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La ricerca “Dentro il capitale delle relazioni”
a cura di Francesca Forno, Cristina Grasseni e Silvana Signori - Osservatorio CORES – Univ. degli Studi di Bergamo
Al pari di molti altri fenomeni sociali ed economici, il movimento dei Gruppi di acquisto solidali
(Gas) e dei Distretti di economia solidale (Des) ha nel Nord Italia e in Lombardia una quota molto
significativa dei propri membri. Nel libro “Il Capitale delle relazioni” si constatava l’esistenza delle
cosiddette “reti di economia solidale”, si raccontava la loro nascita e il loro funzionamento, a
vantaggio di chi volesse replicarlo. Il cospicuo patrimonio è disponibile in pdf sul sito di
Altreconomia (QRCODE) per chi volesse partire dall’inizio. La presente ricerca, a cura
dell’Osservatorio CORES dell’Università degli Studi di Bergamo e in collaborazione con Davide
Biolghini e Giuseppe Vergani del Tavolo Res, si spinge oggi “dentro” quel patrimonio, a partire
dalle 450 realtà censite in Lombardia.
Leggi qui la storia del Gas Fidenza, il primo gruppo d’acquisto solidale d’Italia e le FAQ sui Gas da “Il
capitale delle relazioni”. QRCODE
1. Il movimento GAS e DES in Italia e in Lombardia. Un caso interessante a livello
internazionale
I Gruppi di acquisto solidali (Gas) si presentano come un fenomeno davvero originale, in quanto
gruppi, quindi collettivi di persone, che acquistano - quindi si autodefiniscono preminentemente per
la loro funzione collettiva di consumo - e solidali, cioè che ambiscono a superare il modello del
mercato come meccanismo in cui offerta e domanda si influenzano a vicenda prevalentemente
tramite reciproci aggiustamenti di prezzo. Il movimento dei Gas e dei Des - i cosiddetti Distretti di
economia solidale (vedi a a pag. xx) - appare poi ancora più interessante in una prospettiva
comparativa internazionale, nella quale si dà largamente per scontata la de-politicizzazione del
consumo e il ruolo individuale del consumatore.
Anche ai circuiti alternativi di approvvigionamento (alternative food networks), largamente studiati
in Europa e Nordamerica, quindi in mercati capitalistici maturi, non sono certamente sconosciuti i
modelli di “consumo cooperativo”. Le cooperative di consumo, tuttavia, si differenziano dai Gas in
quanto tendono a focalizzarsi su una solidarietà reciproca e interna, indirizzata al risparmio per i
soci della cooperativa, oppure (o allo stesso tempo) al perseguimento di un più alto tenore
qualitativo dei prodotti (biologici, naturali, tipici, etc.). Gli stili di vita associati a questo tipo di
consumo possono essere quindi sì sostenibili, ma non solidali nel senso inclusivo del termine che i
gasisti loro associano (con ambizioni di solidarietà non solo tra gasisti e, in senso esteso, con
l’ambiente, ma anche e soprattutto con i produttori).
L’attivazione gasista pare rispondere in particolar modo, come ha altrove suggerito Francesca Forno
(Forno, 2013), a un disincanto verso quella parte della cosiddetta “economia sociale”,
cooperativistica e non-profit, che nella percezione di molti attivisti pare essersi eccessivamente
formalizzata come “Terzo settore”, professionalizzandosi e perdendo in capacità di coinvolgimento
e motivazione dei singoli quanto ha indubbiamente guadagnato in termini di organizzazione,
capacità di impatto economico, e competenza nel prendere in carico (a volte come vere e proprie
esternalizzazioni) consistenti settori del welfare e dell’educazione informale e degli adulti che lo
Stato non riesce o non vuole gestire e finanziare direttamente.
Rientra in questa rinascita della mobilitazione anche un elemento di congiuntura economica, cosa
che appare chiara soprattutto nel contesto italiano, poiché, se compariamo la natura dell’attivismo
gasista con il food activism internazionale – soprattutto ove sia legato ai suddetti circuiti di
approvvigionamento “alternativo”, cioè non convenzionale, non corporate, non mainstream, non
legato all’agribusiness - è evidente che i membri dei Gas non sembrano godere di redditi
particolarmente elevati. La maggior parte, infatti, appartiene alla classe media impiegatizia,
impegnata nei servizi, nel commercio, o nelle professioni, o più ancora dipendente statale,
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insegnante, “colletto bianco” insomma, spesso con un impiego sicuro, ma messo a dura prova nella
sua capacità di acquisto dalle politiche di austerità. I gasisti insomma non sono poveri in senso
assoluto, ma lo sono rispetto a contesti internazionali. I farmers markets, per esempio, sono spesso
fenomeni elitari, dove una famiglia di ceto medio italiano non potrebbe certo fare la spesa della
settimana. Perfino comprare shares, ovvero quote stagionali, da un agricoltore locale perché
garantisca un approvvigionamento, spesso biologico, di frutta e verdura di stagione può costare
diverse centinaia di dollari al semestre (con formule chiamate appunto Community supported
agricolture, ovvero agricoltura di prossimità sostenuta dai residenti).
