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The Jewish Daily Forward The Arty Semite blog – 19 Agosto 2011 (http://www.forward.com/blogs/the-arty-semite/141632/ ) ______________________________________________________ Star-Gazing, Optimism and Courage From Italy’s Jewish Partisans By Benjamin Ivry Isacco Levi, who turned 87 in July, a distant relative of Primo Levi who fought as a wartime anti-Nazi partisan, is the sole survivor of a family of thirteen from Saluzzo in northwest Italy; the rest were murdered in Auschwitz. In 2005, a Berlin war claims conference bizarrely denied Levi any compensation for this loss because he was a member of the Italian Resistance. As Levi continues to protest this decision, (his story is told in 2005’s “The Levis of Spielberg Street: Isacco Levi Between Fascism and Nazism” by Alessio Ghisolfi from Clavilux Edizioni), other Italian Jewish partisans are being heeded, at least within Italy. “Voices of the Italian Jewish Resistance” edited by Alessandra Chiappano appeared earlier this year from Casa editrice Le Château. Chiappano, author of last year’s “Luciana Nissim Momigliano: a Life” from La casa editrice La Giuntina, the story of an Italian partisan and Auschwitz survivor, knows heroism when she sees it. “Voices of the Italian Jewish Resistance” assembles previously unpublished or little-known texts by such writers as the architect Eugenio Gentili Tedeschi). Among Gentili Tedeschi’s postwar projects were to rebuild Milan’s Central Synagogue on the via Guastalla and the Hebrew school on via Sally Mayer; he was also a captivating writer. In a previously unpublished 1988 essay, “Stardust,” Gentili Tedeschi describes how, as his group of Jewish partisans marched in the countryside, they would whistle the melody of the Hoagy Carmichael pop standard “Stardust,” with one combatant starting and the others picking it up in unison, “just as would be seen many years later in the film, ‘Bridge on the River Kwai.’” This unusual choice of martial music, Gentili Tedeschi explains, was inspired by his generation’s deep involvement in a “bunch of symbols, the America of filmdom and jazz, the New Deal as filtered through the movies of Frank Capra…” For these youngsters, whistling “Stardust” was a “radiantly
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The Jewish Daily ForwardThe Arty Semite blog – 19 Agosto 2011(http://www.forward.com/blogs/the-arty-semite/141632/) ______________________________________________________Star-Gazing, Optimism and Courage From Italy’s Jewish PartisansBy Benjamin IvryIsacco Levi, who turned 87 in July, a distant relative of Primo Levi who fought as a wartime anti-Nazi partisan, is the sole survivor of a family of thirteen from Saluzzo in northwest Italy; the rest were murdered in Auschwitz. In 2005, a Berlin war claims conference bizarrely denied Levi any compensation for this loss because he was a member of the Italian Resistance.As Levi continues to protest this decision, (his story is told in 2005’s “The Levis of Spielberg Street: Isacco Levi Between Fascism and Nazism” by Alessio Ghisolfi from Clavilux Edizioni), other Italian Jewish partisans are being heeded, at least within Italy. “Voices of the Italian Jewish Resistance” edited by Alessandra Chiappano appeared earlier this year from Casa editrice Le Château. Chiappano, author of last year’s “Luciana Nissim Momigliano: a Life” from La casa editrice La Giuntina, the story of an Italian partisan and Auschwitz survivor, knows heroism when she sees it.“Voices of the Italian Jewish Resistance” assembles previously unpublished or little-known texts by such writers as the architect Eugenio Gentili Tedeschi). Among Gentili Tedeschi’s postwar projects were to rebuild Milan’s Central Synagogue on the via Guastalla and the Hebrew school on via Sally Mayer; he was also a captivating writer.In a previously unpublished 1988 essay, “Stardust,” Gentili Tedeschi describes how, as his group of Jewish partisans marched in the countryside, they would whistle the melody of the Hoagy Carmichael pop standard “Stardust,” with one combatant starting and the others picking it up in unison, “just as would be seen many years later in the film, ‘Bridge on the River Kwai.’” This unusual choice of martial music, Gentili Tedeschi explains, was inspired by his generation’s deep involvement in a “bunch of symbols, the America of filmdom and jazz, the New Deal as filtered through the movies of Frank Capra…”For these youngsters, whistling “Stardust” was a “radiantly

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optimistic rendition, our salute to humanity pledged to oppose the universe of hatred constructed by the Fascists and German violence.” Other writings, first published in “Ha Keillah,” a bi-monthly produced by Turin’s Jewish community, include “A Dream” a 1978 essay by the author and educator Ada Della Torre, another cousin of Primo Levi who recalls how in the years 1942-3, while bombs were falling in Milan, the unruffled Levi would teach her about “Freud and astronomy… pointing to the sky and saying, ‘See? It’s Capella [the brightest star in the constellation Auriga]…’” These bright stars deserve to be remembered.

