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1 Claudio Cecca
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Rec

Jul 24, 2015

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Claudio Cecca

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INDICE

Capitolo 1 : RIFIUTI:CIVILTA’ E GESTIONE p. 3

La civiltà dei rifiuti p. 4

Lo sviluppo sostenibile p. 5

La strategia delle 5 R p. 7

Cosa c’è nel bidone? p. 8

Il riciclaggio p. 9

La carta p.10

La plastica p.11

Il vetro p.13

I metalli p.14

L’umido p.15

Il Compostaggio p.16

Digestione anaerobica p.17

Rifiuti pericolosi p.21

RAEE p.22

La discarica controllata p.23

La Pirolisi p.24

Capitolo 2: RISPARMIO ENERGETICO p.35

Introduzione p.36

L’efficienza energetica p.37

L’effetto serra p.38

I cambiamenti climatici p.39

Risparmio energetico in casa p.40

Capitolo 3: L’ACQUA E’ VITA NON SPRECHIAMOLA p.51

Introduzione p.52

Come ridurre gli sprechi p.53

Capitolo 4: LA SICUREZZA IN CASA p.57

L’impianto elettrico sicuro p.58

Gli elettrodomestici p.58

Il gas in casa p.59

Gli incendi p.61

La sicurezza alimentare p.64

Capitolo 5: IL RISCHIO AMBIENTALE p.67

Il rischio p.68

Il rischio idrogeologico p.68

Le alluvioni p.69

Le frane. p.70

Subsidenze e sprofondamenti p.71

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3

Il rischio sismico e vulcanico p.72

Le valanghe p.75

Erosione costiera e mareggiate p.76

Capitolo 6: LE NUOVE ENERGIE p.77

Introduzione p.78

Fonti energetiche non rinnovabili p.78

Protocollo di Kyoto p.80

Fonti energetiche rinnovabili p.81

L’Idrogeno : caratteristiche e tecnologie p.84

Fusione nucleare a freddo p.118

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4

Capitolo 1

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5

Il problema dell’inquinamento da rifiuti è sempre esistito, anche se solo ora ha assunto dimensioni

davvero preoccupanti!

L’uomo “consumatore” è il responsabile del degrado ambientale poiché sfrutta senza scrupoli i

beni naturali.

Già presso i primi insediamenti ebraici esistevano leggi che obbligavano a deporre i rifiuti

personali fuori dall’accampamento, in luoghi appositi dove venivano sotterrati: ecco le prime

discariche della storia!

Gli antichi non sottovalutarono nemmeno i rifiuti provenienti dalle attività lavorative: nel XVIII

secolo a.C. il re Babilonese Hammurabi impose ai conciatori di pelli di installare i loro laboratori

fuori dalle mura della città per evitare contaminazioni dell’acqua e dell’aria.

I Romani per la salvaguardia della salute pubblica avevano fatto costruire cloache apposite per gli

scarichi di acque luride di cui la più nota è la Cloaca Massima : il primo esempio di fognatura!

Il problema della gestione dei rifiuti esiste da sempre e nella storia tutte le diverse popolazioni

hanno dovuto confrontarsi con esso, dando così prova del loro grado di civiltà.

Nel corso dell’ultimo secolo però la quantità di rifiuti prodotta è andata aumentando

vertiginosamente: i rifiuti si trovano ormai dappertutto, ammucchiati ai bordi delle strade delle

nostre città, abbandonati nei campi o sulle spiagge, in fondo al mare come alle pendici dei monti!

Questa impennata nella quantità di rifiuti prodotta è da attribuirsi essenzialmente a due fattori: la

crescita della popolazione mondiale ed il progresso economico.

Negli ultimi cento anni, e in particolare negli ultimi cinquanta, si è assistito ad una crescita enorme

della popolazione umana accompagnata da una capacità straordinaria di modificare e distruggere

ambienti naturali e specie viventi, di trasformare energia e risorse naturali, di produrre

un’incredibile massa di rifiuti solidi, liquidi, gassosi, e di sostanze estranee ai “metabolismi”

naturali.

Nell’ultimo secolo, soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, la crescita demografica

mondiale ha avuto un picco, oggi sulla Terra siamo circa 6 miliardi di individui, un numero enorme,

circa 4 volte superiore al dato relativo ad un secolo fa.

Il progresso economico, portando benessere ad una larga fascia di popolazione, ha fatto sì che

rapidamente l’uomo trasformasse le proprie abitudini di vita: in pochi decenni l’uomo è diventato

consumatore, ed in quanto tale, produttore di enormi quantità di rifiuti! Il consumismo, il boom

economico del secondo dopoguerra, l’avvento di nuove tecnologie hanno fatto sì che i cosiddetti

beni di consumo entrassero nelle case di tutti e cambiassero lo stile di vita di milioni di persone.

ognuno di noi produce circa:

Oltre a questo abnorme incremento nella produzione di rifiuti, è sotto gli occhi di tutti il problema

ormai drammatico dell’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo.

QQuuaannttii rriiffiiuuttii pprroodduucciiaammoo??

1,5 kg di rifiuti ogni giorno

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6

Sentirci “padroni” della natura ci ha portato a modificarla a nostro piacimento senza preoccuparci

delle possibili gravi conseguenze di ciò.

Negli ultimi cinquanta anni l’impatto delle attività umane sul mondo naturale ha determinato

profondi sconvolgimenti che in alcuni casi sono diventati vere e proprie emergenze ambientali

(buco dell’ozono, effetto serra, desertificazione, perdita di biodiversità ecc.).

A ciò va a sommarsi l’impoverimento delle risorse del nostro pianeta: l’uomo si è sempre avvalso di

quanto trovava disponibile in natura (legna, pietra, acqua,...), ma con l’avvento della rivoluzione

industriale tale sfruttamento è divenuto sistematico e su larga scala. I giacimenti di petrolio e

minerali, lo sfruttamento intensivo dei campi, l’uso dell’acqua nell’industria sono solo alcuni

esempi del costante e continuo depauperamento delle risorse naturali che l’uomo compie ormai da

decenni.

Perché si è arrivati ad una situazione cosi drammatica?

LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Le disuguaglianze socio-economiche e il deterioramento ambientale sono temi dibattuti fin dagli

anni ’70, scienziati e opinione pubblica si sono confrontati per anni su tali argomenti, al fine di

ricercare i possibili rimedi all’attuale modello di sviluppo. A fronte della compromissione della

qualità della vita presente e futura, si è via via affermata la consapevolezza dello stretto legame

esistente tra sviluppo economico, salvaguardia dell’ambiente ed equità sociale e si è cominciato a

parlare di sviluppo sostenibile. Diamone qualche illustre definizione:

”risponde alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di

soddisfare le proprie” (Commissione Bruntland, 1987 – UNCED).

oppure

“il soddisfacimento della qualità della vita mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli

ecosistemi dai quali essa dipende” (Rapporto “Caring for the Earth”, 1991 - UNEP, IUCN, WWF).

oppure

"uno sviluppo che offra servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una

comunità, senza minacciare l'operabilità del sistema naturale, edificato e sociale da cui dipende la

fornitura di tali servizi” (International Council for Local Environmental Initities, 1994).

==

CCrreesscciittaa ddeellllaa

ppooppoollaazziioonnee

PPrrooggrreessssoo eeccoonnoommiiccoo ++

Enorme aumento rifiuti

Impoverimento delle risorse

Inquinamento di acqua, aria e suolo

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Con sviluppo sostenibile si intende quindi un modello di sviluppo in grado di soddisfare i bisogni

delle generazioni presenti senza compromettere quelli delle generazioni future.

Si è sviluppato così il concetto di sostenibilità, intesa come l'insieme di relazioni tra le attività

umane con la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste

relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare

i loro bisogni e alle diverse culture

umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane

stiano entro certi limiti così da non da non distruggere il contesto biofisico globale.

Se riusciremo ad arrivare a un'economia da equilibrio sostenibile le future generazioni potranno

avere almeno le stesse opportunità che la nostra generazione ha avuto: è un rapporto tra economia

ed ecologia, in gran parte ancora da costruire, che passa dalla strada dell'equilibrio sostenibile.

I progetti di sviluppo sostenibile definiti a livello internazionale sono riuniti nell' Agenda 21,

documento di propositi ed obiettivi programmatici su ambiente, economia e società sottoscritto da

oltre 170 paesi di tutto il mondo durante la Conferenza su Ambiente e Sviluppo (UNCED) svoltasi

a Rio de Janeiro nel giugno 1992. L’Agenda 21 internazionale indica un programma operativo per

perseguire l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile, includendo risultati da raggiungere, responsabilità

e stima dei costi:

1) the Prospering World: come armonizzare lo sviluppo economico del Sud con la sostenibilità

ambientale

2) the Just World: come affrontare i problemi demografici e la povertà

3) the Habitable World: come affrontare i grandi problemi degli insediamenti urbani

4) the Desert Fertile World: come combattere l'erosione del suolo

5) the Shared World: come affrontare i problemi del cambiamento globale

6) the Clean World: come gestire il problema di rifiuti tossici e prodotti radioattivi

7) the People's World: come combattere l'analfabetismo, come affrontare il ruolo delle minoranze

Le nuove teorie dello sviluppo sostenibile stravolgono l’economia classica basata su due soli

parametri: il lavoro ed il capitale, proponendo un’ ”economia ecologica” che prevede tre

parametri: il lavoro, il capitale naturale e il capitale prodotto dall’uomo. Con capitale naturale si

intende l’insieme dei sistemi naturali (flora, fauna, laghi, mari,…), ma anche prodotti agricoli,

della pesca, della caccia, nonché il capitale artistico-culturale di un territorio.

I principi alla base di questa economia della sostenibilità sono quello del rendimento sostenibile,

che prevede che la velocità del prelievo delle risorse naturali sia uguale a quella di rigenerazione, e

quello che la velocità di produzione dei rifiuti sia uguale alla capacità di assorbimento da parte degli

ecosistemi in cui essi vengono immessi.

Il primo passo a questo proposito è ovviamente la riduzione dei rifiuti, limitandone la produzione e

privilegiando il riuso di oggetti e materiali; rimane però il problema di come trattare quelli prodotti.

Allo stato attuale possiamo contare su tre sistemi di trattamento: raccolta differenziata e

riciclaggio, discarica controllata , pirolisi e digestione anaerobica anche combinati , mentre

sulla termovalorizzazione, neologismo coniato ad arte e presente solo nella lingua italiana, si

hanno molti dubbi circa la sua capacità di produrre diossine, furani metalli pesanti ecc.

Le diossine prodotte dagli inceneritori, termine corretto per i termovalorizzatori, non vengono

smaltite dal corpo umano nel breve e medio periodo, ma cos’è la diossina?

Le diossine sono tra le più tossiche fra le sostanze chimiche, e tra le meno biodegradabili nel

tempo.

Il problema principale della diossina deriva dalla sua notevole lipofilia, cioè dalla tendenza ad

accumularsi nei grassi, sia animali che vegetali: col tempo, l’accumulo della sostanza e il continuo

incremento della sua concentrazione, negli animali e nell’uomo provoca malattie molto gravi quali

tumori (polmoni, pleura, etc.), sarcomi, diabete, infertilità, leucemie e linfomi.

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Può inoltre provocare disturbi ai sistemi endocrino, nervoso e immunitario, malformazioni fetali e

cloracne. Dagli studi finora effettuati sembra che la sostanza agisca indirettamente sul DNA,

causando una replicazione cellulare incontrollata. Solo in minima parte la diossina viene assorbita

dagli esseri viventi attraverso le vie respiratorie, per lo più per via digerente. Un ciclo tipico di

questo processo si può così descrivere: depositandosi ed accumulandosi nel suolo, la diossina passa

nei vegetali, tra i quali l’erba, alimento principale degli animali da pascolo, e si deposita nei loro

tessuti adiposi. Da lì, passa all’uomo attraverso i loro prodotti quali latte, derivati e carni. In

presenza di laghi, fiumi o mari, la diossina viene assorbita dai pesci, che si nutrono (tra l’altro) dei

microrganismi depositati sul fondo. In ogni caso, essendo l’uomo l’ultimo anello della catena

alimentare, in esso si riscontra infine la maggiore concentrazione di diossina, in particolare nel latte

materno, da cui passa ai neonati in elevatissime concentrazioni..

Le fonti principali di diossina

- Inceneritori di rifiuti urbani 26%

- Fonderie 18%

- Inceneritori di rifiuti ospedalieri 14%

- Attività metallurgiche non legate al ferro 4%

Il restante 38% è dovuto agli impianti di riscaldamento domestico a legna, incendi e traffico

Una corretta gestione dei rifiuti impone l'utilizzo razionale ed integrato di tutti e tre questi sistemi,

con una tendenza a superare lo smaltimento in discarica, il quale, comunque, disperde risorse e

trasmette problemi alle generazioni future.

Problema dei rifiuti:

difficile, ma non impossibile!

Per risolvere il problema rifiuti si deve intervenire su ogni fase della loro produzione, massimizzare

il riutilizzo o il riciclaggio e infine sfruttare il contenuto energetico mediante la produzione di

compost e biogas con digestione anaerobica e trattando ciò che non è stato possibile

riutilizzare con il processo di pirolisi. Bisogna quindi affrontare il problema su più fronti, come

prevede la

STRATEGIA DELLE 5 R:

R – Riduzione all'origine dei rifiuti (cartone da imballaggio, carta da ufficio,…)

R - potenziamento della Raccolta differenziata;

R – Riuso degli oggetti tal quali, (ad es. le bottiglie di vetro);

R – Riciclo dei materiali utili (vetro, carta, alluminio, ferro, plastica,...) nell'industria, nelle

costruzioni e nell'agricoltura;

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R – Recupero di energia contenuta nel rifiuto non riutilizzabile, attraverso nuovi impianti di

termovalorizzazione a minimo impatto ambientale.

Prima di acquistare qualcosa assicuriamoci di averne veramente bbiissooggnnoo;

Evitiamo imballaggi inutili, pprreeffeerriiaammoo mmeerrccee ssffuussaa!

Preferiamo cibi e bevande in contenitori di vveettrroo: è igienico, riutilizzabile e

riciclabile!

Utilizziamo le ricariche, le confezioni salvaspazio, quelle comprimibili:

produrremo meno rifiuti!

Scegliamo prodotti rriicciiccllaattii!

I rifiuti non sono tutti uguali, nei cassonetti delle nostre città trovano posto gli oggetti più diversi,

dagli scatoloni da imballaggio ai resti della potatura di una siepe, dal vecchio triciclo agli scarti

dell’insalata: insomma un po’ di tutto! La composizione dei rifiuti solidi urbani (RSU) varia molto

inoltre a seconda di dove ci troviamo: nel cassonetto di Aosta troveremo sicuramente materiali

molto diversi rispetto a quelli presenti in un cassonetto di Palermo! Alcuni archeologi a partire dai

resti di antiche discariche hanno potuto addirittura ricostruire le abitudini di vita di alcuni popoli

dell’antichità: i nostri rifiuti parlano di noi!

Facendo una media nazionale ecco come sono composti i rifiuti in Italia:

- organico 35%

- carta e cartone 21%

- materie plastiche 13%

- vetro 12%

Dobbiamo imparare a produrre mmeennoo rriiffiiuuttii!

MMEENNOO IIMMBBAALLLLAAGGGGII

==

MMEENNOO RRIIFFIIUUTTII

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10

- metalli 6%

- verde e legno 7%

- altro 6%

Scendendo più nel dettaglio notiamo che i rifiuti solidi urbani (RSU) sono costruiti da:

materiali decomponibili (scarti organici in genere, residui vegetali, carta, legno, tessili,

avanzi di cibo, carogne di animali);

materiali non decomponibili (metalli, vetro, ceramica, materiali ferrosi e plastici);

ceneri e polveri;

rifiuti ingombranti (materiali provenienti da demolizioni, macchinari, elettrodomestici,

vecchie auto e parti meccaniche);

contenitori e imballaggi (in vetro, alluminio, plastiche, materiale cellulosico);

rifiuti urbani pericolosi (pile, batterie, farmaci, i prodotti tossici e infiammabili, come

candeggina, vernici, colle, insetticidi, oli minerali usati, residui ospedalieri, lampade, tubi

catodici, raee ecc.);

residui solidi risultanti dal processo di trattamento dei liquami (materiali trattenuti dalle

griglie degli impianti di depurazione, materiali solidi stabilizzati, fanghi biologici);

rifiuti industriali (sostanze chimiche di varia natura, tinture e simili, sabbie, cascami di

lavorazione, oli e grassi);

rifiuti derivati da attività minerarie (scorie, polveri);

rifiuti derivati da attività agricole (letame, rifiuti zootecnici, scarti vegetali).

Buona parte dei rifiuti è costituita da CARTA, PLASTICA, VETRO e METALLI: tutti materiali

riciclabili! o trasformabili in CDR (combustibile derivato da rifiuti)

Vediamo ora quanto tempo la natura da sola impiegherebbe a degradare alcuni dei più comuni

rifiuti prodotti dalla nostra società:

TORSOLO DI MELA ddaa 1155 ggiioorrnnii aa 33 mmeessii

FAZZOLETTO DI CARTA ddaa 33 aa 66 mmeessii

GIORNALE ddaa 44 aa 1122 mmeessii

FILTRO DI SIGARETTA 22 aannnnii

LATTINA ddaa 2200 aa 110000 aannnnii

BOTTIGLIA DI PLASTICA ddaa 110000 aa 11000000 aannnnii

BOTTIGLIA DI VETRO 44000000 aannnnii

Come è evidente, soprattutto per i materiali non organici, i tempi sono lunghissimi; alla luce di ciò

risulta ancora più evidente la convenienza a riciclare, sia in termini di tempo che di risparmio delle

risorse.

Il RICICLAGGIO

Il riciclaggio dei rifiuti è il processo di trasformazione dei rifiuti in materiali riutilizzabili.

Il riciclaggio è una pratica abbastanza recente, nata intorno agli anni Cinquanta per rispondere a

esigenze di tipo economico ed ecologico: in primo luogo, infatti, è un sistema intelligente di

smaltimento dei rifiuti e un modo per ridurre i consumi energetici e i costi delle industrie, in

secondo luogo, è un modo per risparmiare le risorse naturali del pianeta.

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Dal punto di vista ecologico, è l’alternativa più vantaggiosa ai sistemi convenzionali di smaltimento

dei rifiuti quali l’accumulo nelle discariche e l’incenerimento in appositi impianti, che oltre a non

essere più sufficienti per smaltire il sempre crescente carico di rifiuti prodotti, hanno un elevato

impatto ambientale.

Se evitiamo di gettare tutti insieme il vetro, il metallo, le plastiche e la carta che usiamo ogni

giorno, ma li deponiamo negli appositi cassonetti, possiamo riciclarli e usarli di nuovo. Ciò aiuta a

conservare le risorse naturali della Terra.

Il riciclaggio riduce drasticamente la quantità dei rifiuti, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua

e fa risparmiare energia.

Il primo passo verso il riciclaggio è la RACCOLTA DIFFERENZIATA dei rifiuti, vediamone i

principali vantaggi:

si ottengono così:

Alla base della raccolta differenziata sta il principio che i rifiuti non sono tutti uguali e che

imparando a separarli opportunamente si possono ottenere enormi vantaggi sia in termini di

risparmio economico per l’intera società che di salvaguardia dell’ambiente. Nelle nostre strade

devono trovare posto tanti cassonetti di colori diversi, ognuno adibito ad una diversa tipologia di

rifiuto, che una volta raccolta, verrà avviata ad uno specifico processo di riciclaggio.

Vediamo ora qualche regola utile per una corretta raccolta differenziata:

I materiali da riciclare devono essere per quanto possibile asciutti e puliti.

E' sufficiente togliere i residui alimentari. Infatti un materiale sporco di alimenti avviato al

riutilizzo, crea putrescenze che possono interferire con il sistema di riciclaggio.

Mettere la cosa giusta nel cassonetto giusto!

Non farlo può vanificare il riciclaggio di altri materiali. Ad esempio mettere un piatto nel cassonetto

del vetro crea grossi problemi: la porcellana ha un punto di fusione

superiore, ne rimarranno quindi pezzi non fusi nel vetro fuso che risulterà non riutilizzabile.

Gli imballaggi vanno schiacciati, in modo da occupare meno spazio!

Non farlo, significa occupare spazio inutile nel cassonetto, che quindi si riempie prima costringendo

ad un numero maggiore di svuotamenti o, peggio, costringendo gli altri ad abbandonare i rifiuti in

strada. Basta pensare che una bottiglia di plastica non schiacciata occupa la spazio di 3 schiacciate.

Lo stesso vale per le lattine.

LLAA CCAARRTTAA

Per produrre 1 tonnellata di ccaarrttaa da cellulosa vergine occorrono:

riduce la quantità di rifiuti che vanno in discarica

separa i rifiuti pericolosi

recupera i materiali riciclabili

+ Risparmio

economico

Salvaguardia

dell’ambiente

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12

1155 aallbbeerrii 444400..000000 lliittrrii dd’’aaccqquuaa

77..660000 kkWWhh ddii eenneerrggiiaa eelleettttrriiccaa

Per produrre 1 tonnellata di ccaarrttaa rriicciiccllaattaa bastano:

nneessssuunn aallbbeerroo

11..880000 lliittrrii dd’’aaccqquuaa

22..770000 kkWWhh ddii eenneerrggiiaa eelleettttrriiccaa

Come è evidente il risparmio è enorme: non solo non c’è bisogno di abbattere alberi, ma anche il

consumo di acqua e di energia elettrica è notevolmente inferiore nel caso di carta riciclata.

Per una corretta raccolta differenziata è fondamentale sapere quali rifiuti mettere nel cassonetto

della CARTA:

La carta sotto il simbolo del NO non vuol dire che non è riciclabile ma finisce all'interno del CDR

per produrre energia elettrica e termica (cogenerazione)

I rifiuti riciclabili derivano da oggetti di uso quotidiano, per tutti noi quindi, con un minimo di

accortezza, sarà semplice raccoglierli in maniera differenziata! In Italia la carta da macero è usata

soprattutto nella produzione di carta per imballaggio, mentre è ancora molto ridotta negli altri

settori.

Il CICLO della CARTA

La carta depositata negli appositi cassonetti per la raccolta differenziata, viene ritirata e trasportata

ai centri di raccolta dove è SELEZIONATA per una prima separazione di giornali, cartoni, carta più

leggera; i vari materiali vengono poi PRESSATI e confezionati in balle da inviare alle cartiere.

In CARTIERA inizia il processo di riciclaggio vero e proprio, il primo stadio avviene nel PULPER,

o SPAPPOLATORE, che è un macchinario che trita e aggiunge acqua calda, facendo diventare la

carta una vera e propria poltiglia. Questa pasta prima attraversa un FILTRO a grossi fori che

trattiene le impurità più grossolane, quindi un DEPURATORE che separa la pasta di cellulosa dalle

impurità non trattenute prima. Per ottenere carta bianca è necessario aggiungere solventi per

eliminare gli inchiostri. Alla pasta proveniente da carta di recupero viene aggiunta cellulosa vergine

in proporzioni differenti a seconda del tipo di utilizzo al quale la carta è destinata.

GIORNALI e RIVISTE

VECCHI QUADERNI

OPUSCOLI

SACCHETTI di CARTA

FOTOCOPIE E MODULI

PACCHI e SCATOLE

in CARTONE

SI NO CARTA con residui di COLLA o altre

SOSTANZE

CONTENITORI della PIZZA (se molto unti)

CARTA CHIMICA

CARTA COPIATIVA

BICCHIERI e PIATTI di CARTA

POLIACCOPPIATI (brick del latte e succhi

di frutta)

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13

LLaa PPLLAASSTTIICCAA

Per la produzione della plastica si parte dal ppeettrroolliioo a cui vengono aggiunte sostanze diverse per

ottenere i vari tipi di plastica che comunemente usiamo, ecco una rassegna dei più comuni tipi di

plastica, delle loro sigle e dei rispettivi usi:

Vediamo ora cosa è corretto introdurre nel cassonetto della PLASTICA:

La plastica sotto il simbolo del NO non sta ad indicare che non sia riciclabile ma solo la sua

destinazione a CDR per produrre energia elettrica e termica .

TIPO

USO

Polietilentereftalato Bottiglie per bevande gassate

Polivinilcloruro

Bottiglie Nastro isolante

Fili elettrici Tubi

Polipropilene

Siringhe Pennarelli

Polietilene

Sacchetti per l’immondizia Sacchetti per la spesa

Sacchetti per surgelare cibi

BOTTIGLIE

FLACONI lavati

OGGETTI in PLASTICA

SI

BICCHIERI

PIATTI

SACCHETTI

GIOCATTOLI

TUBETTI DENTIFRICIO

VASETTI YOGURT

BOTTIGLIE dell’OLIO

NO

Attenzione! tutto con

i simboli: PET, PE

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14

Il CICLO della PLASTICA

La plastica raccolta dai cassonetti per la raccolta differenziata viene inviata ai CENTRI di

SELEZIONE e STOCCAGGIO, dove i vari tipi di plastica vengono divisi per polimero attraverso

vari sistemi (ad esempio i raggi X).

Successivamente vengono TRITURATI, LAVATI e avviati alla lavorazione di nuovi prodotti nelle

varie industrie.

Con la plastica riciclata si possono ottenere i materiali più disparati: dal vestiario in pile, ai giochi

per bambini, dai contenitori per alimenti alle pavimentazioni plastiche.

IIll VVEETTRROO

Per produrre 11..000000 kkgg di VVEETTRROO occorrono:

774400 kkgg ssaabbbbiiaa

113300 kkgg ssooddaa

113300 kkgg ccaallccaarree

Per produrre vetro con 5500%% mmaatteerriiaa rriicciiccllaattaa e 5500%% mmaatteerriiaa pprriimmaa occorrono:

337700 kkgg ssaabbbbiiaa

6655 kkgg ssooddaa

6655 kkgg ccaallccaarree

E’ inoltre necessaria una mmiinnoorree TT ddii ffuussiioonnee: oltre ad un risparmio in termini di materie prime si

ha quindi necessità di mmeennoo eenneerrggiiaa ee ttaallee pprroocceessssoo ccoommppoorrttaa aanncchhee mmiinnoorrii eemmiissssiioonnii iinn

aattmmoossffeerraa!! Ecco alcuni suggerimenti sui materiali da raccogliere nel cassonetto adibito al VETRO:

Come risulta evidente dall’elenco sopra riportato circa l’89% del vetro prodotto ha destinazione

domestica: questo significa che tutti noi con un impegno minimo possiamo RICICLARE!!

VETRI per FINESTRE

BICCHIERI

PIATTI

SPECCHI

PIROFILE da FORNO

TAZZINE da CAFFE’

PORCELLANA

LAMPADINE

NO

BOTTIGLIE

BARATTOLI

SI

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Il VETRO è un materiale che prima di essere riciclato può anche essere RIUTILIZZATO con il

sistema del “vuoto a rendere”! Il vetro è RICICALABILE al 100%: esso mantiene infatti sempre

inalterate le sue caratteristiche, anche se fuso più volte, i suoi requisiti tecnici e igienici rimangono

identici a quelli del prodotto iniziale. Per poterlo però riciclare è importante raccoglierlo in modo

corretto, cioè senza mescolarlo ad altro (porcellane, specchi, ...)! Gli oggetti non di vetro hanno

infatti temperature di fusione più alte di quella del vetro e possono rovinare il prodotto finale.

Il CICLO del VETRO

Il vetro dai cassonetti della raccolta differenziata viene trasportato ai CENTRI di SELEZIONE e

STOCCAGGIO dove i vari tipi di vetro vengono separati e frantumati, in seguito, attraverso

apposite ELETTROCALAMITE, vengono eliminati gli anelli di metallo delle chiusure e per

aspirazione vengono rimossi i residui di plastica e carta. Si passa quindi ad una fase di

LAVAGGIO, dopo la quale il vetro viene inviato alle vetrerie per la FUSIONE e la realizzazione di

nuovi oggetti. Le bottiglie in vetro prodotte in Italia risultano per più di un terzo prodotte in vetro

riciclato.

II MMEETTAALLLLII

I metalli non sono tutti uguali, ne esistono molti tipi diversi e vengono normalmente suddivisi in

ferrosi e non ferrosi; solo alcuni di essi vengono impiegati nella produzione di lattine, scatolette,

bombolette, altri si utilizzano nella realizzazione di elettrodomestici, pentole, ...

E’ importante in questa sede ricordare che i rifiuti ingombranti, come appunto gli

elettrodomestici, non devono essere abbandonati vicino ai cassonetti o peggio in qualche discarica

abusiva ai bordi delle strade, ma che vanno portati in appositi centri di raccolta dove vengono

smontati, suddivisi nei vari componenti e quindi avviati alle fonderie per il recupero dei metalli.

Per produrre 1 Kg di alluminio occorrono:

Bauxite

14/16 kWh di energia

Per produrre 1 Kg di alluminio da materiale riciclato occorrono:

Bauxite

0.7/0.8 kWh di energia

Gli oggetti da conferire tra i METALLI sono:

LATTINE

SCATOLETTE

BOMBOLETTE

SI

VECCHIE RETI

FERRI da STIRO

RAEE e PICCOLI

ELETRODOMESTICI

NO

I rifiuti sotto il simbolo del NO (rifiuti ingombranti) trovano nuova vita nei centri di

trattamento specializzati dove sono ritrasformati nelle materie prime che li costituiscono, e

nel caso dei frigoriferi , recuperando in maniera corretta anche i gas da raffreddamento

(freon) che , se lasciati liberi , costituirebbero un grave pericolo per l'ambiente.

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Il CICLO dei METALLI

A titolo di esempio riportiamo qui il percorso dell’ALLUMINIO, dal cassonetto al riutilizzo.

L’alluminio raccolto con la raccolta differenziata viene trasportato in appositi CENTRI di

SELEZIONE e STOCCAGGIO, dove, per mezzo di ELETTROCALAMITE, vengono scartati i

contenitori non in alluminio. Il materiale in alluminio viene quindi LAVATO, PRESSATO in

balle e mandato alle FONDERIE per iniziare una nuova vita.

LL’’UUMMIIDDOO

Con il termine UMIDO si intendono tutti gli scarti di provenienza alimentare, vegetale, animale ad

aallttaa uummiiddiittàà, che rappresentano circa il

3300 –– 3355%% dei rifiuti solidi urbani

In questa categoria di rifiuti confluiscono moltissimi oggetti di uso quotidiano, vediamo quali:

Lo sapevate che…

Il recupero di alluminio permette di intercettare il 30% di quanto viene prodotto, ma il consumo di lattine

è in Italia tra i più bassi:

ITALIA 26 pezzi/abitante x anno GERMANIA 62 pezzi/ab x anno

SVEZIA 96 pezzi/ab x anno

GRAN BRETAGNA 119 pezzi/ab x anno

STATI UNITI 400 pezzi/ab x anno

RESTI DI FRUTTA, ORTAGGI

CARNE, PESCE a piccoli pezzi

GUSCI d’UOVA

ALIMENTI DETERIORATI

FONDI DI CAFFE’ o TE’

ERBA SECCATA

FOGLIE,TERRICCIO,POTATURE

PANE, PASTA, RISO

LETTIERE DI ANIMALI

PAGLIA,CORTECCE,SEGATURA

SI

VETRO

METALLI

CERAMICA

CONTENITORI

PLASTICA

TESSUTI COLORATI

LEGNO VERNICIATO

FOGLI di ALLUMINIO

SPAZZATURA

OLII, GRASSI

CARTA PATINATA

NO

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Il COMPOSTAGGIO

Il compostaggio vuole imitare, riproducendoli in maniera controllata e accelerata, i processi naturali

che trasformano gli scarti in humus, che costituisce una vera e propria riserva di nutrimento per le

piante data la sua capacità di liberare lentamente ma costantemente elementi nutritivi fondamentali

per la crescita vegetale come azoto, fosforo e potassio. Il processo per produrre il compost è quindi

copiato dalla natura con qualche modifica per renderlo ancor più efficiente e veloce.

Si tratta di un processo aerobico (cioè che avviene in presenza di Ossigeno) di decomposizione

biologica della sostanza organica che avviene in condizioni controllate, che permette di ottenere un

prodotto biologicamente stabile, il compost appunto che altro non è che un terriccio molto ricco in

humus e flora microbica attiva.

Cerchiamo di spiegare meglio come avviene il compostaggio; la sostanza organica proveniente

dalla raccolta differenziata viene disposta in ccuummuullii (normalmente di sezione triangolare o

trapezoidale) ed a questo punto inizia il compostaggio vero e proprio, esso si articola

essenzialmente in due fasi:

IL COMPOSTAGGIO DOMESTICO

Per ottenere un buon compost è necessario che i diversi materiali siano ben triturati per offrire una

maggiore superficie di contatto con aria e acqua ma non troppo piccoli, in quanto si avrebbe la

costipazione del terriccio che impedirebbe così la circolazione dell'aria e il drenaggio dell'acqua.

E' importante alternare gli strati di materiale nella compostiera: miscelare in parti pressoché uguali

materiale secco e legnoso (legno o potature sminuzzati, paglia, trucioli, foglie secche) con materiali

verdi e umidi (erba, scarti di cucina, fiori appassiti, resti dell'orto). Svantaggio enorme della compostiera è che emette gas metano: 20 volte più dannoso della CO2

ai fini del buco nell'ozono

Cosa mettere nella compostiera?

Si possono utilizzare tutti gli scarti biodegradabili. Vanno invece evitati i rifiuti di origine sintetica

o contaminati da sostanze non naturali:

SI avanzi di cucina, verdura, frutta, fondi di the e caffè, scarti del giardino, legno di

potatura, sfalcio dei prati, foglie secche, altri materiali biodegradabili, carta per alimenti

non patinata, segatura e trucioli provenienti da legno non trattato, cenere, piume, pelo,

tovaglioli e fazzoletti di carta

NO vetro, pile scariche, tessuti, vernici e altri prodotti chimici, manufatti con parti in

plastica o in metallo, liquidi, lattine, legno verniciato, farmaci, carta patinata o

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stampata, pannolini

POCO avanzi di cibo di origine animale, cibi cotti (in piccole quantità perché potrebbero

attrarre animali o insetti), foglie di piante resistenti alla degradazione: in piccole

quantità e miscelando con materiali più facilmente degradabili (magnolia, faggio,

castagno, aghi di conifere), lettiere per cani e gatti

LA DIGESTIONE ANAEROBICA DI RIFIUTI ORGANICI: - RIFIUTI

ORGANICI (FORSU) Frazione organica da RSU - SFALCI DI GIARDINO -

LIQUAMI

La digestione anaerobica, processo di conversione di tipo biochimico, avviene in assenza di

ossigeno e consiste nella demolizione, ad opera di microrganismi, di sostanze organiche complesse

(lipidi, protidi, glucidi), contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale e umana.

Questo processo è in grado di produrre un gas (biogas) costituito per il 50%-70% da metano e per la

restante parte da anidride carbonica (vedi tabella2), ed avente un potere calorifero di 23.000

KJ/Nm3. Il biogas così prodotto viene raccolto, essiccato, compresso ed immagazzinato e può essere

utilizzato come combustibile per alimentare caldaie a gas per produrre calore o motori a

combustione interna per produrre energia elettrica. Al termine del processo di fermentazione nell’

effluente si conservano integri i principali elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio), già presenti

nella materia prima, favorendo così la mineralizzazione dell’ azoto organico; l’effluente risulta in

tal modo un ottimo fertilizzante.

L’ impiego delle biomasse per fini energetici sta assumendo rilevanza sempre maggiore, oltre che

per gli indiscussi benefici ambientali, soprattutto come scelta strategica in grado di diminuire il

ricorso alle fonti fossili e, quindi la dipendenza energetica da altri paesi. L’energia solare,

disponibile annualmente sotto forma di radiazione sulla superficie terrestre, è 11.000 volte superiore

alla domanda energetica annua necessaria per le attività umane. La biomassa è una sofisticata forma

di accumulo dell’ energia solare: le piante convertono l’ energia solare attraverso il processo di

fotosintesi, con un rendimento medio dello 0, 1%, accumulandola in modo permanente nelle foglie,

negli steli e nei fiori. Tra le energie rinnovabili, la biomassa è l’unica a poter essere convertita in

combustibili solidi, liquidi o gassosi mediante opportune tecnologie di conversione, ormai ben

collaudate. Di conseguenza, questo vettore energetico può essere utilizzato in un vasto campo di

applicazioni energetiche, dalla produzione di energia termica ed elettrica alla produzione di

combustibili per i mezzi di trasporto. La produzione annuale globale di biomassa supera l’ attuale

consumo energetico mondiale di 13 volte. L’ utilizzo delle biomasse o FORSU può dare un valido

contributo al settore energetico, garantendo effetti molto più contenuti in termini di emissioni di gas

serra. Si tratta di una risorsa energetica rinnovabile sempre disponibile; infatti, rispetto all’ utilizzo

diretto dell’ energia solare, non presenta i problemi di aleatorietà caratteristici di quest’ ultima

fonte.

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Dopo opportuni trattamenti, l’utilizzo delle biomasse può produrre:

Energia termica

Energia elettrica

Biocombustibili

L’ energia rappresenta la chiave per la sopravvivenza a lungo termine della civiltà moderna. In

media, ognuno dei sei miliardi di persone che vivono sulla terra utilizza due tonnellate di carbonio

all’ anno per fini energetici. Tuttavia, esiste un grosso divario tra i paesi industrializzati e quelli in

via di sviluppo: un europeo, ad esempio, consuma più di 6 tonnellate di carbonio, quantità 40 volte

superiore rispetto a quelle consumate da un abitante del Bangladesh. Attualmente, il 90% delle fonti

energetiche utilizzate sono di origine fossile ed il loro uso è associato all’ emissione di anidride

carbonica nell’ atmosfera. In particolare, ogni anno l’ atmosfera del nostro pianeta riceve più di 15

miliardi di tonnellate di CO2. Gli scienziati di tutto il mondo sono concordi nell’ affermare che, con

l’attuale valore di emissione di CO2 e degli altri gas serra, si produrranno danni irreversibili al clima

del pianeta. Il fabbisogno energetico dell’ uomo può essere soddisfatto senza dover necessariamente

ricorrere a vettori energetici fossili. Inoltre, dalle risorse energetiche il cui sfruttamento non è

associato all’ emissione di CO2, come l’energia solare, l’enegia eolica e le biomasse, si possono

ottenere la maggior parte dei vettori energetici attualmente utilizzati.

La coltivazione di piante specifiche da avviare alla digestione anaerobica per la produzione di

biogas può essere una soluzione per ridurre la sovrapproduzione agricola, ma anche una valida

alternativa per l’utilizzo di aree incolte e a riposo (set aside) o di aree irrigate con acque recuperate

dai depuratori urbani.

Nel corso degli ultimi anni molti studi sono stati effettuati su mais, sorgo, foraggi (ma anche altre

colture hanno dimostrato di possedere un buon potenziale di produzione di biogas) per valutarne le

caratteristiche ai fini del loro utilizzo energetico e la resa in biogas. Anche le tecnologie

impiantistiche sono orientate all’introduzione di tali substrati, sia liquidi che solidi, nel digestore.

L’uso delle colture energetiche come co-substrato, infatti, permette di ottimizzare la produzione di

biogas e il riciclo dei nutrienti. Questo perché possono essere prodotte in azienda ed essere

addizionate come co-substrati agli effluenti zootecnici direttamente o dopo insilamento e il

digestato ottenuto a seguito del trattamento anaerobico può essere utilizzato per fertilizzare le aree

agricole in cui le stesse vengono coltivate.

Scarti organici e acque reflue dell’agro-industria:

ingenti quantità di prodotti agricoli sono lavorati nell’industria alimentare. Durante tali lavorazioni

si producono reflui che spesso possono essere avviati alla digestione anaerobica. Il fango

anaerobico risultante può essere utilizzato come ammendante su terreni agricoli. Tipici sottoprodotti

e scarti agro-industriali sono ad esempio, il siero di latte, contenente proteine e zuccheri

dall’industria casearia, e i reflui liquidi dall’industria che processa succhi di frutta o che distilla

alcool. Di interesse per la digestione anaerobica sono anche diversi scarti organici liquidi e/o

semisolidi dell’industria della carne (macellazione e lavorazione della carne), quali grassi, sangue,

contenuto stomacale, ecc. (vedi Regolamento CE n. 1774/2002 “Norme sanitarie relative ai

sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano”).

Tali residui, ad esempio possono essere addizionati come co-substrati nella digestione di liquami

zootecnici e/o fanghi di depurazione.

Fanghi di depurazione

Sono il residuo del processo di depurazione delle acque reflue urbane e industriali. Sono costituiti

da biomassa batterica e da sostanza inerte, organica ed inorganica. In generale gli obiettivi della

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digestione anaerobica dei fanghi di depurazione sono: la stabilizzazione della sostanza organica, la

distruzione degli eventuali microoganismi patogeni e la facilitazione per lo smaltimento finale.

Frazioni organiche di rifiuti urbani Nei rifiuti urbani domestici la percentuale di frazione organica umida è compresa in genere tra il 25

e il 35% in peso. La presenza di piccole quantità di plastica e vetro è in genere inferiore al 5% sul

totale. Queste frazioni organiche presentano un elevato grado di putrescibilità ed umidità (> 65%)

che le rendono adatte alla digestione anaerobica.

Liquami umani I liquidi e i solidi organici di origine umana vengono suddivisi in acque brune

( 7% sostanza secca) e acque gialle (2% di sostanza secca) che presentano una producibilità in

biogas pari rispettivamente a 65,50 m3biogas/ton e 20 m

3biogas/ton.

Anche le discariche, opportunamente attrezzate, possono produrre biogas , ma solo il 40% circa del

gas generato può essere raccolto, mentre la rimanente parte viene dispersa in atmosfera. Poiché il

metano, di cui è in gran parete costituito il biogas, è un gas serra con effetto circa venti volte

superiore a quello dell’ anidride carbonica, è chiara la necessità di evitarne le emissioni in

atmosfera. Quando, invece la decomposizione dei rifiuti organici è ottenuta mediante digestori

anaerobici chiusi, quasi tutto il gas prodotto viene raccolto ed usato come combustibile. Il processo

di digestione anaerobica consiste nella metabolizzazione delle sostanze organiche per opera di

microrganismi, il cui sviluppo è condizionato dalla presenza di ossigeno. Questi batteri convertono

sostanze complesse in altre più semplici, liberando anidride carbonica e acqua, e producendo un

elevato riscaldamento del substrato, proporzionale alla loro attività metabolica. L’energia prodotta

può essere così trasferita all’ esterno. Il sistema biologico sul quale si intende sviluppare l’

intervento è di tipo anaerobico con digestione termofila. Attraverso la digestione anaerobica a caldo

si ottiene oltre al biogas, l’abbattimento del carico inquinante, dovuto al fatto che una flora

microbica selezionata è in grado di utilizzare le sostanze organiche e inorganiche presenti nei

residui vegetali ed animali per moltiplicarsi e trasformarle quindi in una nuova sostanza vivente.

VANTAGGI E SVANTAGGI DELLA DIGESTIONE ANAEROBICA

Vantaggi:

Produzione di biogas.Il biogas può essere utilizzato come fonte di energia necessaria per il

funzionamento dell’impianto (pompe, miscelatori, sistemi di termostatazione), e per le utenze

esterne. Ciò rappresenta un notevole vantaggio rispetto ai processi aerobici, perché può non

dipendere dalla fornitura di energia di altre reti. L’assenza di sistemi di insufflazione

dell’aria, necessari invece per i processi di depurazione delle acque a fanghi attivi, limita i

problemi tecnici ed elimina la necessità di un apporto energetico ulteriore.

Bassa produzione di fanghi di supero e produzione di un fango stabilizzato usato a fini

agronomici, costi ridotti. In molti casi un processo anaerobico è in grado di operare

efficientemente con elevati valori di carico organico (fino a 30 kg COD·m3/d, contro i 3,2 dei

normali impianti aerobici). La produzione di fanghi è bassa, in quanto il prodotto principale

della rimozione del carico organico è il biogas (mentre negli aerobici il metabolismo è volto

alla produzione di biomassa). Mediamente, ogni kg di COD rimosso in un impianto

anaerobico comporta una produzione di 20–50 g di biomassa; inoltre i fanghi di supero

risultano generalmente stabilizzati: le spese per il loro smaltimento sono dunque contenute.

La frequenza di scarico dei fanghi dal sistema può essere molto più bassa rispetto ai sistemi

convenzionali, e per questo motivo anche in questa fase i costi sono ridotti.

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Dimensione limitata degli impianti. Vi è una notevole flessibilità di scala: il trattamento

anaerobico può applicarsi per impianti grandi (migliaia di m³) e per impianti su scala pilota

(meno di un litro di volume).

La lenta crescita cellulare limita la necessità di aggiungere nutrienti, quali fosforo ed azoto,

al sistema.

Limitata dispersione in aria di contaminanti organici volatili (es: solventi clorurati).

Migliore rimozione di agenti patogeni. L’ uso di un trattamento termofilo rende

superfluo il post-trattamento di disinfezione previsto per gli impianti mesofili.

Svantaggi:

Sensibilità del processo a variazioni di PH, alla presenza di sostanze inibenti o tossiche e a

sbalzi di temperatura. Svantaggio superabile attraverso l’ uso di opportuni sistemi di

coibentazione dei digestori e un monitoraggio in continuo di parametri quali PH, alcalinità,

etc…

Periodi di start-up lunghi, che si riducono però se si interviene con una digestione

termofila.

