1 Claudio Cecca
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Claudio Cecca
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INDICE
Capitolo 1 : RIFIUTI:CIVILTA’ E GESTIONE p. 3
La civiltà dei rifiuti p. 4
Lo sviluppo sostenibile p. 5
La strategia delle 5 R p. 7
Cosa c’è nel bidone? p. 8
Il riciclaggio p. 9
La carta p.10
La plastica p.11
Il vetro p.13
I metalli p.14
L’umido p.15
Il Compostaggio p.16
Digestione anaerobica p.17
Rifiuti pericolosi p.21
RAEE p.22
La discarica controllata p.23
La Pirolisi p.24
Capitolo 2: RISPARMIO ENERGETICO p.35
Introduzione p.36
L’efficienza energetica p.37
L’effetto serra p.38
I cambiamenti climatici p.39
Risparmio energetico in casa p.40
Capitolo 3: L’ACQUA E’ VITA NON SPRECHIAMOLA p.51
Introduzione p.52
Come ridurre gli sprechi p.53
Capitolo 4: LA SICUREZZA IN CASA p.57
L’impianto elettrico sicuro p.58
Gli elettrodomestici p.58
Il gas in casa p.59
Gli incendi p.61
La sicurezza alimentare p.64
Capitolo 5: IL RISCHIO AMBIENTALE p.67
Il rischio p.68
Il rischio idrogeologico p.68
Le alluvioni p.69
Le frane. p.70
Subsidenze e sprofondamenti p.71
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Il rischio sismico e vulcanico p.72
Le valanghe p.75
Erosione costiera e mareggiate p.76
Capitolo 6: LE NUOVE ENERGIE p.77
Introduzione p.78
Fonti energetiche non rinnovabili p.78
Protocollo di Kyoto p.80
Fonti energetiche rinnovabili p.81
L’Idrogeno : caratteristiche e tecnologie p.84
Fusione nucleare a freddo p.118
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Capitolo 1
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Il problema dell’inquinamento da rifiuti è sempre esistito, anche se solo ora ha assunto dimensioni
davvero preoccupanti!
L’uomo “consumatore” è il responsabile del degrado ambientale poiché sfrutta senza scrupoli i
beni naturali.
Già presso i primi insediamenti ebraici esistevano leggi che obbligavano a deporre i rifiuti
personali fuori dall’accampamento, in luoghi appositi dove venivano sotterrati: ecco le prime
discariche della storia!
Gli antichi non sottovalutarono nemmeno i rifiuti provenienti dalle attività lavorative: nel XVIII
secolo a.C. il re Babilonese Hammurabi impose ai conciatori di pelli di installare i loro laboratori
fuori dalle mura della città per evitare contaminazioni dell’acqua e dell’aria.
I Romani per la salvaguardia della salute pubblica avevano fatto costruire cloache apposite per gli
scarichi di acque luride di cui la più nota è la Cloaca Massima : il primo esempio di fognatura!
Il problema della gestione dei rifiuti esiste da sempre e nella storia tutte le diverse popolazioni
hanno dovuto confrontarsi con esso, dando così prova del loro grado di civiltà.
Nel corso dell’ultimo secolo però la quantità di rifiuti prodotta è andata aumentando
vertiginosamente: i rifiuti si trovano ormai dappertutto, ammucchiati ai bordi delle strade delle
nostre città, abbandonati nei campi o sulle spiagge, in fondo al mare come alle pendici dei monti!
Questa impennata nella quantità di rifiuti prodotta è da attribuirsi essenzialmente a due fattori: la
crescita della popolazione mondiale ed il progresso economico.
Negli ultimi cento anni, e in particolare negli ultimi cinquanta, si è assistito ad una crescita enorme
della popolazione umana accompagnata da una capacità straordinaria di modificare e distruggere
ambienti naturali e specie viventi, di trasformare energia e risorse naturali, di produrre
un’incredibile massa di rifiuti solidi, liquidi, gassosi, e di sostanze estranee ai “metabolismi”
naturali.
Nell’ultimo secolo, soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, la crescita demografica
mondiale ha avuto un picco, oggi sulla Terra siamo circa 6 miliardi di individui, un numero enorme,
circa 4 volte superiore al dato relativo ad un secolo fa.
Il progresso economico, portando benessere ad una larga fascia di popolazione, ha fatto sì che
rapidamente l’uomo trasformasse le proprie abitudini di vita: in pochi decenni l’uomo è diventato
consumatore, ed in quanto tale, produttore di enormi quantità di rifiuti! Il consumismo, il boom
economico del secondo dopoguerra, l’avvento di nuove tecnologie hanno fatto sì che i cosiddetti
beni di consumo entrassero nelle case di tutti e cambiassero lo stile di vita di milioni di persone.
ognuno di noi produce circa:
Oltre a questo abnorme incremento nella produzione di rifiuti, è sotto gli occhi di tutti il problema
ormai drammatico dell’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo.
QQuuaannttii rriiffiiuuttii pprroodduucciiaammoo??
1,5 kg di rifiuti ogni giorno
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Sentirci “padroni” della natura ci ha portato a modificarla a nostro piacimento senza preoccuparci
delle possibili gravi conseguenze di ciò.
Negli ultimi cinquanta anni l’impatto delle attività umane sul mondo naturale ha determinato
profondi sconvolgimenti che in alcuni casi sono diventati vere e proprie emergenze ambientali
(buco dell’ozono, effetto serra, desertificazione, perdita di biodiversità ecc.).
A ciò va a sommarsi l’impoverimento delle risorse del nostro pianeta: l’uomo si è sempre avvalso di
quanto trovava disponibile in natura (legna, pietra, acqua,...), ma con l’avvento della rivoluzione
industriale tale sfruttamento è divenuto sistematico e su larga scala. I giacimenti di petrolio e
minerali, lo sfruttamento intensivo dei campi, l’uso dell’acqua nell’industria sono solo alcuni
esempi del costante e continuo depauperamento delle risorse naturali che l’uomo compie ormai da
decenni.
Perché si è arrivati ad una situazione cosi drammatica?
LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Le disuguaglianze socio-economiche e il deterioramento ambientale sono temi dibattuti fin dagli
anni ’70, scienziati e opinione pubblica si sono confrontati per anni su tali argomenti, al fine di
ricercare i possibili rimedi all’attuale modello di sviluppo. A fronte della compromissione della
qualità della vita presente e futura, si è via via affermata la consapevolezza dello stretto legame
esistente tra sviluppo economico, salvaguardia dell’ambiente ed equità sociale e si è cominciato a
parlare di sviluppo sostenibile. Diamone qualche illustre definizione:
”risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di
soddisfare le proprie” (Commissione Bruntland, 1987 – UNCED).
oppure
“il soddisfacimento della qualità della vita mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli
ecosistemi dai quali essa dipende” (Rapporto “Caring for the Earth”, 1991 - UNEP, IUCN, WWF).
oppure
"uno sviluppo che offra servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una
comunità, senza minacciare l'operabilità del sistema naturale, edificato e sociale da cui dipende la
fornitura di tali servizi” (International Council for Local Environmental Initities, 1994).
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CCrreesscciittaa ddeellllaa
ppooppoollaazziioonnee
PPrrooggrreessssoo eeccoonnoommiiccoo ++
Enorme aumento rifiuti
Impoverimento delle risorse
Inquinamento di acqua, aria e suolo
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Con sviluppo sostenibile si intende quindi un modello di sviluppo in grado di soddisfare i bisogni
delle generazioni presenti senza compromettere quelli delle generazioni future.
Si è sviluppato così il concetto di sostenibilità, intesa come l'insieme di relazioni tra le attività
umane con la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste
relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare
i loro bisogni e alle diverse culture
umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane
stiano entro certi limiti così da non da non distruggere il contesto biofisico globale.
Se riusciremo ad arrivare a un'economia da equilibrio sostenibile le future generazioni potranno
avere almeno le stesse opportunità che la nostra generazione ha avuto: è un rapporto tra economia
ed ecologia, in gran parte ancora da costruire, che passa dalla strada dell'equilibrio sostenibile.
I progetti di sviluppo sostenibile definiti a livello internazionale sono riuniti nell' Agenda 21,
documento di propositi ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società sottoscritto da
oltre 170 paesi di tutto il mondo durante la Conferenza su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi
a Rio de Janeiro nel giugno 1992. L’Agenda 21 internazionale indica un programma operativo per
perseguire l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile, includendo risultati da raggiungere, responsabilità
e stima dei costi:
1) the Prospering World: come armonizzare lo sviluppo economico del Sud con la sostenibilità
ambientale
2) the Just World: come affrontare i problemi demografici e la povertà
3) the Habitable World: come affrontare i grandi problemi degli insediamenti urbani
4) the Desert Fertile World: come combattere l'erosione del suolo
5) the Shared World: come affrontare i problemi del cambiamento globale
6) the Clean World: come gestire il problema di rifiuti tossici e prodotti radioattivi
7) the People's World: come combattere l'analfabetismo, come affrontare il ruolo delle minoranze
Le nuove teorie dello sviluppo sostenibile stravolgono l’economia classica basata su due soli
parametri: il lavoro ed il capitale, proponendo un’ ”economia ecologica” che prevede tre
parametri: il lavoro, il capitale naturale e il capitale prodotto dall’uomo. Con capitale naturale si
intende l’insieme dei sistemi naturali (flora, fauna, laghi, mari,…), ma anche prodotti agricoli,
della pesca, della caccia, nonché il capitale artistico-culturale di un territorio.
I principi alla base di questa economia della sostenibilità sono quello del rendimento sostenibile,
che prevede che la velocità del prelievo delle risorse naturali sia uguale a quella di rigenerazione, e
quello che la velocità di produzione dei rifiuti sia uguale alla capacità di assorbimento da parte degli
ecosistemi in cui essi vengono immessi.
Il primo passo a questo proposito è ovviamente la riduzione dei rifiuti, limitandone la produzione e
privilegiando il riuso di oggetti e materiali; rimane però il problema di come trattare quelli prodotti.
Allo stato attuale possiamo contare su tre sistemi di trattamento: raccolta differenziata e
riciclaggio, discarica controllata , pirolisi e digestione anaerobica anche combinati , mentre
sulla termovalorizzazione, neologismo coniato ad arte e presente solo nella lingua italiana, si
hanno molti dubbi circa la sua capacità di produrre diossine, furani metalli pesanti ecc.
Le diossine prodotte dagli inceneritori, termine corretto per i termovalorizzatori, non vengono
smaltite dal corpo umano nel breve e medio periodo, ma cos’è la diossina?
Le diossine sono tra le più tossiche fra le sostanze chimiche, e tra le meno biodegradabili nel
tempo.
Il problema principale della diossina deriva dalla sua notevole lipofilia, cioè dalla tendenza ad
accumularsi nei grassi, sia animali che vegetali: col tempo, l’accumulo della sostanza e il continuo
incremento della sua concentrazione, negli animali e nell’uomo provoca malattie molto gravi quali
tumori (polmoni, pleura, etc.), sarcomi, diabete, infertilità, leucemie e linfomi.
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Può inoltre provocare disturbi ai sistemi endocrino, nervoso e immunitario, malformazioni fetali e
cloracne. Dagli studi finora effettuati sembra che la sostanza agisca indirettamente sul DNA,
causando una replicazione cellulare incontrollata. Solo in minima parte la diossina viene assorbita
dagli esseri viventi attraverso le vie respiratorie, per lo più per via digerente. Un ciclo tipico di
questo processo si può così descrivere: depositandosi ed accumulandosi nel suolo, la diossina passa
nei vegetali, tra i quali l’erba, alimento principale degli animali da pascolo, e si deposita nei loro
tessuti adiposi. Da lì, passa all’uomo attraverso i loro prodotti quali latte, derivati e carni. In
presenza di laghi, fiumi o mari, la diossina viene assorbita dai pesci, che si nutrono (tra l’altro) dei
microrganismi depositati sul fondo. In ogni caso, essendo l’uomo l’ultimo anello della catena
alimentare, in esso si riscontra infine la maggiore concentrazione di diossina, in particolare nel latte
materno, da cui passa ai neonati in elevatissime concentrazioni..
Le fonti principali di diossina
- Inceneritori di rifiuti urbani 26%
- Fonderie 18%
- Inceneritori di rifiuti ospedalieri 14%
- Attività metallurgiche non legate al ferro 4%
Il restante 38% è dovuto agli impianti di riscaldamento domestico a legna, incendi e traffico
Una corretta gestione dei rifiuti impone l'utilizzo razionale ed integrato di tutti e tre questi sistemi,
con una tendenza a superare lo smaltimento in discarica, il quale, comunque, disperde risorse e
trasmette problemi alle generazioni future.
Problema dei rifiuti:
difficile, ma non impossibile!
Per risolvere il problema rifiuti si deve intervenire su ogni fase della loro produzione, massimizzare
il riutilizzo o il riciclaggio e infine sfruttare il contenuto energetico mediante la produzione di
compost e biogas con digestione anaerobica e trattando ciò che non è stato possibile
riutilizzare con il processo di pirolisi. Bisogna quindi affrontare il problema su più fronti, come
prevede la
STRATEGIA DELLE 5 R:
R – Riduzione all'origine dei rifiuti (cartone da imballaggio, carta da ufficio,…)
R - potenziamento della Raccolta differenziata;
R – Riuso degli oggetti tal quali, (ad es. le bottiglie di vetro);
R – Riciclo dei materiali utili (vetro, carta, alluminio, ferro, plastica,...) nell'industria, nelle
costruzioni e nell'agricoltura;
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R – Recupero di energia contenuta nel rifiuto non riutilizzabile, attraverso nuovi impianti di
termovalorizzazione a minimo impatto ambientale.
Prima di acquistare qualcosa assicuriamoci di averne veramente bbiissooggnnoo;
Evitiamo imballaggi inutili, pprreeffeerriiaammoo mmeerrccee ssffuussaa!
Preferiamo cibi e bevande in contenitori di vveettrroo: è igienico, riutilizzabile e
riciclabile!
Utilizziamo le ricariche, le confezioni salvaspazio, quelle comprimibili:
produrremo meno rifiuti!
Scegliamo prodotti rriicciiccllaattii!
I rifiuti non sono tutti uguali, nei cassonetti delle nostre città trovano posto gli oggetti più diversi,
dagli scatoloni da imballaggio ai resti della potatura di una siepe, dal vecchio triciclo agli scarti
dell’insalata: insomma un po’ di tutto! La composizione dei rifiuti solidi urbani (RSU) varia molto
inoltre a seconda di dove ci troviamo: nel cassonetto di Aosta troveremo sicuramente materiali
molto diversi rispetto a quelli presenti in un cassonetto di Palermo! Alcuni archeologi a partire dai
resti di antiche discariche hanno potuto addirittura ricostruire le abitudini di vita di alcuni popoli
dell’antichità: i nostri rifiuti parlano di noi!
Facendo una media nazionale ecco come sono composti i rifiuti in Italia:
- organico 35%
- carta e cartone 21%
- materie plastiche 13%
- vetro 12%
Dobbiamo imparare a produrre mmeennoo rriiffiiuuttii!
MMEENNOO IIMMBBAALLLLAAGGGGII
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MMEENNOO RRIIFFIIUUTTII
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- metalli 6%
- verde e legno 7%
- altro 6%
Scendendo più nel dettaglio notiamo che i rifiuti solidi urbani (RSU) sono costruiti da:
materiali decomponibili (scarti organici in genere, residui vegetali, carta, legno, tessili,
avanzi di cibo, carogne di animali);
materiali non decomponibili (metalli, vetro, ceramica, materiali ferrosi e plastici);
ceneri e polveri;
rifiuti ingombranti (materiali provenienti da demolizioni, macchinari, elettrodomestici,
vecchie auto e parti meccaniche);
contenitori e imballaggi (in vetro, alluminio, plastiche, materiale cellulosico);
rifiuti urbani pericolosi (pile, batterie, farmaci, i prodotti tossici e infiammabili, come
candeggina, vernici, colle, insetticidi, oli minerali usati, residui ospedalieri, lampade, tubi
catodici, raee ecc.);
residui solidi risultanti dal processo di trattamento dei liquami (materiali trattenuti dalle
griglie degli impianti di depurazione, materiali solidi stabilizzati, fanghi biologici);
rifiuti industriali (sostanze chimiche di varia natura, tinture e simili, sabbie, cascami di
lavorazione, oli e grassi);
rifiuti derivati da attività minerarie (scorie, polveri);
rifiuti derivati da attività agricole (letame, rifiuti zootecnici, scarti vegetali).
Buona parte dei rifiuti è costituita da CARTA, PLASTICA, VETRO e METALLI: tutti materiali
riciclabili! o trasformabili in CDR (combustibile derivato da rifiuti)
Vediamo ora quanto tempo la natura da sola impiegherebbe a degradare alcuni dei più comuni
rifiuti prodotti dalla nostra società:
TORSOLO DI MELA ddaa 1155 ggiioorrnnii aa 33 mmeessii
FAZZOLETTO DI CARTA ddaa 33 aa 66 mmeessii
GIORNALE ddaa 44 aa 1122 mmeessii
FILTRO DI SIGARETTA 22 aannnnii
LATTINA ddaa 2200 aa 110000 aannnnii
BOTTIGLIA DI PLASTICA ddaa 110000 aa 11000000 aannnnii
BOTTIGLIA DI VETRO 44000000 aannnnii
Come è evidente, soprattutto per i materiali non organici, i tempi sono lunghissimi; alla luce di ciò
risulta ancora più evidente la convenienza a riciclare, sia in termini di tempo che di risparmio delle
risorse.
Il RICICLAGGIO
Il riciclaggio dei rifiuti è il processo di trasformazione dei rifiuti in materiali riutilizzabili.
Il riciclaggio è una pratica abbastanza recente, nata intorno agli anni Cinquanta per rispondere a
esigenze di tipo economico ed ecologico: in primo luogo, infatti, è un sistema intelligente di
smaltimento dei rifiuti e un modo per ridurre i consumi energetici e i costi delle industrie, in
secondo luogo, è un modo per risparmiare le risorse naturali del pianeta.
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Dal punto di vista ecologico, è l’alternativa più vantaggiosa ai sistemi convenzionali di smaltimento
dei rifiuti quali l’accumulo nelle discariche e l’incenerimento in appositi impianti, che oltre a non
essere più sufficienti per smaltire il sempre crescente carico di rifiuti prodotti, hanno un elevato
impatto ambientale.
Se evitiamo di gettare tutti insieme il vetro, il metallo, le plastiche e la carta che usiamo ogni
giorno, ma li deponiamo negli appositi cassonetti, possiamo riciclarli e usarli di nuovo. Ciò aiuta a
conservare le risorse naturali della Terra.
Il riciclaggio riduce drasticamente la quantità dei rifiuti, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua
e fa risparmiare energia.
Il primo passo verso il riciclaggio è la RACCOLTA DIFFERENZIATA dei rifiuti, vediamone i
principali vantaggi:
si ottengono così:
Alla base della raccolta differenziata sta il principio che i rifiuti non sono tutti uguali e che
imparando a separarli opportunamente si possono ottenere enormi vantaggi sia in termini di
risparmio economico per l’intera società che di salvaguardia dell’ambiente. Nelle nostre strade
devono trovare posto tanti cassonetti di colori diversi, ognuno adibito ad una diversa tipologia di
rifiuto, che una volta raccolta, verrà avviata ad uno specifico processo di riciclaggio.
Vediamo ora qualche regola utile per una corretta raccolta differenziata:
I materiali da riciclare devono essere per quanto possibile asciutti e puliti.
E' sufficiente togliere i residui alimentari. Infatti un materiale sporco di alimenti avviato al
riutilizzo, crea putrescenze che possono interferire con il sistema di riciclaggio.
Mettere la cosa giusta nel cassonetto giusto!
Non farlo può vanificare il riciclaggio di altri materiali. Ad esempio mettere un piatto nel cassonetto
del vetro crea grossi problemi: la porcellana ha un punto di fusione
superiore, ne rimarranno quindi pezzi non fusi nel vetro fuso che risulterà non riutilizzabile.
Gli imballaggi vanno schiacciati, in modo da occupare meno spazio!
Non farlo, significa occupare spazio inutile nel cassonetto, che quindi si riempie prima costringendo
ad un numero maggiore di svuotamenti o, peggio, costringendo gli altri ad abbandonare i rifiuti in
strada. Basta pensare che una bottiglia di plastica non schiacciata occupa la spazio di 3 schiacciate.
Lo stesso vale per le lattine.
LLAA CCAARRTTAA
Per produrre 1 tonnellata di ccaarrttaa da cellulosa vergine occorrono:
riduce la quantità di rifiuti che vanno in discarica
separa i rifiuti pericolosi
recupera i materiali riciclabili
+ Risparmio
economico
Salvaguardia
dell’ambiente
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1155 aallbbeerrii 444400..000000 lliittrrii dd’’aaccqquuaa
77..660000 kkWWhh ddii eenneerrggiiaa eelleettttrriiccaa
Per produrre 1 tonnellata di ccaarrttaa rriicciiccllaattaa bastano:
nneessssuunn aallbbeerroo
11..880000 lliittrrii dd’’aaccqquuaa
22..770000 kkWWhh ddii eenneerrggiiaa eelleettttrriiccaa
Come è evidente il risparmio è enorme: non solo non c’è bisogno di abbattere alberi, ma anche il
consumo di acqua e di energia elettrica è notevolmente inferiore nel caso di carta riciclata.
Per una corretta raccolta differenziata è fondamentale sapere quali rifiuti mettere nel cassonetto
della CARTA:
La carta sotto il simbolo del NO non vuol dire che non è riciclabile ma finisce all'interno del CDR
per produrre energia elettrica e termica (cogenerazione)
I rifiuti riciclabili derivano da oggetti di uso quotidiano, per tutti noi quindi, con un minimo di
accortezza, sarà semplice raccoglierli in maniera differenziata! In Italia la carta da macero è usata
soprattutto nella produzione di carta per imballaggio, mentre è ancora molto ridotta negli altri
settori.
Il CICLO della CARTA
La carta depositata negli appositi cassonetti per la raccolta differenziata, viene ritirata e trasportata
ai centri di raccolta dove è SELEZIONATA per una prima separazione di giornali, cartoni, carta più
leggera; i vari materiali vengono poi PRESSATI e confezionati in balle da inviare alle cartiere.
In CARTIERA inizia il processo di riciclaggio vero e proprio, il primo stadio avviene nel PULPER,
o SPAPPOLATORE, che è un macchinario che trita e aggiunge acqua calda, facendo diventare la
carta una vera e propria poltiglia. Questa pasta prima attraversa un FILTRO a grossi fori che
trattiene le impurità più grossolane, quindi un DEPURATORE che separa la pasta di cellulosa dalle
impurità non trattenute prima. Per ottenere carta bianca è necessario aggiungere solventi per
eliminare gli inchiostri. Alla pasta proveniente da carta di recupero viene aggiunta cellulosa vergine
in proporzioni differenti a seconda del tipo di utilizzo al quale la carta è destinata.
GIORNALI e RIVISTE
VECCHI QUADERNI
OPUSCOLI
SACCHETTI di CARTA
FOTOCOPIE E MODULI
PACCHI e SCATOLE
in CARTONE
SI NO CARTA con residui di COLLA o altre
SOSTANZE
CONTENITORI della PIZZA (se molto unti)
CARTA CHIMICA
CARTA COPIATIVA
BICCHIERI e PIATTI di CARTA
POLIACCOPPIATI (brick del latte e succhi
di frutta)
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LLaa PPLLAASSTTIICCAA
Per la produzione della plastica si parte dal ppeettrroolliioo a cui vengono aggiunte sostanze diverse per
ottenere i vari tipi di plastica che comunemente usiamo, ecco una rassegna dei più comuni tipi di
plastica, delle loro sigle e dei rispettivi usi:
Vediamo ora cosa è corretto introdurre nel cassonetto della PLASTICA:
La plastica sotto il simbolo del NO non sta ad indicare che non sia riciclabile ma solo la sua
destinazione a CDR per produrre energia elettrica e termica .
TIPO
USO
Polietilentereftalato Bottiglie per bevande gassate
Polivinilcloruro
Bottiglie Nastro isolante
Fili elettrici Tubi
Polipropilene
Siringhe Pennarelli
Polietilene
Sacchetti per l’immondizia Sacchetti per la spesa
Sacchetti per surgelare cibi
BOTTIGLIE
FLACONI lavati
OGGETTI in PLASTICA
SI
BICCHIERI
PIATTI
SACCHETTI
GIOCATTOLI
TUBETTI DENTIFRICIO
VASETTI YOGURT
BOTTIGLIE dell’OLIO
NO
Attenzione! tutto con
i simboli: PET, PE
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Il CICLO della PLASTICA
La plastica raccolta dai cassonetti per la raccolta differenziata viene inviata ai CENTRI di
SELEZIONE e STOCCAGGIO, dove i vari tipi di plastica vengono divisi per polimero attraverso
vari sistemi (ad esempio i raggi X).
Successivamente vengono TRITURATI, LAVATI e avviati alla lavorazione di nuovi prodotti nelle
varie industrie.
Con la plastica riciclata si possono ottenere i materiali più disparati: dal vestiario in pile, ai giochi
per bambini, dai contenitori per alimenti alle pavimentazioni plastiche.
IIll VVEETTRROO
Per produrre 11..000000 kkgg di VVEETTRROO occorrono:
774400 kkgg ssaabbbbiiaa
113300 kkgg ssooddaa
113300 kkgg ccaallccaarree
Per produrre vetro con 5500%% mmaatteerriiaa rriicciiccllaattaa e 5500%% mmaatteerriiaa pprriimmaa occorrono:
337700 kkgg ssaabbbbiiaa
6655 kkgg ssooddaa
6655 kkgg ccaallccaarree
E’ inoltre necessaria una mmiinnoorree TT ddii ffuussiioonnee: oltre ad un risparmio in termini di materie prime si
ha quindi necessità di mmeennoo eenneerrggiiaa ee ttaallee pprroocceessssoo ccoommppoorrttaa aanncchhee mmiinnoorrii eemmiissssiioonnii iinn
aattmmoossffeerraa!! Ecco alcuni suggerimenti sui materiali da raccogliere nel cassonetto adibito al VETRO:
Come risulta evidente dall’elenco sopra riportato circa l’89% del vetro prodotto ha destinazione
domestica: questo significa che tutti noi con un impegno minimo possiamo RICICLARE!!
VETRI per FINESTRE
BICCHIERI
PIATTI
SPECCHI
PIROFILE da FORNO
TAZZINE da CAFFE’
PORCELLANA
LAMPADINE
NO
BOTTIGLIE
BARATTOLI
SI
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Il VETRO è un materiale che prima di essere riciclato può anche essere RIUTILIZZATO con il
sistema del “vuoto a rendere”! Il vetro è RICICALABILE al 100%: esso mantiene infatti sempre
inalterate le sue caratteristiche, anche se fuso più volte, i suoi requisiti tecnici e igienici rimangono
identici a quelli del prodotto iniziale. Per poterlo però riciclare è importante raccoglierlo in modo
corretto, cioè senza mescolarlo ad altro (porcellane, specchi, ...)! Gli oggetti non di vetro hanno
infatti temperature di fusione più alte di quella del vetro e possono rovinare il prodotto finale.
Il CICLO del VETRO
Il vetro dai cassonetti della raccolta differenziata viene trasportato ai CENTRI di SELEZIONE e
STOCCAGGIO dove i vari tipi di vetro vengono separati e frantumati, in seguito, attraverso
apposite ELETTROCALAMITE, vengono eliminati gli anelli di metallo delle chiusure e per
aspirazione vengono rimossi i residui di plastica e carta. Si passa quindi ad una fase di
LAVAGGIO, dopo la quale il vetro viene inviato alle vetrerie per la FUSIONE e la realizzazione di
nuovi oggetti. Le bottiglie in vetro prodotte in Italia risultano per più di un terzo prodotte in vetro
riciclato.
II MMEETTAALLLLII
I metalli non sono tutti uguali, ne esistono molti tipi diversi e vengono normalmente suddivisi in
ferrosi e non ferrosi; solo alcuni di essi vengono impiegati nella produzione di lattine, scatolette,
bombolette, altri si utilizzano nella realizzazione di elettrodomestici, pentole, ...
E’ importante in questa sede ricordare che i rifiuti ingombranti, come appunto gli
elettrodomestici, non devono essere abbandonati vicino ai cassonetti o peggio in qualche discarica
abusiva ai bordi delle strade, ma che vanno portati in appositi centri di raccolta dove vengono
smontati, suddivisi nei vari componenti e quindi avviati alle fonderie per il recupero dei metalli.
Per produrre 1 Kg di alluminio occorrono:
Bauxite
14/16 kWh di energia
Per produrre 1 Kg di alluminio da materiale riciclato occorrono:
Bauxite
0.7/0.8 kWh di energia
Gli oggetti da conferire tra i METALLI sono:
LATTINE
SCATOLETTE
BOMBOLETTE
SI
VECCHIE RETI
FERRI da STIRO
RAEE e PICCOLI
ELETRODOMESTICI
NO
I rifiuti sotto il simbolo del NO (rifiuti ingombranti) trovano nuova vita nei centri di
trattamento specializzati dove sono ritrasformati nelle materie prime che li costituiscono, e
nel caso dei frigoriferi , recuperando in maniera corretta anche i gas da raffreddamento
(freon) che , se lasciati liberi , costituirebbero un grave pericolo per l'ambiente.
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Il CICLO dei METALLI
A titolo di esempio riportiamo qui il percorso dell’ALLUMINIO, dal cassonetto al riutilizzo.
L’alluminio raccolto con la raccolta differenziata viene trasportato in appositi CENTRI di
SELEZIONE e STOCCAGGIO, dove, per mezzo di ELETTROCALAMITE, vengono scartati i
contenitori non in alluminio. Il materiale in alluminio viene quindi LAVATO, PRESSATO in
balle e mandato alle FONDERIE per iniziare una nuova vita.
LL’’UUMMIIDDOO
Con il termine UMIDO si intendono tutti gli scarti di provenienza alimentare, vegetale, animale ad
aallttaa uummiiddiittàà, che rappresentano circa il
3300 –– 3355%% dei rifiuti solidi urbani
In questa categoria di rifiuti confluiscono moltissimi oggetti di uso quotidiano, vediamo quali:
Lo sapevate che…
Il recupero di alluminio permette di intercettare il 30% di quanto viene prodotto, ma il consumo di lattine
è in Italia tra i più bassi:
ITALIA 26 pezzi/abitante x anno GERMANIA 62 pezzi/ab x anno
SVEZIA 96 pezzi/ab x anno
GRAN BRETAGNA 119 pezzi/ab x anno
STATI UNITI 400 pezzi/ab x anno
RESTI DI FRUTTA, ORTAGGI
CARNE, PESCE a piccoli pezzi
GUSCI d’UOVA
ALIMENTI DETERIORATI
FONDI DI CAFFE’ o TE’
ERBA SECCATA
FOGLIE,TERRICCIO,POTATURE
PANE, PASTA, RISO
LETTIERE DI ANIMALI
PAGLIA,CORTECCE,SEGATURA
SI
VETRO
METALLI
CERAMICA
CONTENITORI
PLASTICA
TESSUTI COLORATI
LEGNO VERNICIATO
FOGLI di ALLUMINIO
SPAZZATURA
OLII, GRASSI
CARTA PATINATA
NO
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Il COMPOSTAGGIO
Il compostaggio vuole imitare, riproducendoli in maniera controllata e accelerata, i processi naturali
che trasformano gli scarti in humus, che costituisce una vera e propria riserva di nutrimento per le
piante data la sua capacità di liberare lentamente ma costantemente elementi nutritivi fondamentali
per la crescita vegetale come azoto, fosforo e potassio. Il processo per produrre il compost è quindi
copiato dalla natura con qualche modifica per renderlo ancor più efficiente e veloce.
Si tratta di un processo aerobico (cioè che avviene in presenza di Ossigeno) di decomposizione
biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate, che permette di ottenere un
prodotto biologicamente stabile, il compost appunto che altro non è che un terriccio molto ricco in
humus e flora microbica attiva.
Cerchiamo di spiegare meglio come avviene il compostaggio; la sostanza organica proveniente
dalla raccolta differenziata viene disposta in ccuummuullii (normalmente di sezione triangolare o
trapezoidale) ed a questo punto inizia il compostaggio vero e proprio, esso si articola
essenzialmente in due fasi:
IL COMPOSTAGGIO DOMESTICO
Per ottenere un buon compost è necessario che i diversi materiali siano ben triturati per offrire una
maggiore superficie di contatto con aria e acqua ma non troppo piccoli, in quanto si avrebbe la
costipazione del terriccio che impedirebbe così la circolazione dell'aria e il drenaggio dell'acqua.
E' importante alternare gli strati di materiale nella compostiera: miscelare in parti pressoché uguali
materiale secco e legnoso (legno o potature sminuzzati, paglia, trucioli, foglie secche) con materiali
verdi e umidi (erba, scarti di cucina, fiori appassiti, resti dell'orto). Svantaggio enorme della compostiera è che emette gas metano: 20 volte più dannoso della CO2
ai fini del buco nell'ozono
Cosa mettere nella compostiera?
Si possono utilizzare tutti gli scarti biodegradabili. Vanno invece evitati i rifiuti di origine sintetica
o contaminati da sostanze non naturali:
SI avanzi di cucina, verdura, frutta, fondi di the e caffè, scarti del giardino, legno di
potatura, sfalcio dei prati, foglie secche, altri materiali biodegradabili, carta per alimenti
non patinata, segatura e trucioli provenienti da legno non trattato, cenere, piume, pelo,
tovaglioli e fazzoletti di carta
NO vetro, pile scariche, tessuti, vernici e altri prodotti chimici, manufatti con parti in
plastica o in metallo, liquidi, lattine, legno verniciato, farmaci, carta patinata o
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stampata, pannolini
POCO avanzi di cibo di origine animale, cibi cotti (in piccole quantità perché potrebbero
attrarre animali o insetti), foglie di piante resistenti alla degradazione: in piccole
quantità e miscelando con materiali più facilmente degradabili (magnolia, faggio,
castagno, aghi di conifere), lettiere per cani e gatti
LA DIGESTIONE ANAEROBICA DI RIFIUTI ORGANICI: - RIFIUTI
ORGANICI (FORSU) Frazione organica da RSU - SFALCI DI GIARDINO -
LIQUAMI
La digestione anaerobica, processo di conversione di tipo biochimico, avviene in assenza di
ossigeno e consiste nella demolizione, ad opera di microrganismi, di sostanze organiche complesse
(lipidi, protidi, glucidi), contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale e umana.
Questo processo è in grado di produrre un gas (biogas) costituito per il 50%-70% da metano e per la
restante parte da anidride carbonica (vedi tabella2), ed avente un potere calorifero di 23.000
KJ/Nm3. Il biogas così prodotto viene raccolto, essiccato, compresso ed immagazzinato e può essere
utilizzato come combustibile per alimentare caldaie a gas per produrre calore o motori a
combustione interna per produrre energia elettrica. Al termine del processo di fermentazione nell’
effluente si conservano integri i principali elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio), già presenti
nella materia prima, favorendo così la mineralizzazione dell’ azoto organico; l’effluente risulta in
tal modo un ottimo fertilizzante.
L’ impiego delle biomasse per fini energetici sta assumendo rilevanza sempre maggiore, oltre che
per gli indiscussi benefici ambientali, soprattutto come scelta strategica in grado di diminuire il
ricorso alle fonti fossili e, quindi la dipendenza energetica da altri paesi. L’energia solare,
disponibile annualmente sotto forma di radiazione sulla superficie terrestre, è 11.000 volte superiore
alla domanda energetica annua necessaria per le attività umane. La biomassa è una sofisticata forma
di accumulo dell’ energia solare: le piante convertono l’ energia solare attraverso il processo di
fotosintesi, con un rendimento medio dello 0, 1%, accumulandola in modo permanente nelle foglie,
negli steli e nei fiori. Tra le energie rinnovabili, la biomassa è l’unica a poter essere convertita in
combustibili solidi, liquidi o gassosi mediante opportune tecnologie di conversione, ormai ben
collaudate. Di conseguenza, questo vettore energetico può essere utilizzato in un vasto campo di
applicazioni energetiche, dalla produzione di energia termica ed elettrica alla produzione di
combustibili per i mezzi di trasporto. La produzione annuale globale di biomassa supera l’ attuale
consumo energetico mondiale di 13 volte. L’ utilizzo delle biomasse o FORSU può dare un valido
contributo al settore energetico, garantendo effetti molto più contenuti in termini di emissioni di gas
serra. Si tratta di una risorsa energetica rinnovabile sempre disponibile; infatti, rispetto all’ utilizzo
diretto dell’ energia solare, non presenta i problemi di aleatorietà caratteristici di quest’ ultima
fonte.
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Dopo opportuni trattamenti, l’utilizzo delle biomasse può produrre:
Energia termica
Energia elettrica
Biocombustibili
L’ energia rappresenta la chiave per la sopravvivenza a lungo termine della civiltà moderna. In
media, ognuno dei sei miliardi di persone che vivono sulla terra utilizza due tonnellate di carbonio
all’ anno per fini energetici. Tuttavia, esiste un grosso divario tra i paesi industrializzati e quelli in
via di sviluppo: un europeo, ad esempio, consuma più di 6 tonnellate di carbonio, quantità 40 volte
superiore rispetto a quelle consumate da un abitante del Bangladesh. Attualmente, il 90% delle fonti
energetiche utilizzate sono di origine fossile ed il loro uso è associato all’ emissione di anidride
carbonica nell’ atmosfera. In particolare, ogni anno l’ atmosfera del nostro pianeta riceve più di 15
miliardi di tonnellate di CO2. Gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nell’ affermare che, con
l’attuale valore di emissione di CO2 e degli altri gas serra, si produrranno danni irreversibili al clima
del pianeta. Il fabbisogno energetico dell’ uomo può essere soddisfatto senza dover necessariamente
ricorrere a vettori energetici fossili. Inoltre, dalle risorse energetiche il cui sfruttamento non è
associato all’ emissione di CO2, come l’energia solare, l’enegia eolica e le biomasse, si possono
ottenere la maggior parte dei vettori energetici attualmente utilizzati.
La coltivazione di piante specifiche da avviare alla digestione anaerobica per la produzione di
biogas può essere una soluzione per ridurre la sovrapproduzione agricola, ma anche una valida
alternativa per l’utilizzo di aree incolte e a riposo (set aside) o di aree irrigate con acque recuperate
dai depuratori urbani.
Nel corso degli ultimi anni molti studi sono stati effettuati su mais, sorgo, foraggi (ma anche altre
colture hanno dimostrato di possedere un buon potenziale di produzione di biogas) per valutarne le
caratteristiche ai fini del loro utilizzo energetico e la resa in biogas. Anche le tecnologie
impiantistiche sono orientate all’introduzione di tali substrati, sia liquidi che solidi, nel digestore.
L’uso delle colture energetiche come co-substrato, infatti, permette di ottimizzare la produzione di
biogas e il riciclo dei nutrienti. Questo perché possono essere prodotte in azienda ed essere
addizionate come co-substrati agli effluenti zootecnici direttamente o dopo insilamento e il
digestato ottenuto a seguito del trattamento anaerobico può essere utilizzato per fertilizzare le aree
agricole in cui le stesse vengono coltivate.
Scarti organici e acque reflue dell’agro-industria:
ingenti quantità di prodotti agricoli sono lavorati nell’industria alimentare. Durante tali lavorazioni
si producono reflui che spesso possono essere avviati alla digestione anaerobica. Il fango
anaerobico risultante può essere utilizzato come ammendante su terreni agricoli. Tipici sottoprodotti
e scarti agro-industriali sono ad esempio, il siero di latte, contenente proteine e zuccheri
dall’industria casearia, e i reflui liquidi dall’industria che processa succhi di frutta o che distilla
alcool. Di interesse per la digestione anaerobica sono anche diversi scarti organici liquidi e/o
semisolidi dell’industria della carne (macellazione e lavorazione della carne), quali grassi, sangue,
contenuto stomacale, ecc. (vedi Regolamento CE n. 1774/2002 “Norme sanitarie relative ai
sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano”).
Tali residui, ad esempio possono essere addizionati come co-substrati nella digestione di liquami
zootecnici e/o fanghi di depurazione.
Fanghi di depurazione
Sono il residuo del processo di depurazione delle acque reflue urbane e industriali. Sono costituiti
da biomassa batterica e da sostanza inerte, organica ed inorganica. In generale gli obiettivi della
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digestione anaerobica dei fanghi di depurazione sono: la stabilizzazione della sostanza organica, la
distruzione degli eventuali microoganismi patogeni e la facilitazione per lo smaltimento finale.
Frazioni organiche di rifiuti urbani Nei rifiuti urbani domestici la percentuale di frazione organica umida è compresa in genere tra il 25
e il 35% in peso. La presenza di piccole quantità di plastica e vetro è in genere inferiore al 5% sul
totale. Queste frazioni organiche presentano un elevato grado di putrescibilità ed umidità (> 65%)
che le rendono adatte alla digestione anaerobica.
Liquami umani I liquidi e i solidi organici di origine umana vengono suddivisi in acque brune
( 7% sostanza secca) e acque gialle (2% di sostanza secca) che presentano una producibilità in
biogas pari rispettivamente a 65,50 m3biogas/ton e 20 m
3biogas/ton.
Anche le discariche, opportunamente attrezzate, possono produrre biogas , ma solo il 40% circa del
gas generato può essere raccolto, mentre la rimanente parte viene dispersa in atmosfera. Poiché il
metano, di cui è in gran parete costituito il biogas, è un gas serra con effetto circa venti volte
superiore a quello dell’ anidride carbonica, è chiara la necessità di evitarne le emissioni in
atmosfera. Quando, invece la decomposizione dei rifiuti organici è ottenuta mediante digestori
anaerobici chiusi, quasi tutto il gas prodotto viene raccolto ed usato come combustibile. Il processo
di digestione anaerobica consiste nella metabolizzazione delle sostanze organiche per opera di
microrganismi, il cui sviluppo è condizionato dalla presenza di ossigeno. Questi batteri convertono
sostanze complesse in altre più semplici, liberando anidride carbonica e acqua, e producendo un
elevato riscaldamento del substrato, proporzionale alla loro attività metabolica. L’energia prodotta
può essere così trasferita all’ esterno. Il sistema biologico sul quale si intende sviluppare l’
intervento è di tipo anaerobico con digestione termofila. Attraverso la digestione anaerobica a caldo
si ottiene oltre al biogas, l’abbattimento del carico inquinante, dovuto al fatto che una flora
microbica selezionata è in grado di utilizzare le sostanze organiche e inorganiche presenti nei
residui vegetali ed animali per moltiplicarsi e trasformarle quindi in una nuova sostanza vivente.
VANTAGGI E SVANTAGGI DELLA DIGESTIONE ANAEROBICA
Vantaggi:
Produzione di biogas.Il biogas può essere utilizzato come fonte di energia necessaria per il
funzionamento dell’impianto (pompe, miscelatori, sistemi di termostatazione), e per le utenze
esterne. Ciò rappresenta un notevole vantaggio rispetto ai processi aerobici, perché può non
dipendere dalla fornitura di energia di altre reti. L’assenza di sistemi di insufflazione
dell’aria, necessari invece per i processi di depurazione delle acque a fanghi attivi, limita i
problemi tecnici ed elimina la necessità di un apporto energetico ulteriore.
Bassa produzione di fanghi di supero e produzione di un fango stabilizzato usato a fini
agronomici, costi ridotti. In molti casi un processo anaerobico è in grado di operare
efficientemente con elevati valori di carico organico (fino a 30 kg COD·m3/d, contro i 3,2 dei
normali impianti aerobici). La produzione di fanghi è bassa, in quanto il prodotto principale
della rimozione del carico organico è il biogas (mentre negli aerobici il metabolismo è volto
alla produzione di biomassa). Mediamente, ogni kg di COD rimosso in un impianto
anaerobico comporta una produzione di 20–50 g di biomassa; inoltre i fanghi di supero
risultano generalmente stabilizzati: le spese per il loro smaltimento sono dunque contenute.
La frequenza di scarico dei fanghi dal sistema può essere molto più bassa rispetto ai sistemi
convenzionali, e per questo motivo anche in questa fase i costi sono ridotti.
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Dimensione limitata degli impianti. Vi è una notevole flessibilità di scala: il trattamento
anaerobico può applicarsi per impianti grandi (migliaia di m³) e per impianti su scala pilota
(meno di un litro di volume).
La lenta crescita cellulare limita la necessità di aggiungere nutrienti, quali fosforo ed azoto,
al sistema.
Limitata dispersione in aria di contaminanti organici volatili (es: solventi clorurati).
Migliore rimozione di agenti patogeni. L’ uso di un trattamento termofilo rende
superfluo il post-trattamento di disinfezione previsto per gli impianti mesofili.
Svantaggi:
Sensibilità del processo a variazioni di PH, alla presenza di sostanze inibenti o tossiche e a
sbalzi di temperatura. Svantaggio superabile attraverso l’ uso di opportuni sistemi di
coibentazione dei digestori e un monitoraggio in continuo di parametri quali PH, alcalinità,
etc…
Periodi di start-up lunghi, che si riducono però se si interviene con una digestione
termofila.