Insomma ceto medio può voler dire tante cose diverse, e il ceto medio italiano, in una prospettiva
internazionale, si colloca in una fascia di reddito che renderebbe proibitivi gli stili di
approvvigionamento cosiddetto “alternativo” che sono in realtà appannaggio, altrove, di fasce
consistenti della upper middle class, ma hanno come unico obiettivo la difesa della qualità, della
salute, e in sostanza del privilegio degli interessati, se pur con una retorica di difesa della località e
dell’agricoltura di prossimità, di community. Prova ne sia che la percentuale del budget familiare
alimentare impegnato su acquisti gasisti appare rilevante (soprattutto se pensiamo che molti gasisti
comprano ancora solo cibo). Secondo i nostri dati, infatti, sarebbe circa del 13%. Un dato ottenuto
dividendo il valore della spesa che in media ogni famiglia appartenente al Gas effettua mensilmente
per l’acquisto di generi alimentari (Tab. 2) con il valore medio mensile nazionale degli acquisti di
generi alimentari (www.istat.it/it/archivio/95184, luglio 2013).
I gasisti non sono dunque “consumatori critici” solo per una presa di posizione radical-chic, ma che
fanno delle scelte di spesa che possono anche essere onerose per la famiglia, perché lo ritengono
politicamente necessario. Rispetto ai Farmers’ markets e ai progetti di Community supported
agricolture, in ogni caso, i gasisti si differenziano nettamente per il carattere collettivo della loro
pratica di approvvigionamento. Non si tratta insomma di comprare “quote” individualmente da uno
o più produttori, e vedersele recapitare settimanalmente a casa, né di frequentare mercati alternativi,
ma sostanzialmente si tratta di organizzare collettivamente la distribuzione e la logistica di un
ventaglio di prodotti procurati da una rete di produttori per una rete di consumatori. E qui entrano in
gioco i Distretti di Economia Solidale, fenomeno significativo soprattutto in Lombardia dove si
collocano dieci degli attuali progetti riconosciuti da Tavolo Res, spesso in collaborazione con reti di
Gas provinciali (Fig. 1).
I Distretti di economia solidale si strutturano attorno a tavoli di coordinamento e di studio con la
finalità di organizzare “filiere corte” che riguardano progetti di approvvigionamento collettivo che
in alcuni casi vanno “oltre al cibo” e comprendono anche energie alternative, distretti rurali e altro
ancora. Alcuni Des lombardi, principalmente quelli di di più vecchia formazione, hanno al proprio
interno anche una cooperativa di servizi di Piccola distribuzione organizzata (Pdo), come è il caso
del DesVarese e di Aequos (a pagina XX) e di Cortocircuito a Como. Questo dimostra come l’auto-
organizzazione dei Gas non debba necessariamente sfociare in meri modelli cooperativisti di
consumo, ma favorisca piuttosto la costruzione di progetti territoriali significativi per i singoli
contesti.
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Fig. 1: GAS, reti di GAS, RES e DES in Lombardia.
NB per AE: aella mappa bisogna inserire il numero di Gas per provincia in accordo con i dati in TAB 1.
Anche l’UNRISD, l’Istituto di Ricerca per lo sviluppo sociale delle Nazioni Unite, sta investendo in
una migliore comprensione di limiti e potenzialità delle economie solidali in un quadro
internazionale marcato da crescenti insicurezze dettate da crisi economiche e ambientali. In altre
parole i modelli di “sviluppo” alternativo, solidale e socialmente orientato, diventano interessanti in
vista dell’agenda globale post-2015 (per la conferenza e il sito dedicati, www.unrisd.org/sseconf).
Anche in quest’ottica appare quindi importante censire e misurare le economie solidali secondo
chiari indicatori, qualificare il loro impatto economico e la loro unicità nelle relazioni di mercato,
verificare convergenze o sinergie con le politiche pubbliche, da un lato, e i movimenti e le reti
sociali, dall’altro.
È quanto CORES ha tentato di fare con la ricerca Dentro il Capitale delle Relazioni.
2. Il disegno della ricerca
La ricerca “Dentro il Capitale delle Relazioni” mira a comprendere i meccanismi che hanno
favorito la diffusione dei Gruppi di acquisto solidali, approfondendo sia le motivazioni che
facilitano l’adesione, sia le loro dinamiche interne e strategie d’azione. L’informalità che
caratterizza questo movimento, nonché la veloce diffusione dei Gas, ha reso necessario la messa a
punto di una strategia di rilevazione piuttosto complessa che ha previsto, come prima azione, la
mappatura dei gruppi presenti e la selezione delle aree su cui concentrare la ricerca.
Da una verifica, infatti, è immediatamente emerso come i Gas già auto-iscritti alla lista di
coordinamento nazionale - www.retegas.org - fossero numericamente molto inferiori all’effettiva
presenza di questi gruppi nei diversi territori. D’altro canto, proprio la difficoltà nell’ottenere una
mappatura quanto più vicina all’esistente ha suggerito di procedere con la rilevazione delle
informazioni per singole regioni, iniziando dalla Lombardia, ovvero dalla regione italiana in cui è
stimata la maggior concentrazione di gruppi a livello nazionale, e in particolar modo da Bergamo,
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sede dell’Osservatorio CORES* e di una sessantina di Gas, in cui le ricercatrici hanno potuto
lanciare un capillare progetto-pilota proprio nel momento in cui il mondo gasista bergamasco si
attivava anche per condurre un autocensimento e l’organizzazione di una rete di Gas provinciale.
La mappatura dei Gas lombardi è avvenuta grazie ad una stretta collaborazione tra il team di
ricercatrici dell’Osservatorio CORES e gli attivisti. Per ogni provincia lombarda è stato quindi
individuato un facilitatore interno al movimento che, con la supervisione dell’equipe di ricerca, ha
creato la lista dei gruppi presenti nella propria provincia. Compito del facilitatore-gasista è stato
inoltre anche quello di contattare i diversi gruppi per illustrare gli obiettivi della ricerca3.
