causa dei tagli conseguenti alla crisi, sia
per le diverse strategie e risorse messe in campo dai governi regionali.
3 Già a partire dalla fine degli anni ’80 lo stato italiano aveva iniziato a regolare i servizi ‘socio-
sanitari’ – a diverso grado di contenuto medico – per gli anziani non autosufficienti, prima per quanto
riguarda i servizi presso le strutture socio-sanitarie (L 67/1988; DPCM 14/02/2001), poi per quanto
riguarda anche i servizi di assistenza domiciliare integrata (Piano Sanitario Nazionale 1994-96;
DPCM 14/02/2001[).
Infine, il modello italiano è caratterizzato da una prevalenza del sostegno monetario, rispetto
all’erogazione di servizi reali (cash-for-care) (Tediosi e Gabriele 2009; Chiatti et al. 2011). Infatti,
l’Indennità di Accompagnamento4 è – di fatto – diventata il pilastro della politica italiana per gli
anziani non autosufficienti. Nel 2009 i percettori di IdA ≥65 erano oltre 1,5 milioni (il 12% di tutti i
≥65) e le persone ≥ 65 rappresentavano oltre il 90% dei percettori di IdA (Chiatti et al. 2011). Per
contro, l’offerta di servizi reali, di competenza regionale e locale, è generalmente bassa, anche se
molto diversificata tra le regioni.
Le sopra-descritte caratteristiche generali del sistema italiano di supporto pubblico agli anziani
configurano un modello di assistenza che si basa essenzialmente sulla famiglia e sul mercato delle
cure private. Le famiglie – essenzialmente le donne – restano in Italia le principali
fornitrici/organizzatrici dei servizi di cura per gli anziani (Da Roit 2009; OECD 2011; Costa 2013a,
2013b). Ma la mancanza di un offerta pubblica di servizi di cura e l’esistenza di trasferimenti monetari
(l’IdA) hanno anche favorito – in Italia più che in altri paesi – lo sviluppo di un mercato privato dei
servizi di cura, attraverso l’assunzione delle cosiddette badanti, per la maggior parte donne immigrate
sottopagate, spesso senza contratto e/o senza permesso di soggiorno (Lamura et al. 2010; Gori 2011;
Pasquinelli and Rusmini 2010 e 2013; Costa 2013a; van Hooren 2010; Bettio et al. 2006).
Le differenze regionali
Il ‘modello italiano’ di cura per gli anziani sopra tratteggiato non è, tuttavia, omogeneo e si ricontrano
profonde – e crescenti – differenze regionali (Costa 2012; Gori e Pelliccia, 2013), dovute alle diverse
strutture e traiettorie socio-economiche e alle diverse tradizioni amministrative. Nello specifico, si
osservano forti variazioni nella misura dei finanziamenti pubblici destinati agli anziani, nel rapporto
tra erogazioni monetarie ed erogazioni di servizi reali, nel rapporto tra servizi residenziali e servizi
domiciliari, e nella gestione dei servizi (gestione pubblica diretta o affidamento a operatori privati).
Sulla base di queste differenze, Chiatti et al. (2010) hanno identificato cinque (sei) principali modelli
regionali, che confermano, pur nelle differenze, il divario Nord-Sud:
Modello residenziale (Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta), caratterizzato da un alto livello di servizi
residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari e da un basso livello sia dei servizi domiciliari, sia dei
trasferimenti monetari.
Modello cash-for-care (Abruzzo, Calabria, Campania, Sardegna, Umbria), caratterizzato da un alta
percentuale di beneficiari di IdA e da un basso livello di assistenza residenziale e domiciliare.
4 Si tratta di uno strumento universalistico ‘puro’: €504 mensili (nel 2014) indipendentemente dal reddito
o dalle condizioni famigliari, senza alcun monitoraggio o vincolo sulla spesa.