Costi derivanti dall’ installazione di sistemi di rimozione di composti quali: azoto, fosforo;
nonché di sistemi di filtrazione del biogas per l’ eliminazione degli odori e dell’ idrogeno
solforato che corrode l’acciaio.
Necessità di trattamento delle acque in eccesso.
Nel corso degli ultimi dieci anni la digestione anaerobica si è diffusa in molti paesi europei.
Questi impianti vengono realizzati non solo allo scopo di recuperare energia rinnovabile, ma
anche di controllare le emissioni maleodoranti e di stabilizzare le biomasse prima del loro
utilizzo agronomico. Anche il processo di evoluzione nella politica ambientale, attivatosi a
seguito della Conferenza di Kyoto sulla riduzione dell’ inquinamento atmosferico da gas serra,
può accentuare l’ attenzione sul recupero del biogas. Ne deriva l’ utilità di potenziare e di
razionalizzare i sistemi che sfruttano processi di co-digestione anaerobica di biomasse di varia
natura. Si assiste quindi ad un aumento (o risveglio) dell’ interesse per questa tecnologia, che in
futuro potrebbe e, si auspica, dovrebbe fornire un contributo non trascurabile al raggiungimento
degli obiettivi del Protocollo di Kyoto ed una ulteriore possibilità di gestione sostenibile di
rifiuti e residui derivanti dalle attività umane. E’ forse il caso di ricordare che a partire dal 1973,
in conseguenza della crisi petrolifera, vi era già stato un “boom” di interesse e di applicazioni
per la digestione anaerobica, ma le aspettative allora create si realizzarono solo in minima
parte. Ne è anzi derivato in molti ambiti e per molto tempo, un atteggiamento critico nei
confronti della digestione anaerobica- giudicata troppo complessa da gestire e poco affidabile.
Le cause di quanto avvenuto sono molteplici e non tutte riconducibili ad aspetti tecnici, anche se
è vero che le conoscenze e le esperienze applicative dell’ epoca, unite a modalità realizzative e
qualità dei macchinari modesti, sono state in molte situazioni alla base degli insuccessi ottenuti.
Rispetto ad allora le conoscenze di base ed applicate sul processo di digestione anaerobica sono
aumentate enormemente e conseguentemente le tipologie impiantistiche disponibili ed il grado
di affidabilità di questa tecnologia. Quanto più la funzione della digestione anaerobica evolve da
sistema di trattamento depurativo a sistema per la produzione di energia, tanto più gli obiettivi
degradativi e le necessità di controllo aumentano. La massimizzazione dei benefici ambientali è
infatti strettamente legata all’ ottimizzazione del processo degradativo, ottenendo in questo
modo la massima produzione di metano, i minori quantitativi di prodotto digerito e la maggiore
stabilità del prodotto. Negli ultimi anni le reselettriche dei motori sono sensibilmente cresciute,
fino a valori massimi del 40% e questo rappresenta certamente un miglioramento rilevante
22
rispetto al passato per il bilancio energetico e la redditività della digestione anaerobica. Una
quota dell’ energia termica viene utilizzata per compensare i fabbisogni termici del processo e
questo rappresenta comunque un vantaggio della digestione anaerobica rispetto ad altre
tecnologie di conversione energetica. Stante l’ attuale situazione del mercato dell’ energie
rinnovabili, le prospettive economiche della digestione anaerobica di biomasse, sono
sicuramente buone dal momento che gli investimenti nel settore risultano avere una redditività
discreta e di lunga durata, a fronte di un rischio estremamente contenuto. In futuro le prospettive
economiche per il settore non potranno che migliorare, considerando il sempre maggior peso
che assumeranno le fonti energetiche rinnovabili e la raccolta differenziata dei rifiuti.
Impianto anaerobico
II RRIIFFIIUUTTII PPEERRIICCOOLLOOSSII
PILE: le pile alcaline contengono mercurio e cadmio, molto tossici anche in quantità ridotte;
anche pile ricaricabili, a bottone e saline;
BATTERIE D'AUTO ESAUSTE: contengono piombo allo stato metallico e acido solforico
entrambi molto tossici per l’ambiente;
FARMACI SCADUTI O INUTILIZZATI;
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RIFIUTI ETICHETTATI con la sigla T/F: candeggine, lacche, solventi, vernici; per riconoscerli
è sufficiente controllare i simboli messi in evidenza sulle etichette dei contenitori come la fiamma,
il teschio o la X; i contenitori anche se vuoti vanno comunque considerati rifiuti pericolosi;
FITOFARMACI E PESTICIDI: la maggioranza dei prodotti utilizzati per trattare le piante; essi
contengono principi chimici velenosi;
OLI ESAUSTI: oli di lubrificazione di parti meccaniche;
TUBI NEON E LAMPADE A FLUORESCENZA: possono essere conferiti solo al CRM; tubi
neon e lampade a fluorescenza non devono essere rotti: contengono prodotti nocivi per l’uomo e
l’ambiente.
Per la pericolosità e tossicità delle sostanze e dei materiali che li costituiscono questi rifiuti
vannosottoposti a trattamenti preliminari prima di poter essere recuperati o smaltiti in discariche
apposite od ancora bruciati in appositi inceneritori.
RIFIUTI ELETTRONICI, RAEE o e-waste sono rifiuti di tipo particolare: cellulari, computers,
stampanti ecc, che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il
possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata
all'abbandono. I principali problemi derivanti da questo tipo di rifiuti sono la presenza di sostanze
considerate tossiche per l'ambiente e la non biodegradabilità di tali apparecchi. La crescente
diffusione di apparecchi elettronici determina un sempre maggiore rischio di abbandono
nell'ambiente o in discariche e termovalorizzatori con conseguenze di inquinamento del suolo,
dell'aria, dell'acqua con ripercussioni sulla salute umana. Questi prodotti vanno trattati
correttamente e destinati al recupero differenziato dei materiali di cui sono composti, come il rame,
ferro, acciaio, alluminio, vetro, argento, oro, evitando così uno spreco di risorse che possono essere
riutilizzate per costruire nuove apparecchiature oltre a la sostenibilità ambientale. Questo tipo di
rifiuti sono comunemente definiti RAEE' e sono regolamentati dalla omonima "Direttiva " (o
Direttiva WEEE, da Waste of Electric and Electronic Equipment).
I RAEE, acronimo di Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, ovvero Rifiuti di
AEE. Le AEE sono apparecchiature che per un corretto funzionamento dipendono dall'energia
elettrica, sia come utilizzatrici, sia come generatrici, progettate per funzionare a tensioni fino a 1000
V AC o 1500 V CC, e appartengono a una delle seguenti categorie:
1. Grandi elettrodomestici;
2. Piccoli elettrodomestici;
3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni;
4. Apparecchiature di consumo;
5. Apparecchiature di illuminazione;
6. Strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi
dimensioni);
7. Giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero;
8. Dispositivi medici (ad eccezione di tutti i prodotti impiantati ed infetti);
9. Strumenti di monitoraggio e controllo;
10. Distributori automatici.
Il trattamento dei RAEE è svolto in centri adeguatamente attrezzati, autorizzati alla gestione dei
rifiuti ed adeguati al "Decreto RAEE", sfruttando le migliori tecniche disponibili. Le attività di
trattamento prevedono varie fasi, indicativamente:
messa in sicurezza o bonifica, ovvero asportazione dei componenti pericolosi
smontaggio dei sotto-assiemi e separazione preliminare dei materiali
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lavorazione meccanica per il recupero dei materiali.
L'attività di reimpiego delle apparecchiature dopo test di funzionamento è un'opzione prevista della
normativa sui RAEE ma non esiste una normativa sulle apparecchiature reimmesse sul mercato.
LA DISCARICA CONTROLLATA
Il sistema di smaltimento dei rifiuti solidi più diffusamente utilizzato in Europa è quello delle
discariche, nelle quali viene trasportato l’88% dei rifiuti solidi urbani e l’82% di quelli
industriali.
Per discarica controllata si intende lo smaltimento dei rifiuti, in un sito oculatamente selezionato e
preparato, che prevede lo stoccaggio programmato e controllato per strati sovrapposti allo scopo di
facilitare la fermentazione della sostanza organica. Questo è molto diverso dal vecchio concetto di
discarica, con il quale si intendeva una grande buca nel terreno in cui i camion adibiti alla raccolta
dei rifiuti urbani scaricavano l’immondizia così come veniva raccolta dai cassonetti.
Per fortuna oggi si sta cercando di superare tutto ciò e di arrivare ad una discarica che sia una vera e
propria unità di trattamento dei rifiuti. La discarica controllata deve garantire il rispetto delle
esigenze igienico sanitarie della collettività; deve prevedere misure di contenimento del rischio di
inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, e del sottosuolo; deve il più possibile evitare il
degrado dell’ambiente e del paesaggio in cui sorge, rispettando al tempo stesso le esigenze di
pianificazione economica e territoriale dell’area.
Come si realizza una discarica controllata:
Innanzi tutto è fondamentale la scelta del sito su cui andare a realizzare la discarica; in questa fase
preliminare vengono condotti studi sulla geologia (caratteristiche del sottosuolo) e sull’idrogeologia
(andamento delle acque superficiali e sotterranee) della zona, si realizzano indagini di campo
(sondaggi geognostici, piezometri,...) al fine di verificare soprattutto la resistenza del terreno, che
sarà sottoposto ad un elevato carico dovuto al peso dei rifiuti, e la permeabilità del terreno stesso,
che dovrà essere molto bassa in modo che, eventuali perdite accidentali di reflui dal bacino della
discarica, non si infiltrino in profondità causando l’inquinamento della falda sotterranea.
Stabilita l’idoneità del sito ad ospitare la discarica controllata si procede con le operazioni di
scavo della vasca (a volte non è necessario scavare, come nel caso ad esempio di una vecchia
cava dismessa), scavo che normalmente si approfondisce di qualche metro (normalmente non
più di 10-15 m, per discariche più profonde vengono previsti sistemi che ne aumentino la
stabilità).
Sul fondo dello scavo viene realizzato uno strato impermeabile con argilla compatta, di
spessore non inferiore al metro, al di sopra del quale viene posta una membrana impermeabile in
polietilene ad alta densità e quindi uno strato di materiale drenante in cui vengono alloggiate le
tubazioni fessurate per la raccolta del percolato, cioè del liquido prodotto dalla infiltrazione
della pioggia nello strato di rifiuti.
In discarica controllata non dovrebbero essere conferiti i rifiuti indifferenziati, ma solo la
frazione residuale della raccolta differenziata, cioè quei materiali che non possono essere
riciclati né usati per la produzione di compost o della frazione organica stabilizzata (FOS).
I rifiuti vengono scaricati nell’area e stesi in strati di circa 50-70 cm, quindi compattati dal
ripetuto passaggio di un mezzo compattatore in modo da ridurne il volume. La coltivazione
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avviene per sovrapposizione di strati successivi fino al raggiungimento della quota e della
forma prevista.
Per evitare gli odori sgradevoli e la dispersione di materiale volatile, alla fine di ogni turno di
lavoro lo strato di rifiuti viene ricoperto con circa 20 cm di terra o di FOS.
Una volta esaurito il volume utile della discarica, si procede alla copertura definitiva dei rifiuti
attraverso una membrana impermeabile superiore (capping) che và a saldarsi con quella
inferiore. Al di sopra verrà posto uno strato di terreno vegetale per la piantumazione di specie
erbacee ed arbustive tipiche della zona, che forniranno un ambiente favorevole alla fauna,
rendendo la discarica poco riconoscibile.
A questo punto però, dopo 10-15 anni di coltivazione, la discarica non ha esaurito la sua vita,
infatti i processi di degradazione della frazione organica dei rifiuti ad opera dei batteri sono lenti
e si compiono in decine di anni. Tale degradazione avviene soprattutto in condizioni
anaerobiche, cioè in assenza di Ossigeno, e genera come prodotto un gas costituito
essenzialmente da metano ed anidride carbonica, il biogas.
Tale gas, oltre a essere causa di cattivi odori, di enorme inquinamento, può provocare anche
fenomeni esplosivi, esso viene quindi captato dalla discarica attraverso pozzi o trincee scavati
nei rifiuti ed avviato ad impianti appositi che lo usano per la produzione di energia elettrica.
La discarica controllata avrebbe dovuto evitare la dispersione incontrollata dei rifiuti,
concentrandoli e diminuendo le loro potenzialità inquinanti attraverso dispositivi e tecniche di
gestione che avrebbero dovuto mitigare gli aspetti di impatto ambientale. In realtà così non è
stato, avendo sino ad oggi svolto il solo compito di ricevere rifiuti. Per questo sono state
ricercate ed attuate valide alternative .
DESCRIZIONE GENERALE di un IMPIANTO per produzione di energia
elettrica e termica da CDR con PROCESSO di PIROLISI
GENERALITA’
La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili costituisce un’importante alternativa alle
usuali forme di produzione di energia elettrica. Attualmente, a seguito dell’applicazione dei
provvedimenti legislativi sul risparmio energetico e sulla riduzione dell’effetto serra, la produzione
di energia elettrica viene promossa , grazie ad un incentivo tariffario, quale forma di produzione di
energia da fonti rinnovabili.
PROCESSI USUALI DI UTILIZZO DELLE BIOMASSE E DEL CDR
Le due usuali forme di utilizzo delle biomasse per la produzione di energia sono generalmente la
combustione diretta o la gassificazione. Le due forme si distinguono per alcuni parametri e per la
diversa impiantistica richiesta, oltre che per un diverso criterio di protezione ambientale.
La gassificazione è un processo di combustione in difetto di ossigeno ma con presenza di fiamma
“fuoco” all'interno del processo
La pirolisi è un processo che si svolge in totale assenza di ossigeno, che gassifica la materia
organica carboniosa e/o con base idrogena presente nella biomassa e nei materiali organici in
genere, il materiale viene trattato in un apposito reattore in cui possono essere variati agevolmente
tutti i parametri. In altra parte dell’impianto avviene la combustione dei gas prodotti.
Contemporaneamente avviene la formazione di carbone che a sua volta può essere gassificato o
bruciato in altro apparecchio con altro processo conseguente al primo.
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PIROLISI DA CDR
Pirolisi o piroscissione indica un processo di decomposizione chimica generata esclusivamente
dall’intervento dell’energia termica. I processi di pirolisi furono fra le prime reazioni realizzate
dagli alchimisti e dai chimici. L’industria di oggi adotta su vasta scala processi di pirolisi nel settore
chimico e petrolchimico.
La pirolisi è una tecnologia di trattamento delle sostanze a prevalente matrice plastica ed a alto
contenuto calorico e sta ricevendo sempre maggiori attenzioni per le sue caratteristiche che, oltre a
favorire il recupero di materia e di energia, facilitano il controllo del processo.
In assenza di aria, quindi in ambiente riducente, la pirolisi provoca la decomposizione termochimica
della materia. Applicata al trattamento del CDR, la tecnologia della pirolisi offre vantaggi
significativi.
Il processo, per sua natura endotermico, opera la scissione delle molecole complesse che formano le
gomme, le plastiche, i componenti cellulosici e altri componenti chimici complessi, costituenti il
CDR, trasformandole in molecole strutturalmente più semplici.
Le variabili principali che governano la pirolisi, come del resto per gli altri processi chimici, sono la
temperatura, il tempo di residenza e la pressione.
Oggi, fra i nuovi sistemi di smaltimento a tecnologia complessa, la pirolisi si avvia ad essere
l’alternativa agli impianti di incenerimento.
Gli esperti del settore hanno infatti rivolto molte critiche agli inceneritori tradizionali contestando,
oltre alle difficoltà di conduzione e di funzionamento, la possibilità che prodotti altamente
inquinanti possano essere dispersi in atmosfera nonostante la presenza di costosi e monumentali
sistemi di abbattimento e depurazione fumi.
DESCRIZIONE DEL PROCESSO DI GASSIFICAZIONE PIROLITICA
Il processo di gassificazione pirolitica consiste nel privare il materiale di partenza delle sostanze
organiche in esso presenti con ottenimento di carbonio. Tale operazione è condotta in assenza di
aria ad una temperatura oscillante fra i 500 ed i 600 °C con tempi variabili a seconda della
pezzatura dei prodotti di partenza.
La reazione cosiddetta di pirolisi può essere sintetizzata con la seguente semplificazione
CH2 O = C + H2O
La reazione è esotermica in modo netto cioè sviluppa calore di per se stessa.Durante questa fase si
hanno emissioni di acqua e di una serie di prodotti da distillazione che potrebbero essere recuperati
con vantaggio su impianti di discreta potenzialità. Da questi, infatti si ottengono numerosi S.O.V.
(sostanze organiche volatili). Durante il processo, con una temperatura superiore ai 400 °C si ha una
forte produzione di metano, mentre sopra i 700 °C si ha formazione di idrogeno. Poichè si vuole
evitare quanto più possibile la formazione di idrogeno, la temperatura massima di carbonizzazione è
generalmente mantenuta al di sotto dei 600 °C.
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IMPIANTO DI CDR MEDIANTE PIROLISI
II processo si compone di una linea di trattamento del materiale ed una di depurazione fumi, avente lo
scopo di realizzare la pirolisi del CDR (Combustibile Derivato da Rifiuto) o di altro rifiuto e/o residuo
avente simili caratteristiche e potere calorifico paragonabile secondo le più moderne tecnologie.
L’impianto può trattare numerosi materiali contenenti carbonio come elencato nella seguente
tabella facente riferimento ai relativi codici CER:
Codice CER Rifiuto / Residuo
02 01 03 scarti vegetali
02 01 04 rifiuti di plastica
03 01 01 scarti di corteccia e sughero
03 01 05 segatura, trucioli, residui di taglio, legno, pannelli di truciolare e piallacci
03 03 01 corteccia
03 03 02 fecce
03 03 07 scarti della separazione meccanica nella produzione di polpa da rifiuti di carta e
cartone
03 03 10 scarti di fibre e fanghi contenenti fibre
04 02 21 rifiuti da fibre tessili grezze
04 02 22 rifiuti da fibre tessili lavorate
05 01 03 morchie da serbatoio
05 01 07 catrami
05 01 08 altri catrami
05 01 10 fanghi da trattamento effluenti
05 06 03 altri asfalti
07 02 99 rifiuti non specificati altrimenti
16 03 06 rifiuti organici
17 02 03 plastica
Codice CER Rifiuto / Residuo 17 03 01 miscele bituminose contenenti catrame di carbone
17 03 02 miscele bituminose 17 03 03 catrame di carbone e prodotti contenenti catrame
18 02 03 rifiuti della ricerca e diagnosi
19 12 04 plastica e gomma
19 12 10 rifiuti combustibili (CDR)
19 12 12 rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti
20 01 01 carta e cartone
20 01 08 rifiuti biodegradabili di cucine e mense
20 01 10 abbigliamento
20 01 11 prodotti tessili
20 01 38 legno
20 01 39 plastica
20 02 01 rifiuti biodegradabilii
20 03 01 rifiuti urbani non differenziatii
20 03 02 rifiuti di mercati
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N.d. farina animale (disidratata)
Visto l'elevato potere calorifico delle farine animali, il processo pirolitico viene considerato uno
dei metodi più innovativi che consente sia il recupero dell’elevato contenuto energetico sia la
soluzione al grave problema del loro smaltimento conseguente al divieto di nutrire gli animali con
prodotti derivati dalle farine stesse.
FASI DEL PROCESSO
L'impianto è costituito dalle seguenti fasi:
Caricamento.
Reattore di pirolisi.
Camera di combustione gas di pirolisi-vetrificazione.
Caldaia a recupero per produzione di vapore.
Unità di trattamento fumi (processo Solvay).
Controlli, impianto elettrico, quadro comandi.
Sistemi e dispositivi di raccolta.
Requisiti per evitare inquinamento da rumore.
Caricamento
E' costituito da un sistema di nastri per il trasporto del materiale fino alla quota dell'imbocco del
reattore di pirolisi. I nastri sono di tipo chiuso onde evitare contatti, dispersioni e dilavamenti con
eventi metereologici avversi, nonché per ridurre la dispersione delle polveri nell’ambiente di lavoro.
Il nastro, le cui dimensioni di massima sono metri 0,80 x 8,00 /10,00, viene comandato da un
inverter per la regolazione della velocità di trasporto.
Il materiale viene scaricato in una tramoggia, parte superiore di un cilindro, ove viene fatto scorrere
un pistone che con il suo moto alternativo assicura la traslazione e anche la compressione del
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materiale al fine di assicurare la tenuta del sistema. Il moto alternativo del pistone ed i tempi di
pausa sono regolati in modo da garantire la portata richiesta.
All'estremità del cilindro di alimentazione è inserita una vite senza fine per la rottura del blocco
compresso del rifiuto.
Reattore di pirolisi
E' costituito da un cilindro in acciaio refrattario in grado di sopportare temperature di 1.100 °C ed
ha dimensioni massime di mm D = 2.500 L = 10.000 con all'interno un sistema di coclee in grado di
attuare un rimescolamento efficace del materiale oltre che la traslazione dello stesso. La
velocità del sistema viene regolata automaticamente tramite un PLC seguendo l’andamento delle
temperature previste in fase di progetto. Il reattore viene percorso due volte dal rifiuto assicurando il
completo sviluppo del processo.La temperatura del processo è di 500 °C circa.L'intero reattore è
coibentato a mezzo di una camicia costituita da materiale refrattario ed isolante di spessore tale da
garantire una temperatura esterna di parete di 60 °C quando all'interno persiste una temperatura di
1.300 °C.Tutte le tenute degli organi rotanti sono realizzate con vapore e la pressione di esercizio
all'interno del reattore viene mantenuta circa 20 mm di colonna d’acqua inferiore a quella
atmosferica.
Camera di combustione – vetrificazione
E' la sede in cui vengono combusti parte dei gas di pirolisi ed ha una cubatura di circa 50 mc ed è
tale di assicurare un tempo di permanenza dei fumi di oltre 3 secondi alla temperatura di
combustione di 1.400 °C E' interamente realizzata in materiale refrattario e rivestita con materiale
isolante in modo che la temperatura esterna di parete non superi i 60 °C.
A questa è associato un forno rotativo, avente una cubatura di 25 mc con le stesse caratteristiche
della camera di combustione, ove viene realizzata la vetrificazione delle scorie che vengono estratte
per caduta e raccolte in una vasca a piscina; da qui estratte mediante nastro e raccolte in una vasca
drenante.
Caldaia a recupero
E' una caldaia a fascio tubiero con pluri-ricircolo dei fumi provenienti dalla combustione dei gas di
pirolisi che sfrutta l'energia termica contenuta dagli stessi per la produzione di vapore surriscaldato.
Trattamento dei fumi
I fumi provenienti dalla combustione, dopo lo sfruttamento del loro contenuto energetico, utilizzato
per il riscaldamento del rifiuto alla temperatura di reazione del processo e per la successiva
produzione di vapore, vengono miscelati in appositi miscelatori alla temperatura di 220 – 250 °C
con bicarbonato di sodio e carbone attivo, la cui portata è regolata tramite PLC in base al pH dei
fumi, e quindi filtrati in filtri a manica autopulenti. Dopo tali operazioni i fumi vengono smaltiti in
atmosfera con valori limite, per ciascun agente inquinante, che rispondono pienamente ai limiti
presentati nella seguente tabella:
Contaminante Valori di emissione
impianto di pirolisi
Limite di emissione fissati
dalle norme
Polvere totale 3 mg/Nmc 10 mg/Nmc
Sostanze organiche in forma di gas e vapori
(COT)
3,5 mg/Nmc 10 mg/Nmc
Cloruro di idrogeno 2 mg/Nmc 10 mg/Nmc
Fluoruro di idrogeno 0,1 mg/Nmc 1 mg/Nmc
Biossido di zolfo 12 mg/Nmc 50 mg/Nmc
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Cd e Tl e loro composti < 0,01 mg/Nmc 0,05 mg/Nmc
Hg e suoi composti < 0,005 mg/Nmc 0,05 mg/Nmc
Sb + As + Pb + Cr + Co + Cu + Mn + Ni + V
+ Sn
< 0,05 mg/Nmc 0,5 mg/Nmc
CO (come valore medio giornaliero) < 4 mg/Nmc 50 mg/Nmc
NOx < 16 mg/Nmc 200 mg/Nmc
Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) (come
valore medio su 8 ore)
< 0,001 mg/Nmc 0,01 mg/Nmc
PCDD + PCDF < 0,01 ng/Nmc 0,1 ng/Nmc
Controlli, impianto elettrico e quadro comandi
Ciascuna fase viene controllata mediante trasduttori con segnale proporzionale e dotati di comandi
di retroazione con transitorio trascurabile in modo da gestire in automatico le varie fasi del processo
mediante un terminale a video.
La fase di caricamento, che è la responsabile della quantità di rifiuto, viene controllata e regolata in
base alla temperatura di processo ed alla qualità dei fumi in uscita.
La velocità di rotazione del reattore di pirolisi, e quindi i tempi di permanenza del materiale, è
regolata dalla temperatura di processo.
L'aria di combustione nelle caldaie viene regolata da un analizzatore in continuo di CO e di
ossigeno, la cui presenza può inibire l'intero processo se l'anomalia perdura per oltre 5 sec, oltre
che dalla temperatura raggiunta in caldaia.
La produzione di vapore viene controllata da pressostati e termocoppie che controllano temperatura
e pressione del vapore agendo sui dispositivi di sicurezza del sistema.
Un analizzatore in continuo dei fumi per il controllo dei microinquinanti regola la quantità di
bicarbonato e carbone attivo ed è in grado di inibire l'intero sistema qualora l'anomalia persista per
un tempo superiore ai 10 sec.
Per ciascuna fase sono previsti apparecchi di misura in modo da controllare in tempo reale le
quantità in gioco.
Dispositivi di sicurezza
In caso di anomalia delle camere di combustione i gas di pirolisi sono convogliati in due torce e
combusti.Tutte le procedure di accensione e di spegnimento vengono realizzate in presenza di
vapore al fine di prevenire indesiderati scoppiettii.
Sistemi e dispositivi di raccolta
I sottoprodotti del processo sono rappresentati dalle scorie della vetrifìcazione, dal particolato
raccolto nel filtro a maniche e dall'eventuale ulteriore polvere raccolta durante la fase di lavaggio e
neutralizzazione.
Il vetrificato, viene scaricato in continuo dal vetrificatore in una vasca metallica contenente acqua in
modo da consentire un rapido raffreddamento ed estratto con un nastro a letto forato onde
consentire il rapido deflusso dell'acqua e successivamente scaricato in apposito container.
Il particolato viene estratto dal filtro a maniche per mezzo di una coclea ed inviato con sistema
pneumatico alla tramoggia di alimentazione del vetrificatore e miscelato con le scorie della pirolisi
destinate a vetrificazione.
Per quanto riguarda infine le polveri raccolte nella vasca polmone di lavaggio e neutralizzazione,
vengono estratte con sistema idropneumatico ed inviate anch'esse in forma umida al vetrificatore.
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L’estrazione verrà fatta settimanalmente ed il trasporto alla tramoggia del vetrificatore verrà
eseguito manualmente.
Requisiti per evitare l’inquinamento da rumore
Le fonti di rumore nell'impianto sono individuabili nelle elettroventole per la fornitura dell'aria di
combustione e di regolazione oltre che nelle elettroventole destinate al trasporto pneumatico.
Per ridurre l'inquinamento da rumore le elettroventole sono fornite di box ad alto coefficiente di
assorbimento acustico.
DESCRIZIONE DEL PROCESSO
Il materiale viene sollevato tramite una coclea in collegamento con la tramoggia di alimentazione di
uno spintore idraulico che ha lo scopo di trasferire il materiale fino alla bocca del reattore e
nello stesso tempo comprimere lo stesso in modo da realizzare un tappo tale da non consentire
transiti di aria dall'esterno e contemporaneamente gas dall'interno del reattore.
L'accesso della bocca del reattore è munito di una vite di Archimede per la rottura di eventuali ponti
e di una rotocella a camere a tenuta.
All'interno del reattore sono disposte tre coclee, di cui due a circa metà del diametro del reattore e la
terza sulla generatrice inferiore dello stesso.
La rotazione delle coclee è tale da far percorrere al materiale l'intera lunghezza del reattore
rispettivamente in un verso e successivamente in quello opposto. La rotazione delle coclee è di
mezzo giro al minuto e può essere regolata tramite inverter.
Il materiale traslato e contemporaneamente rimescolato acquista per irraggiamento l'energia
necessaria per la reazione nella prima fase del tragitto e, nella fase successiva, per l’ulteriore
contatto con la parete del reattore, aumenta la velocità di reazione.
Il processo viene realizzato lungo l'intero percorso con la produzione di gas di pirolisi costituiti
principalmente da idrocarburi ed una fase solida costituita preminentemente da carbone. A causa del
regime di pressioni instaurate nell'intero impianto i gas vengono convogliati, previo decantazione a
mezzo di ciclone, in parte in un bruciatore installato nel combustore, addizionati con la necessaria
aria di combustione e bruciati e in parte in un forno rotativo unitamente alle scorie ad elevate
temperature.
Il combustore è dotato di ulteriori tre bruciatori che, oltre all'avviamento dell’impianto, servono
anche per garantire il rispetto delle temperature di progetto in ogni condizione di funzionamento
dell’impianto. Il potere calorifico dei gas è tale da garantire all'interno una temperatura superiore ai
1.500 °C e solo motivi di instabilità del refrattario che la temperatura all'interno viene limitata a
1.400 °C.
Le scorie solide del processo di pirolisi vengono sospinte dalla terza coclea fino ad un orificio
comunicante, tramite valvola stellare, con una coclea di sollevamento che li trasferisce all'interno di
un forno rotativo, ove per la presenza dell'aria di combustione e dell'elevata temperatura bruciano e
vetrificano la parte incombustibile che viene scaricata in un serbatoio di acqua e da qui estratta da
una coclea.
La vetrificazione delle scorie è tale da consentire un rilascio di metalli in acqua acida inferiore allo
standard europeo e pertanto il prodotto è da considerarsi a tutti gli effetti un materiale inerte.
I fumi, generati dal combustore del gas di pirolisi e dalla camera di vetrificazione delle scorie, si
trasferiscono, per il regime delle pressioni interne esistenti nell’impianto, fornendo l'energia
necessaria per il sostentamento del processo. Poiché l'energia posseduta è di gran lunga superiore a
quella richiesta dal processo, l'esubero viene utilizzato per la produzione di vapore.
All'uscita dall’impianto di produzione vapore, i fumi possiedono ancora una energia sfruttabile per
un preriscaldamento dell'acqua di alimentazione del produttore di vapore.
Una volta svolto il loro compito energetico, i fumi vengono depurati mediante miscelazione, con
bicarbonato di sodio e carbone attivo, e successivo passaggio in filtri a maniche autopulenti
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(processo Solvay). Il particolato risultante dal trattamento degli effluenti gassosi viene anch’esso
inviato al forno rotante ed inertizzato insieme alle altre scorie del processo.
Il processo di pirolisi, quindi, trasforma il rifiuto in due fasi, una solida ed una gassosa, consentendo
una combustione della fase gassosa gestibile più facilmente e con produzione di fumi di gran lunga
inferiori ad altri processi alternativi quali l’inceneritore.
La fase solida utilizzando parte dei gas prodotti viene resa inerte mediante un processo vetrificazione
recuperando nel contempo la maggior parte del potere energetico contenuto nel carbone
componente principale della fase solida.
Il processo è molto flessibile e facilmente controllabile lungo tutte le sue fasi. I rendimenti ottenibili
superano il 70%.
33
CONFRONTO CON GLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO
34
Il procedimento di pirolisi sviluppato si pone in netta competizione con la tecnologia di
termodistruzione dei rifiuti (incenerimento).
L’incenerimento dei rifiuti avviene in un apposito forno, generalmente del tipo a griglia mobile,
appositamente progettato per bruciare il particolare “combustibile” caratterizzato da basso potere
calorifico e da elevata disomogeneità qualitativa e dimensionale. La combustione diretta dei rifiuti
presenta indubbiamente una serie di vantaggi, tuttavia, nel confronto col procedimento di pirolisi ne
risultano evidenti tutti i limiti:
TECNOLOGIA DI PIROLISI TECNOLOGIA DI INCENERIMENTO
Minimo impatto ambientale ed elevata
affidabilità di esercizio.
Dubbia compatibilità ambientale, in particolare
in relazione alle emissioni di micro-inquinanti, e
minore affidabilità in relazione alle
caratteristiche disomogenee del rifiuto.
L’operazione di depurazione della corrente
gassosa è estremamente semplice in quanto il
flusso di gas di pirolisi, prodotto in ambiente
riducente, e non ancora soggetto a combustione,
è caratterizzato da molecole strutturalmente
semplici ed è assolutamente privo di quei
composti organici clorurati che, ad esempio,
possono fungere da precursori alla formazione di
diossine. La distillazione in assenza di aria
trasforma gli alogeni e lo zolfo, principali
responsabili del macroinquinamento, in composti
acidi idrogenati che vengono facilmente abbattuti
ed allontanati dalla corrente gassosa prima della
sua combustione. Il ciclo termodinamico della
pirolisi evita, in ogni punto dell’impianto, la
presenza contemporanea di quelle condizioni che
portano alla formazione di diossine e furani.
Le complicazioni, sia al livello di progettazione
che di gestione dell’impianto, che sorgono per il
fatto di operare con un flusso di materiale
disomogeneo in condizioni termodinamiche
difficilmente controllabili quali, alte temperature,
ambiente ossidante, presenza di vapor d’acqua,
rendono arduo controllare la formazione di
composti organici alogenati e fanno sorgere
dubbi circa l’affidabilità del sistema nei confronti
dei microinquinanti organico-clorurati.
In tali condizioni risulta difficile contrastare i
fenomeni di formazione di diossine e furani,
composti che poi risulta anche dispendioso
rimuovere dai fumi a causa dell’elevato volume
dei gas prodotti dalla combustione.
La possibilità di trattare la corrente gassosa
prima della sua combustione, in quantità
relativamente limitata poiché non ancora diluita
dall’aria comburente rende notevolmente più
semplice ed economico la rimozione di composti
indesiderati. La pirolisi dei rifiuti produce un
quantitativo di gas circa 10 volte inferiore a
quello prodotto con le usuali tecnologie di
combustione diretta.
Trattamento effluenti gassosi a valle della
combustione e quindi su un flusso
quantitativamente importante rende molto
costoso il processo di depurazione dei fumi. Per
ottenere una combustione il più possibile
completa dei rifiuti, si opera infatti con un
eccesso d’aria pari a 1,5 – 2,5 volte la quantità
strettamente necessaria.
35
Il processo di pirolisi, per sua natura
endotermico, viene condotto in condizioni
riducenti a temperature relativamente basse,
prossime ai 500 °C. Questo facilita il controllo
della temperatura e di tutto il processo, riduce
drasticamente il quantitativo di effluenti gassosi
prodotti ed evita la formazione di prodotti tossici
indesiderati.
I processi d’incenerimento sono processi
esotermici ossidativi, caratterizzati da
temperature superiori a 1.000 °C. La regolazione
della temperatura del processo di combustione è
di difficile gestione in quanto influenzato
principalmente dalla variazione della portata dei
rifiuti in alimentazione (elevata inerzia del
sistema).
Nessuna produzione di reflui liquidi che
necessitano poi di una propria sezione di
depurazione e trattamento acque con gli ovvi
benefici economici-ambientali del caso.
Necessità di un’importante sezione per il
trattamento dei reflui liquidi, con tutte le
problematiche economiche ed ambientali
connesse.
La bassa temperatura a cui si svolge il processo
di pirolisi e la pratica assenza di elevate
turbolenze all’interno del reattore riduce
notevolmente il trascinamento di polveri e
particolato nel gas di pirolisi.
A causa del movimento dei rifiuti sulla griglia e
delle notevoli portate d’aria necessarie alla
combustione, si ha una notevole presenza di
polveri e particolato nei fumi con i conseguenti
costi di rimozione prima dell’emissione in
atmosfera.
Poiché il processo di pirolisi ha, come prodotto
principale, un combustibile in forma gassosa
costituito dal gas di pirolisi, risulta poi agevole la
gestione del successivo processo di combustione
e con recupero energetico.
La combustione diretta di un prodotto eterogeneo
come il rifiuto, con formazione di svariati
prodotti caratterizzati da molecole complesse e
presenza di incombusti rende difficoltoso una
perfetta gestione del processo di combustione.
La tecnologia della pirolisi costituisce un sistema
di smaltimento pressochè universale, potendo
essere applicato ad un ampia gamma di rifiuti.
I forni di incenerimento a griglia possono
risultare sensibili alle variazioni di potere
calorifico del materiale, in particolare rifiuti
caratterizzati da un alto potere calorifico
(pneumatici usati) possono danneggiare le
griglie.
Come residuo solido, il processo di pirolisi,
produce unicamente scorie vetrificate che
risultano totalmente inerti per quanto riguarda il
rilascio di elementi tossici nell’ambiente. Anche
le polveri risultanti dal processo di depurazione
dei fumi di combustione prima del loro rilascio
in atmosfera vengono ricondotti dentro
l’impianto e vetrificate.
Gli impianti di incenerimento producono un
elevato quantitativo di scorie, fino al 30% del
rifiuto immesso, di cui risulta poi problematico
lo smaltimento.
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I grossi difetti dell’incenerimento, che possono essere riassunti in:
Incompleta combustione dei residui solidi
Grossa produzione di scorie solide tossiche
Grossi volumi di fumi da trattare
Emissioni pericolose in atmosfera
Perdita di valore delle componenti inorganiche del rifiuto
In sintesi il pirolitico è’ un processo applicabile a diverse tipologie di rifiuto, in grado di evitare i
danni ambientali e contenere i costi di smaltimento ed il valore dell’investimento.
CONFRONTO CON GLI IMPIANTI DI GASSIFICAZIONE
Il riscaldamento di materiale organico in assenza d’aria porta invariabilmente alla sua degradazione,
con produzione di vapori e gas ed eventualmente con la formazione di una massa solida residuale a
base di carbonio.
Poiché in tale processo il potere calorifico del materiale originario non viene praticamente sfruttato,
esso si ritrova ridistribuito nei gas e nei solidi prodotti.
Se tale trattamento viene effettuato senza apporto di reagenti, il processo prende il nome di pirolisi;
altrimenti di massificazione se si inietta vapor d’acqua, con ciò innescando una complessa sequenza
di reazioni chimiche che aumentano lo sviluppo di gas: si tratta di un processo che ha
intrinsecamente più alte necessità di assorbimento energetico e di conseguenza esso viene effettuato
simultaneamente ad un processo di combustione parziale del materiale per compensare il deficit
energetico che la gassificazione introduce.
Proprio questa necessità costituisce l’elemento di debolezza nell’applicazione della gassificazione,
in quanto o riduce alla fine tale processo ad un normale processo di incenerimento, con tutte le
pesanti conseguenze sul successivo intervento di trattamento dei fumi di combustione (e poco
importa che essa sia effettuata in un certo numero di stadi successivi), oppure impone di effettuare
un trattamento intermedio dei gas prodotti, previo un loro brusco raffreddamento fino a temperature
prossime a quelle ambiente, con un notevole spreco di energia.
37
Capitolo 2
38
INTRODUZIONE
Per risparmio energetico, in senso stretto, si intende il risparmio di fonti energetiche altrimenti
utilizzabili, quindi, in concreto, si intende il risparmio di petrolio, metano, combustibili solidi e
materiali fissili. Questo perché in massima parte le fonti energetiche rinnovabili non si possono
risparmiare, ad es. non si può risparmiare l' energia solare incidente al suolo o il vento che
soffia, come si suol dire: acqua passata non macina più……
Le stesse fonti rinnovabili spesso possono essere un mezzo di risparmio energetico: il loro utilizzo
può ridurre il consumo di fonti energetiche altrimenti utilizzabili. Quindi il risparmio energetico è
una forma di energia rinnovabile, e viceversa.
Il risparmio energetico è un fine , mentre l' utilizzo razionale dell' energia (e quindi
l'applicazione delle tecnologie efficienti) è il mezzo o il metodo: è ciò che permette, nella pratica,
di ridurre il consumo di risorse energetiche altrimenti utilizzabili.
Esempio di utilizzo razionale dell'energia: investendo energia per coibentare meglio la casa si
ottiene un minor consumo di combustibili, (risparmio energetico passivo).
Altro esempio: investendo energia per produrre e installare sistemi di riscaldamento e/o per
generazione di energia elettrica tramite sistemi FER ( risparmio energetico attivo) si avrà ancora
una riduzione del consumo di combustibili.
Ciò che determina la scelta di metodi per il risparmio energetico attivo o passivo dovrebbe
essere l'EROEI ( acronimo inglese per ritorno energetico sull'investimento energetico) e il ROI
(ritorno economico dell'investimento). L’obiettivo è la riduzione dei consumi energetici
mantenendo stessi comfort e servizi, spesso con risparmio anche economico.
Per favorire il risparmio energetico ottenibile tramite l'utilizzo razionale dell'energia e delle
tecnologie efficienti possono essere stabiliti, a norma di legge, degli standard minimi di
efficienza energetica, con incentivi per chi adotta misure più efficienti della norma, incentivi non
necessariamente economici. Anche il risparmio di materie prime contribuisce al fine del risparmio
energetico, in quanto per ottenerle serve comunque l'impiego di energia, quindi il ricliclaggio dei
rifiuti, la riduzione degli stessi e il riutilizzo di prodotti concorrono all'obiettivo del risparmio
energetico, la Comunità Europea sta discutendo standard industriali-produttivi per
ottimizzare l'impatto economico ed ambientale nel ciclo di vita dei prodotti (LCA)
Nella accezione più comune, invece, per risparmio energetico si intende il minor utilizzo
dell'energia a nostra disposizione nelle azioni di tutti i giorni. Si compie attraverso
comportamenti virtuosi ed intelligenti, ad es. spegnendo le luci quando non servono, utilizzando
veicoli di bassa cilindrata o andando in bicicletta laddove possibile o a piedi, in questo senso non c'è
limite al risparmio energetico ma è una forma che riguarda più la sensibilità, l'etica e l'intelligenza
individuale. In questo comportamento virtuoso ci può essere rinuncia a comfort e/o servizi, ma non
necessariamente: comportamenti intelligenti permettono un considerevole risparmio energetico
senza particolari rinunce, è necessario conoscere la materia e saper dosare sobrietà, intelligenza ed
equilibrio. In sintesi il risparmio energetico ottenibile dai comportamenti quotidiani si può definire
come risparmio energetico intelligente, in quanto scaturisce da conoscenza e cultura individuale.
Per favorire il "risparmio energetico intelligente" servono azioni di informazione e
sensibilizzazione, quindi serve una promozione culturale poiché i comportamenti quotidiani non
possono essere imposti per legge, né sperare troppo che possano essere adottati spontaneamente su
larga scala e nel breve periodo, anche se ciò è auspicabile e sicuramente sempre più vantaggioso
sotto l'aspetto sia economico che ambientale.
39
L’EFFICIENZA ENERGETICA
Il Novecento è stato un secolo caratterizzato da una crescita senza precedenti della popolazione
umana, consentita dallo sviluppo industriale ed agricolo e dal ruolo che in esso hanno avuto i
combustibili fossili. Tale crescita è stata inevitabilmente accompagnata da emissioni di effluenti di
vario genere, interagenti con l'ecosistema terrestre, e dalla nascita di iniziative volte a contenere gli
effetti negativi sull'ambiente.
Fondamentalmente è possibile intervenire a tre livelli per razionalizzare ed ottimizzare la filiera
energetica e ridurne conseguentemente l'impatto ambientale:
all'atto del prelievo (pozzi petroliferi, miniere, dighe, aeromotori, etc);
in fase di conversione in vettore energetico (le fonti primarie, come i combustibili e l'energia
solare, vanno trasformate in elettricità o in combustibili raffinati - come l'idrogeno - per
consentirne il trasporto all'utenza e l'utilizzo);
al momento dell'utilizzazione (mezzi di trasporto, elettrodomestici, riscaldamento, processi
industriali, etc).
Le prime due possibilità trovano spesso spazio nelle cronache in quanto riguardano interventi
importanti, con ricadute evidenti sul territorio, sia positive che negative, nonché problematiche
autorizzative talvolta insormontabili e ingenti movimentazioni di capitale (si pensi ad una diga, un
metanodotto o una centrale termoelettrica). Anche i quantitativi energetici connessi sono rilevanti.
Una moderna centrale elettrica a ciclo combinato da 300 MW presenta consumi annui
di gas naturale nell'ordine dei 400-500 milioni di m3, un volume corrispondente a
quello di un grattacielo con una base di 200 m per 200 m ed un'altezza di 1 km. Per tale motivo
interventi di miglioramento dell'efficienza nell'ambito di queste due fasi implicano riduzioni
consistenti degli sprechi energetici.
Da un punto di vista dell'inquinamento atmosferico occorre distinguere fra sostanze responsabili
dell'effetto serra (come il biossido di carbonio, il vapore acqueo o il metano incombusto), che
possono interagire con il clima globale variandone la temperatura ed alterandone i flussi
atmosferici, ed inquinanti veri e propri (come il monossido di carbonio, l'ozono troposferico, il
particolato) che producono effetti dannosi direttamente sull'uomo ed operanti a livello locale.