Completata la fase di mappatura, la rilevazione dei dati è avvenuta tramite due questionari online :
• Una scheda di rilevazione indirizzata ai referenti dei singoli Gas volta a raccogliere informazioni
sulle caratteristiche organizzative di questi gruppi.
• Un questionario rivolto ai singoli partecipanti ai Gas il cui obiettivo principale era raccogliere
informazioni sulle caratteristiche e motivazioni dei ‘gasisti’.
In entrambi i casi si è trattato di questionari strutturati a risposta chiusa, composti da una
cinquantina di domande ciascuno.
L’annuncio dell’avvio della ricerca è avvenuto con una lettera di presentazione inviata dal gruppo
di ricerca al “facilitatore di provincia” e da quest’ultimo ai referenti dei singoli Gas del proprio
territorio. Complessivamente, la raccolta delle informazioni ha impegnato il team di ricerca da
ottobre 2011 a marzo 2013. In totale, la mappatura ha rilevato in Lombardia l’esistenza di 429 Gas,
di cui 204 hanno partecipato alla ricerca coinvolgendo in totale 1.658 gasisti (Tab. 1).
Tab. 1 - I GAS censiti nelle province Lombarde
Provinc
ia
Auto-
iscritti
retegas.o
rg
N. GAS
rilevati
tramite
monitoragg
io CORES
N. GAS
che
hanno
partecipa
to alla
ricerca
% di
rispost
a dei
referen
ti sul
totale
N.
famiglie
coinvolte
nei GAS
che
hanno
partecipa
to alla
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N.
famiglie
che
hanno
partecipa
to alla
ricerca
% di
risposta
delle
famiglie
dei GAS
che
hanno
partecipa
to alla
ricerca
MI 95 153^ 51 33,33 1851 368 19,88
BG 24 62 44 70,97 1032 299 28,97
BS 23 50 22 44 704 198 28,13
CO 14 46 14 30,43 264 42 15,91
VA 18 40 17 42,5 607 152 25,04
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MB 23 33 23 69,7 763 224 29,36
LC 8 17 10 58,82 540 85 15,74
PV 7 11 9 81,82 392 70 17,86
CR 8 7 5 71,43 374 74 19,79
MN 4 4 3 75 115 39 33,91
LO 1 3 3 100 355 90 25,35
SO 2 3 3 100 225 17 7,56
TOT 227 429 204 47,55 7122 1658 23,28
3. Chi partecipa ai Gas e perché
Similmente a quanto rilevato da altre ricerche che hanno indagato diverse forme di consumerismo
politico (Micheletti, 2003; Micheletti, Follesdal e Stolle, 2003; Alexander e Ussher, 2012), anche
chi partecipa ai Gruppi di acquisto Solidali tende ad avere determinate caratteristiche. Ad esempio,
anche in questi gruppi si conferma una maggiore partecipazione femminile: il 62% di chi ha
risposto al questionario è infatti una donna. Questo perché il questionario per i gasisti era rivolto al
nucleo familiare, ma era richiesto esplicitamente che a compilarlo fosse il componente della
famiglia più impegnato nel Gas. Si tratta di persone appartenenti a fasce di età media: tra coloro che
hanno risposto al questionario il 49,6% è di età compresa tra i 30 e i 44 anni e il 42,9% di età
compresa tra i 45 e i 60 anni. La ricerca rileva inoltre come i Gas siano composti per la maggior
parte da famiglie con figli (71,8%), all’interno delle quali, nel 25,6% dei casi, è presente almeno un
figlio sotto i 5 anni.
Tra i gasisti la percentuale di chi possiede la laurea è decisamente più elevata rispetto alla media
nazionale (ben il 49,5% di chi ha compilato il questionario è in possesso di una laurea, contro il
13,5% rilevato da censimento Istat del 2011) e, tra coloro che hanno partecipato alla ricerca, il
60,1% svolge una professione impiegatizia o è insegnante, mentre pochi sono gli operai (4,4%), i
disoccupati (2,7%) e i pensionati (4,1%). A fronte di un elevato capitale culturale, le famiglie che
partecipano ai Gas, che sono in media composte da 4 componenti, non sembrano tuttavia godere di
redditi particolarmente elevati: il 22,3% dichiara un reddito netto mensile inferiore ai 2.000 euro, il
56% un reddito compreso tra 2.000 e 3.500 euro. Solo un 20% afferma di avere un reddito superiore
ai 3.500 euro (l’1,7% non risponde).
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Se si guarda all’interesse verso la politica si nota, inoltre, come il 69,8% dichiari di essere molto o
abbastanza interessato e di informarsi di politica attraverso diversi canali: tramite internet (91,1%), i
notiziari radio o tv (84,3%) e attraverso la discussione tra amici e colleghi (79,1%), dato,
quest’ultimo, molto importante perché indicativo di quanto le problematiche sociali e politiche
entrino nella quotidianità di questi soggetti. L’elevato interesse per la politica rilevata tra i ‘gasisti’
si accompagna ad una bassa fiducia verso alcune istituzioni. Sotto il 25% si trovano i partiti (chi ha
detto di fidarsi molto o abbastanza è solo l’8% degli intervistati), la televisione (2,8%), il
Parlamento (7,7%), il mondo delle banche (3,4%) e delle imprese (23,4). Più elevata, con
percentuali tra il 25 e il 75% è la fiducia verso l’Unione Europea (45,6%), la Chiesa cattolica
(29,5%), i sindacati (32,6%), la polizia (64%), l’amministrazione comunale (48,4%). Decisamente
notevole (sopra al 75%) risulta invece essere la fiducia dei gasisti verso la magistratura (77,2%), le
associazioni dei consumatori (75,1%) e le cooperative sociali (80,9%).