Modello ad alta intensità assistenziale (Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto),
caratterizzato da alto livello di assistenza socio-assistenziale e socio-sanitaria in tutti i tipi di supporto
pubblico.
Modello a media intensità assistenziale, generalmente caratterizzato da livelli medi di assistenza, che
però in alcune regioni riflette un maggiore orientamento al cash for care (Basilicata, Lazio, Marche,
Puglia, Toscana), mentre in altre ai servizi residenziali (Liguria, Lombardia, Piemonte)
Modello a bassa intensità assistenziale (Molise, Sicilia), caratterizzato da bassi livelli di assistenza
complessiva.
La Calabria è agli ultimi posti nella graduatoria regionale italiana, sia come livello di spesa pubblica
per anziano, sia – come vedremo – come erogazione di servizi reali, mentre prevale l’erogazione –
seppure modesta – di trasferimenti monetari.
2. La cura degli anziani in Calabria e a Reggio Calabria
L’autonomia di cui godono dal 2001 le Regioni nella legislazione delle politiche sociali, ha
ulteriormente accentuato, come si è già sottolineato, la grande differenziazione territoriale esistente
in Italia. Sottolineano Brandolini e Torrini (2010: 55):
Non solo il divario dei redditi tra le Regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno è ampio, ma
anche la loro distribuzione è diversa nelle due aree: meno diseguale nelle prime, assai più sperequata
nelle seconde. L’Italia appare l’unico tra i paesi avanzati a mostrare divari territoriali di questa portata.
Il differenziale nei redditi medi è doppio di quello che si osserva tra le aree più sviluppate e quelle
meno sviluppate in Germania e Spagna, due paesi europei che pure sono contraddistinti da un’ampia
variabilità interna nei livelli di sviluppo.
Nella fotografia scattata dall’ISTAT nel 20115, la regione Calabria è, in base al calcolo del reddito
medio netto delle famiglie, la seconda regione più povera d’Italia dopo la Sicilia. A questo dato se ne
aggiunge un altro altrettanto drammatico. Nella ricerca dell’ISTAT su Gli interventi e i servizi sociali
dei comuni singoli e associati - Anno 2010 (2013), la Calabria, con una spesa sociale media procapite
di 26 euro nel 2010, è la regione con il più basso impiego di risorse per i servizi e gli interventi sociali
in rapporto alla popolazione residente. Queste statistiche, assieme alle altre informazioni fornite dalla
5 I dati sono ripresi dalla pagina web dell’ISTAT “Noi Italia. Diseguaglianza nella distribuzione del
reddito”. La Calabria registra nel 2011 un valore pari a 24.412 euro. Il valore più basso è quello della
Sicilia con 21.451 euro e quello più alto è nella provincia autonoma di Bolzano (35.348), seguita dalla
Lombardia (34.347) e dall’EmiliaRomagna (33.525) consultabili su:
*Il dato sulla popolazione over 65 è stato calcolato su dati Istat, "15° Censimento della popolazione
e abitazioni", data warehouse, http://dati-censimentopopolazione.istat.it (consultato il 14/04/2014)
I dati sono di gran lunga inferiori a quelli prefissati dalla Commissione Tecnica nominata dalla Giunta
regionale calabrese nel 2003 per la valutazione del fabbisogno di posti letto residenziali per anziani
e disabili. Considerando il rapido invecchiamento della popolazione e l’incremento del bacino dei
grandi anziani che si trovano in condizioni di non autosufficienza, possiamo immaginare che un
nuovo studio regionale sulla stima del fabbisogno aumenterebbe ulteriormente il dato.
Nel monitoraggio dei LEA effettuato dal Ministero della Salute è da segnalare comunque un
andamento crescente nell’offerta delle RSA in Calabria: da 2,8 posti letto ogni 1.000 anziani nel 2009
si è passati a 3,9 posti letto ogni 1.000 anziani nel 2012, pur rimanendo ancora ben lontani dal valore
di 10 posti letto ogni 1.000 anziani posto come target dal Ministero9(Ministero della Salute, 2013b).