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Pagine ebraiche – anno 3, numero 7 – luglio 2011______________________________________________________Sette ragazzi prima della tempestaDi Anna Segre"Nell'autunno 1942 eravamo a Milano sette amici di Torino, ragazzi e ragazze, approdati per motivi diversi nella grossa città che la guerra rendeva inospitale ... Euge era architetto, voleva rifare Milano, e diceva che il miglior urbanista era stato Federico Barbarossa. Silvio era dottore in legge, ma scriveva un trattato di filosofia su minuscoli foglietti di carta velina ed era impiegato in un'impresa di trasporti e spedizioni ... Ada era mia cugina e lavorava alle edizioni Corbaccio: Silvio la chiamava bidottore perché aveva due lauree, ed Euge la chiamava cugimo che voleva dire cugina di Primo, del che Ada si risentiva un poco". Attraverso le parole di Primo Levi, all'inizio del racconto Oro (II sistema periodico) conosciamo tre fra i sei protagonisti del libro di Alessandra Chiappano, Voci della Resistenza ebraica italiana, terzo volume della collana Ebraica storie memorie dell'editore aostano LeChâteau. Euge (Eugenio Gentili Tedeschi) parteciperà poi alla resistenza in Val di Cogne, Silvio (Silvio Ortona) sarà comandante garibaldino nel Biellese, Ada (Ada Della Torre, che sposerà Silvio), farà la staffetta tra il Biellese, Ivrea e Torino. A loro si aggiungono i fratelli Franco e Mila Momigliano e Anna Maria Levi, sorella di Primo. Questi sei personaggi non hanno in comune solo il fatto di essere tutti ebrei piemontesi e di aver partecipato in qualche modo alla guerra di liberazione, ma anche una fitta rete di rapporti di amicizia e legami famigliari, per cui tutti si conoscevano e i loro racconti si intersecano, confermandosi a vicenda con una coerenza quasi sorprendente. Anche Silvio, Ada ed Euge ricordano il gruppo di amici torinesi a Milano descritto in Oro; poi nel '43, come racconta Primo Levi, "nel giro di poche settimane ognuno di noi maturò, più che in tutti i vent'anni precedenti" e dopo l'8 settembre arriverà per tutti la scelta di impegnarsi nella resistenza: "Ci separammo per seguire il nostro destino, ognuno in una valle diversa". La caratteristica del libro della Chiappano, come evidenziato dal titolo, è di dare voce (dopo un'introduzione sulla resistenza ebraica, in particolare in Italia) ai protagonisti stessi di quelle vicende, attraverso racconti più o meno autobiografici scritti talvolta durante

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la guerra o poco dopo, altre volte a molti anni di distanza. Alcuni tra questi racconti sono inediti, altri sono stati pubblicati su riviste, in particolare sul bimestrale ebraico torinese HaKeillah. Nei brevi racconti di Ada Della Torre (alcuni autobiografici, altri di fantasia) si descrive la vita delle donne che affiancavano la resistenza, gli incontri clandestini, le imprudenze, la complicità della popolazione locale; ne emerge un'immagine più quotidiana e a volte autoironica, le stesse caratteristiche che si apprezzano nel suo romanzo autobiografico Messaggio speciale (Zanichelli, 1968; Editori Riuniti,1979). Eugenio Gentili Tedeschi narra soprattutto la difficile traversata di un gruppo di partigiani nel novembre 1944 attraverso le montagne innevate dalla Val di Gogne alla Francia già liberata. Silvio Ortona racconta la vita partigiana, dalle battaglie ai luoghi di pernottamento, ma non mancano riflessioni più ampie. Nei testi di tutti e tre è spesso protagonista la montagna piemontese e valdostana, tra mulattiere, pendii scoscesi, la nebbia che nasconde e protegge, colli da cui si aprono panorami mozzafiato: descrizioni che accrescono ulteriormente il fascino dei racconti, almeno per me, che ho frequentato a lungo la Val di Cogne descritta da Euge, e spesso proprio in compagnia di Ada e Silvio (grandi amici dei miei genitori). Nel racconto più lungo della raccolta Mila Momigliano narra l'arresto di suo fratello Franco, attivo in Giustizia e libertà, e i propri tentativi per tenere i contatti con lui e farlo evadere (la fuga è poi narrata dallo stesso Franco Momigliano). In un altro racconto descrive gli sforzi per tenerlo nascosto dopo l'evasione. Chiude il volume una breve intervista ad Anna Maria Levi, l'unica testimone rimasta tra i protagonisti di queste vicende.L'identità ebraica emerge da questi racconti occasionalmente, con la percezione (non sempre tenuta presente) di correre un pericolo più grave rispetto ai propri compagni di lotta, oppure con la descrizione dei genitori e parenti nascosti. Nella lotta di liberazione i giovani protagonisti si sentono uguali agli altri, e così sono percepiti, incontrando facilmente solidarietà.Nel testo Ero diverso, ufficiale i ebreo (presentato nel 1995 a un convegno della Comunità ebraica di Milano sul tema della Liberazione), Silvio Ortona scriveva: "Molti di noi, ebrei della mia generazione, si sono formati una cultura e coscienza democratica mentre se la formavano milioni di altri italiani della stessa