Alcuni prodotti della combustione rientrano nella prima categoria, altri nella seconda, altri ancora in
entrambe. Per determinate emissioni è possibile ricorrere a sistemi di filtraggio ed abbattimento,
utili per prevenire l'immissione nell'ambiente di alcune sostanze, come l'acido solforico o i composti
organici volatili, mediante la loro trasformazione in composti stabili e non dannosi per l'ambiente.
Gas come il biossido di carbonio sono però inevitabili, essendo il prodotto base della combustione
della molecola del carbonio, presente in tutti i combustibili fossili in quantità decrescente passando
dal carbone al gas naturale. L'unica possibilità attualmente allo studio consiste nel ricorso a tecniche
di confinamento nel sottosuolo. Per ridurre l'impatto degli inquinanti è pertanto opportuno seguire
queste due strade: ricorrere alle fonti rinnovabili di energia, ottimizzare i consumi di energia presso
l'utenza, intervenendo all'atto dell'utilizzazione.
Le possibilità di azione sono innumerevoli e riguardano tutti i settori, dalla grande industria alle
residenze, e tutti i dispositivi e le macchine, dal motore delle auto agli impianti di climatizzazione,
dal processo industriale alla lampadina fluorescente compatta. Mediante il ricorso a strategie di
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demand side management (DSM: si tratta di attivare iniziative per la gestione della domanda di
energia, a livello degli usi finali) si evita la necessità di costruire nuove centrali e reti di
trasmissione, si riduce la richiesta di energia, e quindi la spesa per i consumatori, si contiene la
dipendenza dall'estero per l'approvigionamento delle fonti fossili, e si dà sviluppo all'industria del
settore ed al suo indotto , caratterizzata ancora da una buona presenza dell'industria nazionale.
Perché è importantissimo fare risparmio energetico:
La riduzione dei consumi energetici nel settore industriale, nei trasporti e nelle nostre case
rappresenta uno dei passi fondamentali nella lotta all’inquinamento. Nel dicembre del 1997 a
KIOTO (Giappone) si è svolto un vertice mondiale sul cambiamento climatico, a cui hanno
partecipato oltre 160 nazioni; è stato firmato un documento d’intesa che richiede una riduzione
entro il 2008-2012 del 5% dei gas serra sotto i livelli del 1990 di tutti i paesi industrializzati. Tra i
Paesi industrializzati, responsabili di gran parte delle emissioni che minacciano il clima ed ai quali
tocca perciò lo sforzo maggiore per una loro riduzione, solo l'Unione europea ha in parte tenuto
fede ai suoi impegni; quanto all'Italia, malgrado alcuni positivi passi in avanti - siamo stati uno dei
primi Paesi ad adottare una "energy-carbon tax", imposta che grava sugli usi energetici a maggiore
impatto climalterante -, l'obiettivo di ridurre del 6,5% le emissioni di CO2 entro il 2010 resta
lontanissimo.
LL’’EEFFFFEETTTTOO SSEERRRRAA
Le radiazioni provenienti dal Sole attraversano l’atmosfera vengono assorbite dalla Terra, che ne
riflette, tuttavia, gran parte sotto forma di raggi infrarossi. Intrappolati da alcuni gas presenti
nell’atmosfera (anidride carbonica, metano, ossidi di azoto, idrocarburi alogenati e ozono), questi
raggi infrarossi non riescono ad uscire dall’atmosfera terrestre, provocando un innalzamento della
temperatura.
Negli ultimi anni questo fenomeno naturale è andato progressivamente intensificandosi a causa
dell’inquinamento atmosferico, determinando un aumento della temperatura media del pianeta.
Il contributo più consistente all'effetto serra artificiale viene dalla liberazione di gas per la
combustione dei fossili (carbone, petrolio,...) e dall’abbattimento delle foreste, fondamentali per la
loro funzione di assorbire anidride carbonica; il principale colpevole è quindi l’anidride carbonica
a cui si uniscono altri gas quali il metano , i clorofluorocarburi (CFC) responsabili anche della
distruzione della fascia di ozono, l'ossido di azoto dovuto alla concimazione artificiale oltre alla
combustione dei combustibili fossili.
Alcuni di questi gas hanno una vita media molto lunga. L'anidride carbonica per esempio rimane
100 anni nell'atmosfera senza distruggersi. Gli effetti sono di conseguenza dilazionati nel tempo e
rendono la situazione ancora più grave. L'impiego dei combustibili fossili contribuisce per circa
l'80% all'aumento del livello di anidride carbonica nell'atmosfera, mentre il 20% è legato alla
deforestazione con i continui disboscamenti ad opera dell'uomo.
Se non facciamo nulla per invertire la rotta e ridurre le emissioni di gas nocivi in atmosfera tutta
l’umanità sarà presto in grave pericolo e gli scenari apocalittici di tanti film di fantascienza
potrebbero trasformarsi nella terribile realtà. Intere regioni sarebbero sommerse dagli oceani o
Per consumare meno energia, risparmiando sulla bolletta;
Per contribuire a ridurre sensibilmente i consumi di combustibile da fonti esauribili;
Per proteggere l’ambiente e contribuire alla riduzione dell’inquinamento.
Atmosfera
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diventerebbero immensi deserti, molte popolazioni sarebbero costrette a spostarsi per trovare
condizioni di vita sopportabili, si creerebbero così tensioni e guerre tra i popoli: alla catastrofe
ecologica si assocerebbe una catastrofe sociale.
L’enorme quantità di anidride carbonica prodotta proviene dal petrolio (83%), dal carbone (8%) e
dal gas naturale (9% circa). In Europa, i combustibili fossili coprono più dell'80 % del fabbisogno
di energia.
II CCAAMMBBIIAAMMEENNTTII CCLLIIMMAATTIICCII
Il 1998 è stato l'anno più caldo dal 1860 con un aumento della temperatura media di 0,6 °C negli
ultimi cento anni. Ormai non c'è più alcun dubbio sulla correlazione tra questo aumento della
temperatura e le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera, aumentate del 30% dall'inizio
della rivoluzione industriale. Secondo gli ultimi studi le emissioni di gas serra prodotti da attività
umane stanno crescendo ad un ritmo annuo compreso tra lo 0,5% e l'1%, pari a circa 23 miliardi di
tonnellate annue di anidride carbonica, e le attività umane sono le maggiori responsabili
dell'aumento della temperatura degli ultimi cinquanta anni. Con questo andamento la temperatura
media aumenterà entro il 2100 tra 1,4 e 5,8 gradi rispetto ai livelli attuali.
Lo scioglimento dei ghiacciai è la prima conseguenza dell'aumento della temperatura media del
Pianeta, che determinerà l'aumento del livello dei mari, con effetti a catena: il livello dei mari
aumenterà di 5 millimetri all'anno, determinando l'aumento di fenomeni di piene fluviali, di
precipitazioni e alluvioni, riduzione della disponibilità di acqua dolce, erosione costiera accelerata,
montagne senza neve, con un possibile incremento di epidemie ai Tropici. Parte di questi effetti
sono già visibili. L'altezza delle onde marine dell'Oceano Atlantico sulle coste è aumentata di circa
un metro negli ultimi trenta anni e il numero dei giorni di mare in tempesta tra gli anni '70 e '80 è
raddoppiato fino ad arrivare a 14 al mese. I ghiacci del mare artico si sono ridotti tra il 10 e il 15%,
mentre quelli dell'Antartico si sono ritirati verso il sud di 2,8 gradi di latitudine a partire dalla metà
degli anni '50.
Il futuro imminente quindi vedrà aumentare il rischio alluvioni in alcune aree mentre diminuiranno
le piogge in altre destinate a diventare semi-desertiche.
Anche per il nostro Paese si osservano già attualmente i primi effetti dell'aumento della
temperature, che per l'Italia è di 0,7°C negli ultimi 100 anni. Così anche i ghiacciai delle Alpi
nell'ultimo secolo la loro estensione in Italia è diminuita di quasi la metà: dai circa 1.000 chilometri
quadrati della fine del secolo ai 500 di oggi. Una delle dimostrazioni più evidenti è il caso di Forni
in Valtellina, il più grande ghiacciaio italiano, il cui fronte è arretrato di 2 Km, perdendo il 15%
della sua superficie, negli ultimi cento anni. Le possibili conseguenze non riguardano solo la perdita
di paesaggio, ma anche aumento di rischio frane, slavine e dissesti geologici, nonché una notevole
diminuzione della disponibilità della risorsa idrica.
Negli ultimi 50 anni la quantità di pioggia annua media è diminuita del 10%, ma tende a
concentrarsi in un minor numero di giorni, con eventi più intensi di carattere alluvionale; e
parimenti sono diminuite anche le precipitazioni nevose a tutte le quote. Per i grandi centri urbani
gli aumenti della temperatura media annua sono stati più marcati, 1-2°C, con un raddoppio di eventi
di onde di calore, temuti fenomeni meteorologici estivi che fanno registrare innalzamenti bruschi
della temperatura anche di 7/15°C, con pesanti effetti sulla salute della popolazione più debole.
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Quale sarà il clima dell’Italia tra 50 anni?
Secondo uno studio dell'Enea e dell'Ipcc nel 2050 la temperatura media sarà più elevata di circa
3°C, con un aumento più accentuato al Nord, con un incremento della piovosità invernale del 10%
nelle regioni settentrionali e un calo del 30% di quella estiva nel Sud. I ghiacciai si ridurranno
ulteriormente del 20-30%. Il livello del Mediterranneo aumenterà di 20 centimetri: questo
provocherà a Venezia fenomeni di acqua alta superiori al metro tra gli 80 e i 115 giorni all'anno
(oggi sono appena 7). A queste condizioni i centri abitati di Venezia, Chioggia e delle isole minori
rischiano un lento ed inesorabile allagamento. Ma a rischio non è solo Venezia: attorno al 2050
saranno a rischio inondandazione 4.500 chilometri quadrati di aree costiere. Le conseguenze
saranno pesanti, con danni che rischiano di essere di migliaia di miliardi.
E’ ormai urgentissimo che tutti i Paesi diano inizio a politiche di risparmio energetico e di
promozione delle energie rinnovabili.
Le possibilità di risparmiare energia, anche in casa, sono davvero tante e alla portata di tutti, è
sufficiente imparare a fare un po’ di attenzione: ridurre i consumi irrazionali fin da oggi significa
pensare al futuro!
RISPARMIO ENERGETICO IN CASA
lo realizziamo attraverso:
1. interventi sulla nostra casa
2. il riscaldamento
3. l’illuminazione
4. gli elettrodomestici
Le nostre case sprecano quotidianamente molta energia e le nostre bollette continuano ad
aumentare: impariamo il risparmio energetico!
1. Per risparmiare tanto combustibile ogni anno dobbiamo intervenire sulla nostra CASA:
ridurre le dispersioni di calore dalle pareti e dal tetto attraverso opportuni sistemi di
isolamento ;
limitare le fughe di aria calda dalle finestre con doppi vetri, guarnizioni,..;
abbassare la temperatura degli ambienti non utilizzati (garage, cantine, solai);
sfruttare al meglio l’energia del combustibile regolando bene l’impianto di riscaldamento.
Tutto ciò significa spendere denaro, ma questo è solo un investimento per un risparmio sulla nostra
bolletta e per aiutare l’ambiente!
2. Il RISCALDAMENTO è, dopo il traffico, la maggiore causa dell’inquinamento delle nostre
città! Impariamo qualche semplice accorgimento per risparmiare energia:
manteniamo la caldaia sempre pulita per farla funzionare al meglio;
controlliamo la qualità e la temperatura con cui fuoriescono i fumi dal cammino: sapremo
“come sta” la nostra caldaia e se ha bisogno di manutenzione;
non mettiamo copritermosifoni o tende pesanti davanti ai radiatori: ostacoleremmo la
circolazione dell’aria calda da essi prodotta;
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installiamo su ogni radiatore valvole termostatiche che regolano automaticamente l’afflusso
di acqua calda in base alla temperatura dell’ambiente da riscaldare;
periodicamente facciamo uscire l’aria dai radiatori, essa ne impedisce il corretto e omogeneo
riscaldamento;
avvolgiamo con materiale isolante le tubature non inserite nei muri, soprattutto se passano in
locali come cantine o garage.
Due fra gli interrogativi più ricorrenti della civiltà odierna trovano risposte esaurienti nell'
ENERGIA GEOTERMICA, a cui provvede semplicemente una legge della Natura.
Il terreno infatti contiene una inesauribile sorgente di calore: la temperatura, man mano che si scende sotto terra, aumenta grazie all'energia geotermica che dal nucleo terrestre si dirige verso la
superficie; il terreno inoltre assorbe quasi la metà dell'energia che riceve dal Sole.
Si tratta di una fonte di energia INESAURIBILE, costantemente disponibile e soprattutto
RINNOVABILE
Generalmente siamo abituati a pensare alla GEOTERMIA in termini di vapore da utilizzare in
centrali termoelettriche, come per esempio a Larderello, oppure come acque termali
per usi diretti volti alla climatizzazione; tuttavia è evidente che può essere considerata una risorsa
del genere anche il "terreno" di casa nostra.
A pochi metri di profondità dalla superficie terrestre il terreno mantiene una temperatura quasi
costante per tutto l'anno, e questo ci permette di ESTRARRE CALORE d'inverno per riscaldare un
ambiente, e di CEDERE CALORE durante l'estate per rinfrescare lo stesso ambiente.
Tale scambio di calore viene realizzato con POMPE di CALORE ABBINATE A SONDE
GEOTERMICHE che sfruttando questo principio permettono di riscaldare e rinfrescare le nostre
case con un unico impianto assicurando un alto grado di rendimento nell'intera stagione, e con un
fabbisogno di energia elettrica contenuto rispetto alle prestazioni. Non è neppure necessario alcun
apporto termico esterno (per esempio una caldaia a metano) per coprire le punte invernali.
Le pompe di calore per riscaldare le case esistono sul mercato dagli anni 50, proprio come
televisori, lavatrici e altri apparecchi domestici a noi famigliari, si tratta dunque di una TECNICA
AFFIDABILE ed AMPIAMENTE COLLAUDATA.
3. All’ILLUMINAZIONE sono dovute circa l’8-10% delle spese totali di energia elettrica di una
famiglia tipo di 4 persone. La soluzione non è certo tornare all’uso delle candele, ma semplicemente
scegliere tra i tanti diversi tipi di lampada ed imparare ad usarle bene:
dobbiamo scegliere il tipo di illuminazione più adatto in base all’ambiente da illuminare
(grandezza, presenza di finestre, colore di pareti e mobilio,...), alle attività che vi si svolgono
(studio, relax, sport,..), alla durata media dell’illuminazione (illuminazioni lunghe e
continuate, brevi e frequenti,...);
disporre le lampade in modo da ottimizzarne l’impiego senza che si creino zone d’ombra;
sostituire le lampade secondo la vita media indicata dal costruttore: lampade vecchie fanno
molta meno luce pur consumando la stessa energia;
le lampade più moderne (a scarica di gas) costano di più delle classiche lampade ad
incandescenza, ma durano molto di più e consumano molta meno energia;
preferiamo tinteggiature chiare per le pareti per aumentare la luminosità degli ambienti;
ad un unico lampadario centrale preferiamo più sorgenti luminose: accenderemo di volta in
volta solo le luci necessarie evitando inutili sprechi.
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Particolarmente interessante appare l’ illuminazione a led : la sostenibilità è una questione di
estrema importanza. Poiché un incasso downlighter a LED da 3 W equivale a un'alternativa alogena
da 20 W, si capisce come l''illuminazione allo stato solido convenga dal punto di vista ambientale.
Non solo crea un ambiente accattivante, ma contribuisce direttamente al programma di sostenibilità.
In più, gli impianti a LED non sono facilmente rimovibili, una vera grazia per i gestori di alberghi
ben consapevoli di come tutto ciò che è rimovibile possa essere rubato!
I LED sono già stati utilizzati nelle stanze degli ospiti, nei corridoi, nelle reception e nelle aree di
svago. Attualmente, l'illuminazione allo stato solido è più frequente negli ambienti che necessitano
di colore. Ma gli sviluppi della tecnologia a LED stanno continuamente migliorando l'efficienza
della luce bianca calda; nel giro di pochi anni, l'illuminazione allo stato solido rappresenterà
un'alternativa vantaggiosa alle lampade a fluorescenza e alogene nell'illuminazione generale.
4. Ormai gli ELETTRODOMESTICI sono diventati aiuti indispensabili nelle nostre case, non
potremmo più farne a meno, ma quanto ci costano in termini di energia e di impatto sull’ambiente?
Ecco qualche suggerimento per usarli nel modo più corretto :
- LAVATRICE: 80 famiglie italiane su 100 possiedono una lavatrice, ma lavare la nostra
biancheria non è tra le attività più economiche: il costo elevato è dovuto soprattutto al
riscaldamento dell’acqua di lavaggio (e solo in minima parte al motore) e all’uso eccessivo di
detersivo. Ecco qualche consiglio per un utilizzo adeguato di questo elettrodomestico:
collegare la lavatrice ad uno scaldabagno in modo da alimentarla direttamente con acqua
calda, ciò ridurrà i consumi di energia ed i tempi di lavaggio;
utilizzare la lavatrice solo a pieno carico oppure scegliere i lavaggi a “mezzo carico” anche
se mezzo carico non equivale alla metà di energia consumata;
scegliere la quantità di detersivo in base alla durezza dell’acqua (la durezza è la quantità di
alcuni sali disciolti in acqua) senza mai esagerare;
selezionare il programma in base ai tessuti da lavare evitando i cicli troppo lunghi e/o a
temperature troppo elevate (non sopra i 60°C);
evitare l’uso del prelavaggio, che raddoppia il consumo di acqua e aumenta di molto anche
quello di energia;
non utilizzare la lavatrice nelle ore di punta (9-12 e 14-16) e/o contemporaneamente alla
lavastoviglie;
pulire frequentemente il filtro, tenere sempre pulito il cassetto del detersivo ed utilizzare
prodotti contro il calcare;
per l’asciugatura usiamo il sole e non asciugatrici che consumano tantissima energia;
scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che
ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.
- LAVASTOVIGLIE : per questo elettrodomestico valgono molte delle considerazioni fatte per la
lavatrice, vediamole nel dettaglio:
disporre le stoviglie già ripulite dai residui più grossolani;
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non usare l’asciugatura con aria calda che consuma moltissima energia e aumenta i tempi di
lavaggio;
pulire frequentemente il filtro e tenere sempre pulito il cassetto del detersivo;
non utilizzare la lavastoviglie nelle ore di punta (9-12 e 14-16) e/o contemporaneamente alla
lavatrice;
utilizzare la lavastoviglie solo a pieno carico oppure scegliere i lavaggi a “mezzo carico”;
selezionare il programma in base alle stoviglie da lavare evitando i cicli troppo lunghi e/o a
temperature troppo elevate (non sopra i 60 °C);
scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che
ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.
- FRIGORIFERO e CONGELATORE. Si tratta di un altro di quegli elettrodomestici
indispensabili nelle nostre cucine, che come gli altri è importante saper usare bene, vediamo
qualche suggerimento:
posizionare il frigorifero nel punto più fresco della cucina e il congelatore, quando possibile,
in garage o in cantina;
lasciare almeno 10 cm dal retro dell’elettrodomestico al muro per consentire una buona
circolazione d’aria;
regolare il termostato a seconda della stagione e comunque su temperature medie, mai
troppo basse;
non riempire troppo il frigorifero, è necessaria una circolazione interna d’aria;
disporre correttamente i cibi: verdure e frutta nella zona più bassa, mentre carne e pesce in
quella più in alto che è la più fredda;
non introdurre cibi caldi nel frigorifero, favoriscono la formazione del ghiaccio,
sbrinare periodicamente l’elettrodomestico: il ghiaccio impedisce un corretto ed omogeneo
raffreddamento;
scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che
ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.
- FORNO. Risparmiare cucinando non significa dover mangiare cibi mezzi crudi, ma utilizzare la
cucina in modo intelligente, vediamo come:
scegliere il tipo di cottura più adatta ed energeticamente conveniente per i diversi cibi:
microonde, stufe a gas, forni ventilati hanno caratteristiche diverse;
evitare di aprire il forno, soprattutto durante il preriscaldamento, che andrebbe comunque
evitato;
non tenere acceso il forno fino a cottura ultimata, spegnendolo un po’ prima si ottiene lo
stesso risultato perché mantiene all’interno una temperatura elevata;
pulire accuratamente il forno ed i bruciatori (nel caso di cucina a gas) dopo l’utilizzo per
garantirne la perfetta efficienza nelle successive cotture;
in caso di cotture lunghe (arrosti, minestroni,...) preferire la pentola a pressione in modo da
risparmiare tempo ed energia;
scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che
ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.
- FORNO SOLARE . Delle prove fatte a Seattle e in Arizona hanno dimostrato che i forni solari a
scatola possono essere costruiti più facilmente anche dei metodi più semplici usati
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finora. Questi esperimenti hanno aperto la strada ad un metodo di costruzione che permette di fare
un forno in poche ore e con una spesa veramente modesta.
Questo forno è stato chiamato "Minimum", perché al momento, esso rappresenta il più semplice
progetto che si poteva realizzare. Quello che il nome non comunica è il fatto che questo forno non è
affatto "minimum" nelle prestazioni, e caratterizzato da un ottimo funzionamento.
Benchè l'utilizzo dei forni solari sia principalmente dedicata alla cottura del cibo ed alla
pastorizzazione dell'acqua, nuove utilizzazioni sono continuamente
in sviluppo . L'avvicinamento all'uso dei forni solari è condizionato
da vari fattori quali la disponibilità di combustibili tradizionali, il
clima, le preferenze alimentari, fattori culturali, e capacità tecniche.
Dall'assimilazione dei principi dell'energia solare e dalla
disponibilità di semplici materiali come cartone, fogli di alluminio e
specchi, è possibile costruire un efficiente dispositivo per la cottura
con energia solare. Questa pubblicazione indica i principi di base
della progettazione di forni solari e identifica una varietà di materiali
potenzialmente utili.
Questi principi base, generalmente utilizzati nella realizzazione o
nella modifica di forni per cucina ad energia solare, sono applicabili
a differenti problematiche indipendentemente dalla necessità di
cuocere il cibo, pastorizzare l'acqua o essiccare pesce e granaglie.
A. I principi del calore Lo scopo principale del forno da cottura ad energia solare, è quello di
riscaldare gli oggetti, cucinare il cibo, purificare l'acqua, sterilizzare gli strumenti.
Un forno da cottura ad energia solare è un grado di cuocere perchè l'interno del contenitore è
riscaldato dall'energia solare. I raggi solari , sia quelli diretti sia quelli riflessi, entrano nel
contenitore attraverso la copertura in vetro o plastica. Vengono trasformati in energia termica
attraverso la superficie di assorbimento o dal contenitore di cottura che provoca l'innalzamento della
temperatura interna del forno Le temperature di cottura del cibo e di pastorizzazione dell'acqua
vengono raggiunte rapidamente.
E’ chiaro che tra due contenitori con la stessa capacità di ritenzione del calore, quello con maggiore
apporto di calore, avrà una temperatura interna maggiore.
Considerando due contenitori, con lo stesso apporto calorico, quello con maggiore ritenzione di
calore, migliore isolamento delle pareti del fondo e del coperchio, raggiungerà una maggiore
temperatura interna.
B. Incremento della temperatura. Questo effetto è causato dal riscaldamento di uno spazio chiuso
riscaldato dai raggi solari che filtrano attraverso un materiale trasparente come vetro o plastica. I
raggi luminosi visibili passano facilmente attraverso il vetro e sono assorbiti e riflessi dagli oggetti
contenuti.
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L'energia dei raggi luminosi che viene assorbita
dalla piastra nera di assorbimento posta sotto al
tegame viene convertita in energia termica con
onde di maggiore lunghezza e irradia dai materiali
contenuti. La maggior parte di questa energia,
avendo un maggiore lunghezza d'onda, non può
passare di nuovo attraverso il vetro e resta perciò
intrappolata all'interno dello spazio chiuso.
I raggi riflessi possono essere assorbiti da altri
materiali presenti all'interno dello spazio o uscire
ripassando attraverso il vetro perchè non hanno
cambiato la loro lunghezza d'onda.
La buona qualità del forno di cottura è data dalla
sua capacità di trasferire il calore raccolto dalla
piastra di assorbimento al contenitore con il cibo da
riscaldare e cucinare.
Orientamento dei vetri: Maggiore è l'esposizione
del vetro ai raggi solari, maggiore sarà l'incremento
termico. Anche se la dimensione dei vetri sia la
stessa per i due contenitori 1 e 2 , l'esposizione al
sole è superiore nel contenitore 2. Va notato che il
contenitore 2 ha una maggiore superficie attraverso
la quale può disperdere calore.
Riflettori, Incremento addizionale: I riflettori,
singoli o doppi, convogliano all'interno del
contenitore una maggiore quantità di raggi. Questo
incremento dell'ingresso di raggi solari comporta
una addizionale quantità di calore che innalza la
temperatura di cottura.
C. Perdita del calore .La seconda legge della termodinamica stabilisce che la temperatura passa
sempre dal caldo al freddo. Il calore dall'interno del forno viene perso principalmente in tre modi:
Conduzione, Radiazione, Convezione
Le maniglie di un tegame in metallo posto su una stufa o un fuoco diventano calde per trasferimento
del calore attraverso il materiale del tegame: nella stessa maniera viene perso il calore interno al
forno di cottura .
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La piastra di assorbimento
dell'energia solare trasferisce il
calore sotto al tegame di cottura.
Come mostrato in fig.6, la piastra di
assorbimento viene sollevata dal
fondo con supporti isolati per
annullare la perdita di calore per
conduzione.
Radiazione: Gli oggetti riscaldati,
fuoco, cucine, tegami, cibo in
cottura, emettono onde termiche ed
irradiano calore verso gli oggetti
vicini attraverso l'aria o lo spazio. La
maggior parte del calore irradiato da
un tegame in un forno di cottura è
riflesso verso il tegame stesso o il
fondo di assorbimento dal vetro o
dalla superficie trasparente. Anche
se le superfici trasparenti riescono a
riflettere all'interno la maggior
quantità di calore irradiato, una
buona parte riesce a sfuggire
all'esterno. Il vetro riflette meglio di
molte plastiche.
Convezione: Le molecole di aria
entrano ed escono dal contenitore
attraverso fenditure. Il loro
trasferimento di calore è detto
convezione. L'aria calda dei forni di
cottura ad energia solare sfugge
principalmente attraverso le
fenditure del coperchio, l'apertura di
accesso laterale, imperfezioni di
costruzione. Dalle stese vie l'aria
fredda può entrare nel contenitore.
D. Conservazione del calore. La capacità del forno di mantenere la temperatura aumenta mano a
mano che aumenta la densità ed il peso all’interno di un forno
riempito con pietre, mattoni, pesanti tegami, acqua o cibi molto
bagnati, impiegherà un tempo maggiore per riscaldarsi a causa
della sua capacità di conservazione del calore. L'energia
introdotta viene trasferita e trattenuta da questi materiali pesanti
rallentando il riscaldamento dell’aria nel forno, allo stesso modo
però essi conserveranno ed irradieranno calore per un periodo più
lungo dopo il tramonto.
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E. Specifiche dei materiali . Esistono tre tipi di materiali che sono principalmente usati nella
costruzione dei forni di cottura ad energia solare: fondamentale è la loro resistenza all'umidità.
La struttura del materiale deve essere tale per cui il contenitore possa durare nel tempo e mantenere
le forme e le caratteristiche con cui viene creato.
Il materiale di costruzione include: cartone, legno,
compensato, masonite, bambu, metallo, cemento,
mattoni, pietre, vetro, fibra di vetro,vimini
intrecciati, plastica, carta pesta, argilla, terra
battuta, metallo, corteccia, tela cerata o gommata.
Molti dei materiali con buone caratteristiche
strutturali sono troppo densi per essere buoni
isolanti. Per avere delle buone caratteristiche
strutturali e di isolamento, è necessario usare
diversi materiali con diverse caratteristiche complementari.
Per ottenere all'interno del forno una temperatura sufficiente per la cottura è necessario che le pareti
ed il fondo del contenitore siano convenientemente isolate al fine di ottenere una buona ritenzione
del calore. I buoni materiali di isolamento includono i fogli di alluminio ( riflessone radiante),
piume ( quelle d'oca sono le migliori), lana di vetro e di roccia, cellulosa, pula del riso, lana, paglia,
giornali .
Quando si realizza un forno di cottura è importante che il materiale di isolamento avvolga
completamente tutte le pareti della cavità interna ad esclusione di quella trasparente che
solitamente è quella superiore. Il materiale isolante deve essere installato in modo da ridurre
al minimo la trasmissione della temperatura dal materiale del contenitore strutturale interno a
quello del contenitore esterno. Minore è la perdita di calore, maggiore è la temperatura di cottura.
Almeno una delle superfici deve essere trasparente ed essere rivolta verso il sole per effettuare il
riscaldamento con l'effetto serra. I materiali trasparenti più comuni sono il vetro e le plastiche per
alta temperatura come i sacchetti per cottura in forno. Nei sistemi a doppia superficie trasparente,
siano vetro o plastica, entrambi partecipano ad incrementare ed a disperdere il calore. In funzione
del materiale utilizzato si può ridurre del 5-15% il rapporto "trasmissione solare / incremento del
calore" . Tuttavia, poiché la perdita del calore attraverso il vetro o la plastica è diviso in due,
il risultato finale sarà comunque migliore.
Tutti i cibi che vengono cotti nei forni a cottura solare contengono umidità. Quando l'acqua o il cibo
vengono riscaldati nel forno solare, si crea una pressione che spinge l'umidità dall'interno verso
l'esterno del contenitore. Ci sono molti modi in cui può avvenire questo trasferimento. Può
sfuggire direttamente dalle fessure o, se non sono previste le barriere antiumidità, può essere
compresso nelle pareti o nel fondo del contenitore. Se il contenitore è progettato con barriere
antiumidità ed efficienti guarnizioni di alta qualità, è possibile mantenere il vapore all'interno della
camera di cottura. Nella progettazione dei forni di cottura è molto importante che la superficie più
interna del contenitore sia una ottima barriera antivapore.
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Questa barriera protegge i componenti della struttura e dell'isolamento dai danni causati dall'umidità
che potrebbe trasferirsi nelle pareti e nel fondo del contenitore.
F. Disegno, proporzioni e funzionamento
Il forno per cottura solare deve essere dimensionato:
Sulla quantità di cibo normalmente cucinata;
Sulla possibilità di spostare agevolmente lo stesso forno;
Sulla forma del contenitore compatibile con i tegami disponibili.
Mantenendo costanti tutti gli altri parametri, maggiore è l'area di captazione esposta al sole
confrontata con l'area di dispersione del contenitore, maggiore sarà la temperatura di cottura.
Supposto che due contenitori abbiano la stessa area di captazione con le stesse dimensioni e
proporzioni, quello con minore profondità avrà una minore dispersione avendo un'area di
dispersione inferiore.
Un forno per cottura solare rivolto verso il sole di mezzogiorno deve avere la sua dimensione
maggiore orientata nella direzione est/ovest per avere una
migliore esposizione del riflettore durante il periodo di
alcune ore di cottura. Mano a mano che il sole si sposta
attraverso il cielo, questa configurazione si dimostra la più
idonea per una migliore temperatura di cottura rispetto a
quella con un contenitore di forma quadrata o con la
dimensione maggiore in direzione nord/sud, casi nei quali
infatti una maggiore percentuale di raggi solari sarà
inopportunamente riflessa fuori del contenitore.
Uno o più riflettori possono essere utilizzati per convogliare una maggiore quantità di raggi solari
all'interno del contenitore per incrementare la temperatura di cottura. Anche se senza i riflettori è
possibile cucinare correttamente nelle aree equatoriali dove il sole è praticamente a picco, il loro
utilizzo nelle zone temperate può migliorare notevolmente le caratteristiche del forno.
G. Operativita' del forno solare
Una delle caratteristiche positive del forno di cottura solare è la sua semplicità d'uso. Per le
latitudini comprese tra 20°N e 20°S , il forno a cottura solare senza riflettori richiede piccoli
allineamenti per seguire il sole nei suoi spostamenti. Per i forni con riflettori utilizzati nelle zone
temperate si possono raggiungere maggiori temperature se il contenitore viene allineato ogni una o
due ore. Questo modifica dell'allineamento diviene meno necessaria se le dimensioni est/ovest sono
significativamente superiori a quelle nord/sud.
H. Fattori Culturali
Oltre agli aspetti tecnici, vi sono altri elementi come la cultura, una tecnologia appropriata e
l'estetica, che giocano un fattore importante nella diffusione dei forni a cottura solare.
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Nei secoli l'energia solare è stata sfruttata in vari modi. Come in altri tentativi, anche nella cottura
tramite forni solari esistono progetti più efficienti di altri. La tecnologia che viene realizzata per
soddisfare uno specifico progetto, utilizzando determinate energie, conforme a determinate realtà
ambientali, sociali, culturali, e/o standard estetici, viene spesso definita come " tecnologia
sostenibile".
Sfortunatamente i sistemi a cottura solare non sempre soddisfano queste richieste tecniche e sociali.
Ad esempio, un concentratore parabolico può cuocere del cibo ma se confrontato con un forno a
cottura solare lo troviamo più difficile da costruire, richiede materiali specifici e un costante
allineamento, può bruciare il cibo e non è facilmente introducibile in determinati contesti sociali e
culturali. Praticamente, in seguito al fallimento negli anni '60 dello sviluppo di progetti allora molto
pubblicizzati, oggi per lo più si crede che la cottura con energia solare non sia realizzabile.
Più il progetto di un forno per cottura solare adotta determinate tecnologie maggiore è il suo
successo con gli utilizzatori finali. L’ approccio infatti ad un basso livello tecnico può consistere
nello scavare un buco poco profondo, isolare il fondo con erba o foglie secche, introdurre il cibo o
l'acqua in contenitori neri e coprire il tutto con un vetro, e ciò chiaramente appare difficile definire
progresso; diversa invece l’applicazione degli stessi principi in un forno a cottura solare integrato
architettonicamente nel lato esposto a sud di una cucina tradizionale, con lo sportello del forno
inserito nella parete a lato del forno a microonde.
I contenitori in cartone possono essere appropriati per molte culture perchè il materiale è
ampiamente disponibile ed economico. Ma a suo svantaggio il cartone mostra una eccessiva
sensibilità all'umidità e la sua durata non è comparabile a quella di molti altri materiali.
Anche l'estetica è importante. Culture abituate a figure rotonde possono rifiutare totalmente il
concetto del forno solare perchè è quadrato. Altre culture potrebbero rifiutare il cartone perchè
considerato materiale troppo povero.
Stante l’accertato funzionamento, va escluso che il principio base dei forni di cottura ad
energia solare non venga accettato a causa di errori metodologici nel trasferimento della
tecnologia, compresi quelli legati alla non conoscenza della cultura nella quale si vuole
introdurre.
Il progetto Indiano in Himalaya, sponsorizzato da India e Germania (Dhauladhar) è un positivo
esempio dell'applicazione della tecnologia alle necessità di una specifica cultura. Il forno non
portatile è costruito in terra e mattoni ed ha una doppia schermatura in vetro. Il contenitore scatolato
interno è costruito con contenitori per olio usati. La coibentazione attorno al contenitore interno è
realizzata con pula di riso.
I partecipanti al Dhauladhar Project, nell'adattamento del progetto alle necessità ed alle
caratteristiche locali, hanno mostrato un reale processo di trasferimento tecnologico.
La comuntià è per definizione una interconnessione di attività: per la cottura solare, la possibilità di
divenire parte di una cultura locale deve essere considerata nel contesto degli aspetti di quella
comunità: dall'economia locale, al lavoro, dalla sanità alle attività sociali, dalle risorse energetiche
alla deforestazione, all’ educazione, alle infrastrutture.
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La cottura con forni solari è già stato introdotto all'interno di varie culture. Ma abbiamo solo
graffiato la superficie. La grande potenzialità di questa risorsa in termini di benefici nei confronti
della fame mondiale, la salute e la deforestazione deve ancora essere sondata.
- SCALDABAGNO. Qualche consiglio anche sulla scelta ed il corretto utilizzo dello
scaldabagno:
inserendo un timer si fa funzionare lo scaldabagno solo quando effettivamente serve;
regolare il termostato a seconda della stagione (circa 40°C d’estate e 60°C d’inverno);
installare un miscelatore sullo scaldacqua in modo da eliminare dispersione di calore nelle
tubazioni per arrivare al rubinetto dove di norma è inserito il miscelatore;
nel caso di scaldabagno elettrico meglio acquistarne due piccoli anziché uno grande per
alimentare cucina e bagno: i due ambienti hanno funzioni molto diverse;
installare l’elettrodomestico vicino al punto di utilizzo per evitare dispersioni durante il
percorso;
scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’ ”etichetta energetica” che
ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.
Il solare termico è una tecnologia usata ormai da decenni per la produzione dell'acqua calda
sanitaria e per uso riscaldamento, per essiccazione, sterilizzazione, dissalazione e cottura cibi.
Applicazioni di questo tipo sono testimoniate fin dal 1700. Inizialmente trovarono ampio spazio le
tecnologie ad alta temperatura per la produzione di vapore (concentratori parabolici), che non si
affermarono, nonostante continue riduzioni dei costi, a causa delle espansioni successive dei
combustibili fossili (carbone prima, petrolio poi).
Nei paesi industrializzati l'energia solare termica viene sfruttata in tre campi principali:
collettori piani e sottovuoto per la produzione di acqua calda per usi sanitari, riscaldamento e
preriscaldamento acqua di processo;
collettori piani ad aria;
concentratori per la generazione elettrica e calore di processo.
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Capitolo 3
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INTRODUZIONE
L’acqua è un bene prezioso, indispensabile per praticamente tutte le attività umane! L’acqua è un
patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti: tutti abbiamo il dovere di
economizzarla e di utilizzarla con cura!
E’ vero circa il 70% della superficie del pianeta Terra è ricoperta di acqua, ma solo il 2,5% di
essa è acqua dolce e di questa percentuale la stragrande maggioranza è congelata nelle calotte polari
e presente sotto forma di umidità nel terreno: insomma meno dell’1% delle risorse di acqua dolce
sono disponibili per l’utilizzo da parte dell’uomo!
L’Italia è un paese abbastanza ricco di acqua, per di più è di ottima qualità, e noi siamo abituati ad
averne sempre a disposizione in abbondanza, ma non è per tutti così:
circa un sesto della popolazione mondiale (più di un miliardo di persone) soffre per la
carenza e la cattiva qualità dell’acqua;
ogni giorno circa 6.000 bambini muoiono per malattie causate da acqua inquinata e da
mancanza di igiene;
circa l’80% di tutte le malattie è causato da acqua non potabile e da scarsa igiene.
L’acqua quindi è un bene, una vera e propria ricchezza, che non è uniformemente ed equamente
divisa nel mondo: accanto a chi muore per la sua scarsità e cattiva qualità
c’è chi ogni giorno la spreca e la inquina! Vediamo qualche dato per renderci conto dello spreco di
acqua dolce che più o meno consapevolmente facciamo ogni giorno:
ogni giorno ogni italiano consuma in media 250-300 litri di acqua;
un rubinetto lasciato aperto per un solo minuto consuma 12 litri d’acqua;
per una doccia di 5 minuti sprechiamo più di 50 litri d’acqua, per non parlare del bagno per
cui se ne consumano circa il doppio;
semplicemente per lavarci i denti usiamo circa 30 litri d’acqua;
da un rubinetto che perde in un anno vanno sprecati circa 4.000 litri d’acqua;
un foro di solo un millimetro in una tubatura fa perdere 2.000 litri d’acqua in un giorno.
Ma come usiamo tutta questa acqua? Consideriamo un consumo medio giornaliero di 270 litri
d’acqua:
70 litri per usi igienici;
80 litri per le pulizie personali;
40 litri per le pulizie domestiche;
L’acqua non è una fonte inesauribile!
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30 litri per lavare la biancheria;
30 litri per lavare le stoviglie;
20 litri per lavare la cucina.
Solo il 12% dell’acqua erogata in Italia è destinata ad usi civili, il 60% copre i fabbisogni agricoli
e il 28% quelli industriali, altri due settori in cui sprechi e perdite producono ogni anno un assurdo
sperpero di risorsa idrica preziosa.
Per produrre 1 tonnellata di acciaio occorrono 25.000 litri d’acqua, per una di vetro ne servono
70.000 litri e per una di carta addirittura 450.000 litri!
L’agricoltura non è da meno: in estate 1 metroquadrato di prato consuma 4-5 litri di acqua al giorno,
per produrre 100 quintali di granoturco occorrono 4 milioni di litri d’acqua e solo la metà
provengono dalle piogge.
Cerchiamo di capire dove avvengono gli sprechi:
Nelle reti di distribuzione: la rete idrica italiana perde ogni anno circa il 33% dell’acqua
che trasporta; ciò è dovuto al fatto che la stragrande maggioranza delle tubature e delle prese
sono vecchie di oltre 50 anni e ormai molto danneggiate;
Nelle utenze d’impiego: queste avvengono anche nell’agricoltura e nell’industria, ma ben il
70% ha luogo negli edifici privati.
Ridurre gli sprechi domestici si può, è importante però che ogni singolo cittadino consideri l’acqua
come una risorsa indispensabile per il presente e per il futuro e che comprenda che il suo spreco,
oltre a significare un costo enorme per la collettività, rappresenta anche un rischio concreto per la
qualità della nostra vita. Dobbiamo quindi sviluppare un nuovo modo di considerare l’acqua e
correggere certe cattive abitudini che ci portano ogni giorno a sprecarne enormi quantità.
Per ridurre gli sprechi nelle nostre case bastano pochi e semplici accorgimenti che, se adottati da
tutti, portano a elevatissimi risparmi di risorsa idrica.
1. CONTROLLO dell’IMPIANTO DOMESTICO
Un rubinetto che perde significa 4.000 litri di acqua sprecati in un anno; un minuscolo foro nelle
tubazioni in un giorno dissipa circa 2.000 litri di acqua; il malfunzionamento dello sciacquone del
water in un anno implica 52.000 litri di risorsa idrica persi.
Per controllare se i rubinetti hanno una perdita basta disporvi sotto un contenitore, dopo qualche
ora potrai rilevare anche una minima perdita.
Nella cassetta del water si può vuotare, prima di andare a dormire, del colorante alimentare (è
lavabile e non fa danni!); se la mattina seguente troveremo le pareti del WC o l’acqua sul fondo
colorate sapremo che c’è stata una perdita.
Per scoprire perdite nelle tubazioni basta leggere, la sera prima di coricarsi, il livello di consumo
sul contatore; al mattino appena svegli, controllando di nuovo la cifra sul contatore sapremo se ci
sono state perdite: anche una piccola differenza sarà infatti dovuta alla cattiva tenuta della rete
idrica.
Una corretta manutenzione e, se necessario, qualche piccola riparazione, ci faranno risparmiare
denaro e soprattutto tanta acqua!
Quando si va in ferie o ci si assenta per lunghi periodi da casa è buona regola chiudere il rubinetto
centrale dell’acqua, evitando così perdite e disagi dovuti a rotture impreviste nell’impianto
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2. USIAMO DISPOSITIVI per il RISPARMIO IDRICO
Esistono alcuni sistemi di erogazione che consentono notevoli risparmi di acqua:
il frangigetto è una retina che ha lo scopo di rompere il getto d’acqua che fuoriesce dal rubinetto
miscelandolo con aria: in questo modo si riduce di circa la metà la fuoriuscita d’acqua;
i rubinetti a tempo (a pulsante) e a comando elettronico (con sensore a raggi infrarossi) forniscono
acqua con una portata ed un tempo prefissati, chiudendosi automaticamente: se usati soprattutto nei
bagni pubblici, nelle scuole, nei centri sportivi oltre ad essere più igienici (chiusura automatica)
evitano gli sprechi dovuti a tempi di apertura eccessivi.
L’adozione su larga scala di tali dispositivi può portare a notevoli riduzioni dei consumi che fanno
ammortizzare in poco tempo i costi di installazione.
3. NON FACCIAMO SCORRERE ACQUA INUTILMENTE
Lavarsi i denti o farsi la barba sono solo alcune delle operazioni quotidiane in cui è possibile
risparmiare molta acqua: basta aprire il rubinetto solo quando è necessario! Per la rasatura è
sufficiente riempire un po’ il lavandino e lasciar scorrere l’acqua solo alla fine. Per lavarsi i denti
inumidiamo lo spazzolino e poi riapriamo il rubinetto solo alla fine per risciacquare. Lo stesso vale
quando ci facciamo lo shampoo ed in mille altre situazioni. Sono accorgimenti che possono
sembrare stupidi, ma se adottati da tutti portano ad un concreto risparmio di risorsa idrica.
4. PREFERIAMO la DOCCIA al BAGNO
Se siete tra quanti amano immergersi in una vasca colma di acqua e schiuma, forse lo farete con un
po’ di senso di colpa sapendo che questo comporta uno spreco di 100-150 litri d’acqua, più del
doppio di una rapida e tonificante doccia! Adottiamo quindi comportamenti più saggi e rispettosi di
un bene così prezioso come l’acqua.