Tutte caratteristiche, queste, che sembrano suggerire una collocazione di coloro che partecipano ai
Gas tra i cosiddetti “cittadini critici” (Norris, 1999), ovvero individui che associano un forte
sostegno ai principi democratici, ma rivelano una sfiducia crescente nei confronti del
funzionamento delle istituzioni e dei canali partecipativi tradizionali e che per questo ricercano
nuove forme di partecipazione e coinvolgimento diretto nella vita sociale.
A questo proposito i dati rilevati evidenziano come la maggior parte dei gasisti abbia, o abbia avuto,
esperienze associative. Solo il 7% degli intervistati dichiara di non aver mai partecipato ad alcuna
associazione. Un dato, che sottolinea come i Gas spesso rappresentino “seconde associazioni”. Un
risultato che, come vedremo, costituisce anche uno dei fattori alla base della loro diffusione. I
gasisti provengono da esperienze diverse che coprono una vasta gamma di organizzazioni: da quelle
ambientaliste e pacifiste, a quelle sportive, culturali e religiose. Tra coloro che partecipano a questi
gruppi, inoltre, c’è una equa distribuzione tra chi dichiara di essere credente e praticante e chi
invece non frequenta luoghi di culto.
I dati raccolti confermano, inoltre, come l’adesione ai Gruppi di acquisto solidali sia motivata da
una serie di ragioni sia di tipo individuale, come la tutela della propria salute (in quanto si ritiene
che il cibo, le tecniche e le modalità con le quali viene prodotto, si siano trasformati in una fonte di
rischio), sia sociali, come la volontà di sostenere tramite i propri acquisti quotidiani un progetto
forte di cambiamento del modello dominante di produzione e consumo, contro l’omogeneizzazione
dei prodotti alimentari e l’appiattimento delle competenze e dei saperi (Carrera, 2009).
Come si vede dalla Fig. 2, gli intervistati potevano esprimere in una scala da 1 a 5 il loro livello
d’accordo con una serie di motivazioni volte a determinare le ragioni della loro scelta iniziale di
entrare a far parte di un Gas. La possibilità di consumare cibi più sani e la volontà di sostenere i
piccoli produttori locali ottengono percentuali di risposta molto simili (rispettivamente l’82% e il
79,6%), così come è superiore al 50% la percentuale di gasisti che hanno indicato come
motivazione all’origine della decisione di entrare a far parte di un Gas la voglia di partecipare con
un’azione concreta (63,5%), l’opportunità di costruire nuove relazioni (63,7%) o la preoccupazione
verso i problemi ambientali (56,2%). Emerge da questo dato, invece, come “il prezzo” non abbia
rappresentato, per la metà degli intervistati, la motivazione principale.
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Fig. 2 – Motivazioni iniziali all’origine della scelta di partecipare ad un Gas
Più che un modo per risparmiare, come emergerà ancor più chiaramente nei prossimi paragrafi,
infatti, i Gas sembrano rappresentare nuovi spazi partecipativi all’interno dei quali gli individui si
cimentano in nuove pratiche di azione, immaginando e sperimentando alternative concrete ad un
sistema economico percepito come non sostenibile.
Come anticipato nell’introduzione, certamente, ciò propone anche delle criticità al movimento,
soprattutto se si prospetta un suo sviluppo più consciamente critico rispetto ai temi dell’equità
sociale, e non solo della sicurezza alimentare ma della sovranità alimentare, intesa come accesso,
autodeterminazione e inclusione sociale rispetto ai temi della produzione, del consumo,
dell’approvvigionamento. I gasisti sembrano insomma caratterizzarsi per la loro provenienza da
strati sociali omogenei, sia per capitale culturale (alto) che per collocazione socio-economica (ceto
medio impiegatizio), senza particolare capacità di attivare o contaminarsi con ceti e gruppi sociali
ed economici diversi (meno abbienti, migranti, giovani).
4. La spesa e il risparmio
Il paniere dei beni acquistati dai Gas intervistati si compone sia di prodotti freschi sia di prodotti a
lunga conservazione. Non tutti i Gas acquistano però gli stessi prodotti e alcuni acquistano una
gamma di prodotti più ampia di altri. Come mostra la Fig. 3, ad esempio, il formaggio, la frutta, la
farina e la pasta sono acquistati da quasi tutti i Gas; ma anche l’olio e la verdura sono comprati
rispettivamente dal 94,1% e 92,6% di chi ha risposto. Quindi sia prodotti freschi che “secchi”
vengono acquistati da un alto numero di Gas. Si scende sotto il 50% per l’acquisto del pesce (49%),
del vestiario (48,5%) e dei dolciumi (45,1%). Da notare come solo la metà dei Gas acquista pane
(51%), anche se è importante sottolineare che questo bene è quello la cui autoproduzione è più
diffusa tra i gasisti.
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Fig. 3 – Che cosa comprano i Gas
La frequenza degli acquisti differisce in base al prodotto ed è decisamente variabile anche da Gas a
Gas. I prodotti freschi quali verdura, frutta e formaggio e yogurt vengono acquistati più spesso di
quelli a lunga conservazione (ad esempio pasta, legumi e cereali, detersivi, farine, ecc.), che invece
tendono ad essere acquistati con una frequenza che va dai 6 mesi in su.
Stimare il valore economico di tutti questi acquisti non è una operazione semplice. La maggior
parte dei Gas intervistati (55,4%), infatti, non tiene una rendicontazione degli acquisti. Ai referenti
è stato tuttavia chiesto di stimare il valore indicativo degli ordini effettuati durante l’ultimo anno.