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generazione; ciò attraverso le dure esperienze di quegli anni. A noi, italiani ebrei e non, toccò in sorte di passare dall'adolescenza o dalla giovinezza alla maturità in quegli anni grandi e terribili, che sono stati determinanti per la storia successiva... Nelle nostre esperienze resistenziali non furono scindibili le motivazioni ebraiche da quelle italiane, perché l'azione si collocava di per sé, spontaneamente, naturalmente, in un quadro più generale, quello della conquista democratica per tutti in Italia e anche in Europa e idealmente nel mondo".E conclude la sua riflessione citando Geremia (29,7): "Cercate il benessere della città dove vi ho esiliato, pregate il Signore per essa perché dal suo benessere dipende il vostro" e commenta: "È noto che non mi sento esiliato; ma tanto più considero essenziale l'appello del profeta in quanto non è in gioco soltanto il benessere."

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Un eroismo poco conosciutoNata a Genova nel 1963. la studiosa Alessandra Chiappano ha all'attivo una vasta bibliografia di testi dedicati all'approfondimento delle tematiche della Shoah e della deportazione verso i campi di sterminio nazisti, il suo ultimo lavoro - Voci della resistenza ebraica Italiana, terzo volume della collana Ebraica storie memorie dell'editore aostano LeChâteau - restituisce onore a un tema poco approfondito dalla storiografia: la partecipazione degli ebrei italiani alla lotta contro il nazifascismo. Chiappano affronta questo tema raccontando le vicende di un gruppo di ebrei torinesi legati da un forte rapporto dì amicizia e complicità.

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Bollettino della comunità ebraica di Milano – numero 5 – maggio 2011______________________________________________________Da Cogne al Biellese: le voci dei partigiani ebrei"Avevamo vent'anni, e oltre il ponte che in mano nemica..."Una pagina poco indagata e finalmente uscita dallo sgabuzzino della Storia. Stiamo parlando della partecipazione ebraica alla Guerra partigiana e della presenza di giovani partigiani tra i 24-25 anni che seppero esprimere uno spessore morale e intellettuale davvero unico. Ce ne parla il libro Voci della Resistenza ebraica italiana, editore Le Chateau, a cura di Alessandra Chiappano. "Si tratta di ricordi, testimonianze, storie: quella di Eugenio Tedeschi Gentili che operava nella banda Verraz a Cogne e che il 2 novembre 1944 fu protagonista di una fuga rocambolesca in Francia. O ancora della staffetta Mila Momigliano che aiutò, con Vittorio Foa, suo fratello Franco a fuggire da San Vittore a Milano, dopo l'arresto. O Ugo Sacerdote (nella foto), Ada della Torre e Silvio Ortona che agivano nelle campagne biellesi; Wanda Maestro, Luciana Nissim e Primo Levi in Val d'Aosta", spiega Chiappano, responsabile didattica dell'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione. "Era un gruppo singolare, che seppe dare alla tragicità del proprio tempo una risposta eccezionale, capendo che bisognava agire e scegliere. Dopo il 1938 si riunivano nella Biblioteca ebraica di Torino. Con l'8 settembre «ciascuno se ne andò per una diversa valle» partigiana, disse Primo Levi. Chi aderì ai Garibaldini come Ortona detto il lungo, chi a Giustizia e Libertà (Levi e Nissim), chi a bande sciolte (Tedeschi Gentili). "Ahimè i partigiani oggi non "bucano", con il clima politico attuale non fanno notizia, anche quelli ebrei. E' il paradigma della Resistenza che è sotto accusa: in un paese in cui si mette in discussione se festeggiare il 25 aprile, è ovvio che la Resistenza sia in disgrazia!".