Costi derivanti dall’ installazione di sistemi di rimozione di composti quali: azoto, fosforo;

nonché di sistemi di filtrazione del biogas per l’ eliminazione degli odori e dell’ idrogeno

solforato che corrode l’acciaio.

Necessità di trattamento delle acque in eccesso.

Nel corso degli ultimi dieci anni la digestione anaerobica si è diffusa in molti paesi europei.

Questi impianti vengono realizzati non solo allo scopo di recuperare energia rinnovabile, ma

anche di controllare le emissioni maleodoranti e di stabilizzare le biomasse prima del loro

utilizzo agronomico. Anche il processo di evoluzione nella politica ambientale, attivatosi a

seguito della Conferenza di Kyoto sulla riduzione dell’ inquinamento atmosferico da gas serra,

può accentuare l’ attenzione sul recupero del biogas. Ne deriva l’ utilità di potenziare e di

razionalizzare i sistemi che sfruttano processi di co-digestione anaerobica di biomasse di varia

natura. Si assiste quindi ad un aumento (o risveglio) dell’ interesse per questa tecnologia, che in

futuro potrebbe e, si auspica, dovrebbe fornire un contributo non trascurabile al raggiungimento

degli obiettivi del Protocollo di Kyoto ed una ulteriore possibilità di gestione sostenibile di

rifiuti e residui derivanti dalle attività umane. E’ forse il caso di ricordare che a partire dal 1973,

in conseguenza della crisi petrolifera, vi era già stato un “boom” di interesse e di applicazioni

per la digestione anaerobica, ma le aspettative allora create si realizzarono solo in minima

parte. Ne è anzi derivato in molti ambiti e per molto tempo, un atteggiamento critico nei

confronti della digestione anaerobica- giudicata troppo complessa da gestire e poco affidabile.

Le cause di quanto avvenuto sono molteplici e non tutte riconducibili ad aspetti tecnici, anche se

è vero che le conoscenze e le esperienze applicative dell’ epoca, unite a modalità realizzative e

qualità dei macchinari modesti, sono state in molte situazioni alla base degli insuccessi ottenuti.

Rispetto ad allora le conoscenze di base ed applicate sul processo di digestione anaerobica sono

aumentate enormemente e conseguentemente le tipologie impiantistiche disponibili ed il grado

di affidabilità di questa tecnologia. Quanto più la funzione della digestione anaerobica evolve da

sistema di trattamento depurativo a sistema per la produzione di energia, tanto più gli obiettivi

degradativi e le necessità di controllo aumentano. La massimizzazione dei benefici ambientali è

infatti strettamente legata all’ ottimizzazione del processo degradativo, ottenendo in questo

modo la massima produzione di metano, i minori quantitativi di prodotto digerito e la maggiore

stabilità del prodotto. Negli ultimi anni le reselettriche dei motori sono sensibilmente cresciute,

fino a valori massimi del 40% e questo rappresenta certamente un miglioramento rilevante

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rispetto al passato per il bilancio energetico e la redditività della digestione anaerobica. Una

quota dell’ energia termica viene utilizzata per compensare i fabbisogni termici del processo e

questo rappresenta comunque un vantaggio della digestione anaerobica rispetto ad altre

tecnologie di conversione energetica. Stante l’ attuale situazione del mercato dell’ energie

rinnovabili, le prospettive economiche della digestione anaerobica di biomasse, sono

sicuramente buone dal momento che gli investimenti nel settore risultano avere una redditività

discreta e di lunga durata, a fronte di un rischio estremamente contenuto. In futuro le prospettive

economiche per il settore non potranno che migliorare, considerando il sempre maggior peso

che assumeranno le fonti energetiche rinnovabili e la raccolta differenziata dei rifiuti.

Impianto anaerobico

II RRIIFFIIUUTTII PPEERRIICCOOLLOOSSII

PILE: le pile alcaline contengono mercurio e cadmio, molto tossici anche in quantità ridotte;

anche pile ricaricabili, a bottone e saline;

BATTERIE D'AUTO ESAUSTE: contengono piombo allo stato metallico e acido solforico

entrambi molto tossici per l’ambiente;

FARMACI SCADUTI O INUTILIZZATI;

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RIFIUTI ETICHETTATI con la sigla T/F: candeggine, lacche, solventi, vernici; per riconoscerli

è sufficiente controllare i simboli messi in evidenza sulle etichette dei contenitori come la fiamma,

il teschio o la X; i contenitori anche se vuoti vanno comunque considerati rifiuti pericolosi;

FITOFARMACI E PESTICIDI: la maggioranza dei prodotti utilizzati per trattare le piante; essi

contengono principi chimici velenosi;

OLI ESAUSTI: oli di lubrificazione di parti meccaniche;

TUBI NEON E LAMPADE A FLUORESCENZA: possono essere conferiti solo al CRM; tubi

neon e lampade a fluorescenza non devono essere rotti: contengono prodotti nocivi per l’uomo e

l’ambiente.

Per la pericolosità e tossicità delle sostanze e dei materiali che li costituiscono questi rifiuti

vannosottoposti a trattamenti preliminari prima di poter essere recuperati o smaltiti in discariche

apposite od ancora bruciati in appositi inceneritori.

RIFIUTI ELETTRONICI, RAEE o e-waste sono rifiuti di tipo particolare: cellulari, computers,

stampanti ecc, che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il

possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata

all'abbandono. I principali problemi derivanti da questo tipo di rifiuti sono la presenza di sostanze

considerate tossiche per l'ambiente e la non biodegradabilità di tali apparecchi. La crescente

diffusione di apparecchi elettronici determina un sempre maggiore rischio di abbandono

nell'ambiente o in discariche e termovalorizzatori con conseguenze di inquinamento del suolo,

dell'aria, dell'acqua con ripercussioni sulla salute umana. Questi prodotti vanno trattati

correttamente e destinati al recupero differenziato dei materiali di cui sono composti, come il rame,

ferro, acciaio, alluminio, vetro, argento, oro, evitando così uno spreco di risorse che possono essere

riutilizzate per costruire nuove apparecchiature oltre a la sostenibilità ambientale. Questo tipo di

rifiuti sono comunemente definiti RAEE' e sono regolamentati dalla omonima "Direttiva " (o

Direttiva WEEE, da Waste of Electric and Electronic Equipment).

I RAEE, acronimo di Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, ovvero Rifiuti di

AEE. Le AEE sono apparecchiature che per un corretto funzionamento dipendono dall'energia

elettrica, sia come utilizzatrici, sia come generatrici, progettate per funzionare a tensioni fino a 1000

V AC o 1500 V CC, e appartengono a una delle seguenti categorie:

1. Grandi elettrodomestici;

2. Piccoli elettrodomestici;

3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni;

4. Apparecchiature di consumo;

5. Apparecchiature di illuminazione;

6. Strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi

dimensioni);

7. Giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero;

8. Dispositivi medici (ad eccezione di tutti i prodotti impiantati ed infetti);

9. Strumenti di monitoraggio e controllo;

10. Distributori automatici.

Il trattamento dei RAEE è svolto in centri adeguatamente attrezzati, autorizzati alla gestione dei

rifiuti ed adeguati al "Decreto RAEE", sfruttando le migliori tecniche disponibili. Le attività di

trattamento prevedono varie fasi, indicativamente:

messa in sicurezza o bonifica, ovvero asportazione dei componenti pericolosi

smontaggio dei sotto-assiemi e separazione preliminare dei materiali

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lavorazione meccanica per il recupero dei materiali.

L'attività di reimpiego delle apparecchiature dopo test di funzionamento è un'opzione prevista della

normativa sui RAEE ma non esiste una normativa sulle apparecchiature reimmesse sul mercato.

LA DISCARICA CONTROLLATA

Il sistema di smaltimento dei rifiuti solidi più diffusamente utilizzato in Europa è quello delle

discariche, nelle quali viene trasportato l’88% dei rifiuti solidi urbani e l’82% di quelli

industriali.

Per discarica controllata si intende lo smaltimento dei rifiuti, in un sito oculatamente selezionato e

preparato, che prevede lo stoccaggio programmato e controllato per strati sovrapposti allo scopo di

facilitare la fermentazione della sostanza organica. Questo è molto diverso dal vecchio concetto di

discarica, con il quale si intendeva una grande buca nel terreno in cui i camion adibiti alla raccolta

dei rifiuti urbani scaricavano l’immondizia così come veniva raccolta dai cassonetti.

Per fortuna oggi si sta cercando di superare tutto ciò e di arrivare ad una discarica che sia una vera e

propria unità di trattamento dei rifiuti. La discarica controllata deve garantire il rispetto delle

esigenze igienico sanitarie della collettività; deve prevedere misure di contenimento del rischio di

inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, e del sottosuolo; deve il più possibile evitare il

degrado dell’ambiente e del paesaggio in cui sorge, rispettando al tempo stesso le esigenze di

pianificazione economica e territoriale dell’area.

Come si realizza una discarica controllata:

Innanzi tutto è fondamentale la scelta del sito su cui andare a realizzare la discarica; in questa fase

preliminare vengono condotti studi sulla geologia (caratteristiche del sottosuolo) e sull’idrogeologia

(andamento delle acque superficiali e sotterranee) della zona, si realizzano indagini di campo

(sondaggi geognostici, piezometri,...) al fine di verificare soprattutto la resistenza del terreno, che

sarà sottoposto ad un elevato carico dovuto al peso dei rifiuti, e la permeabilità del terreno stesso,

che dovrà essere molto bassa in modo che, eventuali perdite accidentali di reflui dal bacino della

discarica, non si infiltrino in profondità causando l’inquinamento della falda sotterranea.

Stabilita l’idoneità del sito ad ospitare la discarica controllata si procede con le operazioni di

scavo della vasca (a volte non è necessario scavare, come nel caso ad esempio di una vecchia

cava dismessa), scavo che normalmente si approfondisce di qualche metro (normalmente non

più di 10-15 m, per discariche più profonde vengono previsti sistemi che ne aumentino la

stabilità).

Sul fondo dello scavo viene realizzato uno strato impermeabile con argilla compatta, di

spessore non inferiore al metro, al di sopra del quale viene posta una membrana impermeabile in

polietilene ad alta densità e quindi uno strato di materiale drenante in cui vengono alloggiate le

tubazioni fessurate per la raccolta del percolato, cioè del liquido prodotto dalla infiltrazione

della pioggia nello strato di rifiuti.

In discarica controllata non dovrebbero essere conferiti i rifiuti indifferenziati, ma solo la

frazione residuale della raccolta differenziata, cioè quei materiali che non possono essere

riciclati né usati per la produzione di compost o della frazione organica stabilizzata (FOS).

I rifiuti vengono scaricati nell’area e stesi in strati di circa 50-70 cm, quindi compattati dal

ripetuto passaggio di un mezzo compattatore in modo da ridurne il volume. La coltivazione

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avviene per sovrapposizione di strati successivi fino al raggiungimento della quota e della

forma prevista.

Per evitare gli odori sgradevoli e la dispersione di materiale volatile, alla fine di ogni turno di

lavoro lo strato di rifiuti viene ricoperto con circa 20 cm di terra o di FOS.

Una volta esaurito il volume utile della discarica, si procede alla copertura definitiva dei rifiuti

attraverso una membrana impermeabile superiore (capping) che và a saldarsi con quella

inferiore. Al di sopra verrà posto uno strato di terreno vegetale per la piantumazione di specie

erbacee ed arbustive tipiche della zona, che forniranno un ambiente favorevole alla fauna,

rendendo la discarica poco riconoscibile.

A questo punto però, dopo 10-15 anni di coltivazione, la discarica non ha esaurito la sua vita,

infatti i processi di degradazione della frazione organica dei rifiuti ad opera dei batteri sono lenti

e si compiono in decine di anni. Tale degradazione avviene soprattutto in condizioni

anaerobiche, cioè in assenza di Ossigeno, e genera come prodotto un gas costituito

essenzialmente da metano ed anidride carbonica, il biogas.

Tale gas, oltre a essere causa di cattivi odori, di enorme inquinamento, può provocare anche

fenomeni esplosivi, esso viene quindi captato dalla discarica attraverso pozzi o trincee scavati

nei rifiuti ed avviato ad impianti appositi che lo usano per la produzione di energia elettrica.

La discarica controllata avrebbe dovuto evitare la dispersione incontrollata dei rifiuti,

concentrandoli e diminuendo le loro potenzialità inquinanti attraverso dispositivi e tecniche di

gestione che avrebbero dovuto mitigare gli aspetti di impatto ambientale. In realtà così non è

stato, avendo sino ad oggi svolto il solo compito di ricevere rifiuti. Per questo sono state

ricercate ed attuate valide alternative .

DESCRIZIONE GENERALE di un IMPIANTO per produzione di energia

elettrica e termica da CDR con PROCESSO di PIROLISI

GENERALITA’

La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili costituisce un’importante alternativa alle

usuali forme di produzione di energia elettrica. Attualmente, a seguito dell’applicazione dei

provvedimenti legislativi sul risparmio energetico e sulla riduzione dell’effetto serra, la produzione

di energia elettrica viene promossa , grazie ad un incentivo tariffario, quale forma di produzione di

energia da fonti rinnovabili.

PROCESSI USUALI DI UTILIZZO DELLE BIOMASSE E DEL CDR

Le due usuali forme di utilizzo delle biomasse per la produzione di energia sono generalmente la

combustione diretta o la gassificazione. Le due forme si distinguono per alcuni parametri e per la

diversa impiantistica richiesta, oltre che per un diverso criterio di protezione ambientale.

La gassificazione è un processo di combustione in difetto di ossigeno ma con presenza di fiamma

“fuoco” all'interno del processo

La pirolisi è un processo che si svolge in totale assenza di ossigeno, che gassifica la materia

organica carboniosa e/o con base idrogena presente nella biomassa e nei materiali organici in

genere, il materiale viene trattato in un apposito reattore in cui possono essere variati agevolmente

tutti i parametri. In altra parte dell’impianto avviene la combustione dei gas prodotti.

Contemporaneamente avviene la formazione di carbone che a sua volta può essere gassificato o

bruciato in altro apparecchio con altro processo conseguente al primo.

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PIROLISI DA CDR

Pirolisi o piroscissione indica un processo di decomposizione chimica generata esclusivamente

dall’intervento dell’energia termica. I processi di pirolisi furono fra le prime reazioni realizzate

dagli alchimisti e dai chimici. L’industria di oggi adotta su vasta scala processi di pirolisi nel settore

chimico e petrolchimico.

La pirolisi è una tecnologia di trattamento delle sostanze a prevalente matrice plastica ed a alto

contenuto calorico e sta ricevendo sempre maggiori attenzioni per le sue caratteristiche che, oltre a

favorire il recupero di materia e di energia, facilitano il controllo del processo.

In assenza di aria, quindi in ambiente riducente, la pirolisi provoca la decomposizione termochimica

della materia. Applicata al trattamento del CDR, la tecnologia della pirolisi offre vantaggi

significativi.

Il processo, per sua natura endotermico, opera la scissione delle molecole complesse che formano le

gomme, le plastiche, i componenti cellulosici e altri componenti chimici complessi, costituenti il

CDR, trasformandole in molecole strutturalmente più semplici.

Le variabili principali che governano la pirolisi, come del resto per gli altri processi chimici, sono la

temperatura, il tempo di residenza e la pressione.

Oggi, fra i nuovi sistemi di smaltimento a tecnologia complessa, la pirolisi si avvia ad essere

l’alternativa agli impianti di incenerimento.

Gli esperti del settore hanno infatti rivolto molte critiche agli inceneritori tradizionali contestando,

oltre alle difficoltà di conduzione e di funzionamento, la possibilità che prodotti altamente

inquinanti possano essere dispersi in atmosfera nonostante la presenza di costosi e monumentali

sistemi di abbattimento e depurazione fumi.

DESCRIZIONE DEL PROCESSO DI GASSIFICAZIONE PIROLITICA

Il processo di gassificazione pirolitica consiste nel privare il materiale di partenza delle sostanze

organiche in esso presenti con ottenimento di carbonio. Tale operazione è condotta in assenza di

aria ad una temperatura oscillante fra i 500 ed i 600 °C con tempi variabili a seconda della

pezzatura dei prodotti di partenza.

La reazione cosiddetta di pirolisi può essere sintetizzata con la seguente semplificazione

CH2 O = C + H2O

La reazione è esotermica in modo netto cioè sviluppa calore di per se stessa.Durante questa fase si

hanno emissioni di acqua e di una serie di prodotti da distillazione che potrebbero essere recuperati

con vantaggio su impianti di discreta potenzialità. Da questi, infatti si ottengono numerosi S.O.V.

(sostanze organiche volatili). Durante il processo, con una temperatura superiore ai 400 °C si ha una

forte produzione di metano, mentre sopra i 700 °C si ha formazione di idrogeno. Poichè si vuole

evitare quanto più possibile la formazione di idrogeno, la temperatura massima di carbonizzazione è

generalmente mantenuta al di sotto dei 600 °C.

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27

IMPIANTO DI CDR MEDIANTE PIROLISI

II processo si compone di una linea di trattamento del materiale ed una di depurazione fumi, avente lo

scopo di realizzare la pirolisi del CDR (Combustibile Derivato da Rifiuto) o di altro rifiuto e/o residuo

avente simili caratteristiche e potere calorifico paragonabile secondo le più moderne tecnologie.

L’impianto può trattare numerosi materiali contenenti carbonio come elencato nella seguente

tabella facente riferimento ai relativi codici CER:

Codice CER Rifiuto / Residuo

02 01 03 scarti vegetali

02 01 04 rifiuti di plastica

03 01 01 scarti di corteccia e sughero

03 01 05 segatura, trucioli, residui di taglio, legno, pannelli di truciolare e piallacci

03 03 01 corteccia

03 03 02 fecce

03 03 07 scarti della separazione meccanica nella produzione di polpa da rifiuti di carta e

cartone

03 03 10 scarti di fibre e fanghi contenenti fibre

04 02 21 rifiuti da fibre tessili grezze

04 02 22 rifiuti da fibre tessili lavorate

05 01 03 morchie da serbatoio

05 01 07 catrami

05 01 08 altri catrami

05 01 10 fanghi da trattamento effluenti

05 06 03 altri asfalti

07 02 99 rifiuti non specificati altrimenti

16 03 06 rifiuti organici

17 02 03 plastica

Codice CER Rifiuto / Residuo 17 03 01 miscele bituminose contenenti catrame di carbone

17 03 02 miscele bituminose 17 03 03 catrame di carbone e prodotti contenenti catrame

18 02 03 rifiuti della ricerca e diagnosi

19 12 04 plastica e gomma

19 12 10 rifiuti combustibili (CDR)

19 12 12 rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti

20 01 01 carta e cartone

20 01 08 rifiuti biodegradabili di cucine e mense

20 01 10 abbigliamento

20 01 11 prodotti tessili

20 01 38 legno

20 01 39 plastica

20 02 01 rifiuti biodegradabilii

20 03 01 rifiuti urbani non differenziatii

20 03 02 rifiuti di mercati

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N.d. farina animale (disidratata)

Visto l'elevato potere calorifico delle farine animali, il processo pirolitico viene considerato uno

dei metodi più innovativi che consente sia il recupero dell’elevato contenuto energetico sia la

soluzione al grave problema del loro smaltimento conseguente al divieto di nutrire gli animali con

prodotti derivati dalle farine stesse.

FASI DEL PROCESSO

L'impianto è costituito dalle seguenti fasi:

Caricamento.

Reattore di pirolisi.

Camera di combustione gas di pirolisi-vetrificazione.

Caldaia a recupero per produzione di vapore.

Unità di trattamento fumi (processo Solvay).

Controlli, impianto elettrico, quadro comandi.

Sistemi e dispositivi di raccolta.

Requisiti per evitare inquinamento da rumore.

Caricamento

E' costituito da un sistema di nastri per il trasporto del materiale fino alla quota dell'imbocco del

reattore di pirolisi. I nastri sono di tipo chiuso onde evitare contatti, dispersioni e dilavamenti con

eventi metereologici avversi, nonché per ridurre la dispersione delle polveri nell’ambiente di lavoro.

Il nastro, le cui dimensioni di massima sono metri 0,80 x 8,00 /10,00, viene comandato da un

inverter per la regolazione della velocità di trasporto.

Il materiale viene scaricato in una tramoggia, parte superiore di un cilindro, ove viene fatto scorrere

un pistone che con il suo moto alternativo assicura la traslazione e anche la compressione del

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materiale al fine di assicurare la tenuta del sistema. Il moto alternativo del pistone ed i tempi di

pausa sono regolati in modo da garantire la portata richiesta.

All'estremità del cilindro di alimentazione è inserita una vite senza fine per la rottura del blocco

compresso del rifiuto.

Reattore di pirolisi

E' costituito da un cilindro in acciaio refrattario in grado di sopportare temperature di 1.100 °C ed

ha dimensioni massime di mm D = 2.500 L = 10.000 con all'interno un sistema di coclee in grado di

attuare un rimescolamento efficace del materiale oltre che la traslazione dello stesso. La

velocità del sistema viene regolata automaticamente tramite un PLC seguendo l’andamento delle

temperature previste in fase di progetto. Il reattore viene percorso due volte dal rifiuto assicurando il

completo sviluppo del processo.La temperatura del processo è di 500 °C circa.L'intero reattore è

coibentato a mezzo di una camicia costituita da materiale refrattario ed isolante di spessore tale da

garantire una temperatura esterna di parete di 60 °C quando all'interno persiste una temperatura di

1.300 °C.Tutte le tenute degli organi rotanti sono realizzate con vapore e la pressione di esercizio

all'interno del reattore viene mantenuta circa 20 mm di colonna d’acqua inferiore a quella

atmosferica.

Camera di combustione – vetrificazione

E' la sede in cui vengono combusti parte dei gas di pirolisi ed ha una cubatura di circa 50 mc ed è

tale di assicurare un tempo di permanenza dei fumi di oltre 3 secondi alla temperatura di

combustione di 1.400 °C E' interamente realizzata in materiale refrattario e rivestita con materiale

isolante in modo che la temperatura esterna di parete non superi i 60 °C.

A questa è associato un forno rotativo, avente una cubatura di 25 mc con le stesse caratteristiche

della camera di combustione, ove viene realizzata la vetrificazione delle scorie che vengono estratte

per caduta e raccolte in una vasca a piscina; da qui estratte mediante nastro e raccolte in una vasca

drenante.

Caldaia a recupero

E' una caldaia a fascio tubiero con pluri-ricircolo dei fumi provenienti dalla combustione dei gas di

pirolisi che sfrutta l'energia termica contenuta dagli stessi per la produzione di vapore surriscaldato.

Trattamento dei fumi

I fumi provenienti dalla combustione, dopo lo sfruttamento del loro contenuto energetico, utilizzato

per il riscaldamento del rifiuto alla temperatura di reazione del processo e per la successiva

produzione di vapore, vengono miscelati in appositi miscelatori alla temperatura di 220 – 250 °C

con bicarbonato di sodio e carbone attivo, la cui portata è regolata tramite PLC in base al pH dei

fumi, e quindi filtrati in filtri a manica autopulenti. Dopo tali operazioni i fumi vengono smaltiti in

atmosfera con valori limite, per ciascun agente inquinante, che rispondono pienamente ai limiti

presentati nella seguente tabella:

Contaminante Valori di emissione

impianto di pirolisi

Limite di emissione fissati

dalle norme

Polvere totale 3 mg/Nmc 10 mg/Nmc

Sostanze organiche in forma di gas e vapori

(COT)

3,5 mg/Nmc 10 mg/Nmc

Cloruro di idrogeno 2 mg/Nmc 10 mg/Nmc

Fluoruro di idrogeno 0,1 mg/Nmc 1 mg/Nmc

Biossido di zolfo 12 mg/Nmc 50 mg/Nmc

Page 30: Rec

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Cd e Tl e loro composti < 0,01 mg/Nmc 0,05 mg/Nmc

Hg e suoi composti < 0,005 mg/Nmc 0,05 mg/Nmc

Sb + As + Pb + Cr + Co + Cu + Mn + Ni + V

+ Sn

< 0,05 mg/Nmc 0,5 mg/Nmc

CO (come valore medio giornaliero) < 4 mg/Nmc 50 mg/Nmc

NOx < 16 mg/Nmc 200 mg/Nmc

Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) (come

valore medio su 8 ore)

< 0,001 mg/Nmc 0,01 mg/Nmc

PCDD + PCDF < 0,01 ng/Nmc 0,1 ng/Nmc

Controlli, impianto elettrico e quadro comandi

Ciascuna fase viene controllata mediante trasduttori con segnale proporzionale e dotati di comandi

di retroazione con transitorio trascurabile in modo da gestire in automatico le varie fasi del processo

mediante un terminale a video.

La fase di caricamento, che è la responsabile della quantità di rifiuto, viene controllata e regolata in

base alla temperatura di processo ed alla qualità dei fumi in uscita.

La velocità di rotazione del reattore di pirolisi, e quindi i tempi di permanenza del materiale, è

regolata dalla temperatura di processo.

L'aria di combustione nelle caldaie viene regolata da un analizzatore in continuo di CO e di

ossigeno, la cui presenza può inibire l'intero processo se l'anomalia perdura per oltre 5 sec, oltre

che dalla temperatura raggiunta in caldaia.

La produzione di vapore viene controllata da pressostati e termocoppie che controllano temperatura

e pressione del vapore agendo sui dispositivi di sicurezza del sistema.

Un analizzatore in continuo dei fumi per il controllo dei microinquinanti regola la quantità di

bicarbonato e carbone attivo ed è in grado di inibire l'intero sistema qualora l'anomalia persista per

un tempo superiore ai 10 sec.

Per ciascuna fase sono previsti apparecchi di misura in modo da controllare in tempo reale le

quantità in gioco.

Dispositivi di sicurezza

In caso di anomalia delle camere di combustione i gas di pirolisi sono convogliati in due torce e

combusti.Tutte le procedure di accensione e di spegnimento vengono realizzate in presenza di

vapore al fine di prevenire indesiderati scoppiettii.

Sistemi e dispositivi di raccolta

I sottoprodotti del processo sono rappresentati dalle scorie della vetrifìcazione, dal particolato

raccolto nel filtro a maniche e dall'eventuale ulteriore polvere raccolta durante la fase di lavaggio e

neutralizzazione.

Il vetrificato, viene scaricato in continuo dal vetrificatore in una vasca metallica contenente acqua in

modo da consentire un rapido raffreddamento ed estratto con un nastro a letto forato onde

consentire il rapido deflusso dell'acqua e successivamente scaricato in apposito container.

Il particolato viene estratto dal filtro a maniche per mezzo di una coclea ed inviato con sistema

pneumatico alla tramoggia di alimentazione del vetrificatore e miscelato con le scorie della pirolisi

destinate a vetrificazione.

Per quanto riguarda infine le polveri raccolte nella vasca polmone di lavaggio e neutralizzazione,

vengono estratte con sistema idropneumatico ed inviate anch'esse in forma umida al vetrificatore.

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L’estrazione verrà fatta settimanalmente ed il trasporto alla tramoggia del vetrificatore verrà

eseguito manualmente.

Requisiti per evitare l’inquinamento da rumore

Le fonti di rumore nell'impianto sono individuabili nelle elettroventole per la fornitura dell'aria di

combustione e di regolazione oltre che nelle elettroventole destinate al trasporto pneumatico.

Per ridurre l'inquinamento da rumore le elettroventole sono fornite di box ad alto coefficiente di

assorbimento acustico.

DESCRIZIONE DEL PROCESSO

Il materiale viene sollevato tramite una coclea in collegamento con la tramoggia di alimentazione di

uno spintore idraulico che ha lo scopo di trasferire il materiale fino alla bocca del reattore e

nello stesso tempo comprimere lo stesso in modo da realizzare un tappo tale da non consentire

transiti di aria dall'esterno e contemporaneamente gas dall'interno del reattore.

L'accesso della bocca del reattore è munito di una vite di Archimede per la rottura di eventuali ponti

e di una rotocella a camere a tenuta.

All'interno del reattore sono disposte tre coclee, di cui due a circa metà del diametro del reattore e la

terza sulla generatrice inferiore dello stesso.

La rotazione delle coclee è tale da far percorrere al materiale l'intera lunghezza del reattore

rispettivamente in un verso e successivamente in quello opposto. La rotazione delle coclee è di

mezzo giro al minuto e può essere regolata tramite inverter.

Il materiale traslato e contemporaneamente rimescolato acquista per irraggiamento l'energia

necessaria per la reazione nella prima fase del tragitto e, nella fase successiva, per l’ulteriore

contatto con la parete del reattore, aumenta la velocità di reazione.

Il processo viene realizzato lungo l'intero percorso con la produzione di gas di pirolisi costituiti

principalmente da idrocarburi ed una fase solida costituita preminentemente da carbone. A causa del

regime di pressioni instaurate nell'intero impianto i gas vengono convogliati, previo decantazione a

mezzo di ciclone, in parte in un bruciatore installato nel combustore, addizionati con la necessaria

aria di combustione e bruciati e in parte in un forno rotativo unitamente alle scorie ad elevate

temperature.

Il combustore è dotato di ulteriori tre bruciatori che, oltre all'avviamento dell’impianto, servono

anche per garantire il rispetto delle temperature di progetto in ogni condizione di funzionamento

dell’impianto. Il potere calorifico dei gas è tale da garantire all'interno una temperatura superiore ai

1.500 °C e solo motivi di instabilità del refrattario che la temperatura all'interno viene limitata a

1.400 °C.

Le scorie solide del processo di pirolisi vengono sospinte dalla terza coclea fino ad un orificio

comunicante, tramite valvola stellare, con una coclea di sollevamento che li trasferisce all'interno di

un forno rotativo, ove per la presenza dell'aria di combustione e dell'elevata temperatura bruciano e

vetrificano la parte incombustibile che viene scaricata in un serbatoio di acqua e da qui estratta da

una coclea.

La vetrificazione delle scorie è tale da consentire un rilascio di metalli in acqua acida inferiore allo

standard europeo e pertanto il prodotto è da considerarsi a tutti gli effetti un materiale inerte.

I fumi, generati dal combustore del gas di pirolisi e dalla camera di vetrificazione delle scorie, si

trasferiscono, per il regime delle pressioni interne esistenti nell’impianto, fornendo l'energia

necessaria per il sostentamento del processo. Poiché l'energia posseduta è di gran lunga superiore a

quella richiesta dal processo, l'esubero viene utilizzato per la produzione di vapore.

All'uscita dall’impianto di produzione vapore, i fumi possiedono ancora una energia sfruttabile per

un preriscaldamento dell'acqua di alimentazione del produttore di vapore.

Una volta svolto il loro compito energetico, i fumi vengono depurati mediante miscelazione, con

bicarbonato di sodio e carbone attivo, e successivo passaggio in filtri a maniche autopulenti

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(processo Solvay). Il particolato risultante dal trattamento degli effluenti gassosi viene anch’esso

inviato al forno rotante ed inertizzato insieme alle altre scorie del processo.

Il processo di pirolisi, quindi, trasforma il rifiuto in due fasi, una solida ed una gassosa, consentendo

una combustione della fase gassosa gestibile più facilmente e con produzione di fumi di gran lunga

inferiori ad altri processi alternativi quali l’inceneritore.

La fase solida utilizzando parte dei gas prodotti viene resa inerte mediante un processo vetrificazione

recuperando nel contempo la maggior parte del potere energetico contenuto nel carbone

componente principale della fase solida.

Il processo è molto flessibile e facilmente controllabile lungo tutte le sue fasi. I rendimenti ottenibili

superano il 70%.

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CONFRONTO CON GLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO

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Il procedimento di pirolisi sviluppato si pone in netta competizione con la tecnologia di

termodistruzione dei rifiuti (incenerimento).

L’incenerimento dei rifiuti avviene in un apposito forno, generalmente del tipo a griglia mobile,

appositamente progettato per bruciare il particolare “combustibile” caratterizzato da basso potere

calorifico e da elevata disomogeneità qualitativa e dimensionale. La combustione diretta dei rifiuti

presenta indubbiamente una serie di vantaggi, tuttavia, nel confronto col procedimento di pirolisi ne

risultano evidenti tutti i limiti:

TECNOLOGIA DI PIROLISI TECNOLOGIA DI INCENERIMENTO

Minimo impatto ambientale ed elevata

affidabilità di esercizio.

Dubbia compatibilità ambientale, in particolare

in relazione alle emissioni di micro-inquinanti, e

minore affidabilità in relazione alle

caratteristiche disomogenee del rifiuto.

L’operazione di depurazione della corrente

gassosa è estremamente semplice in quanto il

flusso di gas di pirolisi, prodotto in ambiente

riducente, e non ancora soggetto a combustione,

è caratterizzato da molecole strutturalmente

semplici ed è assolutamente privo di quei

composti organici clorurati che, ad esempio,

possono fungere da precursori alla formazione di

diossine. La distillazione in assenza di aria

trasforma gli alogeni e lo zolfo, principali

responsabili del macroinquinamento, in composti

acidi idrogenati che vengono facilmente abbattuti

ed allontanati dalla corrente gassosa prima della

sua combustione. Il ciclo termodinamico della

pirolisi evita, in ogni punto dell’impianto, la

presenza contemporanea di quelle condizioni che

portano alla formazione di diossine e furani.

Le complicazioni, sia al livello di progettazione

che di gestione dell’impianto, che sorgono per il

fatto di operare con un flusso di materiale

disomogeneo in condizioni termodinamiche

difficilmente controllabili quali, alte temperature,

ambiente ossidante, presenza di vapor d’acqua,

rendono arduo controllare la formazione di

composti organici alogenati e fanno sorgere

dubbi circa l’affidabilità del sistema nei confronti

dei microinquinanti organico-clorurati.

In tali condizioni risulta difficile contrastare i

fenomeni di formazione di diossine e furani,

composti che poi risulta anche dispendioso

rimuovere dai fumi a causa dell’elevato volume

dei gas prodotti dalla combustione.

La possibilità di trattare la corrente gassosa

prima della sua combustione, in quantità

relativamente limitata poiché non ancora diluita

dall’aria comburente rende notevolmente più

semplice ed economico la rimozione di composti

indesiderati. La pirolisi dei rifiuti produce un

quantitativo di gas circa 10 volte inferiore a

quello prodotto con le usuali tecnologie di

combustione diretta.

Trattamento effluenti gassosi a valle della

combustione e quindi su un flusso

quantitativamente importante rende molto

costoso il processo di depurazione dei fumi. Per

ottenere una combustione il più possibile

completa dei rifiuti, si opera infatti con un

eccesso d’aria pari a 1,5 – 2,5 volte la quantità

strettamente necessaria.

Page 35: Rec

35

Il processo di pirolisi, per sua natura

endotermico, viene condotto in condizioni

riducenti a temperature relativamente basse,

prossime ai 500 °C. Questo facilita il controllo

della temperatura e di tutto il processo, riduce

drasticamente il quantitativo di effluenti gassosi

prodotti ed evita la formazione di prodotti tossici

indesiderati.

I processi d’incenerimento sono processi

esotermici ossidativi, caratterizzati da

temperature superiori a 1.000 °C. La regolazione

della temperatura del processo di combustione è

di difficile gestione in quanto influenzato

principalmente dalla variazione della portata dei

rifiuti in alimentazione (elevata inerzia del

sistema).

Nessuna produzione di reflui liquidi che

necessitano poi di una propria sezione di

depurazione e trattamento acque con gli ovvi

benefici economici-ambientali del caso.

Necessità di un’importante sezione per il

trattamento dei reflui liquidi, con tutte le

problematiche economiche ed ambientali

connesse.

La bassa temperatura a cui si svolge il processo

di pirolisi e la pratica assenza di elevate

turbolenze all’interno del reattore riduce

notevolmente il trascinamento di polveri e

particolato nel gas di pirolisi.

A causa del movimento dei rifiuti sulla griglia e

delle notevoli portate d’aria necessarie alla

combustione, si ha una notevole presenza di

polveri e particolato nei fumi con i conseguenti

costi di rimozione prima dell’emissione in

atmosfera.

Poiché il processo di pirolisi ha, come prodotto

principale, un combustibile in forma gassosa

costituito dal gas di pirolisi, risulta poi agevole la

gestione del successivo processo di combustione

e con recupero energetico.

La combustione diretta di un prodotto eterogeneo

come il rifiuto, con formazione di svariati

prodotti caratterizzati da molecole complesse e

presenza di incombusti rende difficoltoso una

perfetta gestione del processo di combustione.

La tecnologia della pirolisi costituisce un sistema

di smaltimento pressochè universale, potendo

essere applicato ad un ampia gamma di rifiuti.

I forni di incenerimento a griglia possono

risultare sensibili alle variazioni di potere

calorifico del materiale, in particolare rifiuti

caratterizzati da un alto potere calorifico

(pneumatici usati) possono danneggiare le

griglie.

Come residuo solido, il processo di pirolisi,

produce unicamente scorie vetrificate che

risultano totalmente inerti per quanto riguarda il

rilascio di elementi tossici nell’ambiente. Anche

le polveri risultanti dal processo di depurazione

dei fumi di combustione prima del loro rilascio

in atmosfera vengono ricondotti dentro

l’impianto e vetrificate.

Gli impianti di incenerimento producono un

elevato quantitativo di scorie, fino al 30% del

rifiuto immesso, di cui risulta poi problematico

lo smaltimento.

Page 36: Rec

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I grossi difetti dell’incenerimento, che possono essere riassunti in:

Incompleta combustione dei residui solidi

Grossa produzione di scorie solide tossiche

Grossi volumi di fumi da trattare

Emissioni pericolose in atmosfera

Perdita di valore delle componenti inorganiche del rifiuto

In sintesi il pirolitico è’ un processo applicabile a diverse tipologie di rifiuto, in grado di evitare i

danni ambientali e contenere i costi di smaltimento ed il valore dell’investimento.

CONFRONTO CON GLI IMPIANTI DI GASSIFICAZIONE

Il riscaldamento di materiale organico in assenza d’aria porta invariabilmente alla sua degradazione,

con produzione di vapori e gas ed eventualmente con la formazione di una massa solida residuale a

base di carbonio.

Poiché in tale processo il potere calorifico del materiale originario non viene praticamente sfruttato,

esso si ritrova ridistribuito nei gas e nei solidi prodotti.

Se tale trattamento viene effettuato senza apporto di reagenti, il processo prende il nome di pirolisi;

altrimenti di massificazione se si inietta vapor d’acqua, con ciò innescando una complessa sequenza

di reazioni chimiche che aumentano lo sviluppo di gas: si tratta di un processo che ha

intrinsecamente più alte necessità di assorbimento energetico e di conseguenza esso viene effettuato

simultaneamente ad un processo di combustione parziale del materiale per compensare il deficit

energetico che la gassificazione introduce.

Proprio questa necessità costituisce l’elemento di debolezza nell’applicazione della gassificazione,

in quanto o riduce alla fine tale processo ad un normale processo di incenerimento, con tutte le

pesanti conseguenze sul successivo intervento di trattamento dei fumi di combustione (e poco

importa che essa sia effettuata in un certo numero di stadi successivi), oppure impone di effettuare

un trattamento intermedio dei gas prodotti, previo un loro brusco raffreddamento fino a temperature

prossime a quelle ambiente, con un notevole spreco di energia.

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37

Capitolo 2

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INTRODUZIONE

Per risparmio energetico, in senso stretto, si intende il risparmio di fonti energetiche altrimenti

utilizzabili, quindi, in concreto, si intende il risparmio di petrolio, metano, combustibili solidi e

materiali fissili. Questo perché in massima parte le fonti energetiche rinnovabili non si possono

risparmiare, ad es. non si può risparmiare l' energia solare incidente al suolo o il vento che

soffia, come si suol dire: acqua passata non macina più……

Le stesse fonti rinnovabili spesso possono essere un mezzo di risparmio energetico: il loro utilizzo

può ridurre il consumo di fonti energetiche altrimenti utilizzabili. Quindi il risparmio energetico è

una forma di energia rinnovabile, e viceversa.

Il risparmio energetico è un fine , mentre l' utilizzo razionale dell' energia (e quindi

l'applicazione delle tecnologie efficienti) è il mezzo o il metodo: è ciò che permette, nella pratica,

di ridurre il consumo di risorse energetiche altrimenti utilizzabili.

Esempio di utilizzo razionale dell'energia: investendo energia per coibentare meglio la casa si

ottiene un minor consumo di combustibili, (risparmio energetico passivo).

Altro esempio: investendo energia per produrre e installare sistemi di riscaldamento e/o per

generazione di energia elettrica tramite sistemi FER ( risparmio energetico attivo) si avrà ancora

una riduzione del consumo di combustibili.

Ciò che determina la scelta di metodi per il risparmio energetico attivo o passivo dovrebbe

essere l'EROEI ( acronimo inglese per ritorno energetico sull'investimento energetico) e il ROI

(ritorno economico dell'investimento). L’obiettivo è la riduzione dei consumi energetici

mantenendo stessi comfort e servizi, spesso con risparmio anche economico.

Per favorire il risparmio energetico ottenibile tramite l'utilizzo razionale dell'energia e delle

tecnologie efficienti possono essere stabiliti, a norma di legge, degli standard minimi di

efficienza energetica, con incentivi per chi adotta misure più efficienti della norma, incentivi non

necessariamente economici. Anche il risparmio di materie prime contribuisce al fine del risparmio

energetico, in quanto per ottenerle serve comunque l'impiego di energia, quindi il ricliclaggio dei

rifiuti, la riduzione degli stessi e il riutilizzo di prodotti concorrono all'obiettivo del risparmio

energetico, la Comunità Europea sta discutendo standard industriali-produttivi per

ottimizzare l'impatto economico ed ambientale nel ciclo di vita dei prodotti (LCA)

Nella accezione più comune, invece, per risparmio energetico si intende il minor utilizzo

dell'energia a nostra disposizione nelle azioni di tutti i giorni. Si compie attraverso

comportamenti virtuosi ed intelligenti, ad es. spegnendo le luci quando non servono, utilizzando

veicoli di bassa cilindrata o andando in bicicletta laddove possibile o a piedi, in questo senso non c'è

limite al risparmio energetico ma è una forma che riguarda più la sensibilità, l'etica e l'intelligenza

individuale. In questo comportamento virtuoso ci può essere rinuncia a comfort e/o servizi, ma non

necessariamente: comportamenti intelligenti permettono un considerevole risparmio energetico

senza particolari rinunce, è necessario conoscere la materia e saper dosare sobrietà, intelligenza ed

equilibrio. In sintesi il risparmio energetico ottenibile dai comportamenti quotidiani si può definire

come risparmio energetico intelligente, in quanto scaturisce da conoscenza e cultura individuale.

Per favorire il "risparmio energetico intelligente" servono azioni di informazione e

sensibilizzazione, quindi serve una promozione culturale poiché i comportamenti quotidiani non

possono essere imposti per legge, né sperare troppo che possano essere adottati spontaneamente su

larga scala e nel breve periodo, anche se ciò è auspicabile e sicuramente sempre più vantaggioso

sotto l'aspetto sia economico che ambientale.

Page 39: Rec

39

L’EFFICIENZA ENERGETICA

Il Novecento è stato un secolo caratterizzato da una crescita senza precedenti della popolazione

umana, consentita dallo sviluppo industriale ed agricolo e dal ruolo che in esso hanno avuto i

combustibili fossili. Tale crescita è stata inevitabilmente accompagnata da emissioni di effluenti di

vario genere, interagenti con l'ecosistema terrestre, e dalla nascita di iniziative volte a contenere gli

effetti negativi sull'ambiente.

Fondamentalmente è possibile intervenire a tre livelli per razionalizzare ed ottimizzare la filiera

energetica e ridurne conseguentemente l'impatto ambientale:

all'atto del prelievo (pozzi petroliferi, miniere, dighe, aeromotori, etc);

in fase di conversione in vettore energetico (le fonti primarie, come i combustibili e l'energia

solare, vanno trasformate in elettricità o in combustibili raffinati - come l'idrogeno - per

consentirne il trasporto all'utenza e l'utilizzo);

al momento dell'utilizzazione (mezzi di trasporto, elettrodomestici, riscaldamento, processi

industriali, etc).

Le prime due possibilità trovano spesso spazio nelle cronache in quanto riguardano interventi

importanti, con ricadute evidenti sul territorio, sia positive che negative, nonché problematiche

autorizzative talvolta insormontabili e ingenti movimentazioni di capitale (si pensi ad una diga, un

metanodotto o una centrale termoelettrica). Anche i quantitativi energetici connessi sono rilevanti.

Una moderna centrale elettrica a ciclo combinato da 300 MW presenta consumi annui

di gas naturale nell'ordine dei 400-500 milioni di m3, un volume corrispondente a

quello di un grattacielo con una base di 200 m per 200 m ed un'altezza di 1 km. Per tale motivo

interventi di miglioramento dell'efficienza nell'ambito di queste due fasi implicano riduzioni

consistenti degli sprechi energetici.

Da un punto di vista dell'inquinamento atmosferico occorre distinguere fra sostanze responsabili

dell'effetto serra (come il biossido di carbonio, il vapore acqueo o il metano incombusto), che

possono interagire con il clima globale variandone la temperatura ed alterandone i flussi

atmosferici, ed inquinanti veri e propri (come il monossido di carbonio, l'ozono troposferico, il

particolato) che producono effetti dannosi direttamente sull'uomo ed operanti a livello locale.