5. USIAMO BENE GLI ELETTRODOMESTICI
Usare razionalmente lavatrici e lavastoviglie significa metterle in funzione solo a pieno carico, dato
che la quantità d’acqua che consumano è la stessa anche se mezze vuote! E’ importante anche la
temperatura di lavaggio che si sceglie: per un ciclo a 30°C una lavatrice media consuma 80 litri
d’acqua, che diventano il doppio per cicli a 90°C; oltre a un aumento dei consumi idrici avremo,
come già ricordato, anche un notevole aumento di quelli energetici. E’ inoltre fondamentale l’uso di
tipi e quantità di detersivi appropriati: una eccessiva dose implica lo spreco di moltissima acqua in
fase di risciacquo, oltre ad inquinare e a significare un costo inutile.
6. SOSTITUIAMO la VECCHIA CASSETTA del WATER
Ogni volta che spingiamo il tasto dello sciacquone consumiamo 12 litri di acqua: ma è proprio
necessario? Inserendo nella cassetta di scarico appositi rubinetti o sostituendola con moderni
modelli a doppio tasto potremo scegliere di scaricare 6 o 12 litri di acqua a seconda dell’esigenza,
risparmiando così decine di litri di acqua ogni giorno. I gabinetti con classificazione di risparmio
idrico usano il 67% in meno di acqua di quelli tradizionali.
7. RISPARMIAMO ACQUA IN CUCINA
Quando laviamo i piatti o la frutta e la verdura non facciamolo sotto l’acqua corrente, ma mettiamo
il tappo al lavandino. Inoltre usiamo l’acqua di lavaggio di frutta e verdura per innaffiare le piante.
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L’ acqua di cottura della pasta è un ottimo sgrassante : usiamola per lavare i piatti,non la
sprecheremo e useremo meno detersivo!
8. RISPARMIAMO ACQUA LAVANDO LA MACCHINA
Evitare, quando possibile, di lavare l'automobile con acqua potabile ed in particolare evitare di farlo
in prossimità di fiumi o torrenti. Quando puoi riduci i lavaggi e usa sempre il secchio invece
dell'acqua corrente: bagnare la carrozzeria, insaponare l'auto e risciacquarla, puoi farlo ottenendo un
ottimo risultato sprecando meno acqua.
9. RISPARMIAMO ACQUA IN GIARDINO
Innaffiando le piante: innaffiando di primo mattino o nel tardo pomeriggio puoi ridurre lo spreco
d’acqua causato da evaporazione.
Raccogliendo l’acqua piovana: i raccoglitori d’acqua piovana possono fornire acqua per il tuo
giardino.
Innaffiando efficientemente: usa annaffiatoi e pistole a spruzzo per innaffiare soltanto le aree che
ne hanno bisogno. E’ inoltre importante innaffiare la base delle piante, non le foglie. Ciò fornisce
acqua direttamente alle radici, dove è più necessaria.
Facendo le pulizie: usa una scopa invece della manichetta dell’acqua per pulire i vialetti e le aree
pavimentate.
Scelta delle piante: scegliete piante native e altre che hanno meno bisogno d’acqua e prati erbosi
che usano meno acqua, perché richiedono minore manutenzione e attirano la fauna selvatica nativa.
Alcune erbe da prato hanno radici profonde e tollerano meglio la siccità, perciò non hanno bisogno
di essere innaffiate tanto sovente quanto altri tipi di erbe.
Sistemi d’irrigazione a sgocciolo: il sistema d’irrigazione a sgocciolo è il metodo d’innaffiare più
efficace poiché si spreca pochissima acqua a causa del vento, dell’evaporazione, per dispersione o
spruzzi eccessivi. Facendo sgocciolare lentamente l’acqua nel suolo alla base delle piante, l’acqua
viene rilasciata così lentamente da essere assorbita più facilmente e solo dov’è necessaria.
Tagliando l’erba: evita di tagliare l’erba del prato troppo corta, e usa l’erba falciata come pacciame
per mantenere il suolo umido.
Piantando nuove aiuole: raggruppa le piante che hanno un bisogno d’acqua nella stessa quantità
poiché ciò aiuta ad assicurare che tutte ricevano la giusta quantità d’acqua.
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Capitolo 4
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L’IMPIANTO ELETTRICO
L’impianto elettrico domestico per molti di noi è qualcosa di oscuro, infiliamo la spina nelle prese e
gli elettrodomestici funzionano, ma cosa ne sappiamo veramente degli impianti elettrici? Quanti
anni sono trascorsi dalla posa dei cavi elettrici, dall'installazione degli interruttori? Quale è lo stato
di isolamento dei vari apparecchi?
L’impianto elettrico domestico è costituito da molti elementi: il contatore, la centralina, gli
interruttori magnetotermici, gli interruttori differenziali, l’impianto di terra, la rete, le prese, gli
interruttori,…
Tutti questi elementi devono essere costruiti, installati e mantenuti in modo corretto, da tecnici abilitati, così come prevede la legge 46/90, a fine lavori il tecnico è tenuto a rilasciare una
dichiarazione di conformità dell’impianto che ne garantisce la sicurezza e la rispondenza alla
suddetta normativa. Impianti elettrici non a norma possono provocare folgorazione, cortocircuito,
incendio.
Ecco alcuni consigli utili per evitare incidenti domestici dovuti al malfunzionamento dell'impianto
elettrico:
Per l'installazione, le modifiche o la manutenzione dell'impianto elettrico ricorrere sempre a
tecnici abilitati e dopo ogni intervento sull'impianto bisogna farsi rilasciare la dichiarazione
di conformità.
Installare prese schermate, con protezioni davanti agli alveoli che non consentono di
introdurre chiodi, spilli e altri oggetti acuminati: operazioni molto pericolose per i bambini.
E’ importante non sovraccaricare, con spine doppie o riduttori, un'unica presa di corrente con
più elettrodomestici per evitare corto-circuiti e pericoli di incendio.
Sostituire le spine rotte o danneggiate con altre nuove.
Inserire e togliere le spine afferrando il corpo, mai tirando il filo.
Quando si puliscono gli apparecchi elettrici, bisogna accertarsi che la spina di alimentazione
sia staccata dalla rete.
Togliere la corrente dall’interruttore generale, ogni volta che si opera su qualche apparecchio
elettrodomestico.
Nel caso di uso di termocoperta, staccare la spina prima di mettersi a letto.
Scegliere lavatrici e lavastoviglie dotate di sistema antiallagamento.
Quando ci si allontana da casa per giorni, staccare gli elettrodomestici dalle prese a muro ed
il televisore dal cavo dell’antenna.
E’ buona norma non stendere prolunghe sotto i tappeti, il cavo potrebbe surriscaldarsi e il
tappeto potrebbe bruciare.
GLI ELETTRODOMESTICI
Le nostre case sono piene di apparecchi e strumenti di vario genere che sono ormai supporti
praticamente indispensabili per i lavori domestici, per cucinare, per l’igiene e la cura del corpo,…
E’ importante quindi saper scegliere, utilizzare e provvedere alla manutenzione di tali apparecchi
correttamente, in modo che essi non costituiscano un pericolo per noi e per la nostra casa . Il primo passo per una “casa sicura” è quello di acquistare solo elettrodomestici che
riportino il marchio CE , tale marcatura è infatti obbligatoria ai sensi del Decreto
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legislativo 626/96, essa certifica prodotti conformi ai requisiti essenziali di sicurezza fissati dalla
normativa comunitaria. Tale marchio deve essere posto sul prodotto e/o sull’imballaggio e/o sulle
avvertenze all’uso che accompagnano il prodotto stesso.
Vediamo ora più nel dettaglio alcune semplici accortezze nell’uso degli elettrodomestici, esse sono
solamente delle regole di comportamento, ma in molti casi possono salvarci la vita.
E’ buona abitudine non lasciare gli elettrodomestici accesi e incustoditi, un banale corto
circuito potrebbe essere la causa dell’incendio della nostra casa!
Prima di procedere alla pulizia o al lavaggio di tutte le apparecchiature alimentate
elettricamente è fondamentale staccare sempre prima la spina, isolando l’apparecchio, se
esso è collegato direttamente all’impianto va staccato l’interruttore generale.
Al termine dell’utilizzo di un elettrodomestico è buona norma spegnere l’apparecchio e
staccare la spina delicatamente, evitando strappi violenti. Quando ci si assenta per lunghi
periodi è bene staccare sempre tutte le spine dei vari apparecchi dalle prese.
E’ importante controllare periodicamente il cavo di alimentazione di quegli elettrodomestici,
come ferro da stiro, aspirapolvere,…, in cui esso è di norma sottoposto a notevoli
sollecitazioni meccaniche e quindi facilmente deteriorabile.
Avvolgere i cavi di alimentazione troppo stretti è una pessima abitudine, soprattutto quando
questi sono ancora caldi, bisogna prima farli freddare e quindi avvolgerli.
E’ bene usare gli elettrodomestici su superfici di appoggio piane e pulite, lasciare gli
apparecchi in bilico, ad esempio sul bordo di un tavolo, o del lavandino o della vasca, è un
comportamento ad alto rischio.
Non bisogna attaccare gli elettrodomestici alle pareti, ma è buona norma lasciare sempre
almeno 10-15 cm tra il retro dell’apparecchio ed il muro, in modo da assicurare l’aerazione
ed evitare pericolosi surriscaldamenti.
Fondamentale è infine ricordare di indossare sempre le scarpe e non restare a piedi nudi
quando usiamo gli elettrodomestici, in modo da creare un isolamento tra il nostro corpo e la
terra.
IL GAS IN CASA
Gli utilizzi del gas nell’ambito domestico sono molteplici, dall’uso in cucina, alla produzione di
acqua calda, al riscaldamento.
L’impianto domestico del gas può essere collegato alla rete fissa (metano) oppure può essere
alimentato da bombole (GPL).
E’ fondamentale che l’installazione, la manutenzione e/o la modifica di impianti a gas avvenga
sempre ad opera di personale qualificato e abilitato, che a fine lavori rilasci una dichiarazione di
conformità dell’impianto, così come previsto dalla legge 46/90, che ne garantisce la sicurezza e la
rispondenza alla sopraccitata normativa. Per questo genere di lavori il “fai da te” è assolutamente
vietato!
Nella messa a punto dell’impianto, nella scelta degli apparecchi a gas, nel loro utilizzo e nella loro
manutenzione vanno quindi seguite alcune norme, dettate dall’esperienza e dal buon senso o frutto
del lavoro del CIG ()o dell’UNI (), che indica appunto norme e criteri per la costruzione e
l’installazione in totale sicurezza.
Il primo passo è un cauto acquisto: bisogna accertarsi che l’apparecchio riporti la
marcatura CE, che come già ricordato, indica la conformità alla normativa
comunitaria (90/396/CEE), che è sinonimo di qualità e sicurezza per l’utente.
In fase di installazione è fondamentale che quella degli apparecchi a gas di tipo
tradizionale non avvenga nelle camere da letto e nei bagni, dove ci sono condizioni
molto limitative per l’installazione di apparecchi per la sola produzione di acqua calda. Questo
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perché qualsiasi apparecchio che presenti un bruciatore in funzione assorbe aria durante la
combustione ed emette i fumi prodotti dalla combustione stessa. Camere da letto e bagni sono locali
in cui si tende a tener chiuse le finestre e quindi non presentano una sufficiente aerazione: sarebbe
quindi pericoloso installarvi apparecchi a gas.
Il pericolo maggiore, che costituisce la causa della maggior parte degli incidenti, è dovuto alla
formazione e alla diffusione del Monossido di Carbonio (CO), il cosiddetto “killer silenzioso”,
esso infatti è un gas inodore, incolore e altamente tossico, letale anche in piccolissime
concentrazioni. Tale gas si forma se la combustione avviene in un locale insufficientemente areato
oppure per il cattivo funzionamento del sistema di scarico dei fumi.
Vediamo ora alcune semplici regole ed accortezze da seguire per l’utilizzo in sicurezza
dell’impianto a gas domestico.
Verificare la permanente ventilazione dei locali che contengono apparecchi a gas (stufe,
caldaie, scaldabagni,…).
Mantenere sempre in efficienza e puliti i sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione
come camini e canne fumarie.
Controllare la fiamma: deve essere di forma regolare ed azzurra.
Le caldaie andrebbero controllate e pulite ogni anno, prima dell’inizio del periodo di utilizzo.
Ciò garantisce un utilizzo in piena sicurezza, ma anche un significativo risparmio sui
consumi e una riduzione delle emissioni inquinanti.
E’ importante che il tubo di gomma flessibile di allaccio delle cucine a gas non sia sottoposto
a sforzi né a surriscaldamenti e che venga sostituito almeno ogni 5 anni, cioè entro la data
stampigliata sul tubo stesso.
Il contatore del gas non deve essere usato per appoggiarvi oggetti vari, come le tubazioni del
gas a vista non devono essere impiegate per la messa a terra di apparecchi elettrici, né per
altri usi impropri. Le tubazioni sotto traccia poi devono essere collocate in posizioni
obbligate e opportunamente segnalate dall’installatore, per evitare forature accidentali.
Un’altra utile precauzione è quella di chiudere la valvola del contatore o quella della bombola
quando non si utilizza l’impianto, quindi sia la sera prima di andare a letto che ovviamente
quando ci si assenta anche per brevi periodi.
La corretta procedura per accendere il bruciatore del piano cottura è:
1. Accendere il fiammifero;
2. Accostare il fiammifero acceso al bruciatore;
3. Aprire il rubinetto del gas.
Eseguire tali operazioni nell’ordine inverso costituisce un potenziale rischio: dopo aver aperto
il rubinetto del gas potrebbe intervenire un qualsiasi elemento di distrazione o disturbo che
può far si che la successiva accensione del fiammifero abbia gravi conseguenze.
E’ importante non riempire troppo le pentole, né lasciarle incustodite sul fuoco; lo
spegnimento della fiamma causato dal trabocco di liquidi in combustione o da eventi
accidentali può provocare gravi inconvenienti. Ciò può essere evitato con l’adozione di piani
cottura provvisti del dispositivo di sicurezza per lo spegnimento accidentale della fiamma,
che interrompe immediatamente l’afflusso del gas se si spegne la fiamma. Vediamo ora alcuni accorgimenti specifici, oltre a quelli già elencati, da seguire nel caso in cui
l’impianto domestico del gas sia alimentato da bombole (GPL).
La sostituzione della bombola non è affatto un’operazione banale e va eseguita da personale
competente.
Le bombole non devono essere installate in locali sotto il livello stradale, non devono essere
esposte al sole né ad altre fonti di calore.
La possibilità di installare bombole dipende dal volume del locale: per locali inferiori ai 10
m3 è esclusa l’installazione, per quelli compresi tra 10 e 20 m
3 si può installare una sola
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bombola con contenuto fino a 15 kg, se il volume supera i 20 m3 si possono mettere al
massimo 2 bombole, per un contenuto complessivo comunque non superiore a 30 kg.
E’ poi vietato tenere bombole non allacciate vuote o piene, anche parzialmente.
Come comportarsi se si sente odore di gas?
L’odore del gas è facilmente riconoscibile, infatti per legge tutti i gas combustibili devono avere un
odore caratteristico, in modo che sia possibile rilevarne la presenza in caso di fuga, prima che
raggiungano concentrazioni pericolose.
A questo punto ecco cosa fare tempestivamente:
aprire finestre e porte per arieggiare il locale;
spegnere immediatamente tutte le fiamme (caldaie, fornelli, candele,…);
chiudere la valvola principale del contatore o della bombola;
non fumare, né accendere fiammiferi o accendini;
non azionare interruttori, campanelli, apparecchi elettrici o telefoni: una loro eventuale
scintilla potrebbe innescare un’esplosione;
portarsi al di fuori dell’ambiente e telefonare al pronto intervento della società distributrice
del gas ed ai Vigili del Fuoco.
GLI INCENDI
L’incendio è una combustione che si sviluppa in modo incontrollato nel tempo e nello spazio. La
combustione è una reazione chimica tra un corpo combustibile e un corpo comburente. I
combustibili sono numerosi: legno, carbone, carta, petrolio, gas combustibile, ecc. Il comburente
che interviene in un incendio è l’aria o, più precisamente, l’ossigeno presente nell’aria (21% in
volume). Il rischio di incendio, quindi, esiste in tutti i locali.
L’esplosione è invece una combustione a propagazione molto rapida con violenta liberazione di
energia. Può avvenire solo in presenza di gas, vapori o polveri combustibili di alcune sostanze
instabili e fortemente reattive o di materie esplosive.
Le cause, che possono provocare un incendio, sono:
- fiamme libere (ad esempio operazioni di saldatura)
- particelle incandescenti (brace) provenienti da un focolaio preesistente
- scintille di origine elettrica, elettrostatica o provocate da un urto o sfregamento
- superfici e punti caldi
- innalzamento della temperatura dovuto alla compressione dei gas
- reazioni chimiche
Gli incendi non sono tutti uguali, ai fini di individuare la natura caratteristica di un fuoco si sono
distinte le seguenti Classi di Fuoco:
Classe A: fuochi di materie solide, generalmente di natura organica, sono detti
“fuochi secchi”. La combustione può presentarsi in due forme: combustione viva
con fiamme o combustione lenta senza fiamme, ma con formazione di brace
incandescente. L’agente di estinzione raccomandato è l’acqua.
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Classe B: fuochi di idrocarburi solidificati o di liquidi infiammabili, detti ”fuochi grassi”.
Un buon estinguente deve, oltre l'azione di raffreddamento, esercitare un soffocamento
individuabile nella separazione tra combustibile e comburente. E’ controindicato l’uso di
acqua a getto pieno per lo spegnimento.
Classe C: fuochi di combustibili gassosi. Questi combustibili non possiedono né forma né volume
proprio, sono molto pericolosi se miscelati in aria per la possibilità di generare
esplosioni. L'azione estinguente si esercita mediante azione di raffreddamento,
separazione e inertizzazione della miscela gas-aria: al di fuori di ben precise
percentuali di miscelazione infatti il gas combustibile non brucia.
Classe D: fuochi di metalli (magnesio, manganese, alluminio, …), che hanno la
caratteristica di interagire, anche violentemente, con i comuni mezzi di
spegnimento, in particolare con l'acqua.
Classe E: fuochi di natura elettrica. A tale categoria di fuochi si intendono
appartenere tutte le apparecchiature elettriche, ed i loro sistemi di servizio che,
anche nel corso della combustione, potrebbero trovarsi sotto tensione.
La prevenzione degli incendi costituisce l’elemento più importante per la sicurezza dai rischi del
fuoco dato che PREVENIRE E’ MEGLIO CHE REPRIMERE!
Oltre alle normali accortezze che tutti dobbiamo osservare al riguardo, un ruolo chiave lo giocano
l’installatore ed il progettista degli impianti che devono porre in opera determinati elementi di
protezione passiva ed attiva nei confronti degli incendi.
La protezione passiva si persegue in fase di progettazione e consiste nel prevedere strutture, opere e
sistemi capaci di resistere al fuoco. Con protezione passiva si intende:
ridurre il carico di incendio;
scegliere materiali di arredamento (tappezzeria, moquette,…) poco combustibili;
attuare un’opportuna compartimentazione dei locali, conferendo alle strutture adeguata
resistenza al fuoco;
prevedere vie di fuga e luoghi sicuri, adeguati per numero, localizzazione e caratteristiche
dell’edificio (scuola, abitazione, ospedale,…) .
Quando però non sia possibile ottenere o mantenere un sufficiente livello di protezione passiva,
occorre allora riequilibrare il sistema di sicurezza mediante la protezione attiva, adottando cioè
interventi veri e propri contro l’incendio.
La protezione attiva è infatti volta a ridurre le conseguenze derivanti dal verificarsi di un incendio,
essa prevede:
un adeguato impianto di rivelazione/segnalazione automatica (del fumo e/o del calore);
un impianto di estinzione, manuale o automatico (ad acqua, a schiuma, a polvere, a CO2, ad
Halon,…);
un impianto di estrazione dei fumi, naturale o forzato.
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C’è un incendio: che fare?
La regola fondamentale in questi casi è mantenere la calma, ed evitare fenomeni di panico, reazione
che, specialmente in ambito collettivo, può risultare pericolosa poiché non consente il controllo
della situazione creatasi, coinvolgendo un gran numero di persone e rendendo difficili eventuali
operazioni di soccorso.
Il panico si manifesta con diversi tipi di reazioni emotive: timore e paura, oppressione, ansia fino ad
emozioni convulse e manifestazioni isteriche, nonché particolari reazioni dell'organismo quali
accelerazioni del battito cardiaco, tremore alle gambe, difficoltà di respirazione, aumento o caduta
della pressione arteriosa, giramenti di testa e vertigini.
Tutte queste condizioni possono portare le persone a reagire in modo non controllato e razionale.
Allo stesso tempo possono venire compromesse alcune funzioni comportamentali quali l'attenzione,
il controllo dei movimenti, la facoltà di ragionamento.
Tali comportamenti possono essere modificati e ricondotti alla normalità se il sistema in cui si
evolvono è preparato e organizzato per far fronte ai pericoli che lo insidiano.
E’ per questo che la formazione e la prevenzione hanno un ruolo fondamentale nel combattere il
panico; il piano di evacuazione, con il percorso conoscitivo necessario per la sua realizzazione, può
dare un contributo fondamentale in questa direzione consentendo di:
- essere preparati a situazioni di pericolo;
- stimolare la fiducia in se stessi;
- indurre un sufficiente autocontrollo per attuare comportamenti razionali e corretti;
- controllare la propria emozionalità e saper reagire all'eccitazione collettiva.
In altre parole tende a ridurre i rischi indotti da una condizione di emergenza e facilita le operazioni
di allontanamento da luoghi pericolosi.
Se quindi siamo a scuola, in ufficio, o in luoghi per cui è stato predisposto un piano di emergenza,
dovremo seguire le istruzioni imparate nel corso delle esercitazioni e con calma e ordine
abbandonare l’edificio.
Scoppia un incendio in casa: come comportarsi
chiudere la porta della stanza invasa dal fuoco, cercando di sigillare dall'esterno ogni
possibile fessura;
chiudere i contatori del gas e della corrente;
cercare di spegnerlo con estintori, acqua, coperte, …;
Controllare che nessuno sia nel luogo in cui divampa il fuoco e dare l'allarme alle altre
persone;
Uscire all'aperto proteggendoti con panni bagnati, coprendosi naso e bocca con un fazzoletto
bagnato e camminando curvi se c'è fumo;
Abbandonare l' edificio usando, se possibile, le uscite di emergenza e non l'ascensore;
Lascia chiuse porte e finestre;
Se si rimane intrappolati in un locale bisogna chiudere la porta e non aprire le finestre se non
dopo aver sigillato con stracci e coperte le aperture verso le stanze invase dal fuoco e dal
fumo.
Scoppia un incendio all’aperto: come comportarsi
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segnalare immediatamente a Vigili del Fuoco, Guardie Forestali e Centri Operativi Regionali
la presenza di fumo o focolai di incendio, cercando di precisarne l'ubicazione;
gettare terra sul fuoco se si tratta di combustibile lento (tronchi o ceppaie);
Gettare acqua alla base della fiamma se si tratta di combustibili rapidi (foglie secche, erba e
cespugli);
Battere il fuoco con pale o frasche;
Delimitare la zona con una fascia sterrata;
Evitare la fuga lungo il pendio, specialmente se è in salita.
Per prevenire…
rimuovere i frammenti di vetro che possono agire da lenti ustorie;
non gettare per terra sigarette e fiammiferi, comunque non prima di essersi accertati che
siano ben spenti;
non abbandonare immondizia o materiale infiammabile nel bosco.
LA SICUREZZA ALIMENTARE
Probabilmente sembrerà strano, ma conservare e preparare i cibi li espone a molteplici possibilità di
contaminazione, crescita e proliferazione di diverse specie patogene. Ovviamente il rischio risulta
superiore per alcuni alimenti e per particolari categorie di persone, quali ad esempio bambini,
anziani e donne in gravidanza.
Il primo passo verso la sicurezza alimentare è leggere attentamente l’etichetta dei cibi ed attenersi
scrupolosamente a quanto riportatovi. Per quanto riguarda la data di scadenza essa può essere
espressa con la formula “da consumarsi preferibilmente entro il…” che indica la data entro cui il
prodotto, se ben conservato, mantiene inalterate le sue qualità; o, per prodotti altamente deperibili,
dalla formula “da consumarsi entro il…” che indica invece il termine entro cui si deve consumare.
E’ importante sottolineare però che una cattiva conservazione (temperatura, umidità, calore,…) può
compromettere un cibo anche prima della data di scadenza.
Cerchiamo ora di descrivere quei comportamenti atti a ridurre il rischio alimentare nelle varie fasi,
dall’acquisto al consumo degli alimenti.
L’etichetta però non contiene solo la data di scadenza, ma anche le modalità d’uso e di
conservazione che forniscono al consumatore le informazioni importanti: temperatura e luogo di
conservazione, nonché le modalità di mantenimento dopo l’apertura.
Trovano posto sull’etichetta anche il luogo di produzione e/o confezionamento, il luogo di origine,
gli eventuali marchi di qualità, l’elenco degli ingredienti e la tabella nutrizionale che consente di
valutare l’apporto nutrizionale del prodotto.
Acquisto e trasporto del cibo
E’ importante leggere sempre la data di scadenza di un alimento prima di acquistarlo, questa per
legge deve essere riportata sulla confezione. E’ poi buona abitudine prelevare gli alimenti surgelati
e congelati al termine della spesa, senza lasciarli a lungo nel carrello, riponendoli subito in apposite
borse termiche in modo da evitarne lo scongelamento durante il tragitto verso casa, che deve essere
il più rapido possibile. Una volta a casa bisogna subito riporre gli alimenti surgelati e congelati nel
frezeer o procedere immediatamente alla loro cottura.
Anche per gli alimenti non surgelati bisogna usare delle accortezze, è un comportamento a rischio
ad esempio lasciare il cibo per molte ore nell’auto parcheggiata, in particolare nei mesi caldi;
bisogna invece portare subito la spesa a casa e riporre i diversi alimenti nella dispensa o
nell’appropriato ripiano del frigorifero (vedi Conservazione in frigorifero).
Conservazione in dispensa
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E’ importante che i cibi vengano conservati in condizioni ideali, bisogna quindi evitare l’accumulo
di polvere sugli scaffali della dispensa ed accertarsi che non vi siamo piccoli insetti che possano
accedere agli alimenti. L’ambiente in cui avviene la conservazione dei cibi deve
essere il più possibile asciutto, non sono adatti quindi locali umidi, come ad esempio scantinati. E’
buona norma non lasciare mai le confezioni degli alimenti aperte: una volta aperte prima di riporle
in dispensa, vanno richiuse con delle clips o, meglio, i cibi vanno depositati in contenitori appositi,
a chiusura ermetica, ricordandosi in quest’ultimo caso di apporvi un’etichetta con la data di
scadenza riportata sulla confezione del cibo stesso.
Conservazione in frigorifero
La conservazione dei cibi in frigorifero è una garanzia di sicurezza, perché il freddo, così come la
cottura, impedisce lo sviluppo dei microrganismi patogeni presenti nel cibo; è fondamentale quindi
controllarne il corretto funzionamento e utilizzarlo in modo appropriato. La temperatura del
frigorifero va tarata nell’intervallo 2-5°C, a seconda della stagione e delle personali esigenze;
quella del congelatore deve essere sempre non superiore ai –18°C. I ripiani non devono mai essere riempiti troppo e soprattutto si deve aver cura di non accostare
troppo i cibi alle pareti: ciò impedisce la corretta aerazione del frigorifero.
E’ buona norma evitare di aprire troppo spesso il frigorifero e soprattutto lasciarlo aperto per lunghi
periodi, ciò compromette la stabilità della temperatura interna, facendo subire ai cibi sbalzi termici
che potrebbero comprometterne la conservazione. I cibi riposti nel frigorifero non devono essere
mai caldi,ciò potrebbe alterare la temperatura interna: devono essere lasciati raffreddare e poi,
ricoperti con apposite pellicole per alimenti, riposti nel frigorifero.
Gli alimenti deperibili vanno sempre riposti in frigorifero, rispettando la temperatura, le modalità di
conservazione e soprattutto la data di scadenza riportate sulla confezione. Se poi, nonostante queste
accortezze, si osservano alterazioni del colore, della consistenza e/o dell’odore di un alimento
conservato in frigorifero bisogna sempre gettarlo via.
E’ fondamentale leggere attentamente il manuale d’uso del nostro frigorifero dove verranno corrette
modalità di pulizia e manutenzione. E’ comunque buona abitudine periodicamente controllare le
guarnizioni, in modo da verificare la corretta chiusura, e rimuovere la brina dalle pareti del
frigorifero, che accumulandosi può ridurne la funzionalità.
Preparazione degli alimenti
La fase della preparazione degli alimenti che è forse la più delicata, l’integrità dei cibi può infatti
essere compromessa dalle precarie condizioni igieniche dell’ambiente in cui essi vengono cucinati.
E’ fondamentale quindi preservare l’igiene della cucina: lavando accuratamente i piani di lavoro e
le superfici di servizio e pulendo sempre con cura superfici e utensili prima di utilizzarli per
alimenti diversi.
I contenitori per i rifiuti, i detergenti e i detersivi vanno sempre tenuti lontani dai cibi in
preparazione, riponendoli in uno spazio appositamente dedicato ed esclusivo.
Gli strofinacci da cucina, le spugne per il lavaggio, i panni da spolvero e da pavimento vanno
sempre mantenuti puliti.
E’ buona norma mantenere separati gli alimenti crudi da quelli cotti, questi ultimi devono essere
consumati subito dopo la cottura oppure conservati in frigorifero, dopo essere stati ricoperti con
apposita pellicola per alimenti, evitandone il più possibile la permanenza a temperatura ambiente.
E’ infine importante non fumare in cucina, in particolare mentre si preparano i cibi, in modo da
evitare che i microrganismi patogeni, che risiedono nel cavo orale, possano essere trasportati con le
mani agli alimenti.
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La cottura
La cottura, oltre a rendere i cibi più facilmente digeribili trasformando sostanze chimiche complesse
in altre più semplici, li rende igienicamente più sicuri; il calore infatti contribuisce a debellare la
popolazione microbica normalmente presente nei cibi.
I diversi tipi di cottura garantiscono condizioni di igienizzazione dei cibi diverse tra di loro:
Modalità di cottura Temperatura Igiene del cibo
Lessatura 100 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, ma non
delle spore e delle tossine
A vapore 100 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, ma non
delle spore e delle tossine
Pentola a pressione 120 °C Conserva meglio i nutrienti termosensibili
contenuti nel cibo, come le vitamine e alcuni
aminoacidi essenziali
Forno 180-220 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, delle spore
e in attivazione di tutte le tossine batteriche
Griglia 200 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, delle spore
e in attivazione di tutte le tossine batteriche
Frittura 180-190 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, delle spore
e in attivazione di tutte le tossine batteriche
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Capitolo 5
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IL RISCHIO
Il rischio è definito come "l’entità del danno atteso in una data area e in un certo intervallo di
tempo in seguito al verificarsi di un particolare evento calamitoso".
L’entità dei danni attesi su un particolare elemento a rischio può essere valutata considerando:
la pericolosità ovvero la probabilità che un evento calamitoso si verifichi entro un certo
intervallo di tempo ed in una zona tale da influenzare l’elemento a rischio. La pericolosità è
dunque funzione della frequenza dell’evento. In certi casi (come per le alluvioni) è possibile
stimare, con una approssimazione accettabile, la probabilità di accadimento per un
determinato evento entro il periodo di ritorno. In altri casi, come per alcuni tipi di frane, tale
stima è di gran lunga più difficile da ottenere.
la vulnerabilità ovvero il grado di perdita (espresso in una scala da 0 = "nessun danno" a 1
= "perdita totale") prodotto su un certo elemento esposto a rischio risultante dal verificarsi
dell’evento calamitoso temuto; essa indica quindi l’attitudine di un determinata “componente
ambientale” (popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture, etc.) a sopportare gli effetti
in funzione dell’intensità dell’evento.
il valore dell’elemento a rischio ovvero il valore (che può essere espresso in termini
monetari o di numero o quantità di unità esposte) della popolazione, delle proprietà e delle
attività economiche, inclusi i servizi pubblici, a rischio in una data area.
Il prodotto vulnerabilità per valore indica quindi il danno cioè le conseguenze derivanti all’uomo,
in termini sia di perdite di vite umane, che di danni materiali agli edifici, alle infrastrutture ed al
sistema produttivo.
Sotto determinate ipotesi il rischio può essere espresso semplicemente dalla seguente espressione,
nota come "equazione del rischio":
Il rischio esprime dunque il numero atteso di perdite di vite umane, di feriti, di danni a proprietà, di
distruzione di attività economiche o di risorse naturali, dovuti ad un particolare evento dannoso.
Spesso però è difficile giungere ad una stima quantitativa del rischio per la difficoltà della
parametrizzazione, in termini probabilistici, della pericolosità e della vulnerabilità e, in termini
monetari, degli elementi a rischio.
RISCHIO IDROGEOLOGICO
Con questo termine si fa riferimento al rischio derivante dal verificarsi di eventi meteorici estremi
che inducono a tipologie di dissesto tra loro strettamente interconnesse, quali frane ed esondazioni.
Rischio = Pericolosità x Vulnerabilità x Valore
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Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente da una panoramica di alcuni degli eventi
che hanno interessato l'area italiana: 5.400 alluvioni e 11.000 frane negli ultimi 80 anni, 70.000
persone coinvolte e 30.000 miliardi di danni negli ultimi 20 anni.
Basti pensare che 5.5811 comuni italiani (68,9% del totale) ricadono in aree classificate a potenziale
rischio idrogeologico più alto: il 21,1% dei comuni ha nel proprio territorio di competenza
aree franabili, il 15,8% aree alluvionabili e il 32,0% aree a dissesto misto ( aree
franabili e aree alluvionabili ). La superficie nazionale, classificata a potenziale rischio
idrogeologico più alto, è pari a 21.551,3 Km2 (7,1% del totale nazionale). La regione con il maggior
numero di comuni interessati è il Piemonte, mentre la Sardegna è la regione con il minor numero.
Le regioni caratterizzate dalla percentuale più alta, relativa al numero totale dei comuni interessati
da aree a rischio potenziale più alto, sono la Calabria, l’Umbria e la Valle d’Aosta, mentre la
Sardegna è quella con la percentuale minore.
In Italia il rischio idrogeologico si presenta sotto forme diverse a seconda dell’assetto
geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e dissesti morfologici di carattere
torrentizio, trasporto di massa lungo i conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e
sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura.
Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni, rientra senza dubbio
la conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia giovane e da rilievi in
via di sollevamento.
Tuttavia l’azione dell’uomo e le continue modifiche del territorio hanno, da un lato, incrementato la
possibilità di accadimento dei fenomeni e, dall’altro, aumentato la presenza di beni e di persone
nelle zone dove tali eventi erano possibili e si sono poi manifestati, a volte con effetti catastrofici.
L’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di
tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, l’apertura di cave, l’occupazione di zone di
pertinenza fluviale, l’estrazione incontrollata di fluidi dal sottosuolo, il prelievo di inerti dagli alvei
fluviali, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il
dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano.
Vediamo ora più nel dettaglio alcuni fenomeni attraverso cui può manifestarsi il dissesto
idrogeologico.
LE ALLUVIONI
Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico e sono causate da un
corso d’acqua che, arricchitosi con una portata superiore a quella prevista, rompe le arginature
oppure tracima sopra di esse, invadendo la zona circostante ed arrecando danni ad edifici,
insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone agricole, etc.
Le alluvioni più importanti che hanno interessato l’Italia e che hanno comportato un pesante
bilancio sia in termini di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel Polesine (1951),
dell’Arno (1966) e del Po (1994 e 2000).
In Italia le aree a rischio elevato e molto elevato di alluvione sono moltissime, coprono una
superficie di 7.774 kmq, pari al 2,6 % della superficie nazionale.
Questi fenomeni avvengono con frequenza sempre maggiore e spesso sono causati da
precipitazioni che possono anche non avere carattere di eccezionalità; tra le cause vi sono senza
dubbio l’elevata antropizzazione e la diffusa impermeabilizzazione del territorio, che impedendo
l’infiltrazione della pioggia nel terreno, aumentano i quantitativi e le velocità dell’acqua che
defluisce verso i fiumi, e la mancata pulizia dei fiumi che rende meno efficienti dal punto di vista
idraulico gli alvei dei corsi d’acqua.
Molti bacini idrografici, soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati da tempi di sviluppo
delle piene dell’ordine di qualche ora; per tale motivo, è fondamentale allertare gli organi
72
istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo possibile, al fine di ridurre l’esposizione
delle persone agli eventi e limitare i danni al territorio.
Una efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su interventi strutturali quali, per esempio, argini,
invasi di ritenuta, canali scolmatori, drizzagni, etc., sia su interventi non strutturali, ovvero quelli
relativi alla gestione del territorio, come i provvedimenti di limitazione della edificabilità, oppure
quelli relativi alla gestione delle emergenze, come la predisposizione dei modelli di previsione
collegati ad una rete di monitoraggio, la stesura dei piani di emergenza, la realizzazione di un
efficiente sistema di coordinamento delle attività previste in tali piani.
Alluvioni: come comportarsi
Soprattutto se si vive in zone a rischio è importante ascoltare con attenzione la radio o la televisione
per apprendere dell'emissione di eventuali avvisi di condizioni meteorologiche avverse. È utile
avere sempre a disposizione una torcia elettrica e una radio a batterie, per sintonizzarsi sulle stazioni
locali e ascoltare eventuali segnalazioni utili. Se ci si trova in condizione di preallarme si possono
salvaguarda i beni collocati in locali allagabili, solo se sei in condizioni di massima sicurezza;
bisogna poi assicurarsi che tutti gli abitanti siano al corrente della situazione; è bene quindi dirigersi
verso i piani alti delle case, evitando scantinati e piani terra, evitando la confusione e mantenendo la
calma.
Se non si corre il rischio di allagamento, è preferibile rimanere in casa, avendo cura di chiudere il
gas, l’impianto di riscaldamento e quello elettrico; di porre paratie a protezione dei locali situati al
piano strada e di chiudere le porte di cantine o seminterrati.
All’esterno infatti la situazione potrebbe diventare critica: l’acqua dei fiumi trasporta detriti
galleggianti che possono ferire o stordire; macchine e materiali possono ostruire temporaneamente
vie o passaggi che cedono all’improvviso; le strade spesso diventano dei veri e propri fiumi in
piena.
E’ fondamentale ricordare che la differenza tra il preallarme e l’allarme o evento in corso, può
essere minima e di difficile previsione: è sufficiente che la pioggia si concentri in una zona ristretta
per dar luogo a fenomeni improvvisi di inondazione.
Se ci si trova fuori casa è bene evitare l’uso dell’automobile se non in casi strettamente necessari;
evitare di transitare o sostare lungo gli argini dei corsi d’acqua, sopra ponti o passerelle, nei
sottopassi, sotto scarpate naturali o artificiali.
E’ bene allontanarsi tempestivamente verso i luoghi più elevati, non andando mai verso il basso.
Raggiunta la zona sicura, bisogna prestare la massima attenzione alle indicazioni fornite dalle
autorità di protezione civile, attraverso radio, TV e automezzi della Protezione Civile.
E’ importante evitare qualsiasi contatto con le acque: spesso l’acqua può essere inquinata da
petrolio, nafta o da acque di scarico; inoltre può essere carica elettricamente per la presenza di linee
elettriche interrate.
Il fondo delle strade può essere indebolito e potrebbe collassare sotto il peso di una automobile, si
dovrebbe quindi evitarne l’uso.
LE FRANE
Una frana avviene quando delle masse di roccia si staccano da pendii più o meno ripidi e cadono, o
scivolano, verso il basso sotto l’azione della forza di gravità.
Il meccanismo di una frana si può spiegare in questo modo: il materiale che costituisce un pendio,
una scarpata o una parete rocciosa, è attirato verso il basso della gravità, la forza che dà peso a ogni
oggetto. Rimane in quella posizione perché delle resistenze interne lo trattengono. Questo equilibrio
di forze dipende da fattori come la natura del terreno o della roccia, la forma del pendio o la
quantità d’acqua presente. Tali condizioni possono cambiare, per cause naturali o artificiali. In
questo caso l’equilibrio si può spezzare in favore della forza di gravità, che vince le resistenze
interne e trascina il materiale verso il basso causando, in altre parole, una frana.
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Ogni frana è un evento a sé, nel senso che può essere generata e si può sviluppare a seguito di
elementi e situazioni locali molto varie. Essa è fondamentalmente caratterizzata da fattori
predisponenti, ossia fattori che creano situazioni favorevoli alla sua generazione, come la natura e
la struttura del suolo, la pendenza dei versanti o l’inclinazione degli strati, e fattori determinanti,
ossia fattori che danno il via al movimento franoso, quali le piogge, le infiltrazioni d’acqua nel
terreno, i terremoti, ecc.
Le frane possono essere provocate da cause naturali, quali la pioggia o la presenza di fratture nel
terreno, e da cause artificiali, quali la costruzione di edifici sui pendii, o il disboscamento, che
priva il terreno della protezione delle radici. Per questo motivo è sempre molto importante rispettare
la natura, il cui equilibrio regola con armonia le forze che l’uomo invece tende a violare.
Frane: come comportarsi
Dettare precise norme di comportamento nel caso si fosse coinvolti in una frana è praticamente
impossibile, dato che gli elementi che la caratterizzano sono molteplici e di difficile controllo.
E’ bene essere informarti sulla presenza di aree a rischio di frana nel territorio comunale di
residenza; anche l’osservazione del terreno è una misura preventiva si possono rilevare piccole
frane o variazioni nella morfologia del terreno che potrebbero essere avvisaglie di eventi franosi. In
alcuni casi poi, prima delle frane, sono visibili sui manufatti alcune lesioni e fratturazioni e alcuni
muri tendono a ruotare o traslare.
E’ importante ricordare che non ci sono case o muri che possano arrestare una frana, soltanto un
luogo più elevato può considerarsi sicuro; spesso le frane si muovono in modo repentino, come le
colate di fango, bisognerebbe quindi evitare di transitare nei pressi di aree già sottoposte ad eventi
franosi, in particolar modo durante temporali o piogge violente.
Nel caso ci si trovi coinvolti in un evento franoso bisogna tempestivamente allontanati dai corsi
d’acqua o dalle incisioni torrentizie nelle quali vi può essere la possibilità di scorrimento di colate
rapide di fango.
Se ci si trova all’interno di un edificio bisogna ricordare che questo luogo può non essere sicuro, né
garantire alcun riparo, si deve quindi uscire ed allontanarsi immediatamente.
Se la frana viene verso di noi o se è sotto di noi, ci si deve allontanare il più velocemente possibile
lateralmente, cercando di raggiungere una posizione più elevata o stabile; se non è possibile
scappare, è bene rannicchiarsi il più possibile su se stessi, proteggendo la testa.
E’ bene guardare sempre verso la frana facendo attenzione a pietre o ad altri oggetti che,
rimbalzando, ci possano colpire; soffermarsi sotto pali o tralicci non è una buona precauzione,
questi potrebbero crollare e caderci addosso.
Se invece si sta percorrendo una strada in macchina ed una frana è appena caduta, bisogna segnalare
il pericolo alle altre automobili che potrebbero sopraggiungere e dare tempestivamente l’allarme al
più vicino centro abitato.
Una volta che la frana sembra finita è importante non avvicinarsi al ciglio esso infatti risulta
estremamente instabile; bisogna invece allontanarsi subito dall’area dato che può esservi il rischio
di ulteriori frane.
Mantenendosi all’esterno dell’area in frana si deve controllare se vi sono feriti o persone
intrappolate segnalandone, in questo caso, la presenza ai soccorritori.
Le frane possono spesso provocare la rottura di linee elettriche, del gas e dell’acqua, unitamente
all’interruzione di strade e ferrovie. Nel caso di perdita di gas da un palazzo, non si deve
assolutamente entrare per chiudere il rubinetto del gas, ma riferire subito questa notizia ai Vigili del
Fuoco o ad altro personale specializzato.
SUBSIDESCENZE E SPROFONDAMENTI
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La subsidenza consiste in un lento processo di abbassamento del suolo, che può coinvolgere
territori di estensione variabile. Tale fenomeno è generalmente causato da fattori geologici, ma
negli ultimi decenni è stato localmente aggravato dall’azione dell’uomo ed ha raggiunto dimensioni
spesso preoccupanti.
La subsidenza naturale è causata da diversi fattori: movimenti tettonici, raffreddamento di magmi
all’interno della crosta terrestre, costipamento di sedimenti, …; i movimenti verticali di tipo
naturale possono raggiungere valori di qualche millimetro l’anno. Le subsidenze prodotte o
aggravate da azioni antropiche invece possono essere anche di qualche metro; esse sono di norma
causate da emungimento di acque dal sottosuolo, estrazione di gas o petrolio, carico di grandi
manufatti, estrazione di solidi, ...
In Italia i fenomeni di lenta subsidenza si sono verificati lungo la fascia costiera adriatica da Rimini
a Venezia (dove questo fenomeno è particolarmente noto), specialmente nei pressi del Delta del Po,
ma anche nei dintorni di agglomerati urbani come Milano, Bologna e Modena, in questi casi
soprattutto per l’estrazione di acqua dal sottosuolo. Casi più recenti sono stati segnalati in Puglia,
nella Piana di Sibari e nella Pianura Pontina.