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L'Indice – aprile 2011 – pagg. 25-26______________________________________________________Grandi montagne e molte prospettive

Alessandra ChiappanoLUCIANA NISSIM MOMIGLIANOUNA VITApp.295,€15,Giuntina, Firenze 2010

Ogni psicoanalista, per i primi anni della sua attività clinica, riferisce settimanalmente a un analista esperto l'andamento delle sedute dei suoi primi casi in analisi. In psicoanalisi, questa esperienza assume il termine tecnico di supervisione e gioca un ruolo importante nella formazione del futuro strizzacervelli. Nel 1993 Luciana Nissim era il mio supervisore. Ho un ricordo molto vivo della copia dell'"Indice" di aprile di quell'anno, che si stagliava sulla scrivania di legno scuro, nel pur luminoso studio di Brera. In quel numero, al centro della recensione che Mauro Mancia aveva dedicato a L'esperienza condivisa (Raffaello Cortina, 1992; "L'Indice", 1993, n. 4), campeggiava un ritratto di Luciana Nissim a opera di Tullio Pericoli. Ricordo altrettanto bene il moto un po' civettuolo, a dispetto dell'età, con cui la decana della psicoanalisi italiana rispose alla considerazione che le avevo appena manifestato: non sembrava un ritratto, ma una caricatura forse, e la invecchiava oltre misura. In effetti, credo che Pericoli non avesse mai incontrato Luciana Nissim nella realtà, ma si fosse basato su alcune fotografie, le stesse che trovarono spazio sul "Diario della settimana" di qualche anno più tardi; immagini che mettevano troppo in risalto piccole asimmetrie e le rughe di una vita sul bel volto sorridente e spesso abbronzato.La vita di Luciana Nissim Momigliano ha ispirato la penna puntigliosa ed esigente di Alessandra Chiappano, storica attenta del movimento di liberazione in Italia, studiosa sensibile della Shoah e della deportazione nel nostro paese.

Grazie alla generosa collaborazione del figlio di Luciana, Alberto Momigliano, Alessandra Chiappano ha potuto ricorrere sistematicamente ai documenti originali, alla cui catalogazione e destinazione presso l'Istituto piemontese per la storia della

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Resistenza e della società contemporanea (Istoreto) ha così contribuito.La figura di Luciana Nissim ha contrassegnato il XX secolo, testimoniandolo nella sua crepa più profonda, arricchendolo senza esagerazioni, grazie a un senso della discrezione, dell'autoironia, a una capacità di riflessione e di cambiamento senza pari. Come era forse prevedibile, ritrarre una figura ricca e complessa quanto mai ha presentato al suo biografo - al pari delle montagne, che non a caso hanno segnato la sua vita e quella del marito, l'economista Franco Momigliano - un problema di prospettiva: vite vissute e grandi montagne appaiono differenti, al variare del punto di vista dell'osservatore. In questo senso, è possibile affrontare questa biografia a partire dal vertice dell'ebraismo, oppure da quello della Resistenza; dal punto di vista della Shoah, oppure da quello psicoanalitico. Il lavoro di Alessandra Chiappano privilegia senz'altro il primo e il terzo di questi vertici di osservazione, ridimensionando, in piena coscienza critica, il secondo, mentre, per quanto riguarda la psicoanalisi, l'autrice si affida a testimoni competenti, lasciando tuttavia il discorso in mano ad altri.Il testo articola nei sei capitoli di cui è costituito, geograficamente, prima ancora che storicamente. Inizia in Piemonte, fra il vercellese parentale, la Torino natia (1919) e poi universitaria (1938-1943), la Biella adolescenziale e quello spicchio di arco alpino che spazia dalle Cozie alle Pennine. Il secondo capitolo è invece ambientato a Oświecim, nell'attuale Polonia, peggio conosciuta come Auschwitz. La terza parte è ambientata nel non-luogo brumoso del ritorno dal Kriegsgefangenenlager. Si passa quindi a Ivrea, alla luce della irresistibile utopia di Adriano Olivetti. Il quinto capitolo vede un'ulteriore piccola diaspora, a Milano (1956), in seguito alla rottura con Olivetti; e il radicamento nel capoluogo lombardo si svolge in parallelo al radicamento della protagonista nell'esperienza psicoanalitica. Il sesto capitolo vuole Luciana Nissim ritrovare appieno un altro non-luogo, quello del sentimento di appartenenza all'ebraismo, a partire dalla tragica scomparsa di Primo Levi (1987). Da capo, dunque. La biografia è particolarmente riuscita nel ritrarre la disperata meraviglia dello scoprirsi perseguitati, improvvisamente, quando si hanno vent'anni o poco meno. Quando si cresce in una famiglia borghese, come tante, in cui di ebraico c'è ben poco: lo Shemà insegnato alle figlie, qualche vocabolo yiddi-sh