Alcuni prodotti della combustione rientrano nella prima categoria, altri nella seconda, altri ancora in

entrambe. Per determinate emissioni è possibile ricorrere a sistemi di filtraggio ed abbattimento,

utili per prevenire l'immissione nell'ambiente di alcune sostanze, come l'acido solforico o i composti

organici volatili, mediante la loro trasformazione in composti stabili e non dannosi per l'ambiente.

Gas come il biossido di carbonio sono però inevitabili, essendo il prodotto base della combustione

della molecola del carbonio, presente in tutti i combustibili fossili in quantità decrescente passando

dal carbone al gas naturale. L'unica possibilità attualmente allo studio consiste nel ricorso a tecniche

di confinamento nel sottosuolo. Per ridurre l'impatto degli inquinanti è pertanto opportuno seguire

queste due strade: ricorrere alle fonti rinnovabili di energia, ottimizzare i consumi di energia presso

l'utenza, intervenendo all'atto dell'utilizzazione.

Le possibilità di azione sono innumerevoli e riguardano tutti i settori, dalla grande industria alle

residenze, e tutti i dispositivi e le macchine, dal motore delle auto agli impianti di climatizzazione,

dal processo industriale alla lampadina fluorescente compatta. Mediante il ricorso a strategie di

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demand side management (DSM: si tratta di attivare iniziative per la gestione della domanda di

energia, a livello degli usi finali) si evita la necessità di costruire nuove centrali e reti di

trasmissione, si riduce la richiesta di energia, e quindi la spesa per i consumatori, si contiene la

dipendenza dall'estero per l'approvigionamento delle fonti fossili, e si dà sviluppo all'industria del

settore ed al suo indotto , caratterizzata ancora da una buona presenza dell'industria nazionale.

Perché è importantissimo fare risparmio energetico:

La riduzione dei consumi energetici nel settore industriale, nei trasporti e nelle nostre case

rappresenta uno dei passi fondamentali nella lotta all’inquinamento. Nel dicembre del 1997 a

KIOTO (Giappone) si è svolto un vertice mondiale sul cambiamento climatico, a cui hanno

partecipato oltre 160 nazioni; è stato firmato un documento d’intesa che richiede una riduzione

entro il 2008-2012 del 5% dei gas serra sotto i livelli del 1990 di tutti i paesi industrializzati. Tra i

Paesi industrializzati, responsabili di gran parte delle emissioni che minacciano il clima ed ai quali

tocca perciò lo sforzo maggiore per una loro riduzione, solo l'Unione europea ha in parte tenuto

fede ai suoi impegni; quanto all'Italia, malgrado alcuni positivi passi in avanti - siamo stati uno dei

primi Paesi ad adottare una "energy-carbon tax", imposta che grava sugli usi energetici a maggiore

impatto climalterante -, l'obiettivo di ridurre del 6,5% le emissioni di CO2 entro il 2010 resta

lontanissimo.

LL’’EEFFFFEETTTTOO SSEERRRRAA

Le radiazioni provenienti dal Sole attraversano l’atmosfera vengono assorbite dalla Terra, che ne

riflette, tuttavia, gran parte sotto forma di raggi infrarossi. Intrappolati da alcuni gas presenti

nell’atmosfera (anidride carbonica, metano, ossidi di azoto, idrocarburi alogenati e ozono), questi

raggi infrarossi non riescono ad uscire dall’atmosfera terrestre, provocando un innalzamento della

temperatura.

Negli ultimi anni questo fenomeno naturale è andato progressivamente intensificandosi a causa

dell’inquinamento atmosferico, determinando un aumento della temperatura media del pianeta.

Il contributo più consistente all'effetto serra artificiale viene dalla liberazione di gas per la

combustione dei fossili (carbone, petrolio,...) e dall’abbattimento delle foreste, fondamentali per la

loro funzione di assorbire anidride carbonica; il principale colpevole è quindi l’anidride carbonica

a cui si uniscono altri gas quali il metano , i clorofluorocarburi (CFC) responsabili anche della

distruzione della fascia di ozono, l'ossido di azoto dovuto alla concimazione artificiale oltre alla

combustione dei combustibili fossili.

Alcuni di questi gas hanno una vita media molto lunga. L'anidride carbonica per esempio rimane

100 anni nell'atmosfera senza distruggersi. Gli effetti sono di conseguenza dilazionati nel tempo e

rendono la situazione ancora più grave. L'impiego dei combustibili fossili contribuisce per circa

l'80% all'aumento del livello di anidride carbonica nell'atmosfera, mentre il 20% è legato alla

deforestazione con i continui disboscamenti ad opera dell'uomo.

Se non facciamo nulla per invertire la rotta e ridurre le emissioni di gas nocivi in atmosfera tutta

l’umanità sarà presto in grave pericolo e gli scenari apocalittici di tanti film di fantascienza

potrebbero trasformarsi nella terribile realtà. Intere regioni sarebbero sommerse dagli oceani o

Per consumare meno energia, risparmiando sulla bolletta;

Per contribuire a ridurre sensibilmente i consumi di combustibile da fonti esauribili;

Per proteggere l’ambiente e contribuire alla riduzione dell’inquinamento.

Atmosfera

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41

diventerebbero immensi deserti, molte popolazioni sarebbero costrette a spostarsi per trovare

condizioni di vita sopportabili, si creerebbero così tensioni e guerre tra i popoli: alla catastrofe

ecologica si assocerebbe una catastrofe sociale.

L’enorme quantità di anidride carbonica prodotta proviene dal petrolio (83%), dal carbone (8%) e

dal gas naturale (9% circa). In Europa, i combustibili fossili coprono più dell'80 % del fabbisogno

di energia.

II CCAAMMBBIIAAMMEENNTTII CCLLIIMMAATTIICCII

Il 1998 è stato l'anno più caldo dal 1860 con un aumento della temperatura media di 0,6 °C negli

ultimi cento anni. Ormai non c'è più alcun dubbio sulla correlazione tra questo aumento della

temperatura e le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera, aumentate del 30% dall'inizio

della rivoluzione industriale. Secondo gli ultimi studi le emissioni di gas serra prodotti da attività

umane stanno crescendo ad un ritmo annuo compreso tra lo 0,5% e l'1%, pari a circa 23 miliardi di

tonnellate annue di anidride carbonica, e le attività umane sono le maggiori responsabili

dell'aumento della temperatura degli ultimi cinquanta anni. Con questo andamento la temperatura

media aumenterà entro il 2100 tra 1,4 e 5,8 gradi rispetto ai livelli attuali.

Lo scioglimento dei ghiacciai è la prima conseguenza dell'aumento della temperatura media del

Pianeta, che determinerà l'aumento del livello dei mari, con effetti a catena: il livello dei mari

aumenterà di 5 millimetri all'anno, determinando l'aumento di fenomeni di piene fluviali, di

precipitazioni e alluvioni, riduzione della disponibilità di acqua dolce, erosione costiera accelerata,

montagne senza neve, con un possibile incremento di epidemie ai Tropici. Parte di questi effetti

sono già visibili. L'altezza delle onde marine dell'Oceano Atlantico sulle coste è aumentata di circa

un metro negli ultimi trenta anni e il numero dei giorni di mare in tempesta tra gli anni '70 e '80 è

raddoppiato fino ad arrivare a 14 al mese. I ghiacci del mare artico si sono ridotti tra il 10 e il 15%,

mentre quelli dell'Antartico si sono ritirati verso il sud di 2,8 gradi di latitudine a partire dalla metà

degli anni '50.

Il futuro imminente quindi vedrà aumentare il rischio alluvioni in alcune aree mentre diminuiranno

le piogge in altre destinate a diventare semi-desertiche.

Anche per il nostro Paese si osservano già attualmente i primi effetti dell'aumento della

temperature, che per l'Italia è di 0,7°C negli ultimi 100 anni. Così anche i ghiacciai delle Alpi

nell'ultimo secolo la loro estensione in Italia è diminuita di quasi la metà: dai circa 1.000 chilometri

quadrati della fine del secolo ai 500 di oggi. Una delle dimostrazioni più evidenti è il caso di Forni

in Valtellina, il più grande ghiacciaio italiano, il cui fronte è arretrato di 2 Km, perdendo il 15%

della sua superficie, negli ultimi cento anni. Le possibili conseguenze non riguardano solo la perdita

di paesaggio, ma anche aumento di rischio frane, slavine e dissesti geologici, nonché una notevole

diminuzione della disponibilità della risorsa idrica.

Negli ultimi 50 anni la quantità di pioggia annua media è diminuita del 10%, ma tende a

concentrarsi in un minor numero di giorni, con eventi più intensi di carattere alluvionale; e

parimenti sono diminuite anche le precipitazioni nevose a tutte le quote. Per i grandi centri urbani

gli aumenti della temperatura media annua sono stati più marcati, 1-2°C, con un raddoppio di eventi

di onde di calore, temuti fenomeni meteorologici estivi che fanno registrare innalzamenti bruschi

della temperatura anche di 7/15°C, con pesanti effetti sulla salute della popolazione più debole.

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Quale sarà il clima dell’Italia tra 50 anni?

Secondo uno studio dell'Enea e dell'Ipcc nel 2050 la temperatura media sarà più elevata di circa

3°C, con un aumento più accentuato al Nord, con un incremento della piovosità invernale del 10%

nelle regioni settentrionali e un calo del 30% di quella estiva nel Sud. I ghiacciai si ridurranno

ulteriormente del 20-30%. Il livello del Mediterranneo aumenterà di 20 centimetri: questo

provocherà a Venezia fenomeni di acqua alta superiori al metro tra gli 80 e i 115 giorni all'anno

(oggi sono appena 7). A queste condizioni i centri abitati di Venezia, Chioggia e delle isole minori

rischiano un lento ed inesorabile allagamento. Ma a rischio non è solo Venezia: attorno al 2050

saranno a rischio inondandazione 4.500 chilometri quadrati di aree costiere. Le conseguenze

saranno pesanti, con danni che rischiano di essere di migliaia di miliardi.

E’ ormai urgentissimo che tutti i Paesi diano inizio a politiche di risparmio energetico e di

promozione delle energie rinnovabili.

Le possibilità di risparmiare energia, anche in casa, sono davvero tante e alla portata di tutti, è

sufficiente imparare a fare un po’ di attenzione: ridurre i consumi irrazionali fin da oggi significa

pensare al futuro!

RISPARMIO ENERGETICO IN CASA

lo realizziamo attraverso:

1. interventi sulla nostra casa

2. il riscaldamento

3. l’illuminazione

4. gli elettrodomestici

Le nostre case sprecano quotidianamente molta energia e le nostre bollette continuano ad

aumentare: impariamo il risparmio energetico!

1. Per risparmiare tanto combustibile ogni anno dobbiamo intervenire sulla nostra CASA:

ridurre le dispersioni di calore dalle pareti e dal tetto attraverso opportuni sistemi di

isolamento ;

limitare le fughe di aria calda dalle finestre con doppi vetri, guarnizioni,..;

abbassare la temperatura degli ambienti non utilizzati (garage, cantine, solai);

sfruttare al meglio l’energia del combustibile regolando bene l’impianto di riscaldamento.

Tutto ciò significa spendere denaro, ma questo è solo un investimento per un risparmio sulla nostra

bolletta e per aiutare l’ambiente!

2. Il RISCALDAMENTO è, dopo il traffico, la maggiore causa dell’inquinamento delle nostre

città! Impariamo qualche semplice accorgimento per risparmiare energia:

manteniamo la caldaia sempre pulita per farla funzionare al meglio;

controlliamo la qualità e la temperatura con cui fuoriescono i fumi dal cammino: sapremo

“come sta” la nostra caldaia e se ha bisogno di manutenzione;

non mettiamo copritermosifoni o tende pesanti davanti ai radiatori: ostacoleremmo la

circolazione dell’aria calda da essi prodotta;

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installiamo su ogni radiatore valvole termostatiche che regolano automaticamente l’afflusso

di acqua calda in base alla temperatura dell’ambiente da riscaldare;

periodicamente facciamo uscire l’aria dai radiatori, essa ne impedisce il corretto e omogeneo

riscaldamento;

avvolgiamo con materiale isolante le tubature non inserite nei muri, soprattutto se passano in

locali come cantine o garage.

Due fra gli interrogativi più ricorrenti della civiltà odierna trovano risposte esaurienti nell'

ENERGIA GEOTERMICA, a cui provvede semplicemente una legge della Natura.

Il terreno infatti contiene una inesauribile sorgente di calore: la temperatura, man mano che si scende sotto terra, aumenta grazie all'energia geotermica che dal nucleo terrestre si dirige verso la

superficie; il terreno inoltre assorbe quasi la metà dell'energia che riceve dal Sole.

Si tratta di una fonte di energia INESAURIBILE, costantemente disponibile e soprattutto

RINNOVABILE

Generalmente siamo abituati a pensare alla GEOTERMIA in termini di vapore da utilizzare in

centrali termoelettriche, come per esempio a Larderello, oppure come acque termali

per usi diretti volti alla climatizzazione; tuttavia è evidente che può essere considerata una risorsa

del genere anche il "terreno" di casa nostra.

A pochi metri di profondità dalla superficie terrestre il terreno mantiene una temperatura quasi

costante per tutto l'anno, e questo ci permette di ESTRARRE CALORE d'inverno per riscaldare un

ambiente, e di CEDERE CALORE durante l'estate per rinfrescare lo stesso ambiente.

Tale scambio di calore viene realizzato con POMPE di CALORE ABBINATE A SONDE

GEOTERMICHE che sfruttando questo principio permettono di riscaldare e rinfrescare le nostre

case con un unico impianto assicurando un alto grado di rendimento nell'intera stagione, e con un

fabbisogno di energia elettrica contenuto rispetto alle prestazioni. Non è neppure necessario alcun

apporto termico esterno (per esempio una caldaia a metano) per coprire le punte invernali.

Le pompe di calore per riscaldare le case esistono sul mercato dagli anni 50, proprio come

televisori, lavatrici e altri apparecchi domestici a noi famigliari, si tratta dunque di una TECNICA

AFFIDABILE ed AMPIAMENTE COLLAUDATA.

3. All’ILLUMINAZIONE sono dovute circa l’8-10% delle spese totali di energia elettrica di una

famiglia tipo di 4 persone. La soluzione non è certo tornare all’uso delle candele, ma semplicemente

scegliere tra i tanti diversi tipi di lampada ed imparare ad usarle bene:

dobbiamo scegliere il tipo di illuminazione più adatto in base all’ambiente da illuminare

(grandezza, presenza di finestre, colore di pareti e mobilio,...), alle attività che vi si svolgono

(studio, relax, sport,..), alla durata media dell’illuminazione (illuminazioni lunghe e

continuate, brevi e frequenti,...);

disporre le lampade in modo da ottimizzarne l’impiego senza che si creino zone d’ombra;

sostituire le lampade secondo la vita media indicata dal costruttore: lampade vecchie fanno

molta meno luce pur consumando la stessa energia;

le lampade più moderne (a scarica di gas) costano di più delle classiche lampade ad

incandescenza, ma durano molto di più e consumano molta meno energia;

preferiamo tinteggiature chiare per le pareti per aumentare la luminosità degli ambienti;

ad un unico lampadario centrale preferiamo più sorgenti luminose: accenderemo di volta in

volta solo le luci necessarie evitando inutili sprechi.

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Particolarmente interessante appare l’ illuminazione a led : la sostenibilità è una questione di

estrema importanza. Poiché un incasso downlighter a LED da 3 W equivale a un'alternativa alogena

da 20 W, si capisce come l''illuminazione allo stato solido convenga dal punto di vista ambientale.

Non solo crea un ambiente accattivante, ma contribuisce direttamente al programma di sostenibilità.

In più, gli impianti a LED non sono facilmente rimovibili, una vera grazia per i gestori di alberghi

ben consapevoli di come tutto ciò che è rimovibile possa essere rubato!

I LED sono già stati utilizzati nelle stanze degli ospiti, nei corridoi, nelle reception e nelle aree di

svago. Attualmente, l'illuminazione allo stato solido è più frequente negli ambienti che necessitano

di colore. Ma gli sviluppi della tecnologia a LED stanno continuamente migliorando l'efficienza

della luce bianca calda; nel giro di pochi anni, l'illuminazione allo stato solido rappresenterà

un'alternativa vantaggiosa alle lampade a fluorescenza e alogene nell'illuminazione generale.

4. Ormai gli ELETTRODOMESTICI sono diventati aiuti indispensabili nelle nostre case, non

potremmo più farne a meno, ma quanto ci costano in termini di energia e di impatto sull’ambiente?

Ecco qualche suggerimento per usarli nel modo più corretto :

- LAVATRICE: 80 famiglie italiane su 100 possiedono una lavatrice, ma lavare la nostra

biancheria non è tra le attività più economiche: il costo elevato è dovuto soprattutto al

riscaldamento dell’acqua di lavaggio (e solo in minima parte al motore) e all’uso eccessivo di

detersivo. Ecco qualche consiglio per un utilizzo adeguato di questo elettrodomestico:

collegare la lavatrice ad uno scaldabagno in modo da alimentarla direttamente con acqua

calda, ciò ridurrà i consumi di energia ed i tempi di lavaggio;

utilizzare la lavatrice solo a pieno carico oppure scegliere i lavaggi a “mezzo carico” anche

se mezzo carico non equivale alla metà di energia consumata;

scegliere la quantità di detersivo in base alla durezza dell’acqua (la durezza è la quantità di

alcuni sali disciolti in acqua) senza mai esagerare;

selezionare il programma in base ai tessuti da lavare evitando i cicli troppo lunghi e/o a

temperature troppo elevate (non sopra i 60°C);

evitare l’uso del prelavaggio, che raddoppia il consumo di acqua e aumenta di molto anche

quello di energia;

non utilizzare la lavatrice nelle ore di punta (9-12 e 14-16) e/o contemporaneamente alla

lavastoviglie;

pulire frequentemente il filtro, tenere sempre pulito il cassetto del detersivo ed utilizzare

prodotti contro il calcare;

per l’asciugatura usiamo il sole e non asciugatrici che consumano tantissima energia;

scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che

ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.

- LAVASTOVIGLIE : per questo elettrodomestico valgono molte delle considerazioni fatte per la

lavatrice, vediamole nel dettaglio:

disporre le stoviglie già ripulite dai residui più grossolani;

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non usare l’asciugatura con aria calda che consuma moltissima energia e aumenta i tempi di

lavaggio;

pulire frequentemente il filtro e tenere sempre pulito il cassetto del detersivo;

non utilizzare la lavastoviglie nelle ore di punta (9-12 e 14-16) e/o contemporaneamente alla

lavatrice;

utilizzare la lavastoviglie solo a pieno carico oppure scegliere i lavaggi a “mezzo carico”;

selezionare il programma in base alle stoviglie da lavare evitando i cicli troppo lunghi e/o a

temperature troppo elevate (non sopra i 60 °C);

scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che

ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.

- FRIGORIFERO e CONGELATORE. Si tratta di un altro di quegli elettrodomestici

indispensabili nelle nostre cucine, che come gli altri è importante saper usare bene, vediamo

qualche suggerimento:

posizionare il frigorifero nel punto più fresco della cucina e il congelatore, quando possibile,

in garage o in cantina;

lasciare almeno 10 cm dal retro dell’elettrodomestico al muro per consentire una buona

circolazione d’aria;

regolare il termostato a seconda della stagione e comunque su temperature medie, mai

troppo basse;

non riempire troppo il frigorifero, è necessaria una circolazione interna d’aria;

disporre correttamente i cibi: verdure e frutta nella zona più bassa, mentre carne e pesce in

quella più in alto che è la più fredda;

non introdurre cibi caldi nel frigorifero, favoriscono la formazione del ghiaccio,

sbrinare periodicamente l’elettrodomestico: il ghiaccio impedisce un corretto ed omogeneo

raffreddamento;

scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che

ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.

- FORNO. Risparmiare cucinando non significa dover mangiare cibi mezzi crudi, ma utilizzare la

cucina in modo intelligente, vediamo come:

scegliere il tipo di cottura più adatta ed energeticamente conveniente per i diversi cibi:

microonde, stufe a gas, forni ventilati hanno caratteristiche diverse;

evitare di aprire il forno, soprattutto durante il preriscaldamento, che andrebbe comunque

evitato;

non tenere acceso il forno fino a cottura ultimata, spegnendolo un po’ prima si ottiene lo

stesso risultato perché mantiene all’interno una temperatura elevata;

pulire accuratamente il forno ed i bruciatori (nel caso di cucina a gas) dopo l’utilizzo per

garantirne la perfetta efficienza nelle successive cotture;

in caso di cotture lunghe (arrosti, minestroni,...) preferire la pentola a pressione in modo da

risparmiare tempo ed energia;

scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’”etichetta energetica” che

ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.

- FORNO SOLARE . Delle prove fatte a Seattle e in Arizona hanno dimostrato che i forni solari a

scatola possono essere costruiti più facilmente anche dei metodi più semplici usati

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finora. Questi esperimenti hanno aperto la strada ad un metodo di costruzione che permette di fare

un forno in poche ore e con una spesa veramente modesta.

Questo forno è stato chiamato "Minimum", perché al momento, esso rappresenta il più semplice

progetto che si poteva realizzare. Quello che il nome non comunica è il fatto che questo forno non è

affatto "minimum" nelle prestazioni, e caratterizzato da un ottimo funzionamento.

Benchè l'utilizzo dei forni solari sia principalmente dedicata alla cottura del cibo ed alla

pastorizzazione dell'acqua, nuove utilizzazioni sono continuamente

in sviluppo . L'avvicinamento all'uso dei forni solari è condizionato

da vari fattori quali la disponibilità di combustibili tradizionali, il

clima, le preferenze alimentari, fattori culturali, e capacità tecniche.

Dall'assimilazione dei principi dell'energia solare e dalla

disponibilità di semplici materiali come cartone, fogli di alluminio e

specchi, è possibile costruire un efficiente dispositivo per la cottura

con energia solare. Questa pubblicazione indica i principi di base

della progettazione di forni solari e identifica una varietà di materiali

potenzialmente utili.

Questi principi base, generalmente utilizzati nella realizzazione o

nella modifica di forni per cucina ad energia solare, sono applicabili

a differenti problematiche indipendentemente dalla necessità di

cuocere il cibo, pastorizzare l'acqua o essiccare pesce e granaglie.

A. I principi del calore Lo scopo principale del forno da cottura ad energia solare, è quello di

riscaldare gli oggetti, cucinare il cibo, purificare l'acqua, sterilizzare gli strumenti.

Un forno da cottura ad energia solare è un grado di cuocere perchè l'interno del contenitore è

riscaldato dall'energia solare. I raggi solari , sia quelli diretti sia quelli riflessi, entrano nel

contenitore attraverso la copertura in vetro o plastica. Vengono trasformati in energia termica

attraverso la superficie di assorbimento o dal contenitore di cottura che provoca l'innalzamento della

temperatura interna del forno Le temperature di cottura del cibo e di pastorizzazione dell'acqua

vengono raggiunte rapidamente.

E’ chiaro che tra due contenitori con la stessa capacità di ritenzione del calore, quello con maggiore

apporto di calore, avrà una temperatura interna maggiore.

Considerando due contenitori, con lo stesso apporto calorico, quello con maggiore ritenzione di

calore, migliore isolamento delle pareti del fondo e del coperchio, raggiungerà una maggiore

temperatura interna.

B. Incremento della temperatura. Questo effetto è causato dal riscaldamento di uno spazio chiuso

riscaldato dai raggi solari che filtrano attraverso un materiale trasparente come vetro o plastica. I

raggi luminosi visibili passano facilmente attraverso il vetro e sono assorbiti e riflessi dagli oggetti

contenuti.

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L'energia dei raggi luminosi che viene assorbita

dalla piastra nera di assorbimento posta sotto al

tegame viene convertita in energia termica con

onde di maggiore lunghezza e irradia dai materiali

contenuti. La maggior parte di questa energia,

avendo un maggiore lunghezza d'onda, non può

passare di nuovo attraverso il vetro e resta perciò

intrappolata all'interno dello spazio chiuso.

I raggi riflessi possono essere assorbiti da altri

materiali presenti all'interno dello spazio o uscire

ripassando attraverso il vetro perchè non hanno

cambiato la loro lunghezza d'onda.

La buona qualità del forno di cottura è data dalla

sua capacità di trasferire il calore raccolto dalla

piastra di assorbimento al contenitore con il cibo da

riscaldare e cucinare.

Orientamento dei vetri: Maggiore è l'esposizione

del vetro ai raggi solari, maggiore sarà l'incremento

termico. Anche se la dimensione dei vetri sia la

stessa per i due contenitori 1 e 2 , l'esposizione al

sole è superiore nel contenitore 2. Va notato che il

contenitore 2 ha una maggiore superficie attraverso

la quale può disperdere calore.

Riflettori, Incremento addizionale: I riflettori,

singoli o doppi, convogliano all'interno del

contenitore una maggiore quantità di raggi. Questo

incremento dell'ingresso di raggi solari comporta

una addizionale quantità di calore che innalza la

temperatura di cottura.

C. Perdita del calore .La seconda legge della termodinamica stabilisce che la temperatura passa

sempre dal caldo al freddo. Il calore dall'interno del forno viene perso principalmente in tre modi:

Conduzione, Radiazione, Convezione

Le maniglie di un tegame in metallo posto su una stufa o un fuoco diventano calde per trasferimento

del calore attraverso il materiale del tegame: nella stessa maniera viene perso il calore interno al

forno di cottura .

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La piastra di assorbimento

dell'energia solare trasferisce il

calore sotto al tegame di cottura.

Come mostrato in fig.6, la piastra di

assorbimento viene sollevata dal

fondo con supporti isolati per

annullare la perdita di calore per

conduzione.

Radiazione: Gli oggetti riscaldati,

fuoco, cucine, tegami, cibo in

cottura, emettono onde termiche ed

irradiano calore verso gli oggetti

vicini attraverso l'aria o lo spazio. La

maggior parte del calore irradiato da

un tegame in un forno di cottura è

riflesso verso il tegame stesso o il

fondo di assorbimento dal vetro o

dalla superficie trasparente. Anche

se le superfici trasparenti riescono a

riflettere all'interno la maggior

quantità di calore irradiato, una

buona parte riesce a sfuggire

all'esterno. Il vetro riflette meglio di

molte plastiche.

Convezione: Le molecole di aria

entrano ed escono dal contenitore

attraverso fenditure. Il loro

trasferimento di calore è detto

convezione. L'aria calda dei forni di

cottura ad energia solare sfugge

principalmente attraverso le

fenditure del coperchio, l'apertura di

accesso laterale, imperfezioni di

costruzione. Dalle stese vie l'aria

fredda può entrare nel contenitore.

D. Conservazione del calore. La capacità del forno di mantenere la temperatura aumenta mano a

mano che aumenta la densità ed il peso all’interno di un forno

riempito con pietre, mattoni, pesanti tegami, acqua o cibi molto

bagnati, impiegherà un tempo maggiore per riscaldarsi a causa

della sua capacità di conservazione del calore. L'energia

introdotta viene trasferita e trattenuta da questi materiali pesanti

rallentando il riscaldamento dell’aria nel forno, allo stesso modo

però essi conserveranno ed irradieranno calore per un periodo più

lungo dopo il tramonto.

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E. Specifiche dei materiali . Esistono tre tipi di materiali che sono principalmente usati nella

costruzione dei forni di cottura ad energia solare: fondamentale è la loro resistenza all'umidità.

La struttura del materiale deve essere tale per cui il contenitore possa durare nel tempo e mantenere

le forme e le caratteristiche con cui viene creato.

Il materiale di costruzione include: cartone, legno,

compensato, masonite, bambu, metallo, cemento,

mattoni, pietre, vetro, fibra di vetro,vimini

intrecciati, plastica, carta pesta, argilla, terra

battuta, metallo, corteccia, tela cerata o gommata.

Molti dei materiali con buone caratteristiche

strutturali sono troppo densi per essere buoni

isolanti. Per avere delle buone caratteristiche

strutturali e di isolamento, è necessario usare

diversi materiali con diverse caratteristiche complementari.

Per ottenere all'interno del forno una temperatura sufficiente per la cottura è necessario che le pareti

ed il fondo del contenitore siano convenientemente isolate al fine di ottenere una buona ritenzione

del calore. I buoni materiali di isolamento includono i fogli di alluminio ( riflessone radiante),

piume ( quelle d'oca sono le migliori), lana di vetro e di roccia, cellulosa, pula del riso, lana, paglia,

giornali .

Quando si realizza un forno di cottura è importante che il materiale di isolamento avvolga

completamente tutte le pareti della cavità interna ad esclusione di quella trasparente che

solitamente è quella superiore. Il materiale isolante deve essere installato in modo da ridurre

al minimo la trasmissione della temperatura dal materiale del contenitore strutturale interno a

quello del contenitore esterno. Minore è la perdita di calore, maggiore è la temperatura di cottura.

Almeno una delle superfici deve essere trasparente ed essere rivolta verso il sole per effettuare il

riscaldamento con l'effetto serra. I materiali trasparenti più comuni sono il vetro e le plastiche per

alta temperatura come i sacchetti per cottura in forno. Nei sistemi a doppia superficie trasparente,

siano vetro o plastica, entrambi partecipano ad incrementare ed a disperdere il calore. In funzione

del materiale utilizzato si può ridurre del 5-15% il rapporto "trasmissione solare / incremento del

calore" . Tuttavia, poiché la perdita del calore attraverso il vetro o la plastica è diviso in due,

il risultato finale sarà comunque migliore.

Tutti i cibi che vengono cotti nei forni a cottura solare contengono umidità. Quando l'acqua o il cibo

vengono riscaldati nel forno solare, si crea una pressione che spinge l'umidità dall'interno verso

l'esterno del contenitore. Ci sono molti modi in cui può avvenire questo trasferimento. Può

sfuggire direttamente dalle fessure o, se non sono previste le barriere antiumidità, può essere

compresso nelle pareti o nel fondo del contenitore. Se il contenitore è progettato con barriere

antiumidità ed efficienti guarnizioni di alta qualità, è possibile mantenere il vapore all'interno della

camera di cottura. Nella progettazione dei forni di cottura è molto importante che la superficie più

interna del contenitore sia una ottima barriera antivapore.

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Questa barriera protegge i componenti della struttura e dell'isolamento dai danni causati dall'umidità

che potrebbe trasferirsi nelle pareti e nel fondo del contenitore.

F. Disegno, proporzioni e funzionamento

Il forno per cottura solare deve essere dimensionato:

Sulla quantità di cibo normalmente cucinata;

Sulla possibilità di spostare agevolmente lo stesso forno;

Sulla forma del contenitore compatibile con i tegami disponibili.

Mantenendo costanti tutti gli altri parametri, maggiore è l'area di captazione esposta al sole

confrontata con l'area di dispersione del contenitore, maggiore sarà la temperatura di cottura.

Supposto che due contenitori abbiano la stessa area di captazione con le stesse dimensioni e

proporzioni, quello con minore profondità avrà una minore dispersione avendo un'area di

dispersione inferiore.

Un forno per cottura solare rivolto verso il sole di mezzogiorno deve avere la sua dimensione

maggiore orientata nella direzione est/ovest per avere una

migliore esposizione del riflettore durante il periodo di

alcune ore di cottura. Mano a mano che il sole si sposta

attraverso il cielo, questa configurazione si dimostra la più

idonea per una migliore temperatura di cottura rispetto a

quella con un contenitore di forma quadrata o con la

dimensione maggiore in direzione nord/sud, casi nei quali

infatti una maggiore percentuale di raggi solari sarà

inopportunamente riflessa fuori del contenitore.

Uno o più riflettori possono essere utilizzati per convogliare una maggiore quantità di raggi solari

all'interno del contenitore per incrementare la temperatura di cottura. Anche se senza i riflettori è

possibile cucinare correttamente nelle aree equatoriali dove il sole è praticamente a picco, il loro

utilizzo nelle zone temperate può migliorare notevolmente le caratteristiche del forno.

G. Operativita' del forno solare

Una delle caratteristiche positive del forno di cottura solare è la sua semplicità d'uso. Per le

latitudini comprese tra 20°N e 20°S , il forno a cottura solare senza riflettori richiede piccoli

allineamenti per seguire il sole nei suoi spostamenti. Per i forni con riflettori utilizzati nelle zone

temperate si possono raggiungere maggiori temperature se il contenitore viene allineato ogni una o

due ore. Questo modifica dell'allineamento diviene meno necessaria se le dimensioni est/ovest sono

significativamente superiori a quelle nord/sud.

H. Fattori Culturali

Oltre agli aspetti tecnici, vi sono altri elementi come la cultura, una tecnologia appropriata e

l'estetica, che giocano un fattore importante nella diffusione dei forni a cottura solare.

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Nei secoli l'energia solare è stata sfruttata in vari modi. Come in altri tentativi, anche nella cottura

tramite forni solari esistono progetti più efficienti di altri. La tecnologia che viene realizzata per

soddisfare uno specifico progetto, utilizzando determinate energie, conforme a determinate realtà

ambientali, sociali, culturali, e/o standard estetici, viene spesso definita come " tecnologia

sostenibile".

Sfortunatamente i sistemi a cottura solare non sempre soddisfano queste richieste tecniche e sociali.

Ad esempio, un concentratore parabolico può cuocere del cibo ma se confrontato con un forno a

cottura solare lo troviamo più difficile da costruire, richiede materiali specifici e un costante

allineamento, può bruciare il cibo e non è facilmente introducibile in determinati contesti sociali e

culturali. Praticamente, in seguito al fallimento negli anni '60 dello sviluppo di progetti allora molto

pubblicizzati, oggi per lo più si crede che la cottura con energia solare non sia realizzabile.

Più il progetto di un forno per cottura solare adotta determinate tecnologie maggiore è il suo

successo con gli utilizzatori finali. L’ approccio infatti ad un basso livello tecnico può consistere

nello scavare un buco poco profondo, isolare il fondo con erba o foglie secche, introdurre il cibo o

l'acqua in contenitori neri e coprire il tutto con un vetro, e ciò chiaramente appare difficile definire

progresso; diversa invece l’applicazione degli stessi principi in un forno a cottura solare integrato

architettonicamente nel lato esposto a sud di una cucina tradizionale, con lo sportello del forno

inserito nella parete a lato del forno a microonde.

I contenitori in cartone possono essere appropriati per molte culture perchè il materiale è

ampiamente disponibile ed economico. Ma a suo svantaggio il cartone mostra una eccessiva

sensibilità all'umidità e la sua durata non è comparabile a quella di molti altri materiali.

Anche l'estetica è importante. Culture abituate a figure rotonde possono rifiutare totalmente il

concetto del forno solare perchè è quadrato. Altre culture potrebbero rifiutare il cartone perchè

considerato materiale troppo povero.

Stante l’accertato funzionamento, va escluso che il principio base dei forni di cottura ad

energia solare non venga accettato a causa di errori metodologici nel trasferimento della

tecnologia, compresi quelli legati alla non conoscenza della cultura nella quale si vuole

introdurre.

Il progetto Indiano in Himalaya, sponsorizzato da India e Germania (Dhauladhar) è un positivo

esempio dell'applicazione della tecnologia alle necessità di una specifica cultura. Il forno non

portatile è costruito in terra e mattoni ed ha una doppia schermatura in vetro. Il contenitore scatolato

interno è costruito con contenitori per olio usati. La coibentazione attorno al contenitore interno è

realizzata con pula di riso.

I partecipanti al Dhauladhar Project, nell'adattamento del progetto alle necessità ed alle

caratteristiche locali, hanno mostrato un reale processo di trasferimento tecnologico.

La comuntià è per definizione una interconnessione di attività: per la cottura solare, la possibilità di

divenire parte di una cultura locale deve essere considerata nel contesto degli aspetti di quella

comunità: dall'economia locale, al lavoro, dalla sanità alle attività sociali, dalle risorse energetiche

alla deforestazione, all’ educazione, alle infrastrutture.

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La cottura con forni solari è già stato introdotto all'interno di varie culture. Ma abbiamo solo

graffiato la superficie. La grande potenzialità di questa risorsa in termini di benefici nei confronti

della fame mondiale, la salute e la deforestazione deve ancora essere sondata.

- SCALDABAGNO. Qualche consiglio anche sulla scelta ed il corretto utilizzo dello

scaldabagno:

inserendo un timer si fa funzionare lo scaldabagno solo quando effettivamente serve;

regolare il termostato a seconda della stagione (circa 40°C d’estate e 60°C d’inverno);

installare un miscelatore sullo scaldacqua in modo da eliminare dispersione di calore nelle

tubazioni per arrivare al rubinetto dove di norma è inserito il miscelatore;

nel caso di scaldabagno elettrico meglio acquistarne due piccoli anziché uno grande per

alimentare cucina e bagno: i due ambienti hanno funzioni molto diverse;

installare l’elettrodomestico vicino al punto di utilizzo per evitare dispersioni durante il

percorso;

scegliamo sempre elettrodomestici con marchio di qualità e con l’ ”etichetta energetica” che

ci informa dei consumi e delle caratteristiche tecniche dell’elettrodomestico.

Il solare termico è una tecnologia usata ormai da decenni per la produzione dell'acqua calda

sanitaria e per uso riscaldamento, per essiccazione, sterilizzazione, dissalazione e cottura cibi.

Applicazioni di questo tipo sono testimoniate fin dal 1700. Inizialmente trovarono ampio spazio le

tecnologie ad alta temperatura per la produzione di vapore (concentratori parabolici), che non si

affermarono, nonostante continue riduzioni dei costi, a causa delle espansioni successive dei

combustibili fossili (carbone prima, petrolio poi).

Nei paesi industrializzati l'energia solare termica viene sfruttata in tre campi principali:

collettori piani e sottovuoto per la produzione di acqua calda per usi sanitari, riscaldamento e

preriscaldamento acqua di processo;

collettori piani ad aria;

concentratori per la generazione elettrica e calore di processo.

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Capitolo 3

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INTRODUZIONE

L’acqua è un bene prezioso, indispensabile per praticamente tutte le attività umane! L’acqua è un

patrimonio comune il cui valore deve essere riconosciuto da tutti: tutti abbiamo il dovere di

economizzarla e di utilizzarla con cura!

E’ vero circa il 70% della superficie del pianeta Terra è ricoperta di acqua, ma solo il 2,5% di

essa è acqua dolce e di questa percentuale la stragrande maggioranza è congelata nelle calotte polari

e presente sotto forma di umidità nel terreno: insomma meno dell’1% delle risorse di acqua dolce

sono disponibili per l’utilizzo da parte dell’uomo!

L’Italia è un paese abbastanza ricco di acqua, per di più è di ottima qualità, e noi siamo abituati ad

averne sempre a disposizione in abbondanza, ma non è per tutti così:

circa un sesto della popolazione mondiale (più di un miliardo di persone) soffre per la

carenza e la cattiva qualità dell’acqua;

ogni giorno circa 6.000 bambini muoiono per malattie causate da acqua inquinata e da

mancanza di igiene;

circa l’80% di tutte le malattie è causato da acqua non potabile e da scarsa igiene.

L’acqua quindi è un bene, una vera e propria ricchezza, che non è uniformemente ed equamente

divisa nel mondo: accanto a chi muore per la sua scarsità e cattiva qualità

c’è chi ogni giorno la spreca e la inquina! Vediamo qualche dato per renderci conto dello spreco di

acqua dolce che più o meno consapevolmente facciamo ogni giorno:

ogni giorno ogni italiano consuma in media 250-300 litri di acqua;

un rubinetto lasciato aperto per un solo minuto consuma 12 litri d’acqua;

per una doccia di 5 minuti sprechiamo più di 50 litri d’acqua, per non parlare del bagno per

cui se ne consumano circa il doppio;

semplicemente per lavarci i denti usiamo circa 30 litri d’acqua;

da un rubinetto che perde in un anno vanno sprecati circa 4.000 litri d’acqua;

un foro di solo un millimetro in una tubatura fa perdere 2.000 litri d’acqua in un giorno.

Ma come usiamo tutta questa acqua? Consideriamo un consumo medio giornaliero di 270 litri

d’acqua:

70 litri per usi igienici;

80 litri per le pulizie personali;

40 litri per le pulizie domestiche;

L’acqua non è una fonte inesauribile!

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30 litri per lavare la biancheria;

30 litri per lavare le stoviglie;

20 litri per lavare la cucina.

Solo il 12% dell’acqua erogata in Italia è destinata ad usi civili, il 60% copre i fabbisogni agricoli

e il 28% quelli industriali, altri due settori in cui sprechi e perdite producono ogni anno un assurdo

sperpero di risorsa idrica preziosa.

Per produrre 1 tonnellata di acciaio occorrono 25.000 litri d’acqua, per una di vetro ne servono

70.000 litri e per una di carta addirittura 450.000 litri!

L’agricoltura non è da meno: in estate 1 metroquadrato di prato consuma 4-5 litri di acqua al giorno,

per produrre 100 quintali di granoturco occorrono 4 milioni di litri d’acqua e solo la metà

provengono dalle piogge.

Cerchiamo di capire dove avvengono gli sprechi:

Nelle reti di distribuzione: la rete idrica italiana perde ogni anno circa il 33% dell’acqua

che trasporta; ciò è dovuto al fatto che la stragrande maggioranza delle tubature e delle prese

sono vecchie di oltre 50 anni e ormai molto danneggiate;

Nelle utenze d’impiego: queste avvengono anche nell’agricoltura e nell’industria, ma ben il

70% ha luogo negli edifici privati.

Ridurre gli sprechi domestici si può, è importante però che ogni singolo cittadino consideri l’acqua

come una risorsa indispensabile per il presente e per il futuro e che comprenda che il suo spreco,

oltre a significare un costo enorme per la collettività, rappresenta anche un rischio concreto per la

qualità della nostra vita. Dobbiamo quindi sviluppare un nuovo modo di considerare l’acqua e

correggere certe cattive abitudini che ci portano ogni giorno a sprecarne enormi quantità.

Per ridurre gli sprechi nelle nostre case bastano pochi e semplici accorgimenti che, se adottati da

tutti, portano a elevatissimi risparmi di risorsa idrica.

1. CONTROLLO dell’IMPIANTO DOMESTICO

Un rubinetto che perde significa 4.000 litri di acqua sprecati in un anno; un minuscolo foro nelle

tubazioni in un giorno dissipa circa 2.000 litri di acqua; il malfunzionamento dello sciacquone del

water in un anno implica 52.000 litri di risorsa idrica persi.

Per controllare se i rubinetti hanno una perdita basta disporvi sotto un contenitore, dopo qualche

ora potrai rilevare anche una minima perdita.

Nella cassetta del water si può vuotare, prima di andare a dormire, del colorante alimentare (è

lavabile e non fa danni!); se la mattina seguente troveremo le pareti del WC o l’acqua sul fondo

colorate sapremo che c’è stata una perdita.

Per scoprire perdite nelle tubazioni basta leggere, la sera prima di coricarsi, il livello di consumo

sul contatore; al mattino appena svegli, controllando di nuovo la cifra sul contatore sapremo se ci

sono state perdite: anche una piccola differenza sarà infatti dovuta alla cattiva tenuta della rete

idrica.

Una corretta manutenzione e, se necessario, qualche piccola riparazione, ci faranno risparmiare

denaro e soprattutto tanta acqua!

Quando si va in ferie o ci si assenta per lunghi periodi da casa è buona regola chiudere il rubinetto

centrale dell’acqua, evitando così perdite e disagi dovuti a rotture impreviste nell’impianto

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2. USIAMO DISPOSITIVI per il RISPARMIO IDRICO

Esistono alcuni sistemi di erogazione che consentono notevoli risparmi di acqua:

il frangigetto è una retina che ha lo scopo di rompere il getto d’acqua che fuoriesce dal rubinetto

miscelandolo con aria: in questo modo si riduce di circa la metà la fuoriuscita d’acqua;

i rubinetti a tempo (a pulsante) e a comando elettronico (con sensore a raggi infrarossi) forniscono

acqua con una portata ed un tempo prefissati, chiudendosi automaticamente: se usati soprattutto nei

bagni pubblici, nelle scuole, nei centri sportivi oltre ad essere più igienici (chiusura automatica)

evitano gli sprechi dovuti a tempi di apertura eccessivi.

L’adozione su larga scala di tali dispositivi può portare a notevoli riduzioni dei consumi che fanno

ammortizzare in poco tempo i costi di installazione.

3. NON FACCIAMO SCORRERE ACQUA INUTILMENTE

Lavarsi i denti o farsi la barba sono solo alcune delle operazioni quotidiane in cui è possibile

risparmiare molta acqua: basta aprire il rubinetto solo quando è necessario! Per la rasatura è

sufficiente riempire un po’ il lavandino e lasciar scorrere l’acqua solo alla fine. Per lavarsi i denti

inumidiamo lo spazzolino e poi riapriamo il rubinetto solo alla fine per risciacquare. Lo stesso vale

quando ci facciamo lo shampoo ed in mille altre situazioni. Sono accorgimenti che possono

sembrare stupidi, ma se adottati da tutti portano ad un concreto risparmio di risorsa idrica.

4. PREFERIAMO la DOCCIA al BAGNO

Se siete tra quanti amano immergersi in una vasca colma di acqua e schiuma, forse lo farete con un

po’ di senso di colpa sapendo che questo comporta uno spreco di 100-150 litri d’acqua, più del

doppio di una rapida e tonificante doccia! Adottiamo quindi comportamenti più saggi e rispettosi di

un bene così prezioso come l’acqua.