I provvedimenti da attuare a fini preventivi consistono essenzialmente in una corretta gestione delle
risorse idriche, evitando di ricorrere in modo eccessivo al prelievo dalle falde, ed in una rigorosa
pianificazione delle attività estrattive.
Un problema affine a quello della subsidenza, ma che ha, al contrario del primo, importanti ricadute
di protezione civile, è quello degli sprofondamenti rapidi (sinkholes). Tali fenomeni sono dovuti sia
a cavità naturali presenti nel sottosuolo che a cavità realizzate dall’uomo fin dall’antichità (cave in
sotterraneo, ambienti di vario uso, depositi, acquedotti, fognature, drenaggi,…).
Il rischio legato alle cavità sotterranee è particolarmente diffuso nelle aree urbane dove l’azione
dell’uomo ha portato alla creazione di vuoti nel sottosuolo per la maggior parte dei quali si è persa
la consapevolezza dell’esistenza, a causa soprattutto della incontrollata crescita urbanistica degli
ultimi decenni.
RISCHIO SISMICO E VULCANICO
Il termine terremoto deriva dal latino tèrrae mòtus che significa “movimento della terra”, sisma
invece viene dal greco seismós, “scossa”; con tali vocaboli si intende un'improvvisa vibrazione del
terreno prodotta da una brusca liberazione di energia, tale
energia si propaga in tutte le direzioni (come una sfera)
sotto forma di onde.
L’origine di questa energia è una zona del sottosuolo in
cui si era andata nel tempo accumulando, tale zona è
chiamata ipocentro, mentre il punto della superficie
terrestre posto sulla verticale di essa viene detto
epicentro.
I terremoti possono originarsi a pochi chilometri di
profondità ma anche a profondità notevoli, fino ad oltre
700 chilometri sotto la superficie terrestre.
A parità di energia liberata l’ampiezza dell’area in cui il
terremoto si manifesta è tanto meno estesa quanto più è superficiale l’ipocentro. Con il crescere
della profondità dell’ipocentro gli spostamenti del terreno in superficie si fanno sempre più lievi ma
nello stesso tempo si estende l’area in cui gli effetti del sisma si fanno sentire; da ciò si deduce che i
terremoti più violenti generalmente sono quelli con ipocentro poco profondo.
75
Vediamo ora qual è l’origine dell’energia che scatena un sisma: se una porzione di roccia inizia a
deformarsi, essa offrirà una certa resistenza (che cambia a seconda del tipo di roccia), ma quando le
forze che tengono insieme la roccia vengono superate da quelle che la deformano allora questa si
spezza e si ha un brusco spostamento delle due parti che rilasciano l'energia che avevano
accumulato durante la deformazione e ritornano in uno stato indeformato. Lo spostamento avviene
sia verticalmente che orizzontalmente. Di solito queste rotture, ed i conseguenti spostamenti, si
hanno lungo linee preferenziali chiamate faglie, che sono sostanzialmente fratture nel terreno,
profonde anche vari chilometri, lungo le quale avvengono i movimenti del terreno. Infatti una faglia
non è altro che una linea di minore resistenza della roccia sottoposta a pressioni e quindi la rottura
avviene sempre lungo questa linea.
Diverse possono essere le cause che generano il terremoto: eruzioni vulcaniche, collassi di caverne
o impatti con meteoriti, ma le più frequenti sono gli spostamenti reciproci delle zolle di cui è
formata la crosta terrestre. Nella maggior parte dei casi
quindi i terremoti si generano quando due placche slittano lungo la superficie di separazione (detta
piano di faglia) in direzioni opposte. Normalmente l’attrito impedisce che le zolle si muovano lungo
la linea di contatto, ma questa resistenza comporta un notevole accumulo di tensione nei blocchi
rocciosi che lentamente si deformano. Quando lungo il margine delle placche a contatto le pressioni
che si vengono a creare superano la resistenza dovuta all’attrito, si verifica un improvviso e brusco
movimento reciproco. Un esempio di questo meccanismo di azione si ha in California dove la
gigantesca zolla del Pacifico, spinta dal magma che fuoriesce dalla dorsale medio-oceanica, entra in
contatto con la zolla del Nord-America lungo la famosa e temutissima faglia di San Andreas:
quando l’attrito che si genera fra questi due enormi blocchi di crosta terrestre raggiunge il limite di
resistenza l’energia lentamente accumulata si scarica tutta insieme generando un terremoto.
A volte, invece che scontrarsi con sollevamento della crosta e conseguente nascita di possenti
catene montuose (come è avvenuto ad esempio per le Alpi e l’Himalaia) una placca si infila sotto
un’altra: il fenomeno si chiama subduzione e rappresenta la causa principale dei fenomeni sismici
che tormentano l’arcipelago nipponico mettendo in pericolo costante e mortale una delle zone a più
alta concentrazione demografica del mondo.
Le regioni più sismiche sono fondamentalmente due: il bordo dell’Oceano Pacifico, il cosiddetto
“anello di fuoco”, che comprende da un lato Cile, Perù, Equador, Columbia, America Centrale,
Messico, California e Alaska e dall’altro Russia, Giappone, Filippine, Nuova Guinea e Nuova
Zelanda dove si verifica l’80% dei terremoti e la fascia mediterranea (all’interno della quale è
inserita anche la nostra penisola) che si protende in Asia fino a congiungersi con quella del Pacifico
attraverso le Indie Orientali: qui si verifica il 15% dei terremoti. Il rimanente 5%, distribuito nel
resto della Terra, è concentrato soltanto in ristrette aree, con prevalenza sulle creste delle dorsali
medio-oceaniche, mentre praticamente non si manifestano terremoti nel corpo dei continenti e nei
fondi oceanici che sono considerate le zone più stabili della Terra.
Non meno importante è il rischio associato alle eruzioni vulcaniche, concentrato però in un'area
sensibilmente più ristretta rispetto a quella sottoposta al rischio sismico.
Un vulcano è la via attraverso la quale il materiale fuso, chiamato magma, dall'interno della Terra
arriva in superficie, trabocca all'esterno e si raffredda formando la roccia effusiva chiamata lava.
Nel corso di tale movimento porzioni di magma possono rimanere intrappolate entro la crosta e non
raggiungere mai la superficie. In questo caso si raffreddano e formano roccia solida all'interno della
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crosta stessa, dando origine alle rocce plutoniche o intrusive. Vediamo che magmi diversi (per
composizione chimica, per temperatura o per contenuto in gas), che fuoriescono in situazioni
geologiche diverse (sul fondo del mare, o dopo aver attraversato la crosta oceanica o quella
continentale), danno origine a differenti tipi di eruzioni; queste a loro volta, a secondo del modo di
come avvengono, danno origine a diversi prodotti vulcanici e a diversi vulcani.
Tra i fattori che determinano la natura di un'eruzione, quelli principali sono: la composizione
chimica del magma, la sua temperatura e la quantità di gas disciolti in esso. I primi due
controllano principalmente la mobilità del flusso di magma, chiamata più precisamente viscosità;
quanto più questo è viscoso tanto maggiore è la sua difficoltà a muoversi e scorrere. Una delle
differenze composizionali che più determinano differenti viscosità e quindi differenti tipi di eruzioni
è la quantità di silice (SiO2).
Se osserviamo la distribuzione dei vulcani nel mondo, notiamo che questa ricalca quella vista in
precedenza per le aree sismiche. La maggior parte di essi infatti si trova in corrispondenza dei
contatti tra le varie placche che formano la crosta, e in particolare lungo i margini di subduzione.
Alcuni invece si trovano lontani da questi margini attivi, come quelli delle Hawaii, che sono
associate agli hot spots, fessurazioni della crosta attraverso cui il magma risale direttamente dal
mantello.
In Italia sono considerati attivi solamente l’area costiera della Campania, con i complessi vulcanici
dei Campi Flegrei, Ischia e Somma-Vesuvio, l’Etna e le isole Eolie.
Associati al rischio vulcanico sono numerosi fenomeni tra cui:
· colate di lava e piroclastiche;
· ricaduta di proietti vulcanici di varie dimensioni;
· emissione di gas;
· colate di fango;
· terremoti e maremoti (vedi ad esempio quello avvenuto nel corso dell’eruzione dello
Stromboli del 2002, probabilmente collegato ad una frana sottomarina da un fianco del vulcano).
Il rischio vulcanico è elevato, nelle suddette aree, principalmente per la concentrazione e
l’estensione dell’urbanizzazione a ridosso degli apparati vulcanici attivi. Particolarmente allarmante
è il caso del Vesuvio, apparentemente quiescente dal 1944, e dei Campi Flegrei in cui, in caso di
necessità, è evidente la difficoltà di utilizzare efficacemente la “macchina” dei soccorsi e procedere
all’evacuazione delle centinaia di migliaia di persone individuate come sottoposte a rischio elevato.
Le eruzioni dell’Etna e dell’isola vulcanica di Stromboli del 2002, fortunatamente senza gravi
conseguenze, sono il più recente esempio di come l’evento vulcanico, per quanto più facilmente
prevedibile e modellabile rispetto al terremoto, rimanga comunque una sorgente significativa di
rischio e conservi margini significativi di incertezza rispetto all’evoluzione dei fenomeni. In
conseguenza di ciò, insieme a studi sempre più approfonditi, assume carattere prioritario nel medio
e lungo termine un energico intervento di pianificazione territoriale per ripristinare un corretto
assetto urbanistico.
Terremoto: come comportarsi
Innanzi tutti è fondamentale cercare di mantenere la calma e non farsi prendere dal panico.
Se ci si trova in un luogo chiuso è sbagliato precipitarsi fuori, è meglio restare all’interno,
riparandosi sotto un tavolo, sotto gli architravi delle porte o vicino ai muri portanti; è importante
tenersi lontano invece dalle finestre, dalle porte a vetri, dagli armadi perché potrebbero cadere,
rompendosi e ferirci.
Un luogo da evitare è il vano delle scale, queste potrebbero crollare o comunque danneggiarsi: è
pericoloso quindi usarle, è sempre preferibile avvalersi delle scale di emergenza esterne.
L’edificio andrebbe abbandonato solo all’ordine di evacuazione dei Vigili del Fuoco, bisogna
quindi seguire scrupolosamente le loro indicazioni e, se ci si trova a scuola, il piano di evacuazione
previsto, uscendo dall’edificio senza usare gli ascensori né le scale principali, ma le scale e le uscite
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d’emergenza. Una volta fuori ci si deve radunare negli appositi spazi di raccolta in modo da non
correre ulteriori rischi e da facilitare il compito ai vigili.
Se ci si trova all’aperto bisogna tempestivamente allontanarsi dagli edifici, dagli alberi, dai
lampioni e dalle linee elettriche perché potrebbero cadere e ferirci.
E’ importante trovare un posto dove non si ha nulla sopra di noi (balconi, insegne, lampioni,…) o
comunque cercare riparo sotto qualcosa, come una panchina ad esempio.
Infine è bene non avvicinarsi agli animali, questi sono molto spaventati dai terremoti e potrebbero
imbizzarrirsi e ferirci.
LE VALANGHE
Le valanghe (o slavine) sono costituite da masse nevose che si distaccano in modo improvviso e
repentino dai pendii di un rilievo, precipitando verso valle ed accrescendosi di volume durante il
percorso.
Il pericolo delle valanghe è fortemente legato alla presenza di turisti ed escursionisti in montagna e
quindi della maggiore esposizione sia delle persone che degli edifici e delle infrastrutture al rischio
di valanghe.
La classificazione delle valanghe non è delle più semplici a causa delle notevoli variabili che
entrano in gioco (tipo di distacco, tipo di neve, posizione del piano di scorrimento, etc.).
E’ molto importante, per le valanghe (che possono essere sia spontanee che innescate), determinare
se si tratti di valanghe di superficie o di fondo: se la rottura avviene all’interno del manto nevoso, si
ha una valanga di superficie, mentre se avviene a livello del terreno, la valanga è detta di fondo. Le
valanghe possono essere poi radenti (a contatto con la superficie) o nubiformi (queste ultime sono
dette anche polverose e possono essere costituite di neve asciutta).
Prevedere la caduta di una valanga non è un compito semplice, in quanto spesso la loro caduta non
è preceduta da alcun preavviso; pur tuttavia sono note con una certa precisione quali sono le aree a
rischio di valanghe e vengono segnalate situazioni di pericolo mediante i cosiddetti “bollettini delle
valanghe”.
Le cause della valanghe possono essere diverse, ma in ogni caso riferibili alla diminuzione della
coesione della massa nevosa, che ne determina il distacco. A questo proposito, aspetti di una certa
rilevanza sono la lunga permanenza di uno strato di neve in superficie, il riscaldamento primaverile
e l’azione di piogge di una certa consistenza.
I provvedimenti da attuare nel caso di rischio valanghe consistono innanzitutto nel conoscere quali
sono le aree dove tali fenomeni si generano: in generale, infatti, le valanghe prendono origine quasi
sempre dagli stessi luoghi, tipicamente aree di alta montagna, con terreni rocciosi nudi, tra i
2.000 ed i 3.000 metri, prive per lo più di copertura vegetale.
In questo caso un provvedimento da adottare consiste senz’altro nell’evitare queste aree, soprattutto
in periodi molto pericolosi, come l’inizio della primavera, quando l’innalzamento delle
temperature può essere tale da provocare lo scioglimento repentino delle masse nevose.
Valanghe: come comportarsi
E’ bene informarsi sempre sulle condizioni di innevamento e dei versanti, consultando
frequentemente anche i bollettini delle valanghe, che forniscono indicazioni rapide e sintetiche sul
pericolo di valanghe, secondo una scala numerica crescente da 1 a 5.
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Rispettare la segnaletica e le indicazioni presenti sulle piste riguardo le condizioni dei percorsi sci,
alpinistici e di discesa fuori pista, evitando di passare attraverso versanti a forte pendenza ed a forte
innevamento o attraverso pendii aperti, canaloni e zone sottovento, specialmente nelle ore più calde,
è basilare per evitare inutili rischi.
E’ essenziale poi che ogni escursionista non sia mai solo, sia adeguatamente equipaggiato, al fine di
rendere possibile l’autosoccorso da parte degli altri escursionisti in un arco di tempo
sufficientemente ridotto.
E’ necessario dunque disporre di un apparecchio di ricerca per la rapida localizzazione in valanga
(ARVA) che, posto in trasmissione all’inizio dell’escursione, viene commutato in modalità di
ricerca nel caso di incidente.
Gli altri materiali per l’autosoccorso sono costituiti da una sonda leggera per l’individuazione del
punto esatto in cui si trova la persona sepolta ed una pala per poter liberare il più velocemente
possibile una persona sepolta: in genere la profondità di seppellimento si aggira intorno al metro.
L’equipaggiamento sopra menzionato deve essere in possesso di ogni componente della comitiva.
Nel caso in cui non si sia in grado di effettuare l’autosoccorso, o anche semplicemente per avere
bisogno di aiuto, occorre chiedere immediatamente soccorso telefonando al 118. In questo caso
scatta il cosiddetto “soccorso organizzato” organizzato appunto dal Soccorso Alpino con l’ausilio
di elicotteri, cani da valanga e tecnici specializzati.
Se si rimane coinvolti in prima persona dalla valanga è bene ricordare che la neve tende ad
accumularsi nella zona centrale e quindi potrebbe essere più facile trovare una via di fuga laterale,
bisogna quindi muovere braccia e gambe, come se si nuotasse, per cercare di avvicinarsi al margine
della valanga e di rimanere in superficie.
EROSIONE COSTIERA E MAREGGIATE
In un paese con migliaia di chilometri di coste come il nostro, il problema dell’erosione costiera è
molto diffuso e sentito.
Negli ultimi decenni, a causa dei prelievi indiscriminati di ghiaia e di sabbia lungo l’alveo di molti
fiumi italiani, è diminuito enormemente l’apporto del trasporto solido fluviale (sedimenti, detriti,
…) recapitato alle spiagge. Per tale motivo, in numerosi litorali la linea di costa è vistosamente
arretrata, portandosi a ridosso di strade, edifici, insediamenti industriali, minacciandone l’integrità e
costringendo talvolta la popolazione ad evacuare l’area.
Il problema è stato inoltre aggravato dalle mareggiate che, con frequenza variabile, si abbattono
sulle coste e modificano, in modo anche sostanziale, la morfologia della linea di costa.
Per contrastare tali fenomeni, sono state spesso costruite numerose opere di difesa, sia trasversali
alla riva (pennelli), longitudinali (frangiflutti), che radenti (muri di sponda, paratie, etc.).
Nei casi in cui l’arretramento sia stato talmente cospicuo da erodere gran parte della spiaggia, sono
stati attuati interventi più drastici, quali il ripascimento artificiale, consistente nel disporre sulla
spiaggia idoneo materiale di riporto, estratto da cave, in modo da ripristinare le originarie
condizioni dell’arenile.
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Capitolo 6
80
INTRODUZIONE
Come già evidenziato, la domanda di energia continuerà a crescere, fondamentalmente, a causa
dell’aumento di popolazione, quindi dei consumi mondiali e dell’aumento del tenore di vita dei
PVS e soprattutto della vertiginosa industrializzazione di Cina e India. Ciò comporta e comporterà
un aumento della produzione di combustibili fossili, proprio per far fronte ai previsti incrementi dei
consumi finali di energia. A questo punto appare rilevante la gestione dell’energia: una corretta
gestione si può ottenere agendo direttamente sulla produzione, con un’elaborazione istante per
istante dell’energia richiesta. Questa è una pratica estremamente difficile ed onerosa e può essere
applicata in casi particolari (turbine a gas o sistemi di caduta idraulica) usufruendo però di un
vettore energetico, l’elettricità, estremamente raffinato e costoso. Ben più proficua è la pratica di
accumulare energia per poi ridarla nel tempo. L’accumulo può avvenire sfruttando fenomeni
naturali oppure valendosi di azioni tecnologiche su larga scala oppure mediante azioni istantanee
compiute sull’andamento di disponibilità energetica in relazione alla domanda.
Contemporaneamente assume grande rilevanza il tema del trasporto di energia che, avvalendosi
prevalentemente dell’elettricità quale vettore energetico, presenta innanzitutto problemi di carattere
economico. E’ emerso allora, come aspetto di economicità di trasporto, l’uso di aeriformi o di
composti chimici particolari. Infine, le tecnologie di recupero del calore, sviluppate in conseguenza
del marcato aumento del prezzo del petrolio, hanno dato impulso al sistema di trasporto e gestione
del calore a distanza (teleriscaldamento) dando possibilità di differenziare sempre più la fase di
utilizzo. In ogni caso, mentre prima per il vettore energetico le varie fasi di elaborazione, trasporto e
consumo finale risultavano concentrate, ora si tende sempre più ad usare vettori energetici adatti e
ottimizzati per ciascuna delle tre fasi . La priorità, oggi, è quella di garantire un corretto accesso alle
fonti onde consentirne uno sfruttamento razionale e, nel breve-medio periodo, giungere alla
sostituzione graduale delle fonti fossili con fonti rinnovabili tra le quali sta assumendo crescente
importanza l’idrogeno la cui produzione, come si vedrà in seguito, è strettamente connessa con
entrambe le categorie di fonti. Nei prossimi paragrafi si effettuerà quindi, un’analisi delle questioni
connesse alla gestione delle principali fonti energetiche considerando la loro fondamentale
distinzione in fonti rinnovabili e non, cui seguiranno le relative implicazioni ambientali.
1. Le fonti energetiche non rinnovabili
Le fonti di origine fossile che attualmente sono alla base della produzione di energia sono il
petrolio, il carbone e il gas naturale. Il combustibile fossile per eccellenza è il petrolio: esso ha
avuto un’ampia e irreversibile diffusione parallelamente e coerentemente con lo sviluppo della
tecnologia industriale e civile. Il petrolio è alla base di consumi energetici per generazione di calore
a bassa e media temperatura e di consumi per produzione di numerose materie prime di sintesi. Uno
degli aspetti più significativi è quello della distribuzione e del consumo delle risorse in Paesi
differenti da quelli in cui si ha il massimo di produzione. Conseguentemente, le crisi economiche
che hanno avuto origine dai tagli alla produzione di petrolio, hanno coinvolto tutti i Paesi
industrializzati la cui economia è basata prevalentemente sull’impiego di questo combustibile. Il
petrolio è così intimamente connesso con la struttura energetica, industriale ed economica, che ogni
sua variazione di prezzo, di uso, di tecnologia può avere effetti imprevedibili. Le stesse politiche di
risparmio sono in parte legate ad un continuo aumento del prezzo che è costantemente sotto
81
controllo gestionale delle principali compagnie petrolifere. Il prezzo di mercato del petrolio, infatti,
non è ancorato ai costi bensì viene fissato con precisi criteri di opportunità politica. Ma proprio il
continuo aumento dei prezzi, sta mutando questa situazione, permettendo investimenti anche in
giacimenti sino ad ora non ritenuti remunerativi. L’utilizzazione dei grandi giacimenti del Mare del
Nord, dei giacimenti off-shore nel Mediterraneo, nell’Adriatico in particolare, ha avuto proprio
origine da tutto ciò . Il problema principale posto dall’impiego dei combustibili fossili è quello del
danno ambientale causato dai prodotti della loro combustione, ma anche dalle tecnologie per la loro
estrazione, trasporto, trattamento ed in particolare il loro utilizzo finale. E’ indubbio che l’utilizzo
dei combustibili fossili, ancorché abbia agevolato ed in alcuni casi addirittura permesso lo sviluppo
tecnologico ed il progresso, purtuttavia ha avuto un effetto dannoso sull’ambiente provocando
anche effetti economici negativi, diretti ed indiretti. I danni maggiori, comunque, sono quelli legati
al loro impiego finale. In particolare, la combustione libera nell’aria, oltre all’anidride carbonica,
anche elementi aggiunti nella fase di raffinazione (piombo, alcol, metanolo, etanolo, ecc.). Una
volta liberati nell’atmosfera, essi, mescolati all’acqua e con effetti innescati dalla luce solare, si
combinano chimicamente con altre sostanze, cambiando la loro forma e dando vita ad agenti
inquinanti secondari (nitrati, acidi, ecc.) che provocano l’inquinamento, con notevoli effetti sulla
salute umana e sul mondo animale e vegetale. Oltre alle cosiddette piogge acide, provocate dagli
ossidi di azoto e di zolfo, sono state ormai anche riconosciute la rugiada, la nebbia e le nevi acide, la
cui deposizione provoca l’acidificazione di suoli ed acque (Veziroglu, 1998). Infine, non è da
sottovalutare la principale conseguenza di tali fenomeni: il cosiddetto effetto serra. Da qualche
decennio, un aumento della concentrazione di gas serra nell'atmosfera ne sta riducendo la
trasparenza alle lunghezze d'onda infrarosse, causando un aumento globale della temperatura.
Vengono generalmente definiti gas serra quei gas in grado di "intrappolare" la radiazioni infrarosse
causando l'aumento della temperatura sulla superficie terrestre. Questi gas sono essenzialmente:
l'anidride carbonica, il metano, il protossido di azoto, gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi e
l'esafluoruro di zolfo. Se, a causa dell'effetto serra, dovesse verificarsi un riscaldamento globale
della superficie terrestre, il ghiaccio della Groenlandia e del Mar Glaciale Artico si scioglierebbe e
una enorme quantità di acqua dolce si aggiungerebbe a quella del Tropico. Inoltre la temperatura
più mite farebbe aumentare le piogge sull'Artico, la loro acqua dolce aggraverebbe la situazione, la
Corrente del Golfo non farebbe più sentire i suoi benefici effetti e i ghiacci artici ricomincerebbero
ad estendersi. Dato che l'acqua riflette solo il 10% della radiazione solare, assorbendo il resto (e
quindi riscaldandosi), mentre il ghiaccio ne riflette ben il 90%, si avrebbe quindi un ulteriore
raffreddamento, che porterebbe ad una nuova era glaciale (http://www.inclasse.it).
Tra i gas l'anidride carbonica (CO2) è certamente quello più influente sull'effetto serra. Dopo
l’adozione del Protocollo di Kyoto , l’acceso dibattito sugli indicatori di emissione dei gas serra, in
particolare di CO2, costituisce il segnale della reale attenzione dei Paesi industrializzati alla
riduzione di tali emissioni. Gli accordi raggiunti, se rispettati, consentiranno una notevole riduzione
ed un miglioramento qualitativo dell’impiego di energia nei Paesi partecipanti. Le emissioni
mondiali di CO2, , sono cresciute costantemente dell’1,3% all’anno durante gli anni 1980, mentre la
crescita è aumentata notevolmente nella seconda metà degli anni 1990. I Paesi che hanno
fortemente contribuito a determinare l’aumento delle emissioni di CO2 (anche fino al 6%), sono
quelli dell’area asiatica, mediorientale e dell’America Latina mentre le emissioni dei Paesi
industrializzati non sono aumentate, in media, più del 2%. ll settore che di gran lunga contribuisce a
tali emissioni è quello della produzione di energia, in seguito alla crescente elettrificazione delle
aree in via di sviluppo, che si prevede continuerà ed aumentare nei prossimi anni. Questa tendenza
sarà accentuata dall’impiego di una quantità sempre crescente di combustibili solidi per la
generazione di energia termica, mentre si prevede una riduzione delle emissioni dei settori terziario
e domestico grazie all’implementazione del gas naturale. Attualmente, esistono diversi metodi per
catturare l’anidride carbonica prodotta dalla combustione delle fonti fossili negli impianti per la
produzione di energia e si suddividono in genere in processi pre-combustione e post-combustione.
82
Nel secondo caso, si tratta di adottare particolari metodi di reforming e gassificazione, che saranno
trattati nel prossimo capitolo. Per quanto riguarda i processi pre-combustione, al flusso di gas
prodotto viene applicato un particolare solvente a base di ammina, già utilizzato nell’industria
chimica e petrolifera. Esso consente di catturare l’anidride carbonica che viene poi isolata tramite
riscaldamento del solvente, e quest’ ultimo riutilizzato per altri processi. L’energia necessaria alla
L’energia necessaria alla rigenerazione del solvente rappresenta uno dei principali svantaggi di
questo metodo, oltre agli alti costi delle strutture necessarie. Diversi studi infatti, hanno dimostrato
che l’intero processo comporterebbe una riduzione delle emissioni di anidride carbonica dell’80% a
fronte, però, di un notevole incremento dei costi operativi ed una diminuzione dell’efficienza di
produzione di elettricità (Wallace, 2000). Numerosi studiosi infine, si sono occupati di quantificare
economicamente il danno ambientale provocato dalle fonti energetiche. Tali costi (le cosiddette
esternalità) non sono da considerare compresi nei prezzi dei combustibili fossili. Essi sono pagati
dalla collettività, direttamente o indirettamente, tramite tasse, spese sanitarie, premi di
assicurazione, e anche attraverso la diminuzione della qualità della vita. Se i rispettivi danni
ambientali fossero inclusi nel prezzo dei combustibili, si ricorrerebbe certamente all’introduzione di
fonti "pulite" con notevoli benefici ambientali ed economici
IL PROTOCOLLO DI KYOTO
Il protocollo di Kyoto è un accordo internazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra,
responsabili del surriscaldamento del pianeta (global warming), firmato il 7 dicembre 1997, il
giorno seguente alla chiusura ufficiale della terza Conferenza delle Parti della Framework
Convention on Climate Change. L’adozione del protocollo di Kyoto ha rappresentato la tappa più
rilevante del processo di negoziazione per il controllo del cambiamento climatico, avviato alla
Conferenza di Rio del 1992. I Paesi soggetti a vincolo di emissione sono 39, ed includono,
sostanzialmente, i Paesi dell’OCSE e quelli con economie in transizione. Il tasso di riduzione delle
emissioni (misurate in CO2 equivalenti) è già differenziato per ogni Paese con un valore medio di
riduzione pari al 5,2%. Le percentuali di riduzione dei diversi Paesi sono state oggetto di
lunghe trattative e non sono state accettate dalla politica statunitense e giapponese che prevedevano,
invece, la semplice stabilizzazione delle emissioni ed una riduzione al 2,5%. Al contrario,
all’Europa, è stato accordato un tasso di riduzione dell’8% benché si fosse dichiarata disposta ad
una più massiccia riduzione del 15%. Molti altri obbiettivi sono stati fissati a seguito di posizioni
intransigenti sostenute dalla Norvegia, Australia, Federazione Russa. Al di là degli importantissimi
problemi di equità, è un fatto che l’esclusione dei PVS dal vincolo di emissione indebolisce
notevolmente la forza del protocollo. Si stima infatti che i ¾ dell’incremento delle emissioni di CO2
, tra l’anno 1995 e l’anno 2010, verrà dalla Repubblica Popolare di Cina e dai PVS mentre per
raggiungere la stabilizzazione delle emissioni globali di gas serra occorre una loro diminuzione del
50% entro l’anno 2050. L’accordo lascia alle Parti un certo grado di libertà nel raggiungimento
dell’obiettivo, da realizzare nell’intervallo 2008-2012, attraverso alcuni meccanismi che dovrebbero
dar luogo, con la dovuta flessibilità, ad una minimizzazione dei costi (http://www.energia-
online.com). Le principali politiche energetiche che si stanno attuando puntano in primo luogo alla
riduzione delle emissioni di CO2, che senza tali misure, si stima possano aumentare del 30%
nell’anno 2020. Tali politiche, oltre alla riduzione nei livelli di attività ed al miglioramento
dell’efficienza di conversione nella fase di fornitura dell’energia, prevedono numerosi interventi nel
settore dei trasporti. Essi consistono essenzialmente nel cambiamento graduale dei combustibili
impiegati con incremento dell’impiego di fonti rinnovabili, nell’incoraggiare i costruttori a
sviluppare ed investire in tecnologie per la costruzione di veicoli a ridotto impatto ambientale ed
alta efficienza energetica e nel favorire l’acquisto di tali veicoli attraverso l’erogazione di incentivi.
Inevitabilmente, per la complessità degli impegni e dei meccanismi previsti, il documento è
incompleto e ha lasciato, implicitamente o esplicitamente, un gran numero di questioni irrisolte.
83
Infatti, undici mesi dopo Kyoto, a Buenos Aires, nella quarta conferenza delle Parti, i Paesi si sono
incontrati per cercare di chiudere tali questioni. La divergenza degli interessi e le differenti
sensibilità ambientali dei Paesi hanno dato luogo ad una sorta d’impasse: il chiarimento dei punti
critici è stato rimandato ad un piano d’azione alla cui scadenza, ancora una volta non sono stati
rispettati gli impegni assunti. Purtroppo è noto a tutti lo sviluppo negativo che ha accompagnato il
raggiungimento degli obbiettivi prefissati a Kyoto ed il fallimento della sesta conferenza delle Parti
tenutasi all’Aia, caratterizzata tra l’altro dalle continue e pressanti manifestazioni di gruppi di
ambientalisti: la conferenza si è conclusa con una "sospensione" dei lavori a causa della rigidità
della posizione statunitense, determinata a non ridurre il livello di emissioni ma ad avvalersi
dell’azione dei cosiddetti "carbon sink", ovvero boschi ed altre colture in grado di assorbire CO2, la
cui produzione è stata già vietata in Giappone. La questione ambientale resta così ancora una volta
irrisolta, segno degli innumerevoli interessi che si celano dietro la volontà reale di tutti i Paesi di
contribuire alla riduzione delle emissioni nocive.
2. Le fonti energetiche rinnovabili La soluzione immediata al problema ambientale consiste innanzitutto nell’impiego di fonti
energetiche non inquinanti. Esse attualmente contribuiscono in misura limitata alla produzione di
energia. Ciò nonostante si è visto che il petrolio, nel breve-medio periodo, continuerà ancora a
rivestire un ruolo fondamentale, mentre la maggior parte delle fonti rinnovabili sarà ancora
ostacolata da difficoltà quali l’intermittenza casuale della produzione di energia e gli elevati costi,
difficoltà che sono ben lungi dal renderle competitive con le caratteristiche che invece rendono
vantaggioso l’impiego del petrolio. Alcune di queste fonti (acqua e geotermia) sono già ampiamente
sfruttate, altre sono ai primi stadi di applicazione (eolica, solare e biomasse) mentre per nuove fonti
rinnovabili, quali l’idrogeno (di cui si discuterà ampiamente nel prossimo capitolo), la ricerca è
ancora in fase sperimentale. Prima fra tutte l’energia idroelettrica, protagonista della rivoluzione
industriale dei Paesi ricchi, contribuisce con il 2,3% alla produzione mondiale di energia e da alcuni
anni è in espansione nei PVS, anche se oggi si tende a valutare con più attenzione l’impatto
ambientale. Il problema della gestione inoltre riguarda non soltanto il trasporto e la distribuzione ma
anche un corretto esercizio di questa pregiata fonte di energia attraverso una adeguata
considerazione dei fattori qualitativi dell’energia prodotta: tempo, intensità, elaborazione in base
alla richiesta dell’utenza. Per questo motivo si sta sempre più diffondendo la realizzazione delle
cosiddette "centrali ad accumulazione" che consentono la produzione di elettricità in base alla
richiesta e prevedono l’accumulo, sotto forma di potenziale energia meccanica, della produzione in
esubero nei periodi di minore richiesta. Si prevede che questo tipo di centrali avranno uno sviluppo
positivo. Per quanto riguarda la fonte geotermica invece, oltre al perfezionamento delle attuali
tecniche per l’utilizzo dei flussi di vapore, per il futuro si prevede l’uso diretto di acque calde che,
anche se non possiedono un elevato contenuto energico, permettono in ogni caso un risparmio
prezioso di combustibile fossile. E’ quindi importante sottolineare il rapporto corretto che deve
esistere fra l’uso della risorsa geotermica e l’ambiente; è necessario trovare la maniera di usarlo e
gestirlo proficuamente laddove esso presenti particolari caratteristiche qualitative e dove esistono
possibili utenze nelle vicinanze. Un comportamento non programmato può comportare danni
all’ambiente e soprattutto il decadimento della risorsa stessa (Ciborra, 1999). Allo stato attuale,
nell’ambito delle fonti rinnovabili, l’energia eolica è quella più vicina alla competitività con le fonti
tradizionali per la produzione di energia elettrica laddove esistono caratteristiche favorevoli. Questo
tipo di energia non è inquinante, ossia è una forma pulita ed il fatto che si renda disponibile sotto
forma meccanica consente una sua facile trasformazione in energia elettrica. I fattori negativi vanno
ravvisati nel fatto che ha una bassa concentrazione energetica, elevata irregolarità e mutevolezza.
Questa fonte d’energia ha avuto la crescita maggiore soprattutto in Germania, Stati Uniti
d’America, Danimarca, India e Spagna mentre esistono Paesi come la Francia in cui l’installazione
di impianti eolici privati è addirittura proibita. Molti altri Paesi sono interessati a progetti e
programmi di sfruttamento dell’energia eolica, poiché certe previsioni, anche se da alcuni ritenute
84
esagerate, parlano di una produzione futura paragonabile a quella ricavabile dall’energia nucleare
(Chiacchierini, 1992). L’attenzione maggiore dell’attuale tecnologia è posta soprattutto
all’efficienza di conversione e all’azione di accumulo dell’energia prodotta. Solo attraverso
l’approfondimento di questi due temi si potrà rilanciare l’energia eolica e contemporaneamente
realizzare l’integrazione dei sistemi eolici con sistemi di produzione e accumulo di energia sotto
forma chimica, come si è recentemente proposto di fare nel caso della produzione di idrogeno. Gli
stessi problemi sono legati anche all’impiego dell’energia solare. Il maggior problema che si
deve affrontare al fine di sviluppare questa inesauribile sorgente di energia è quello della sua
conversione in altre forme economicamente sfruttabili. Questo perché la densità media
dell’irraggiamento solare è piuttosto bassa e discontinua secondo le stagioni, la latitudine, l’altezza
alla quale si capta, l’ora del giorno, le condizioni atmosferiche. Il problema della gestione
dell’energia solare va quindi affrontato tenendo conto di questi fattori, per cui è disponibile, in
termini di utilizzo assai ridotti rispetto alle usuali tendenze della civiltà moderna . L’applicazione
più importante è la produzione di acqua calda a bassa temperatura per usi industriali e per impieghi
nel settore civile mediante pannelli solari il cui vantaggio principale, attualmente, è quello di
consentire la sostituzione delle fonti di energia tradizionali. Un’altra importante applicazione
dell’energia solare è la conversione fotovoltaica che sfrutta le proprietà delle celle fotovoltaiche a
semiconduttori in grado di trasformare in elettricità oltre l’11% dell’energia raggiante solare che le
investe. Nonostante i notevoli progressi che si sono avuti negli ultimi anni, gli impianti fotovoltaici
sono ancora in fase di sviluppo e sono caratterizzati da costi molto elevati; ciò rende ancora incerte
le prospettive di competitività di questo tipo di impianti per l'alimentazione della rete elettrica .
L’energia solare ed i sistemi fotovoltaici rivestono un particolare interesse come fonte d’energia per
la produzione di idrogeno. Sempre nell’ambito delle fonti rinnovabili, le biomasse offrono
prospettive interessanti soprattutto per la possibilità di produrre "bio-combustibili" la cui validità è
stata ormai ampiamente dimostrata. I problemi connessi a questa fonte, sono relativi ai diversi
materiali con cui si produce: un maggiore impiego del legno, per esempio, comporterebbe un
incremento della deforestazione e dell’inquinamento atmosferico provocato dagli scarichi nocivi
delle canne fumarie. D’altro canto, la produzione specifica di piante destinate a questo scopo, pur
risolvendo il problema dell’impatto ambientale, entrerebbe in concorrenza con la destinazione delle
aree coltivabili al settore agricolo. Maggiori prospettive, quindi, si prevede possano avere le
biomasse da rifiuti agroalimentari sulla base delle esperienze fatte nella gestione dei rifiuti solidi
urbani. Si è quindi evidenziato come per un corretto sviluppo delle fonti rinnovabili sia innanzitutto
opportuno applicare degli appropriati sistemi di accumulo dell’energia prodotta in eccesso. Nella
tabella successiva è schematizzata la linea di produzione di combustibili di sintesi che
consentirebbero di valorizzare tale fase di accumulo, per consentire un uso appropriato dell’energia
prodotta in base alle necessità delle diverse utenze. Come si evince dalla tabella, oltre ai bio-
combustibili prodotti dalle biomasse, l’idrogeno rappresenta il combustibile che potrebbe sostituire i
combustibili fossili nel mercato dell’energia primaria. Il vantaggio principale di tale modifica
consisterebbe nell’enorme guadagno in termini di benefici ambientali che controbilancerebbe i
notevoli costi di questo passaggio (Coiante, 1995).Naturalmente esistono diverse difficoltà, alcune
delle quali ancora insormontabili, di carattere tecnico e soprattutto economico che impediscono la
realizzazione di tutte le tecnologie basate sull’idrogeno
In occasione della riunione IPHE del maggio 2004 a Beijing, il MATT ha formulato una strategia di
introduzione dell’idrogeno, volta principalmente a migliorare il mix delle fonti energetiche primarie,
alla riduzione delle emissioni inquinanti in ambiente urbano (ossidi di azoto, SO2, polveri, ecc.) ed al
contenimento delle emissioni di CO2.
Detta strategia si articola sulle realizzazione nel medio e lungo termine, di diverse tipologie di centri
di produzione dell’idrogeno (Hub):
N. 8 Punti centralizzati di produzione di idrogeno da fonte fossile di grande taglia, con
separazione e cattura della CO2,
85
N. 15 Punti locali di produzione di idrogeno da fonti rinnovabili (solare termico, fotolisi) di
media taglia,
N. 42 Punti locali di produzione di idrogeno da biomasse e /o rifiuti di media - piccola
taglia.
I primi saranno dedicati alla produzione di energia elettrica centralizzata e alla produzione di
idrogeno, da trasportare e distribuire mediante reti dedicate, da utilizzare per la trazione (circa
10.000 t/anno) e per la produzione decentrata di energia elettrica.
Gli altri Hub, prevedono la produzione locale di idrogeno da utilizzare, mediante reti di
distribuzione di modesta entità, per la produzione di energia elettrica e per i trasporti
CO2 sequestration
Distributed generation
240 MW
Hydrogen vehicles 2500 buses
25000 cars
Power generation
560 MW
Hydrogen Hub Fossil Fuel based
Hydrogen production plant
H2
Coal
Oil
Gas
2.3 ÷ 2.7
Mt /year
86
L’IDROGENO: CARATTERISTICHE E TECNOLOGIE
1.Introduzione
Come già evidenziato, il settore energetico è attualmente in un periodo di transizione. Le riserve di
combustibili fossili diminuiscono gradualmente ed il loro impiego è reso difficile da questioni
ambientali ed economiche. L’utilizzazione di combustibili fossili, con le emissioni dei residui di
combustione nell’atmosfera e talvolta la loro accidentale fuoriuscita nelle acque di mari sta
provocando effetti dannosi al sistema ecologico. La soluzione del problema con l’introduzione di
dispositivi anti-smog e combustibili cosiddetti "verdi" non ha risolto il problema ma ha solo
contribuito ad aumentare i costi dell’intero settore energetico. Il futuro di tale settore, quindi,
dipende dallo sviluppo di nuove, economiche, non inquinanti fonti energetiche come l’idrogeno.
L'idrogeno non può essere propriamente definito una fonte d'energia: la sua produzione, deriva
dall'elaborazione di altre sorgenti energetiche, per cui esso viene più frequentemente definito come
forma o vettore d'energia. Si tratta, quindi, di una forma di energia particolare, che negli ultimi
decenni ha richiamato particolare attenzione in quanto ha sintetizzato caratteristiche particolari che
consentono di coprire campi nei quali risulta meno agevole l'applicazione di altre forme d'energia.
La gamma di utilizzazione dell'idrogeno è decisamente vasta e le possibilità che si aprono sono
veramente numerose. In realtà il passaggio ad un'economia energetica basata in larga parte
sull'idrogeno potrà avvenire solo gradualmente attraverso le prime applicazioni per usi particolari
(in campo chimico), seguite poi da quelle siderurgiche (riduzione diretta di minerali e ferro), per
giungere infine all'uso allargato dell'idrogeno quale combustibile su larga e piccola scala (Ciborra,
1999).
2. Proprietà dell'idrogeno
L'esistenza dell'idrogeno è nota da secoli, ma la sua vera natura comincia ad emergere solo intorno
al XVI secolo quando Paracelso per primo descrisse un gas infiammabile prodotto per reazione
dell'acido solforico con il ferro. In seguito, nel 1760, Henry Cavendish approfondì gli studi sulle
proprietà e la preparazione dell'idrogeno dall'acqua e nel 1783 Lavoisier diede a questo gas il nome
di idrogeno, che significa "generatore di acqua". Esso rappresenta l'elemento più abbondante
nell'universo, come risulta dall'analisi spettrale della luce emessa dalle stelle, che rivela che la
maggior parte di esse sono costituite principalmente da idrogeno; ad esempio nel sole, la stella a noi
più vicina, è presente per circa il 90%. Con l'ossigeno ed il silicio è uno degli elementi più diffusi
(0,9% in peso) sulla crosta terrestre Molto raro è l'idrogeno allo stato elementare sul nostro pianeta
in quanto l'attrazione gravitazionale terrestre, minore di quella delle stelle e dei grandi pianeti, è
insufficiente a trattenere molecole molto leggere come quelle dell'idrogeno. Si trova libero nelle
emanazioni vulcaniche, nelle sorgenti petrolifere, nelle fumarole e nell'atmosfera ad un'altezza
superiore ai cento chilometri. Particolarmente abbondante è invece allo stato combinato: con
l'ossigeno è presente nell'acqua di cui costituisce l'11,2% in peso; combinato con carbonio, ossigeno
ed alcuni altri elementi è uno dei principali costituenti del mondo vegetale ed animale, l'organismo
umano ne contiene circa il 10% del suo peso. Nel solo campo della chimica organica sono noti
milioni di composti contenenti idrogeno che vanno dal più semplice degli idrocarburi, il metano,
alle gigantesche proteine dei carboidrati con un enorme numero di atomi di idrogeno. Esso può
formare molecole biatomiche che possono trovarsi in due stati energeticamente diversi e ciò è
dovuto al fatto che atomi con numero dispari di protoni o di neutroni possono accoppiarsi nella
87
formazione della molecola in modo parallelo o antiparallelo, dando luogo alle forme orto e para
rispettivamente.
Nella tabella 2.1 sono riportate alcune importanti proprietà dell'idrogeno.
L'idrogeno è a temperatura ambiente un gas incolore, inodore e praticamente insolubile in acqua.
Dopo l'elio è il gas più difficile a liquefarsi. E' un discreto conduttore di calore e di elettricità, viene
facilmente assorbito da taluni metalli. Generalmente poco attivo a freddo, l'idrogeno dà luogo, a
caldo o in presenza di catalizzatori, a numerose reazioni chimiche.
Tab. 2.1 Proprietà dell'idrogeno.