Se consideriamo anche le Case Protette, la situazione migliora, portando a 6,62 i posti letto ogni 1.000
anziani (cfr. Tabella 2).
Questi valori medi scendono vertiginosamente se ci spostiamo al contesto locale. In tutto il territorio
comunale di Reggio Calabria è presente una sola RSA, con 22 posti letto, e non si conta alcuna Casa
Protetta. Se rapportiamo il dato al numero di anziani di 65 anni e più registrati nell’ultimo censimento
ISTAT nel Comune di Reggio Calabria (34.802), otteniamo un valore di 0,6 posti letto ogni 1.000
abitanti anziani, ovvero un decimo del valore medio regionale. A ciò si aggiunga che la stessa RSA,
così come le altre strutture convenzionate con la Regione, denuncia gravi difficoltà già a partire dal
2010, per i mancati rimborsi della quota sociale di cui il Settore Politiche Sociali della Regione è
responsabile (Pizzimenti, 2014).
In conclusione, l’offerta pubblica di servizi socio-sanitari residenziali in Calabria non sembra aver
rappresentato una priorità negli investimenti riguardanti il servizio sanitario regionale,
indipendentemente dall’attuale momento di crisi. Da una recente valutazione degli investimenti
effettuati dalle Regioni con le risorse finanziarie stanziate dalla L 67/1988 per l’ammodernamento
del servizio sanitario relativo al periodo 1998-2012, si evince che la Calabria – così come il Friuli
Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Bolzano – ha impegnato la totalità delle risorse disponibili
a favore del servizio ospedaliero, lasciando a zero gli investimenti per i servizi territoriali (in cui è
compresa l’ADI) e per le residenze sanitarie assistenziali (Ministero della Salute, 2013a: 53).
9 Ministero della Salute-SIVEAS, Verifica LEA nelle Regioni in Piano di rientro: trend 2009-2012.
Aggiornamento al dicembre 2013.
Quello che si delinea nella gestione del servizio sanitario calabrese è quindi uno «scenario
prevalentemente ‘ospedalocentrico’, sviluppatosi a scapito di ambiti importanti quali la prevenzione,
la riabilitazione, la diffusione territoriale dei presidi di cura, soprattutto per quanto riguarda
l’accessibilità e le funzionalità dei servizi sanitari e socio-sanitari per acuti, [il che] aggiunge elementi
di criticità alla condizione della popolazione anziana della regione» (Chiodo, 2013:133).
I servizi residenziali socio-assistenziali
Diverso è il quadro delle strutture che offrono servizi socio-assistenziali, ovvero con contenuto
sanitario basso o nullo. Queste ricadono sotto l’esclusiva competenza del settore politiche sociali
della Regione, che attribuisce responsabilità rilevanti ai Comuni, ma in assenza di norme chiare, di
un sostegno finanziaro affidabile e di autonomia decisionale.
Regolazione e organizzazione dell’offerta in Calabria
Per l’accesso degli anziani alle residenze socio-assistenziali convenzionate con la Regione, un ruolo
primario di filtro è rivestito dal Comune, il quale è preposto a raccogliere l’istanza di ricovero
dell’assistito (tramite i servizi sociali) e a svolgere la fase istruttoria per la valutazione del bisogno e
l’individuazione della struttura idonea. È però il Settore Politiche Sociali della Regione a emettere il
definitivo atto di autorizzazione al ricovero, che costituisce il presupposto per il pagamento del
contributo pubblico alla retta.