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a colorire il dialetto piemontese e il non condividere il Natale con gli altri bambini. Da qui, il terremoto provocato dalle leggi razziali del 1938, e la ricostruzione fedele degli snodi di un processo psicologico, ancor prima che storico, che trovò il suo pabulum all'interno della biblioteca della Scuola ebraica di Torino. Lì potè costituirsi, infatti, un gruppo di studenti universitari che scoprirono, soltanto grazie alla nascente persecuzione fascista, alcuni aspetti di sé. Da questa consapevolezza al cercare rifugio sulle montagne amate, quando con sistematicità iniziarono le retate fasciste, il passo fu breve. Alessandra Chiappano ridimensiona parecchio l'avventura partigiana di Luciana Nissim, interrotta ben presto da una soffiata, mentre segue passo passo il percorso di vita nel lager, che a questa fa seguito, ed è amaro e doloroso oltre ogni misura. Altrettanto amara è la narrazione del rientro, non sommersa ma salvata, grazie anche all'intuizione del dichiararsi medico, ad Auschwitz. La biografia tesse poi la lenta, faticosa rinascita alla vita, al lavoro, alla testimonianza politica, alla formazione (prima), al lavoro psicoanalitico (poi), al testimoniare (infine). Tuttavia, è la Luciana Nissim psicoanalista che ha lasciato il segno. Come ha elegantemente sintetizzato Francesco Barale, in occasione del convegno (novembre 2010) organizzato al Quirinale su di lei, si tratta di un percorso che ha conosciuto almeno tre stagioni di creatività. La prima si colloca all'inizio degli anni settanta, quando, sulla scia di Paula Heimann, Nissim sottolinea come l'interpretazione, classicamente centrata da Strachey sul transfert del paziente, rischi spesso di diventare una traduzione automatica - con l'effetto del traduttore di Google su certi testi, per intenderci - se non passa attraverso il controtransfert dell'analista. La seconda stagione è di dieci anni successiva (1984). Se anche gli psicoanalisti avessero adottato il criterio quantitativo del numero di citazioni che un lavoro riceve, sicuramente la nostra autrice sarebbe in testa a ogni graduatoria con l'articolo cult della psicoanalisi italiana, e non solo: Due persone che parlano in una stanza. In esso sono messi a fuoco, e questa volta il riferimento teorico è al contributo di Bion, oneri e onori (per utilizzare un'espressione cara a Nissim) di entrambi i membri della coppia al lavoro. L'ultima stagione creativa vede la piena maturità di Luciana Nissim; tra i suoi compagni di viaggio in questo periodo, uno è forse meno celebrato degli altri, ma altrettanto radicale nella sua

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innovatività: il Casement di On learning from the patient.

In questi anni Luciana Nissim riscriverà buona parte della tecnica analitica corrente, passando da forme di ascolto "sospettoso", in cui tutto quello che il paziente dice viene utilizzato contro di lui, per smontarne le difese, a forme di ascolto "rispettoso", che chiedono invece all'analista di essere responsabile per entrambi, ma onesto con se stesso fino al profondo. E siamo alla fine. Il cerchio della vita e delle opere di Luciana Nissim si chiude, nel libro come era stato nella realtà, riannodando alcuni fili di quell'area buia e incolore, che non aveva ancora trovato parole. E al lettore non resta che interrogarsi sull'intreccio tra le sue vicende di vita e le trasformazioni profonde che questa grande donna ha saputo imprimere negli anni, per usare ancora un'espressione a lei cara, al suo "modo di lavorare".

Pierluigi Politi

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Il Corriere della sera (edizione on line) – spettacoli - 29 gennaio2011______________________________________________________A fil di rete