5. USIAMO BENE GLI ELETTRODOMESTICI

Usare razionalmente lavatrici e lavastoviglie significa metterle in funzione solo a pieno carico, dato

che la quantità d’acqua che consumano è la stessa anche se mezze vuote! E’ importante anche la

temperatura di lavaggio che si sceglie: per un ciclo a 30°C una lavatrice media consuma 80 litri

d’acqua, che diventano il doppio per cicli a 90°C; oltre a un aumento dei consumi idrici avremo,

come già ricordato, anche un notevole aumento di quelli energetici. E’ inoltre fondamentale l’uso di

tipi e quantità di detersivi appropriati: una eccessiva dose implica lo spreco di moltissima acqua in

fase di risciacquo, oltre ad inquinare e a significare un costo inutile.

6. SOSTITUIAMO la VECCHIA CASSETTA del WATER

Ogni volta che spingiamo il tasto dello sciacquone consumiamo 12 litri di acqua: ma è proprio

necessario? Inserendo nella cassetta di scarico appositi rubinetti o sostituendola con moderni

modelli a doppio tasto potremo scegliere di scaricare 6 o 12 litri di acqua a seconda dell’esigenza,

risparmiando così decine di litri di acqua ogni giorno. I gabinetti con classificazione di risparmio

idrico usano il 67% in meno di acqua di quelli tradizionali.

7. RISPARMIAMO ACQUA IN CUCINA

Quando laviamo i piatti o la frutta e la verdura non facciamolo sotto l’acqua corrente, ma mettiamo

il tappo al lavandino. Inoltre usiamo l’acqua di lavaggio di frutta e verdura per innaffiare le piante.

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L’ acqua di cottura della pasta è un ottimo sgrassante : usiamola per lavare i piatti,non la

sprecheremo e useremo meno detersivo!

8. RISPARMIAMO ACQUA LAVANDO LA MACCHINA

Evitare, quando possibile, di lavare l'automobile con acqua potabile ed in particolare evitare di farlo

in prossimità di fiumi o torrenti. Quando puoi riduci i lavaggi e usa sempre il secchio invece

dell'acqua corrente: bagnare la carrozzeria, insaponare l'auto e risciacquarla, puoi farlo ottenendo un

ottimo risultato sprecando meno acqua.

9. RISPARMIAMO ACQUA IN GIARDINO

Innaffiando le piante: innaffiando di primo mattino o nel tardo pomeriggio puoi ridurre lo spreco

d’acqua causato da evaporazione.

Raccogliendo l’acqua piovana: i raccoglitori d’acqua piovana possono fornire acqua per il tuo

giardino.

Innaffiando efficientemente: usa annaffiatoi e pistole a spruzzo per innaffiare soltanto le aree che

ne hanno bisogno. E’ inoltre importante innaffiare la base delle piante, non le foglie. Ciò fornisce

acqua direttamente alle radici, dove è più necessaria.

Facendo le pulizie: usa una scopa invece della manichetta dell’acqua per pulire i vialetti e le aree

pavimentate.

Scelta delle piante: scegliete piante native e altre che hanno meno bisogno d’acqua e prati erbosi

che usano meno acqua, perché richiedono minore manutenzione e attirano la fauna selvatica nativa.

Alcune erbe da prato hanno radici profonde e tollerano meglio la siccità, perciò non hanno bisogno

di essere innaffiate tanto sovente quanto altri tipi di erbe.

Sistemi d’irrigazione a sgocciolo: il sistema d’irrigazione a sgocciolo è il metodo d’innaffiare più

efficace poiché si spreca pochissima acqua a causa del vento, dell’evaporazione, per dispersione o

spruzzi eccessivi. Facendo sgocciolare lentamente l’acqua nel suolo alla base delle piante, l’acqua

viene rilasciata così lentamente da essere assorbita più facilmente e solo dov’è necessaria.

Tagliando l’erba: evita di tagliare l’erba del prato troppo corta, e usa l’erba falciata come pacciame

per mantenere il suolo umido.

Piantando nuove aiuole: raggruppa le piante che hanno un bisogno d’acqua nella stessa quantità

poiché ciò aiuta ad assicurare che tutte ricevano la giusta quantità d’acqua.

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Capitolo 4

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L’IMPIANTO ELETTRICO

L’impianto elettrico domestico per molti di noi è qualcosa di oscuro, infiliamo la spina nelle prese e

gli elettrodomestici funzionano, ma cosa ne sappiamo veramente degli impianti elettrici? Quanti

anni sono trascorsi dalla posa dei cavi elettrici, dall'installazione degli interruttori? Quale è lo stato

di isolamento dei vari apparecchi?

L’impianto elettrico domestico è costituito da molti elementi: il contatore, la centralina, gli

interruttori magnetotermici, gli interruttori differenziali, l’impianto di terra, la rete, le prese, gli

interruttori,…

Tutti questi elementi devono essere costruiti, installati e mantenuti in modo corretto, da tecnici abilitati, così come prevede la legge 46/90, a fine lavori il tecnico è tenuto a rilasciare una

dichiarazione di conformità dell’impianto che ne garantisce la sicurezza e la rispondenza alla

suddetta normativa. Impianti elettrici non a norma possono provocare folgorazione, cortocircuito,

incendio.

Ecco alcuni consigli utili per evitare incidenti domestici dovuti al malfunzionamento dell'impianto

elettrico:

Per l'installazione, le modifiche o la manutenzione dell'impianto elettrico ricorrere sempre a

tecnici abilitati e dopo ogni intervento sull'impianto bisogna farsi rilasciare la dichiarazione

di conformità.

Installare prese schermate, con protezioni davanti agli alveoli che non consentono di

introdurre chiodi, spilli e altri oggetti acuminati: operazioni molto pericolose per i bambini.

E’ importante non sovraccaricare, con spine doppie o riduttori, un'unica presa di corrente con

più elettrodomestici per evitare corto-circuiti e pericoli di incendio.

Sostituire le spine rotte o danneggiate con altre nuove.

Inserire e togliere le spine afferrando il corpo, mai tirando il filo.

Quando si puliscono gli apparecchi elettrici, bisogna accertarsi che la spina di alimentazione

sia staccata dalla rete.

Togliere la corrente dall’interruttore generale, ogni volta che si opera su qualche apparecchio

elettrodomestico.

Nel caso di uso di termocoperta, staccare la spina prima di mettersi a letto.

Scegliere lavatrici e lavastoviglie dotate di sistema antiallagamento.

Quando ci si allontana da casa per giorni, staccare gli elettrodomestici dalle prese a muro ed

il televisore dal cavo dell’antenna.

E’ buona norma non stendere prolunghe sotto i tappeti, il cavo potrebbe surriscaldarsi e il

tappeto potrebbe bruciare.

GLI ELETTRODOMESTICI

Le nostre case sono piene di apparecchi e strumenti di vario genere che sono ormai supporti

praticamente indispensabili per i lavori domestici, per cucinare, per l’igiene e la cura del corpo,…

E’ importante quindi saper scegliere, utilizzare e provvedere alla manutenzione di tali apparecchi

correttamente, in modo che essi non costituiscano un pericolo per noi e per la nostra casa . Il primo passo per una “casa sicura” è quello di acquistare solo elettrodomestici che

riportino il marchio CE , tale marcatura è infatti obbligatoria ai sensi del Decreto

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legislativo 626/96, essa certifica prodotti conformi ai requisiti essenziali di sicurezza fissati dalla

normativa comunitaria. Tale marchio deve essere posto sul prodotto e/o sull’imballaggio e/o sulle

avvertenze all’uso che accompagnano il prodotto stesso.

Vediamo ora più nel dettaglio alcune semplici accortezze nell’uso degli elettrodomestici, esse sono

solamente delle regole di comportamento, ma in molti casi possono salvarci la vita.

E’ buona abitudine non lasciare gli elettrodomestici accesi e incustoditi, un banale corto

circuito potrebbe essere la causa dell’incendio della nostra casa!

Prima di procedere alla pulizia o al lavaggio di tutte le apparecchiature alimentate

elettricamente è fondamentale staccare sempre prima la spina, isolando l’apparecchio, se

esso è collegato direttamente all’impianto va staccato l’interruttore generale.

Al termine dell’utilizzo di un elettrodomestico è buona norma spegnere l’apparecchio e

staccare la spina delicatamente, evitando strappi violenti. Quando ci si assenta per lunghi

periodi è bene staccare sempre tutte le spine dei vari apparecchi dalle prese.

E’ importante controllare periodicamente il cavo di alimentazione di quegli elettrodomestici,

come ferro da stiro, aspirapolvere,…, in cui esso è di norma sottoposto a notevoli

sollecitazioni meccaniche e quindi facilmente deteriorabile.

Avvolgere i cavi di alimentazione troppo stretti è una pessima abitudine, soprattutto quando

questi sono ancora caldi, bisogna prima farli freddare e quindi avvolgerli.

E’ bene usare gli elettrodomestici su superfici di appoggio piane e pulite, lasciare gli

apparecchi in bilico, ad esempio sul bordo di un tavolo, o del lavandino o della vasca, è un

comportamento ad alto rischio.

Non bisogna attaccare gli elettrodomestici alle pareti, ma è buona norma lasciare sempre

almeno 10-15 cm tra il retro dell’apparecchio ed il muro, in modo da assicurare l’aerazione

ed evitare pericolosi surriscaldamenti.

Fondamentale è infine ricordare di indossare sempre le scarpe e non restare a piedi nudi

quando usiamo gli elettrodomestici, in modo da creare un isolamento tra il nostro corpo e la

terra.

IL GAS IN CASA

Gli utilizzi del gas nell’ambito domestico sono molteplici, dall’uso in cucina, alla produzione di

acqua calda, al riscaldamento.

L’impianto domestico del gas può essere collegato alla rete fissa (metano) oppure può essere

alimentato da bombole (GPL).

E’ fondamentale che l’installazione, la manutenzione e/o la modifica di impianti a gas avvenga

sempre ad opera di personale qualificato e abilitato, che a fine lavori rilasci una dichiarazione di

conformità dell’impianto, così come previsto dalla legge 46/90, che ne garantisce la sicurezza e la

rispondenza alla sopraccitata normativa. Per questo genere di lavori il “fai da te” è assolutamente

vietato!

Nella messa a punto dell’impianto, nella scelta degli apparecchi a gas, nel loro utilizzo e nella loro

manutenzione vanno quindi seguite alcune norme, dettate dall’esperienza e dal buon senso o frutto

del lavoro del CIG ()o dell’UNI (), che indica appunto norme e criteri per la costruzione e

l’installazione in totale sicurezza.

Il primo passo è un cauto acquisto: bisogna accertarsi che l’apparecchio riporti la

marcatura CE, che come già ricordato, indica la conformità alla normativa

comunitaria (90/396/CEE), che è sinonimo di qualità e sicurezza per l’utente.

In fase di installazione è fondamentale che quella degli apparecchi a gas di tipo

tradizionale non avvenga nelle camere da letto e nei bagni, dove ci sono condizioni

molto limitative per l’installazione di apparecchi per la sola produzione di acqua calda. Questo

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perché qualsiasi apparecchio che presenti un bruciatore in funzione assorbe aria durante la

combustione ed emette i fumi prodotti dalla combustione stessa. Camere da letto e bagni sono locali

in cui si tende a tener chiuse le finestre e quindi non presentano una sufficiente aerazione: sarebbe

quindi pericoloso installarvi apparecchi a gas.

Il pericolo maggiore, che costituisce la causa della maggior parte degli incidenti, è dovuto alla

formazione e alla diffusione del Monossido di Carbonio (CO), il cosiddetto “killer silenzioso”,

esso infatti è un gas inodore, incolore e altamente tossico, letale anche in piccolissime

concentrazioni. Tale gas si forma se la combustione avviene in un locale insufficientemente areato

oppure per il cattivo funzionamento del sistema di scarico dei fumi.

Vediamo ora alcune semplici regole ed accortezze da seguire per l’utilizzo in sicurezza

dell’impianto a gas domestico.

Verificare la permanente ventilazione dei locali che contengono apparecchi a gas (stufe,

caldaie, scaldabagni,…).

Mantenere sempre in efficienza e puliti i sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione

come camini e canne fumarie.

Controllare la fiamma: deve essere di forma regolare ed azzurra.

Le caldaie andrebbero controllate e pulite ogni anno, prima dell’inizio del periodo di utilizzo.

Ciò garantisce un utilizzo in piena sicurezza, ma anche un significativo risparmio sui

consumi e una riduzione delle emissioni inquinanti.

E’ importante che il tubo di gomma flessibile di allaccio delle cucine a gas non sia sottoposto

a sforzi né a surriscaldamenti e che venga sostituito almeno ogni 5 anni, cioè entro la data

stampigliata sul tubo stesso.

Il contatore del gas non deve essere usato per appoggiarvi oggetti vari, come le tubazioni del

gas a vista non devono essere impiegate per la messa a terra di apparecchi elettrici, né per

altri usi impropri. Le tubazioni sotto traccia poi devono essere collocate in posizioni

obbligate e opportunamente segnalate dall’installatore, per evitare forature accidentali.

Un’altra utile precauzione è quella di chiudere la valvola del contatore o quella della bombola

quando non si utilizza l’impianto, quindi sia la sera prima di andare a letto che ovviamente

quando ci si assenta anche per brevi periodi.

La corretta procedura per accendere il bruciatore del piano cottura è:

1. Accendere il fiammifero;

2. Accostare il fiammifero acceso al bruciatore;

3. Aprire il rubinetto del gas.

Eseguire tali operazioni nell’ordine inverso costituisce un potenziale rischio: dopo aver aperto

il rubinetto del gas potrebbe intervenire un qualsiasi elemento di distrazione o disturbo che

può far si che la successiva accensione del fiammifero abbia gravi conseguenze.

E’ importante non riempire troppo le pentole, né lasciarle incustodite sul fuoco; lo

spegnimento della fiamma causato dal trabocco di liquidi in combustione o da eventi

accidentali può provocare gravi inconvenienti. Ciò può essere evitato con l’adozione di piani

cottura provvisti del dispositivo di sicurezza per lo spegnimento accidentale della fiamma,

che interrompe immediatamente l’afflusso del gas se si spegne la fiamma. Vediamo ora alcuni accorgimenti specifici, oltre a quelli già elencati, da seguire nel caso in cui

l’impianto domestico del gas sia alimentato da bombole (GPL).

La sostituzione della bombola non è affatto un’operazione banale e va eseguita da personale

competente.

Le bombole non devono essere installate in locali sotto il livello stradale, non devono essere

esposte al sole né ad altre fonti di calore.

La possibilità di installare bombole dipende dal volume del locale: per locali inferiori ai 10

m3 è esclusa l’installazione, per quelli compresi tra 10 e 20 m

3 si può installare una sola

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bombola con contenuto fino a 15 kg, se il volume supera i 20 m3 si possono mettere al

massimo 2 bombole, per un contenuto complessivo comunque non superiore a 30 kg.

E’ poi vietato tenere bombole non allacciate vuote o piene, anche parzialmente.

Come comportarsi se si sente odore di gas?

L’odore del gas è facilmente riconoscibile, infatti per legge tutti i gas combustibili devono avere un

odore caratteristico, in modo che sia possibile rilevarne la presenza in caso di fuga, prima che

raggiungano concentrazioni pericolose.

A questo punto ecco cosa fare tempestivamente:

aprire finestre e porte per arieggiare il locale;

spegnere immediatamente tutte le fiamme (caldaie, fornelli, candele,…);

chiudere la valvola principale del contatore o della bombola;

non fumare, né accendere fiammiferi o accendini;

non azionare interruttori, campanelli, apparecchi elettrici o telefoni: una loro eventuale

scintilla potrebbe innescare un’esplosione;

portarsi al di fuori dell’ambiente e telefonare al pronto intervento della società distributrice

del gas ed ai Vigili del Fuoco.

GLI INCENDI

L’incendio è una combustione che si sviluppa in modo incontrollato nel tempo e nello spazio. La

combustione è una reazione chimica tra un corpo combustibile e un corpo comburente. I

combustibili sono numerosi: legno, carbone, carta, petrolio, gas combustibile, ecc. Il comburente

che interviene in un incendio è l’aria o, più precisamente, l’ossigeno presente nell’aria (21% in

volume). Il rischio di incendio, quindi, esiste in tutti i locali.

L’esplosione è invece una combustione a propagazione molto rapida con violenta liberazione di

energia. Può avvenire solo in presenza di gas, vapori o polveri combustibili di alcune sostanze

instabili e fortemente reattive o di materie esplosive.

Le cause, che possono provocare un incendio, sono:

- fiamme libere (ad esempio operazioni di saldatura)

- particelle incandescenti (brace) provenienti da un focolaio preesistente

- scintille di origine elettrica, elettrostatica o provocate da un urto o sfregamento

- superfici e punti caldi

- innalzamento della temperatura dovuto alla compressione dei gas

- reazioni chimiche

Gli incendi non sono tutti uguali, ai fini di individuare la natura caratteristica di un fuoco si sono

distinte le seguenti Classi di Fuoco:

Classe A: fuochi di materie solide, generalmente di natura organica, sono detti

“fuochi secchi”. La combustione può presentarsi in due forme: combustione viva

con fiamme o combustione lenta senza fiamme, ma con formazione di brace

incandescente. L’agente di estinzione raccomandato è l’acqua.

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Classe B: fuochi di idrocarburi solidificati o di liquidi infiammabili, detti ”fuochi grassi”.

Un buon estinguente deve, oltre l'azione di raffreddamento, esercitare un soffocamento

individuabile nella separazione tra combustibile e comburente. E’ controindicato l’uso di

acqua a getto pieno per lo spegnimento.

Classe C: fuochi di combustibili gassosi. Questi combustibili non possiedono né forma né volume

proprio, sono molto pericolosi se miscelati in aria per la possibilità di generare

esplosioni. L'azione estinguente si esercita mediante azione di raffreddamento,

separazione e inertizzazione della miscela gas-aria: al di fuori di ben precise

percentuali di miscelazione infatti il gas combustibile non brucia.

Classe D: fuochi di metalli (magnesio, manganese, alluminio, …), che hanno la

caratteristica di interagire, anche violentemente, con i comuni mezzi di

spegnimento, in particolare con l'acqua.

Classe E: fuochi di natura elettrica. A tale categoria di fuochi si intendono

appartenere tutte le apparecchiature elettriche, ed i loro sistemi di servizio che,

anche nel corso della combustione, potrebbero trovarsi sotto tensione.

La prevenzione degli incendi costituisce l’elemento più importante per la sicurezza dai rischi del

fuoco dato che PREVENIRE E’ MEGLIO CHE REPRIMERE!

Oltre alle normali accortezze che tutti dobbiamo osservare al riguardo, un ruolo chiave lo giocano

l’installatore ed il progettista degli impianti che devono porre in opera determinati elementi di

protezione passiva ed attiva nei confronti degli incendi.

La protezione passiva si persegue in fase di progettazione e consiste nel prevedere strutture, opere e

sistemi capaci di resistere al fuoco. Con protezione passiva si intende:

ridurre il carico di incendio;

scegliere materiali di arredamento (tappezzeria, moquette,…) poco combustibili;

attuare un’opportuna compartimentazione dei locali, conferendo alle strutture adeguata

resistenza al fuoco;

prevedere vie di fuga e luoghi sicuri, adeguati per numero, localizzazione e caratteristiche

dell’edificio (scuola, abitazione, ospedale,…) .

Quando però non sia possibile ottenere o mantenere un sufficiente livello di protezione passiva,

occorre allora riequilibrare il sistema di sicurezza mediante la protezione attiva, adottando cioè

interventi veri e propri contro l’incendio.

La protezione attiva è infatti volta a ridurre le conseguenze derivanti dal verificarsi di un incendio,

essa prevede:

un adeguato impianto di rivelazione/segnalazione automatica (del fumo e/o del calore);

un impianto di estinzione, manuale o automatico (ad acqua, a schiuma, a polvere, a CO2, ad

Halon,…);

un impianto di estrazione dei fumi, naturale o forzato.

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C’è un incendio: che fare?

La regola fondamentale in questi casi è mantenere la calma, ed evitare fenomeni di panico, reazione

che, specialmente in ambito collettivo, può risultare pericolosa poiché non consente il controllo

della situazione creatasi, coinvolgendo un gran numero di persone e rendendo difficili eventuali

operazioni di soccorso.

Il panico si manifesta con diversi tipi di reazioni emotive: timore e paura, oppressione, ansia fino ad

emozioni convulse e manifestazioni isteriche, nonché particolari reazioni dell'organismo quali

accelerazioni del battito cardiaco, tremore alle gambe, difficoltà di respirazione, aumento o caduta

della pressione arteriosa, giramenti di testa e vertigini.

Tutte queste condizioni possono portare le persone a reagire in modo non controllato e razionale.

Allo stesso tempo possono venire compromesse alcune funzioni comportamentali quali l'attenzione,

il controllo dei movimenti, la facoltà di ragionamento.

Tali comportamenti possono essere modificati e ricondotti alla normalità se il sistema in cui si

evolvono è preparato e organizzato per far fronte ai pericoli che lo insidiano.

E’ per questo che la formazione e la prevenzione hanno un ruolo fondamentale nel combattere il

panico; il piano di evacuazione, con il percorso conoscitivo necessario per la sua realizzazione, può

dare un contributo fondamentale in questa direzione consentendo di:

- essere preparati a situazioni di pericolo;

- stimolare la fiducia in se stessi;

- indurre un sufficiente autocontrollo per attuare comportamenti razionali e corretti;

- controllare la propria emozionalità e saper reagire all'eccitazione collettiva.

In altre parole tende a ridurre i rischi indotti da una condizione di emergenza e facilita le operazioni

di allontanamento da luoghi pericolosi.

Se quindi siamo a scuola, in ufficio, o in luoghi per cui è stato predisposto un piano di emergenza,

dovremo seguire le istruzioni imparate nel corso delle esercitazioni e con calma e ordine

abbandonare l’edificio.

Scoppia un incendio in casa: come comportarsi

chiudere la porta della stanza invasa dal fuoco, cercando di sigillare dall'esterno ogni

possibile fessura;

chiudere i contatori del gas e della corrente;

cercare di spegnerlo con estintori, acqua, coperte, …;

Controllare che nessuno sia nel luogo in cui divampa il fuoco e dare l'allarme alle altre

persone;

Uscire all'aperto proteggendoti con panni bagnati, coprendosi naso e bocca con un fazzoletto

bagnato e camminando curvi se c'è fumo;

Abbandonare l' edificio usando, se possibile, le uscite di emergenza e non l'ascensore;

Lascia chiuse porte e finestre;

Se si rimane intrappolati in un locale bisogna chiudere la porta e non aprire le finestre se non

dopo aver sigillato con stracci e coperte le aperture verso le stanze invase dal fuoco e dal

fumo.

Scoppia un incendio all’aperto: come comportarsi

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segnalare immediatamente a Vigili del Fuoco, Guardie Forestali e Centri Operativi Regionali

la presenza di fumo o focolai di incendio, cercando di precisarne l'ubicazione;

gettare terra sul fuoco se si tratta di combustibile lento (tronchi o ceppaie);

Gettare acqua alla base della fiamma se si tratta di combustibili rapidi (foglie secche, erba e

cespugli);

Battere il fuoco con pale o frasche;

Delimitare la zona con una fascia sterrata;

Evitare la fuga lungo il pendio, specialmente se è in salita.

Per prevenire…

rimuovere i frammenti di vetro che possono agire da lenti ustorie;

non gettare per terra sigarette e fiammiferi, comunque non prima di essersi accertati che

siano ben spenti;

non abbandonare immondizia o materiale infiammabile nel bosco.

LA SICUREZZA ALIMENTARE

Probabilmente sembrerà strano, ma conservare e preparare i cibi li espone a molteplici possibilità di

contaminazione, crescita e proliferazione di diverse specie patogene. Ovviamente il rischio risulta

superiore per alcuni alimenti e per particolari categorie di persone, quali ad esempio bambini,

anziani e donne in gravidanza.

Il primo passo verso la sicurezza alimentare è leggere attentamente l’etichetta dei cibi ed attenersi

scrupolosamente a quanto riportatovi. Per quanto riguarda la data di scadenza essa può essere

espressa con la formula “da consumarsi preferibilmente entro il…” che indica la data entro cui il

prodotto, se ben conservato, mantiene inalterate le sue qualità; o, per prodotti altamente deperibili,

dalla formula “da consumarsi entro il…” che indica invece il termine entro cui si deve consumare.

E’ importante sottolineare però che una cattiva conservazione (temperatura, umidità, calore,…) può

compromettere un cibo anche prima della data di scadenza.

Cerchiamo ora di descrivere quei comportamenti atti a ridurre il rischio alimentare nelle varie fasi,

dall’acquisto al consumo degli alimenti.

L’etichetta però non contiene solo la data di scadenza, ma anche le modalità d’uso e di

conservazione che forniscono al consumatore le informazioni importanti: temperatura e luogo di

conservazione, nonché le modalità di mantenimento dopo l’apertura.

Trovano posto sull’etichetta anche il luogo di produzione e/o confezionamento, il luogo di origine,

gli eventuali marchi di qualità, l’elenco degli ingredienti e la tabella nutrizionale che consente di

valutare l’apporto nutrizionale del prodotto.

Acquisto e trasporto del cibo

E’ importante leggere sempre la data di scadenza di un alimento prima di acquistarlo, questa per

legge deve essere riportata sulla confezione. E’ poi buona abitudine prelevare gli alimenti surgelati

e congelati al termine della spesa, senza lasciarli a lungo nel carrello, riponendoli subito in apposite

borse termiche in modo da evitarne lo scongelamento durante il tragitto verso casa, che deve essere

il più rapido possibile. Una volta a casa bisogna subito riporre gli alimenti surgelati e congelati nel

frezeer o procedere immediatamente alla loro cottura.

Anche per gli alimenti non surgelati bisogna usare delle accortezze, è un comportamento a rischio

ad esempio lasciare il cibo per molte ore nell’auto parcheggiata, in particolare nei mesi caldi;

bisogna invece portare subito la spesa a casa e riporre i diversi alimenti nella dispensa o

nell’appropriato ripiano del frigorifero (vedi Conservazione in frigorifero).

Conservazione in dispensa

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E’ importante che i cibi vengano conservati in condizioni ideali, bisogna quindi evitare l’accumulo

di polvere sugli scaffali della dispensa ed accertarsi che non vi siamo piccoli insetti che possano

accedere agli alimenti. L’ambiente in cui avviene la conservazione dei cibi deve

essere il più possibile asciutto, non sono adatti quindi locali umidi, come ad esempio scantinati. E’

buona norma non lasciare mai le confezioni degli alimenti aperte: una volta aperte prima di riporle

in dispensa, vanno richiuse con delle clips o, meglio, i cibi vanno depositati in contenitori appositi,

a chiusura ermetica, ricordandosi in quest’ultimo caso di apporvi un’etichetta con la data di

scadenza riportata sulla confezione del cibo stesso.

Conservazione in frigorifero

La conservazione dei cibi in frigorifero è una garanzia di sicurezza, perché il freddo, così come la

cottura, impedisce lo sviluppo dei microrganismi patogeni presenti nel cibo; è fondamentale quindi

controllarne il corretto funzionamento e utilizzarlo in modo appropriato. La temperatura del

frigorifero va tarata nell’intervallo 2-5°C, a seconda della stagione e delle personali esigenze;

quella del congelatore deve essere sempre non superiore ai –18°C. I ripiani non devono mai essere riempiti troppo e soprattutto si deve aver cura di non accostare

troppo i cibi alle pareti: ciò impedisce la corretta aerazione del frigorifero.

E’ buona norma evitare di aprire troppo spesso il frigorifero e soprattutto lasciarlo aperto per lunghi

periodi, ciò compromette la stabilità della temperatura interna, facendo subire ai cibi sbalzi termici

che potrebbero comprometterne la conservazione. I cibi riposti nel frigorifero non devono essere

mai caldi,ciò potrebbe alterare la temperatura interna: devono essere lasciati raffreddare e poi,

ricoperti con apposite pellicole per alimenti, riposti nel frigorifero.

Gli alimenti deperibili vanno sempre riposti in frigorifero, rispettando la temperatura, le modalità di

conservazione e soprattutto la data di scadenza riportate sulla confezione. Se poi, nonostante queste

accortezze, si osservano alterazioni del colore, della consistenza e/o dell’odore di un alimento

conservato in frigorifero bisogna sempre gettarlo via.

E’ fondamentale leggere attentamente il manuale d’uso del nostro frigorifero dove verranno corrette

modalità di pulizia e manutenzione. E’ comunque buona abitudine periodicamente controllare le

guarnizioni, in modo da verificare la corretta chiusura, e rimuovere la brina dalle pareti del

frigorifero, che accumulandosi può ridurne la funzionalità.

Preparazione degli alimenti

La fase della preparazione degli alimenti che è forse la più delicata, l’integrità dei cibi può infatti

essere compromessa dalle precarie condizioni igieniche dell’ambiente in cui essi vengono cucinati.

E’ fondamentale quindi preservare l’igiene della cucina: lavando accuratamente i piani di lavoro e

le superfici di servizio e pulendo sempre con cura superfici e utensili prima di utilizzarli per

alimenti diversi.

I contenitori per i rifiuti, i detergenti e i detersivi vanno sempre tenuti lontani dai cibi in

preparazione, riponendoli in uno spazio appositamente dedicato ed esclusivo.

Gli strofinacci da cucina, le spugne per il lavaggio, i panni da spolvero e da pavimento vanno

sempre mantenuti puliti.

E’ buona norma mantenere separati gli alimenti crudi da quelli cotti, questi ultimi devono essere

consumati subito dopo la cottura oppure conservati in frigorifero, dopo essere stati ricoperti con

apposita pellicola per alimenti, evitandone il più possibile la permanenza a temperatura ambiente.

E’ infine importante non fumare in cucina, in particolare mentre si preparano i cibi, in modo da

evitare che i microrganismi patogeni, che risiedono nel cavo orale, possano essere trasportati con le

mani agli alimenti.

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La cottura

La cottura, oltre a rendere i cibi più facilmente digeribili trasformando sostanze chimiche complesse

in altre più semplici, li rende igienicamente più sicuri; il calore infatti contribuisce a debellare la

popolazione microbica normalmente presente nei cibi.

I diversi tipi di cottura garantiscono condizioni di igienizzazione dei cibi diverse tra di loro:

Modalità di cottura Temperatura Igiene del cibo

Lessatura 100 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, ma non

delle spore e delle tossine

A vapore 100 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, ma non

delle spore e delle tossine

Pentola a pressione 120 °C Conserva meglio i nutrienti termosensibili

contenuti nel cibo, come le vitamine e alcuni

aminoacidi essenziali

Forno 180-220 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, delle spore

e in attivazione di tutte le tossine batteriche

Griglia 200 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, delle spore

e in attivazione di tutte le tossine batteriche

Frittura 180-190 °C Distruzione di tutti i batteri patogeni, delle spore

e in attivazione di tutte le tossine batteriche

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Capitolo 5

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IL RISCHIO

Il rischio è definito come "l’entità del danno atteso in una data area e in un certo intervallo di

tempo in seguito al verificarsi di un particolare evento calamitoso".

L’entità dei danni attesi su un particolare elemento a rischio può essere valutata considerando:

la pericolosità ovvero la probabilità che un evento calamitoso si verifichi entro un certo

intervallo di tempo ed in una zona tale da influenzare l’elemento a rischio. La pericolosità è

dunque funzione della frequenza dell’evento. In certi casi (come per le alluvioni) è possibile

stimare, con una approssimazione accettabile, la probabilità di accadimento per un

determinato evento entro il periodo di ritorno. In altri casi, come per alcuni tipi di frane, tale

stima è di gran lunga più difficile da ottenere.

la vulnerabilità ovvero il grado di perdita (espresso in una scala da 0 = "nessun danno" a 1

= "perdita totale") prodotto su un certo elemento esposto a rischio risultante dal verificarsi

dell’evento calamitoso temuto; essa indica quindi l’attitudine di un determinata “componente

ambientale” (popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture, etc.) a sopportare gli effetti

in funzione dell’intensità dell’evento.

il valore dell’elemento a rischio ovvero il valore (che può essere espresso in termini

monetari o di numero o quantità di unità esposte) della popolazione, delle proprietà e delle

attività economiche, inclusi i servizi pubblici, a rischio in una data area.

Il prodotto vulnerabilità per valore indica quindi il danno cioè le conseguenze derivanti all’uomo,

in termini sia di perdite di vite umane, che di danni materiali agli edifici, alle infrastrutture ed al

sistema produttivo.

Sotto determinate ipotesi il rischio può essere espresso semplicemente dalla seguente espressione,

nota come "equazione del rischio":

Il rischio esprime dunque il numero atteso di perdite di vite umane, di feriti, di danni a proprietà, di

distruzione di attività economiche o di risorse naturali, dovuti ad un particolare evento dannoso.

Spesso però è difficile giungere ad una stima quantitativa del rischio per la difficoltà della

parametrizzazione, in termini probabilistici, della pericolosità e della vulnerabilità e, in termini

monetari, degli elementi a rischio.

RISCHIO IDROGEOLOGICO

Con questo termine si fa riferimento al rischio derivante dal verificarsi di eventi meteorici estremi

che inducono a tipologie di dissesto tra loro strettamente interconnesse, quali frane ed esondazioni.

Rischio = Pericolosità x Vulnerabilità x Valore

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Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente da una panoramica di alcuni degli eventi

che hanno interessato l'area italiana: 5.400 alluvioni e 11.000 frane negli ultimi 80 anni, 70.000

persone coinvolte e 30.000 miliardi di danni negli ultimi 20 anni.

Basti pensare che 5.5811 comuni italiani (68,9% del totale) ricadono in aree classificate a potenziale

rischio idrogeologico più alto: il 21,1% dei comuni ha nel proprio territorio di competenza

aree franabili, il 15,8% aree alluvionabili e il 32,0% aree a dissesto misto ( aree

franabili e aree alluvionabili ). La superficie nazionale, classificata a potenziale rischio

idrogeologico più alto, è pari a 21.551,3 Km2 (7,1% del totale nazionale). La regione con il maggior

numero di comuni interessati è il Piemonte, mentre la Sardegna è la regione con il minor numero.

Le regioni caratterizzate dalla percentuale più alta, relativa al numero totale dei comuni interessati

da aree a rischio potenziale più alto, sono la Calabria, l’Umbria e la Valle d’Aosta, mentre la

Sardegna è quella con la percentuale minore.

In Italia il rischio idrogeologico si presenta sotto forme diverse a seconda dell’assetto

geomorfologico del territorio: frane, esondazioni e dissesti morfologici di carattere

torrentizio, trasporto di massa lungo i conoidi nelle zone montane e collinari, esondazioni e

sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura.

Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni, rientra senza dubbio

la conformazione geologica e geomorfologica, caratterizzata da un’orografia giovane e da rilievi in

via di sollevamento.

Tuttavia l’azione dell’uomo e le continue modifiche del territorio hanno, da un lato, incrementato la

possibilità di accadimento dei fenomeni e, dall’altro, aumentato la presenza di beni e di persone

nelle zone dove tali eventi erano possibili e si sono poi manifestati, a volte con effetti catastrofici.

L’abbandono dei terreni montani, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di

tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, l’apertura di cave, l’occupazione di zone di

pertinenza fluviale, l’estrazione incontrollata di fluidi dal sottosuolo, il prelievo di inerti dagli alvei

fluviali, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua hanno sicuramente aggravato il

dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano.

Vediamo ora più nel dettaglio alcuni fenomeni attraverso cui può manifestarsi il dissesto

idrogeologico.

LE ALLUVIONI

Le alluvioni sono tra le manifestazioni più tipiche del dissesto idrogeologico e sono causate da un

corso d’acqua che, arricchitosi con una portata superiore a quella prevista, rompe le arginature

oppure tracima sopra di esse, invadendo la zona circostante ed arrecando danni ad edifici,

insediamenti industriali, vie di comunicazione, zone agricole, etc.

Le alluvioni più importanti che hanno interessato l’Italia e che hanno comportato un pesante

bilancio sia in termini di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel Polesine (1951),

dell’Arno (1966) e del Po (1994 e 2000).

In Italia le aree a rischio elevato e molto elevato di alluvione sono moltissime, coprono una

superficie di 7.774 kmq, pari al 2,6 % della superficie nazionale.

Questi fenomeni avvengono con frequenza sempre maggiore e spesso sono causati da

precipitazioni che possono anche non avere carattere di eccezionalità; tra le cause vi sono senza

dubbio l’elevata antropizzazione e la diffusa impermeabilizzazione del territorio, che impedendo

l’infiltrazione della pioggia nel terreno, aumentano i quantitativi e le velocità dell’acqua che

defluisce verso i fiumi, e la mancata pulizia dei fiumi che rende meno efficienti dal punto di vista

idraulico gli alvei dei corsi d’acqua.

Molti bacini idrografici, soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati da tempi di sviluppo

delle piene dell’ordine di qualche ora; per tale motivo, è fondamentale allertare gli organi

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istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo possibile, al fine di ridurre l’esposizione

delle persone agli eventi e limitare i danni al territorio.

Una efficiente difesa dalle alluvioni si basa sia su interventi strutturali quali, per esempio, argini,

invasi di ritenuta, canali scolmatori, drizzagni, etc., sia su interventi non strutturali, ovvero quelli

relativi alla gestione del territorio, come i provvedimenti di limitazione della edificabilità, oppure

quelli relativi alla gestione delle emergenze, come la predisposizione dei modelli di previsione

collegati ad una rete di monitoraggio, la stesura dei piani di emergenza, la realizzazione di un

efficiente sistema di coordinamento delle attività previste in tali piani.

Alluvioni: come comportarsi

Soprattutto se si vive in zone a rischio è importante ascoltare con attenzione la radio o la televisione

per apprendere dell'emissione di eventuali avvisi di condizioni meteorologiche avverse. È utile

avere sempre a disposizione una torcia elettrica e una radio a batterie, per sintonizzarsi sulle stazioni

locali e ascoltare eventuali segnalazioni utili. Se ci si trova in condizione di preallarme si possono

salvaguarda i beni collocati in locali allagabili, solo se sei in condizioni di massima sicurezza;

bisogna poi assicurarsi che tutti gli abitanti siano al corrente della situazione; è bene quindi dirigersi

verso i piani alti delle case, evitando scantinati e piani terra, evitando la confusione e mantenendo la

calma.

Se non si corre il rischio di allagamento, è preferibile rimanere in casa, avendo cura di chiudere il

gas, l’impianto di riscaldamento e quello elettrico; di porre paratie a protezione dei locali situati al

piano strada e di chiudere le porte di cantine o seminterrati.

All’esterno infatti la situazione potrebbe diventare critica: l’acqua dei fiumi trasporta detriti

galleggianti che possono ferire o stordire; macchine e materiali possono ostruire temporaneamente

vie o passaggi che cedono all’improvviso; le strade spesso diventano dei veri e propri fiumi in

piena.

E’ fondamentale ricordare che la differenza tra il preallarme e l’allarme o evento in corso, può

essere minima e di difficile previsione: è sufficiente che la pioggia si concentri in una zona ristretta

per dar luogo a fenomeni improvvisi di inondazione.

Se ci si trova fuori casa è bene evitare l’uso dell’automobile se non in casi strettamente necessari;

evitare di transitare o sostare lungo gli argini dei corsi d’acqua, sopra ponti o passerelle, nei

sottopassi, sotto scarpate naturali o artificiali.

E’ bene allontanarsi tempestivamente verso i luoghi più elevati, non andando mai verso il basso.

Raggiunta la zona sicura, bisogna prestare la massima attenzione alle indicazioni fornite dalle

autorità di protezione civile, attraverso radio, TV e automezzi della Protezione Civile.

E’ importante evitare qualsiasi contatto con le acque: spesso l’acqua può essere inquinata da

petrolio, nafta o da acque di scarico; inoltre può essere carica elettricamente per la presenza di linee

elettriche interrate.

Il fondo delle strade può essere indebolito e potrebbe collassare sotto il peso di una automobile, si

dovrebbe quindi evitarne l’uso.

LE FRANE

Una frana avviene quando delle masse di roccia si staccano da pendii più o meno ripidi e cadono, o

scivolano, verso il basso sotto l’azione della forza di gravità.

Il meccanismo di una frana si può spiegare in questo modo: il materiale che costituisce un pendio,

una scarpata o una parete rocciosa, è attirato verso il basso della gravità, la forza che dà peso a ogni

oggetto. Rimane in quella posizione perché delle resistenze interne lo trattengono. Questo equilibrio

di forze dipende da fattori come la natura del terreno o della roccia, la forma del pendio o la

quantità d’acqua presente. Tali condizioni possono cambiare, per cause naturali o artificiali. In

questo caso l’equilibrio si può spezzare in favore della forza di gravità, che vince le resistenze

interne e trascina il materiale verso il basso causando, in altre parole, una frana.

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Ogni frana è un evento a sé, nel senso che può essere generata e si può sviluppare a seguito di

elementi e situazioni locali molto varie. Essa è fondamentalmente caratterizzata da fattori

predisponenti, ossia fattori che creano situazioni favorevoli alla sua generazione, come la natura e

la struttura del suolo, la pendenza dei versanti o l’inclinazione degli strati, e fattori determinanti,

ossia fattori che danno il via al movimento franoso, quali le piogge, le infiltrazioni d’acqua nel

terreno, i terremoti, ecc.

Le frane possono essere provocate da cause naturali, quali la pioggia o la presenza di fratture nel

terreno, e da cause artificiali, quali la costruzione di edifici sui pendii, o il disboscamento, che

priva il terreno della protezione delle radici. Per questo motivo è sempre molto importante rispettare

la natura, il cui equilibrio regola con armonia le forze che l’uomo invece tende a violare.

Frane: come comportarsi

Dettare precise norme di comportamento nel caso si fosse coinvolti in una frana è praticamente

impossibile, dato che gli elementi che la caratterizzano sono molteplici e di difficile controllo.

E’ bene essere informarti sulla presenza di aree a rischio di frana nel territorio comunale di

residenza; anche l’osservazione del terreno è una misura preventiva si possono rilevare piccole

frane o variazioni nella morfologia del terreno che potrebbero essere avvisaglie di eventi franosi. In

alcuni casi poi, prima delle frane, sono visibili sui manufatti alcune lesioni e fratturazioni e alcuni

muri tendono a ruotare o traslare.

E’ importante ricordare che non ci sono case o muri che possano arrestare una frana, soltanto un

luogo più elevato può considerarsi sicuro; spesso le frane si muovono in modo repentino, come le

colate di fango, bisognerebbe quindi evitare di transitare nei pressi di aree già sottoposte ad eventi

franosi, in particolar modo durante temporali o piogge violente.

Nel caso ci si trovi coinvolti in un evento franoso bisogna tempestivamente allontanati dai corsi

d’acqua o dalle incisioni torrentizie nelle quali vi può essere la possibilità di scorrimento di colate

rapide di fango.

Se ci si trova all’interno di un edificio bisogna ricordare che questo luogo può non essere sicuro, né

garantire alcun riparo, si deve quindi uscire ed allontanarsi immediatamente.

Se la frana viene verso di noi o se è sotto di noi, ci si deve allontanare il più velocemente possibile

lateralmente, cercando di raggiungere una posizione più elevata o stabile; se non è possibile

scappare, è bene rannicchiarsi il più possibile su se stessi, proteggendo la testa.

E’ bene guardare sempre verso la frana facendo attenzione a pietre o ad altri oggetti che,

rimbalzando, ci possano colpire; soffermarsi sotto pali o tralicci non è una buona precauzione,

questi potrebbero crollare e caderci addosso.

Se invece si sta percorrendo una strada in macchina ed una frana è appena caduta, bisogna segnalare

il pericolo alle altre automobili che potrebbero sopraggiungere e dare tempestivamente l’allarme al

più vicino centro abitato.

Una volta che la frana sembra finita è importante non avvicinarsi al ciglio esso infatti risulta

estremamente instabile; bisogna invece allontanarsi subito dall’area dato che può esservi il rischio

di ulteriori frane.

Mantenendosi all’esterno dell’area in frana si deve controllare se vi sono feriti o persone

intrappolate segnalandone, in questo caso, la presenza ai soccorritori.

Le frane possono spesso provocare la rottura di linee elettriche, del gas e dell’acqua, unitamente

all’interruzione di strade e ferrovie. Nel caso di perdita di gas da un palazzo, non si deve

assolutamente entrare per chiudere il rubinetto del gas, ma riferire subito questa notizia ai Vigili del

Fuoco o ad altro personale specializzato.

SUBSIDESCENZE E SPROFONDAMENTI

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La subsidenza consiste in un lento processo di abbassamento del suolo, che può coinvolgere

territori di estensione variabile. Tale fenomeno è generalmente causato da fattori geologici, ma

negli ultimi decenni è stato localmente aggravato dall’azione dell’uomo ed ha raggiunto dimensioni

spesso preoccupanti.

La subsidenza naturale è causata da diversi fattori: movimenti tettonici, raffreddamento di magmi

all’interno della crosta terrestre, costipamento di sedimenti, …; i movimenti verticali di tipo

naturale possono raggiungere valori di qualche millimetro l’anno. Le subsidenze prodotte o

aggravate da azioni antropiche invece possono essere anche di qualche metro; esse sono di norma

causate da emungimento di acque dal sottosuolo, estrazione di gas o petrolio, carico di grandi

manufatti, estrazione di solidi, ...