La farraginosità di quest’ultimo meccanismo che vede un doppio filtro istituzionale – Comune e
Regione – tanto nel rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle strutture (che vede il Comune
coinvolto nel rilascio di un parere), quanto nell’autorizzazione al ricovero degli assistiti, è
conseguenza del mancato trasferimento, dalla Regione ai Comuni, dei compiti di autorizzazione e
accreditamento di questa tipologia di strutture, così come postulato dalla LR 23/2003. Riconosciuta
la propria ed esclusiva competenza nell’ambito delle strutture socio-sanitarie in materia di
autorizzazione e accreditamento, la Regione ha mantenuto un controllo diretto anche sui servizi
residenziali socio-assistenziali per gli anziani, pur definendolo come regime ‘transitorio’ in attesa di
delega agli enti locali.
Un passo in avanti sembrava essere stato compiuto con la DGR 670/2007 “Criteri di riparto del
Fondo regionale delle Politiche sociali, comprensivo del Fondo nazionale, per la realizzazione del
Sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Riprendendo quanto previsto dalla Legge
Regionale 23/2003, questa annunciava il trasferimento ai Comuni delle risorse del Fondo Sociale
Regionale (in cui confluisce la quota regionale del FNPS) per il pagamento di «quote finalizzate a
soddisfare le obbligazioni derivanti da atti autorizzativi da parte della Regione in favore delle strutture
residenziali e semi-residenziali convenzionate, impegnando gli stessi a subentrare nei rapporti di cui
alle convenzioni in atto» (DGR 670/2007). A partire da questa deliberazione, che viene spesso citata
nella normativa regionale come atto con cui si è avviata la devolution, la Regione ha iniziato a
trasferire quote del fondo sociale regionale ai comuni, per il pagamento delle rette a specifiche
strutture residenziali, per annualità determinate. Ma quello che è successo, a dire della responsabile
dell’Ufficio Programmazione del Settore “Welfare e Famiglia” del Comune di Reggio Calabria, è che
la Regione ha usato il Comune semplicemente come «postagiro» (Modafferi B., 2014), rimanendo
quindi ben lontana da un processo di reale devolution10.
Certo è che l’inerzia regolativa, nonché la mancanza di una concreta applicazione del principio di
sussidiarietà verticale postulato dalla LR 23/2003, lascia la Regione in una posizione di primo piano
nella gestione delle risorse e dei rapporti con queste strutture. Questa è stata ulteriormente rafforzata
nel 2008 con la Legge Regionale 24/2008 “Norme in materia di autorizzazione, accreditamento,
accordi contrattuali e controlli delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private”, che ha
abrogato gli articoli 24 e 25 della Legge Regionale 23/2003 in cui si esplicitava la titolarità dei
Comuni in ambito di autorizzazione e accreditamento.
L’offerta di servizi residenziali socio-assistenziali in Calabria e a Reggio Calabria
L’offerta di posti letto in strutture socio-assistenziali direttamente gestite dal pubblico in Calabria è
praticamente nulla. La gestione di questi servizi nella regione è, infatti, interamente privata e solo
una quota dei posti letto – poco più della metà – si trova in strutture convenzionate, ovvero in qualche
misura sovvenzionate dal pubblico. Nell’albo regionale delle strutture socio-assistenziali, istituito
dall’articolo 26 della Legge Regionale 23/2003, è riportato l’elenco delle strutture residenziali socio-
assistenziali che hanno regolarmente ottenuto un’autorizzazione dalla Regione e che sono presenti
sul territorio.
Tabella 3. Numero di posti letto per anziani presso le strutture residenziali socio-assistenziali
in Calabria, per tipologia di struttura e livello territoriale. Anno 2011.
Strutture Strutture
private private
non convenzionate
convenzionate
(*)
Totale Anziani
(popolazione
≥65) (**)
Copertura
totale
(posti letto
x 1.000
anziani)
Copertura in
strutture
convenzionate
(posti letto x
1000 anziani)
Regione Calabria
1.461 1.301
2.762
373.871
7,38 3,90
10 D’altro canto molte strutture residenziali sono più propense ad avere il trasferimento dei contributi
regionali per la copertura delle rette direttamente dalla Regione perché i Comuni, ottenute tali risorse,
in alcuni casi tendono a trattenerle ritardando i pagamenti (Latella, 2014).