Peso molecolare 2,016
Densità Kg/m3 0,0838
Potere calorifico superiore MJ/Kg
MJ/m3
141,90
11,89
Potere calorifico inferiore MJ/Kg
MJ/m3
119,90
10,05
Temperatura di ebollizione K 20,3
Densità come liquido Kg/m3 70,8
Punto critico
temperatura
pressione
densità
K
bar
Kg/m3
32,94
12,84
31,40
Temperatura di auto-ignizione K 858
Limite di ignizione aerea (vol. %) 4-75
Miscela stechiometrica aerea (vol. %) 29,53
Temperatura di combustione aerea K 2,318
Coefficiente di diffusione cm2/s 0,61
Calore specifico KJ/(kg K) 14,89
Esso si combina direttamente alla maggior parte dei non metalli e dei metalli alcalini e alcalino-
terrosi. La combinazione con ossigeno, per dare acqua, avviene spesso con esplosione a temperatura
elevata o in presenza di un catalizzatore. Con lo zolfo si combina intorno ai 250 °C; la reazione con
azoto, che dà luogo all'ammoniaca, richiede l'uso di catalizzatori, alta temperatura ed alta pressione.
Con il carbonio reagisce verso i 1100 °C per generare metano. Insufflando idrogeno in un arco
elettrico si ottiene un gas dotato di proprietà riducenti eccezionali detto "idrogeno atomico", che
riduce tutti gli ossidi e si combina a freddo con la maggior parte dei non metalli.L'idrogeno ha il più
alto contenuto di energia per unità di massa di tutti gli altri combustibili, il potere calorifico
superiore è 141,9 MJ/Kg (Ciborra, 1999).
88
3. Impieghi dell'idrogeno
L'idrogeno è un gas industriale di primaria importanza. Fu per lungo tempo utilizzato per il
gonfiamento degli aerostati; ma a causa della sua infiammabilità, che provocò gravissimi incidenti
(Akron, Hindenburg, ecc.), è stato sostituito dall'elio, leggermente più pesante ma non
infiammabile. L'idrogeno è usato come materia prima in un gran numero di operazioni chimiche. La
più importante è la sintesi dell'ammoniaca, ma vanno anche ricordate l'idrogenazione degli oli di
pesce e delle nafte, la fabbricazione del metanolo e dei carburanti sintetici. Attualmente, l'unico
impiego dell'idrogeno come combustibile, avviene nei programmi spaziali della NASA. Idrogeno ed
ossigeno liquidi, vengono combinati per ottenere il combustibile necessario per lo space shuttle ed
altri razzi. Le celle a combustibile a bordo inoltre, sempre combinando idrogeno ed ossigeno,
producono gran parte dell'energia elettrica richiesta. L'unico materiale scaricato dalle celle è acqua
pura, utilizzata dall'equipaggio per dissetarsi (National Renewable Energy Laboratory, 1995).
Oggetto delle più recenti ricerche, è l'impiego dell'idrogeno nelle celle a combustibile (vedi Cap.4).
L'obiettivo è quello di realizzare un sistema energetico basato sull'idrogeno, con la costruzione di
impianti per la produzione di energia che utilizzino l'idrogeno prodotto dall'elettrolisi dell'acqua
marina.Anche se la ricerca ha raggiunto apprezzabili traguardi, tutte le tecnologie relative all'uso
dell'idrogeno, sono ancora da sviluppare e perfezionare e notevoli sono gli ostacoli da superare
affinché tale visione diventi realtà.
4. L'idrogeno come fonte d'energia
L'interesse all'idrogeno come fonte d’energia, risale ai primi anni 1970, durante la prima crisi
petrolifera. Fu proprio con il verificarsi di tali condizioni, che diversi studiosi cominciarono a
considerare il ruolo fondamentale che l'idrogeno avrebbe potuto giocare in campo energetico. Esso
poteva essere agevolmente prodotto con l'impiego di energia elettrica, tramite elettrolisi, ed essere
quindi immagazzinato e trasportato in diversi modi. La visione di un sistema energetico basato
sull'idrogeno, però, era strettamente correlata, nella realtà, con la disponibilità di energia elettrica a
basso costo, unico vincolo alla realizzazione di un sistema efficiente e competitivo. Metodi per la
produzione di idrogeno alternativi all'elettrolisi, erano comunque legati alla disponibilità di
combustibili fossili e ciò rafforzò ancor più la convinzione che senza la possibilità di disporre di
energia elettrica poco costosa, non vi erano altre concrete possibilità di far fronte, nel breve termine,
all'impellente crisi energetica. Di conseguenza, i progetti di ricerca legati all'energia dall'idrogeno
furono progressivamente abbandonati. Nel corso degli anni 1980, furono fatti notevoli passi avanti
nello studio delle tecnologie relative alle risorse rinnovabili e all'efficienza energetica, tanto che la
ricerca su sistemi energetici altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili, apparve
sempre più interessante. In particolare, si intensificarono gli sforzi per lo sviluppo di tecnologie che
rafforzassero il legame tra idrogeno e fonti rinnovabili, al fine di ridurre, se non eliminare del tutto,
la dipendenza dai combustibili fossili tradizionali (National Renewable Energy Laboratory, 1995).
Il raggiungimento di un sistema completamente basato sul ciclo di vita dell’idrogeno, presuppone
infatti l’impiego di fonti rinnovabili per la produzione d’idrogeno da cui risulterebbe un impatto
ambientale nullo dato che da tali processi di produzione residuerebbero solo ossigeno ed acqua.
Successivamente l’idrogeno verrebbe immagazzinato e trasportato per poi essere utilizzato nelle
diverse possibili applicazioni. Attualmente, anche se la ricerca ha compiuto ulteriori, notevoli passi,
le sofisticate tecnologie oggetto dei recenti piani di studio necessitano ancora di quei
perfezionamenti che consentiranno il graduale passaggio ad un’economia basata sull’idrogeno.
5. I vantaggi dell'idrogeno
L’idrogeno è ormai considerato come il combustibile del futuro, le sue particolari caratteristiche
infatti, ne fanno una fonte d'energia ideale. L'idrogeno può essere prodotto, come l'elettricità, da
89
qualsiasi fonte d'energia, comprese quelle rinnovabili: la materia prima fondamentale per la
produzione dell'idrogeno è l'acqua, che è disponibile in abbondanza; l'idrogeno è una fonte
completamente rinnovabile dato che il prodotto della sua utilizzazione, sia tramite combustione sia
attraverso conversione elettrochimica, è acqua pura o vapore acqueo. L'idrogeno è quindi
compatibile con l'ambiente, poiché la sua produzione dall'elettricità (o direttamente dall'energia
solare), il suo immagazzinaggio e trasporto, ed il suo utilizzo finale non producono alcun agente
inquinante (eccetto alcuni NOx se bruciato con l'aria) o qualsiasi altro effetto nocivo per l'ambiente.
Esso inoltre non produce alcun gas serra, in particolare CO2 (Barbir,1999). L’idrogeno può essere
immagazzinato in forma gassosa (conveniente per l'immagazzinaggio in larga scala), in forma
liquida (conveniente per il trasporto aereo e terrestre) o in forma di idruri di metallo (conveniente
per l'applicazione sui veicoli o per altre richieste di immagazzinaggio su scala relativamente ridotta)
e può essere trasportato lungo enormi distanze attraverso oleodotti o tramite navi cisterna (nella
maggior parte dei casi più economicamente ed efficientemente dell'elettricità). Un altro vantaggio
dell’idrogeno è la possibilità di convertirlo in altre forme d'energia in diversi modi, per esempio
tramite combustione catalitica, conversione elettrochimica, creazione di idruri, ecc.. L'idrogeno può
essere combinato con benzina, metanolo, etanolo e gas naturale; aggiungendo appena il 5% di
idrogeno alla miscela aria/benzina in un motore a combustione interna si possono ridurre le
emissioni di ossido di azoto del 30%-40%. Un motore convertito per bruciare idrogeno puro
produce solo acqua ed una minore percentuale di ossidi di azoto come gas di scarico (National
Renewable Energy Laboratory, 1995). L’idrogeno potrebbe rappresentare per il futuro la base di un
sistema energetico indipendente dalle fonti di energia convenzionali. Le tecnologie chiave in tale
sistema sono quelle legate alla produzione, all'immagazzinaggio, al trasporto ed all'utilizzazione
dell'idrogeno. Nei prossimi paragrafi tali tecnologie saranno illustrate considerando lo stato attuale e
gli sviluppi della ricerca.
6. Tecnologie di produzione dell'idrogeno
Attualmente, in tutto il mondo sono commercializzati circa 500 miliardi di Nm3 di idrogeno la cui
maggior parte trae origine da fonti fossili. Esso è prodotto principalmente come "co-prodotto"
dell’industria chimica, in particolare dei processi di produzione del polivinile di cloruro (PVC), che
forniscono il 38% dell’idrogeno mondiale, e di raffinazione del petrolio greggio, che contribuisce al
2% circa della produzione . Per quanto riguarda invece il suo impiego come fonte d’energia,
attualmente esso avviene solo in piccoli impianti che servono prevalentemente industrie del settore
petrolchimico. Per il futuro, considerata l’attuale evoluzione del settore energetico, si prevede un
notevole incremento della domanda di idrogeno. Essa sarà determinata principalmente dalle
conseguenze che avranno i numerosi vincoli imposti dalla legislazione ambientale e dalla necessità
di trovare altre fonti di energia. La produzione di idrogeno incontra nella pratica numerosi problemi
soprattutto per l'alto costo della sua produzione e del suo immagazzinaggio. Le principali tecnologie
di produzione dell'idrogeno sono:
Elettrolisi dell’acqua.
Steam reforming del gas metano.
Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi.
Gassificazione del carbone.
Gassificazione e pirolisi delle biomasse.
Altri metodi.
Le tecnologie di produzione sono meno sviluppate rispetto a quelle d’immagazzinaggio e trasporto
ed un loro miglioramento si tradurrebbe in una notevole riduzione dei costi d’investimento del
90
settore energetico. Inoltre, progressi nelle tecnologie di produzione dell'idrogeno consentirebbero di
ottenere significativi miglioramenti nelle infrastrutture necessarie per un uso diffuso
dell'idrogeno.Oltre al miglioramento dell’efficienza dell’elettrolisi dell’acqua e degli altri metodi
già sfruttati commercialmente, l'attenzione della ricerca è rivolta a progetti per metodi innovativi
quali processi di fotoconversione come sistemi fotobiologici e fotoelettrochimici, oltre a processi
termochimici come gassificazione e pirolisi (National Renewable Energy Laboratory, 1995).
6.1. L'elettrolisi dell’acqua
L'idrogeno può essere ottenuto tramite l’elettrolisi dell'acqua (Fig. 2.1). Questo processo fu
applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’anno 1839. L'elettrolisi richiede il passaggio
di corrente elettrica attraverso l'acqua. La corrente entra nella cella elettrolitica tramite il catodo, un
elettrodo caricato negativamente, attraversa l'acqua e va via attraverso l'anodo, un elettrodo caricato
positivamente. L'idrogeno e l'ossigeno così separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e
verso l'anodo. L'elettrolisi è il metodo più comune per la produzione di idrogeno anche se incontra
notevoli ostacoli per la quantità limitata di idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo elevati,
dovuti all'impiego di energia elettrica. Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di
idrogeno avviene per elettrolisi dell'acqua e solo per soddisfare richieste limitate di idrogeno
estremamente puro .
Fig. 2.1. L'elettrolisi.
Per risolvere questo problema, si prevede l’applicazione dell’elettrolisi con vapore ad alta
temperatura (900-1000 °C). L’alta temperatura del sistema accelera le reazioni, riduce le perdite
d’energia dovute alla polarizzazione degli elettrodi ed accresce l’efficienza complessiva del sistema.
91
Questa tecnologia offre l’opportunità di ridurre il consumo di elettricità al 35% di quella utilizzata
dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi, e l’elevata efficienza
di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva anche con lo
steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali (Hydrogen R&D Program, 1999). In
ogni caso, prima che le nuove tecnologie vengano perfezionate e divengano completamente
operative, il costo per la produzione dell'idrogeno dall'elettrolisi è il più alto rispetto a qualsiasi altra
tecnologia. I costi maggiori sono rappresentati dai sistemi fotovoltaici ed eolici i quali, nonostante i
miglioramenti tecnologici previsti per i prossimi anni, richiedono e richiederanno ancora costi
elevatissimi per la produzione di energia da impiegare nell'elettrolisi. Un altro aspetto da valutare è
che l'idrogeno attualmente viene prodotto in sito e su domanda, vengono quindi trascurati i costi di
magazzinaggio e trasporto che renderebbero il prezzo dell'idrogeno "consegnato", anche se in
quantità ridotte, ancor meno competitivo. Nell’ambito delle applicazioni pratiche i costi per
l'elettrolisi tramite celle a membrana polimerica si prevede che siano minori dei sistemi con celle
alcaline. L'elettrolisi, nonostante le ancora insormontabili barriere dei costi, resta comunque il
procedimento che riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente. E’ questo il
motivo che spinge la ricerca allo studio di sistemi che impieghino fonti di energia alternative a
quella elettrica.
6.2. Steam reforming del gas metano (SMR)
Lo steam reforming del metano è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e
attraverso il quale si produce circa il 48% dell'idrogeno mondiale. Tale metodo può essere applicato
anche ad altri idrocarburi come l'etano e la nafta. Non possono essere utilizzati idrocarburi più
pesanti perché essi potrebbero contenere impurità. Altri processi, invece, come l'ossidazione
parziale, sono più efficienti con idrocarburi più pesanti (Padrò e Putsche, 1999). Lo SMR implica la
reazione di metano e vapore in presenza di catalizzatori. Tale processo, su scala industriale, richiede
una temperatura operativa di circa 800 °C ed una pressione di 2,5 MPa. La prima fase consiste nella
decomposizione del metano in idrogeno e monossido di carbonio. Nella seconda fase, chiamata
"shift reaction", il monossido di carbonio e l'acqua si trasformano in biossido di carbonio ed
idrogeno (National Renewable Energy Laboratory, 1995). Il contenuto energetico dell'idrogeno
prodotto è, attualmente, più elevato di quello del metano utilizzato ma l'enorme quantità d'energia
richiesta per il funzionamento degli impianti fa scendere il rendimento del processo a circa 65%
(Morgan e Sissine, 1995). Tramite assorbimento o separazione con membrane, il biossido di
carbonio è separato dalla miscela di gas, la quale viene ulteriormente purificata per rimuovere altri
componenti. Il gas rimanente, formato per circa il 60% da parti combustibili, è utilizzato per
alimentare il reformer (Zittel e Wurster, 1996). I processi di questo tipo su scala industriale
avvengono alla temperatura di 200 °C o superiore, e richiedono l'impiego di calore per dare avvio al
processo. Il costo del gas naturale incide fortemente sul prezzo finale dell'idrogeno, secondo alcune
analisi costituisce il 52%-68% del costo totale per impianti di grosse dimensioni, e circa del 40%
per impianti di dimensioni minori (Padrò e Putsche, 1999). I costi dello SMR sono notevolmente
inferiori a quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre
un ridottissimo impatto ambientale. Alcuni autori, sostengono che la tecnologia SMR può essere
conveniente, se combinata con l'alimentazione di veicoli, per l'applicazione su celle a combustibile
prodotte su scala ridotta. La tecnologia SMR inoltre, è stata ampiamente sperimentata nella
produzione combinata di idrogeno, vapore ed energia elettrica tramite un sistema integrato di
produzione. Dopo le prime installazioni negli Stati Uniti d’America ad opera di compagnie come la
Mobil, la Texaco, la Air Products e centrali di grosse dimensioni come quelle sulla costa
occidentale, questi impianti si stanno diffondendo anche in Europa, uno tra i più importanti è situato
a Pernis, vicino Rotterdam. Il funzionamento principale di tali sistemi è quello descritto in
precedenza con la particolarità che il calore prodotto grazie alla alte temperature operative, viene
opportunamente recuperato ed impiegato nelle fasi di preriscaldamento e desulfurizzazione del
92
metano, riscaldamento dell’acqua e generazione di vapore. L’idrogeno prodotto è impiegato
direttamente per la produzione di energia elettrica che verrà poi erogata dall’impianto stesso. Tali
sistemi integrati presentano numerosi vantaggi rispetto al caso di impianti separati per la produzione
di idrogeno, vapore ed energia elettrica. Innanzitutto, consentono di realizzare risparmi già al livello
di progettazione in quanto un unico progetto coinvolge tre strutture, successivamente proprio
l’integrazione consente di risparmiare fino al 50% dei costi operativi e di ridurre notevolmente
l’incidenza dei costi fissi all’aumentare della produzione; basta considerare il fatto che gli
investimenti iniziali costituiscono il 60% dei costi per la costruzione di un impianto isolato per la
produzione di energia. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’impatto ambientale ridottissimo di
tutta la tecnologia che comporta una riduzione del 50% delle emissioni di NOx mentre il CO
prodotto dalle turbine a gas viene bruciato all’interno del reforming stesso. In futuro, il
funzionamento continuo ed il perfezionamento di questi impianti consentirà inoltre di migliorarne
l’efficienza e l’affidabilità. Gli impianti attualmente funzionanti, si limitano alla fornitura di energia
elettrica ad industrie del settore chimico e petrolchimico con delle piccole reti di trasmissione ma si
prevede che nei prossimi decenni possano svilupparsi e sostituire gradualmente le attuali centrali
(Terrible et al., 1999). Altre innovazioni invece, riguardano più in particolare lo SMR stesso. Uno
degli obbiettivi della ricerca è, infatti, quello di migliorare il tradizionale processo SMR con il
perfezionamento di un nuovo processo denominato Sorbtion Enhanced Reforming (SER). Rispetto
al tradizionale SMR tale processo implica la produzione di idrogeno a temperatura particolarmente
bassa e l’abbinamento di un processo di rimozione selettiva dell’anidride carbonica rilasciata
durante la fase di reforming. Il vantaggio principale del SER quindi, consiste nell’ottenere
direttamente dei flussi separati, estremamente puri, sia di idrogeno che di CO2 senza ricorrere a
costosi sistemi di purificazione. Questo nuovo processo ha dunque la possibilità di prevalere
rispetto ai processi convenzionali, e di favorire l’introduzione a breve termine dell’idrogeno, non
solo per i ridotti costi operativi che esso comporta ma anche per il contributo alla riduzione della
concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. Le attività di ricerca sono ovviamente volte
all’individuazione dei materiali più idonei all’assorbimento di CO2, alla dimostrazione della validità
tecnica dei sistemi sperimentali e all’analisi dei relativi vantaggi economici. Anche il tradizionale
processo di cracking dei combustibili fossili sta subendo delle notevoli innovazioni. Le nuove
tecnologie di decomposizione termocatalitica degli idrocarburi, in assenza di aria o ossigeno,
eviteranno di sostenere costi per la purificazione dell’idrogeno prodotto tramite l’eliminazione della
produzione degli ossidi di carbonio. Ciò avverrà tramite l’identificazione e la modificazione di
opportuni catalizzatori a base di carbonio e la successiva ottimizzazione del processo di produzione
tramite l’impiego di combustibili liquidi o gassosi. L’obbiettivo primario è, inizialmente, quello di
aumentare il contenuto di idrogeno a più dell’85% e di ridurre notevolmente le emissioni di gas
inquinanti.
6.3. Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi
L'idrogeno può essere ottenuto dall'ossidazione parziale non catalitica, ad una temperatura che varia
tra 1300-1500° C, di idrocarburi pesanti, come la nafta. Questa tecnologia può utilizzare qualsiasi
genere di idrocarburo che possa essere compresso. In ogni caso l'efficienza complessiva del
processo (50%) è minore di quella ottenuta dalla tecnologia SMR (65% - 75% ) ed è necessario
ossigeno puro. L’ossigeno necessario alla reazione, infatti, è quello contenuto nell’atmosfera quindi
mescolato con una grande quantità di azoto. Dunque con l’ossidazione parziale si ottiene un flusso
di idrogeno impuro fortemente contaminato dall’azoto. Nel caso si utilizzi del metano, l'efficienza
di questo processo raggiunge solo il 70% di quella dello steam reforming. Tramite una reazione
controllata tra combustibile e ossigeno, si ottiene anidride carbonica, ossigeno e molto calore. Un
sistema rapido che consente però di ottenere modeste quantità d’idrogeno, tanto quanto ne contiene
il combustibile di partenza. I reformer per l'ossidazione parziale utilizzano in genere solo
93
combustibili liquidi. Attualmente solo due compagnie, la Texaco e la Shell, hanno la disponibilità, a
livello commerciale, di queste tecnologie di conversione (Padrò e Putsche, 1999).
I costi per la produzione di idrogeno tramite combustibili pesanti sono sensibilmente più alti, per
stesse quantità di materia impiegata, di quelli relativi all'utilizzo di gas di cokeria. Questo è dovuto
alla necessità di sostenere il trattamento e la rimozione delle impurità derivanti dal processo. Nel
caso dell'utilizzo di gas di cokeria è possibile, attualmente, realizzare economie di scala che si
riflettono in una notevole riduzione del prezzo finale dell'idrogeno. Simili risultati sono attesi per
l'impiego di combustibili pesanti.
Anche se i costi di questa tecnologia non sono particolarmente elevati rispetto a quelli degli altri
processi, bisogna anche considerare i costi aggiuntivi per l'eventuale pulizia degli impianti, a cui
conseguirebbe un aumento del prezzo finale dell'idrogeno.
6.4. Gassificazione del carbone
In generale, il processo di gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di una
sostanza solida, liquida o gassosa che ha l'obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso,
formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri come il metano.
Tramite la gassificazione il carbone viene convertito, parzialmente o completamente, in
combustibili gassosi che dovranno essere purificati prima dell’utilizzo. La produzione di idrogeno
mediante gassificazione del carbone è una tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali,
ma è competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato (per
esempio: Repubblica Popolare di Cina e Sud Africa). Nel settembre del 2000 è stato siglato
dall’ENEA e dal Ministero della Scienza e della Tecnologia (MOST) della Repubblica Popolare di
Cina, un Accordo di collaborazione tecnico-scientifica per lo sviluppo congiunto della ricerca
sull’idrogeno. Come ben noto, nella Repubblica Popolare di Cina, i problemi associati
all’inquinamento atmosferico all’interno delle città e, più in generale, l’ingente quantità di emissioni
di CO2 legato all’uso massiccio del carbone, sono estremamente gravi ed urgenti. Si prevede infatti
che nel 2020 la Repubblica Popolare di Cina brucerà ben tre miliardi e mezzo di tonnellate di
carbone all’anno, contribuendo a più di un quarto delle emissioni planetarie di anidride carbonica.
Nel programma di cooperazione con l’ENEA, il carbone, in presenza di acqua, è trasformato in
idrogeno e CO2. L’idrogeno è poi bruciato con emissioni zero, mentre la CO2 è "sequestrata"
permanentemente in forma liquida nelle profondità della terra, senza apprezzabili emissioni
nell’atmosfera. E’ quindi possibile trasformare anche il carbone in un combustibile pulito e quasi ad
"emissioni zero".
Per quanto riguarda la gassificazione, vengono utilizzati principalmente tre metodi: fixed-bed (letto
fisso), fluidized-bed (letto fluidificato) e entrained-bed (letto trascinato) (Padrò e Putsche,1999).
Tutti questi metodi impiegano vapore, ossigeno o aria, per ossidare parzialmente il carbone ed
ottenere come risultato del gas. I gassificatori a letto fisso producono, a basse temperature (425-650
°C), un gas contenente prodotti "devolatilizzati" come metano, etano ed un flusso di idrocarburi
liquidi contenente nafta, catrame, oli e fenolici. I gassificatori a letto trascinato producono gas ad
alta temperatura (>1260 °C), che essenzialmente elimina i prodotti devolatilizzati dal flusso di gas e
dagli idrocarburi liquidi. Questo metodo, infatti, consente di ottenere un prodotto composto quasi
interamente da idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio. I gassificatori a letto
fluidificato, infine, producono pressappoco dei prodotti intermedi, nella composizione, rispetto ai
due precedenti ed agiscono a temperature medie (925-1040 °C).
Il calore necessario per la gassificazione è fornito principalmente dall'ossidazione parziale del
carbone. Generalmente le reazioni di gassificazione del carbone sono esotermiche, così al
gassificatore vengono di solito abbinate delle caldaie per il riscaldamento dei rifiuti da smaltire. La
temperatura, e quindi la composizione del gas prodotto, dipendono dalla quantità dell'agente
ossidante e del vapore, nonché dal tipo di reattore utilizzato nell'impianto di gassificazione.
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I gassificatori producono delle sostanze inquinanti (principalmente ceneri, ossidi di zolfo e ossidi di
azoto) che devono essere eliminate prima che entrino a far parte del gas prodotto. Il loro livello
dipende sia dal gassificatore utilizzato sia dalla composizione del combustibile. Esistono due tipi di
sistemi per la separazione delle impurità: sistemi a caldo e sistemi a freddo. La tecnologia di
separazione a freddo è sfruttata commercialmente e sperimentata da diversi anni mentre i sistemi a
caldo sono ancora in fase di sviluppo. La ripulitura dei gassificatori a letto trascinato, comporta una
serie di operazioni in base alla diversa natura dei residui con una perdita di efficienza, affidabilità
ed un aumento rilevante dei costi di questi sistemi (http://www.fetc.doe.gov).
Per questa tecnologia, il costo della materia impiegata raggiunge quasi il 25% del prezzo
dell'idrogeno prodotto. Costo del capitale, manutenzione dell'impianto e smaltimento dei rifiuti
solidi, costituiscono altri costi da sostenere. Rispetto alle altre tecnologie quindi, sempre escludendo
l'elettrolisi, i costi sono leggermente più elevati ed, allo stato attuale, non è ancora possibile
realizzare delle particolari economie di scala.
La presenza di numerose riserve in diverse parti del mondo, fa del carbone il possibile sostituto di
gas naturale ed oli come materia prima per la produzione di idrogeno .
6.5. Gassificazione e pirolisi delle biomasse
Come la gassificazione, anche la pirolisi, o distillazione secca, è un processo che per mezzo della
decomposizione termica, spezza le molecole complesse delle sostanze organiche in elementi
semplici, separati. Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900-1000 °C, in assenza di aria, in
opportuni impianti, con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido (Chiacchierini, 1992).
L'applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi differenti
gas, tra cui l'idrogeno. La composizione dei gas dipende dal tipo di materiale, dalla presenza di
ossigeno, dalla temperatura della reazione e da altri parametri. La ricerca sull'idrogeno è incentrata
attualmente sui gas dalle biomasse, a medio potere calorifico, da utilizzare principalmente come
combustibili . La gassificazione delle biomasse, prevede l’impiego sia di materiale derivato dai
rifiuti solidi urbani sia materiali specifici appositamente coltivati per essere inpiegati come fonte di
energia. Gassificatori di biomasse sono stati sviluppati utilizzando tecnologie di combustione fixed-
bed, fluidized-bed, entrained-bed. Le biomasse possono essere gassificate utilizzando metodi
indiretti e diretti. La gassificazione indiretta, come avviene negli impianti della Battelle-Columbus
Laboratoires and Future Energy Resource Corporation (BLC/FERCO), usa un veicolo, come la
sabbia, per trasferire calore dal bruciatore alla camera di gassificazione. Nella gassificazione diretta
il calore alla camera di gassificazione è fornito dalla combustione di una parte delle biomasse
(Padrò e Putsche, 1999). In generale, il costo dell'idrogeno prodotto tramite gassificazione indiretta
è leggermente minore di quello dell'idrogeno ottenuto per gassificazione diretta. Un metodo
alternativo di produzione dell'idrogeno dalle biomasse è la combinazione di pirolisi e processo di
steam reforming. Tale metodo, applicato alle biomasse, genera vapori reattivi che possono, quindi,
essere convertiti in idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio usando vapore in
ambiente catalitico. Tramite questo processo le biomasse vengono decomposte termicamente ad alte
temperature (400-450 °C), in atmosfera inerte, per formare un "bio-olio" costituito da sostanze
organiche ossigenate, per l’85%, e acqua, per il 15% . Il "bio-olio", quindi, viene sottoposto al
processo usuale di steam reforming per la produzione di idrogeno. Alternativamente i componenti
fenolici del "bio-olio" possono essere estratti con etil-acetato per ottenere come prodotto aggiuntivo
delle resine fenoliche. Anche in questo caso i restanti componenti possono essere sottoposti allo
steam reforming. In entrambi i casi il gas prodotto viene purificato tramite un processo standard di
assorbimento a pressione variabile. Anche i deflussi derivanti da altre tecnologie di trattamento
delle biomasse possono costituire un interessante materiale per la produzione dell'idrogeno.
In particolare, sono stati compiuti degli studi sul trattamento dei residui della separazione del "bio-
olio" in derivati della lignina, utilizzati per la produzione di resine fenoliche o additivi per
combustibili, e derivati dei carboidrati, eventualmente sottoposti allo steam reforming.
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Questo sistema ha numerosi vantaggi rispetto alla tradizionale tecnologia di gassificazione delle
biomasse, innanzitutto il "bio-olio" può essere trasportato più facilmente delle biomasse e quindi la
pirolisi ed il reforming possono essere realizzati in luoghi diversi, con eventuale riduzione dei costi.
Per esempio una serie di pirolisi di piccole quantità di materiali, può avvenire dove essi sono
disponibili ad un costo non elevato. Successivamente, l'olio può essere agevolmente trasportato in
un impianto di reforming, situato dove siano presenti impianti d' immagazzinaggio ed infrastrutture
per la distribuzione. Il secondo vantaggio è, ovviamente, il notevole potenziale derivante dal
recupero dei materiali derivati. Questo è stato dimostrato con l'utilizzo di un reattore a letto
fluidificato, con del nichel come catalizzatore, sviluppato per il trattamento di gas naturale e nafta,
con cui è stato possibile ottenere sostanze composte il cui contenuto di idrogeno è di circa il 90%
(Czernik et al., 2000). Questo processo potenzialmente può divenire una delle tecnologie di
produzione meno costose, ma i ricercatori sono ancora impegnati nella ricerca di un catalizzatore
ottimale per la fase di reforming ed alla valutazione della fattibilità economica e della sostenibilità
ambientale dell'intero processo (Padrò e Putsche, 1999). La produzione dell’idrogeno dalle
biomasse, sia tramite gassificazione sia tramite pirolisi, possiede notevoli possibilità di sviluppo tra
i processi che utilizzano fonti rinnovabili di energia (National Renewable Energy Laboratory,
1995). Un importante vantaggio ambientale dell'utilizzo delle biomasse come fonte di idrogeno è
che il biossido di carbonio, una delle principali emissioni responsabili dei cambiamenti climatici,
emesso nella conversione delle biomasse, non contribuisce ad aumentare la quantità totale di gas
nell'atmosfera. Il biossido di carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita e solo la
stessa quantità viene restituita all'aria durante il processo di
conversione. Purtroppo, però, il contenuto d'idrogeno è solo del 6%-6,5%, rispetto al 25% del gas
naturale. Per questa ragione i costi sono ancora molto elevati e ciò non consente a questi sistemi di
essere competitivi con altre tecnologie come, per esempio, il reforming del metano. Di gran lunga, i
maggiori costi operativi per questa tecnologia sono legati alla materia da impiegare e quindi sono
particolarmente alti per processi che utilizzano biomasse costituite da materiali specifici mentre
possono scendere nel caso si impieghino biomasse da rifiuti. Anche in questo caso, i costi sono
ancora sensibilmente elevati, infatti, le tecnologie non sono ancora perfezionate, mancano dei
sistemi specifici d'immagazzinaggio e applicazione dell'energia prodotta per cui non è ancora
possibile realizzare economie di scala che ne consentano un possibile largo impiego. D'altro canto il
ridotto impatto ambientale, riveste un importante ruolo per la ricerca. Inoltre, gli oli vegetali hanno
un potenziale per la produzione di idrogeno, maggiore delle sostanze che contengono cellulosa o
lignina, ma il loro costo è ancore notevolmente alto quindi, solo un processo integrato, che preveda
il riutilizzo delle sostanze derivate dalle biomasse, può consentire una alternativa economicamente
valida (Czernik et al., 2000). Affinché le biomasse diventino una fonte di idrogeno con costi
accessibili, la ricerca deve ancora compiere notevoli passi. Le tecniche per la separazione e la
purificazione dell'idrogeno tramite delle membrane selettive o processi catalitici, devono essere
migliorate. Nuove idee per la purificazione dei gas (rimozione di catrame ed oli) necessitano di una
migliore valutazione. Una delle principali priorità della ricerca è un concetto avanzato di
gassificazione catalitica che consenta di ottenere risultati quando il gassificatore agisce
continuamente (National Renewable Energy Laboratory, 1999) mentre altri settori della ricerca si
stanno occupando della messa a punto di un nuovo sistema di gassificazione. Esso, agendo ad
elevate temperature e con particolari catalizzatori al carbonio, consente la produzione di idrogeno
da materiali con un alto contenuto di umidità. Le biomasse, infatti contengono circa il 50% d’acqua
e sono stati messi a punto diversi processi termici per eliminarla. Questo nuovo processo di
gassificazione invece, eliminando il ricorso a strumenti di essiccazione non pone particolari limiti al
tipo di biomassa da impiegare. Inoltre, ottenendo il reforming completo delle biomasse impiegate
dal processo non si hanno residui di combustione. I primi reattori di questo genere sono stati
costruiti recentemente mentre l’intera tecnologia deve essere ancora testata e verificata nei prossimi
anni (http://www.eren.doe.gov).
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6.6. Altri metodi di produzione
Oltre ai metodi analizzati nei precedenti paragrafi, la ricerca è attiva in diversi settori riguardanti la
produzione dell’idrogeno. Essa si muove fondamentalmente in due direzioni: migliorare le
tecnologie esistenti e sperimentare nuovi metodi.L’obbiettivo principale è quello di abbattere i costi
delle tecnologie ormai in uso riducendo la quantità dei materiali impiegati e aumentando quindi i
rendimenti di conversione degli impianti esistenti. In secondo luogo, si cerca di perfezionare nuovi
sistemi che consentano di risolvere la questione dell’impatto ambientale delle tecnologie basate
sull’impiego degli idrocarburi. In particolare, si sta puntando molto su sistemi che consentano la
produzione di idrogeno tramite l’impiego diretto dell’energia solare, in sostituzione dell’energia
elettrica necessaria per l’elettrolisi dell’acqua. Uno di questi, la produzione dell'idrogeno per
fotoconversione, associa un sistema di assorbimento della luce solare ed un catalizzatore per la
scissione dell'acqua. Questo processo usa l'energia della luce senza passare attraverso la produzione
separata di elettricità richiesta dall'elettrolisi. Ci sono due classificazioni principali di tali sistemi:
fotobiologico e fotoelettrochimico.Un altro esempio dell’interazione tre energia solare e produzione
dell’idrogeno è fornito dalle centrali fotovoltaiche a idrogeno le quali costituiscono, attualmente,
l’unico esempio fattibile di impiego di fonti rinnovabili per la produzione di idrogeno.Si tratta,
tuttavia, prevalentemente di tecnologie in fase sperimentale, le cui attività di laboratorio richiedono
ancora notevoli perfezionamenti.
A.. Tecnologie fotobiologiche
I processi di produzione fotobiologici riguardano la generazione dell'idrogeno da sistemi biologici,
che usano generalmente la luce solare. Alcune alghe e batteri sono in grado di produrre idrogeno
sotto specifiche condizioni. I pigmenti delle alghe assorbono l'energia solare e gli enzimi nella
cellula agiscono da catalizzatori per scindere l'acqua nei suoi componenti di idrogeno e ossigeno.La
ricerca sta analizzando i meccanismi dettagliati di questi sistemi biologici. In ogni caso si è ai primi
stadi ed il livello di efficienza di conversione in energia (rapporto tra l'ammontare di energia
prodotta dall'idrogeno e l'entità della luce solare impiegata) è basso, circa il 5%. Per la produzione
di idrogeno su larga scala, questi processi richiedono efficienza più elevata e riduzione dei costi. La
ricerca è incentrata su due approcci: sistemi "whole-cell", che coinvolgono batteri, e sistemi "cell-
free", che utilizzano solo gli enzimi che producono l'idrogeno. I sistemi "whole-cell" hanno
potenziale per la produzione a breve termine con efficienza di conversione dal 5% al 10%, mentre i
sistemi "cell-free" si prospettano come tecnologie di produzione a lungo termine che possono
raggiungere un'efficienza di circa il 25%. Oltre ai problemi relativi alla bassa efficienza di
conversione, l’azione di quasi tutti gli enzimi che elaborano l'idrogeno, è notevolmente rallentata
dalla presenza dell'ossigeno prodotto dalla scissione dell'acqua. C'è, inoltre, il problema del
mantenimento in vita dei sistemi produttivi per periodi prolungati che consentano di ottenere
maggiore stabilità di produzione (National Renewable Energy Laboratory, 1995). Esistono
numerose attività di ricerca che hanno lo scopo di adeguare i sistemi di produzione fotobiologica a
tali difficoltà. A breve termine si prevede l’identificazione di batteri e sviluppo di un sistema che
possa produrre idrogeno puro a temperatura e pressione ambiente, nell'oscurità. Attualmente, sono
state isolate circa 400 specie di questo tipo di batteri, capaci di combinare, nell'oscurità, monossido
di carbonio ed acqua per produrre quantità piuttosto elevate di idrogeno e biossido di carbonio.
L'analisi dettagliata di 25 tra queste specie, ha dimostrato che esse sono in grado di produrre
idrogeno da circa il 100% del monossido di carbonio impiegato ma un solo tipo di sistema, basato
sull'azione di alcune specie di cianobatteri, ha dato risultati soddisfacenti. I cianobatteri possono
crearsi semplicemente all’interno delle miniere di sale con la luce solare come fonte di energia,
l’anidride carbonica come fonte di carbonio e l’acqua come fonte di elettroni. Sempre nell’ambito
delle sperimentazioni riguardanti i cianobatteri, sono allo studio alcuni progetti per la modificazione
genetica di alcune di queste specie, in grado di produrre quantità elevate di idrogeno. Esse
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verrebbero modificate tramite i geni clonati di enzimi in grado di produrre reversibilmente molecole
di idrogeno da ioni di idrogeno. La modificazione genetica di questi organismi incontra però alcuni
ostacoli nelle fasi di isolamento del DNA e clonazione dei geni per cui la realizzazione di questo
sistema prevede diverse fasi, tra queste la costruzione di un vettore per i geni e il mantenimento
delle colonie di batteri, la cui realizzazione avverrà gradualmente nel tempo (Paupe e Brand, 1999).
Un altro obbiettivo della ricerca è quello di superare l'intolleranza di tali sistemi all'ossigeno tramite
l'individuazione di batteri i cui enzimi non presentino questo inconveniente. Tali enzimi verrebbero
estratti ed introdotti geneticamente in una specie di alga, la Chlamydomonas, creando così una
nuove specie i cui enzimi hanno la capacità di produrre simultaneamente idrogeno ed ossigeno.
Attualmente sono state identificate sei tipologie di organismi con queste caratteristiche. Sempre allo
stesso scopo, si sta sviluppando un sistema "cell-free" che separerà gli enzimi produttori di idrogeno
dagli enzimi produttori di ossigeno con una sostanza solida. La separazione fisica supererà il
problema della tolleranza dell'ossigeno ed i sistemi "cell-free" avranno un potenziale di efficienza di
conversione che raggiungerà circa il 25%. Anche in questo caso il progetto sperimentale coinvolge
la Chlamydomonas, e punta alle due reazioni a catena che nelle piante usano la luce solare per
sintetizzare carboidrati ed idrogeno. Nella prima fase i pigmenti scindono l'acqua direttamente
ottenendo ossigeno e creando un flusso di elettroni per la reazione successiva. Nella seconda fase
tali elettroni vengono utilizzati per ridurre il biossido di carbonio in carboidrati. In assenza di
ossigeno questi elettroni sono utilizzati per la produzione di idrogeno (Rossmeissl, 1995).
B. Tecnologie fotoelettrochimiche
I sistemi fotoelettrochimici usano degli elettrodi semiconduttori in una cella fotoelettrochimica per
convertire energia ottica in energia chimica. Esistono essenzialmente due tipologie di tali sistemi:
una utilizza semiconduttori, l'altro metalli complessi dissolti. Nel primo tipo, un materiale
semiconduttore è utilizzato sia per assorbire l'energia solare sia per agire da elettrodo per la
scissione dell'acqua. Questa tecnologia è ancora ai primi stadi del suo sviluppo sebbene l'efficienza
di conversione dell'energia sia cresciuta da meno dell'1%, nell’anno 1974, all'attuale 8%. Efficienze
ancora più elevate sono state ottenute con l'aggiunta di una carica elettrica esterna per facilitare la
reazione chimica. L'azione a lungo termine di tali sistemi è limitata dalla corrosione dei materiali
semiconduttori indotta dalla luce ed altri effetti chimici (National Renewable Energy Laboratory,
1995). La ricerca attualmente si sta occupando di migliorare l'efficienza di conversione in energia di
tali celle, della loro durata e della riduzione dei costi, a tale scopo vi sono progetti per
l’identificazione di nuovi materiali semiconduttori ad alta efficienza e stabilità. Attualmente il
materiale con la più alta efficienza è un composto (conosciuto come fosfuro di indio tipo-p) che
agisce come semiconduttore. Il fotoelettrodo più stabile è il biossido di titanio, il quale, però, ha
un'efficienza di conversione minore dell'1%. Entrambi questi materiali necessitano di un voltaggio
esterno che faciliti la reazione di scissione dell'acqua. Sono allo studio altri materiali, che non
richiedono elettricità esterna, come fosfuro di indio e gallio, semiconduttori organici stabili, e
diverse nuove leghe di semiconduttori. La ricerca punta inoltre alla scoperta di nuovi metodi per
ridurre la corrosione: uno dei più promettenti è l'uso di un materiale protettivo ultra-sottile applicato
sulla superficie dell'elettrodo. Nell’anno 1996, gli studi in questo campo hanno dimostrato di poter
ottenere un'efficienza di conversione del 7,8%, usando un "fotocatodo" costruito per il 10% da
silicio amorfo. La configurazione di questi sistemi prevedeva il collegamento tra l'anodo ed il
"fotocatodo", separati, tramite un conduttore. Negli anni successivi l'attenzione si è spostata su
sistemi con anodo e catodo integrati. Attualmente, si sta sperimentando il progetto di un nuovo
"fotoelettrodo" integrato, fabbricato completamente con la lavorazione di una pellicola sottile, di cui
sono state dimostrate le sequenze della lavorazione per la costruzione del prototipo. Di conseguenza
la ricerca progredisce verso il perfezionamento di pellicole conduttive, protettive, con efficienza
ottimale. Alcuni dei sistemi sperimentati hanno raggiunto un'efficienza di conversione dell'energia
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solare in idrogeno, del 15% (Miller e Rocheleau, 2000). Si sta sperimentando inoltre,
l’incorporazione di strati multipli di materie coloranti sensibilizzate per massimizzare
l'assorbimento solare e la conversione in idrogeno. Tale progetto imita la fotosintesi, dove sistemi
multipli di fotoconversione agiscono insieme per intensificare l'energia della luce solare al fine di
provocare reazioni chimiche. La ricerca sta procedendo nell'area dei sistemi a bassi costi che
potrebbero provenire dall'utilizzo di strati multipli di materie coloranti organiche e semiconduttori a
strato sottile. Il secondo tipo di sistemi fotoelettrochimici usa materiali complessi dissolti come
catalizzatori. Il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una separazione tramite carica
elettrica che conduce alla reazione di scissione dell'acqua. La ricerca si sta occupando di individuare
dei catalizzatori che possano dissociare più efficientemente l'acqua e produrre idrogeno. Questo
metodo è attualmente meno avanzato dei processi con semiconduttore ma offre buone prospettive
per evitare il problema della corrosione (National Renewable Energy Laboratory, 1995).
C. Centrali fotovoltaiche ad idrogeno
Come già detto, le fonti rinnovabili costituiscano la base per la produzione di combustibili di
sintesi, in particolare di idrogeno, come sistema di accumulo. Nel campo della produzione di
energia elettrica infatti, si prevede la produzione dell'energia dalla luce solare tramite una cella
fotovoltaica la quale fornisca l'elettricità necessaria per la produzione d'idrogeno tramite elettrolisi.
Indubbiamente, tali sistemi rivestono interesse per i loro benefici ambientali ma due sono le
principali barriere alla loro realizzazione: l'elettricità solare non trova sempre applicazione diretta,
per esempio nei motori a combustione, ed è difficile e costosa da immagazzinare. Bisogna quindi
confrontare questa possibilità di produzione con le altre, in termini di costi, impatto ambientale ed
efficienza. Il vantaggio fondamentale dei sistemi fotovoltaici ad idrogeno è quello di soddisfare la
richiesta di corrente continua necessaria per l'elettrolisi; d'altro canto la produzione di idrogeno
tramite steam reforming di idrocarburi, è il metodo che consente di ottenere la maggiore efficienza .
Obbiettivo della ricerca, a breve e medio termine, è principalmente quello di sviluppare la
potenzialità dei sistemi fotovoltaici, tramite lo sviluppo di sistemi integrati, che comprendano, oltre
al generatore fotovoltaico, anche un sistema di accumulo stagionale dell'energia previsto per
particolari applicazioni o nicchie di mercato. Uno dei primi Paesi che ha creduto, sin dagli anni
1980, al potenziale di sfruttamento dell’energia solare con un sistema di accumulo è l’Arabia
Saudita. Risale infatti ai primi anni 1990 la costruzione della prima centrale solare a idrogeno.