Considerando che tra i 204 Gas che hanno partecipato alla ricerca solo 169 hanno risposto al
quesito, il dato raccolto rivela come il movimento economico dei singoli Gas vari da un minimo di
2.000 ad un massimo di 170.200 euro annui. Se si tiene poi presente il numero di famiglie aderenti
al Gas, secondo le risposte date dai referenti lombardi, la stima indicativa di spesa annua per nucleo
famigliare si aggirerebbe attorno ai € 742.28 (ossia, in media, 61,86 € mensili). Come mostra la
Tab. 2, il dato varia molto da provincia a provincia, con una spesa media massima per la provincia
di Varese a una minima per la provincia di Como.
Tab. 2 – Quanto spendono i Gas nelle province Lombarde
Provincia Spesa totale N. Famiglie
(*)
spesa annua
media
spesa mensile
media
BG 757.147 886 854,57 71,21
BS 461.618,90 592 779,76 64,98
CO 132.200 264 500,76 41,73
CR 212.613 344 618,06 51,51
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LC 275.100 405 662,30 55,19
LO 90.000 150 633,85 52,82
MB 565.011 686 841,48 70,12
MI 1.226.024 1.764 698,57 58,21
MN 58.900 115 512,17 42,68
PV 147.996 229 646,27 53,86
SO 141.904 225 630,68 52,56
VA 557.403 572 974,48 81,21
Totale 4.625.917 6.232 742,28 61,86
(*) Il n. di famiglie indicato in questa tabella e utilizzato nei calcoli non coincide con il n. di famiglie coinvolte nei GAS
che hanno partecipato alla ricerca (Tab. 1) in quanto non tutti i Gas hanno risposto a tale quesito.
La Figura 4 mette in evidenza come la spesa dei gasisti preveda un ampio utilizzo del Gruppo di
acquisto solidale solamente per la pasta (75,5%) e la frutta e la verdura (56,6%). In tutti gli altri
casi, la percentuale di coloro che affermano di favorire il Gas per l’acquisto di altri prodotti è molto
più limitata, e comunque riguarda quasi esclusivamente prodotti alimentari. Tra i prodotti non
alimentari (Fig. 5) l’unica eccezione è rilevabile alla voce vestiti e calzature (3,4%).
Fig. 4 – Dove comprano i Gas (prodotti alimentari)
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Fig. 5 – Dove comprano i Gas (prodotti non alimentari)
Come si vede, tra i gasisti il negozio tradizionale è abbastanza sfruttato per comprare pane (42%),
alcuni prodotti non alimentari come i vestiti e le scarpe (55%) e i libri (54,6%); il supermercato è
per lo più frequentato per la spesa non alimentare, infatti le percentuali più elevate sono quelle
dell’acquisto di televisori (65,5%) e di cellulari (67,3%), seguito da quello di computer (50%) e di
DVD e CD (29,2%). Da notare come la forte percentuale riscontrata alla voce “altro” per il prodotto
pane sia da attribuire all’autoproduzione, come specificatamente indicato dagli intervistati.
Dai dati risulta inoltre evidente come internet sia ancora poco utilizzato, nonostante i gasisti siano
abituati ad usare il web, in particolare la mail, per raccogliere gli ordini di acquisto. Le percentuali
maggiori, benché comunque poco elevate, si riscontrano solo per l’acquisto di DVD e CD (24,5%),
libri (19%) e computer (16,9%). Dato, questo, peraltro in linea con la tendenza nazionale. Secondo
una recente ricerca dal titolo “Cittadini e nuove tecnologie”, effettuata dall’Istat nel 2011, relativa
all’impatto delle nuove tecnologie sulla popolazione italiana, emerge infatti che, sebbene negli
ultimi anni si stia verificando una consistente crescita, il mondo dell’on line rimane nel nostro Paese
ancora molto limitato.
La spesa effettuata nell’ambito dei Gruppi di acquisto viene pagata prevalentemente dopo la
consegna delle merci (72,5%), questo probabilmente per permettere ai gasisti di raccogliere tra loro
il denaro necessario per far fronte agli impegni. In un solo caso il pagamento avviene
prevalentemente in via anticipata. Nonostante questo, quasi la metà dei Gas (45,6%) ha adottato
forme di prefinanziamento in sostegno ai produttori.
Il pagamento ai fornitori avviene prevalentemente con bonifico bancario (75,5%), anche se solo il
30% dei Gas intervistati possiede un proprio conto corrente. Ancora una volta è la disponibilità dei
singoli gasisti a condividere le proprie risorse ed i propri strumenti (in questo caso il c/c personale)
a consentire il funzionamento dei Gas. Tra i gruppi che hanno dichiarato di avere un proprio c/c,
oltre il 75% ha scelto di appoggiarsi a una forma bancaria “non tradizionale”. In particolare il
55,7% ha scelto Banca popolare etica, il 13,1% una banca di credito cooperativo, mentre il 6,6% ha
scelto le Poste italiane.
Diversa è la situazione per quanto riguarda le singole famiglie. La maggior parte dei gasisti dichiara
infatti di avere un conto corrente, ma sono molto pochi coloro che utilizzano Banca popolare etica.
La maggior parte dei gasisti intervistati ha il suo conto corrente presso una banca tradizionale
(73%), il 15% presso una banca di credito cooperativo, il 10,4% presso le poste e solo l’11,2% (pari
a 185 intervistati) in Banca Etica (lo 0,7% dichiara di non avere un conto corrente).