In Italia i fenomeni di lenta subsidenza si sono verificati lungo la fascia costiera adriatica da Rimini

a Venezia (dove questo fenomeno è particolarmente noto), specialmente nei pressi del Delta del Po,

ma anche nei dintorni di agglomerati urbani come Milano, Bologna e Modena, in questi casi

soprattutto per l’estrazione di acqua dal sottosuolo. Casi più recenti sono stati segnalati in Puglia,

nella Piana di Sibari e nella Pianura Pontina.

I provvedimenti da attuare a fini preventivi consistono essenzialmente in una corretta gestione delle

risorse idriche, evitando di ricorrere in modo eccessivo al prelievo dalle falde, ed in una rigorosa

pianificazione delle attività estrattive.

Un problema affine a quello della subsidenza, ma che ha, al contrario del primo, importanti ricadute

di protezione civile, è quello degli sprofondamenti rapidi (sinkholes). Tali fenomeni sono dovuti sia

a cavità naturali presenti nel sottosuolo che a cavità realizzate dall’uomo fin dall’antichità (cave in

sotterraneo, ambienti di vario uso, depositi, acquedotti, fognature, drenaggi,…).

Il rischio legato alle cavità sotterranee è particolarmente diffuso nelle aree urbane dove l’azione

dell’uomo ha portato alla creazione di vuoti nel sottosuolo per la maggior parte dei quali si è persa

la consapevolezza dell’esistenza, a causa soprattutto della incontrollata crescita urbanistica degli

ultimi decenni.

RISCHIO SISMICO E VULCANICO

Il termine terremoto deriva dal latino tèrrae mòtus che significa “movimento della terra”, sisma

invece viene dal greco seismós, “scossa”; con tali vocaboli si intende un'improvvisa vibrazione del

terreno prodotta da una brusca liberazione di energia, tale

energia si propaga in tutte le direzioni (come una sfera)

sotto forma di onde.

L’origine di questa energia è una zona del sottosuolo in

cui si era andata nel tempo accumulando, tale zona è

chiamata ipocentro, mentre il punto della superficie

terrestre posto sulla verticale di essa viene detto

epicentro.

I terremoti possono originarsi a pochi chilometri di

profondità ma anche a profondità notevoli, fino ad oltre

700 chilometri sotto la superficie terrestre.

A parità di energia liberata l’ampiezza dell’area in cui il

terremoto si manifesta è tanto meno estesa quanto più è superficiale l’ipocentro. Con il crescere

della profondità dell’ipocentro gli spostamenti del terreno in superficie si fanno sempre più lievi ma

nello stesso tempo si estende l’area in cui gli effetti del sisma si fanno sentire; da ciò si deduce che i

terremoti più violenti generalmente sono quelli con ipocentro poco profondo.

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Vediamo ora qual è l’origine dell’energia che scatena un sisma: se una porzione di roccia inizia a

deformarsi, essa offrirà una certa resistenza (che cambia a seconda del tipo di roccia), ma quando le

forze che tengono insieme la roccia vengono superate da quelle che la deformano allora questa si

spezza e si ha un brusco spostamento delle due parti che rilasciano l'energia che avevano

accumulato durante la deformazione e ritornano in uno stato indeformato. Lo spostamento avviene

sia verticalmente che orizzontalmente. Di solito queste rotture, ed i conseguenti spostamenti, si

hanno lungo linee preferenziali chiamate faglie, che sono sostanzialmente fratture nel terreno,

profonde anche vari chilometri, lungo le quale avvengono i movimenti del terreno. Infatti una faglia

non è altro che una linea di minore resistenza della roccia sottoposta a pressioni e quindi la rottura

avviene sempre lungo questa linea.

Diverse possono essere le cause che generano il terremoto: eruzioni vulcaniche, collassi di caverne

o impatti con meteoriti, ma le più frequenti sono gli spostamenti reciproci delle zolle di cui è

formata la crosta terrestre. Nella maggior parte dei casi

quindi i terremoti si generano quando due placche slittano lungo la superficie di separazione (detta

piano di faglia) in direzioni opposte. Normalmente l’attrito impedisce che le zolle si muovano lungo

la linea di contatto, ma questa resistenza comporta un notevole accumulo di tensione nei blocchi

rocciosi che lentamente si deformano. Quando lungo il margine delle placche a contatto le pressioni

che si vengono a creare superano la resistenza dovuta all’attrito, si verifica un improvviso e brusco

movimento reciproco. Un esempio di questo meccanismo di azione si ha in California dove la

gigantesca zolla del Pacifico, spinta dal magma che fuoriesce dalla dorsale medio-oceanica, entra in

contatto con la zolla del Nord-America lungo la famosa e temutissima faglia di San Andreas:

quando l’attrito che si genera fra questi due enormi blocchi di crosta terrestre raggiunge il limite di

resistenza l’energia lentamente accumulata si scarica tutta insieme generando un terremoto.

A volte, invece che scontrarsi con sollevamento della crosta e conseguente nascita di possenti

catene montuose (come è avvenuto ad esempio per le Alpi e l’Himalaia) una placca si infila sotto

un’altra: il fenomeno si chiama subduzione e rappresenta la causa principale dei fenomeni sismici

che tormentano l’arcipelago nipponico mettendo in pericolo costante e mortale una delle zone a più

alta concentrazione demografica del mondo.

Le regioni più sismiche sono fondamentalmente due: il bordo dell’Oceano Pacifico, il cosiddetto

“anello di fuoco”, che comprende da un lato Cile, Perù, Equador, Columbia, America Centrale,

Messico, California e Alaska e dall’altro Russia, Giappone, Filippine, Nuova Guinea e Nuova

Zelanda dove si verifica l’80% dei terremoti e la fascia mediterranea (all’interno della quale è

inserita anche la nostra penisola) che si protende in Asia fino a congiungersi con quella del Pacifico

attraverso le Indie Orientali: qui si verifica il 15% dei terremoti. Il rimanente 5%, distribuito nel

resto della Terra, è concentrato soltanto in ristrette aree, con prevalenza sulle creste delle dorsali

medio-oceaniche, mentre praticamente non si manifestano terremoti nel corpo dei continenti e nei

fondi oceanici che sono considerate le zone più stabili della Terra.

Non meno importante è il rischio associato alle eruzioni vulcaniche, concentrato però in un'area

sensibilmente più ristretta rispetto a quella sottoposta al rischio sismico.

Un vulcano è la via attraverso la quale il materiale fuso, chiamato magma, dall'interno della Terra

arriva in superficie, trabocca all'esterno e si raffredda formando la roccia effusiva chiamata lava.

Nel corso di tale movimento porzioni di magma possono rimanere intrappolate entro la crosta e non

raggiungere mai la superficie. In questo caso si raffreddano e formano roccia solida all'interno della

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crosta stessa, dando origine alle rocce plutoniche o intrusive. Vediamo che magmi diversi (per

composizione chimica, per temperatura o per contenuto in gas), che fuoriescono in situazioni

geologiche diverse (sul fondo del mare, o dopo aver attraversato la crosta oceanica o quella

continentale), danno origine a differenti tipi di eruzioni; queste a loro volta, a secondo del modo di

come avvengono, danno origine a diversi prodotti vulcanici e a diversi vulcani.

Tra i fattori che determinano la natura di un'eruzione, quelli principali sono: la composizione

chimica del magma, la sua temperatura e la quantità di gas disciolti in esso. I primi due

controllano principalmente la mobilità del flusso di magma, chiamata più precisamente viscosità;

quanto più questo è viscoso tanto maggiore è la sua difficoltà a muoversi e scorrere. Una delle

differenze composizionali che più determinano differenti viscosità e quindi differenti tipi di eruzioni

è la quantità di silice (SiO2).

Se osserviamo la distribuzione dei vulcani nel mondo, notiamo che questa ricalca quella vista in

precedenza per le aree sismiche. La maggior parte di essi infatti si trova in corrispondenza dei

contatti tra le varie placche che formano la crosta, e in particolare lungo i margini di subduzione.

Alcuni invece si trovano lontani da questi margini attivi, come quelli delle Hawaii, che sono

associate agli hot spots, fessurazioni della crosta attraverso cui il magma risale direttamente dal

mantello.

In Italia sono considerati attivi solamente l’area costiera della Campania, con i complessi vulcanici

dei Campi Flegrei, Ischia e Somma-Vesuvio, l’Etna e le isole Eolie.

Associati al rischio vulcanico sono numerosi fenomeni tra cui:

· colate di lava e piroclastiche;

· ricaduta di proietti vulcanici di varie dimensioni;

· emissione di gas;

· colate di fango;

· terremoti e maremoti (vedi ad esempio quello avvenuto nel corso dell’eruzione dello

Stromboli del 2002, probabilmente collegato ad una frana sottomarina da un fianco del vulcano).

Il rischio vulcanico è elevato, nelle suddette aree, principalmente per la concentrazione e

l’estensione dell’urbanizzazione a ridosso degli apparati vulcanici attivi. Particolarmente allarmante

è il caso del Vesuvio, apparentemente quiescente dal 1944, e dei Campi Flegrei in cui, in caso di

necessità, è evidente la difficoltà di utilizzare efficacemente la “macchina” dei soccorsi e procedere

all’evacuazione delle centinaia di migliaia di persone individuate come sottoposte a rischio elevato.

Le eruzioni dell’Etna e dell’isola vulcanica di Stromboli del 2002, fortunatamente senza gravi

conseguenze, sono il più recente esempio di come l’evento vulcanico, per quanto più facilmente

prevedibile e modellabile rispetto al terremoto, rimanga comunque una sorgente significativa di

rischio e conservi margini significativi di incertezza rispetto all’evoluzione dei fenomeni. In

conseguenza di ciò, insieme a studi sempre più approfonditi, assume carattere prioritario nel medio

e lungo termine un energico intervento di pianificazione territoriale per ripristinare un corretto

assetto urbanistico.

Terremoto: come comportarsi

Innanzi tutti è fondamentale cercare di mantenere la calma e non farsi prendere dal panico.

Se ci si trova in un luogo chiuso è sbagliato precipitarsi fuori, è meglio restare all’interno,

riparandosi sotto un tavolo, sotto gli architravi delle porte o vicino ai muri portanti; è importante

tenersi lontano invece dalle finestre, dalle porte a vetri, dagli armadi perché potrebbero cadere,

rompendosi e ferirci.

Un luogo da evitare è il vano delle scale, queste potrebbero crollare o comunque danneggiarsi: è

pericoloso quindi usarle, è sempre preferibile avvalersi delle scale di emergenza esterne.

L’edificio andrebbe abbandonato solo all’ordine di evacuazione dei Vigili del Fuoco, bisogna

quindi seguire scrupolosamente le loro indicazioni e, se ci si trova a scuola, il piano di evacuazione

previsto, uscendo dall’edificio senza usare gli ascensori né le scale principali, ma le scale e le uscite

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d’emergenza. Una volta fuori ci si deve radunare negli appositi spazi di raccolta in modo da non

correre ulteriori rischi e da facilitare il compito ai vigili.

Se ci si trova all’aperto bisogna tempestivamente allontanarsi dagli edifici, dagli alberi, dai

lampioni e dalle linee elettriche perché potrebbero cadere e ferirci.

E’ importante trovare un posto dove non si ha nulla sopra di noi (balconi, insegne, lampioni,…) o

comunque cercare riparo sotto qualcosa, come una panchina ad esempio.

Infine è bene non avvicinarsi agli animali, questi sono molto spaventati dai terremoti e potrebbero

imbizzarrirsi e ferirci.

LE VALANGHE

Le valanghe (o slavine) sono costituite da masse nevose che si distaccano in modo improvviso e

repentino dai pendii di un rilievo, precipitando verso valle ed accrescendosi di volume durante il

percorso.

Il pericolo delle valanghe è fortemente legato alla presenza di turisti ed escursionisti in montagna e

quindi della maggiore esposizione sia delle persone che degli edifici e delle infrastrutture al rischio

di valanghe.

La classificazione delle valanghe non è delle più semplici a causa delle notevoli variabili che

entrano in gioco (tipo di distacco, tipo di neve, posizione del piano di scorrimento, etc.).

E’ molto importante, per le valanghe (che possono essere sia spontanee che innescate), determinare

se si tratti di valanghe di superficie o di fondo: se la rottura avviene all’interno del manto nevoso, si

ha una valanga di superficie, mentre se avviene a livello del terreno, la valanga è detta di fondo. Le

valanghe possono essere poi radenti (a contatto con la superficie) o nubiformi (queste ultime sono

dette anche polverose e possono essere costituite di neve asciutta).

Prevedere la caduta di una valanga non è un compito semplice, in quanto spesso la loro caduta non

è preceduta da alcun preavviso; pur tuttavia sono note con una certa precisione quali sono le aree a

rischio di valanghe e vengono segnalate situazioni di pericolo mediante i cosiddetti “bollettini delle

valanghe”.

Le cause della valanghe possono essere diverse, ma in ogni caso riferibili alla diminuzione della

coesione della massa nevosa, che ne determina il distacco. A questo proposito, aspetti di una certa

rilevanza sono la lunga permanenza di uno strato di neve in superficie, il riscaldamento primaverile

e l’azione di piogge di una certa consistenza.

I provvedimenti da attuare nel caso di rischio valanghe consistono innanzitutto nel conoscere quali

sono le aree dove tali fenomeni si generano: in generale, infatti, le valanghe prendono origine quasi

sempre dagli stessi luoghi, tipicamente aree di alta montagna, con terreni rocciosi nudi, tra i

2.000 ed i 3.000 metri, prive per lo più di copertura vegetale.

In questo caso un provvedimento da adottare consiste senz’altro nell’evitare queste aree, soprattutto

in periodi molto pericolosi, come l’inizio della primavera, quando l’innalzamento delle

temperature può essere tale da provocare lo scioglimento repentino delle masse nevose.

Valanghe: come comportarsi

E’ bene informarsi sempre sulle condizioni di innevamento e dei versanti, consultando

frequentemente anche i bollettini delle valanghe, che forniscono indicazioni rapide e sintetiche sul

pericolo di valanghe, secondo una scala numerica crescente da 1 a 5.

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Rispettare la segnaletica e le indicazioni presenti sulle piste riguardo le condizioni dei percorsi sci,

alpinistici e di discesa fuori pista, evitando di passare attraverso versanti a forte pendenza ed a forte

innevamento o attraverso pendii aperti, canaloni e zone sottovento, specialmente nelle ore più calde,

è basilare per evitare inutili rischi.

E’ essenziale poi che ogni escursionista non sia mai solo, sia adeguatamente equipaggiato, al fine di

rendere possibile l’autosoccorso da parte degli altri escursionisti in un arco di tempo

sufficientemente ridotto.

E’ necessario dunque disporre di un apparecchio di ricerca per la rapida localizzazione in valanga

(ARVA) che, posto in trasmissione all’inizio dell’escursione, viene commutato in modalità di

ricerca nel caso di incidente.

Gli altri materiali per l’autosoccorso sono costituiti da una sonda leggera per l’individuazione del

punto esatto in cui si trova la persona sepolta ed una pala per poter liberare il più velocemente

possibile una persona sepolta: in genere la profondità di seppellimento si aggira intorno al metro.

L’equipaggiamento sopra menzionato deve essere in possesso di ogni componente della comitiva.

Nel caso in cui non si sia in grado di effettuare l’autosoccorso, o anche semplicemente per avere

bisogno di aiuto, occorre chiedere immediatamente soccorso telefonando al 118. In questo caso

scatta il cosiddetto “soccorso organizzato” organizzato appunto dal Soccorso Alpino con l’ausilio

di elicotteri, cani da valanga e tecnici specializzati.

Se si rimane coinvolti in prima persona dalla valanga è bene ricordare che la neve tende ad

accumularsi nella zona centrale e quindi potrebbe essere più facile trovare una via di fuga laterale,

bisogna quindi muovere braccia e gambe, come se si nuotasse, per cercare di avvicinarsi al margine

della valanga e di rimanere in superficie.

EROSIONE COSTIERA E MAREGGIATE

In un paese con migliaia di chilometri di coste come il nostro, il problema dell’erosione costiera è

molto diffuso e sentito.

Negli ultimi decenni, a causa dei prelievi indiscriminati di ghiaia e di sabbia lungo l’alveo di molti

fiumi italiani, è diminuito enormemente l’apporto del trasporto solido fluviale (sedimenti, detriti,

…) recapitato alle spiagge. Per tale motivo, in numerosi litorali la linea di costa è vistosamente

arretrata, portandosi a ridosso di strade, edifici, insediamenti industriali, minacciandone l’integrità e

costringendo talvolta la popolazione ad evacuare l’area.

Il problema è stato inoltre aggravato dalle mareggiate che, con frequenza variabile, si abbattono

sulle coste e modificano, in modo anche sostanziale, la morfologia della linea di costa.

Per contrastare tali fenomeni, sono state spesso costruite numerose opere di difesa, sia trasversali

alla riva (pennelli), longitudinali (frangiflutti), che radenti (muri di sponda, paratie, etc.).

Nei casi in cui l’arretramento sia stato talmente cospicuo da erodere gran parte della spiaggia, sono

stati attuati interventi più drastici, quali il ripascimento artificiale, consistente nel disporre sulla

spiaggia idoneo materiale di riporto, estratto da cave, in modo da ripristinare le originarie

condizioni dell’arenile.

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Capitolo 6

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INTRODUZIONE

Come già evidenziato, la domanda di energia continuerà a crescere, fondamentalmente, a causa

dell’aumento di popolazione, quindi dei consumi mondiali e dell’aumento del tenore di vita dei

PVS e soprattutto della vertiginosa industrializzazione di Cina e India. Ciò comporta e comporterà

un aumento della produzione di combustibili fossili, proprio per far fronte ai previsti incrementi dei

consumi finali di energia. A questo punto appare rilevante la gestione dell’energia: una corretta

gestione si può ottenere agendo direttamente sulla produzione, con un’elaborazione istante per

istante dell’energia richiesta. Questa è una pratica estremamente difficile ed onerosa e può essere

applicata in casi particolari (turbine a gas o sistemi di caduta idraulica) usufruendo però di un

vettore energetico, l’elettricità, estremamente raffinato e costoso. Ben più proficua è la pratica di

accumulare energia per poi ridarla nel tempo. L’accumulo può avvenire sfruttando fenomeni

naturali oppure valendosi di azioni tecnologiche su larga scala oppure mediante azioni istantanee

compiute sull’andamento di disponibilità energetica in relazione alla domanda.

Contemporaneamente assume grande rilevanza il tema del trasporto di energia che, avvalendosi

prevalentemente dell’elettricità quale vettore energetico, presenta innanzitutto problemi di carattere

economico. E’ emerso allora, come aspetto di economicità di trasporto, l’uso di aeriformi o di

composti chimici particolari. Infine, le tecnologie di recupero del calore, sviluppate in conseguenza

del marcato aumento del prezzo del petrolio, hanno dato impulso al sistema di trasporto e gestione

del calore a distanza (teleriscaldamento) dando possibilità di differenziare sempre più la fase di

utilizzo. In ogni caso, mentre prima per il vettore energetico le varie fasi di elaborazione, trasporto e

consumo finale risultavano concentrate, ora si tende sempre più ad usare vettori energetici adatti e

ottimizzati per ciascuna delle tre fasi . La priorità, oggi, è quella di garantire un corretto accesso alle

fonti onde consentirne uno sfruttamento razionale e, nel breve-medio periodo, giungere alla

sostituzione graduale delle fonti fossili con fonti rinnovabili tra le quali sta assumendo crescente

importanza l’idrogeno la cui produzione, come si vedrà in seguito, è strettamente connessa con

entrambe le categorie di fonti. Nei prossimi paragrafi si effettuerà quindi, un’analisi delle questioni

connesse alla gestione delle principali fonti energetiche considerando la loro fondamentale

distinzione in fonti rinnovabili e non, cui seguiranno le relative implicazioni ambientali.

1. Le fonti energetiche non rinnovabili

Le fonti di origine fossile che attualmente sono alla base della produzione di energia sono il

petrolio, il carbone e il gas naturale. Il combustibile fossile per eccellenza è il petrolio: esso ha

avuto un’ampia e irreversibile diffusione parallelamente e coerentemente con lo sviluppo della

tecnologia industriale e civile. Il petrolio è alla base di consumi energetici per generazione di calore

a bassa e media temperatura e di consumi per produzione di numerose materie prime di sintesi. Uno

degli aspetti più significativi è quello della distribuzione e del consumo delle risorse in Paesi

differenti da quelli in cui si ha il massimo di produzione. Conseguentemente, le crisi economiche

che hanno avuto origine dai tagli alla produzione di petrolio, hanno coinvolto tutti i Paesi

industrializzati la cui economia è basata prevalentemente sull’impiego di questo combustibile. Il

petrolio è così intimamente connesso con la struttura energetica, industriale ed economica, che ogni

sua variazione di prezzo, di uso, di tecnologia può avere effetti imprevedibili. Le stesse politiche di

risparmio sono in parte legate ad un continuo aumento del prezzo che è costantemente sotto

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controllo gestionale delle principali compagnie petrolifere. Il prezzo di mercato del petrolio, infatti,

non è ancorato ai costi bensì viene fissato con precisi criteri di opportunità politica. Ma proprio il

continuo aumento dei prezzi, sta mutando questa situazione, permettendo investimenti anche in

giacimenti sino ad ora non ritenuti remunerativi. L’utilizzazione dei grandi giacimenti del Mare del

Nord, dei giacimenti off-shore nel Mediterraneo, nell’Adriatico in particolare, ha avuto proprio

origine da tutto ciò . Il problema principale posto dall’impiego dei combustibili fossili è quello del

danno ambientale causato dai prodotti della loro combustione, ma anche dalle tecnologie per la loro

estrazione, trasporto, trattamento ed in particolare il loro utilizzo finale. E’ indubbio che l’utilizzo

dei combustibili fossili, ancorché abbia agevolato ed in alcuni casi addirittura permesso lo sviluppo

tecnologico ed il progresso, purtuttavia ha avuto un effetto dannoso sull’ambiente provocando

anche effetti economici negativi, diretti ed indiretti. I danni maggiori, comunque, sono quelli legati

al loro impiego finale. In particolare, la combustione libera nell’aria, oltre all’anidride carbonica,

anche elementi aggiunti nella fase di raffinazione (piombo, alcol, metanolo, etanolo, ecc.). Una

volta liberati nell’atmosfera, essi, mescolati all’acqua e con effetti innescati dalla luce solare, si

combinano chimicamente con altre sostanze, cambiando la loro forma e dando vita ad agenti

inquinanti secondari (nitrati, acidi, ecc.) che provocano l’inquinamento, con notevoli effetti sulla

salute umana e sul mondo animale e vegetale. Oltre alle cosiddette piogge acide, provocate dagli

ossidi di azoto e di zolfo, sono state ormai anche riconosciute la rugiada, la nebbia e le nevi acide, la

cui deposizione provoca l’acidificazione di suoli ed acque (Veziroglu, 1998). Infine, non è da

sottovalutare la principale conseguenza di tali fenomeni: il cosiddetto effetto serra. Da qualche

decennio, un aumento della concentrazione di gas serra nell'atmosfera ne sta riducendo la

trasparenza alle lunghezze d'onda infrarosse, causando un aumento globale della temperatura.

Vengono generalmente definiti gas serra quei gas in grado di "intrappolare" la radiazioni infrarosse

causando l'aumento della temperatura sulla superficie terrestre. Questi gas sono essenzialmente:

l'anidride carbonica, il metano, il protossido di azoto, gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi e

l'esafluoruro di zolfo. Se, a causa dell'effetto serra, dovesse verificarsi un riscaldamento globale

della superficie terrestre, il ghiaccio della Groenlandia e del Mar Glaciale Artico si scioglierebbe e

una enorme quantità di acqua dolce si aggiungerebbe a quella del Tropico. Inoltre la temperatura

più mite farebbe aumentare le piogge sull'Artico, la loro acqua dolce aggraverebbe la situazione, la

Corrente del Golfo non farebbe più sentire i suoi benefici effetti e i ghiacci artici ricomincerebbero

ad estendersi. Dato che l'acqua riflette solo il 10% della radiazione solare, assorbendo il resto (e

quindi riscaldandosi), mentre il ghiaccio ne riflette ben il 90%, si avrebbe quindi un ulteriore

raffreddamento, che porterebbe ad una nuova era glaciale (http://www.inclasse.it).

Tra i gas l'anidride carbonica (CO2) è certamente quello più influente sull'effetto serra. Dopo

l’adozione del Protocollo di Kyoto , l’acceso dibattito sugli indicatori di emissione dei gas serra, in

particolare di CO2, costituisce il segnale della reale attenzione dei Paesi industrializzati alla

riduzione di tali emissioni. Gli accordi raggiunti, se rispettati, consentiranno una notevole riduzione

ed un miglioramento qualitativo dell’impiego di energia nei Paesi partecipanti. Le emissioni

mondiali di CO2, , sono cresciute costantemente dell’1,3% all’anno durante gli anni 1980, mentre la

crescita è aumentata notevolmente nella seconda metà degli anni 1990. I Paesi che hanno

fortemente contribuito a determinare l’aumento delle emissioni di CO2 (anche fino al 6%), sono

quelli dell’area asiatica, mediorientale e dell’America Latina mentre le emissioni dei Paesi

industrializzati non sono aumentate, in media, più del 2%. ll settore che di gran lunga contribuisce a

tali emissioni è quello della produzione di energia, in seguito alla crescente elettrificazione delle

aree in via di sviluppo, che si prevede continuerà ed aumentare nei prossimi anni. Questa tendenza

sarà accentuata dall’impiego di una quantità sempre crescente di combustibili solidi per la

generazione di energia termica, mentre si prevede una riduzione delle emissioni dei settori terziario

e domestico grazie all’implementazione del gas naturale. Attualmente, esistono diversi metodi per

catturare l’anidride carbonica prodotta dalla combustione delle fonti fossili negli impianti per la

produzione di energia e si suddividono in genere in processi pre-combustione e post-combustione.

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Nel secondo caso, si tratta di adottare particolari metodi di reforming e gassificazione, che saranno

trattati nel prossimo capitolo. Per quanto riguarda i processi pre-combustione, al flusso di gas

prodotto viene applicato un particolare solvente a base di ammina, già utilizzato nell’industria

chimica e petrolifera. Esso consente di catturare l’anidride carbonica che viene poi isolata tramite

riscaldamento del solvente, e quest’ ultimo riutilizzato per altri processi. L’energia necessaria alla

L’energia necessaria alla rigenerazione del solvente rappresenta uno dei principali svantaggi di

questo metodo, oltre agli alti costi delle strutture necessarie. Diversi studi infatti, hanno dimostrato

che l’intero processo comporterebbe una riduzione delle emissioni di anidride carbonica dell’80% a

fronte, però, di un notevole incremento dei costi operativi ed una diminuzione dell’efficienza di

produzione di elettricità (Wallace, 2000). Numerosi studiosi infine, si sono occupati di quantificare

economicamente il danno ambientale provocato dalle fonti energetiche. Tali costi (le cosiddette

esternalità) non sono da considerare compresi nei prezzi dei combustibili fossili. Essi sono pagati

dalla collettività, direttamente o indirettamente, tramite tasse, spese sanitarie, premi di

assicurazione, e anche attraverso la diminuzione della qualità della vita. Se i rispettivi danni

ambientali fossero inclusi nel prezzo dei combustibili, si ricorrerebbe certamente all’introduzione di

fonti "pulite" con notevoli benefici ambientali ed economici

IL PROTOCOLLO DI KYOTO

Il protocollo di Kyoto è un accordo internazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra,

responsabili del surriscaldamento del pianeta (global warming), firmato il 7 dicembre 1997, il

giorno seguente alla chiusura ufficiale della terza Conferenza delle Parti della Framework

Convention on Climate Change. L’adozione del protocollo di Kyoto ha rappresentato la tappa più

rilevante del processo di negoziazione per il controllo del cambiamento climatico, avviato alla

Conferenza di Rio del 1992. I Paesi soggetti a vincolo di emissione sono 39, ed includono,

sostanzialmente, i Paesi dell’OCSE e quelli con economie in transizione. Il tasso di riduzione delle

emissioni (misurate in CO2 equivalenti) è già differenziato per ogni Paese con un valore medio di

riduzione pari al 5,2%. Le percentuali di riduzione dei diversi Paesi sono state oggetto di

lunghe trattative e non sono state accettate dalla politica statunitense e giapponese che prevedevano,

invece, la semplice stabilizzazione delle emissioni ed una riduzione al 2,5%. Al contrario,

all’Europa, è stato accordato un tasso di riduzione dell’8% benché si fosse dichiarata disposta ad

una più massiccia riduzione del 15%. Molti altri obbiettivi sono stati fissati a seguito di posizioni

intransigenti sostenute dalla Norvegia, Australia, Federazione Russa. Al di là degli importantissimi

problemi di equità, è un fatto che l’esclusione dei PVS dal vincolo di emissione indebolisce

notevolmente la forza del protocollo. Si stima infatti che i ¾ dell’incremento delle emissioni di CO2

, tra l’anno 1995 e l’anno 2010, verrà dalla Repubblica Popolare di Cina e dai PVS mentre per

raggiungere la stabilizzazione delle emissioni globali di gas serra occorre una loro diminuzione del

50% entro l’anno 2050. L’accordo lascia alle Parti un certo grado di libertà nel raggiungimento

dell’obiettivo, da realizzare nell’intervallo 2008-2012, attraverso alcuni meccanismi che dovrebbero

dar luogo, con la dovuta flessibilità, ad una minimizzazione dei costi (http://www.energia-

online.com). Le principali politiche energetiche che si stanno attuando puntano in primo luogo alla

riduzione delle emissioni di CO2, che senza tali misure, si stima possano aumentare del 30%

nell’anno 2020. Tali politiche, oltre alla riduzione nei livelli di attività ed al miglioramento

dell’efficienza di conversione nella fase di fornitura dell’energia, prevedono numerosi interventi nel

settore dei trasporti. Essi consistono essenzialmente nel cambiamento graduale dei combustibili

impiegati con incremento dell’impiego di fonti rinnovabili, nell’incoraggiare i costruttori a

sviluppare ed investire in tecnologie per la costruzione di veicoli a ridotto impatto ambientale ed

alta efficienza energetica e nel favorire l’acquisto di tali veicoli attraverso l’erogazione di incentivi.

Inevitabilmente, per la complessità degli impegni e dei meccanismi previsti, il documento è

incompleto e ha lasciato, implicitamente o esplicitamente, un gran numero di questioni irrisolte.

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Infatti, undici mesi dopo Kyoto, a Buenos Aires, nella quarta conferenza delle Parti, i Paesi si sono

incontrati per cercare di chiudere tali questioni. La divergenza degli interessi e le differenti

sensibilità ambientali dei Paesi hanno dato luogo ad una sorta d’impasse: il chiarimento dei punti

critici è stato rimandato ad un piano d’azione alla cui scadenza, ancora una volta non sono stati

rispettati gli impegni assunti. Purtroppo è noto a tutti lo sviluppo negativo che ha accompagnato il

raggiungimento degli obbiettivi prefissati a Kyoto ed il fallimento della sesta conferenza delle Parti

tenutasi all’Aia, caratterizzata tra l’altro dalle continue e pressanti manifestazioni di gruppi di

ambientalisti: la conferenza si è conclusa con una "sospensione" dei lavori a causa della rigidità

della posizione statunitense, determinata a non ridurre il livello di emissioni ma ad avvalersi

dell’azione dei cosiddetti "carbon sink", ovvero boschi ed altre colture in grado di assorbire CO2, la

cui produzione è stata già vietata in Giappone. La questione ambientale resta così ancora una volta

irrisolta, segno degli innumerevoli interessi che si celano dietro la volontà reale di tutti i Paesi di

contribuire alla riduzione delle emissioni nocive.

2. Le fonti energetiche rinnovabili La soluzione immediata al problema ambientale consiste innanzitutto nell’impiego di fonti

energetiche non inquinanti. Esse attualmente contribuiscono in misura limitata alla produzione di

energia. Ciò nonostante si è visto che il petrolio, nel breve-medio periodo, continuerà ancora a

rivestire un ruolo fondamentale, mentre la maggior parte delle fonti rinnovabili sarà ancora

ostacolata da difficoltà quali l’intermittenza casuale della produzione di energia e gli elevati costi,

difficoltà che sono ben lungi dal renderle competitive con le caratteristiche che invece rendono

vantaggioso l’impiego del petrolio. Alcune di queste fonti (acqua e geotermia) sono già ampiamente

sfruttate, altre sono ai primi stadi di applicazione (eolica, solare e biomasse) mentre per nuove fonti

rinnovabili, quali l’idrogeno (di cui si discuterà ampiamente nel prossimo capitolo), la ricerca è

ancora in fase sperimentale. Prima fra tutte l’energia idroelettrica, protagonista della rivoluzione

industriale dei Paesi ricchi, contribuisce con il 2,3% alla produzione mondiale di energia e da alcuni

anni è in espansione nei PVS, anche se oggi si tende a valutare con più attenzione l’impatto

ambientale. Il problema della gestione inoltre riguarda non soltanto il trasporto e la distribuzione ma

anche un corretto esercizio di questa pregiata fonte di energia attraverso una adeguata

considerazione dei fattori qualitativi dell’energia prodotta: tempo, intensità, elaborazione in base

alla richiesta dell’utenza. Per questo motivo si sta sempre più diffondendo la realizzazione delle

cosiddette "centrali ad accumulazione" che consentono la produzione di elettricità in base alla

richiesta e prevedono l’accumulo, sotto forma di potenziale energia meccanica, della produzione in

esubero nei periodi di minore richiesta. Si prevede che questo tipo di centrali avranno uno sviluppo

positivo. Per quanto riguarda la fonte geotermica invece, oltre al perfezionamento delle attuali

tecniche per l’utilizzo dei flussi di vapore, per il futuro si prevede l’uso diretto di acque calde che,

anche se non possiedono un elevato contenuto energico, permettono in ogni caso un risparmio

prezioso di combustibile fossile. E’ quindi importante sottolineare il rapporto corretto che deve

esistere fra l’uso della risorsa geotermica e l’ambiente; è necessario trovare la maniera di usarlo e

gestirlo proficuamente laddove esso presenti particolari caratteristiche qualitative e dove esistono

possibili utenze nelle vicinanze. Un comportamento non programmato può comportare danni

all’ambiente e soprattutto il decadimento della risorsa stessa (Ciborra, 1999). Allo stato attuale,

nell’ambito delle fonti rinnovabili, l’energia eolica è quella più vicina alla competitività con le fonti

tradizionali per la produzione di energia elettrica laddove esistono caratteristiche favorevoli. Questo

tipo di energia non è inquinante, ossia è una forma pulita ed il fatto che si renda disponibile sotto

forma meccanica consente una sua facile trasformazione in energia elettrica. I fattori negativi vanno

ravvisati nel fatto che ha una bassa concentrazione energetica, elevata irregolarità e mutevolezza.

Questa fonte d’energia ha avuto la crescita maggiore soprattutto in Germania, Stati Uniti

d’America, Danimarca, India e Spagna mentre esistono Paesi come la Francia in cui l’installazione

di impianti eolici privati è addirittura proibita. Molti altri Paesi sono interessati a progetti e

programmi di sfruttamento dell’energia eolica, poiché certe previsioni, anche se da alcuni ritenute

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84

esagerate, parlano di una produzione futura paragonabile a quella ricavabile dall’energia nucleare

(Chiacchierini, 1992). L’attenzione maggiore dell’attuale tecnologia è posta soprattutto

all’efficienza di conversione e all’azione di accumulo dell’energia prodotta. Solo attraverso

l’approfondimento di questi due temi si potrà rilanciare l’energia eolica e contemporaneamente

realizzare l’integrazione dei sistemi eolici con sistemi di produzione e accumulo di energia sotto

forma chimica, come si è recentemente proposto di fare nel caso della produzione di idrogeno. Gli

stessi problemi sono legati anche all’impiego dell’energia solare. Il maggior problema che si

deve affrontare al fine di sviluppare questa inesauribile sorgente di energia è quello della sua

conversione in altre forme economicamente sfruttabili. Questo perché la densità media

dell’irraggiamento solare è piuttosto bassa e discontinua secondo le stagioni, la latitudine, l’altezza

alla quale si capta, l’ora del giorno, le condizioni atmosferiche. Il problema della gestione

dell’energia solare va quindi affrontato tenendo conto di questi fattori, per cui è disponibile, in

termini di utilizzo assai ridotti rispetto alle usuali tendenze della civiltà moderna . L’applicazione

più importante è la produzione di acqua calda a bassa temperatura per usi industriali e per impieghi

nel settore civile mediante pannelli solari il cui vantaggio principale, attualmente, è quello di

consentire la sostituzione delle fonti di energia tradizionali. Un’altra importante applicazione

dell’energia solare è la conversione fotovoltaica che sfrutta le proprietà delle celle fotovoltaiche a

semiconduttori in grado di trasformare in elettricità oltre l’11% dell’energia raggiante solare che le

investe. Nonostante i notevoli progressi che si sono avuti negli ultimi anni, gli impianti fotovoltaici

sono ancora in fase di sviluppo e sono caratterizzati da costi molto elevati; ciò rende ancora incerte

le prospettive di competitività di questo tipo di impianti per l'alimentazione della rete elettrica .

L’energia solare ed i sistemi fotovoltaici rivestono un particolare interesse come fonte d’energia per

la produzione di idrogeno. Sempre nell’ambito delle fonti rinnovabili, le biomasse offrono

prospettive interessanti soprattutto per la possibilità di produrre "bio-combustibili" la cui validità è

stata ormai ampiamente dimostrata. I problemi connessi a questa fonte, sono relativi ai diversi

materiali con cui si produce: un maggiore impiego del legno, per esempio, comporterebbe un

incremento della deforestazione e dell’inquinamento atmosferico provocato dagli scarichi nocivi

delle canne fumarie. D’altro canto, la produzione specifica di piante destinate a questo scopo, pur

risolvendo il problema dell’impatto ambientale, entrerebbe in concorrenza con la destinazione delle

aree coltivabili al settore agricolo. Maggiori prospettive, quindi, si prevede possano avere le

biomasse da rifiuti agroalimentari sulla base delle esperienze fatte nella gestione dei rifiuti solidi

urbani. Si è quindi evidenziato come per un corretto sviluppo delle fonti rinnovabili sia innanzitutto

opportuno applicare degli appropriati sistemi di accumulo dell’energia prodotta in eccesso. Nella

tabella successiva è schematizzata la linea di produzione di combustibili di sintesi che

consentirebbero di valorizzare tale fase di accumulo, per consentire un uso appropriato dell’energia

prodotta in base alle necessità delle diverse utenze. Come si evince dalla tabella, oltre ai bio-

combustibili prodotti dalle biomasse, l’idrogeno rappresenta il combustibile che potrebbe sostituire i

combustibili fossili nel mercato dell’energia primaria. Il vantaggio principale di tale modifica

consisterebbe nell’enorme guadagno in termini di benefici ambientali che controbilancerebbe i

notevoli costi di questo passaggio (Coiante, 1995).Naturalmente esistono diverse difficoltà, alcune

delle quali ancora insormontabili, di carattere tecnico e soprattutto economico che impediscono la

realizzazione di tutte le tecnologie basate sull’idrogeno

In occasione della riunione IPHE del maggio 2004 a Beijing, il MATT ha formulato una strategia di

introduzione dell’idrogeno, volta principalmente a migliorare il mix delle fonti energetiche primarie,

alla riduzione delle emissioni inquinanti in ambiente urbano (ossidi di azoto, SO2, polveri, ecc.) ed al

contenimento delle emissioni di CO2.

Detta strategia si articola sulle realizzazione nel medio e lungo termine, di diverse tipologie di centri

di produzione dell’idrogeno (Hub):

N. 8 Punti centralizzati di produzione di idrogeno da fonte fossile di grande taglia, con

separazione e cattura della CO2,

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85

N. 15 Punti locali di produzione di idrogeno da fonti rinnovabili (solare termico, fotolisi) di

media taglia,

N. 42 Punti locali di produzione di idrogeno da biomasse e /o rifiuti di media - piccola

taglia.

I primi saranno dedicati alla produzione di energia elettrica centralizzata e alla produzione di

idrogeno, da trasportare e distribuire mediante reti dedicate, da utilizzare per la trazione (circa

10.000 t/anno) e per la produzione decentrata di energia elettrica.

Gli altri Hub, prevedono la produzione locale di idrogeno da utilizzare, mediante reti di

distribuzione di modesta entità, per la produzione di energia elettrica e per i trasporti

CO2 sequestration

Distributed generation

240 MW

Hydrogen vehicles 2500 buses

25000 cars

Power generation

560 MW

Hydrogen Hub Fossil Fuel based

Hydrogen production plant

H2

Coal

Oil

Gas

2.3 ÷ 2.7

Mt /year

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86

L’IDROGENO: CARATTERISTICHE E TECNOLOGIE

1.Introduzione

Come già evidenziato, il settore energetico è attualmente in un periodo di transizione. Le riserve di

combustibili fossili diminuiscono gradualmente ed il loro impiego è reso difficile da questioni

ambientali ed economiche. L’utilizzazione di combustibili fossili, con le emissioni dei residui di

combustione nell’atmosfera e talvolta la loro accidentale fuoriuscita nelle acque di mari sta

provocando effetti dannosi al sistema ecologico. La soluzione del problema con l’introduzione di

dispositivi anti-smog e combustibili cosiddetti "verdi" non ha risolto il problema ma ha solo

contribuito ad aumentare i costi dell’intero settore energetico. Il futuro di tale settore, quindi,

dipende dallo sviluppo di nuove, economiche, non inquinanti fonti energetiche come l’idrogeno.

L'idrogeno non può essere propriamente definito una fonte d'energia: la sua produzione, deriva

dall'elaborazione di altre sorgenti energetiche, per cui esso viene più frequentemente definito come

forma o vettore d'energia. Si tratta, quindi, di una forma di energia particolare, che negli ultimi

decenni ha richiamato particolare attenzione in quanto ha sintetizzato caratteristiche particolari che

consentono di coprire campi nei quali risulta meno agevole l'applicazione di altre forme d'energia.

La gamma di utilizzazione dell'idrogeno è decisamente vasta e le possibilità che si aprono sono

veramente numerose. In realtà il passaggio ad un'economia energetica basata in larga parte

sull'idrogeno potrà avvenire solo gradualmente attraverso le prime applicazioni per usi particolari

(in campo chimico), seguite poi da quelle siderurgiche (riduzione diretta di minerali e ferro), per

giungere infine all'uso allargato dell'idrogeno quale combustibile su larga e piccola scala (Ciborra,

1999).

2. Proprietà dell'idrogeno

L'esistenza dell'idrogeno è nota da secoli, ma la sua vera natura comincia ad emergere solo intorno

al XVI secolo quando Paracelso per primo descrisse un gas infiammabile prodotto per reazione

dell'acido solforico con il ferro. In seguito, nel 1760, Henry Cavendish approfondì gli studi sulle

proprietà e la preparazione dell'idrogeno dall'acqua e nel 1783 Lavoisier diede a questo gas il nome

di idrogeno, che significa "generatore di acqua". Esso rappresenta l'elemento più abbondante

nell'universo, come risulta dall'analisi spettrale della luce emessa dalle stelle, che rivela che la

maggior parte di esse sono costituite principalmente da idrogeno; ad esempio nel sole, la stella a noi

più vicina, è presente per circa il 90%. Con l'ossigeno ed il silicio è uno degli elementi più diffusi

(0,9% in peso) sulla crosta terrestre Molto raro è l'idrogeno allo stato elementare sul nostro pianeta

in quanto l'attrazione gravitazionale terrestre, minore di quella delle stelle e dei grandi pianeti, è

insufficiente a trattenere molecole molto leggere come quelle dell'idrogeno. Si trova libero nelle

emanazioni vulcaniche, nelle sorgenti petrolifere, nelle fumarole e nell'atmosfera ad un'altezza

superiore ai cento chilometri. Particolarmente abbondante è invece allo stato combinato: con

l'ossigeno è presente nell'acqua di cui costituisce l'11,2% in peso; combinato con carbonio, ossigeno

ed alcuni altri elementi è uno dei principali costituenti del mondo vegetale ed animale, l'organismo

umano ne contiene circa il 10% del suo peso. Nel solo campo della chimica organica sono noti

milioni di composti contenenti idrogeno che vanno dal più semplice degli idrocarburi, il metano,

alle gigantesche proteine dei carboidrati con un enorme numero di atomi di idrogeno. Esso può

formare molecole biatomiche che possono trovarsi in due stati energeticamente diversi e ciò è

dovuto al fatto che atomi con numero dispari di protoni o di neutroni possono accoppiarsi nella

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87

formazione della molecola in modo parallelo o antiparallelo, dando luogo alle forme orto e para

rispettivamente.

Nella tabella 2.1 sono riportate alcune importanti proprietà dell'idrogeno.

L'idrogeno è a temperatura ambiente un gas incolore, inodore e praticamente insolubile in acqua.

Dopo l'elio è il gas più difficile a liquefarsi. E' un discreto conduttore di calore e di elettricità, viene

facilmente assorbito da taluni metalli. Generalmente poco attivo a freddo, l'idrogeno dà luogo, a

caldo o in presenza di catalizzatori, a numerose reazioni chimiche.

Tab. 2.1 Proprietà dell'idrogeno.