Non invano si ricorda la ShoahHallmark (canale 128 di Sky) e Luciana Nissim Momigliano, sopravvissuta ad Auschwitz Era solo un breve ritratto, ma sono stati minuti di grande intensità, a ricordo di quando la Storia s'intorbida insensatamente di crimini. In occasione del Giorno della Memoria, Hallmark (canale 128 di Sky, giovedì, ore 20.55) ha proposto la figura di Luciana Nissim Momigliano, medico e psicoanalista, sopravvissuta ad Auschwitz. Aveva 24 anni, si era appena laureata in medicina a Torino, quando fu presa dalla milizia di Aosta insieme a due amici, Primo Levi e Vanda Maestro: era poco dopo l'8 settembre 1943 e loro tre si erano uniti in montagna a una banda di ragazzi: «Non si chiamavano ancora partigiani», ricordava. Furono portati al campo di Fossoli e dopo un mese trasferiti in Germania. Si sarebbe salvata perché, mentre veniva tatuata e rapata, riuscì a dire «Ich bin Arztin», sono una dottoressa. E la mandarono in infermeria. Al ritorno sposò l'economista Franco Momigliano «che faceva già parte della mia vita» e con lui animò quella irripetibile stagione «illuminista» dell'Ivrea di Adriano Olivetti. Attraverso foto, immagini, un video tratto dall'USC Shoah Foundation Institute for Visual History and Education, fondata da Steven Spielberg, e un'intervista ad Alessandra Chiappano, autrice del libro «Luciana Nissim Momigliano: una vita», riaffiora la straordinaria personalità della Nissim. Nel 1946, a ridosso della Liberazione, pubblicò la sua testimonianza «Ricordi della casa dei morti», uno dei primi scritti sulla realtà dei campi nazisti. Dopo, per anni, di quella follia e di quegli orrori, portò sempre testimonianza col numero di Auschwitz tatuato sul suo braccio sinistro, ma si dedicò con impegno totale alla professione, diventando una delle più affermate psicoanaliste italiane. Soltanto nel 1992 (sei anni prima di morire) parlò ancora della sua deportazione per il libro «Mi pare un secolo» di Paola Agosti e Giovanna Borgese. Non invano si ricorda la Shoah.

Aldo Grasso29 gennaio 2011(ultima modifica: 31 gennaio 2011)

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Ha Keillah (rivista on line), numero 5, dicembre 2010______________________________________________________LibriUn convegno su Luciana Nissim Momigliano

La vita che Auschwitz non ha spento

Il 6 novembre in occasione della Mostra “A noi fu dato in sorte questo tempo 1938-1947”, curata da Alessandra Chiappano, l’Istituto Nazionale per il Movimento di Liberazione in Italia, la Società Psicoanalitica Italiana e l’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, hanno organizzato l’incontro “Luciana Nissim Momigliano, una vita per la psicoanalisi, il paziente miglior collega”. In una calda giornata, con un tepore primaverile, nella sala dell’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, ho partecipato ad un evento emotivamente denso, per me donna, ebrea, psicoanalista. L’incontro, diviso in una parte più storica ed un’altra più centrata sulla persona di Luciana Nissim come psicoanalista, integrava la tragicità delle storia con le qualità vitali e personali che hanno fatto della vita della dott.ssa Momigliano Nissim una vita per la psicoanalisi. Una psicoanalisi “calda”, vicina al paziente, considerato appunto come il miglior collega. I ricordi della Torino precedenti alla sua deportazione, raccolti negli scritti che compongono il libro “Ricordi della casa dei morti” edito da Giuntina nel 2008, si mescolano all’esperienza della deportazione, del lager, degli amici persi, dei “sommersi”, dei legami spezzati, di quelli poi ritrovati. Dalla curatrice dei suoi scritti e da chi da vicino l’ha conosciuta, Luciana Nissim viene descritta come una persona riservata, che non amava parlare dell’esperienza di Auschwitz, che al ritorno aveva “aperto le pagine del libro della vita”. Così, dopo aver scritto quei Ricordi, riprende a vivere: “Io amo pensare che ho girato pagina. Che è stato un libro dell’orrore, ma che ho chiuso e ne ho cominciato un altro, della leggerezza e dell’amore. Io sono venuta via da Auschwitz, non sono più là”. Lavora e studia senza risparmiarsi, la pediatria le pare un suo modo per riparare alla morte dei tanti bambini uccisi ad Auschwitz: “Non si esce da un’esperienza come questa, senza il retaggio di precisi doveri verso se stessi e verso gli altri”. Medico, pediatra, psicoanalista. Chi meglio di lei poteva avvicinarsi, con un’umanità speciale alla sofferenza, al dolore? Dirà, della sua professione di Analista

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Didatta: “ho cercato di insegnare ai colleghi più giovani a prendersi l’altro sulle spalle, anziché lasciarlo a trent’anni fa con la sua mamma o all’altro ieri con la sua fidanzata. Su questo ho scritto un saggio di culto e per fortuna non me ne sono accorta...”. Nell’affrontare la “colpa” di essere sopravvissuta, si occupa della vita e della cura della vita mentale dei pazienti, attraverso un’attività proseguita sino al temine dei suoi giorni, a Milano, nel 1998. La storica Alessandra Chiappano ricostruisce sapientemente e percorre con rispetto le vicende di una vita che ha attraversato il Novecento, soffermandosi sulle tappe più significative: il lavoro alla Olivetti, la dedizione alla psicoanalisi, il rapporto con la Shoah, la decisione di testimoniare. Si rende conto che “La sua vita si è aperta e chiusa con Auschwitz, la sua esistenza ha compiuto un cerchio perfetto”. Credo che il profondo messaggio di questa giornata sia, anche nella distruttività e nella violenza più estrema, il senso e l’importanza per la vita. Una vita, che con i suoi legami, di affetto e di cura per gli altri, neanche Auschwitz è riuscita a spegnere.