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Tab. 3 – Percentuale di “gasisti” che hanno il proprio conto corrente in BPE per provincia
BG BS CO CR LC LO MB MI MN PV SO VA TOT
N. 28 29 6 7 14 13 25 35 10 6 1 11 185
% 9,50 14,80 14,30 9,50 16,50 14,60 11,20 9,50 25,60 8,60 5,90 7,20 11,20
TOT 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100
299 198 42 74 85 90 224 368 39 70 17 152 1658
L’investimento etico, o socialmente responsabile, rimane ancora poco diffuso tra i gasisti. Come si
vede dalla Tab. 4, il 55,8% dei nostri intervistati afferma di non investire in modo etico (di cui il 4%
l’aveva fatto in passato ma ora non più). Come avviene per gli acquisti, anche nel caso
dell’investimento prevale un atteggiamento “moderato”. Chi utilizza criteri etici nella selezione del
portafoglio, non lo fa necessariamente per tutto il proprio patrimonio: il 10,6% investe con criteri
etici meno del 10% del proprio risparmio, l’8,2% il 10-25%, il 5,5% il 25-50%, il 6,7% più del
50%. Il 6,9%, ossia 114 gasisti, dichiarano di investire tutti i risparmi in modo etico.
Tab. 4 – Come i gasisti investono i propri risparmi
% Frequenza
Si, per meno del 10% del mio risparmio 10,6 175
Si, dal 10% al 25% del mio risparmio 8,2 135
Si, dal 25% al 50% del mio risparmio 5,5 90
Si, più del 50% del mio risparmio, ma non tutto il mio patrimonio 6,7 110
Si, l'intero mio patrimonio 6,9 114
No 55,8 920
L'ho fatto in passato ma ora non più 4 66
n.r. 2,4 48
Totale 100 1658
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Le motivazioni che impediscono ai gasisti di investire eticamente (Fig. 6) vedono come causa
principale la pigrizia (29,7%), seguita dalla necessità di diversificare il portafoglio (15,9%),
l’eccessivo rischio (12,7%), il basso rendimento (9,7%), gli elevati costi di gestione (13,3%), la
presenza di strumenti non perfettamente adatti ai principi etici del gasista (9,8%) e la non fiducia
nell’eticità dei gestori (7%). Altre motivazioni indicate dagli intervistati sono state la mancanza di
capitale da investire, la lontananza della filiale e l’avere poche informazioni in merito.
Fig. 6 – Cosa impedisce ai ‘gasisti’ di investire i risparmi secondo criteri etici
Ancor meno diffuse sono le assicurazioni etiche come quella proposta dal Consorzio CAES
(Consorzio Assicurativo Etico e Solidale), scelte solamente da 34 gasisti (2,1%).
Si può quindi affermare che i gasisti effettuano i propri acquisti attraverso diversi canali
commerciali (Gas, negozi tradizionali, supermercati e, seppur in via residuale, online). Molto
limitata è ancora la quota di chi, oltre all’acquisto, cerca soluzioni “solidali” anche per i propri
investimenti. I Gas intervistati sembrano però, come vedremo anche in seguito, essere consapevoli
di questa lacuna: il 25,4% ha infatti organizzato delle iniziative di approfondimento e di
sensibilizzazione sui temi della finanza etica.
La scelta e il rapporto con i produttori
Generalmente, come si vede dalla Fig. 7, le scelte che riguardano i produttori derivano dal
passaparola tra Gas (40,7%) o membri dello stesso Gas (34,3%). L’11,8% indica inoltre la rete
locale di Gruppi d’acquisto come canale principale di conoscenza dei propri produttori, mentre il
2,5% le ricerche via web. Solo due intervistati (1%) dichiarano come principale canale di selezione
l’auto-segnalazione da parte dei produttori e solo il 3,4% la segnalazione di nuovi produttori da
parte di altri produttori. Anche il sito nazionale retegas.org, la rete e il distretto di economia solidale
locale non vengono segnalati come opzione principale da alcun GAS. Un dato, questo, che mostra
come nella scelta dei produttori valgano soprattutto le relazioni personali intra o inter GAS.
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Fig. 7 – Come avviene la scelta dei produttori
La scelta del produttori è in ogni caso una decisione che nell’74,5% dei casi avviene collegialmente
e in modo partecipativo durante una riunione plenaria. Solo nel 7,8% dei GAS studiati la scelta
viene presa dal responsabile del prodotto (Fig. 8).
Fig. 8 – Chi sceglie i produttori
I criteri che orientano la scelta dei produttori da cui rifornirsi risultano essere: la qualità del prodotto
(88,7%), la “vicinanza” (rispettivamente l’82,8% valorizza la possibilità di avere un contatto diretto
con il produttore, mentre il 79,9% la produzione a km0), il rispetto per le condizioni lavorative e per
l’ambiente (80,9 e 81,9%), la dimensione dell’azienda (73%); mentre il prezzo e la capacità
dell’impresa di innovare passano in secondo piano. Ancora una volta, quindi dopo l’attenzione alla
qualità, sembra prevalere un criterio legato alla prossimità e vicinanza territoriale e valoriale.
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Fig. 9 – Criteri che orientano la scelta dei produttori (molto + abbastanza)
Alcuni gruppi (39,7%) hanno predisposto delle schede descrittive dei prodotti e dei fornitori
disponibili in consultazione sul sito o inviate direttamente agli aderenti per permettere a tutti (gasisti
e non solo) di conoscere i produttori e le loro caratteristiche.