Provincia di Reggio
Calabria 420 331 751 105.647 7,10 3,97
Comune di Reggio
Calabria
40 159 199 34,802 5,71 1,15
FONTE: Nostra elaborazione sui dati dell’Albo Regionale degli Enti, Fondazioni, Istituzioni,
Soggetti Pubblici e Privati che gestiscono strutture ed attività socio assistenziali, già autorizzate al
funzionamento, a norma dell'art. 26 della Legge Regionale 23/2003. L’albo risulta aggiornato al
31/12/2011 (ultima consultazione albo: 20 maggio 2015).
(*) NOTA BENE: Una percentuale bassissima delle strutture private convenzionate (meno del 5%)
risulta formalmente gestita direttamente dal Comune. Tuttavia, in molti casi si tratta di una gestione
puramente formale, in quanto il comune affida a operatori del terzo settore la gestione delle strutture.
(**) Il dato sulla popolazione ≥ 65 è stato calcolato su dati Istat, 15° Censimento della popolazione
e abitazioni, Data warehouse, http://daticensimentopopolazione.istat.it (consultato il 14/04/2014)
Scendendo al dettaglio locale, nel Comune di Reggio Calabria troviamo un numero drammaticamente
basso di posti presso strutture socio-assistenziali convenzionate, rispetto al totale delle strutture
residenziali presenti nell’albo11. Con una sola comunità alloggio nel distretto socio-sanitario RC Nord
e un’altra nel distretto RC Sud12, si raggiunge una quota di soli 40 posti letto rispetto ai 159 posti letto
offerti nelle 12 strutture residenziali private, autorizzate dalla regione ma non convenzionate, ovvero
una quota pari al solo 25% del totale. In termini di copertura, nel comune di Reggio Calabria si
contano pertanto solo 1,15 posti letto in residenze socio-assistenziali convenzionate ogni 1.000
residenti di 65 anni e più, ovvero un tasso pari a un terzo di quello già bassissimo della regione.
A ciò si aggiunga il fatto che le strutture convenzionate denunciano gravi ritardi nei rimborsi da parte
della Regione che non rispetta i termini delle convenzioni firmate. Nella DGR 82/2014, in cui si
indicano alcune certificazioni che le strutture accreditate devono fornire, si sottolinea che il Fondo
sociale regionale deve essere destinato in particolare ai servizi di cura e accoglienza per anziani,
minori, disabili e adulti in difficoltà, denunciando nello stesso tempo che «a seguito dei tagli del
Fondo Sociale Nazionale avvenuti negli ultimi 3 anni, pari a circa l’80% della spesa storica
11 Sul sito istituzionale del Comune di Reggio Calabria viene indicata una residenza a gestione
comunale, la Casa di Riposo “Ricoveri Riuniti”, che però è stata chiusa per ristrutturazione nel 2006 e i
lavori non sono stati conclusi per
mancanza di fondi (ultima consultazione 30/01/15): http://www.comune.reggio-
calabria.it/online/Home/AreeTematiche/Sociale/Anziani/scheda101454.html . 12 Quest’ultima, la Comunità Alloggio per Anziani ‘Villa Speranza’, pur presente all’interno
dell’Albo regionale, è stata peraltro chiusa il 25 luglio 2014 – trasferendo gli ospiti in altre strutture
e licenziando il personale – per disposizione del Tribunale di Reggio Calabria, in quanto sotto
sequestro per disposizioni della DIA.
precedente (2010), si sono determinate conseguenti riduzioni delle spese relative al sostegno delle
strutture convenzionate» (DGR 82/14).
La dimensione certo insufficiente, ma comunque apprezzabile di una offerta privata di residenze
socio-assistenziali non convenzionate, lascia presupporre una domanda che, nonostante nel sentire
comune rappresenti un’estrema ratio nel supporto all’anziano, evidentemente diventa sempre più