Peso molecolare 2,016

Densità Kg/m3 0,0838

Potere calorifico superiore MJ/Kg

MJ/m3

141,90

11,89

Potere calorifico inferiore MJ/Kg

MJ/m3

119,90

10,05

Temperatura di ebollizione K 20,3

Densità come liquido Kg/m3 70,8

Punto critico

temperatura

pressione

densità

K

bar

Kg/m3

32,94

12,84

31,40

Temperatura di auto-ignizione K 858

Limite di ignizione aerea (vol. %) 4-75

Miscela stechiometrica aerea (vol. %) 29,53

Temperatura di combustione aerea K 2,318

Coefficiente di diffusione cm2/s 0,61

Calore specifico KJ/(kg K) 14,89

Esso si combina direttamente alla maggior parte dei non metalli e dei metalli alcalini e alcalino-

terrosi. La combinazione con ossigeno, per dare acqua, avviene spesso con esplosione a temperatura

elevata o in presenza di un catalizzatore. Con lo zolfo si combina intorno ai 250 °C; la reazione con

azoto, che dà luogo all'ammoniaca, richiede l'uso di catalizzatori, alta temperatura ed alta pressione.

Con il carbonio reagisce verso i 1100 °C per generare metano. Insufflando idrogeno in un arco

elettrico si ottiene un gas dotato di proprietà riducenti eccezionali detto "idrogeno atomico", che

riduce tutti gli ossidi e si combina a freddo con la maggior parte dei non metalli.L'idrogeno ha il più

alto contenuto di energia per unità di massa di tutti gli altri combustibili, il potere calorifico

superiore è 141,9 MJ/Kg (Ciborra, 1999).

Page 88: Rec

88

3. Impieghi dell'idrogeno

L'idrogeno è un gas industriale di primaria importanza. Fu per lungo tempo utilizzato per il

gonfiamento degli aerostati; ma a causa della sua infiammabilità, che provocò gravissimi incidenti

(Akron, Hindenburg, ecc.), è stato sostituito dall'elio, leggermente più pesante ma non

infiammabile. L'idrogeno è usato come materia prima in un gran numero di operazioni chimiche. La

più importante è la sintesi dell'ammoniaca, ma vanno anche ricordate l'idrogenazione degli oli di

pesce e delle nafte, la fabbricazione del metanolo e dei carburanti sintetici. Attualmente, l'unico

impiego dell'idrogeno come combustibile, avviene nei programmi spaziali della NASA. Idrogeno ed

ossigeno liquidi, vengono combinati per ottenere il combustibile necessario per lo space shuttle ed

altri razzi. Le celle a combustibile a bordo inoltre, sempre combinando idrogeno ed ossigeno,

producono gran parte dell'energia elettrica richiesta. L'unico materiale scaricato dalle celle è acqua

pura, utilizzata dall'equipaggio per dissetarsi (National Renewable Energy Laboratory, 1995).

Oggetto delle più recenti ricerche, è l'impiego dell'idrogeno nelle celle a combustibile (vedi Cap.4).

L'obiettivo è quello di realizzare un sistema energetico basato sull'idrogeno, con la costruzione di

impianti per la produzione di energia che utilizzino l'idrogeno prodotto dall'elettrolisi dell'acqua

marina.Anche se la ricerca ha raggiunto apprezzabili traguardi, tutte le tecnologie relative all'uso

dell'idrogeno, sono ancora da sviluppare e perfezionare e notevoli sono gli ostacoli da superare

affinché tale visione diventi realtà.

4. L'idrogeno come fonte d'energia

L'interesse all'idrogeno come fonte d’energia, risale ai primi anni 1970, durante la prima crisi

petrolifera. Fu proprio con il verificarsi di tali condizioni, che diversi studiosi cominciarono a

considerare il ruolo fondamentale che l'idrogeno avrebbe potuto giocare in campo energetico. Esso

poteva essere agevolmente prodotto con l'impiego di energia elettrica, tramite elettrolisi, ed essere

quindi immagazzinato e trasportato in diversi modi. La visione di un sistema energetico basato

sull'idrogeno, però, era strettamente correlata, nella realtà, con la disponibilità di energia elettrica a

basso costo, unico vincolo alla realizzazione di un sistema efficiente e competitivo. Metodi per la

produzione di idrogeno alternativi all'elettrolisi, erano comunque legati alla disponibilità di

combustibili fossili e ciò rafforzò ancor più la convinzione che senza la possibilità di disporre di

energia elettrica poco costosa, non vi erano altre concrete possibilità di far fronte, nel breve termine,

all'impellente crisi energetica. Di conseguenza, i progetti di ricerca legati all'energia dall'idrogeno

furono progressivamente abbandonati. Nel corso degli anni 1980, furono fatti notevoli passi avanti

nello studio delle tecnologie relative alle risorse rinnovabili e all'efficienza energetica, tanto che la

ricerca su sistemi energetici altamente efficienti basati su idrogeno e fonti rinnovabili, apparve

sempre più interessante. In particolare, si intensificarono gli sforzi per lo sviluppo di tecnologie che

rafforzassero il legame tra idrogeno e fonti rinnovabili, al fine di ridurre, se non eliminare del tutto,

la dipendenza dai combustibili fossili tradizionali (National Renewable Energy Laboratory, 1995).

Il raggiungimento di un sistema completamente basato sul ciclo di vita dell’idrogeno, presuppone

infatti l’impiego di fonti rinnovabili per la produzione d’idrogeno da cui risulterebbe un impatto

ambientale nullo dato che da tali processi di produzione residuerebbero solo ossigeno ed acqua.

Successivamente l’idrogeno verrebbe immagazzinato e trasportato per poi essere utilizzato nelle

diverse possibili applicazioni. Attualmente, anche se la ricerca ha compiuto ulteriori, notevoli passi,

le sofisticate tecnologie oggetto dei recenti piani di studio necessitano ancora di quei

perfezionamenti che consentiranno il graduale passaggio ad un’economia basata sull’idrogeno.

5. I vantaggi dell'idrogeno

L’idrogeno è ormai considerato come il combustibile del futuro, le sue particolari caratteristiche

infatti, ne fanno una fonte d'energia ideale. L'idrogeno può essere prodotto, come l'elettricità, da

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89

qualsiasi fonte d'energia, comprese quelle rinnovabili: la materia prima fondamentale per la

produzione dell'idrogeno è l'acqua, che è disponibile in abbondanza; l'idrogeno è una fonte

completamente rinnovabile dato che il prodotto della sua utilizzazione, sia tramite combustione sia

attraverso conversione elettrochimica, è acqua pura o vapore acqueo. L'idrogeno è quindi

compatibile con l'ambiente, poiché la sua produzione dall'elettricità (o direttamente dall'energia

solare), il suo immagazzinaggio e trasporto, ed il suo utilizzo finale non producono alcun agente

inquinante (eccetto alcuni NOx se bruciato con l'aria) o qualsiasi altro effetto nocivo per l'ambiente.

Esso inoltre non produce alcun gas serra, in particolare CO2 (Barbir,1999). L’idrogeno può essere

immagazzinato in forma gassosa (conveniente per l'immagazzinaggio in larga scala), in forma

liquida (conveniente per il trasporto aereo e terrestre) o in forma di idruri di metallo (conveniente

per l'applicazione sui veicoli o per altre richieste di immagazzinaggio su scala relativamente ridotta)

e può essere trasportato lungo enormi distanze attraverso oleodotti o tramite navi cisterna (nella

maggior parte dei casi più economicamente ed efficientemente dell'elettricità). Un altro vantaggio

dell’idrogeno è la possibilità di convertirlo in altre forme d'energia in diversi modi, per esempio

tramite combustione catalitica, conversione elettrochimica, creazione di idruri, ecc.. L'idrogeno può

essere combinato con benzina, metanolo, etanolo e gas naturale; aggiungendo appena il 5% di

idrogeno alla miscela aria/benzina in un motore a combustione interna si possono ridurre le

emissioni di ossido di azoto del 30%-40%. Un motore convertito per bruciare idrogeno puro

produce solo acqua ed una minore percentuale di ossidi di azoto come gas di scarico (National

Renewable Energy Laboratory, 1995). L’idrogeno potrebbe rappresentare per il futuro la base di un

sistema energetico indipendente dalle fonti di energia convenzionali. Le tecnologie chiave in tale

sistema sono quelle legate alla produzione, all'immagazzinaggio, al trasporto ed all'utilizzazione

dell'idrogeno. Nei prossimi paragrafi tali tecnologie saranno illustrate considerando lo stato attuale e

gli sviluppi della ricerca.

6. Tecnologie di produzione dell'idrogeno

Attualmente, in tutto il mondo sono commercializzati circa 500 miliardi di Nm3 di idrogeno la cui

maggior parte trae origine da fonti fossili. Esso è prodotto principalmente come "co-prodotto"

dell’industria chimica, in particolare dei processi di produzione del polivinile di cloruro (PVC), che

forniscono il 38% dell’idrogeno mondiale, e di raffinazione del petrolio greggio, che contribuisce al

2% circa della produzione . Per quanto riguarda invece il suo impiego come fonte d’energia,

attualmente esso avviene solo in piccoli impianti che servono prevalentemente industrie del settore

petrolchimico. Per il futuro, considerata l’attuale evoluzione del settore energetico, si prevede un

notevole incremento della domanda di idrogeno. Essa sarà determinata principalmente dalle

conseguenze che avranno i numerosi vincoli imposti dalla legislazione ambientale e dalla necessità

di trovare altre fonti di energia. La produzione di idrogeno incontra nella pratica numerosi problemi

soprattutto per l'alto costo della sua produzione e del suo immagazzinaggio. Le principali tecnologie

di produzione dell'idrogeno sono:

Elettrolisi dell’acqua.

Steam reforming del gas metano.

Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi.

Gassificazione del carbone.

Gassificazione e pirolisi delle biomasse.

Altri metodi.

Le tecnologie di produzione sono meno sviluppate rispetto a quelle d’immagazzinaggio e trasporto

ed un loro miglioramento si tradurrebbe in una notevole riduzione dei costi d’investimento del

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settore energetico. Inoltre, progressi nelle tecnologie di produzione dell'idrogeno consentirebbero di

ottenere significativi miglioramenti nelle infrastrutture necessarie per un uso diffuso

dell'idrogeno.Oltre al miglioramento dell’efficienza dell’elettrolisi dell’acqua e degli altri metodi

già sfruttati commercialmente, l'attenzione della ricerca è rivolta a progetti per metodi innovativi

quali processi di fotoconversione come sistemi fotobiologici e fotoelettrochimici, oltre a processi

termochimici come gassificazione e pirolisi (National Renewable Energy Laboratory, 1995).

6.1. L'elettrolisi dell’acqua

L'idrogeno può essere ottenuto tramite l’elettrolisi dell'acqua (Fig. 2.1). Questo processo fu

applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’anno 1839. L'elettrolisi richiede il passaggio

di corrente elettrica attraverso l'acqua. La corrente entra nella cella elettrolitica tramite il catodo, un

elettrodo caricato negativamente, attraversa l'acqua e va via attraverso l'anodo, un elettrodo caricato

positivamente. L'idrogeno e l'ossigeno così separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e

verso l'anodo. L'elettrolisi è il metodo più comune per la produzione di idrogeno anche se incontra

notevoli ostacoli per la quantità limitata di idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo elevati,

dovuti all'impiego di energia elettrica. Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di

idrogeno avviene per elettrolisi dell'acqua e solo per soddisfare richieste limitate di idrogeno

estremamente puro .

Fig. 2.1. L'elettrolisi.

Per risolvere questo problema, si prevede l’applicazione dell’elettrolisi con vapore ad alta

temperatura (900-1000 °C). L’alta temperatura del sistema accelera le reazioni, riduce le perdite

d’energia dovute alla polarizzazione degli elettrodi ed accresce l’efficienza complessiva del sistema.

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Questa tecnologia offre l’opportunità di ridurre il consumo di elettricità al 35% di quella utilizzata

dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi, e l’elevata efficienza

di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva anche con lo

steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali (Hydrogen R&D Program, 1999). In

ogni caso, prima che le nuove tecnologie vengano perfezionate e divengano completamente

operative, il costo per la produzione dell'idrogeno dall'elettrolisi è il più alto rispetto a qualsiasi altra

tecnologia. I costi maggiori sono rappresentati dai sistemi fotovoltaici ed eolici i quali, nonostante i

miglioramenti tecnologici previsti per i prossimi anni, richiedono e richiederanno ancora costi

elevatissimi per la produzione di energia da impiegare nell'elettrolisi. Un altro aspetto da valutare è

che l'idrogeno attualmente viene prodotto in sito e su domanda, vengono quindi trascurati i costi di

magazzinaggio e trasporto che renderebbero il prezzo dell'idrogeno "consegnato", anche se in

quantità ridotte, ancor meno competitivo. Nell’ambito delle applicazioni pratiche i costi per

l'elettrolisi tramite celle a membrana polimerica si prevede che siano minori dei sistemi con celle

alcaline. L'elettrolisi, nonostante le ancora insormontabili barriere dei costi, resta comunque il

procedimento che riveste maggiore interesse e su cui la ricerca punta maggiormente. E’ questo il

motivo che spinge la ricerca allo studio di sistemi che impieghino fonti di energia alternative a

quella elettrica.

6.2. Steam reforming del gas metano (SMR)

Lo steam reforming del metano è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e

attraverso il quale si produce circa il 48% dell'idrogeno mondiale. Tale metodo può essere applicato

anche ad altri idrocarburi come l'etano e la nafta. Non possono essere utilizzati idrocarburi più

pesanti perché essi potrebbero contenere impurità. Altri processi, invece, come l'ossidazione

parziale, sono più efficienti con idrocarburi più pesanti (Padrò e Putsche, 1999). Lo SMR implica la

reazione di metano e vapore in presenza di catalizzatori. Tale processo, su scala industriale, richiede

una temperatura operativa di circa 800 °C ed una pressione di 2,5 MPa. La prima fase consiste nella

decomposizione del metano in idrogeno e monossido di carbonio. Nella seconda fase, chiamata

"shift reaction", il monossido di carbonio e l'acqua si trasformano in biossido di carbonio ed

idrogeno (National Renewable Energy Laboratory, 1995). Il contenuto energetico dell'idrogeno

prodotto è, attualmente, più elevato di quello del metano utilizzato ma l'enorme quantità d'energia

richiesta per il funzionamento degli impianti fa scendere il rendimento del processo a circa 65%

(Morgan e Sissine, 1995). Tramite assorbimento o separazione con membrane, il biossido di

carbonio è separato dalla miscela di gas, la quale viene ulteriormente purificata per rimuovere altri

componenti. Il gas rimanente, formato per circa il 60% da parti combustibili, è utilizzato per

alimentare il reformer (Zittel e Wurster, 1996). I processi di questo tipo su scala industriale

avvengono alla temperatura di 200 °C o superiore, e richiedono l'impiego di calore per dare avvio al

processo. Il costo del gas naturale incide fortemente sul prezzo finale dell'idrogeno, secondo alcune

analisi costituisce il 52%-68% del costo totale per impianti di grosse dimensioni, e circa del 40%

per impianti di dimensioni minori (Padrò e Putsche, 1999). I costi dello SMR sono notevolmente

inferiori a quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre

un ridottissimo impatto ambientale. Alcuni autori, sostengono che la tecnologia SMR può essere

conveniente, se combinata con l'alimentazione di veicoli, per l'applicazione su celle a combustibile

prodotte su scala ridotta. La tecnologia SMR inoltre, è stata ampiamente sperimentata nella

produzione combinata di idrogeno, vapore ed energia elettrica tramite un sistema integrato di

produzione. Dopo le prime installazioni negli Stati Uniti d’America ad opera di compagnie come la

Mobil, la Texaco, la Air Products e centrali di grosse dimensioni come quelle sulla costa

occidentale, questi impianti si stanno diffondendo anche in Europa, uno tra i più importanti è situato

a Pernis, vicino Rotterdam. Il funzionamento principale di tali sistemi è quello descritto in

precedenza con la particolarità che il calore prodotto grazie alla alte temperature operative, viene

opportunamente recuperato ed impiegato nelle fasi di preriscaldamento e desulfurizzazione del

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92

metano, riscaldamento dell’acqua e generazione di vapore. L’idrogeno prodotto è impiegato

direttamente per la produzione di energia elettrica che verrà poi erogata dall’impianto stesso. Tali

sistemi integrati presentano numerosi vantaggi rispetto al caso di impianti separati per la produzione

di idrogeno, vapore ed energia elettrica. Innanzitutto, consentono di realizzare risparmi già al livello

di progettazione in quanto un unico progetto coinvolge tre strutture, successivamente proprio

l’integrazione consente di risparmiare fino al 50% dei costi operativi e di ridurre notevolmente

l’incidenza dei costi fissi all’aumentare della produzione; basta considerare il fatto che gli

investimenti iniziali costituiscono il 60% dei costi per la costruzione di un impianto isolato per la

produzione di energia. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’impatto ambientale ridottissimo di

tutta la tecnologia che comporta una riduzione del 50% delle emissioni di NOx mentre il CO

prodotto dalle turbine a gas viene bruciato all’interno del reforming stesso. In futuro, il

funzionamento continuo ed il perfezionamento di questi impianti consentirà inoltre di migliorarne

l’efficienza e l’affidabilità. Gli impianti attualmente funzionanti, si limitano alla fornitura di energia

elettrica ad industrie del settore chimico e petrolchimico con delle piccole reti di trasmissione ma si

prevede che nei prossimi decenni possano svilupparsi e sostituire gradualmente le attuali centrali

(Terrible et al., 1999). Altre innovazioni invece, riguardano più in particolare lo SMR stesso. Uno

degli obbiettivi della ricerca è, infatti, quello di migliorare il tradizionale processo SMR con il

perfezionamento di un nuovo processo denominato Sorbtion Enhanced Reforming (SER). Rispetto

al tradizionale SMR tale processo implica la produzione di idrogeno a temperatura particolarmente

bassa e l’abbinamento di un processo di rimozione selettiva dell’anidride carbonica rilasciata

durante la fase di reforming. Il vantaggio principale del SER quindi, consiste nell’ottenere

direttamente dei flussi separati, estremamente puri, sia di idrogeno che di CO2 senza ricorrere a

costosi sistemi di purificazione. Questo nuovo processo ha dunque la possibilità di prevalere

rispetto ai processi convenzionali, e di favorire l’introduzione a breve termine dell’idrogeno, non

solo per i ridotti costi operativi che esso comporta ma anche per il contributo alla riduzione della

concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. Le attività di ricerca sono ovviamente volte

all’individuazione dei materiali più idonei all’assorbimento di CO2, alla dimostrazione della validità

tecnica dei sistemi sperimentali e all’analisi dei relativi vantaggi economici. Anche il tradizionale

processo di cracking dei combustibili fossili sta subendo delle notevoli innovazioni. Le nuove

tecnologie di decomposizione termocatalitica degli idrocarburi, in assenza di aria o ossigeno,

eviteranno di sostenere costi per la purificazione dell’idrogeno prodotto tramite l’eliminazione della

produzione degli ossidi di carbonio. Ciò avverrà tramite l’identificazione e la modificazione di

opportuni catalizzatori a base di carbonio e la successiva ottimizzazione del processo di produzione

tramite l’impiego di combustibili liquidi o gassosi. L’obbiettivo primario è, inizialmente, quello di

aumentare il contenuto di idrogeno a più dell’85% e di ridurre notevolmente le emissioni di gas

inquinanti.

6.3. Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi

L'idrogeno può essere ottenuto dall'ossidazione parziale non catalitica, ad una temperatura che varia

tra 1300-1500° C, di idrocarburi pesanti, come la nafta. Questa tecnologia può utilizzare qualsiasi

genere di idrocarburo che possa essere compresso. In ogni caso l'efficienza complessiva del

processo (50%) è minore di quella ottenuta dalla tecnologia SMR (65% - 75% ) ed è necessario

ossigeno puro. L’ossigeno necessario alla reazione, infatti, è quello contenuto nell’atmosfera quindi

mescolato con una grande quantità di azoto. Dunque con l’ossidazione parziale si ottiene un flusso

di idrogeno impuro fortemente contaminato dall’azoto. Nel caso si utilizzi del metano, l'efficienza

di questo processo raggiunge solo il 70% di quella dello steam reforming. Tramite una reazione

controllata tra combustibile e ossigeno, si ottiene anidride carbonica, ossigeno e molto calore. Un

sistema rapido che consente però di ottenere modeste quantità d’idrogeno, tanto quanto ne contiene

il combustibile di partenza. I reformer per l'ossidazione parziale utilizzano in genere solo

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combustibili liquidi. Attualmente solo due compagnie, la Texaco e la Shell, hanno la disponibilità, a

livello commerciale, di queste tecnologie di conversione (Padrò e Putsche, 1999).

I costi per la produzione di idrogeno tramite combustibili pesanti sono sensibilmente più alti, per

stesse quantità di materia impiegata, di quelli relativi all'utilizzo di gas di cokeria. Questo è dovuto

alla necessità di sostenere il trattamento e la rimozione delle impurità derivanti dal processo. Nel

caso dell'utilizzo di gas di cokeria è possibile, attualmente, realizzare economie di scala che si

riflettono in una notevole riduzione del prezzo finale dell'idrogeno. Simili risultati sono attesi per

l'impiego di combustibili pesanti.

Anche se i costi di questa tecnologia non sono particolarmente elevati rispetto a quelli degli altri

processi, bisogna anche considerare i costi aggiuntivi per l'eventuale pulizia degli impianti, a cui

conseguirebbe un aumento del prezzo finale dell'idrogeno.

6.4. Gassificazione del carbone

In generale, il processo di gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di una

sostanza solida, liquida o gassosa che ha l'obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso,

formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri come il metano.

Tramite la gassificazione il carbone viene convertito, parzialmente o completamente, in

combustibili gassosi che dovranno essere purificati prima dell’utilizzo. La produzione di idrogeno

mediante gassificazione del carbone è una tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali,

ma è competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del gas naturale è molto elevato (per

esempio: Repubblica Popolare di Cina e Sud Africa). Nel settembre del 2000 è stato siglato

dall’ENEA e dal Ministero della Scienza e della Tecnologia (MOST) della Repubblica Popolare di

Cina, un Accordo di collaborazione tecnico-scientifica per lo sviluppo congiunto della ricerca

sull’idrogeno. Come ben noto, nella Repubblica Popolare di Cina, i problemi associati

all’inquinamento atmosferico all’interno delle città e, più in generale, l’ingente quantità di emissioni

di CO2 legato all’uso massiccio del carbone, sono estremamente gravi ed urgenti. Si prevede infatti

che nel 2020 la Repubblica Popolare di Cina brucerà ben tre miliardi e mezzo di tonnellate di

carbone all’anno, contribuendo a più di un quarto delle emissioni planetarie di anidride carbonica.

Nel programma di cooperazione con l’ENEA, il carbone, in presenza di acqua, è trasformato in

idrogeno e CO2. L’idrogeno è poi bruciato con emissioni zero, mentre la CO2 è "sequestrata"

permanentemente in forma liquida nelle profondità della terra, senza apprezzabili emissioni

nell’atmosfera. E’ quindi possibile trasformare anche il carbone in un combustibile pulito e quasi ad

"emissioni zero".

Per quanto riguarda la gassificazione, vengono utilizzati principalmente tre metodi: fixed-bed (letto

fisso), fluidized-bed (letto fluidificato) e entrained-bed (letto trascinato) (Padrò e Putsche,1999).

Tutti questi metodi impiegano vapore, ossigeno o aria, per ossidare parzialmente il carbone ed

ottenere come risultato del gas. I gassificatori a letto fisso producono, a basse temperature (425-650

°C), un gas contenente prodotti "devolatilizzati" come metano, etano ed un flusso di idrocarburi

liquidi contenente nafta, catrame, oli e fenolici. I gassificatori a letto trascinato producono gas ad

alta temperatura (>1260 °C), che essenzialmente elimina i prodotti devolatilizzati dal flusso di gas e

dagli idrocarburi liquidi. Questo metodo, infatti, consente di ottenere un prodotto composto quasi

interamente da idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio. I gassificatori a letto

fluidificato, infine, producono pressappoco dei prodotti intermedi, nella composizione, rispetto ai

due precedenti ed agiscono a temperature medie (925-1040 °C).

Il calore necessario per la gassificazione è fornito principalmente dall'ossidazione parziale del

carbone. Generalmente le reazioni di gassificazione del carbone sono esotermiche, così al

gassificatore vengono di solito abbinate delle caldaie per il riscaldamento dei rifiuti da smaltire. La

temperatura, e quindi la composizione del gas prodotto, dipendono dalla quantità dell'agente

ossidante e del vapore, nonché dal tipo di reattore utilizzato nell'impianto di gassificazione.

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I gassificatori producono delle sostanze inquinanti (principalmente ceneri, ossidi di zolfo e ossidi di

azoto) che devono essere eliminate prima che entrino a far parte del gas prodotto. Il loro livello

dipende sia dal gassificatore utilizzato sia dalla composizione del combustibile. Esistono due tipi di

sistemi per la separazione delle impurità: sistemi a caldo e sistemi a freddo. La tecnologia di

separazione a freddo è sfruttata commercialmente e sperimentata da diversi anni mentre i sistemi a

caldo sono ancora in fase di sviluppo. La ripulitura dei gassificatori a letto trascinato, comporta una

serie di operazioni in base alla diversa natura dei residui con una perdita di efficienza, affidabilità

ed un aumento rilevante dei costi di questi sistemi (http://www.fetc.doe.gov).

Per questa tecnologia, il costo della materia impiegata raggiunge quasi il 25% del prezzo

dell'idrogeno prodotto. Costo del capitale, manutenzione dell'impianto e smaltimento dei rifiuti

solidi, costituiscono altri costi da sostenere. Rispetto alle altre tecnologie quindi, sempre escludendo

l'elettrolisi, i costi sono leggermente più elevati ed, allo stato attuale, non è ancora possibile

realizzare delle particolari economie di scala.

La presenza di numerose riserve in diverse parti del mondo, fa del carbone il possibile sostituto di

gas naturale ed oli come materia prima per la produzione di idrogeno .

6.5. Gassificazione e pirolisi delle biomasse

Come la gassificazione, anche la pirolisi, o distillazione secca, è un processo che per mezzo della

decomposizione termica, spezza le molecole complesse delle sostanze organiche in elementi

semplici, separati. Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900-1000 °C, in assenza di aria, in

opportuni impianti, con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido (Chiacchierini, 1992).

L'applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi differenti

gas, tra cui l'idrogeno. La composizione dei gas dipende dal tipo di materiale, dalla presenza di

ossigeno, dalla temperatura della reazione e da altri parametri. La ricerca sull'idrogeno è incentrata

attualmente sui gas dalle biomasse, a medio potere calorifico, da utilizzare principalmente come

combustibili . La gassificazione delle biomasse, prevede l’impiego sia di materiale derivato dai

rifiuti solidi urbani sia materiali specifici appositamente coltivati per essere inpiegati come fonte di

energia. Gassificatori di biomasse sono stati sviluppati utilizzando tecnologie di combustione fixed-

bed, fluidized-bed, entrained-bed. Le biomasse possono essere gassificate utilizzando metodi

indiretti e diretti. La gassificazione indiretta, come avviene negli impianti della Battelle-Columbus

Laboratoires and Future Energy Resource Corporation (BLC/FERCO), usa un veicolo, come la

sabbia, per trasferire calore dal bruciatore alla camera di gassificazione. Nella gassificazione diretta

il calore alla camera di gassificazione è fornito dalla combustione di una parte delle biomasse

(Padrò e Putsche, 1999). In generale, il costo dell'idrogeno prodotto tramite gassificazione indiretta

è leggermente minore di quello dell'idrogeno ottenuto per gassificazione diretta. Un metodo

alternativo di produzione dell'idrogeno dalle biomasse è la combinazione di pirolisi e processo di

steam reforming. Tale metodo, applicato alle biomasse, genera vapori reattivi che possono, quindi,

essere convertiti in idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio usando vapore in

ambiente catalitico. Tramite questo processo le biomasse vengono decomposte termicamente ad alte

temperature (400-450 °C), in atmosfera inerte, per formare un "bio-olio" costituito da sostanze

organiche ossigenate, per l’85%, e acqua, per il 15% . Il "bio-olio", quindi, viene sottoposto al

processo usuale di steam reforming per la produzione di idrogeno. Alternativamente i componenti

fenolici del "bio-olio" possono essere estratti con etil-acetato per ottenere come prodotto aggiuntivo

delle resine fenoliche. Anche in questo caso i restanti componenti possono essere sottoposti allo

steam reforming. In entrambi i casi il gas prodotto viene purificato tramite un processo standard di

assorbimento a pressione variabile. Anche i deflussi derivanti da altre tecnologie di trattamento

delle biomasse possono costituire un interessante materiale per la produzione dell'idrogeno.

In particolare, sono stati compiuti degli studi sul trattamento dei residui della separazione del "bio-

olio" in derivati della lignina, utilizzati per la produzione di resine fenoliche o additivi per

combustibili, e derivati dei carboidrati, eventualmente sottoposti allo steam reforming.

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Questo sistema ha numerosi vantaggi rispetto alla tradizionale tecnologia di gassificazione delle

biomasse, innanzitutto il "bio-olio" può essere trasportato più facilmente delle biomasse e quindi la

pirolisi ed il reforming possono essere realizzati in luoghi diversi, con eventuale riduzione dei costi.

Per esempio una serie di pirolisi di piccole quantità di materiali, può avvenire dove essi sono

disponibili ad un costo non elevato. Successivamente, l'olio può essere agevolmente trasportato in

un impianto di reforming, situato dove siano presenti impianti d' immagazzinaggio ed infrastrutture

per la distribuzione. Il secondo vantaggio è, ovviamente, il notevole potenziale derivante dal

recupero dei materiali derivati. Questo è stato dimostrato con l'utilizzo di un reattore a letto

fluidificato, con del nichel come catalizzatore, sviluppato per il trattamento di gas naturale e nafta,

con cui è stato possibile ottenere sostanze composte il cui contenuto di idrogeno è di circa il 90%

(Czernik et al., 2000). Questo processo potenzialmente può divenire una delle tecnologie di

produzione meno costose, ma i ricercatori sono ancora impegnati nella ricerca di un catalizzatore

ottimale per la fase di reforming ed alla valutazione della fattibilità economica e della sostenibilità

ambientale dell'intero processo (Padrò e Putsche, 1999). La produzione dell’idrogeno dalle

biomasse, sia tramite gassificazione sia tramite pirolisi, possiede notevoli possibilità di sviluppo tra

i processi che utilizzano fonti rinnovabili di energia (National Renewable Energy Laboratory,

1995). Un importante vantaggio ambientale dell'utilizzo delle biomasse come fonte di idrogeno è

che il biossido di carbonio, una delle principali emissioni responsabili dei cambiamenti climatici,

emesso nella conversione delle biomasse, non contribuisce ad aumentare la quantità totale di gas

nell'atmosfera. Il biossido di carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita e solo la

stessa quantità viene restituita all'aria durante il processo di

conversione. Purtroppo, però, il contenuto d'idrogeno è solo del 6%-6,5%, rispetto al 25% del gas

naturale. Per questa ragione i costi sono ancora molto elevati e ciò non consente a questi sistemi di

essere competitivi con altre tecnologie come, per esempio, il reforming del metano. Di gran lunga, i

maggiori costi operativi per questa tecnologia sono legati alla materia da impiegare e quindi sono

particolarmente alti per processi che utilizzano biomasse costituite da materiali specifici mentre

possono scendere nel caso si impieghino biomasse da rifiuti. Anche in questo caso, i costi sono

ancora sensibilmente elevati, infatti, le tecnologie non sono ancora perfezionate, mancano dei

sistemi specifici d'immagazzinaggio e applicazione dell'energia prodotta per cui non è ancora

possibile realizzare economie di scala che ne consentano un possibile largo impiego. D'altro canto il

ridotto impatto ambientale, riveste un importante ruolo per la ricerca. Inoltre, gli oli vegetali hanno

un potenziale per la produzione di idrogeno, maggiore delle sostanze che contengono cellulosa o

lignina, ma il loro costo è ancore notevolmente alto quindi, solo un processo integrato, che preveda

il riutilizzo delle sostanze derivate dalle biomasse, può consentire una alternativa economicamente

valida (Czernik et al., 2000). Affinché le biomasse diventino una fonte di idrogeno con costi

accessibili, la ricerca deve ancora compiere notevoli passi. Le tecniche per la separazione e la

purificazione dell'idrogeno tramite delle membrane selettive o processi catalitici, devono essere

migliorate. Nuove idee per la purificazione dei gas (rimozione di catrame ed oli) necessitano di una

migliore valutazione. Una delle principali priorità della ricerca è un concetto avanzato di

gassificazione catalitica che consenta di ottenere risultati quando il gassificatore agisce

continuamente (National Renewable Energy Laboratory, 1999) mentre altri settori della ricerca si

stanno occupando della messa a punto di un nuovo sistema di gassificazione. Esso, agendo ad

elevate temperature e con particolari catalizzatori al carbonio, consente la produzione di idrogeno

da materiali con un alto contenuto di umidità. Le biomasse, infatti contengono circa il 50% d’acqua

e sono stati messi a punto diversi processi termici per eliminarla. Questo nuovo processo di

gassificazione invece, eliminando il ricorso a strumenti di essiccazione non pone particolari limiti al

tipo di biomassa da impiegare. Inoltre, ottenendo il reforming completo delle biomasse impiegate

dal processo non si hanno residui di combustione. I primi reattori di questo genere sono stati

costruiti recentemente mentre l’intera tecnologia deve essere ancora testata e verificata nei prossimi

anni (http://www.eren.doe.gov).

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6.6. Altri metodi di produzione

Oltre ai metodi analizzati nei precedenti paragrafi, la ricerca è attiva in diversi settori riguardanti la

produzione dell’idrogeno. Essa si muove fondamentalmente in due direzioni: migliorare le

tecnologie esistenti e sperimentare nuovi metodi.L’obbiettivo principale è quello di abbattere i costi

delle tecnologie ormai in uso riducendo la quantità dei materiali impiegati e aumentando quindi i

rendimenti di conversione degli impianti esistenti. In secondo luogo, si cerca di perfezionare nuovi

sistemi che consentano di risolvere la questione dell’impatto ambientale delle tecnologie basate

sull’impiego degli idrocarburi. In particolare, si sta puntando molto su sistemi che consentano la

produzione di idrogeno tramite l’impiego diretto dell’energia solare, in sostituzione dell’energia

elettrica necessaria per l’elettrolisi dell’acqua. Uno di questi, la produzione dell'idrogeno per

fotoconversione, associa un sistema di assorbimento della luce solare ed un catalizzatore per la

scissione dell'acqua. Questo processo usa l'energia della luce senza passare attraverso la produzione

separata di elettricità richiesta dall'elettrolisi. Ci sono due classificazioni principali di tali sistemi:

fotobiologico e fotoelettrochimico.Un altro esempio dell’interazione tre energia solare e produzione

dell’idrogeno è fornito dalle centrali fotovoltaiche a idrogeno le quali costituiscono, attualmente,

l’unico esempio fattibile di impiego di fonti rinnovabili per la produzione di idrogeno.Si tratta,

tuttavia, prevalentemente di tecnologie in fase sperimentale, le cui attività di laboratorio richiedono

ancora notevoli perfezionamenti.

A.. Tecnologie fotobiologiche

I processi di produzione fotobiologici riguardano la generazione dell'idrogeno da sistemi biologici,

che usano generalmente la luce solare. Alcune alghe e batteri sono in grado di produrre idrogeno

sotto specifiche condizioni. I pigmenti delle alghe assorbono l'energia solare e gli enzimi nella

cellula agiscono da catalizzatori per scindere l'acqua nei suoi componenti di idrogeno e ossigeno.La

ricerca sta analizzando i meccanismi dettagliati di questi sistemi biologici. In ogni caso si è ai primi

stadi ed il livello di efficienza di conversione in energia (rapporto tra l'ammontare di energia

prodotta dall'idrogeno e l'entità della luce solare impiegata) è basso, circa il 5%. Per la produzione

di idrogeno su larga scala, questi processi richiedono efficienza più elevata e riduzione dei costi. La

ricerca è incentrata su due approcci: sistemi "whole-cell", che coinvolgono batteri, e sistemi "cell-

free", che utilizzano solo gli enzimi che producono l'idrogeno. I sistemi "whole-cell" hanno

potenziale per la produzione a breve termine con efficienza di conversione dal 5% al 10%, mentre i

sistemi "cell-free" si prospettano come tecnologie di produzione a lungo termine che possono

raggiungere un'efficienza di circa il 25%. Oltre ai problemi relativi alla bassa efficienza di

conversione, l’azione di quasi tutti gli enzimi che elaborano l'idrogeno, è notevolmente rallentata

dalla presenza dell'ossigeno prodotto dalla scissione dell'acqua. C'è, inoltre, il problema del

mantenimento in vita dei sistemi produttivi per periodi prolungati che consentano di ottenere

maggiore stabilità di produzione (National Renewable Energy Laboratory, 1995). Esistono

numerose attività di ricerca che hanno lo scopo di adeguare i sistemi di produzione fotobiologica a

tali difficoltà. A breve termine si prevede l’identificazione di batteri e sviluppo di un sistema che

possa produrre idrogeno puro a temperatura e pressione ambiente, nell'oscurità. Attualmente, sono

state isolate circa 400 specie di questo tipo di batteri, capaci di combinare, nell'oscurità, monossido

di carbonio ed acqua per produrre quantità piuttosto elevate di idrogeno e biossido di carbonio.

L'analisi dettagliata di 25 tra queste specie, ha dimostrato che esse sono in grado di produrre

idrogeno da circa il 100% del monossido di carbonio impiegato ma un solo tipo di sistema, basato

sull'azione di alcune specie di cianobatteri, ha dato risultati soddisfacenti. I cianobatteri possono

crearsi semplicemente all’interno delle miniere di sale con la luce solare come fonte di energia,

l’anidride carbonica come fonte di carbonio e l’acqua come fonte di elettroni. Sempre nell’ambito

delle sperimentazioni riguardanti i cianobatteri, sono allo studio alcuni progetti per la modificazione

genetica di alcune di queste specie, in grado di produrre quantità elevate di idrogeno. Esse

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verrebbero modificate tramite i geni clonati di enzimi in grado di produrre reversibilmente molecole

di idrogeno da ioni di idrogeno. La modificazione genetica di questi organismi incontra però alcuni

ostacoli nelle fasi di isolamento del DNA e clonazione dei geni per cui la realizzazione di questo

sistema prevede diverse fasi, tra queste la costruzione di un vettore per i geni e il mantenimento

delle colonie di batteri, la cui realizzazione avverrà gradualmente nel tempo (Paupe e Brand, 1999).

Un altro obbiettivo della ricerca è quello di superare l'intolleranza di tali sistemi all'ossigeno tramite

l'individuazione di batteri i cui enzimi non presentino questo inconveniente. Tali enzimi verrebbero

estratti ed introdotti geneticamente in una specie di alga, la Chlamydomonas, creando così una

nuove specie i cui enzimi hanno la capacità di produrre simultaneamente idrogeno ed ossigeno.

Attualmente sono state identificate sei tipologie di organismi con queste caratteristiche. Sempre allo

stesso scopo, si sta sviluppando un sistema "cell-free" che separerà gli enzimi produttori di idrogeno

dagli enzimi produttori di ossigeno con una sostanza solida. La separazione fisica supererà il

problema della tolleranza dell'ossigeno ed i sistemi "cell-free" avranno un potenziale di efficienza di

conversione che raggiungerà circa il 25%. Anche in questo caso il progetto sperimentale coinvolge

la Chlamydomonas, e punta alle due reazioni a catena che nelle piante usano la luce solare per

sintetizzare carboidrati ed idrogeno. Nella prima fase i pigmenti scindono l'acqua direttamente

ottenendo ossigeno e creando un flusso di elettroni per la reazione successiva. Nella seconda fase

tali elettroni vengono utilizzati per ridurre il biossido di carbonio in carboidrati. In assenza di

ossigeno questi elettroni sono utilizzati per la produzione di idrogeno (Rossmeissl, 1995).

B. Tecnologie fotoelettrochimiche

I sistemi fotoelettrochimici usano degli elettrodi semiconduttori in una cella fotoelettrochimica per

convertire energia ottica in energia chimica. Esistono essenzialmente due tipologie di tali sistemi:

una utilizza semiconduttori, l'altro metalli complessi dissolti. Nel primo tipo, un materiale

semiconduttore è utilizzato sia per assorbire l'energia solare sia per agire da elettrodo per la

scissione dell'acqua. Questa tecnologia è ancora ai primi stadi del suo sviluppo sebbene l'efficienza

di conversione dell'energia sia cresciuta da meno dell'1%, nell’anno 1974, all'attuale 8%. Efficienze

ancora più elevate sono state ottenute con l'aggiunta di una carica elettrica esterna per facilitare la

reazione chimica. L'azione a lungo termine di tali sistemi è limitata dalla corrosione dei materiali

semiconduttori indotta dalla luce ed altri effetti chimici (National Renewable Energy Laboratory,

1995). La ricerca attualmente si sta occupando di migliorare l'efficienza di conversione in energia di

tali celle, della loro durata e della riduzione dei costi, a tale scopo vi sono progetti per

l’identificazione di nuovi materiali semiconduttori ad alta efficienza e stabilità. Attualmente il

materiale con la più alta efficienza è un composto (conosciuto come fosfuro di indio tipo-p) che

agisce come semiconduttore. Il fotoelettrodo più stabile è il biossido di titanio, il quale, però, ha

un'efficienza di conversione minore dell'1%. Entrambi questi materiali necessitano di un voltaggio

esterno che faciliti la reazione di scissione dell'acqua. Sono allo studio altri materiali, che non

richiedono elettricità esterna, come fosfuro di indio e gallio, semiconduttori organici stabili, e

diverse nuove leghe di semiconduttori. La ricerca punta inoltre alla scoperta di nuovi metodi per

ridurre la corrosione: uno dei più promettenti è l'uso di un materiale protettivo ultra-sottile applicato

sulla superficie dell'elettrodo. Nell’anno 1996, gli studi in questo campo hanno dimostrato di poter

ottenere un'efficienza di conversione del 7,8%, usando un "fotocatodo" costruito per il 10% da

silicio amorfo. La configurazione di questi sistemi prevedeva il collegamento tra l'anodo ed il

"fotocatodo", separati, tramite un conduttore. Negli anni successivi l'attenzione si è spostata su

sistemi con anodo e catodo integrati. Attualmente, si sta sperimentando il progetto di un nuovo

"fotoelettrodo" integrato, fabbricato completamente con la lavorazione di una pellicola sottile, di cui

sono state dimostrate le sequenze della lavorazione per la costruzione del prototipo. Di conseguenza

la ricerca progredisce verso il perfezionamento di pellicole conduttive, protettive, con efficienza

ottimale. Alcuni dei sistemi sperimentati hanno raggiunto un'efficienza di conversione dell'energia

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solare in idrogeno, del 15% (Miller e Rocheleau, 2000). Si sta sperimentando inoltre,

l’incorporazione di strati multipli di materie coloranti sensibilizzate per massimizzare

l'assorbimento solare e la conversione in idrogeno. Tale progetto imita la fotosintesi, dove sistemi

multipli di fotoconversione agiscono insieme per intensificare l'energia della luce solare al fine di

provocare reazioni chimiche. La ricerca sta procedendo nell'area dei sistemi a bassi costi che

potrebbero provenire dall'utilizzo di strati multipli di materie coloranti organiche e semiconduttori a

strato sottile. Il secondo tipo di sistemi fotoelettrochimici usa materiali complessi dissolti come

catalizzatori. Il materiale complesso solubile assorbe energia e crea una separazione tramite carica

elettrica che conduce alla reazione di scissione dell'acqua. La ricerca si sta occupando di individuare

dei catalizzatori che possano dissociare più efficientemente l'acqua e produrre idrogeno. Questo

metodo è attualmente meno avanzato dei processi con semiconduttore ma offre buone prospettive

per evitare il problema della corrosione (National Renewable Energy Laboratory, 1995).

C. Centrali fotovoltaiche ad idrogeno

Come già detto, le fonti rinnovabili costituiscano la base per la produzione di combustibili di

sintesi, in particolare di idrogeno, come sistema di accumulo. Nel campo della produzione di

energia elettrica infatti, si prevede la produzione dell'energia dalla luce solare tramite una cella

fotovoltaica la quale fornisca l'elettricità necessaria per la produzione d'idrogeno tramite elettrolisi.

Indubbiamente, tali sistemi rivestono interesse per i loro benefici ambientali ma due sono le

principali barriere alla loro realizzazione: l'elettricità solare non trova sempre applicazione diretta,

per esempio nei motori a combustione, ed è difficile e costosa da immagazzinare. Bisogna quindi

confrontare questa possibilità di produzione con le altre, in termini di costi, impatto ambientale ed

efficienza. Il vantaggio fondamentale dei sistemi fotovoltaici ad idrogeno è quello di soddisfare la

richiesta di corrente continua necessaria per l'elettrolisi; d'altro canto la produzione di idrogeno

tramite steam reforming di idrocarburi, è il metodo che consente di ottenere la maggiore efficienza .

Obbiettivo della ricerca, a breve e medio termine, è principalmente quello di sviluppare la

potenzialità dei sistemi fotovoltaici, tramite lo sviluppo di sistemi integrati, che comprendano, oltre

al generatore fotovoltaico, anche un sistema di accumulo stagionale dell'energia previsto per

particolari applicazioni o nicchie di mercato. Uno dei primi Paesi che ha creduto, sin dagli anni

1980, al potenziale di sfruttamento dell’energia solare con un sistema di accumulo è l’Arabia

Saudita. Risale infatti ai primi anni 1990 la costruzione della prima centrale solare a idrogeno.