Inoltre il 74% dei Gas intervistati promuove la conoscenza diretta dei produttori attraverso visite
alle aziende; queste iniziative sono aperte a tutti i membri del Gas e non solo al referente del
prodotto in questione. La percentuale di partecipazione a queste iniziative coinvolge però solo una
parte degli aderenti: nel 95,1% dei casi non è, infatti, mai più del 50% dei gasisti che partecipa a
queste iniziative. Se uno dei criteri prioritari nella scelta dei fornitori è la vicinanza del produttore al
territorio di riferimento del gruppo d’acquisto, dalla Fig. 10 si può notare come sia ancora piuttosto
limitata la percentuale dei Gas che acquistano la maggior parte dei propri prodotti da produttori
fisicamente “vicini”. Per quanto riguarda gli alimentari, infatti, solo il 39,4% acquista più del 50%
dei prodotti da produttori ad una distanza minore di 40 Km, percentuale che scende al 17,6% (come
era prevedibile) per quanto riguarda i prodotti no food.
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Fig. 10 – Distanza produttori Food e No Food
Il principale problema segnalato come ragione della rottura del rapporto con i produttori è di tipo
logistico, attribuire al fornitore (nel 29,9% dei casi) e in minor misura dovuto ai gasisti (11,3%).
Seguono i problemi legati alla qualità del prodotto (19,6%), la scarsa trasparenza sulle condizione
dei lavoratori (10,3%), l’impossibilità del produttore di soddisfare l’intera domanda del Gas (2,9%),
la scarsa trasparenza da parte del produttore riguardo i prodotti (3,4%). Da segnalare anche tre
interessanti commenti fuori dalle opzioni del questionario: il cambiamento considerevole del costo
del prodotto in corso d’opera, il pagamento non in regola e la scelta di provare altri prodotti e
produttori (Fig. 11).
Fig. 11 – Principale ragione che ha portato alla rottura del rapporto tra Gas e produttori.
Si può dire, quindi, che i problemi logistici e quelli legati alla qualità e trasparenza sul prodotto,
sono le principali ragioni di rottura del rapporto tra Gas e produttori.
Per valutare la qualità del prodotto, i gasisti intervistati solo in parte si affidano alle certificazioni.
Come si vede dalla Fig.12, che riporta i risultati riguardanti la fiducia degli intervistati nel sistema
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di certificazione biologica ed equosolidale, si vede infatti come solo il 18,2% attribuisce completa
fiducia al sistema di certificazione biologico, percentuale che sale al 38,8% per l’equosolidale.
Fig. 12 – Fiducia nelle certificazioni
A differenza di quanto succede tra la popolazione in generale (cfr. Rapporto sui consumi delle
famiglie di Bergamo, ricerca CORES 2012, Forno e Salvi, 2012), i gasisti denotano però una
maggiore conoscenza dei marchi. Come si vede dalla Tab. 5, infatti, il logo del biologico (il primo
nella tabella) è identificato in modo corretto dal 68,8% degli intervistati, quello del Fair Trade
(seconda riga) dal 59,1% e quello del Forest Stewardship Council (FSC) dal 62,7%.
Tabella 5 – Riconoscimento dei loghi
Giusto Sbagliato Non
conosco
n.r. Totale
68,8 9,8 20 1,4 100
59,1 0,3 34 1,4 100
62,7 0,4 34,7 2,2 100
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Nonostante il 70,1% degli intervistati abbia dato abbastanza o molta importanza alla certificazione
biologica quale criterio di selezione dei produttori (contro un 55,9% che predilige il biologico anche
se non certificato – Fig. 9), questa non sembra essere un prerequisito essenziale per l’acquisto del
prodotto (Fig. 13). Tra quelle proposte, l’affermazione che riscuote maggiore consenso (93%) è: “i
Gas dovrebbero comprare solo da produttori che rispettano i diritti dei lavoratori”, molto
condivisa è anche l’attenzione all’emissione regolare di documentazione fiscale (84,4%); la frase su
cui invece c’è il minor accordo è: “i Gas dovrebbero comprare solo prodotti biologici certificati”,
che richiama, per l’appunto, la limitata fiducia verso i sistemi di certificazione.
Fig. 13 – Accordo con alcuni principi (molto + abbastanza)
5. Struttura e organizzazione dei Gas
I Gruppi d’acquisto solidali si diffondono attraverso relazioni informali principalmente tra persone
che si conoscono. La maggior parte dei Gas analizzati è nata dall’iniziativa spontanea di gruppi di
amici (39,4%) o dalla divisione di un gruppo preesistente (21,2%). Tra i gruppi che hanno risposto
al questionario, inoltre, l’8,8% si è formato a seguito di iniziative di tipo informativo o all’interno di
un’altra associazione (4,1%), una bottega del commercio equo e solidale (3,6%), una parrocchia
(3,1%) o tra colleghi di lavoro (1,6%). Come si vede dalla Fig. 14, è infatti il passaparola tra amici e
conoscenti, rispettivamente indicati dal 28,3% e il 24% degli intervistati, a rappresentare il
maggiore canale di diffusione dei Gas. Anche le notizie lette sul web/internet (11,2%) e le
conferenze/incontri (7,7%) sono indicate da un numero rilevante di gasisti. Minore importanza,
invece, è attribuita alle riviste (4,7%), programmi televisivi (5,3%), quotidiani (3,1%), colleghi
(3,5%), parenti (4,5%), la Chiesa (0,4%) o i manifesti (1,1%).