Sarah Randaccio

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Un'esistenza in cui vive la Storia. Luciana Nissim Momigliano

DA AUSCHWITZ ALLA PSICOANALISI ALLE SUE RIFLESSIONISULLA VITA

Una donna eccezionale rievocata recentemente in una giornata di studio all'Archivio Storico del Quirinale.

Nel corso del 2010 si sono moltiplicate le occasioni per ricordare la figura di Luciana Nissim Momigliano, per diverse ragioni. La prima è, senza dubbio, la pubblicazione della sua biografia (A. Chiappano. Luciana Nissim Momigliano. Una vita, Giuntina, Firenze 2010), accompagnata dal deposito del suo archivio personale presso l'Istituto di storia della Resistenza di Torino, poi la presenza costante di documenti, fotografie e spezzoni di interviste a Luciana Nissim nella bella mostra allestita in varie sedi italiane (da Torino fino all'ultima edizione romana al Quirinale) dal titolo "A noi fu dato in sorte questo tempo" che, a cura di Alessandra Chiappano, ricostruisce le vicende dello straordinario gruppo di giovani ebrei che, fra il 1938 e il 1943, si raccolse fra Torino e Milano e di cui faceva parte Primo Levi. Infine, il 6 novembre scorso, la giornata di studio dedicata a Luciana Nissim Momigliano nell'Archivio storico del Quirinale e promossa dalla Società psicoanalitica. Perché tanto interesse intorno a questa figura e da parte di tanti e diversi punti di vista? La risposta, alla luce della biografia di Luciana Nissim, è scontata: perché nell'esistenza di questa figura di donna si incrociano momenti importanti della storia italiana, anche nel dopoguerra, come è apparso evidente nella giornata del 6 novembre. Luciana Nissim Momigliano (Biella 1919 Milano 1998) nasce in una famiglia ebrea biellese, caratterizzata da quell'affettuoso e laico legame con la tradizione ebraica, ma in cui comunque si mantiene almeno parte dell'identità religiosa, che Primo Levi ha così ben raccontato. E una famiglia che ha un'idea molto "moderna" dell'identità femminile, tant'è che Luciana (e le sue sorelle) sono esortate a studiare, laurearsi e lavorare, mentre nessuno si sogna di addestrarle a una vita di casalinga. Le leggi razziali intervengono mentre Luciana studia medicina a Torino, dove le è consentito

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continuare gli studi fino alla laurea. Come prevedevano le stesse leggi per chi già aveva iniziato i corsi. Ma, naturalmente, tutto è cambiato e la nuova situazione la avvicina al gruppo di giovani intellettuali ebrei torinesi che si è andato costituendo e che vede al suo interno Franco Momigliano, Primo Levi. Silvio Ortona, Vanda Maestro. Eugenio Gentili Tedeschi, Emanuele ed Ennio Artom, Giorgio Sagre, Alberto Salmoni, Lino Jona. Con loro ci sarà presto anche Bianca Guidetti Serra che di Alberto Salmoni diverrà nel dopoguerra la moglie. Nel gruppo, che poi si sposta a Milano alla ricerca di un precario lavoro, per quanto lo consentono le leggi razziali, si discute, si studia, ci si innamora. Gli incontri avvengono prima presso la Biblioteca della scuola ebraica di Torino, poi a Milano in casa di Ada Della Torre. In queste discussioni maturano e si consolidano le idee politiche antifascista del gruppo. E sono a Milano nel settembre 1943 quando, dopo i 45 giorni di Badoglio, i tedeschi occupano l'Italia centrale e settentrionale. Come ricorda in una bella intervista Silvio Ortona, la scelta fu naturale: il gruppo decide di unirsi alla Resistenza. Il resto della storia è noto grazie al racconto di Primo Levi: mentre una parte dei giovani e un po' improvvisati partigiani sfugge a una retata (con loro Franco Momigliano, già legato a Luciana) altri vengono arrestati, portati a Fossoli e poi deportati ad Auschwitz. Tra questi ultimi Primo Levi, Luciana Nissim, Vanda Maestro e Franco Sacerdoti, un giovane napoletano che si era trasferito a Torino. Di loro torneranno solo Primo e Luciana. Come Primo, salvato dal mestiere di chimico, Luciana si salverà anche perché medico: assegnata al revier, la terribile infermeria di Birkenau, vede cose strazianti ma riceve un limitato "trattamento preferenziale". Tornata a Torino e ritrovato Franco, che è stato un comandante partigiano di Giustizia e Libertà, racconta subito la sua esperienza in RICORDI DELLA CASA DEI MORTI, pubblicato nel 1946 (e nuovamente nel 2008 per Giuntina, a cura di A. Chiappano). Poi, per lunghissimo tempo, tacerà — almeno in pubblico — dedicandosi a una straordinaria vita professionale. Specializzata in pediatria, «io volevo curare i bambini che erano stati uccisi» dirà molti anni dopo, partecipa con Franco Momigliano che è un noto economista, alla grande avventura di Adriano Olivetti a Ivrea, come responsabile degli asili nido della Olivetti. Ma nella vita privata, forse perché le sue condizioni fisiche non