Anche se nella prima fase di attuazione si sono verificati dei problemi, la centrale è attualmente

funzionante; con una potenza di 350 kW e capace di produrre 463 m3 di idrogeno al giorno, essa è

in grado di fornire energia elettrica al cosiddetto "Solar Village", presso Riyadh in Arabia Saudita,

costituito da un agglomerato di zone rurali con circa 4000 abitanti. Questo progetto è realizzato in

collaborazione con ricercatori tedeschi che stanno realizzando una centrale di questo tipo a

Stoccarda. Altri progetti che coinvolgono produzione di idrogeno ed energia solare sono realizzati

in collaborazione con il Department of Energy Statunitense (Huraib, 1999). Anche l’ENEA sta

compiendo da alcuni anni numerosi studi relativi alla produzione di idrogeno da sistemi

fotovoltaici. Questo modello di centrale fotovoltaica è composta da un generatore fotovoltaico, da

un sistema di produzione elettrolitica e di stoccaggio dell'idrogeno e da un sistema a cella

combustibile per il suo successivo utilizzo, è potenzialmente capace di competere sul piano tecnico

con le centrali elettriche convenzionali. In questo modo le centrali fotovoltaiche potrebbero

gradualmente sostituire gli impianti di potenza convenzionale, aggiungendo al valore del kWh

prodotto, altri vantaggi in termini di risparmio di combustibile e capacità di potenza. Il

funzionamento della centrale, in termini di flusso di energia, è schematizzato nella figura 2.2.

L'energia solare, che cade sui pannelli fotovoltaici, viene trasformata in energia elettrica in tempo

reale. Durante le ore di buona insolazione, una parte dell'energia elettrica viene inviata direttamente

ad alimentare il carico, mentre la parte eccedente le necessità istantanee dell'utenza viene

trasformata in energia chimica sotto forma di idrogeno ed immagazzinata nel serbatoio di accumulo.

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Durante le ore di buio e nei giorni di scarsa insolazione, l'energia chimica dell'idrogeno viene

ritrasformata in elettricità nella cella a combustibile ed inviata a soddisfare le esigenze del carico.

La possibilità di immagazzinare energia solare per lunghi periodi e di usarla in tempo differito al

momento della richiesta consente di garantire la continuità temporale dell'alimentazione dell'utenza,

portando la centrale fotovoltaica ad idrogeno sullo stesso piano delle centrali a combustibili fossili.

Fig. 2.2. Schema di una centrale fotovoltaica ad idrogeno.

Le centrali a idrogeno fotovoltaico possono quindi rappresentare un’ottima soluzione tecnica per

superare il ruolo marginale in cui il fotovoltaico si viene a trovare a causa della intermittenza della

generazione di energia. Inoltre, i costi aggiunti al kWh fotovoltaico dalla produzione ed accumulo

dell'idrogeno possono essere mantenuti entro limiti accettabili, in considerazione dell'alta efficienza

energetica dello stadio intermedio di condizionamento della potenza (Barra e Coiante, 1993).

Sempre a cura dell’ENEA, si è sperimentata una piccola centrale fotovoltaica ad idrogeno per

fornire energia elettrica ad un’utenza domestica nell’ambito del progetto SAPHYS (Stand Alone

Photovoltaic Hydrogen System). L’impianto realizzato è di piccole dimensioni e non ha dato i

risultati attesi. E’ stato comunque importante dimostrare che con un opportuno sistema di controllo

tali sistemi possono garantire affidabilità di funzionamento senza sorveglianza diretta. Gli studi

relativi a questo tipo di centrale sono ormai numerosi, il che fa ben sperare in una prossima effettiva

realizzazione, con costi accessibili, di tali tecnologie il cui pregio principale è senz'altro l'impatto

ambientale praticamente nullo. Per il momento si prevede la loro diffusione nel mercato attraverso

l’applicazione di impianti di dimensioni modeste per alimentare utenze situate in zone lontane dalla

rete centrale (isole, montagne, basi militari ecc.). Ovviamente, nel lungo termine lo sviluppo di tali

sistemi sarà fortemente condizionato anche dal parallelo perfezionamento dell’intera tecnologia; le

riduzioni dei costi si potranno ottenere solo con l’aumento della taglia degli impianti e con

l’operatività continua (http://www.erg9218.casaccia.enea.it).

D. Altre tecnologie innovative

Una delle tecnologie di produzione dell'idrogeno che è ancora ai primissimi stadi della ricerca, è

basata sui metodi di conversione enzimatica del glucosio e di altri zuccheri. Il glucosio, come

prodotto della fotosintesi, è un prodotto rinnovabile così come altri zuccheri quali xilosio, lattosio e

saccarosio. Tutti hanno la possibilità di essere convertiti in idrogeno tramite l'azione di due enzimi:

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il Thermoplasma Acidophilum ed il Pyrococcus Furiosus. Il contenuto massimo di idrogeno

ottenibile da questa conversione è di una mole per ogni mole di zucchero utilizzato, anche se recenti

studi hanno dimostrato che è possibile aumentare questo risultato a circa 12 moli di idrogeno per

una mole di glucosio. Con l'obbiettivo di favorire la produzione di idrogeno da utilizzare per celle a

combustibile con applicazione mobile o in impianti stazionari di modeste dimensioni, sono in fase

di sviluppo piccoli reformer ed ossidatori parziali. Questi ultimi agiscono a temperature più basse

rispetto ai reformer, per cui il loro processo di commercializzazione, con costi accessibili, è

sicuramente più semplice. Nelle applicazioni mobili si spera di trarre vantaggio dall'alta densità di

energia di tali sistemi e dalla maneggevolezza del combustibile per le celle. Attualmente non è

ancora possibile la produzione in serie di questi impianti, che hanno solo un'applicazione

sperimentale (Zittel e Wurster, 1996). Un altro metodo per la produzione di idrogeno, utilizzato

molto frequentemente, è il recupero dei gas residui di altri processi industriali. Essi spesso

forniscono residui con alta concentrazione d'idrogeno come accade, per esempio, per i cascami dei

flussi delle raffinerie di petrolio, i gas prodotti dallo scoppio delle camere di compressione, i residui

dei processi delle industrie chimiche, ecc., accumulare e purificare questi gas non comporta costi

elevatissimi. La maggior parte dell'idrogeno così ottenuto, viene utilizzato dalle stesse industrie che

lo producono, quindi, benché questo metodo costituisca un'importante figura del mercato futuro,

sembra improbabile che possa contribuire in misura significativa al soddisfacimento della crescente

richiesta di idrogeno come combustibile. Un'altra tecnologia ancora in fase sperimentale è la

radiolisi. Essa consiste nella separazione delle molecole dell'acqua tramite la collisione con

particelle ad alto contenuto energetico prodotte in un reattore nucleare. Purtroppo, dato che gli

atomi di idrogeno ed ossigeno così prodotti si ricombinano molto velocemente, si suppone che

questo metodo non raggiunga un'efficienza superiore all'1%. Per questo motivo la maggior parte dei

ricercatori considera questa tecnologia meno promettente delle altre (Morgan e Sissine, 1995).

Sempre nell’ambito delle tecnologie innovative, si prevede che possano essere commercializzati

particolari impianti per il reforming del plasma. Il plasma è uno stato della materia ad alto

contenuto energetico caratterizzato da alte temperature ed un’elevata ionizzazione. Rispetto agli

altri processi, i reformer del plasma offrono numerosi vantaggi quali alta densità energetica,

flessibilità nell’uso del combustibile, semplicità dei materiali di costruzione ed alta efficienza di

conversione. Un reformer del plasma può agire in diverse tipologie di processi inclusi lo SMR,

l’ossidazione parziale e la pirolisi. La ricerca attualmente si sta occupando di definire le eventuali

emissioni nocive di tale processo e i metodi per eliminarle. Inoltre, si progetta la costruzione di un

reattore compatto che incorpori la reazione del metano e la "shift reaction" in un’unica fase e che

possa essere utilizzato anche per le applicazioni mobili. Si stanno sperimentando anche sistemi che

permettano di sostenere costi particolarmente bassi come il processo denominato Ion Transport

Membrane (ITM) il quale consente la produzione di un gas di sintesi, formato da idrogeno e

monossido di carbonio, ottenuto dal gas naturale. Il processo ITM prevede l’utilizzazione di

membrane di ceramica, conduttrici, per separare l’ossigeno dall’aria e, contemporaneamente,

convertire il gas naturale in idrogeno. L’aria viene pre-riscaldata a più di 600 °C e passata attraverso

un reattore ITM il quale è composto di una membrana di ceramica non porosa che trasporta

l’ossigeno verso un reticolato di cristalli. L’ossigeno a sua volta reagisce con una parete catalizzata

nella parte in cui affluisce il combustibile e quindi passa sul letto a base di catalizzatori del reformer

per favorire la produzione del gas. Naturalmente, il sistema ITM deve essere perfezionato tramite

l’individuazione dei materiali ottimali per la costruzione delle membrane e dei processi di

purificazione del gas prodotto. Recentemente infine, a causa dei costi ancora eccessivamente

elevati, sono stati sospesi i progetti di ricerca relativi alla produzione di idrogeno tramite

gassificazione di una sostanza liquida ottenuta dal trattamento dei rifiuti solidi urbani. Il progetto

presentava aspetti interessanti per il contributo che avrebbe fornito al problema dello smaltimento

dei rifiuti e per la possibilità di ottenere, dopo una opportuna fase di "pre-trattamento", un materiale

da impiegare integralmente e che non avrebbe posto, in seguito, il problema dello smaltimento delle

scorie residue (http://www.fetc.doe.gov).

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101

7. Il trattamento dell'idrogeno

Dopo la produzione, l'idrogeno richiede ulteriori processi di purificazione. Successivamente esso

verrà quindi compresso ( il livello di pressione dipenderà dal tipo di applicazione o

immagazzinaggio) o liquefatto (idoneo al trasporto o per soddisfare la domanda di sistemi ad alta

densità d'energia). Secondo il tipo di impurità presenti ed il grado di purezza richiesto, vengono

applicati diversi metodi. Se l'idrogeno è prodotto tramite reforming, ossidazione parziale o processi

di pirolisi, le sostanze estranee possono essere rimosse direttamente al momento della produzione

per cui l'idrogeno prodotto sarà già parzialmente purificato, solo i grossi impianti di produzione

sono dotati di tali sistemi mentre nella maggior parte dei casi ci si affida a strutture decentralizzate.

Inoltre, se l'idrogeno è prodotto da oli, carbone, gas naturale o biomasse, è possibile applicare questi

processi direttamente alle materie utilizzate, prima della produzione tramite reforming o ossidazione

parziale. Si procede, quindi, alla rimozione delle polveri dai gas di carbonio o dai biogas, alla

desulfurizzazione del gas naturale ed alla rimozione del biossido di carbonio. La possibile presenza

di cloro o il contenuto di metalli pesanti (per es. mercurio) può, come anche lo zolfo, danneggiare i

catalizzatori degli impianti di reforming, per cui essi vengono rimossi in una fase di pre-pulitura. I

separatori per la rimozione delle polveri, anche se con efficienza del 98%, hanno una limitata

applicazione in quanto con questo metodo vengono rimosse solo le particelle con uno spessore

maggiore di 5mm. Per ottenere una raffinazione più elevata, in base al materiale trattato e al grado

di purezza richiesto, devono essere utilizzati dei filtri appropriati come filtri elettrostatici, filtri

reticolari e filtri a nastro. Il processo di desulfurizzazione è particolarmente necessario nella fase

preliminare del reforming del gas naturale per evitare danni o la disattivazione dei catalizzatori al

nickel o al platino (l'odore del gas naturale è provocato da una sostanza contenente zolfo). Per

questo scopo sono state sviluppate intere catene di processi fisico/chimici molti dei quali sono

attualmente disponibili in grandi impianti di reforming, mentre sono ancora in fase di sviluppo

metodi specifici da applicare nei piccoli impianti decentralizzati. Nel campo della purificazione del

gas naturale esistono tre processi, ormai ben collaudati, conosciuti come processo MEA, MDEA e

Purisol. I primi due processi applicano tecniche di assorbimento chimico mentre il processo Purisol

consiste in un lavaggio fisico mediante il quale i composti di COS (carbonio, ossigeno, zolfo) sono

prima convertiti in H2S e successivamente assorbiti da un solvente. Per la pulitura di biogas e di

altri gas residui dei vari processi si è dimostrata efficace l'applicazione di carbonio attivo. Lo

sviluppo di numerosi processi è avvenuto in connessione con la gassificazione del carbone la quale

è basata su una reazione di assorbimento seguita da una reazione chimica con ossidi di metallo. Per

l'eliminazione del biossido di carbonio, infine, i processi di assorbimento chimico si servono della

reazione tra una sostanza contaminante e una soluzione detergente la quale, nella fase rigeneratrice

elimina la sostanza contaminante tramite l'impiego di diversi livelli di temperatura. Nella fase

successiva avviene la rimozione dei componenti silicei del gas. Ovviamente il costo di tali processi

oltre a dipendere dalla purezza richiesta e dalla grandezza degli impianti, è influenzato dal grado di

contaminazione dei gas. Nella fase di ripulitura successiva alla produzione, avviene la separazione

delle sostanze estranee direttamente dall'idrogeno. Con questi sistemi (catalitici, ad assorbimento, a

membrana, ad idruri di metallo) vengono rimossi i prodotti del reforming incompleto. I processi

catalitici, a differenza degli altri, servono esclusivamente alla rimozione del monossido di carbonio

tramite ossidazione, metanizzazione e conversione. Le efficienze realizzabili dipendono dai

parametri di reazione quali temperatura, pressione, flusso volumetrico, concentrazione del gas

grezzo e materiale catalizzatore. Normalmente vengono combinati diversi processi, i quali, in base

alle procedure adottate, consentono di ridurre i livelli di impurità anche molto al di sotto dell'1%. La

selezione delle sequenze di reazioni da adottare dipende dal materiale catalizzatore impiegato.Il più

elevato grado di purezza dell'idrogeno, fino al 99,99%, è ottenuto con il metodo di assorbimento a

pressione discontinua. Con questo metodo, l'idrogeno grezzo è costretto ad attraversare sotto

pressione un filtro al carbonio attivo o un reticolato di molecole di carbonio. Il processo è

discontinuo perché ad intervalli regolari è necessaria la rigenerazione del filtro tramite pulitura. Il

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metodo di assorbimento a temperatura discontinua invece, seppure con ampie possibilità di

applicazione, è scarsamente utilizzato. I processi con membrane si servono delle caratteristiche di

trasmissione del materiale membrana per diverse molecole per cui i materiali più efficienti sono

anche i più costosi (membrane al palladio). Grazie alla loro estrema purezza, esse vengono

utilizzate attualmente nell'industria chimica e microelettronica. Recentemente è stato sviluppato

dalla CJB-Development Limited un piccolo purificatore con membrana ad argento e palladio.I

purificatori di gas basati sulle leghe di metallo vengono principalmente usati per la produzione di

gas puri per l'industria dei semiconduttori. Essi necessitano, per innalzare ulteriormente il livello di

purezza, di gas pre-trattati con altri metodi di pulitura. La ricerca, che sta compiendo notevoli passi,

punta alla creazione di materiali altamente efficienti e alla riduzione dei costi. I mercati più

promettenti per i processi di post-purificazione, sono quelli dei piccoli purificatori per impianti

decentralizzati. Di conseguenza la ricerca di materiali meno costosi, in particolare per le membrane

e gli idruri di metallo, avviene in questa prospettiva. A tale proposito una membrana di ceramica

permeabile è stata utilizzata con successo in Israele, per la separazione del monossido di carbonio

dall'idrogeno. Altri esperimenti, recentemente, sono stati condotti con una membrana

semipermeabile polisulfurea che sembra offrire ampie possibilità di risparmi in termini di costo.

Con questo stesso obbiettivo, si sono sperimentati filtri al palladio tramite l'applicazione di materiali

assorbenti su un substrato costituito da una superficie attiva di materiale poco costoso.

Recentemente è stato utilizzato con successo, per la prima volta, un idruro a base di nichel ed

alluminio per la conversione del gas grezzo, il quale integrato ad un processo d'immagazzinaggio,

comporterebbe una notevole riduzione dei costi complessivi (Zittel e Wurster, 1996).

8. Sicurezza nell’uso dell’idrogeno

Altro obbiettivo fondamentale dei piani di ricerca è la definizione di una serie di norme e standards

per un impiego sicuro dell’idrogeno oltre allo sviluppo di affidabili ed economici sistemi di

rilevamento di eventuali fughe dello stesso. Infatti, gli attuali rilevatori in commercio sono

voluminosi, complessi e molto costosi. Essi richiedono dei cablaggi elettrici, per il controllo e la

trasmissione dei segnali, che possono facilmente infiammarsi in caso di deterioramento. Il

funzionamento di tali sistemi, inoltre, è disturbato dall’interferenza di segnali elettromagnetici. La

soluzione a tali inconvenienti è rappresentata dall’introduzione di sensori a fibra ottica o costituiti

da sottili membrane. Il rilevatore a fibra ottica è basato sul cambiamento reversibile delle proprietà

ottiche di una sottile membrana applicata alla fine della fibra ottica. Tale cambiamento è rilevato

grazie al fenomeno di assorbimento della superficie di rivestimento del sensore il quale è disegnato

in modo che il fascio di luce riflesso sulla parte esterna del sensore sia utilizzato come segnale di

riferimento interno. Data la sensibilità di questi sistemi a cambiamenti di qualsiasi entità, per evitare

segnalazioni insignificanti, i dati che il rilevatore mostra all’esterno esprimono il rapporto tra il

segnale di riferimento interno ed il segnale ottico alterato dall’idrogeno. Il fatto che vengano rilevate solo le alterazioni dovute alla presenza di idrogeno è particolarmente importante nelle

applicazioni mobili, nelle quali l’avvolgimento e la curvatura dei cavi, e le vibrazioni della strada

possono facilmente alterare la trasmissione ottica. Il meccanismo dei sensori a membrane invece, è

basato sui cambiamenti nella resistenza elettrica del palladio (il materiale di cui sono costituite

appunto le membrane) corrispondente all’ammontare di idrogeno assorbito. La concentrazione di

idrogeno nel palladio può essere misurata tramite le variazioni dell’espansione volumetrica, della

resistenza o della tensione elettrica. Ovviamente tali sistemi devono essere ancora migliorati in

quanto è necessario perfezionare i meccanismi di selezione dell’idrogeno, la velocità di risposta, la

resistenza al deterioramento fisico e la qualità dei materiali impiegati al fine di ottenere sistemi più

affidabili e resistenti (http://www.eren.doe.gov).

9. Tecnologie di immagazzinaggio e trasporto dell'idrogeno

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Attualmente le tecnologie di immagazzinaggio e trasporto sono molto più sviluppate rispetto a

quelle di produzione. Alcune di esse, come gli idruri chimici e le microsfere di cristallo, sono già

sfruttate commercialmente, altre presentano notevoli vantaggi riguardo la sicurezza e la

salvaguardia dell’ambiente. Gli svantaggi, però, sono legati alle diverse tecnologie di produzione e

alle applicazioni pratiche dell’idrogeno. Infatti, nonostante l’enorme versatilità delle caratteristiche

fisiche e chimiche dell’idrogeno, è spesso molto difficile abbinare agli impianti di produzione

idonee tecniche di immagazzinaggio, così come non sempre i metodi di trasporto soddisfano le

necessità degli utilizzatori finali. Nei successivi paragrafi sarà effettuata l'analisi delle diverse

tecnologie d'immagazzinaggio e trasporto dell'idrogeno alla luce dei problemi connessi. Un

processo d'immagazzinaggio pratico ed economico dipende dalla capacità, dall'integrità strutturale

del materiale impiegato, dal costo totale e da altre condizioni quali temperatura, pressione e purezza

dell'idrogeno (National Renewable Energy Laboratory, 1995).Le tecnologie di immagazzinaggio

analizzate sono:

- Idrogeno compresso.

- Idrogeno liquefatto.

- Idruri di metallo.

- Idruri chimici.

- Sistemi basati sul carbonio.

- Microsfere di cristallo.

- Altri metodi.

I primi tre metodi, sono in genere usati in impianti per la produzione di energia e per il rifornimento

degli autoveicoli. La tecnologia ad idruri chimici, invece, è idonea per l'immagazzinaggio a lungo

termine dell'idrogeno. In seguito, quindi, i processi di immagazzinaggio saranno analizzati

considerando il caso della produzione di energia e, dove applicabile, si discuterà dell'impiego su

veicoli.

9.1. Idrogeno come gas compresso

L’immagazzinaggio dell’idrogeno sotto forma di gas compresso o liquefatto e, quando necessario

per stabilizzare il livello di pressione, tramite idruri di metallo richiede l’utilizzo di compressori.

L’idrogeno può essere compresso tramite compressori a pistoni assiali, radiali o alternati. Questi

ultimi possono avere potenza fino a 11.200 kW e trattare flussi di idrogeno di 890 kg/h a più di 25

MPa di pressione. I compressori assiali e radiali invece sono usati per flussi anche dieci volte

maggiori. Uno dei vantaggi dei compressori assiali è che ne possono essere montati diversi su uno

stesso albero ma il fatto che debbano essere installati meccanismi per la protezione dalle

oscillazioni ne riduce l’efficienza al 50%. La compressione avviene in più fasi, a diverse pressioni,

e può essere effettuata anche tramite l’impiego di idruri di metallo sfruttando la diversa pressione

operativa delle fasi di idrogenazione e deidrogenazione. In genere essi vengono fatti agire in serie in

modo che il calore rilasciato dall’uno venga utilizzato dal successivo, con un’azione a catena. Molti

sistemi di compressione utilizzano meccanismi di espansione per recuperare parte dell’energia della

fase di compressione mentre negli attuali processi di liquefazione essi hanno lo scopo di aumentare

l’efficienza di raffreddamento dell’idrogeno. Per grossi flussi d’idrogeno vengono impiegati i

cosiddetti "turboespansori" che se completamente operativi hanno efficienza dell’85% ma risultano

molto meno efficienti con carichi inferiori. I meccanismi di espansione sono anche utilizzati per

modificare la pressione dell’idrogeno in base alla tecnologia d’immagazzinaggio e all’applicazione

finale (http://www.eren.doe.gov). L'idrogeno può essere immagazzinato, come gas compresso,

all'aperto, sotto terra e a bordo di veicoli. Questa tecnologia d’immagazzinaggio è la più semplice in

quanto le uniche attrezzature necessarie sono un compressore ed un contenitore pressurizzato.

L'idrogeno viene compresso a circa 20,7 MPa ed immagazzinato in cilindri per il gas, a pressione

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standard, o in contenitori sferici per quantità superiori a 15.000 Nm3. In generale,

l'immagazzinaggio sotto forma di gas compresso, in tubi ad alta pressione, è generalmente limitato

a sistemi inferiori ai 14.000 Nm3 o ancora minori, a causa del loro costo elevato. I costi stimati di

questa tecnologia, nel caso di immagazzinaggio all'aperto, sono molto elevati per

l'immagazzinaggio giornaliero con l'utilizzo di tubi pressurizzati rispetto al caso dell'utilizzo di

contenitori; essi inoltre dipendono fortemente dal tasso di rotazione delle scorte (Padrò e Putsche,

1999). L'immagazzinaggio dell'idrogeno in impianti sotterranei, invece, è conveniente per il

trattamento di grossi quantitativi o per lunghi periodi. Attualmente esistono numerosi impianti

d'immagazzinaggio sotterraneo. La città di Kiel, in Germania, utilizza questo tipo di strutture sin

dall’anno 1971, per l'immagazzinaggio del gas di città, costituito per il 60%-65% da idrogeno. La

società nazionale per il gas, francese, Gaz de France, ha immagazzinato prodotti gassosi di

raffineria, ricchi di idrogeno, in strutture acquifere vicino Baynes, in Francia. La Imperial Chemical

Industries immagazzina l'idrogeno in miniere saline vicino Teeside, Regno Unito. Questa

metodologia è più o meno conveniente, in termini di costi, secondo che si sfruttino strutture

preesistenti (miniere saline, pozzi di gas svuotati ecc.) o ne sia necessaria la loro creazione (pozzi

artificiali ecc.). La maggior parte dei costi è rappresentata dal costo dell'energia impiegata per la

compressione e dipendono, quindi, dalle quantità trattate e dal periodo d'immagazzinaggio. Questa

tecnologia d'immagazzinaggio, ad una pressione di 20,7-55,2 MPa, è la meno costosa per il

rifornimento di autoveicoli ma, purtroppo, ha una densità d'energia in rapporto al volume, molto

bassa (13-3,4 MJ/l) se comparata a quella della benzina (32,4 MJ/l). Anche se quest'ultimo

svantaggio può essere eliminato con l'aumento della pressione, non bisogna trascurare la questione

della sicurezza. Sono stati sviluppati serbatoi con fibra rinforzata, composta (per esempio alluminio-

carbone) ma il loro costo, attualmente ancora elevato, andrebbe a gravare ulteriormente sul costo

complessivo d'immagazzinaggio, rendendolo ancor meno conveniente se rapportato alla densità

d'energia che comunque resta esigua (Padrò e Putsche, 1999).

9.2. Idrogeno liquefatto

I processi di liquefazione usano una combinazione di compressori, scambiatori di calore, motori di

espansione e valvole a farfalla per ottenere il raffreddamento desiderato. Il processo di liquefazione

più semplice è il ciclo Linde o ciclo di espansione Joule–Thompson. Tramite questo processo, il gas

è compresso a pressione ambiente e quindi raffreddato in uno scambiatore di calore prima di

passare attraverso una valvola in cui è sottoposto al processo di espansione Joule–Thompson

producendo del liquido. Una volta rimosso il liquido il gas ritorna al compressore tramite lo

scambiatore di calore. Il processo Linde opera con gas, come l’azoto, che si raffreddano per

espansione a temperatura ambiente. L’idrogeno al contrario, in questa fase si riscalda e per evitare

ciò la sua temperatura deve essere inferiore alla sua temperatura d’inversione di 202 K. Per

raggiungere tale temperatura alcuni processi raffreddano l’idrogeno con dell’azoto liquido pre-

raffreddato che prima del passaggio nella valvola d’espansione, consente la riduzione della

temperatura dell’idrogeno a 78 K. L’azoto viene quindi recuperato e riciclato nel ciclo continuo di

refrigerazione. Altri sistemi, che superino gli inconvenienti legati alle basse temperature operative,

sono in corso di perfezionamento . L'idrogeno può essere liquefatto per la produzione stazionaria di

energia sia per il rifornimento di veicoli. Successivamente, nella maggior parte dei casi, viene

immagazzinato ad una temperatura di -253 °C. L'unico inconveniente di questo sistema è

l'eventuale fuoriuscita di parte dell'idrogeno liquido ed il notevole dispendio energetico dell’intero

processo. Infatti circa il 30% dell’energia dell’idrogeno è necessaria per il suo raffreddamento

Inoltre sono necessarie particolari attrezzature per il mantenimento dello stato liquido (Padrò e

Putsche, 1999). Una delle preoccupazioni maggiori legate a questo processo quindi, è quella della

riduzione delle fuoriuscite di liquido. Dato che l’idrogeno è immagazzinato ad una temperatura che

corrisponde al suo punto di ebollizione, qualsiasi passaggio di calore attraverso il liquido causa

l’evaporazione di una parte dell’idrogeno e qualsiasi evaporazione si riflette in una perdita

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dell’efficienza del sistema. La fonte di tale calore potrebbe essere la conversione della

configurazione elettronica delle molecole d’idrogeno da orto a para (vedi cap. 2), l’energia del

pompaggio, oppure la conduzione, convezione o irraggiamento diretto del calore. Per quanto

riguarda il primo caso, la conversione delle molecole da orto a para, alla temperatura di ebollizione

dell’idrogeno (20,3 K) la concentrazione di equilibrio è quasi tutta para-idrogeno, ma a temperatura

ambiente o superiore, la concentrazione è del 25% para-idrogeno e 75% orto-idrogeno. La

conversione non catalizzata della molecole da orto a para procede molto lentamente così, senza una

fase di conversione catalitica, l’idrogeno liquefatto contiene significative quantità di orto-idrogeno.

La loro conversione richiederebbe quindi una reazione esotermica il cui rilascio di enormi quantità

di calore causerebbe l’evaporazione del 50% dell’idrogeno liquido nel giro di pochi giorni. Alcune

delle soluzioni, prevedono la conversione da orto a para durante la liquefazione, per evitare che ciò

accada durante l’immagazzinaggio, tramite l’impiego di particolari catalizzatori. L’impiego di

contenitori criogeni isolati invece, può far fronte al problema del calore generato per conduzione,

convezione ed irraggiamento. Tali contenitori sono progettati in modo da evitare qualsiasi

trasmissione di calore dalla parete esterna al liquido, per cui sono tutti costituiti da un doppio

rivestimento il cui interno è vuoto per impedire il passaggio di calore per conduzione o convezione.

Per prevenire l’irraggiamento diretto di calore invece, tra la parete interna ed esterna del contenitore

sono installati dei pannelli protettivi a bassa emissione di calore a base di plastica ed alluminio. La

maggior parte dei contenitori di idrogeno liquido hanno forma sferica perché quest’ultima ha la più

bassa superficie per il trasferimento di calore per unità di volume. Inoltre, al crescere del diametro

dei contenitori il volume aumenta più velocemente della superficie esterna per cui contenitori più

grandi, in proporzione, provocano minori perdite per trasferimento di calore. I contenitori cilindrici,

invece, sono preferibili per la loro facilità ed economicità di costruzione. Anche se sottoposto con

cautela all’irraggiamento solare, una parte dell’idrogeno può evaporare ed essere destinata ad

aumentare la pressione nel contenitore o riciclata nel processo di liquefazione oppure, in alcuni casi,

semplicemente liberata. Il più grande sistema d'immagazzinaggio per l'idrogeno liquido, con una

capacità di 3.800 m3, è posseduto, attualmente, dalla NASA. Riguardo questa tecnologia, il costo

operativo maggiore è dovuto all'elettricità necessaria per la compressione per cui, attualmente, si

stanno analizzando alcuni metodi per la riduzione della quantità di energia elettrica richiesta. Una

delle possibili soluzioni, la liquefazione magnetica, è in fase di sviluppo . Per quanto riguarda il

rifornimento di veicoli, quello dell'idrogeno liquefatto potrebbe sembrare uno dei metodi più adatti.

Senonché bisogna considerare i notevoli rischi legati, solo per fare un esempio, alle perdite di

carburante o ai problemi di sicurezza . Inoltre, si stanno progettando dei serbatoi ad alta pressione

leggeri ed impermeabili all’idrogeno. Lo scopo è quello di utilizzare tali serbatoi in spazi ristretti ed

in particolare a bordo di veicoli. Basato sul principio fisico che i cilindri siano efficienti nel

contenere la pressione interna, questi serbatoi sono costituiti da più cilindri congiunti, con un

reticolato rinforzato interno. Il risultato è quindi quello di un contenitore "multi-cella" il cui numero

è ottimizzato in base al volume del liquido da immagazzinare. Con questo metodo è possibile

immagazzinare il 50% di idrogeno in più rispetto all’uso di serbatoi tradizionali multipli.

Attualmente sono stati già sperimentati i primi serbatoi formati da sole due celle

(http://www.eren.doe.gov).

9.3. Idruri di metallo

Gli idruri di metallo sono dei composti che trattengono idrogeno nello spazio interatomico di un

metallo (fig. 3.1). La loro origine risale all’anno 1866 quando Graham notò l’assorbimento di

consistenti quantità di idrogeno da parte del palladio ma fino agli anni 1960 furono poche le

applicazioni degli idruri di metallo.

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Figura 1. Semplificazione della reazione d’idrogenazione del metallo.

Il motivo di questo disinteresse era dovuto al fatto che gli idruri conosciuti erano di tipo "binario"

cioè composti solo da un metallo e dall’idrogeno e anche quando furono sperimentati i primi idruri

di tipo "ternario" fu inizialmente quasi impossibile controllare le loro proprietà meccaniche e

termodinamiche. Questi problemi rimasero irrisolti fino a quando, in seguito ai lavori pionieristici

di S.R. Ovshinsky, si crearono i primi idruri a base di leghe di metalli le cui diverse proprietà

furono adeguatamente impiegate e le applicazioni pratiche degli idruri rese così possibili

(http://www.ovonic.com). Gli idruri si formano ed agiscono attraverso due fasi: l’assorbimento ed il

rilascio dell’idrogeno. L'assorbimento dell'idrogeno nello spazio interatomico (idrogenazione) è un

processo esotermico che richiede raffreddamento mentre la sottrazione di idrogeno

(deidrogenazione) è un processo endotermico che richiede calore. Quando la pressione

dell’idrogeno viene inizialmente aumentata l’idrogeno si dissolve nel metallo e quindi comincia a

legarsi con esso. In questa fase la pressione operativa rimane costante fino al raggiungimento del

90% della capacità di immagazzinaggio. Al di sopra di questo limite è necessario operare con

pressioni elevate per raggiungere il 100% della capacità. Le dispersioni di calore durante la

formazione dell’idruro devono essere continuamente rimosse per evitare che l’idruro si infiammi.

Se l’idrogeno viene estratto da un altro gas, una parte di esso può essere liberata in modo che porti

via gli elementi estranei che non si legano al metallo. Con la deidrogenazione invece, si spezza il

legame formatosi tra il metallo e l’idrogeno e la pressione operativa aumenta con l’aumentare della

temperatura. Inizialmente si opera a pressione elevata e viene rilasciato idrogeno puro quindi in

seguito alla rottura del legame con il metallo la pressione si stabilizza fino a ridursi drasticamente

quando nell’idruro residua circa il 10% dell’idrogeno. Quest’ultima parte di gas è molto difficile da

rimuovere essendo quella più saldamente legata al metallo e quindi spesso non può essere

recuperata nel normale ciclo di carico e scarico . La temperatura e la pressione di queste reazioni

dipendono dalla composizione specifica dell'idruro. Il calore di reazione può variare da 9.300 fino a

23.250 kJ/kg di idrogeno e la pressione può anche superare i 10 MPa. La temperatura di

deidrogenazione a sua volta può superare i 500 °C. considerato questo vasto campo di temperatura e

pressione, la costruzione di unità d’immagazzinaggio presenta notevoli difficoltà. Inoltre, ogni lega

ha differenti caratteristiche quali il ciclo di vita e la temperatura di reazione. Il contenitore

dell’idruro deve essere pressurizzato e contenere una area sufficientemente grande per lo scambio

del calore al fine di garantire la rapidità delle fasi di carico e scarico dell’idruro per le quali è

richiesta, inoltre, stabilità termica e strutturale della lega impiegata . Anche se per la

deidrogenazione è necessario calore, l'eventualità che si verifichino perdite di idrogeno non riveste

particolare importanza ed è questo il motivo per cui tali tecnologie sono considerate sicure. Gli

svantaggi sono, però, la pesantezza dei sistemi, la bassa densità gravimetrica dell'idrogeno (1%-7%)

ed i costi generalmente elevati che non consentono ancora la realizzazione di sistemi di

immagazzinaggio ad idruri di metallo funzionanti commercialmente su larga scala. I costi operativi

per tali sistemi includono quelli relativi alle operazioni di raffreddamento per l'idrogenazione e

riscaldamento per la deidrogenazione. L'ammontare di calore richiesto dipende dal tipo di metallo e

dalle sue applicazioni. Se, per esempio, il sistema è integrato con una cella a combustibile, la

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quantità di calore necessaria può essere fornita dal carico di raffreddamento della cella ed avere in

questo modo un costo insignificante. Così, idruri a bassa temperatura potrebbero ben integrarsi con

celle PEM (Polymer Electrolyte Membrane 4) che operano a 80 °C, mentre idruri ad alta

temperatura con celle del tipo SOFC (Solid Oxide Fuel Cell) e MCFC (Molten Carbonate Fuel Cell)

che operano rispettivamente a 1000 °C e 650 °C. Gli altri sistemi d'immagazzinaggio, invece, non

hanno la possibilità di integrarsi con tali tecnologie. Il costo totale di questi sistemi è influenzato

fortemente dal costo dell'idruro di metallo e sono ulteriormente penalizzati dall'assenza di economie

di scala. Queste leghe, inoltre, non hanno attualmente un largo impiego, per cui sono prodotte in

quantità limitate. Una crescita della loro domanda, con conseguente carenza di materiali disponibili,

avrebbe come conseguenza incrementi notevoli dei loro costi e l'impossibilità, quindi, di realizzare

economie di scala. Per il futuro, anche se si prevede un incremento del costo delle leghe impiegate,

si auspica che almeno sistemi molto piccoli possano essere competitivi con altre tecnologie.

9.4. Idruri chimici

Gli idruri chimici costituiscono un altro metodo per l'immagazzinaggio dell'idrogeno, utilizzato

principalmente per periodi d'immagazzinaggio stagionali. Questo metodo può essere utile per Paesi,

come il Canada, che hanno un surplus di energia idroelettrica durante l'estate ed una carenza

durante i mesi invernali. Il Giappone inoltre, sta programmando la produzione di idrogeno in

Canada, sfruttando appunto l’energia idroelettrica per l’elettrolisi, per poi importarlo sotto forma di

idruro e rigenerarlo per la produzione di elettricità. Lo svantaggio di tale tecnica è quello delle

imponenti e costose attrezzature necessarie per il trasporto. A tal proposito, sono state proposte

numerose sostanze chimiche contenenti idrogeno, tra cui ammoniaca e metanolo la cui elevata

tossicità pone però non pochi problemi. L'uso dei sistemi chimici è vantaggioso perché le

infrastrutture di trasporto ed immagazzinaggio sono già esistenti, la tecnologia è sfruttabile

commercialmente e l'idrogeno liquido è facilmente maneggiabile (Padrò e Putsche, 1999). In

particolare, l’utilizzo del toluene, con formazione di metilcicloesano (il sistema basato su

Metilcicloesano-Toluene-Idrogeno, MTI) è promettente poiché sia il toluene sia il metilcicloesano

sono composti conosciuti, facilmente trasportabili e sicuri. La formazione di metilcicloesano è

ottenuta mediante idrogenazione del toluene seguita da quella di deidrogenazione (che avviene a

circa 500° C), con un consumo del 20% dell’energia contenuta nell’idrogeno liberato. Per il peso e

l’ingombro degli impianti questa tecnica si presta, oltre che per l’accumulo stagionale, anche per

l’utilizzo su mezzi pesanti (Ruberti, 2000). E' stato inoltre analizzato un sistema composto da

energia idrica-elettrolisi-MTI integrato con una cella a combustibile che, in rapporto all’elettricità

generata, sarebbe competitivo con i nuovi sistemi ad energia idrica (Padrò e Putsche, 1999).

9.5. Sistemi basati sul carbonio

A temperature criogene (70-113 K) e pressioni moderate (42-54 atm) il carbonio reso radioattivo,

può assorbire, reversibilmente, 0,043-0,072 kg H2/kg di carbonio. Il National Renewable Energy

Laboratory (NREL) ha recentemente raggiunto una capacità d'immagazzinaggio gravimetrica del

5%-10%, a temperatura normale, usando nanotubi al carbonio. Attualmente, sono numerosi gli studi

relativi a sistemi che consentano d'immagazzinare, a temperatura normale, attraverso tali

tecnologie, notevoli quantitativi d'idrogeno. Le nanostrutture al carbonio possono rappresentare la

risposta tecnologica alla richiesta di un sistema che renda realizzabile il progetto di veicoli

alimentati ad idrogeno. Le due nanostrutture al carbonio che rivestono maggiore interesse sono

nanotubi isolati singolarmente e nanofibre di grafite. I nanotubi al carbonio, pori allungati con

diametri di dimensioni molecolari, assorbono idrogeno, con un'azione capillare a temperature non-

criogene. Il NREL ha prodotto e testato dei nanotubi isolati, con tecniche di produzione ad alti

rendimenti, che hanno dimostrato di poter trattenere il 5%-10% del peso dell'idrogeno, a

temperatura normale. Le nanofibre alla grafite sono composte da materiali generati dalla

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decomposizione di miscele contenenti idrocarburi. La parte solida è formata da un insieme di

nanocristalli distanziati uniformemente a 0,34-0,37 nanometri, curvati insieme dalle forze di van der

Waals per formare una struttura di nanopori a parete flessibile. La Northeastern University prevede

che queste strutture possano avere eccellenti capacità d'immagazzinaggio. I sistemi con

nanostrutture al carbonio potrebbero essere realizzati con costi particolarmente bassi, ma la ricerca è

ancora ai primi passi e non è possibile effettuare analisi precise. Attualmente, infatti, nessuno di

questi sistemi può essere sfruttato commercialmente.

9.6. Microsfere di cristallo

Oltre ai numerosissimi studi sullo sviluppo delle nanostrutture, la ricerca sta indirizzandosi verso

altre soluzioni. Una di queste potrebbe essere l’immagazzinaggio dell’idrogeno in microsfere di

cristallo. Esse consistono in piccole sfere di cristallo, vuote, con un diametro che varia da 25 a 500

micron ed uno spessore di un solo micron. Attualmente in commercio ne sono disponibili numerosi

tipi di diversa taglia, spessore e composizione dei cristalli. Le microsfere vengono trattate e

trasportate commercialmente sotto forma di polvere fluida. Possono essere utilizzate su grossi

basamenti per immagazzinare idrogeno ad alta pressione. L’incapsulamento dell’idrogeno è

realizzato tramite il riscaldamento di un letto di microsfere vuote in un ambiente denso di idrogeno.

L’idrogeno si introduce nelle sfere attraverso il sottile involucro esterno di cristallo reso permeabile

dalle alte temperature alle quali avviene il processo (da 200 °C a 400 °C). Tale processo si conclude

quando l’idrogeno, all’interno delle sfere, raggiunge la stessa pressione esterna. Alla fine il letto

viene raffreddato e l’idrogeno non incapsulato viene liberato o trattenuto per altre applicazioni.

L’efficienza del processo quindi, dipende da determinate caratteristiche quali: pressione

dell’idrogeno, temperatura e volume del letto, dimensioni e composizione chimica delle microsfere.

Una volta raffreddate a temperatura ambiente le sfere trattengono al loro interno l’idrogeno,

successivamente vengono ricoperte, immagazzinate in recipienti a bassa pressione e trasportate

sotto forma di una sottile polvere. L’estrazione dell’idrogeno dalle microsfere avviene tramite il

loro riscaldamento, successivamente vengono nuovamente ricoperte e riciclate per altri

incapsulamenti. Il rilascio dell’idrogeno può essere provocato anche con la rottura delle sfere, con

lo svantaggio, però, di non poterle più riutilizzare. L’energia termica necessaria a questo scopo può

essere fornita da un riscaldatore elettrico alimentato da una piccola cella ad idrogeno o da una

batteria, ricaricate da un generatore meccanico. E’ stato dimostrato che questo metodo

d’immagazzinaggio, opportunamente accessoriato e modificato, può risultare pratico e conveniente

per l’applicazione su veicoli. Sono state anche individuate le microsfere più idonee, per

composizione e dimensioni, a tale applicazione. Esso è inoltre più conveniente degli idruri di

metallo, ha la loro stessa sicurezza e non presenta problemi in caso di esposizione all’aria. Tale

metodo, ha buone prospettive di prevalere rispetto agli altri sia per le caratteristiche tecniche sopra

descritte sia per la sua competitività a livello economico (Morgan e Sissine, 1995).

9.7. Altri metodi d’immagazzinaggio

Nell’ambito dei processi chimici, è stato recentemente sperimentato un sistema che ha consentito di

trattenere idrogeno in piccole sfere di composti di sodio, potassio o litio. Se liberate in acqua, esse si

combinano rilasciando idrogeno e dando vita a composti, a loro volta riciclabili, come idrossido di

sodio, idrossido di potassio, ecc. La Power Ball, una ditta statunitense, ha sperimentato questo

sistema utilizzando delle sfere ricoperte con un involucro di plastica che consente il rilascio

dell’idrogeno quando richiesto, con un processo che divide le sfere una per volta

(http://www.warsitz.com). Un’altra tecnica attualmente ancora in fase sperimentale, presuppone

l’utilizzo di ferro polverizzato ed acqua. Ad alte temperature, la loro reazione produce ruggine ed

idrogeno. Questo processo è poco costoso ed ha un’efficienza del 4,5%. L’unica necessità è il

recupero del ferro tramite l’eliminazione dell’ossigeno per consentirne il riciclaggio. Lo svantaggio

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di questa tecnica consiste negli enormi quantitativi di ferro necessari. Sono inoltre allo studio

sistemi simili agli idruri di metallo con impiego di particolari idrocarburi o prodotti chimici

(metanolo, metano liquido e ammoniaca) in sostituzione del metallo (Morgan e Sissine, 1995).