Anche se nella prima fase di attuazione si sono verificati dei problemi, la centrale è attualmente
funzionante; con una potenza di 350 kW e capace di produrre 463 m3 di idrogeno al giorno, essa è
in grado di fornire energia elettrica al cosiddetto "Solar Village", presso Riyadh in Arabia Saudita,
costituito da un agglomerato di zone rurali con circa 4000 abitanti. Questo progetto è realizzato in
collaborazione con ricercatori tedeschi che stanno realizzando una centrale di questo tipo a
Stoccarda. Altri progetti che coinvolgono produzione di idrogeno ed energia solare sono realizzati
in collaborazione con il Department of Energy Statunitense (Huraib, 1999). Anche l’ENEA sta
compiendo da alcuni anni numerosi studi relativi alla produzione di idrogeno da sistemi
fotovoltaici. Questo modello di centrale fotovoltaica è composta da un generatore fotovoltaico, da
un sistema di produzione elettrolitica e di stoccaggio dell'idrogeno e da un sistema a cella
combustibile per il suo successivo utilizzo, è potenzialmente capace di competere sul piano tecnico
con le centrali elettriche convenzionali. In questo modo le centrali fotovoltaiche potrebbero
gradualmente sostituire gli impianti di potenza convenzionale, aggiungendo al valore del kWh
prodotto, altri vantaggi in termini di risparmio di combustibile e capacità di potenza. Il
funzionamento della centrale, in termini di flusso di energia, è schematizzato nella figura 2.2.
L'energia solare, che cade sui pannelli fotovoltaici, viene trasformata in energia elettrica in tempo
reale. Durante le ore di buona insolazione, una parte dell'energia elettrica viene inviata direttamente
ad alimentare il carico, mentre la parte eccedente le necessità istantanee dell'utenza viene
trasformata in energia chimica sotto forma di idrogeno ed immagazzinata nel serbatoio di accumulo.
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Durante le ore di buio e nei giorni di scarsa insolazione, l'energia chimica dell'idrogeno viene
ritrasformata in elettricità nella cella a combustibile ed inviata a soddisfare le esigenze del carico.
La possibilità di immagazzinare energia solare per lunghi periodi e di usarla in tempo differito al
momento della richiesta consente di garantire la continuità temporale dell'alimentazione dell'utenza,
portando la centrale fotovoltaica ad idrogeno sullo stesso piano delle centrali a combustibili fossili.
Fig. 2.2. Schema di una centrale fotovoltaica ad idrogeno.
Le centrali a idrogeno fotovoltaico possono quindi rappresentare un’ottima soluzione tecnica per
superare il ruolo marginale in cui il fotovoltaico si viene a trovare a causa della intermittenza della
generazione di energia. Inoltre, i costi aggiunti al kWh fotovoltaico dalla produzione ed accumulo
dell'idrogeno possono essere mantenuti entro limiti accettabili, in considerazione dell'alta efficienza
energetica dello stadio intermedio di condizionamento della potenza (Barra e Coiante, 1993).
Sempre a cura dell’ENEA, si è sperimentata una piccola centrale fotovoltaica ad idrogeno per
fornire energia elettrica ad un’utenza domestica nell’ambito del progetto SAPHYS (Stand Alone
Photovoltaic Hydrogen System). L’impianto realizzato è di piccole dimensioni e non ha dato i
risultati attesi. E’ stato comunque importante dimostrare che con un opportuno sistema di controllo
tali sistemi possono garantire affidabilità di funzionamento senza sorveglianza diretta. Gli studi
relativi a questo tipo di centrale sono ormai numerosi, il che fa ben sperare in una prossima effettiva
realizzazione, con costi accessibili, di tali tecnologie il cui pregio principale è senz'altro l'impatto
ambientale praticamente nullo. Per il momento si prevede la loro diffusione nel mercato attraverso
l’applicazione di impianti di dimensioni modeste per alimentare utenze situate in zone lontane dalla
rete centrale (isole, montagne, basi militari ecc.). Ovviamente, nel lungo termine lo sviluppo di tali
sistemi sarà fortemente condizionato anche dal parallelo perfezionamento dell’intera tecnologia; le
riduzioni dei costi si potranno ottenere solo con l’aumento della taglia degli impianti e con
l’operatività continua (http://www.erg9218.casaccia.enea.it).
D. Altre tecnologie innovative
Una delle tecnologie di produzione dell'idrogeno che è ancora ai primissimi stadi della ricerca, è
basata sui metodi di conversione enzimatica del glucosio e di altri zuccheri. Il glucosio, come
prodotto della fotosintesi, è un prodotto rinnovabile così come altri zuccheri quali xilosio, lattosio e
saccarosio. Tutti hanno la possibilità di essere convertiti in idrogeno tramite l'azione di due enzimi:
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il Thermoplasma Acidophilum ed il Pyrococcus Furiosus. Il contenuto massimo di idrogeno
ottenibile da questa conversione è di una mole per ogni mole di zucchero utilizzato, anche se recenti
studi hanno dimostrato che è possibile aumentare questo risultato a circa 12 moli di idrogeno per
una mole di glucosio. Con l'obbiettivo di favorire la produzione di idrogeno da utilizzare per celle a
combustibile con applicazione mobile o in impianti stazionari di modeste dimensioni, sono in fase
di sviluppo piccoli reformer ed ossidatori parziali. Questi ultimi agiscono a temperature più basse
rispetto ai reformer, per cui il loro processo di commercializzazione, con costi accessibili, è
sicuramente più semplice. Nelle applicazioni mobili si spera di trarre vantaggio dall'alta densità di
energia di tali sistemi e dalla maneggevolezza del combustibile per le celle. Attualmente non è
ancora possibile la produzione in serie di questi impianti, che hanno solo un'applicazione
sperimentale (Zittel e Wurster, 1996). Un altro metodo per la produzione di idrogeno, utilizzato
molto frequentemente, è il recupero dei gas residui di altri processi industriali. Essi spesso
forniscono residui con alta concentrazione d'idrogeno come accade, per esempio, per i cascami dei
flussi delle raffinerie di petrolio, i gas prodotti dallo scoppio delle camere di compressione, i residui
dei processi delle industrie chimiche, ecc., accumulare e purificare questi gas non comporta costi
elevatissimi. La maggior parte dell'idrogeno così ottenuto, viene utilizzato dalle stesse industrie che
lo producono, quindi, benché questo metodo costituisca un'importante figura del mercato futuro,
sembra improbabile che possa contribuire in misura significativa al soddisfacimento della crescente
richiesta di idrogeno come combustibile. Un'altra tecnologia ancora in fase sperimentale è la
radiolisi. Essa consiste nella separazione delle molecole dell'acqua tramite la collisione con
particelle ad alto contenuto energetico prodotte in un reattore nucleare. Purtroppo, dato che gli
atomi di idrogeno ed ossigeno così prodotti si ricombinano molto velocemente, si suppone che
questo metodo non raggiunga un'efficienza superiore all'1%. Per questo motivo la maggior parte dei
ricercatori considera questa tecnologia meno promettente delle altre (Morgan e Sissine, 1995).
Sempre nell’ambito delle tecnologie innovative, si prevede che possano essere commercializzati
particolari impianti per il reforming del plasma. Il plasma è uno stato della materia ad alto
contenuto energetico caratterizzato da alte temperature ed un’elevata ionizzazione. Rispetto agli
altri processi, i reformer del plasma offrono numerosi vantaggi quali alta densità energetica,
flessibilità nell’uso del combustibile, semplicità dei materiali di costruzione ed alta efficienza di
conversione. Un reformer del plasma può agire in diverse tipologie di processi inclusi lo SMR,
l’ossidazione parziale e la pirolisi. La ricerca attualmente si sta occupando di definire le eventuali
emissioni nocive di tale processo e i metodi per eliminarle. Inoltre, si progetta la costruzione di un
reattore compatto che incorpori la reazione del metano e la "shift reaction" in un’unica fase e che
possa essere utilizzato anche per le applicazioni mobili. Si stanno sperimentando anche sistemi che
permettano di sostenere costi particolarmente bassi come il processo denominato Ion Transport
Membrane (ITM) il quale consente la produzione di un gas di sintesi, formato da idrogeno e
monossido di carbonio, ottenuto dal gas naturale. Il processo ITM prevede l’utilizzazione di
membrane di ceramica, conduttrici, per separare l’ossigeno dall’aria e, contemporaneamente,
convertire il gas naturale in idrogeno. L’aria viene pre-riscaldata a più di 600 °C e passata attraverso
un reattore ITM il quale è composto di una membrana di ceramica non porosa che trasporta
l’ossigeno verso un reticolato di cristalli. L’ossigeno a sua volta reagisce con una parete catalizzata
nella parte in cui affluisce il combustibile e quindi passa sul letto a base di catalizzatori del reformer
per favorire la produzione del gas. Naturalmente, il sistema ITM deve essere perfezionato tramite
l’individuazione dei materiali ottimali per la costruzione delle membrane e dei processi di
purificazione del gas prodotto. Recentemente infine, a causa dei costi ancora eccessivamente
elevati, sono stati sospesi i progetti di ricerca relativi alla produzione di idrogeno tramite
gassificazione di una sostanza liquida ottenuta dal trattamento dei rifiuti solidi urbani. Il progetto
presentava aspetti interessanti per il contributo che avrebbe fornito al problema dello smaltimento
dei rifiuti e per la possibilità di ottenere, dopo una opportuna fase di "pre-trattamento", un materiale
da impiegare integralmente e che non avrebbe posto, in seguito, il problema dello smaltimento delle
scorie residue (http://www.fetc.doe.gov).
101
7. Il trattamento dell'idrogeno
Dopo la produzione, l'idrogeno richiede ulteriori processi di purificazione. Successivamente esso
verrà quindi compresso ( il livello di pressione dipenderà dal tipo di applicazione o
immagazzinaggio) o liquefatto (idoneo al trasporto o per soddisfare la domanda di sistemi ad alta
densità d'energia). Secondo il tipo di impurità presenti ed il grado di purezza richiesto, vengono
applicati diversi metodi. Se l'idrogeno è prodotto tramite reforming, ossidazione parziale o processi
di pirolisi, le sostanze estranee possono essere rimosse direttamente al momento della produzione
per cui l'idrogeno prodotto sarà già parzialmente purificato, solo i grossi impianti di produzione
sono dotati di tali sistemi mentre nella maggior parte dei casi ci si affida a strutture decentralizzate.
Inoltre, se l'idrogeno è prodotto da oli, carbone, gas naturale o biomasse, è possibile applicare questi
processi direttamente alle materie utilizzate, prima della produzione tramite reforming o ossidazione
parziale. Si procede, quindi, alla rimozione delle polveri dai gas di carbonio o dai biogas, alla
desulfurizzazione del gas naturale ed alla rimozione del biossido di carbonio. La possibile presenza
di cloro o il contenuto di metalli pesanti (per es. mercurio) può, come anche lo zolfo, danneggiare i
catalizzatori degli impianti di reforming, per cui essi vengono rimossi in una fase di pre-pulitura. I
separatori per la rimozione delle polveri, anche se con efficienza del 98%, hanno una limitata
applicazione in quanto con questo metodo vengono rimosse solo le particelle con uno spessore
maggiore di 5mm. Per ottenere una raffinazione più elevata, in base al materiale trattato e al grado
di purezza richiesto, devono essere utilizzati dei filtri appropriati come filtri elettrostatici, filtri
reticolari e filtri a nastro. Il processo di desulfurizzazione è particolarmente necessario nella fase
preliminare del reforming del gas naturale per evitare danni o la disattivazione dei catalizzatori al
nickel o al platino (l'odore del gas naturale è provocato da una sostanza contenente zolfo). Per
questo scopo sono state sviluppate intere catene di processi fisico/chimici molti dei quali sono
attualmente disponibili in grandi impianti di reforming, mentre sono ancora in fase di sviluppo
metodi specifici da applicare nei piccoli impianti decentralizzati. Nel campo della purificazione del
gas naturale esistono tre processi, ormai ben collaudati, conosciuti come processo MEA, MDEA e
Purisol. I primi due processi applicano tecniche di assorbimento chimico mentre il processo Purisol
consiste in un lavaggio fisico mediante il quale i composti di COS (carbonio, ossigeno, zolfo) sono
prima convertiti in H2S e successivamente assorbiti da un solvente. Per la pulitura di biogas e di
altri gas residui dei vari processi si è dimostrata efficace l'applicazione di carbonio attivo. Lo
sviluppo di numerosi processi è avvenuto in connessione con la gassificazione del carbone la quale
è basata su una reazione di assorbimento seguita da una reazione chimica con ossidi di metallo. Per
l'eliminazione del biossido di carbonio, infine, i processi di assorbimento chimico si servono della
reazione tra una sostanza contaminante e una soluzione detergente la quale, nella fase rigeneratrice
elimina la sostanza contaminante tramite l'impiego di diversi livelli di temperatura. Nella fase
successiva avviene la rimozione dei componenti silicei del gas. Ovviamente il costo di tali processi
oltre a dipendere dalla purezza richiesta e dalla grandezza degli impianti, è influenzato dal grado di
contaminazione dei gas. Nella fase di ripulitura successiva alla produzione, avviene la separazione
delle sostanze estranee direttamente dall'idrogeno. Con questi sistemi (catalitici, ad assorbimento, a
membrana, ad idruri di metallo) vengono rimossi i prodotti del reforming incompleto. I processi
catalitici, a differenza degli altri, servono esclusivamente alla rimozione del monossido di carbonio
tramite ossidazione, metanizzazione e conversione. Le efficienze realizzabili dipendono dai
parametri di reazione quali temperatura, pressione, flusso volumetrico, concentrazione del gas
grezzo e materiale catalizzatore. Normalmente vengono combinati diversi processi, i quali, in base
alle procedure adottate, consentono di ridurre i livelli di impurità anche molto al di sotto dell'1%. La
selezione delle sequenze di reazioni da adottare dipende dal materiale catalizzatore impiegato.Il più
elevato grado di purezza dell'idrogeno, fino al 99,99%, è ottenuto con il metodo di assorbimento a
pressione discontinua. Con questo metodo, l'idrogeno grezzo è costretto ad attraversare sotto
pressione un filtro al carbonio attivo o un reticolato di molecole di carbonio. Il processo è
discontinuo perché ad intervalli regolari è necessaria la rigenerazione del filtro tramite pulitura. Il
102
metodo di assorbimento a temperatura discontinua invece, seppure con ampie possibilità di
applicazione, è scarsamente utilizzato. I processi con membrane si servono delle caratteristiche di
trasmissione del materiale membrana per diverse molecole per cui i materiali più efficienti sono
anche i più costosi (membrane al palladio). Grazie alla loro estrema purezza, esse vengono
utilizzate attualmente nell'industria chimica e microelettronica. Recentemente è stato sviluppato
dalla CJB-Development Limited un piccolo purificatore con membrana ad argento e palladio.I
purificatori di gas basati sulle leghe di metallo vengono principalmente usati per la produzione di
gas puri per l'industria dei semiconduttori. Essi necessitano, per innalzare ulteriormente il livello di
purezza, di gas pre-trattati con altri metodi di pulitura. La ricerca, che sta compiendo notevoli passi,
punta alla creazione di materiali altamente efficienti e alla riduzione dei costi. I mercati più
promettenti per i processi di post-purificazione, sono quelli dei piccoli purificatori per impianti
decentralizzati. Di conseguenza la ricerca di materiali meno costosi, in particolare per le membrane
e gli idruri di metallo, avviene in questa prospettiva. A tale proposito una membrana di ceramica
permeabile è stata utilizzata con successo in Israele, per la separazione del monossido di carbonio
dall'idrogeno. Altri esperimenti, recentemente, sono stati condotti con una membrana
semipermeabile polisulfurea che sembra offrire ampie possibilità di risparmi in termini di costo.
Con questo stesso obbiettivo, si sono sperimentati filtri al palladio tramite l'applicazione di materiali
assorbenti su un substrato costituito da una superficie attiva di materiale poco costoso.
Recentemente è stato utilizzato con successo, per la prima volta, un idruro a base di nichel ed
alluminio per la conversione del gas grezzo, il quale integrato ad un processo d'immagazzinaggio,
comporterebbe una notevole riduzione dei costi complessivi (Zittel e Wurster, 1996).
8. Sicurezza nell’uso dell’idrogeno
Altro obbiettivo fondamentale dei piani di ricerca è la definizione di una serie di norme e standards
per un impiego sicuro dell’idrogeno oltre allo sviluppo di affidabili ed economici sistemi di
rilevamento di eventuali fughe dello stesso. Infatti, gli attuali rilevatori in commercio sono
voluminosi, complessi e molto costosi. Essi richiedono dei cablaggi elettrici, per il controllo e la
trasmissione dei segnali, che possono facilmente infiammarsi in caso di deterioramento. Il
funzionamento di tali sistemi, inoltre, è disturbato dall’interferenza di segnali elettromagnetici. La
soluzione a tali inconvenienti è rappresentata dall’introduzione di sensori a fibra ottica o costituiti
da sottili membrane. Il rilevatore a fibra ottica è basato sul cambiamento reversibile delle proprietà
ottiche di una sottile membrana applicata alla fine della fibra ottica. Tale cambiamento è rilevato
grazie al fenomeno di assorbimento della superficie di rivestimento del sensore il quale è disegnato
in modo che il fascio di luce riflesso sulla parte esterna del sensore sia utilizzato come segnale di
riferimento interno. Data la sensibilità di questi sistemi a cambiamenti di qualsiasi entità, per evitare
segnalazioni insignificanti, i dati che il rilevatore mostra all’esterno esprimono il rapporto tra il
segnale di riferimento interno ed il segnale ottico alterato dall’idrogeno. Il fatto che vengano rilevate solo le alterazioni dovute alla presenza di idrogeno è particolarmente importante nelle
applicazioni mobili, nelle quali l’avvolgimento e la curvatura dei cavi, e le vibrazioni della strada
possono facilmente alterare la trasmissione ottica. Il meccanismo dei sensori a membrane invece, è
basato sui cambiamenti nella resistenza elettrica del palladio (il materiale di cui sono costituite
appunto le membrane) corrispondente all’ammontare di idrogeno assorbito. La concentrazione di
idrogeno nel palladio può essere misurata tramite le variazioni dell’espansione volumetrica, della
resistenza o della tensione elettrica. Ovviamente tali sistemi devono essere ancora migliorati in
quanto è necessario perfezionare i meccanismi di selezione dell’idrogeno, la velocità di risposta, la
resistenza al deterioramento fisico e la qualità dei materiali impiegati al fine di ottenere sistemi più
affidabili e resistenti (http://www.eren.doe.gov).
9. Tecnologie di immagazzinaggio e trasporto dell'idrogeno
103
Attualmente le tecnologie di immagazzinaggio e trasporto sono molto più sviluppate rispetto a
quelle di produzione. Alcune di esse, come gli idruri chimici e le microsfere di cristallo, sono già
sfruttate commercialmente, altre presentano notevoli vantaggi riguardo la sicurezza e la
salvaguardia dell’ambiente. Gli svantaggi, però, sono legati alle diverse tecnologie di produzione e
alle applicazioni pratiche dell’idrogeno. Infatti, nonostante l’enorme versatilità delle caratteristiche
fisiche e chimiche dell’idrogeno, è spesso molto difficile abbinare agli impianti di produzione
idonee tecniche di immagazzinaggio, così come non sempre i metodi di trasporto soddisfano le
necessità degli utilizzatori finali. Nei successivi paragrafi sarà effettuata l'analisi delle diverse
tecnologie d'immagazzinaggio e trasporto dell'idrogeno alla luce dei problemi connessi. Un
processo d'immagazzinaggio pratico ed economico dipende dalla capacità, dall'integrità strutturale
del materiale impiegato, dal costo totale e da altre condizioni quali temperatura, pressione e purezza
dell'idrogeno (National Renewable Energy Laboratory, 1995).Le tecnologie di immagazzinaggio
analizzate sono:
- Idrogeno compresso.
- Idrogeno liquefatto.
- Idruri di metallo.
- Idruri chimici.
- Sistemi basati sul carbonio.
- Microsfere di cristallo.
- Altri metodi.
I primi tre metodi, sono in genere usati in impianti per la produzione di energia e per il rifornimento
degli autoveicoli. La tecnologia ad idruri chimici, invece, è idonea per l'immagazzinaggio a lungo
termine dell'idrogeno. In seguito, quindi, i processi di immagazzinaggio saranno analizzati
considerando il caso della produzione di energia e, dove applicabile, si discuterà dell'impiego su
veicoli.
9.1. Idrogeno come gas compresso
L’immagazzinaggio dell’idrogeno sotto forma di gas compresso o liquefatto e, quando necessario
per stabilizzare il livello di pressione, tramite idruri di metallo richiede l’utilizzo di compressori.
L’idrogeno può essere compresso tramite compressori a pistoni assiali, radiali o alternati. Questi
ultimi possono avere potenza fino a 11.200 kW e trattare flussi di idrogeno di 890 kg/h a più di 25
MPa di pressione. I compressori assiali e radiali invece sono usati per flussi anche dieci volte
maggiori. Uno dei vantaggi dei compressori assiali è che ne possono essere montati diversi su uno
stesso albero ma il fatto che debbano essere installati meccanismi per la protezione dalle
oscillazioni ne riduce l’efficienza al 50%. La compressione avviene in più fasi, a diverse pressioni,
e può essere effettuata anche tramite l’impiego di idruri di metallo sfruttando la diversa pressione
operativa delle fasi di idrogenazione e deidrogenazione. In genere essi vengono fatti agire in serie in
modo che il calore rilasciato dall’uno venga utilizzato dal successivo, con un’azione a catena. Molti
sistemi di compressione utilizzano meccanismi di espansione per recuperare parte dell’energia della
fase di compressione mentre negli attuali processi di liquefazione essi hanno lo scopo di aumentare
l’efficienza di raffreddamento dell’idrogeno. Per grossi flussi d’idrogeno vengono impiegati i
cosiddetti "turboespansori" che se completamente operativi hanno efficienza dell’85% ma risultano
molto meno efficienti con carichi inferiori. I meccanismi di espansione sono anche utilizzati per
modificare la pressione dell’idrogeno in base alla tecnologia d’immagazzinaggio e all’applicazione
finale (http://www.eren.doe.gov). L'idrogeno può essere immagazzinato, come gas compresso,
all'aperto, sotto terra e a bordo di veicoli. Questa tecnologia d’immagazzinaggio è la più semplice in
quanto le uniche attrezzature necessarie sono un compressore ed un contenitore pressurizzato.
L'idrogeno viene compresso a circa 20,7 MPa ed immagazzinato in cilindri per il gas, a pressione
104
standard, o in contenitori sferici per quantità superiori a 15.000 Nm3. In generale,
l'immagazzinaggio sotto forma di gas compresso, in tubi ad alta pressione, è generalmente limitato
a sistemi inferiori ai 14.000 Nm3 o ancora minori, a causa del loro costo elevato. I costi stimati di
questa tecnologia, nel caso di immagazzinaggio all'aperto, sono molto elevati per
l'immagazzinaggio giornaliero con l'utilizzo di tubi pressurizzati rispetto al caso dell'utilizzo di
contenitori; essi inoltre dipendono fortemente dal tasso di rotazione delle scorte (Padrò e Putsche,
1999). L'immagazzinaggio dell'idrogeno in impianti sotterranei, invece, è conveniente per il
trattamento di grossi quantitativi o per lunghi periodi. Attualmente esistono numerosi impianti
d'immagazzinaggio sotterraneo. La città di Kiel, in Germania, utilizza questo tipo di strutture sin
dall’anno 1971, per l'immagazzinaggio del gas di città, costituito per il 60%-65% da idrogeno. La
società nazionale per il gas, francese, Gaz de France, ha immagazzinato prodotti gassosi di
raffineria, ricchi di idrogeno, in strutture acquifere vicino Baynes, in Francia. La Imperial Chemical
Industries immagazzina l'idrogeno in miniere saline vicino Teeside, Regno Unito. Questa
metodologia è più o meno conveniente, in termini di costi, secondo che si sfruttino strutture
preesistenti (miniere saline, pozzi di gas svuotati ecc.) o ne sia necessaria la loro creazione (pozzi
artificiali ecc.). La maggior parte dei costi è rappresentata dal costo dell'energia impiegata per la
compressione e dipendono, quindi, dalle quantità trattate e dal periodo d'immagazzinaggio. Questa
tecnologia d'immagazzinaggio, ad una pressione di 20,7-55,2 MPa, è la meno costosa per il
rifornimento di autoveicoli ma, purtroppo, ha una densità d'energia in rapporto al volume, molto
bassa (13-3,4 MJ/l) se comparata a quella della benzina (32,4 MJ/l). Anche se quest'ultimo
svantaggio può essere eliminato con l'aumento della pressione, non bisogna trascurare la questione
della sicurezza. Sono stati sviluppati serbatoi con fibra rinforzata, composta (per esempio alluminio-
carbone) ma il loro costo, attualmente ancora elevato, andrebbe a gravare ulteriormente sul costo
complessivo d'immagazzinaggio, rendendolo ancor meno conveniente se rapportato alla densità
d'energia che comunque resta esigua (Padrò e Putsche, 1999).
9.2. Idrogeno liquefatto
I processi di liquefazione usano una combinazione di compressori, scambiatori di calore, motori di
espansione e valvole a farfalla per ottenere il raffreddamento desiderato. Il processo di liquefazione
più semplice è il ciclo Linde o ciclo di espansione Joule–Thompson. Tramite questo processo, il gas
è compresso a pressione ambiente e quindi raffreddato in uno scambiatore di calore prima di
passare attraverso una valvola in cui è sottoposto al processo di espansione Joule–Thompson
producendo del liquido. Una volta rimosso il liquido il gas ritorna al compressore tramite lo
scambiatore di calore. Il processo Linde opera con gas, come l’azoto, che si raffreddano per
espansione a temperatura ambiente. L’idrogeno al contrario, in questa fase si riscalda e per evitare
ciò la sua temperatura deve essere inferiore alla sua temperatura d’inversione di 202 K. Per
raggiungere tale temperatura alcuni processi raffreddano l’idrogeno con dell’azoto liquido pre-
raffreddato che prima del passaggio nella valvola d’espansione, consente la riduzione della
temperatura dell’idrogeno a 78 K. L’azoto viene quindi recuperato e riciclato nel ciclo continuo di
refrigerazione. Altri sistemi, che superino gli inconvenienti legati alle basse temperature operative,
sono in corso di perfezionamento . L'idrogeno può essere liquefatto per la produzione stazionaria di
energia sia per il rifornimento di veicoli. Successivamente, nella maggior parte dei casi, viene
immagazzinato ad una temperatura di -253 °C. L'unico inconveniente di questo sistema è
l'eventuale fuoriuscita di parte dell'idrogeno liquido ed il notevole dispendio energetico dell’intero
processo. Infatti circa il 30% dell’energia dell’idrogeno è necessaria per il suo raffreddamento
Inoltre sono necessarie particolari attrezzature per il mantenimento dello stato liquido (Padrò e
Putsche, 1999). Una delle preoccupazioni maggiori legate a questo processo quindi, è quella della
riduzione delle fuoriuscite di liquido. Dato che l’idrogeno è immagazzinato ad una temperatura che
corrisponde al suo punto di ebollizione, qualsiasi passaggio di calore attraverso il liquido causa
l’evaporazione di una parte dell’idrogeno e qualsiasi evaporazione si riflette in una perdita
105
dell’efficienza del sistema. La fonte di tale calore potrebbe essere la conversione della
configurazione elettronica delle molecole d’idrogeno da orto a para (vedi cap. 2), l’energia del
pompaggio, oppure la conduzione, convezione o irraggiamento diretto del calore. Per quanto
riguarda il primo caso, la conversione delle molecole da orto a para, alla temperatura di ebollizione
dell’idrogeno (20,3 K) la concentrazione di equilibrio è quasi tutta para-idrogeno, ma a temperatura
ambiente o superiore, la concentrazione è del 25% para-idrogeno e 75% orto-idrogeno. La
conversione non catalizzata della molecole da orto a para procede molto lentamente così, senza una
fase di conversione catalitica, l’idrogeno liquefatto contiene significative quantità di orto-idrogeno.
La loro conversione richiederebbe quindi una reazione esotermica il cui rilascio di enormi quantità
di calore causerebbe l’evaporazione del 50% dell’idrogeno liquido nel giro di pochi giorni. Alcune
delle soluzioni, prevedono la conversione da orto a para durante la liquefazione, per evitare che ciò
accada durante l’immagazzinaggio, tramite l’impiego di particolari catalizzatori. L’impiego di
contenitori criogeni isolati invece, può far fronte al problema del calore generato per conduzione,
convezione ed irraggiamento. Tali contenitori sono progettati in modo da evitare qualsiasi
trasmissione di calore dalla parete esterna al liquido, per cui sono tutti costituiti da un doppio
rivestimento il cui interno è vuoto per impedire il passaggio di calore per conduzione o convezione.
Per prevenire l’irraggiamento diretto di calore invece, tra la parete interna ed esterna del contenitore
sono installati dei pannelli protettivi a bassa emissione di calore a base di plastica ed alluminio. La
maggior parte dei contenitori di idrogeno liquido hanno forma sferica perché quest’ultima ha la più
bassa superficie per il trasferimento di calore per unità di volume. Inoltre, al crescere del diametro
dei contenitori il volume aumenta più velocemente della superficie esterna per cui contenitori più
grandi, in proporzione, provocano minori perdite per trasferimento di calore. I contenitori cilindrici,
invece, sono preferibili per la loro facilità ed economicità di costruzione. Anche se sottoposto con
cautela all’irraggiamento solare, una parte dell’idrogeno può evaporare ed essere destinata ad
aumentare la pressione nel contenitore o riciclata nel processo di liquefazione oppure, in alcuni casi,
semplicemente liberata. Il più grande sistema d'immagazzinaggio per l'idrogeno liquido, con una
capacità di 3.800 m3, è posseduto, attualmente, dalla NASA. Riguardo questa tecnologia, il costo
operativo maggiore è dovuto all'elettricità necessaria per la compressione per cui, attualmente, si
stanno analizzando alcuni metodi per la riduzione della quantità di energia elettrica richiesta. Una
delle possibili soluzioni, la liquefazione magnetica, è in fase di sviluppo . Per quanto riguarda il
rifornimento di veicoli, quello dell'idrogeno liquefatto potrebbe sembrare uno dei metodi più adatti.
Senonché bisogna considerare i notevoli rischi legati, solo per fare un esempio, alle perdite di
carburante o ai problemi di sicurezza . Inoltre, si stanno progettando dei serbatoi ad alta pressione
leggeri ed impermeabili all’idrogeno. Lo scopo è quello di utilizzare tali serbatoi in spazi ristretti ed
in particolare a bordo di veicoli. Basato sul principio fisico che i cilindri siano efficienti nel
contenere la pressione interna, questi serbatoi sono costituiti da più cilindri congiunti, con un
reticolato rinforzato interno. Il risultato è quindi quello di un contenitore "multi-cella" il cui numero
è ottimizzato in base al volume del liquido da immagazzinare. Con questo metodo è possibile
immagazzinare il 50% di idrogeno in più rispetto all’uso di serbatoi tradizionali multipli.
Attualmente sono stati già sperimentati i primi serbatoi formati da sole due celle
(http://www.eren.doe.gov).
9.3. Idruri di metallo
Gli idruri di metallo sono dei composti che trattengono idrogeno nello spazio interatomico di un
metallo (fig. 3.1). La loro origine risale all’anno 1866 quando Graham notò l’assorbimento di
consistenti quantità di idrogeno da parte del palladio ma fino agli anni 1960 furono poche le
applicazioni degli idruri di metallo.
106
Figura 1. Semplificazione della reazione d’idrogenazione del metallo.
Il motivo di questo disinteresse era dovuto al fatto che gli idruri conosciuti erano di tipo "binario"
cioè composti solo da un metallo e dall’idrogeno e anche quando furono sperimentati i primi idruri
di tipo "ternario" fu inizialmente quasi impossibile controllare le loro proprietà meccaniche e
termodinamiche. Questi problemi rimasero irrisolti fino a quando, in seguito ai lavori pionieristici
di S.R. Ovshinsky, si crearono i primi idruri a base di leghe di metalli le cui diverse proprietà
furono adeguatamente impiegate e le applicazioni pratiche degli idruri rese così possibili
(http://www.ovonic.com). Gli idruri si formano ed agiscono attraverso due fasi: l’assorbimento ed il
rilascio dell’idrogeno. L'assorbimento dell'idrogeno nello spazio interatomico (idrogenazione) è un
processo esotermico che richiede raffreddamento mentre la sottrazione di idrogeno
(deidrogenazione) è un processo endotermico che richiede calore. Quando la pressione
dell’idrogeno viene inizialmente aumentata l’idrogeno si dissolve nel metallo e quindi comincia a
legarsi con esso. In questa fase la pressione operativa rimane costante fino al raggiungimento del
90% della capacità di immagazzinaggio. Al di sopra di questo limite è necessario operare con
pressioni elevate per raggiungere il 100% della capacità. Le dispersioni di calore durante la
formazione dell’idruro devono essere continuamente rimosse per evitare che l’idruro si infiammi.
Se l’idrogeno viene estratto da un altro gas, una parte di esso può essere liberata in modo che porti
via gli elementi estranei che non si legano al metallo. Con la deidrogenazione invece, si spezza il
legame formatosi tra il metallo e l’idrogeno e la pressione operativa aumenta con l’aumentare della
temperatura. Inizialmente si opera a pressione elevata e viene rilasciato idrogeno puro quindi in
seguito alla rottura del legame con il metallo la pressione si stabilizza fino a ridursi drasticamente
quando nell’idruro residua circa il 10% dell’idrogeno. Quest’ultima parte di gas è molto difficile da
rimuovere essendo quella più saldamente legata al metallo e quindi spesso non può essere
recuperata nel normale ciclo di carico e scarico . La temperatura e la pressione di queste reazioni
dipendono dalla composizione specifica dell'idruro. Il calore di reazione può variare da 9.300 fino a
23.250 kJ/kg di idrogeno e la pressione può anche superare i 10 MPa. La temperatura di
deidrogenazione a sua volta può superare i 500 °C. considerato questo vasto campo di temperatura e
pressione, la costruzione di unità d’immagazzinaggio presenta notevoli difficoltà. Inoltre, ogni lega
ha differenti caratteristiche quali il ciclo di vita e la temperatura di reazione. Il contenitore
dell’idruro deve essere pressurizzato e contenere una area sufficientemente grande per lo scambio
del calore al fine di garantire la rapidità delle fasi di carico e scarico dell’idruro per le quali è
richiesta, inoltre, stabilità termica e strutturale della lega impiegata . Anche se per la
deidrogenazione è necessario calore, l'eventualità che si verifichino perdite di idrogeno non riveste
particolare importanza ed è questo il motivo per cui tali tecnologie sono considerate sicure. Gli
svantaggi sono, però, la pesantezza dei sistemi, la bassa densità gravimetrica dell'idrogeno (1%-7%)
ed i costi generalmente elevati che non consentono ancora la realizzazione di sistemi di
immagazzinaggio ad idruri di metallo funzionanti commercialmente su larga scala. I costi operativi
per tali sistemi includono quelli relativi alle operazioni di raffreddamento per l'idrogenazione e
riscaldamento per la deidrogenazione. L'ammontare di calore richiesto dipende dal tipo di metallo e
dalle sue applicazioni. Se, per esempio, il sistema è integrato con una cella a combustibile, la
107
quantità di calore necessaria può essere fornita dal carico di raffreddamento della cella ed avere in
questo modo un costo insignificante. Così, idruri a bassa temperatura potrebbero ben integrarsi con
celle PEM (Polymer Electrolyte Membrane 4) che operano a 80 °C, mentre idruri ad alta
temperatura con celle del tipo SOFC (Solid Oxide Fuel Cell) e MCFC (Molten Carbonate Fuel Cell)
che operano rispettivamente a 1000 °C e 650 °C. Gli altri sistemi d'immagazzinaggio, invece, non
hanno la possibilità di integrarsi con tali tecnologie. Il costo totale di questi sistemi è influenzato
fortemente dal costo dell'idruro di metallo e sono ulteriormente penalizzati dall'assenza di economie
di scala. Queste leghe, inoltre, non hanno attualmente un largo impiego, per cui sono prodotte in
quantità limitate. Una crescita della loro domanda, con conseguente carenza di materiali disponibili,
avrebbe come conseguenza incrementi notevoli dei loro costi e l'impossibilità, quindi, di realizzare
economie di scala. Per il futuro, anche se si prevede un incremento del costo delle leghe impiegate,
si auspica che almeno sistemi molto piccoli possano essere competitivi con altre tecnologie.
9.4. Idruri chimici
Gli idruri chimici costituiscono un altro metodo per l'immagazzinaggio dell'idrogeno, utilizzato
principalmente per periodi d'immagazzinaggio stagionali. Questo metodo può essere utile per Paesi,
come il Canada, che hanno un surplus di energia idroelettrica durante l'estate ed una carenza
durante i mesi invernali. Il Giappone inoltre, sta programmando la produzione di idrogeno in
Canada, sfruttando appunto l’energia idroelettrica per l’elettrolisi, per poi importarlo sotto forma di
idruro e rigenerarlo per la produzione di elettricità. Lo svantaggio di tale tecnica è quello delle
imponenti e costose attrezzature necessarie per il trasporto. A tal proposito, sono state proposte
numerose sostanze chimiche contenenti idrogeno, tra cui ammoniaca e metanolo la cui elevata
tossicità pone però non pochi problemi. L'uso dei sistemi chimici è vantaggioso perché le
infrastrutture di trasporto ed immagazzinaggio sono già esistenti, la tecnologia è sfruttabile
commercialmente e l'idrogeno liquido è facilmente maneggiabile (Padrò e Putsche, 1999). In
particolare, l’utilizzo del toluene, con formazione di metilcicloesano (il sistema basato su
Metilcicloesano-Toluene-Idrogeno, MTI) è promettente poiché sia il toluene sia il metilcicloesano
sono composti conosciuti, facilmente trasportabili e sicuri. La formazione di metilcicloesano è
ottenuta mediante idrogenazione del toluene seguita da quella di deidrogenazione (che avviene a
circa 500° C), con un consumo del 20% dell’energia contenuta nell’idrogeno liberato. Per il peso e
l’ingombro degli impianti questa tecnica si presta, oltre che per l’accumulo stagionale, anche per
l’utilizzo su mezzi pesanti (Ruberti, 2000). E' stato inoltre analizzato un sistema composto da
energia idrica-elettrolisi-MTI integrato con una cella a combustibile che, in rapporto all’elettricità
generata, sarebbe competitivo con i nuovi sistemi ad energia idrica (Padrò e Putsche, 1999).
9.5. Sistemi basati sul carbonio
A temperature criogene (70-113 K) e pressioni moderate (42-54 atm) il carbonio reso radioattivo,
può assorbire, reversibilmente, 0,043-0,072 kg H2/kg di carbonio. Il National Renewable Energy
Laboratory (NREL) ha recentemente raggiunto una capacità d'immagazzinaggio gravimetrica del
5%-10%, a temperatura normale, usando nanotubi al carbonio. Attualmente, sono numerosi gli studi
relativi a sistemi che consentano d'immagazzinare, a temperatura normale, attraverso tali
tecnologie, notevoli quantitativi d'idrogeno. Le nanostrutture al carbonio possono rappresentare la
risposta tecnologica alla richiesta di un sistema che renda realizzabile il progetto di veicoli
alimentati ad idrogeno. Le due nanostrutture al carbonio che rivestono maggiore interesse sono
nanotubi isolati singolarmente e nanofibre di grafite. I nanotubi al carbonio, pori allungati con
diametri di dimensioni molecolari, assorbono idrogeno, con un'azione capillare a temperature non-
criogene. Il NREL ha prodotto e testato dei nanotubi isolati, con tecniche di produzione ad alti
rendimenti, che hanno dimostrato di poter trattenere il 5%-10% del peso dell'idrogeno, a
temperatura normale. Le nanofibre alla grafite sono composte da materiali generati dalla
108
decomposizione di miscele contenenti idrocarburi. La parte solida è formata da un insieme di
nanocristalli distanziati uniformemente a 0,34-0,37 nanometri, curvati insieme dalle forze di van der
Waals per formare una struttura di nanopori a parete flessibile. La Northeastern University prevede
che queste strutture possano avere eccellenti capacità d'immagazzinaggio. I sistemi con
nanostrutture al carbonio potrebbero essere realizzati con costi particolarmente bassi, ma la ricerca è
ancora ai primi passi e non è possibile effettuare analisi precise. Attualmente, infatti, nessuno di
questi sistemi può essere sfruttato commercialmente.
9.6. Microsfere di cristallo
Oltre ai numerosissimi studi sullo sviluppo delle nanostrutture, la ricerca sta indirizzandosi verso
altre soluzioni. Una di queste potrebbe essere l’immagazzinaggio dell’idrogeno in microsfere di
cristallo. Esse consistono in piccole sfere di cristallo, vuote, con un diametro che varia da 25 a 500
micron ed uno spessore di un solo micron. Attualmente in commercio ne sono disponibili numerosi
tipi di diversa taglia, spessore e composizione dei cristalli. Le microsfere vengono trattate e
trasportate commercialmente sotto forma di polvere fluida. Possono essere utilizzate su grossi
basamenti per immagazzinare idrogeno ad alta pressione. L’incapsulamento dell’idrogeno è
realizzato tramite il riscaldamento di un letto di microsfere vuote in un ambiente denso di idrogeno.
L’idrogeno si introduce nelle sfere attraverso il sottile involucro esterno di cristallo reso permeabile
dalle alte temperature alle quali avviene il processo (da 200 °C a 400 °C). Tale processo si conclude
quando l’idrogeno, all’interno delle sfere, raggiunge la stessa pressione esterna. Alla fine il letto
viene raffreddato e l’idrogeno non incapsulato viene liberato o trattenuto per altre applicazioni.
L’efficienza del processo quindi, dipende da determinate caratteristiche quali: pressione
dell’idrogeno, temperatura e volume del letto, dimensioni e composizione chimica delle microsfere.
Una volta raffreddate a temperatura ambiente le sfere trattengono al loro interno l’idrogeno,
successivamente vengono ricoperte, immagazzinate in recipienti a bassa pressione e trasportate
sotto forma di una sottile polvere. L’estrazione dell’idrogeno dalle microsfere avviene tramite il
loro riscaldamento, successivamente vengono nuovamente ricoperte e riciclate per altri
incapsulamenti. Il rilascio dell’idrogeno può essere provocato anche con la rottura delle sfere, con
lo svantaggio, però, di non poterle più riutilizzare. L’energia termica necessaria a questo scopo può
essere fornita da un riscaldatore elettrico alimentato da una piccola cella ad idrogeno o da una
batteria, ricaricate da un generatore meccanico. E’ stato dimostrato che questo metodo
d’immagazzinaggio, opportunamente accessoriato e modificato, può risultare pratico e conveniente
per l’applicazione su veicoli. Sono state anche individuate le microsfere più idonee, per
composizione e dimensioni, a tale applicazione. Esso è inoltre più conveniente degli idruri di
metallo, ha la loro stessa sicurezza e non presenta problemi in caso di esposizione all’aria. Tale
metodo, ha buone prospettive di prevalere rispetto agli altri sia per le caratteristiche tecniche sopra
descritte sia per la sua competitività a livello economico (Morgan e Sissine, 1995).
9.7. Altri metodi d’immagazzinaggio
Nell’ambito dei processi chimici, è stato recentemente sperimentato un sistema che ha consentito di
trattenere idrogeno in piccole sfere di composti di sodio, potassio o litio. Se liberate in acqua, esse si
combinano rilasciando idrogeno e dando vita a composti, a loro volta riciclabili, come idrossido di
sodio, idrossido di potassio, ecc. La Power Ball, una ditta statunitense, ha sperimentato questo
sistema utilizzando delle sfere ricoperte con un involucro di plastica che consente il rilascio
dell’idrogeno quando richiesto, con un processo che divide le sfere una per volta
(http://www.warsitz.com). Un’altra tecnica attualmente ancora in fase sperimentale, presuppone
l’utilizzo di ferro polverizzato ed acqua. Ad alte temperature, la loro reazione produce ruggine ed
idrogeno. Questo processo è poco costoso ed ha un’efficienza del 4,5%. L’unica necessità è il
recupero del ferro tramite l’eliminazione dell’ossigeno per consentirne il riciclaggio. Lo svantaggio
109
di questa tecnica consiste negli enormi quantitativi di ferro necessari. Sono inoltre allo studio
sistemi simili agli idruri di metallo con impiego di particolari idrocarburi o prodotti chimici
(metanolo, metano liquido e ammoniaca) in sostituzione del metallo (Morgan e Sissine, 1995).