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sono ancora buone, paga un prezzo durissimo; la sua prima bambina (chiamata Vanda. per mantenere una promessa fatta all'amica del cuore ad Auschwitz) muore alla nascita. Solo molti anni dopo nascerà il figlio Alberto. L'esperienza della Olivetti finisce in modo traumatico per i coniugi Momigliano: quando il pur illuminato Adriano chiede loro di sostenere un sindacato di origine "padronale (i cosiddetti sindacati 'gialli') Franco e Luciana si rifiutano e vengono cacciati. Franco poi tornerà a lavorare alla Olivetti, parte di quel brain trust olivettiano tanto celebrato mentre Luciana cambierà le sue prospettive professionali. L'approdo alla psicoanalisi, dopo il trasferimento a Milano e l'incontro con Cesare Musatti sarà poi spiegato come un esito naturale: la necessità di curare la mente per curare il corpo. Non sarà una psicoanalista fra tanti ma elaborerà la concezione dell'ascolto rispettoso" destinata a fare scuola, come pure e la scelta del termine è davvero interessante l'idea della supervisione in analisi come una forma di "nonnità". Non parlerà più del lager in pubblico, pur mantenendo i contatti con alcune compagne di prigionia e con Primo Levi finché non accetterà di testimoniare nel processo Boshammer. Ma anche allora, non diventerà una testimone nelle scuole, per i giovani, in televisione. Solo dopo la morte di Primo Levi, dando già un segnale nel necrologio che fa pubblicare («resto ormai sola a ricordare l'altro viaggio»), maturerà la decisione di rilasciare interviste, parlare pubblicamente, raccontare, anche in alcuni interventi in convegni di psicoanalisti.L'intervista al CDEC e poi la lunga intervista alla SHOAH FOUNDATION poco prima della morte (di cui molti spezzoni sono inseriti nella mostra) rappresentano l'esito di una riflessione sull'esperienza del lager che non era certamente maturata solo nell'ultima parte della vita. Una riflessione che, a tratti, appare tutto fuorché scontata; il punto di vista di Luciana Nissim è sempre insolito, rispetto a quelli che conosciamo, sempre un po' "eretico". A partire dal racconto del viaggio verso Auschwitz che definisce «anche un viaggio d'amore e di vita», perché i quattro giovani, tra cui sono nati sentimenti d'amore nell'orrore di quel tra UN'ESISTENZA IN CUI VIVE LA STORIA sporto su vagoni piombati, riescono a esprimere questi sentimenti con una intensità forse altrimenti impensabile. Ma la frase, certo, può essere

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“disturbante”. Per finire, poi, con alcune considerazioni a proposito delle ragioni psicologiche della sua sopravvivenza («io non mi sentivo una povera ebrea perseguitata, io ero una combattente») fino al conclusivo: io sono venuta via da Auschwitz, non sono più là». E, poi, lungo tutta l'intervista, l'ironia, l'autoironia, perfino la civetteria, parlando del corteggiatore fascista nella caserma di Aosta dopo l'arresto e la tenace vitalità che si esprime nel tentativo di comportarsi come un medico nel revier o nel racconto sui reggiseni di fortuna nel campo di lavoro dove viene portata dopo Birkenau, il tono costantemente antiretorico. Luciana Nissim muore nel 1998, pochi mesi dopo l'intervista alla Shoah Foundation. Dodici anni dopo, psicoanalisti, storici, la Fondazione Olivetti, giornalisti e amici si sono ritrovati a parlare di lei riconoscendo tutti, nei rispettivi ambiti, il segno lasciato da questa persona eccezionale.

Micaela Procaccia

da Il Portavoce n°4, aprile 2010

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