9.8. Scelta dei sistemi d’immagazzinaggio

La scelta di un sistema d’immagazzinaggio varia in base a numerosi fattori legati all’idrogeno, quali

le applicazioni successive, la densità d’energia, la quantità ed il periodo d’immagazzinaggio, e

fattori propri dei sistemi, quali la manutenzione, l’affidabilità e la sicurezza, oltre alla disponibilità

d’energia. Per quanto riguarda le applicazioni successive dell’idrogeno, solo la richiesta di

temperature particolarmente basse impone la scelta della liquefazione mentre l’immagazzinaggio

come gas compresso o in altre forme è adattabile a qualsiasi altra forma d’impiego. La densità

d’energia dell’idrogeno può essere espressa in termini di densità d’energia rispetto al volume o

rispetto al peso dell’idrogeno. Essa è una caratteristica molto importante, per esempio il trasporto di

un solo autocarro di idrogeno liquido equivale, in termini di energia, al trasporto di 20 autocarri di

idrogeno compresso. Anche gli idruri di metallo hanno una altissima densità volumetrica ma una

densità di peso molto ridotta per cui mentre la loro superficie è ridottissima, il loro peso può

raggiungere anche diverse tonnellate. E’ questo il motivo per cui tale sistema non è idoneo per le

applicazioni mobili mentre non incontra limiti nelle applicazioni stazionarie. La scelta di un sistema

d’immagazzinaggio in base alla quantità di idrogeno da trattare è importante nei casi in cui è

possibile realizzare economie di scala o, come nel caso della liquefazione, quando aumentando la

quantità immagazzinata si riducono le perdite per evaporazione. Per quantità non elevate invece, si

preferiscono sempre i metodi di compressione che, rispetto alla liquefazione, oltre a non presentare

il problema dell’evaporazione comportano costi minori. Gli idruri di metallo vengono invece

preferiti nel caso in cui si operi a bassa pressione e sia invece richiesta una pressione elevata al

momento dell’impiego dell’idrogeno. Essi, per modestissime quantità d’idrogeno, non presentano

costi molto elevati rispetto alla compressione. Al crescere della quantità immagazzinata, invece, il

costo dell’idruro sale notevolmente a causa della maggiore incidenza del costo della lega impiegata,

mentre i costi della compressione per unità di volume decrescono grazie all’impiego di contenitori

sempre più capienti. Ecco quindi che gli idruri di metallo sono preferiti, come accennato prima, solo

se è richiesto idrogeno ad alta pressione ed è disponibile calore in quantità elevate (necessario per la

deidrogenazione). L’immagazzinaggio sotterraneo dell’idrogeno sotto forma di gas compresso,

infine, è il metodo più conveniente nel caso di quantità elevate mentre per quanto riguarda gli altri

metodi, essendo ancora in fase di sviluppo essi non sono ancora suscettibili di confronti. Nel caso

d’immagazzinaggio per lunghi periodi i metodi più convenienti, in seguito alla minore incidenza dei

costi operativi, sono l’immagazzinaggio dell’idrogeno liquefatto o l’immagazzinaggio sotterraneo

dell’idrogeno compresso, che risulta conveniente anche per brevissimi periodi. Sotto l’aspetto della

manutenzione ed affidabilità degli impianti i problemi maggiori sono legati alla gestione ed al

funzionamento degli impianti di liquefazione e compressione mentre gli idruri di metallo presentano

minori difficoltà tecniche. Altro vantaggio degli idruri è la loro sicurezza in quanto essendo

necessario molto calore per il rilascio dell’idrogeno, il rischio di perdite accidentali, per esempio

durante il trasporto, è quasi inesistente. I rischi della compressione sono ovviamente legati agli

effetti della pressione elevata ed alla facilità di perdite in caso di crepe o fessure dei contenitori.

Anche l’idrogeno liquefatto presenta questi inconvenienti ma è meno rischioso perché, una volta

evaporato, l’idrogeno si disperde molto velocemente nell’aria diminuendo così il rischio di

detonazione. La disponibilità di energia infine, è un fattore che coinvolge tutti i principali metodi

condizionando così i processi di compressione, liquefazione e, per gli idruri di metallo, di

deidrogenazione. In conclusione quindi, l’immagazzinaggio sotterraneo dell’idrogeno compresso è

il più delle volte il metodo più conveniente perché i costi per la compressione sono indipendenti dal

volume immagazzinato o dalla durata dell’immagazzinaggio. Gli idruri di metallo invece, sono

poco competitivi a causa dei costi ancora elevati delle leghe di metallo impiegate. Rispetto

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all’immagazzinaggio in contenitori pressurizzati, la liquefazione dell’idrogeno risulta conveniente

all’aumentare della quantità d’idrogeno e del periodo d’immagazzinaggio. L’unica via per rendere

più conveniente la compressione sarebbe l’aumento della pressione e la conseguente riduzione delle

dimensioni dei contenitori, il che comporterebbe però un aumento dei rischi legati a tale sistema

(Amos, 1998).

9.9 Tecnologie di trasporto dell'idrogeno

Al trasporto dell'idrogeno possono essere adattate, anche se non sempre agevolmente, le normali

modalità di trasporto di altri materiali, per cui la scelta può essere effettuata tra diverse alternative.

Le difficoltà che possono sorgere, in questo caso, sono legate non solo alle distanze più o meno

lunghe da coprire ma soprattutto ai metodi di produzione ed immagazzinaggio e alla successiva

applicazione dell'idrogeno. Per cui la scelta sarà fortemente condizionata principalmente dalla

forma liquida o gassosa dell’idrogeno in base alla quale avverrà la scelta del trasporto tramite

gasdotti o tramite mezzi stradali, ferroviari o navali.

9.10. Trasporto dell’idrogeno compresso o liquefatto

L’idrogeno come gas compresso può essere trasportato in cilindri ad alta pressione, autocisterne e

gasdotti (vedi paragrafo successivo). I cilindri ad alta pressione (40 MPa), pur consentendo un

minore ingombro sono molto pericolosi da maneggiare e trasportare. Le autocisterne invece, sono

spesso composte da diversi cilindri in acciaio montati su di un’intelaiatura protettiva e possono

contenere da 63 kg a 460 kg di idrogeno compresso ad una pressione di soli 20 MPa. Attualmente il

trasporto ferroviario dell’idrogeno sotto questa forma non viene ancora effettuato. Inoltre questo

metodo comporterebbe la costruzione di particolari vagoni con materiali idonei al trasporto

dell’idrogeno con conseguente notevole incremento dei costi di trasporto. L’idrogeno liquido

immagazzinato in contenitori isolati, come già detto, viene trasportato tramite autocarri ed altri

automezzi in quantità elevate e con modeste perdite per evaporazione (0,3%-0,6% al giorno). Per

quanto riguarda il trasporto navale, a causa dei lunghi periodi di tempo che richiede, è impiegato

solo per l'idrogeno liquido. Il Canada ha sviluppato numerosi progetti di navi per il trasporto

transoceanico dell’idrogeno. Uno di questi prevede l’impiego di cinque piccole chiatte trasportate in

una nave più grande, che possono essere separate alla fine del viaggio. Ciascuna di esse

trasporterebbe 21.200 kg di idrogeno senza alcuna perdita durante 50 giorni di viaggio. Altri

progetti prevedono invece l’impiego di diversi contenitori sferici o di una singola petroliera con la

capacità di 7000 tonnellate. Nessuna di questa navi è stata ancora realizzata ma quelle dedicate al

trasporto di gas naturale liquefatto sono in grado di trasportare già 125000 m3 di gas (equivalenti a

9000 tonnellate di idrogeno). Una tecnica sperimentale innovativa per il trasporto dell’idrogeno

liquido consiste in un gasdotto contenete un materiale superconduttore. L’idrogeno liquido agirebbe

da refrigerante per il superconduttore e consentirebbe il trasporto dell’elettricità attraverso lunghe

distanze senza le grosse perdite di corrente delle convenzionali linee di potenza. Gli inconvenienti

di questo metodo sarebbero rappresentati dai materiali necessari per l’isolamento dell’impianto e

dalla necessità di pompaggio e raffreddamento continuo dell’idrogeno durante il trasporto.

Recentemente si è anche ipotizzato il trasporto aereo dell’idrogeno per coprire lunghe distanze in

tempi brevi e ridurre così le perdite per evaporazione (Amos, 1998).

9.11. Trasporto tramite gasdotti

Formalmente l'idrogeno, essendo un aeriforme, può essere gestito, con opportune precauzioni, in

una struttura analoga a quella usata per il gas naturale. Le opportune precauzioni consistono nel

tenere conto di taluni aspetti: il contatto dell'idrogeno con acciai speciali provoca un loro

infragilimento; è necessario prevedere sistemi, visivi ed olfattivi, per l'individuazione di eventuali

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fughe; inoltre sono da considerare necessarie le ovvie precauzioni per evitare inneschi di

combustione (materiali e sistemi antideflagranti) dati i caratteri chimico-fisici di facile innesco a

combustione di questo gas (Ciborra, 1999). Per far sì che questi impianti vengano ampiamente

utilizzati, quindi, il primo problema da risolvere è quello dell’infragilimento di tubi e guarnizioni,

con la conseguenza della rottura dell’impianto, provocato dal contatto dell’idrogeno con i materiali

di cui essi sono costituiti, Al momento esistono già delle tecnologie in grado di ovviare a tale

inconveniente ma la loro applicazione contribuisce ad aumentare i costi di distribuzione. Paragonato

alle centinaia di migliaia di chilometri coperti dalle reti esistenti per il trasporto del gas naturale, la

rete di gasdotti per l’idrogeno è molto piccola: solo circa 740 km negli Stati Uniti d’America e più

di 600 km nel nord Europa (Morgan e Sissine, 1995) e servono per il rifornimento di idrogeno

direttamente dal produttore al consumatore o ad intere aree industriali. Esse coprono distanze di

oltre 100 km ed operano da più di 50 anni senza particolari problemi. Altre reti, di dimensioni molto

modeste, hanno funzionalità interne per le stesse ditte produttrici di idrogeno, infatti sono

solitamente abbinate a degli impianti di reformer (Zittel e Wurster, 1996). La capacità di trasportare

energia di un dato impianto è sempre minore nel caso di trasporto di idrogeno rispetto al trasporto di

gas naturale. Ad una determinata pressione il flusso di idrogeno è tre volte più veloce ma la relativa

quantità d’energia è circa tre volte minore a causa delle notevoli dispersioni che avvengono durante

il trasporto. Quindi, dato che i compressori agiscono sul volume del gas ma non sul suo contenuto

energetico, un sistema ottimale di gasdotti dovrebbe essere opportunamente dimensionato in base a

questi fattori (Morgan e Sissine, 1995).

Il costo dei gasdotti dipende naturalmente dal diametro del tubo, attualmente sono ancora elevati ma

i costi stimati per le applicazioni di questo sistema si basano sui gasdotti esistenti per il trasporto del

gas naturale oppure si tratta di stime fatte in base a parametri incompleti. Numerose relazioni

ipotizzano l'utilizzo degli impianti esistenti, per il trasporto di idrogeno o una miscela di

idrogeno/gas naturale ma questo potrebbe creare problemi con l'alta pressione per il trasporto

dell'idrogeno e, sebbene alcuni componenti del gas naturale favoriscano la trasmissione

dell'idrogeno, non sarebbe possibile applicare compressori e contatori. Per cui i materiali di tali

sistemi, soprattutto i più vecchi, andrebbero modificati ed i compressori rettificati con nuove

valvole e guarnizioni (Padrò e Putsche, 1999).

9.12. Scelta dei sistemi di trasporto

Gli elementi principali che influenzano la scelta del sistema di trasporto dell’idrogeno sono la

quantità e la distanza. Per grossi quantitativi di idrogeno il metodo più conveniente è quello dei

gasdotti che, dopo gli investimenti necessari per la loro costruzione, richiedono costi operativi

molto bassi. Questa modalità è conveniente rispetto al trasporto dell’idrogeno liquido che

diversamente, non comportando costi d’impianto, conviene nel caso di trasporto transoceanico.Per

modeste quantità d’idrogeno i gasdotti non sono competitivi mentre l’idrogeno compresso può

rappresentare in alcuni casi l’alternativa all’idrogeno liquido i cui costi operativi sono molto elevati.

Come accennato in precedenza però, il trasporto del gas compresso, a causa della sua bassa densità

energetica, presenta notevoli svantaggi per cui può essere indifferente rispetto al trasporto

dell’idrogeno liquido solo per piccolissime distanze. La distanza infine, è l’altro elemento che gioca

a favore dell’idrogeno liquido o compresso in quanto all’aumentare di essa i costi per la costruzione

dei gasdotti subiscono notevoli incrementi ed anche se questo metodo non comporta il sostenimento

di costi per la liquefazione, questa viene comunque preferita. L’unico caso in cui si potrebbe

preferire la costruzione di gasdotti è quello della contemporanea distribuzione di energia elettrica in

quanto essi non comportano le notevoli perdite d’energia causate dagli impianti di trasmissione

solitamente impiegati (Amos, 1998).

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112

10 Applicazioni dell’idrogeno

Le attuali possibilità di applicazione dell’idrogeno sono la generazione stazionaria di energia e

l’applicazione mobile. Nel primo caso, l’attenzione sempre maggiore verso sistemi di produzione da

fonti rinnovabili ed il parallelo interesse per impianti di produzione in grado di minimizzare i

consumi di combustibile, ha spinto fortemente l’interesse della ricerca verso le celle, o pile, a

combustibile. Esse sono capaci di coprire un’ampia gamma di potenze e caratterizzate da elevati

rendimenti di conversione oltre che da impatto ambientale praticamente nullo. Per quanto riguarda

l’applicazione nel settore dei trasporti, oltre all’attuale impiego dell’idrogeno in campo

aerospaziale, come combustibile, la ricerca è particolarmente attiva nello studio di applicazioni su

veicoli leggeri, come le automobili, e pesanti, come gli autobus. Quindi, lo sviluppo e le prospettive

di applicazione di tali sistemi, considerati gli innumerevoli vantaggi in termini di risparmio

energetico e salvaguardia ambientale, rivestono particolare interesse. Proprio per mettere in luce

vantaggi e difficoltà tecnologiche ed economiche legate alla realizzazione di tali strutture, nei

seguenti paragrafi saranno evidenziati lo stato attuale della tecnologia e gli specifici problemi

relativi ad ogni singola applicazione.

10.1 Le celle a combustibile

Nel parlare di questa tecnologia, bisogna innanzitutto evidenziare come nonostante i numerosi

vantaggi che essa offre, le applicazioni delle celle a combustibile siano tuttora relegate a sistemi

sperimentali. I motivi di queste mancate realizzazioni pratiche sono principalmente di carattere

storico. La prima cella a combustibile, secondo la maggior parte degli interessati alla loro storia, fu

realizzata nell’anno 1839 dall’inglese William Grove che, rifacendosi all’esperienza di Volta, la

chiamò "pila voltaica a gas" (Fig. 4.1). Si trattava di una pila del tipo ad acido solforico ma restò di

fatto una curiosità di laboratorio. Negli anni successivi, si continuarono a produrre ingenti quantità

di energia elettrica con altri metodi che, in rapporto alle conoscenze tecnologiche dell’epoca,

risultavano sicuramente meno complessi considerate le difficoltà di perfezionamento delle

tecnologie e di reperimento di materiali idonei che avrebbe richiesto invece lo sviluppo industriale

delle celle a combustibile.

Gli stessi motivi impedirono la realizzazione ed applicazione delle celle a sali fusi sperimentate da

Becquerel nell’anno 1855. Il termine "fuel cell" fu coniato nell’anno 1889 da Ludwing Mond e

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Charles Langer, che tentarono di costruire il primo meccanismo pratico che impiegava aria e gas

ricavato dal carbone. La prima applicazione riuscita delle celle a combustibile fu quella provata

dall’ingegnere Francis Bacon nell’anno 1932. Egli sostituì il costoso catalizzatore al platino

impiegato da Mond e Langer con una cella a idrogeno e ossigeno, impiegando un elettrolita alcalino

meno corrosivo ed elettrodi al nichel, meno costosi. Le difficoltà tecniche scoraggiarono comunque

le sperimentazioni e solo nell’anno 1959 Bacon e i suoi collaboratori furono in grado di dimostrare

il funzionamento di una saldatrice alimentata da un sistema di 5 kW. Sempre nello stesso anno,

Harry Karl Ihring dimostrò il suo famoso trattore a fuel cell, con una potenza di 20 cavalli. Altre

sperimentazioni come quelle delle celle con elettrolita solido costituito da miscele di ossidi proposte

da Baur e Preis nell’anno 1937 o, infine, di quelle a membrana polimerica sviluppate a partire dagli

anni 1960 dalla General Electric non trovarono comunque notevoli sviluppi. Tutto ciò fino a

quando, sempre nello stesso periodo, non ebbero luogo le prime applicazioni ad opera della NASA

dopo aver scartato i reattori nucleari perché troppo rischiosi, le batterie perché troppo pesanti e di

breve durata e l’energia solare per i sistemi troppo ingombranti. Successivamente, proprio i

numerosissimi contratti di collaborazione avviati dalla NASA per portare avanti la ricerca e la

sperimentazione di queste tecnologie, ne hanno consentito l’impiego nelle principali missioni

spaziali e la diffusione delle nozioni tecniche acquisite anche per diverse applicazioni nel settore

energetico (http://www.ttcorp.com). Le ragioni di questo lungo periodo di stasi quindi, così come

dei recenti sviluppi, sono dunque numerose e di varia natura; esse sono state influenzate da

numerosi fattori quali disponibilità di materiali e tecnologie sempre più adeguati, forti cambiamenti

nel panorama energetico mondiale, crescenti vincoli ambientali, graduale superamento dei problemi

tecnologici, concrete prospettive di riduzione dei costi. Prima di affrontare con maggiore dettaglio

questa analisi, verrà data una breve descrizione del funzionamento delle pile a combustibile a cui

seguiranno, nei paragrafi successivi, le trattazioni specifiche di ciascuna diversa tecnologia.

All’interno di una cella a combustibile entrano un combustibile ed un ossidante che reagendo

chimicamente provocano la scissione del carburante stesso in molecole di idrogeno e ossigeno. Al

termine del processo, dalla cella escono energia elettrica, acqua e vapore. I principali meccanismi

funzionali sono assicurati essenzialmente da due elettrodi, anodo e catodo, ove avvengono le

reazioni chimiche che complessivamente presiedono all’ossidazione "controllata" del combustibile,

da un elettrolita con funzioni di trasporto degli ioni dall’anodo al catodo (o viceversa secondo il tipo

di elettrolita e la carica, positiva o negativa, degli ioni) e dai sistemi di inserimento dei gas di

processo e di prelievo della corrente elettrica. Proprio la corrente elettrica, che dipende dalla

richiesta di potenza da parte dell’utilizzatore, è lo strumento di controllo della reazione di

ossidazione che avviene nella pila. Ad elevati prelievi di potenza, e quindi elevate correnti,

corrispondono forti flussi ionici attraverso l’elettrolita, con conseguente accelerazione della

reazione; al contrario, in assenza di richiesta di potenza, e quindi a corrente nulla, non si ha flusso

ionico attraverso l’elettrolita e la reazione risulta impedita. Nelle applicazioni pratiche dunque, il

coefficiente di utilizzo del combustibile viene mantenuto entro determinati limiti, regolando la

portata di combustibile in funzione della corrente richiesta. I valori ottimali sono prescelti in

funzione di numerosi fattori, tecnici ed economici, ma determinati principalmente in base al tipo di

applicazione e alla configurazione dell’impianto.

10.2 Impianto per produzione di idrogeno da rifiuti

In ogni processo di combustibile solido, salvo casi particolari, si verificano in genere due eventi:

1. la pirolisi

2. la gassificazione

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114

La prima si verifica in zone ove è assente l’aria di combustione sviluppando così la pirolisi ossia la

scissione delle molecole costituenti il combustile in molecole più semplici con produzione di

pirogas costituito essenzialmente da idrocarburi facilmente condensabili mentre la parte restante è

costituita essenzialmente da carbone dolce. La seconda si verifica nelle zone dove la presenza d’aria

è tale da non essere sufficiente per la completa combustione del combustibile con formazione di

ossido di carbonio. Il processo prevede la realizzazione della pirolisi prima e della gassificazione

poi per la trasformazione del rifiuto in gas in modo da poter gestire il suo contenuto energetico in

modo più completo e corretto. Infatti scopo del processo è la formazione di gas dal rifiuto nella

maggiore quantità possibile.

Perché la pirogassificazione?

Il processo di pirolisi, da solo, genera due componenti: la componente gassosa, costituita da un gas

facilmente condensabile che dà origine ad un olio che necessita di stoccaggio e mezzi di trasporto

per il trasferimento dello stesso al punto di consumo, e la componente solida costituita da carbone

dolce, che trattandosi di un rifiuto è accompagnata da scorie che ne limitano l’uso come

combustibile . La gassificazione è la combustione parziale del carbonio presente nel rifiuto

utilizzando come agente gassificante ossigeno, vapore od altro agente in grado di cedere ossigeno.

Normalmente viene utilizzata aria, ossigeno e vapore. La gassificazione del rifiuto presenta delle

difficoltà nella realizzazione del processo con materiali avente elevata pezzatura o pezzature non

omogenee anche con dimensioni elevate della camera di gassificazione, necessita di dispositivi in

grado di realizzare un intimo contatto tra il mezzo fluidificante ed il rifiuto con rendimenti alquanto

bassi. Per contro la gassificazione delle scorie proveniente dalla pirolisi, essendo queste ultime già

granulari e con un peso del 30-40% rispetto al rifiuto in ingresso consentono una migliore

miscelazione con il mezzo fluidificante, tempi di permanenza e volumi più ridotti della camera di

gassificazione. Il prodotto del processo di gassificazione è un gas costituito essenzialmente da

ossido di carbonio ed idrogeno, gas che può essere trasportato con gasdotti o compresso in bombole

e portato all’utilizzo mediante carri bombolai. Mentre le scorie contenute nel rifiuto vengono

vetrificate e smaltite in discariche per materiali inerti od utilizzate come inerti per riempimenti o

drenaggi appositamente autorizzati . Sotto questo aspetto sono intuibili i vantaggi del processo che

consentono di conseguire un impatto ambientale limitato alle scorie prodotte e al traffico veicolare

per il conferimento del rifiuto . Il gas prodotto in tale impianto ha un potere calorifico medio di

2500-2700 kCal/mc. Esso può essere utilizzato per la produzione di energia elettrica sia sul posto di

produzione che in siti con impianti già esistenti. I vari metodi di trasformazione energetica si

differenziano per i rendimenti conseguibili e per l’impatto che producono sull’ambiente. E’ recente

la trasformazione con celle a combustibile che consentono la conversione con rendimenti superiori

al 60% e con impatto sull’ambiente praticamente trascurabile. Da quanto esposto è facile intuire le

vie del processo che possono essere sintetizzate con il termine di Pirogassificazione. Il rifiuto

ridotto in pezzatura 30/50 mm viene inviato nel reattore di pirolisi ove acquista l’energia necessaria

per lo sviluppo del processo realizzando la formazione delle fase gassosa e della fase solida. Molto

drasticamente si può ritenere che circa il 60% in peso del prodotto in ingresso venga trasformato in

gas mentre la restante parte, costituita per l’80% da carbone, rappresenta la scoria. La parte solida

viene inviata ad alimentare un forno rotativo assieme ad un quantitativo d’aria tale da consentire

una combustione parziale del prodotto e creando un ambiente termico favorevole (temperatura

>1000 °C ) per la idrogassificazione. I gas ed il materiale solido, formatesi all’interno del forno

rotativo, sono in intimo contatto tra loro realizzando così in parte la gassificazione cercata. La bocca

estrema del forno rotativo comunica con il reattore di gassificazione dove oltre ai prodotti del forno

rotativo arriva il pirogas distribuito su due o più ugelli unitamente con vapore d’acqua surriscaldato.

In questo reattore operante a temperatura superiore a 1100 °C si realizzano le reazioni di

gassificazione ed idrogassificazione con produzione di gas costituito da CO, CO2, H2, CH4 ed altri in

quantità trascurabili. I gas prodotti hanno una temperatura oscillante tra 1000 e 1200°C quindi con

un contenuto energetico sfruttabile, pertanto sono utilizzati per fornire l’energia necessaria per il

processo di pirolisi e successivamente per la produzione di vapore d’acqua surriscaldato da

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115

utilizzare come mezzo fluidificante. All’uscita del reattore il gas ha ancora una temperatura di 300

°C quindi energeticamente sfruttabile per riscaldare acqua o l’aria di combustione viene pertanto

inviato in uno scambiatore di calore a fascio tubiero raffreddato ad acqua fino alla temperatura di

60°C. In caso contenesse elevati valori di idrogeno solforato è previsto un passaggio dello stesso su

letto di ossido di zinco per il trattamento in serie con lo scambiatore. Eventuali condense, tar e

acqua, vengono raccolte nel recipiente di stoccaggio sottostante separate gravimetricamente e

inviate, l’acqua all’impianto di trattamento, ed il tar al reattore di gassificazione. Il gas cosi

raffreddato viene lavato in uno scrubber con elementi di riempimento con acqua a ph 8-10 ,

successivamente neutralizzato e quindi compresso alla pressione di esercizio per l’utilizzo od il

trasporto. L’acqua raccolta nel serbatoio sottostante raccoglie anche il particolato contenuto nei gas

e quindi viene sottoposta a trattamento nella fase successiva. L’impianto ha in dotazione anche una

parte destinata all’emergenza che si inserisce in automatico allorquando si verificano condizioni

programmate che si discostano dal corretto funzionamento. Tale unità è costituita da due

scambiatori a fascio tubiero raffreddati ad acqua con serbatoio di stoccaggio condensato che

realizzano un abbassamento della temperatura del pirogas fino a 150 °C il primo e fino a 60°C il

secondo. All’interno del serbatoio di stoccaggio del secondo scambiatore è realizzato un sistema di

separazione dell’acqua che viene inviata al trattamento. Un sistema di elettropompe asservito a dei

misuratori di livello consente lo svuotamento degli stessi ed il riempimento di una unità di riserva a

due scomparti per lo stoccaggio definitivo. A condensazione avvenuta rimane un gas costituito da

CO, H2, CO2, CH4 ed altri che viene inviato in uno scrubber ad umido per essere lavato e

neutralizzato, dopodiché viene compresso e stoccato. Il sistema è dotato di torcia per l’eventuale

combustione di surplus indesiderati. L’acqua utilizzata come mezzo refrigerante viene inviata in

due torri evaporative e quindi reimmessa in ciclo. Le acque provenienti dagli scrubber ad umido contenenti particolato metalli etc vengono inviate in

una unità di trattamento costituita da una vasca di neutralizzazione con piaccametro a servizio della

pompa di alimentazione del neutralizzante di un agitatore e di un piaccametro in uscita, da una

vasca di aggiunta flocculante munita di pompa dosatrice ed agitatore, della vasca di sedimentazione

con pozzetto di estrazione fanghi e surnatanti da un pozzetto raccolta depurato e pompa di rinvio.

I fanghi prelevati dalla sedimentazione vengono inviati in una centrifuga previa aggiunta di

polielettrolita portati all’umidità del 70% ed inviati nella camera di massificazione ove, grazie

all’alta temperatura vengono vetrificate. Le acque provenienti dalla centrifugazione vengono inviate

in testa all’impianto di depurazione. L’impianto è dotato di n°3 serbatoi di stoccaggio di gas tecnici

e precisamente:

n° 1 serbatoio di azoto

n°1 sebatoio di anidride carbonica

n°1 serbatoio di ossigeno

Il primo si utilizza nell’avviamento dell’impianto o nelle situazioni di emergenza che si dovessero

verificare durante l’esercizio dell’impianto. L’anidride carbonica può essere utilizzata come mezzo

fluidificante per una maggiore produzione di gas di sintesi. L’ossigeno per aumentare la

temperatura all’interno del reattore di massificazione. Il collegamento al reattore è realizzato in

modo da poter misurare le quantità immesse alla pressione desiderata e interdetto con saracinesche

a chiusura rapida.Anche se non indispensabile per il funzionamento dell’impianto, tuttavia è stato

previsto l’impianto di trattamento fumi nell’ipotesi che il gas prodotto venga combusto nella stessa

sede di produzione con conseguente produzione di fumi. L’impianto, che sarà in serie al generatore

di vapore, è costituito da due serbatoi di stoccaggio contenente rispettivamente calce e carbone

attivo da due coclee dosatrici, da un mulino, da un sistema di trasporto ad aria, da una camera di

miscelazione e da due filtri a manica autopulenti disposti in parallelo. Tutte le regolazioni di portata

delle sostanze neutralizzanti, sono gestite da un plc asservito ad un piaccametro. La temperatura di

ingresso dei fumi nel sistema è di 180 °C . All’uscita del sistema è situato l’economizzatore e/o lo

scambiatore per il preriscaldo dell’aria di combustione. L’impianto di pirogassificazione è un

complesso di macchinari e reattori collegati tra loro in modo da realizzare l’obiettivo prefissato.

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116

Il cuore dell’impianto è il reattore dove si verificano le reazioni di pirolisi e di gassificazione. E’

rappresentato da tre camere rivestite da refrattario dello spessore composito racchiuso in involucro

metallico con nervature irrigidenti e sostenuto da una struttura metallica a tre piani onde consentire

le ispezioni delle strumentazioni delle condotte di alimentazioni e dei macchinari a queste

collegate. Nella parte superiore è inserito il reattore di pirolisi con appoggi scorrevoli onde

consentire le dilatazioni dello stesso. Il reattore è collegato tramite tubazione deformabile al

sottostante forno rotativo alimentato con le scorie prodotte dalla pirolisi, dal combustibile prodotto e

dall’aria di combustione. La temperatura raggiunta all’interno dello stesso è 1300/1400 °C e il gas

all’interno del forno è costituito da CO2, CO e N2 . Tale forno è in comunicazione con il reattore

verticale alimentato dai gas di pirolisi, dal mezzo fluidificante, nel nostro caso vapore, e

dell’eventuale ossigeno che si rendesse necessario. Sulla circonferenza sono disposti in doppia fila i

bruciatori alimentati con il gas di pirolisi oltre che dall’eventuale tar che si dovesse separare dalla

condensazione del gas prodotto. Il rapporto ossigeno/vapore è tenuto ad un livello tale da garantire

una temperatura all’interno del reattore attorno a 1200 °C. Considerata l’elevata temperatura le

scorie vengono fluidificate raccolte sul fondo della camera e scaricate in una vasca contenente

acqua. L’elevato sbalzo termico produrrà la solidificazione con produzione di materiale granulare di

pezzatura variabile che viene estratto tramite nastro. I gas prodotti, ad elevato contenuto energetico

vengono utilizzati come fonte di energia termica per il reattore di pirolisi e successivamente per la

produzione del vapore necessario per le reazioni chimiche chiudendo così il ciclo. L’elevato

percorso e la disposizione delle varie parti consentono la creazione di turbolenze che permettono

una intima miscelazione dei vari reagenti con elevati rendimenti reattivi. I processi vengono

controllati nelle varie parti con analizzatori di gas, termocoppie trasduttori di pressione che

trasmettono i dati ad un software appositamente studiato in grado di gestire il processo regolando le

portate dei vari componenti in modo da conseguire il migliore rendimento possibile. Tale software è

inoltre in grado di gestire le situazioni anomale che si dovessero verificare, di gestire le situazioni di

emergenza e di allarme. Le reazioni che si sviluppano all’interno del reattore sono complesse e a

più stadi ma si possono sintetizzare con le seguenti:

C + H2O = CO + H2 – 28.1 kcal/mole (1)

2C + O2 = 2CO + 58.2 kcal/mole (2)

H2 + 1\2 O2 = H2O +33800 kcal/kg (3)

La prima si sviluppa raggiungendo l’equilibrio a 900°C mentre la reazione (2) si sviluppa già a 350-

400 °C con produzione di calore. E’ possibile regolare le reazioni in modo da produrre un ambiente

che consente lo sviluppo delle stesse. Il pressante bisogno di smaltire i rifiuti associato alla

necessita di non alterare l’ecosistema locale e allo sfruttamento del loro contenuto energetico ha

indotto i ricercatori allo sviluppo di tecnologie di produzioni energetiche con impatti ambientali

trascurabili e rendimenti elevati (celle a combustibile) anche se ad oggi il loro sfruttamento non è

ancora praticabile se non per piccole potenze.Tecnologie che per il loro funzionamento,richiedono

alimentazioni con combustibili gassosi con insignificanti percentuali di inquinanti o veleni cioè

molto puliti. E’ problema quotidiano il pensiero di sostituire,soprattutto negli autoveicoli il

combustibile tradizionale, con un combustibile alternativo che non contenga carbonio (polveri

sottili e monossido di carbonio) pensando all’idrogeno. Da questa analisi basilare si è pensato di

realizzare un impianto che potesse soddisfare tali esigenze. Orbene l’impianto riesce a soddisfare il

95% delle richieste sopraindicate. L’impianto che abbiamo chiamato forse impropriamente “

disgregatore molecolare” è un insieme di (tre) reattori che partendo dal rifiuto selezionato (cdr)

produce idrogeno ed anidride carbonica. Entrambi i prodotti sono commerciabili Risultato: nessuna

immissione in atmosfera di gas.

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117

Nell’ipotesi che si voglia produrre energia elettrica,in attesa di uno sviluppo delle celle a

combustibile,si possono accoppiare all’impianto,previa una modifica dello stesso, motori a gas

accoppiati ad alternatori con produzione di energia con rendimenti di trasformazione del 40% e/o

sistemi più tradizionali di produzione di energia elettrica (turbogas,caldaia più turbina a vapore). In

questo caso i gas che vengono immessi in atmosfera sono anidride carbonica e vapore acqueo ossia

gli stessi della combustione del metano.

I lati negativi:

I lati negativi dell’impianto sono raffigurabili :

nell’avviamento dello stesso ove si dovrà procedere a portare in temperatura il sistema e pertanto

occorrerà bruciare una certa quantità di metano con scarico in atmosfera di gas costituito da

anidride carbonica e vapore acqueo,operazione questa che ha una durata di sei ore circa. Scarico

nell’ambiente di scorie vetrificate conseguenti al fatto che nel rifiuto è sempre presente una parte

inorganica che non partecipa alle reazioni ed al loro contenuto di ceneri. Scarico stimato attorno al

7% della alimentazione. Il fatto però che le scorie siano vetrificate e pertanto inattive ai fini del

dilavamento con acqua acida, quindi inerti fa sì che possano essere accantonate e smaltite in

apposite discariche senza rappresentare alcuna preoccupazione dal punto di vista ambientale se non

per il loro volume,tra l’altro molto ridotto,a causa del loro elevato peso specifico. In definitiva,se si

confrontano i benefici che si ottengono con l’adozione di tali impianti con gli inconvenienti appena

descritti,il bilancio dell’attività è sicuramente rivolto preponderatamente verso i benefici ottenuti.

La superficie strettamente necessaria per l’istallazione dell’impianto è di mq 400 circa. L’altezza è

di ml.15,00 circa. Senza entrare nei paricolare tecnici,l’impianto è rappresentabile come la somma

di quattro reattori che lavorano in serie tra loro e precisamente:

Un reattore di carbonizzazione

Un reattore per la produzione di energia per il processo.

Un reattore di reforming

Un reattore di conversione

Oltre ad una serie di ausiliari che consentono il recupero di parte dell’energia necessaria per le

reazioni e la purificazione dei gas ottenuti. Nel primo reattore si realizza la carbonizzazione del

rifiuto con la formazione di gas e di carbone unitamente con le scorie del rifiuto . Nel secondo

reattore si produce l’energia necessari per il processo e la vetrificazione delle scorie. Nel terzo

rettore i gas ottenuti subiscono un processo di reforming con acqua(vapore) ed ossigeno. Nel quarto

reattore si ha la conversione dei gas in idrogeno ed anidride carbonica. Gli ausiliari

presenti,consentono la purificazione dei gas ottenuti ed il recupero di parte dell’energia occorsa per

il processo. Una rappresentazione schematica ma molto significativa per dare una idea grossolana

dei prodotti in uscita dall’impianto è la seguente:

1kg (cdr) produce : 0.96 mc di H2 e 0.9 mc CO2

Elenco dei principali componenti:

Impianto di gassificazione: reattore costituito da un involucro cilindrico nella parte inferiore e

troncoconico con calotta nella parte superiore realizzato in acciaio refrattario in grado di operare

alla temperatura 900-950°C rivestito con materiale ceramico dello spessore di cm 35 con successivo

rivestimento in lamiera e tale da formare un intercapedine dello spessore di cm 30 con il reattore.

Diametro reattore m. 1.50 alla base e m. 2.50 in testa; altezza complessiva m. 7.00. Dotato di

sistema di distribuzione mezzo fluidificante inintasabile, imbocco alimentazione con relativa

tramoggia di alimentazione coclea di trasferimento del diametro di cm 30 refrigerata, n°2 attacchi

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per prelievo gas refrigerati, bocca per mezzo fluidificante over bed, n°1 serie di termocoppie per il

rilevamento e registrazione della temperatura all’interno del reattore.

Aerociclone: aerociclone per la sedimentazione di particolato e ceneri coibentato con valvola di

chiusura ed estrazione ceneri a mezzo di coclea del diametro di cm 20 refrigerata e trasporto del

sedimentato alla tramoggia dell’alimentatore.

Generatore vapore a tubi da fumo a fascio tubiero della potenzialità di 1.500.000 kcal/h per la

produzione di vapore over bed alla pressione di 3 kg/cmq con valvola di intercettazione motorizzata

a tre vie.

Torre di raffreddamento con sottostante serbatoio per accumulo acqua ed eventuali oli, con relative

pompe di trasporto acqua al recupero ed oli al forno rotativo.

Scrubberr ad umido con lavaggio gas e neutralizzazione degli stessi con soluzione di soda con

sonda piaccametro e plc di regolazione – neutralizzazione – utenza finale.

Analizzatore di gas in continuo con registratore

Trattamento scorie Sistema di estrazione delle scorie prodotte a mezzo depressione con trasporto

pneumatico realizzato con gas inerte completo di aerociclone filtro e compressore del gas di

trasporto.

Sistema di trasporto delle scorie al vetrificatore

Turboalternatore della potenza di 1,9 MW.

Impianto elettrico di potenza e di regolazione con relativi quadri elettrici contenenti le protezioni

delle linee ed i comandi delle varie regolazioni.

Software di gestione dell’intero complesso con regolazione delle varie fasi nonché le procedure di

avviamento e di allarme e di spegnimento dell’impianto. Codificazione delle procedure di allarme e

di rallentamento o sospensione dell’attività con misurazione dei parametri fisici più significativi e

loro registrazione oraria.

Previsioni di progetto:

L’impianto prevede come combustibile,l’uso di CDR e di scarti vegetali per complessive 8 ton/h

L’analisi elementare del combustibile può essere così espressa,salvo ulteriori e migliori

accertamenti dalla seguente tabella :

H2 3.90 % =kg 312

C 47 % =kg 3760

N2 1.70% =kg 136

O2 29.8 % =kg 2384

Umidità 6 % =kg 480

Ceneri 11.8 % =kg 944

La parziale combustione dopo il processo di pirolisi darà luogo ad un gas la cui quantità in peso è

così rappresentabile:

CO = 8760 kg pari a 7000 Nmc

H2 = 415 kg pari a 4662 Nmc

N2= 136 kg pari a 109 Nmc

H2O = 750 kg pari a 900 mc

Per complessivi Nmc 12671 con un potere calorifico inferiore di 2700 kcal/Nmc con un contenuto

entalpico di circa 909 kcal/kg. Tale contenuto energetico verrà in parte utilizzato per la pirolisi del

prodotto ed in parte per la produzione di vapore surriscaldato. L’energia termica che si sviluppa

dalla combustione dei gas prodotti è di 31.500.000 kcal e la sua trasformazione in energia elettrica

dipende dal tipo di sistema adottato ed è compresa tra 10 e 18Mwh

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Se la composizione del rifiuto fosse costante nel tempo il discorso sarebbe chiuso,ma in realtà la

composizione del rifiuto è una variabile non determinabile a priori per cui il sistema necessita di

una intelligenza artificiale che consenta di regolare il comburente ed il mezzo fluidificante in modo

da garantire lo sviluppo delle reazioni in premessa e la costanza entro determinati limiti dei

parametri termici del reattore. L’intelligenza artificiale è il software del sistema associato agli

strumenti fisici di controllo che segnalano le stato del sistema che il software elabora con risposte di

intervento sulle portate del mezzo comburente e fluidificante Pertanto tutto il reattore contiene una

serie di strumentazione che consente la determinazione dello stato fisico,chimico del sistema. Nel

caso si utilizzassero come combustibile le biomasse la cui composizione sul secco può essere

rappresentata dalla seguente tabella:

C = 49.8 % corrispondente a kg 3984

H2 = 6.1 % kg 244

O2 = 43.8% kg 3504

N2 = 0.3% kg 24

Si otterrebbe un gas costituito da :

CO kg 9244 pari a 7395 Nmc

H2 kg 495 pari a 5561 Nmc

Azoto ed altri trascurabili

Potere calorifico inferiore gas 2820 kcal/Nmc. Contenuto entalpico 654 kcal/kg.Energia termica

sviluppata nella combustione 36.624.670 kcal pari a 12.2 Mwhe con processo di conversione

tradizionale ossia caldaia più turbina a vapore a condensazione.

Combustibile syngas prodoto

mc.

Potere cal. Energia el.

netta

prodotta

Fumi teorici

prodotti

Temperatur

a media

Energia el

cogenerata

C.D.R.

8 ton/h

=

11.600 2700kcal/mc 9.10Mwh 30.000Nmc/h 500 °C 1.0 Mwh

Biomassa

8 ton/h

=

12900 2800kcal/mc 10.5Mwh 48.000Nmc/h 500 °C 1.5 Mwh

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120

FUSIONE NUCLEARE A FREDDO

Così come per la fusione termonucleare (fusione calda), anche per la fusione fredda è necessario

avvicinare i nuclei di deuterio e trizio a distanze tali da vincere la forza coulombiana di repulsione

dei nuclei, carichi positivamente, e quindi poter permettere le reazioni di fusione. Mentre però nella

fusione calda questa energia viene fornita dal calore di una miscela gassosa portata ad altissima

temperatura (plasma), nella fusione fredda tali reazioni vengono accelerate dai cosiddetti

catalizzatori ed avvengono a temperature e a pressioni relativamente basse.

A seconda del tipo di catalisi utilizzata, si parla di fusione fredda prodotta tramite

"confinamento muonico", "confinamento chimico", o "fenomeni collettivi":

confinamento muonico: il muone è in grado di far avvicinare i nuclei di deuterio e trizio a

temperatura ambiente e pressione atmosferica; purtroppo però la vita del muone è molto

breve e ad oggi non si è ancora in grado di fargli catalizzare un numero sufficiente di

reazioni prima che "muoia", tali da rendere il suo utilizzo conveniente dal punto di vista

energetico;

confinamento chimico: questo tipo di confinamento, che è quello utilizzato anche da

Fleischmann e Pons nella loro cella elettrolitica, consiste nell'utilizzare la proprietà del

palladio (o di altri catalizzatori) di impregnarsi di idrogeno e dei suoi isotopi, formando

deuteruro oppure idruro di palladio.

fenomeni collettivi: sono state proposte teorie in cui il deuterio riuscirebbe a superare la

repulsione elettrostatica grazie alla schermatura degli atomi del reticolo di palladio. In

questo modo, due nuclei di deuterio formerebbero un composto simile alla coppia di Cooper

nella superconduttività, avvicinando quindi la fusione fredda ai fenomeni collettivi tipici

della teoria dei sistemi a molti corpi, come il Condensato di Bose - Einstein, l'elio

superfluido, e la superconduttività appunto.[1] Un problema di questa interpretazione è che i

fenomeni collettivi nei solidi si riscontrano generalmente a temperature prossime allo zero

assoluto.

Immergendo in una soluzione liquida a base di deuterio due elettrodi (uno di palladio e l'altro di

platino) e fornendo energia elettrica, si ha il passaggio di una corrente attraverso la soluzione

elettrolitica che dà origine a elio, trizio, neutroni, raggi gamma e raggi X. Si registra inoltre la

produzione di una quantità di calore maggiore dell'energia fornita attraverso la batteria che alimenta

la cella. Ciò sarebbe dovuto alla fusione dei nuclei degli atomi di deuterio, grazie alle proprietà

catalizzatrici del palladio.

Materia antimateria la nuova fonte di energia?

Ogni oggetto che ci circonda è fatto di materia. Ma se ogni cosa è di materia, che cosa è allora

l'antimateria?

Per avere la risposta bisogna tornare indietro nel tempo fino agli anni '30. Nel 1928 Dirac

formulò una teoria per il moto degli elettroni in campi elettrici e magnetici, includendo sia

effetti quantistici che effetti relativistici.

Questa teoria, in grado di descrivere i risultati delle misure sperimentali in modo

eccezionalmente preciso, portò anche ad una sorprendente previsione.

L'elettrone doveva avere una "antiparticella" con stessa massa ma carica elettrica opposta a

quella negativa di un normale elettrone.

La previsione di Dirac trovò conferma sperimentale nel 1932

Oggi sappiamo che tutte le particelle con momento angolare intrinseco (spin) semi-intero,

devono avere un'antiparticella. Mentre la massa di particelle e antiparticelle è identica, altre

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proprietà sono caratterizzate da valori che hanno segno matematico opposto. Ad es.

l'antiprotone ha la stessa massa del protone ma carica elettrica opposta (la carica del protone è

positiva, quella dell'antiprotone è negativa).

Anche alle particelle elettricamente neutre, come il neutrone, corrispondono antiparticelle. Esse

possiedono proprietà, con segno cambiato, differenti dalla carica elettrica, ad es., il momento

magnetico intrinseco.

Quando materia e antimateria si incontrano diventano energia