9.8. Scelta dei sistemi d’immagazzinaggio
La scelta di un sistema d’immagazzinaggio varia in base a numerosi fattori legati all’idrogeno, quali
le applicazioni successive, la densità d’energia, la quantità ed il periodo d’immagazzinaggio, e
fattori propri dei sistemi, quali la manutenzione, l’affidabilità e la sicurezza, oltre alla disponibilità
d’energia. Per quanto riguarda le applicazioni successive dell’idrogeno, solo la richiesta di
temperature particolarmente basse impone la scelta della liquefazione mentre l’immagazzinaggio
come gas compresso o in altre forme è adattabile a qualsiasi altra forma d’impiego. La densità
d’energia dell’idrogeno può essere espressa in termini di densità d’energia rispetto al volume o
rispetto al peso dell’idrogeno. Essa è una caratteristica molto importante, per esempio il trasporto di
un solo autocarro di idrogeno liquido equivale, in termini di energia, al trasporto di 20 autocarri di
idrogeno compresso. Anche gli idruri di metallo hanno una altissima densità volumetrica ma una
densità di peso molto ridotta per cui mentre la loro superficie è ridottissima, il loro peso può
raggiungere anche diverse tonnellate. E’ questo il motivo per cui tale sistema non è idoneo per le
applicazioni mobili mentre non incontra limiti nelle applicazioni stazionarie. La scelta di un sistema
d’immagazzinaggio in base alla quantità di idrogeno da trattare è importante nei casi in cui è
possibile realizzare economie di scala o, come nel caso della liquefazione, quando aumentando la
quantità immagazzinata si riducono le perdite per evaporazione. Per quantità non elevate invece, si
preferiscono sempre i metodi di compressione che, rispetto alla liquefazione, oltre a non presentare
il problema dell’evaporazione comportano costi minori. Gli idruri di metallo vengono invece
preferiti nel caso in cui si operi a bassa pressione e sia invece richiesta una pressione elevata al
momento dell’impiego dell’idrogeno. Essi, per modestissime quantità d’idrogeno, non presentano
costi molto elevati rispetto alla compressione. Al crescere della quantità immagazzinata, invece, il
costo dell’idruro sale notevolmente a causa della maggiore incidenza del costo della lega impiegata,
mentre i costi della compressione per unità di volume decrescono grazie all’impiego di contenitori
sempre più capienti. Ecco quindi che gli idruri di metallo sono preferiti, come accennato prima, solo
se è richiesto idrogeno ad alta pressione ed è disponibile calore in quantità elevate (necessario per la
deidrogenazione). L’immagazzinaggio sotterraneo dell’idrogeno sotto forma di gas compresso,
infine, è il metodo più conveniente nel caso di quantità elevate mentre per quanto riguarda gli altri
metodi, essendo ancora in fase di sviluppo essi non sono ancora suscettibili di confronti. Nel caso
d’immagazzinaggio per lunghi periodi i metodi più convenienti, in seguito alla minore incidenza dei
costi operativi, sono l’immagazzinaggio dell’idrogeno liquefatto o l’immagazzinaggio sotterraneo
dell’idrogeno compresso, che risulta conveniente anche per brevissimi periodi. Sotto l’aspetto della
manutenzione ed affidabilità degli impianti i problemi maggiori sono legati alla gestione ed al
funzionamento degli impianti di liquefazione e compressione mentre gli idruri di metallo presentano
minori difficoltà tecniche. Altro vantaggio degli idruri è la loro sicurezza in quanto essendo
necessario molto calore per il rilascio dell’idrogeno, il rischio di perdite accidentali, per esempio
durante il trasporto, è quasi inesistente. I rischi della compressione sono ovviamente legati agli
effetti della pressione elevata ed alla facilità di perdite in caso di crepe o fessure dei contenitori.
Anche l’idrogeno liquefatto presenta questi inconvenienti ma è meno rischioso perché, una volta
evaporato, l’idrogeno si disperde molto velocemente nell’aria diminuendo così il rischio di
detonazione. La disponibilità di energia infine, è un fattore che coinvolge tutti i principali metodi
condizionando così i processi di compressione, liquefazione e, per gli idruri di metallo, di
deidrogenazione. In conclusione quindi, l’immagazzinaggio sotterraneo dell’idrogeno compresso è
il più delle volte il metodo più conveniente perché i costi per la compressione sono indipendenti dal
volume immagazzinato o dalla durata dell’immagazzinaggio. Gli idruri di metallo invece, sono
poco competitivi a causa dei costi ancora elevati delle leghe di metallo impiegate. Rispetto
110
all’immagazzinaggio in contenitori pressurizzati, la liquefazione dell’idrogeno risulta conveniente
all’aumentare della quantità d’idrogeno e del periodo d’immagazzinaggio. L’unica via per rendere
più conveniente la compressione sarebbe l’aumento della pressione e la conseguente riduzione delle
dimensioni dei contenitori, il che comporterebbe però un aumento dei rischi legati a tale sistema
(Amos, 1998).
9.9 Tecnologie di trasporto dell'idrogeno
Al trasporto dell'idrogeno possono essere adattate, anche se non sempre agevolmente, le normali
modalità di trasporto di altri materiali, per cui la scelta può essere effettuata tra diverse alternative.
Le difficoltà che possono sorgere, in questo caso, sono legate non solo alle distanze più o meno
lunghe da coprire ma soprattutto ai metodi di produzione ed immagazzinaggio e alla successiva
applicazione dell'idrogeno. Per cui la scelta sarà fortemente condizionata principalmente dalla
forma liquida o gassosa dell’idrogeno in base alla quale avverrà la scelta del trasporto tramite
gasdotti o tramite mezzi stradali, ferroviari o navali.
9.10. Trasporto dell’idrogeno compresso o liquefatto
L’idrogeno come gas compresso può essere trasportato in cilindri ad alta pressione, autocisterne e
gasdotti (vedi paragrafo successivo). I cilindri ad alta pressione (40 MPa), pur consentendo un
minore ingombro sono molto pericolosi da maneggiare e trasportare. Le autocisterne invece, sono
spesso composte da diversi cilindri in acciaio montati su di un’intelaiatura protettiva e possono
contenere da 63 kg a 460 kg di idrogeno compresso ad una pressione di soli 20 MPa. Attualmente il
trasporto ferroviario dell’idrogeno sotto questa forma non viene ancora effettuato. Inoltre questo
metodo comporterebbe la costruzione di particolari vagoni con materiali idonei al trasporto
dell’idrogeno con conseguente notevole incremento dei costi di trasporto. L’idrogeno liquido
immagazzinato in contenitori isolati, come già detto, viene trasportato tramite autocarri ed altri
automezzi in quantità elevate e con modeste perdite per evaporazione (0,3%-0,6% al giorno). Per
quanto riguarda il trasporto navale, a causa dei lunghi periodi di tempo che richiede, è impiegato
solo per l'idrogeno liquido. Il Canada ha sviluppato numerosi progetti di navi per il trasporto
transoceanico dell’idrogeno. Uno di questi prevede l’impiego di cinque piccole chiatte trasportate in
una nave più grande, che possono essere separate alla fine del viaggio. Ciascuna di esse
trasporterebbe 21.200 kg di idrogeno senza alcuna perdita durante 50 giorni di viaggio. Altri
progetti prevedono invece l’impiego di diversi contenitori sferici o di una singola petroliera con la
capacità di 7000 tonnellate. Nessuna di questa navi è stata ancora realizzata ma quelle dedicate al
trasporto di gas naturale liquefatto sono in grado di trasportare già 125000 m3 di gas (equivalenti a
9000 tonnellate di idrogeno). Una tecnica sperimentale innovativa per il trasporto dell’idrogeno
liquido consiste in un gasdotto contenete un materiale superconduttore. L’idrogeno liquido agirebbe
da refrigerante per il superconduttore e consentirebbe il trasporto dell’elettricità attraverso lunghe
distanze senza le grosse perdite di corrente delle convenzionali linee di potenza. Gli inconvenienti
di questo metodo sarebbero rappresentati dai materiali necessari per l’isolamento dell’impianto e
dalla necessità di pompaggio e raffreddamento continuo dell’idrogeno durante il trasporto.
Recentemente si è anche ipotizzato il trasporto aereo dell’idrogeno per coprire lunghe distanze in
tempi brevi e ridurre così le perdite per evaporazione (Amos, 1998).
9.11. Trasporto tramite gasdotti
Formalmente l'idrogeno, essendo un aeriforme, può essere gestito, con opportune precauzioni, in
una struttura analoga a quella usata per il gas naturale. Le opportune precauzioni consistono nel
tenere conto di taluni aspetti: il contatto dell'idrogeno con acciai speciali provoca un loro
infragilimento; è necessario prevedere sistemi, visivi ed olfattivi, per l'individuazione di eventuali
111
fughe; inoltre sono da considerare necessarie le ovvie precauzioni per evitare inneschi di
combustione (materiali e sistemi antideflagranti) dati i caratteri chimico-fisici di facile innesco a
combustione di questo gas (Ciborra, 1999). Per far sì che questi impianti vengano ampiamente
utilizzati, quindi, il primo problema da risolvere è quello dell’infragilimento di tubi e guarnizioni,
con la conseguenza della rottura dell’impianto, provocato dal contatto dell’idrogeno con i materiali
di cui essi sono costituiti, Al momento esistono già delle tecnologie in grado di ovviare a tale
inconveniente ma la loro applicazione contribuisce ad aumentare i costi di distribuzione. Paragonato
alle centinaia di migliaia di chilometri coperti dalle reti esistenti per il trasporto del gas naturale, la
rete di gasdotti per l’idrogeno è molto piccola: solo circa 740 km negli Stati Uniti d’America e più
di 600 km nel nord Europa (Morgan e Sissine, 1995) e servono per il rifornimento di idrogeno
direttamente dal produttore al consumatore o ad intere aree industriali. Esse coprono distanze di
oltre 100 km ed operano da più di 50 anni senza particolari problemi. Altre reti, di dimensioni molto
modeste, hanno funzionalità interne per le stesse ditte produttrici di idrogeno, infatti sono
solitamente abbinate a degli impianti di reformer (Zittel e Wurster, 1996). La capacità di trasportare
energia di un dato impianto è sempre minore nel caso di trasporto di idrogeno rispetto al trasporto di
gas naturale. Ad una determinata pressione il flusso di idrogeno è tre volte più veloce ma la relativa
quantità d’energia è circa tre volte minore a causa delle notevoli dispersioni che avvengono durante
il trasporto. Quindi, dato che i compressori agiscono sul volume del gas ma non sul suo contenuto
energetico, un sistema ottimale di gasdotti dovrebbe essere opportunamente dimensionato in base a
questi fattori (Morgan e Sissine, 1995).
Il costo dei gasdotti dipende naturalmente dal diametro del tubo, attualmente sono ancora elevati ma
i costi stimati per le applicazioni di questo sistema si basano sui gasdotti esistenti per il trasporto del
gas naturale oppure si tratta di stime fatte in base a parametri incompleti. Numerose relazioni
ipotizzano l'utilizzo degli impianti esistenti, per il trasporto di idrogeno o una miscela di
idrogeno/gas naturale ma questo potrebbe creare problemi con l'alta pressione per il trasporto
dell'idrogeno e, sebbene alcuni componenti del gas naturale favoriscano la trasmissione
dell'idrogeno, non sarebbe possibile applicare compressori e contatori. Per cui i materiali di tali
sistemi, soprattutto i più vecchi, andrebbero modificati ed i compressori rettificati con nuove
valvole e guarnizioni (Padrò e Putsche, 1999).
9.12. Scelta dei sistemi di trasporto
Gli elementi principali che influenzano la scelta del sistema di trasporto dell’idrogeno sono la
quantità e la distanza. Per grossi quantitativi di idrogeno il metodo più conveniente è quello dei
gasdotti che, dopo gli investimenti necessari per la loro costruzione, richiedono costi operativi
molto bassi. Questa modalità è conveniente rispetto al trasporto dell’idrogeno liquido che
diversamente, non comportando costi d’impianto, conviene nel caso di trasporto transoceanico.Per
modeste quantità d’idrogeno i gasdotti non sono competitivi mentre l’idrogeno compresso può
rappresentare in alcuni casi l’alternativa all’idrogeno liquido i cui costi operativi sono molto elevati.
Come accennato in precedenza però, il trasporto del gas compresso, a causa della sua bassa densità
energetica, presenta notevoli svantaggi per cui può essere indifferente rispetto al trasporto
dell’idrogeno liquido solo per piccolissime distanze. La distanza infine, è l’altro elemento che gioca
a favore dell’idrogeno liquido o compresso in quanto all’aumentare di essa i costi per la costruzione
dei gasdotti subiscono notevoli incrementi ed anche se questo metodo non comporta il sostenimento
di costi per la liquefazione, questa viene comunque preferita. L’unico caso in cui si potrebbe
preferire la costruzione di gasdotti è quello della contemporanea distribuzione di energia elettrica in
quanto essi non comportano le notevoli perdite d’energia causate dagli impianti di trasmissione
solitamente impiegati (Amos, 1998).
112
10 Applicazioni dell’idrogeno
Le attuali possibilità di applicazione dell’idrogeno sono la generazione stazionaria di energia e
l’applicazione mobile. Nel primo caso, l’attenzione sempre maggiore verso sistemi di produzione da
fonti rinnovabili ed il parallelo interesse per impianti di produzione in grado di minimizzare i
consumi di combustibile, ha spinto fortemente l’interesse della ricerca verso le celle, o pile, a
combustibile. Esse sono capaci di coprire un’ampia gamma di potenze e caratterizzate da elevati
rendimenti di conversione oltre che da impatto ambientale praticamente nullo. Per quanto riguarda
l’applicazione nel settore dei trasporti, oltre all’attuale impiego dell’idrogeno in campo
aerospaziale, come combustibile, la ricerca è particolarmente attiva nello studio di applicazioni su
veicoli leggeri, come le automobili, e pesanti, come gli autobus. Quindi, lo sviluppo e le prospettive
di applicazione di tali sistemi, considerati gli innumerevoli vantaggi in termini di risparmio
energetico e salvaguardia ambientale, rivestono particolare interesse. Proprio per mettere in luce
vantaggi e difficoltà tecnologiche ed economiche legate alla realizzazione di tali strutture, nei
seguenti paragrafi saranno evidenziati lo stato attuale della tecnologia e gli specifici problemi
relativi ad ogni singola applicazione.
10.1 Le celle a combustibile
Nel parlare di questa tecnologia, bisogna innanzitutto evidenziare come nonostante i numerosi
vantaggi che essa offre, le applicazioni delle celle a combustibile siano tuttora relegate a sistemi
sperimentali. I motivi di queste mancate realizzazioni pratiche sono principalmente di carattere
storico. La prima cella a combustibile, secondo la maggior parte degli interessati alla loro storia, fu
realizzata nell’anno 1839 dall’inglese William Grove che, rifacendosi all’esperienza di Volta, la
chiamò "pila voltaica a gas" (Fig. 4.1). Si trattava di una pila del tipo ad acido solforico ma restò di
fatto una curiosità di laboratorio. Negli anni successivi, si continuarono a produrre ingenti quantità
di energia elettrica con altri metodi che, in rapporto alle conoscenze tecnologiche dell’epoca,
risultavano sicuramente meno complessi considerate le difficoltà di perfezionamento delle
tecnologie e di reperimento di materiali idonei che avrebbe richiesto invece lo sviluppo industriale
delle celle a combustibile.
Gli stessi motivi impedirono la realizzazione ed applicazione delle celle a sali fusi sperimentate da
Becquerel nell’anno 1855. Il termine "fuel cell" fu coniato nell’anno 1889 da Ludwing Mond e
113
Charles Langer, che tentarono di costruire il primo meccanismo pratico che impiegava aria e gas
ricavato dal carbone. La prima applicazione riuscita delle celle a combustibile fu quella provata
dall’ingegnere Francis Bacon nell’anno 1932. Egli sostituì il costoso catalizzatore al platino
impiegato da Mond e Langer con una cella a idrogeno e ossigeno, impiegando un elettrolita alcalino
meno corrosivo ed elettrodi al nichel, meno costosi. Le difficoltà tecniche scoraggiarono comunque
le sperimentazioni e solo nell’anno 1959 Bacon e i suoi collaboratori furono in grado di dimostrare
il funzionamento di una saldatrice alimentata da un sistema di 5 kW. Sempre nello stesso anno,
Harry Karl Ihring dimostrò il suo famoso trattore a fuel cell, con una potenza di 20 cavalli. Altre
sperimentazioni come quelle delle celle con elettrolita solido costituito da miscele di ossidi proposte
da Baur e Preis nell’anno 1937 o, infine, di quelle a membrana polimerica sviluppate a partire dagli
anni 1960 dalla General Electric non trovarono comunque notevoli sviluppi. Tutto ciò fino a
quando, sempre nello stesso periodo, non ebbero luogo le prime applicazioni ad opera della NASA
dopo aver scartato i reattori nucleari perché troppo rischiosi, le batterie perché troppo pesanti e di
breve durata e l’energia solare per i sistemi troppo ingombranti. Successivamente, proprio i
numerosissimi contratti di collaborazione avviati dalla NASA per portare avanti la ricerca e la
sperimentazione di queste tecnologie, ne hanno consentito l’impiego nelle principali missioni
spaziali e la diffusione delle nozioni tecniche acquisite anche per diverse applicazioni nel settore
energetico (http://www.ttcorp.com). Le ragioni di questo lungo periodo di stasi quindi, così come
dei recenti sviluppi, sono dunque numerose e di varia natura; esse sono state influenzate da
numerosi fattori quali disponibilità di materiali e tecnologie sempre più adeguati, forti cambiamenti
nel panorama energetico mondiale, crescenti vincoli ambientali, graduale superamento dei problemi
tecnologici, concrete prospettive di riduzione dei costi. Prima di affrontare con maggiore dettaglio
questa analisi, verrà data una breve descrizione del funzionamento delle pile a combustibile a cui
seguiranno, nei paragrafi successivi, le trattazioni specifiche di ciascuna diversa tecnologia.
All’interno di una cella a combustibile entrano un combustibile ed un ossidante che reagendo
chimicamente provocano la scissione del carburante stesso in molecole di idrogeno e ossigeno. Al
termine del processo, dalla cella escono energia elettrica, acqua e vapore. I principali meccanismi
funzionali sono assicurati essenzialmente da due elettrodi, anodo e catodo, ove avvengono le
reazioni chimiche che complessivamente presiedono all’ossidazione "controllata" del combustibile,
da un elettrolita con funzioni di trasporto degli ioni dall’anodo al catodo (o viceversa secondo il tipo
di elettrolita e la carica, positiva o negativa, degli ioni) e dai sistemi di inserimento dei gas di
processo e di prelievo della corrente elettrica. Proprio la corrente elettrica, che dipende dalla
richiesta di potenza da parte dell’utilizzatore, è lo strumento di controllo della reazione di
ossidazione che avviene nella pila. Ad elevati prelievi di potenza, e quindi elevate correnti,
corrispondono forti flussi ionici attraverso l’elettrolita, con conseguente accelerazione della
reazione; al contrario, in assenza di richiesta di potenza, e quindi a corrente nulla, non si ha flusso
ionico attraverso l’elettrolita e la reazione risulta impedita. Nelle applicazioni pratiche dunque, il
coefficiente di utilizzo del combustibile viene mantenuto entro determinati limiti, regolando la
portata di combustibile in funzione della corrente richiesta. I valori ottimali sono prescelti in
funzione di numerosi fattori, tecnici ed economici, ma determinati principalmente in base al tipo di
applicazione e alla configurazione dell’impianto.
10.2 Impianto per produzione di idrogeno da rifiuti
In ogni processo di combustibile solido, salvo casi particolari, si verificano in genere due eventi:
1. la pirolisi
2. la gassificazione
114
La prima si verifica in zone ove è assente l’aria di combustione sviluppando così la pirolisi ossia la
scissione delle molecole costituenti il combustile in molecole più semplici con produzione di
pirogas costituito essenzialmente da idrocarburi facilmente condensabili mentre la parte restante è
costituita essenzialmente da carbone dolce. La seconda si verifica nelle zone dove la presenza d’aria
è tale da non essere sufficiente per la completa combustione del combustibile con formazione di
ossido di carbonio. Il processo prevede la realizzazione della pirolisi prima e della gassificazione
poi per la trasformazione del rifiuto in gas in modo da poter gestire il suo contenuto energetico in
modo più completo e corretto. Infatti scopo del processo è la formazione di gas dal rifiuto nella
maggiore quantità possibile.
Perché la pirogassificazione?
Il processo di pirolisi, da solo, genera due componenti: la componente gassosa, costituita da un gas
facilmente condensabile che dà origine ad un olio che necessita di stoccaggio e mezzi di trasporto
per il trasferimento dello stesso al punto di consumo, e la componente solida costituita da carbone
dolce, che trattandosi di un rifiuto è accompagnata da scorie che ne limitano l’uso come
combustibile . La gassificazione è la combustione parziale del carbonio presente nel rifiuto
utilizzando come agente gassificante ossigeno, vapore od altro agente in grado di cedere ossigeno.
Normalmente viene utilizzata aria, ossigeno e vapore. La gassificazione del rifiuto presenta delle
difficoltà nella realizzazione del processo con materiali avente elevata pezzatura o pezzature non
omogenee anche con dimensioni elevate della camera di gassificazione, necessita di dispositivi in
grado di realizzare un intimo contatto tra il mezzo fluidificante ed il rifiuto con rendimenti alquanto
bassi. Per contro la gassificazione delle scorie proveniente dalla pirolisi, essendo queste ultime già
granulari e con un peso del 30-40% rispetto al rifiuto in ingresso consentono una migliore
miscelazione con il mezzo fluidificante, tempi di permanenza e volumi più ridotti della camera di
gassificazione. Il prodotto del processo di gassificazione è un gas costituito essenzialmente da
ossido di carbonio ed idrogeno, gas che può essere trasportato con gasdotti o compresso in bombole
e portato all’utilizzo mediante carri bombolai. Mentre le scorie contenute nel rifiuto vengono
vetrificate e smaltite in discariche per materiali inerti od utilizzate come inerti per riempimenti o
drenaggi appositamente autorizzati . Sotto questo aspetto sono intuibili i vantaggi del processo che
consentono di conseguire un impatto ambientale limitato alle scorie prodotte e al traffico veicolare
per il conferimento del rifiuto . Il gas prodotto in tale impianto ha un potere calorifico medio di
2500-2700 kCal/mc. Esso può essere utilizzato per la produzione di energia elettrica sia sul posto di
produzione che in siti con impianti già esistenti. I vari metodi di trasformazione energetica si
differenziano per i rendimenti conseguibili e per l’impatto che producono sull’ambiente. E’ recente
la trasformazione con celle a combustibile che consentono la conversione con rendimenti superiori
al 60% e con impatto sull’ambiente praticamente trascurabile. Da quanto esposto è facile intuire le
vie del processo che possono essere sintetizzate con il termine di Pirogassificazione. Il rifiuto
ridotto in pezzatura 30/50 mm viene inviato nel reattore di pirolisi ove acquista l’energia necessaria
per lo sviluppo del processo realizzando la formazione delle fase gassosa e della fase solida. Molto
drasticamente si può ritenere che circa il 60% in peso del prodotto in ingresso venga trasformato in
gas mentre la restante parte, costituita per l’80% da carbone, rappresenta la scoria. La parte solida
viene inviata ad alimentare un forno rotativo assieme ad un quantitativo d’aria tale da consentire
una combustione parziale del prodotto e creando un ambiente termico favorevole (temperatura
>1000 °C ) per la idrogassificazione. I gas ed il materiale solido, formatesi all’interno del forno
rotativo, sono in intimo contatto tra loro realizzando così in parte la gassificazione cercata. La bocca
estrema del forno rotativo comunica con il reattore di gassificazione dove oltre ai prodotti del forno
rotativo arriva il pirogas distribuito su due o più ugelli unitamente con vapore d’acqua surriscaldato.
In questo reattore operante a temperatura superiore a 1100 °C si realizzano le reazioni di
gassificazione ed idrogassificazione con produzione di gas costituito da CO, CO2, H2, CH4 ed altri in
quantità trascurabili. I gas prodotti hanno una temperatura oscillante tra 1000 e 1200°C quindi con
un contenuto energetico sfruttabile, pertanto sono utilizzati per fornire l’energia necessaria per il
processo di pirolisi e successivamente per la produzione di vapore d’acqua surriscaldato da
115
utilizzare come mezzo fluidificante. All’uscita del reattore il gas ha ancora una temperatura di 300
°C quindi energeticamente sfruttabile per riscaldare acqua o l’aria di combustione viene pertanto
inviato in uno scambiatore di calore a fascio tubiero raffreddato ad acqua fino alla temperatura di
60°C. In caso contenesse elevati valori di idrogeno solforato è previsto un passaggio dello stesso su
letto di ossido di zinco per il trattamento in serie con lo scambiatore. Eventuali condense, tar e
acqua, vengono raccolte nel recipiente di stoccaggio sottostante separate gravimetricamente e
inviate, l’acqua all’impianto di trattamento, ed il tar al reattore di gassificazione. Il gas cosi
raffreddato viene lavato in uno scrubber con elementi di riempimento con acqua a ph 8-10 ,
successivamente neutralizzato e quindi compresso alla pressione di esercizio per l’utilizzo od il
trasporto. L’acqua raccolta nel serbatoio sottostante raccoglie anche il particolato contenuto nei gas
e quindi viene sottoposta a trattamento nella fase successiva. L’impianto ha in dotazione anche una
parte destinata all’emergenza che si inserisce in automatico allorquando si verificano condizioni
programmate che si discostano dal corretto funzionamento. Tale unità è costituita da due
scambiatori a fascio tubiero raffreddati ad acqua con serbatoio di stoccaggio condensato che
realizzano un abbassamento della temperatura del pirogas fino a 150 °C il primo e fino a 60°C il
secondo. All’interno del serbatoio di stoccaggio del secondo scambiatore è realizzato un sistema di
separazione dell’acqua che viene inviata al trattamento. Un sistema di elettropompe asservito a dei
misuratori di livello consente lo svuotamento degli stessi ed il riempimento di una unità di riserva a
due scomparti per lo stoccaggio definitivo. A condensazione avvenuta rimane un gas costituito da
CO, H2, CO2, CH4 ed altri che viene inviato in uno scrubber ad umido per essere lavato e
neutralizzato, dopodiché viene compresso e stoccato. Il sistema è dotato di torcia per l’eventuale
combustione di surplus indesiderati. L’acqua utilizzata come mezzo refrigerante viene inviata in
due torri evaporative e quindi reimmessa in ciclo. Le acque provenienti dagli scrubber ad umido contenenti particolato metalli etc vengono inviate in
una unità di trattamento costituita da una vasca di neutralizzazione con piaccametro a servizio della
pompa di alimentazione del neutralizzante di un agitatore e di un piaccametro in uscita, da una
vasca di aggiunta flocculante munita di pompa dosatrice ed agitatore, della vasca di sedimentazione
con pozzetto di estrazione fanghi e surnatanti da un pozzetto raccolta depurato e pompa di rinvio.
I fanghi prelevati dalla sedimentazione vengono inviati in una centrifuga previa aggiunta di
polielettrolita portati all’umidità del 70% ed inviati nella camera di massificazione ove, grazie
all’alta temperatura vengono vetrificate. Le acque provenienti dalla centrifugazione vengono inviate
in testa all’impianto di depurazione. L’impianto è dotato di n°3 serbatoi di stoccaggio di gas tecnici
e precisamente:
n° 1 serbatoio di azoto
n°1 sebatoio di anidride carbonica
n°1 serbatoio di ossigeno
Il primo si utilizza nell’avviamento dell’impianto o nelle situazioni di emergenza che si dovessero
verificare durante l’esercizio dell’impianto. L’anidride carbonica può essere utilizzata come mezzo
fluidificante per una maggiore produzione di gas di sintesi. L’ossigeno per aumentare la
temperatura all’interno del reattore di massificazione. Il collegamento al reattore è realizzato in
modo da poter misurare le quantità immesse alla pressione desiderata e interdetto con saracinesche
a chiusura rapida.Anche se non indispensabile per il funzionamento dell’impianto, tuttavia è stato
previsto l’impianto di trattamento fumi nell’ipotesi che il gas prodotto venga combusto nella stessa
sede di produzione con conseguente produzione di fumi. L’impianto, che sarà in serie al generatore
di vapore, è costituito da due serbatoi di stoccaggio contenente rispettivamente calce e carbone
attivo da due coclee dosatrici, da un mulino, da un sistema di trasporto ad aria, da una camera di
miscelazione e da due filtri a manica autopulenti disposti in parallelo. Tutte le regolazioni di portata
delle sostanze neutralizzanti, sono gestite da un plc asservito ad un piaccametro. La temperatura di
ingresso dei fumi nel sistema è di 180 °C . All’uscita del sistema è situato l’economizzatore e/o lo
scambiatore per il preriscaldo dell’aria di combustione. L’impianto di pirogassificazione è un
complesso di macchinari e reattori collegati tra loro in modo da realizzare l’obiettivo prefissato.
116
Il cuore dell’impianto è il reattore dove si verificano le reazioni di pirolisi e di gassificazione. E’
rappresentato da tre camere rivestite da refrattario dello spessore composito racchiuso in involucro
metallico con nervature irrigidenti e sostenuto da una struttura metallica a tre piani onde consentire
le ispezioni delle strumentazioni delle condotte di alimentazioni e dei macchinari a queste
collegate. Nella parte superiore è inserito il reattore di pirolisi con appoggi scorrevoli onde
consentire le dilatazioni dello stesso. Il reattore è collegato tramite tubazione deformabile al
sottostante forno rotativo alimentato con le scorie prodotte dalla pirolisi, dal combustibile prodotto e
dall’aria di combustione. La temperatura raggiunta all’interno dello stesso è 1300/1400 °C e il gas
all’interno del forno è costituito da CO2, CO e N2 . Tale forno è in comunicazione con il reattore
verticale alimentato dai gas di pirolisi, dal mezzo fluidificante, nel nostro caso vapore, e
dell’eventuale ossigeno che si rendesse necessario. Sulla circonferenza sono disposti in doppia fila i
bruciatori alimentati con il gas di pirolisi oltre che dall’eventuale tar che si dovesse separare dalla
condensazione del gas prodotto. Il rapporto ossigeno/vapore è tenuto ad un livello tale da garantire
una temperatura all’interno del reattore attorno a 1200 °C. Considerata l’elevata temperatura le
scorie vengono fluidificate raccolte sul fondo della camera e scaricate in una vasca contenente
acqua. L’elevato sbalzo termico produrrà la solidificazione con produzione di materiale granulare di
pezzatura variabile che viene estratto tramite nastro. I gas prodotti, ad elevato contenuto energetico
vengono utilizzati come fonte di energia termica per il reattore di pirolisi e successivamente per la
produzione del vapore necessario per le reazioni chimiche chiudendo così il ciclo. L’elevato
percorso e la disposizione delle varie parti consentono la creazione di turbolenze che permettono
una intima miscelazione dei vari reagenti con elevati rendimenti reattivi. I processi vengono
controllati nelle varie parti con analizzatori di gas, termocoppie trasduttori di pressione che
trasmettono i dati ad un software appositamente studiato in grado di gestire il processo regolando le
portate dei vari componenti in modo da conseguire il migliore rendimento possibile. Tale software è
inoltre in grado di gestire le situazioni anomale che si dovessero verificare, di gestire le situazioni di
emergenza e di allarme. Le reazioni che si sviluppano all’interno del reattore sono complesse e a
più stadi ma si possono sintetizzare con le seguenti:
C + H2O = CO + H2 – 28.1 kcal/mole (1)
2C + O2 = 2CO + 58.2 kcal/mole (2)
H2 + 1\2 O2 = H2O +33800 kcal/kg (3)
La prima si sviluppa raggiungendo l’equilibrio a 900°C mentre la reazione (2) si sviluppa già a 350-
400 °C con produzione di calore. E’ possibile regolare le reazioni in modo da produrre un ambiente
che consente lo sviluppo delle stesse. Il pressante bisogno di smaltire i rifiuti associato alla
necessita di non alterare l’ecosistema locale e allo sfruttamento del loro contenuto energetico ha
indotto i ricercatori allo sviluppo di tecnologie di produzioni energetiche con impatti ambientali
trascurabili e rendimenti elevati (celle a combustibile) anche se ad oggi il loro sfruttamento non è
ancora praticabile se non per piccole potenze.Tecnologie che per il loro funzionamento,richiedono
alimentazioni con combustibili gassosi con insignificanti percentuali di inquinanti o veleni cioè
molto puliti. E’ problema quotidiano il pensiero di sostituire,soprattutto negli autoveicoli il
combustibile tradizionale, con un combustibile alternativo che non contenga carbonio (polveri
sottili e monossido di carbonio) pensando all’idrogeno. Da questa analisi basilare si è pensato di
realizzare un impianto che potesse soddisfare tali esigenze. Orbene l’impianto riesce a soddisfare il
95% delle richieste sopraindicate. L’impianto che abbiamo chiamato forse impropriamente “
disgregatore molecolare” è un insieme di (tre) reattori che partendo dal rifiuto selezionato (cdr)
produce idrogeno ed anidride carbonica. Entrambi i prodotti sono commerciabili Risultato: nessuna
immissione in atmosfera di gas.
117
Nell’ipotesi che si voglia produrre energia elettrica,in attesa di uno sviluppo delle celle a
combustibile,si possono accoppiare all’impianto,previa una modifica dello stesso, motori a gas
accoppiati ad alternatori con produzione di energia con rendimenti di trasformazione del 40% e/o
sistemi più tradizionali di produzione di energia elettrica (turbogas,caldaia più turbina a vapore). In
questo caso i gas che vengono immessi in atmosfera sono anidride carbonica e vapore acqueo ossia
gli stessi della combustione del metano.
I lati negativi:
I lati negativi dell’impianto sono raffigurabili :
nell’avviamento dello stesso ove si dovrà procedere a portare in temperatura il sistema e pertanto
occorrerà bruciare una certa quantità di metano con scarico in atmosfera di gas costituito da
anidride carbonica e vapore acqueo,operazione questa che ha una durata di sei ore circa. Scarico
nell’ambiente di scorie vetrificate conseguenti al fatto che nel rifiuto è sempre presente una parte
inorganica che non partecipa alle reazioni ed al loro contenuto di ceneri. Scarico stimato attorno al
7% della alimentazione. Il fatto però che le scorie siano vetrificate e pertanto inattive ai fini del
dilavamento con acqua acida, quindi inerti fa sì che possano essere accantonate e smaltite in
apposite discariche senza rappresentare alcuna preoccupazione dal punto di vista ambientale se non
per il loro volume,tra l’altro molto ridotto,a causa del loro elevato peso specifico. In definitiva,se si
confrontano i benefici che si ottengono con l’adozione di tali impianti con gli inconvenienti appena
descritti,il bilancio dell’attività è sicuramente rivolto preponderatamente verso i benefici ottenuti.
La superficie strettamente necessaria per l’istallazione dell’impianto è di mq 400 circa. L’altezza è
di ml.15,00 circa. Senza entrare nei paricolare tecnici,l’impianto è rappresentabile come la somma
di quattro reattori che lavorano in serie tra loro e precisamente:
Un reattore di carbonizzazione
Un reattore per la produzione di energia per il processo.
Un reattore di reforming
Un reattore di conversione
Oltre ad una serie di ausiliari che consentono il recupero di parte dell’energia necessaria per le
reazioni e la purificazione dei gas ottenuti. Nel primo reattore si realizza la carbonizzazione del
rifiuto con la formazione di gas e di carbone unitamente con le scorie del rifiuto . Nel secondo
reattore si produce l’energia necessari per il processo e la vetrificazione delle scorie. Nel terzo
rettore i gas ottenuti subiscono un processo di reforming con acqua(vapore) ed ossigeno. Nel quarto
reattore si ha la conversione dei gas in idrogeno ed anidride carbonica. Gli ausiliari
presenti,consentono la purificazione dei gas ottenuti ed il recupero di parte dell’energia occorsa per
il processo. Una rappresentazione schematica ma molto significativa per dare una idea grossolana
dei prodotti in uscita dall’impianto è la seguente:
1kg (cdr) produce : 0.96 mc di H2 e 0.9 mc CO2
Elenco dei principali componenti:
Impianto di gassificazione: reattore costituito da un involucro cilindrico nella parte inferiore e
troncoconico con calotta nella parte superiore realizzato in acciaio refrattario in grado di operare
alla temperatura 900-950°C rivestito con materiale ceramico dello spessore di cm 35 con successivo
rivestimento in lamiera e tale da formare un intercapedine dello spessore di cm 30 con il reattore.
Diametro reattore m. 1.50 alla base e m. 2.50 in testa; altezza complessiva m. 7.00. Dotato di
sistema di distribuzione mezzo fluidificante inintasabile, imbocco alimentazione con relativa
tramoggia di alimentazione coclea di trasferimento del diametro di cm 30 refrigerata, n°2 attacchi
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per prelievo gas refrigerati, bocca per mezzo fluidificante over bed, n°1 serie di termocoppie per il
rilevamento e registrazione della temperatura all’interno del reattore.
Aerociclone: aerociclone per la sedimentazione di particolato e ceneri coibentato con valvola di
chiusura ed estrazione ceneri a mezzo di coclea del diametro di cm 20 refrigerata e trasporto del
sedimentato alla tramoggia dell’alimentatore.
Generatore vapore a tubi da fumo a fascio tubiero della potenzialità di 1.500.000 kcal/h per la
produzione di vapore over bed alla pressione di 3 kg/cmq con valvola di intercettazione motorizzata
a tre vie.
Torre di raffreddamento con sottostante serbatoio per accumulo acqua ed eventuali oli, con relative
pompe di trasporto acqua al recupero ed oli al forno rotativo.
Scrubberr ad umido con lavaggio gas e neutralizzazione degli stessi con soluzione di soda con
sonda piaccametro e plc di regolazione – neutralizzazione – utenza finale.
Analizzatore di gas in continuo con registratore
Trattamento scorie Sistema di estrazione delle scorie prodotte a mezzo depressione con trasporto
pneumatico realizzato con gas inerte completo di aerociclone filtro e compressore del gas di
trasporto.
Sistema di trasporto delle scorie al vetrificatore
Turboalternatore della potenza di 1,9 MW.
Impianto elettrico di potenza e di regolazione con relativi quadri elettrici contenenti le protezioni
delle linee ed i comandi delle varie regolazioni.
Software di gestione dell’intero complesso con regolazione delle varie fasi nonché le procedure di
avviamento e di allarme e di spegnimento dell’impianto. Codificazione delle procedure di allarme e
di rallentamento o sospensione dell’attività con misurazione dei parametri fisici più significativi e
loro registrazione oraria.
Previsioni di progetto:
L’impianto prevede come combustibile,l’uso di CDR e di scarti vegetali per complessive 8 ton/h
L’analisi elementare del combustibile può essere così espressa,salvo ulteriori e migliori
accertamenti dalla seguente tabella :
H2 3.90 % =kg 312
C 47 % =kg 3760
N2 1.70% =kg 136
O2 29.8 % =kg 2384
Umidità 6 % =kg 480
Ceneri 11.8 % =kg 944
La parziale combustione dopo il processo di pirolisi darà luogo ad un gas la cui quantità in peso è
così rappresentabile:
CO = 8760 kg pari a 7000 Nmc
H2 = 415 kg pari a 4662 Nmc
N2= 136 kg pari a 109 Nmc
H2O = 750 kg pari a 900 mc
Per complessivi Nmc 12671 con un potere calorifico inferiore di 2700 kcal/Nmc con un contenuto
entalpico di circa 909 kcal/kg. Tale contenuto energetico verrà in parte utilizzato per la pirolisi del
prodotto ed in parte per la produzione di vapore surriscaldato. L’energia termica che si sviluppa
dalla combustione dei gas prodotti è di 31.500.000 kcal e la sua trasformazione in energia elettrica
dipende dal tipo di sistema adottato ed è compresa tra 10 e 18Mwh
119
Se la composizione del rifiuto fosse costante nel tempo il discorso sarebbe chiuso,ma in realtà la
composizione del rifiuto è una variabile non determinabile a priori per cui il sistema necessita di
una intelligenza artificiale che consenta di regolare il comburente ed il mezzo fluidificante in modo
da garantire lo sviluppo delle reazioni in premessa e la costanza entro determinati limiti dei
parametri termici del reattore. L’intelligenza artificiale è il software del sistema associato agli
strumenti fisici di controllo che segnalano le stato del sistema che il software elabora con risposte di
intervento sulle portate del mezzo comburente e fluidificante Pertanto tutto il reattore contiene una
serie di strumentazione che consente la determinazione dello stato fisico,chimico del sistema. Nel
caso si utilizzassero come combustibile le biomasse la cui composizione sul secco può essere
rappresentata dalla seguente tabella:
C = 49.8 % corrispondente a kg 3984
H2 = 6.1 % kg 244
O2 = 43.8% kg 3504
N2 = 0.3% kg 24
Si otterrebbe un gas costituito da :
CO kg 9244 pari a 7395 Nmc
H2 kg 495 pari a 5561 Nmc
Azoto ed altri trascurabili
Potere calorifico inferiore gas 2820 kcal/Nmc. Contenuto entalpico 654 kcal/kg.Energia termica
sviluppata nella combustione 36.624.670 kcal pari a 12.2 Mwhe con processo di conversione
tradizionale ossia caldaia più turbina a vapore a condensazione.
Combustibile syngas prodoto
mc.
Potere cal. Energia el.
netta
prodotta
Fumi teorici
prodotti
Temperatur
a media
Energia el
cogenerata
C.D.R.
8 ton/h
=
11.600 2700kcal/mc 9.10Mwh 30.000Nmc/h 500 °C 1.0 Mwh
Biomassa
8 ton/h
=
12900 2800kcal/mc 10.5Mwh 48.000Nmc/h 500 °C 1.5 Mwh
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FUSIONE NUCLEARE A FREDDO
Così come per la fusione termonucleare (fusione calda), anche per la fusione fredda è necessario
avvicinare i nuclei di deuterio e trizio a distanze tali da vincere la forza coulombiana di repulsione
dei nuclei, carichi positivamente, e quindi poter permettere le reazioni di fusione. Mentre però nella
fusione calda questa energia viene fornita dal calore di una miscela gassosa portata ad altissima
temperatura (plasma), nella fusione fredda tali reazioni vengono accelerate dai cosiddetti
catalizzatori ed avvengono a temperature e a pressioni relativamente basse.
A seconda del tipo di catalisi utilizzata, si parla di fusione fredda prodotta tramite
"confinamento muonico", "confinamento chimico", o "fenomeni collettivi":
confinamento muonico: il muone è in grado di far avvicinare i nuclei di deuterio e trizio a
temperatura ambiente e pressione atmosferica; purtroppo però la vita del muone è molto
breve e ad oggi non si è ancora in grado di fargli catalizzare un numero sufficiente di
reazioni prima che "muoia", tali da rendere il suo utilizzo conveniente dal punto di vista
energetico;
confinamento chimico: questo tipo di confinamento, che è quello utilizzato anche da
Fleischmann e Pons nella loro cella elettrolitica, consiste nell'utilizzare la proprietà del
palladio (o di altri catalizzatori) di impregnarsi di idrogeno e dei suoi isotopi, formando
deuteruro oppure idruro di palladio.
fenomeni collettivi: sono state proposte teorie in cui il deuterio riuscirebbe a superare la
repulsione elettrostatica grazie alla schermatura degli atomi del reticolo di palladio. In
questo modo, due nuclei di deuterio formerebbero un composto simile alla coppia di Cooper
nella superconduttività, avvicinando quindi la fusione fredda ai fenomeni collettivi tipici
della teoria dei sistemi a molti corpi, come il Condensato di Bose - Einstein, l'elio
superfluido, e la superconduttività appunto.[1] Un problema di questa interpretazione è che i
fenomeni collettivi nei solidi si riscontrano generalmente a temperature prossime allo zero
assoluto.
Immergendo in una soluzione liquida a base di deuterio due elettrodi (uno di palladio e l'altro di
platino) e fornendo energia elettrica, si ha il passaggio di una corrente attraverso la soluzione
elettrolitica che dà origine a elio, trizio, neutroni, raggi gamma e raggi X. Si registra inoltre la
produzione di una quantità di calore maggiore dell'energia fornita attraverso la batteria che alimenta
la cella. Ciò sarebbe dovuto alla fusione dei nuclei degli atomi di deuterio, grazie alle proprietà
catalizzatrici del palladio.
Materia antimateria la nuova fonte di energia?
Ogni oggetto che ci circonda è fatto di materia. Ma se ogni cosa è di materia, che cosa è allora
l'antimateria?
Per avere la risposta bisogna tornare indietro nel tempo fino agli anni '30. Nel 1928 Dirac
formulò una teoria per il moto degli elettroni in campi elettrici e magnetici, includendo sia
effetti quantistici che effetti relativistici.
Questa teoria, in grado di descrivere i risultati delle misure sperimentali in modo
eccezionalmente preciso, portò anche ad una sorprendente previsione.
L'elettrone doveva avere una "antiparticella" con stessa massa ma carica elettrica opposta a
quella negativa di un normale elettrone.
La previsione di Dirac trovò conferma sperimentale nel 1932
Oggi sappiamo che tutte le particelle con momento angolare intrinseco (spin) semi-intero,
devono avere un'antiparticella. Mentre la massa di particelle e antiparticelle è identica, altre
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proprietà sono caratterizzate da valori che hanno segno matematico opposto. Ad es.
l'antiprotone ha la stessa massa del protone ma carica elettrica opposta (la carica del protone è
positiva, quella dell'antiprotone è negativa).
Anche alle particelle elettricamente neutre, come il neutrone, corrispondono antiparticelle. Esse
possiedono proprietà, con segno cambiato, differenti dalla carica elettrica, ad es., il momento
magnetico intrinseco.
Quando materia e antimateria si incontrano diventano energia