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Fig. 14 – Canale di conoscenza dei Gas
Per molti versi si può sostenere che la risorsa principale di questi gruppi consista nel capitale
relazionale dei singoli membri, risorsa che, tra l’altro, chi anima i Gas prova continuamente ad
alimentare e riprodurre, tramite una serie di strategie e strumenti volti a tenere alta la partecipazione
di tutti i componenti del gruppo e cercando di evitare i rischi della “professionalizzazione” delle
economie sociali e solidali, già richiamata nell’introduzione. Non è un caso, ad esempio, che tra i
Gas che hanno risposto al questionario solo il 23,9% sia costituito in associazione. Sebbene i dati a
nostra disposizione confermino che questi gruppi possano essere anche molto diversi rispetto alla
loro dimensione interna (tra i 204 Gas il 34,4% è formato da un numero di famiglie inferiore a 20, il
44,8% tra 20 e 40, il 10,4% da 40 a 60 e un altro 10,4% da più d 60 famiglie), i Gas che hanno
partecipato alla ricerca presentano modelli organizzativi tra loro molto simili, tanto da suggerire che
l’organizzazione stessa del gruppo, teso alla reciprocità e al mantenimento di relazioni paritarie tra i
membri, faccia parte del repertorio d’azione di questi gruppi.
A differenza di quanto accade in altre iniziative, anch’esse volte a favorire la commercializzazione
e diffusione di prodotti con le stesse qualità di eco-sostenibilità (si pensi ad esempio allo spaccio in
azienda, mercatini bio, e-commerce), all’interno dei Gruppi di acquisto solidali la spesa assume
anche una funzione di socializzazione in forme di lavoro collettivo per un bene comune, fosse solo
il mantenimento e il funzionamento del Gas stesso.
La maggior parte dei 204 gruppi analizzati prevede una divisione dei compiti egualitaria. Il 72%
suddivide la responsabilità della raccolta degli ordini e della distribuzione tra i soci, in modo che ci
sia un referente per ogni prodotto. Nel 19,7% dei casi all’interno del Gas c’è un gruppo di persone
che organizza gli acquisti, mentre solo nel 4,7% gli ordini vengono gestiti da una cooperativa. Il
coinvolgimento diretto dei gasisti riguarda anche il momento della distribuzione degli acquisti.
Sono infatti proprio le famiglie aderenti al Gas a mettere a disposizione gli spazi per la ricezione e
distribuzione delle merci.
Le scelte rispetto agli acquisti, ai produttori e, più in generale, sui principi che animano il gruppo
sono discussi collegialmente in riunioni plenarie. Come si vede dalla Fig. 15 nella maggior parte dei
gruppi (68,4%) questo tipo di riunioni si tiene a cadenza mensile, in altri casi avvengono ogni 2-3
mesi (13,5%), in altri ancora ogni 3-6 mesi (7,8%). Solo in pochi casi le riunioni plenarie sono
annuali e solo l’1,6% non organizza riunioni plenarie.
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Fig. 15 – Frequenza delle riunioni plenarie all’interno dei Gas
Elevata appare anche l’attenzione verso la turnazione dei ruoli di coordinamento. Nell’85,9% dei
casi si cerca infatti di favorire il ricambio, anche se poi solo nel 18,7% questa alternanza avviene
realmente, mentre più spesso (62,7%), anche se ci si prova, “tendono ad essere sempre le stesse
persone che fanno tutto”. Solo nel 15% delle risposte si denota una stabilità nell’assunzione dei
ruoli di coordinamento. Se la spesa è l’attività centrale di ogni Gas, e la scelta di prodotti e
produttori occupa gran parte del tempo e delle discussioni dei gasisti, l’attività e i risultati raggiunti
da questi gruppi, secondo gli intervistati, va ben oltre l’acquisto. Interessante a questo riguardo è
notare come, se per la metà dei gasisti che hanno risposto al questionario (50,1%) l’obiettivo
principale di questi gruppi è stimolare stili di vita più responsabili verso l’ambiente, i maggiori
risultati raggiunti dai Gas si riconoscono nella capacità di sostenere i piccoli produttori (29,6%) e
nell’opportunità che questo tipo di partecipazione offre nel ricostruire i legami sociali, favorendo
l’incontro e la discussione tra persone che non si conoscono (21,8%).
Fig. 16 – Obiettivi e risultati raggiunti dai Gas
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La spesa collettiva, in altre parole, diventa un veicolo che quotidianamente ritesse relazionalità nella
tela degli scambi. È infatti proprio all’interno dei Gas che, come vedremo, la politica del
quotidiano, espressa con il consumo critico, si estende ad altri ambiti di vita e di azione.
Questo è un dato che emerge chiaramente sia dall’indagine quantitativa, che dall’osservazione
partecipante in un gruppo e una rete Gas effettuata da una delle ricercatrici dell’équipe CORES
(Grasseni, 2013). Sarebbe facile immaginare un corto circuito volontarista, secondo il quale, per il
gasista, l'acquisto collettivo e solidale sia un "mezzo" (nel senso, un mezzo consciamente scelto e
praticato) per perseguire il fine del bene comune. I dati ci dicono che tra le motivazioni coesistono,
come è umano che sia, il desiderio di tutelare la propria salute e di ottenere prodotti di qualità a
prezzi ragionevoli, con l’intento di sostenere i produttori locali, di impattare l’economia con criteri
di sostenibilità e responsabilità, e di rafforzare circuiti di economia solidale.
I dati, anche etnografici, ci dicono che è la pratica gasista ad essere un vero e proprio "veicolo", o
strumento, di crescita in senso solidale. In altre parole, socializzando un certo tipo di spesa si
impara anche a pensare e praticare il “bene comune”. La continua pratica deliberativa, il fatto di
dover prendere collaborativamente delle decisioni, reperendo informazioni, tessendo contatti,
trovando soluzioni a piccole e grandi problematiche di carattere tecnico, forgia un modus operandi,
crea una expertise condivisa, e calibra sulla pratica repertori attivi di partecipazione democratica.
Certamente, e qui sta la criticità maggiore, si fa fatica a coinvolgere tutti. Esistono cioè anche nei
Gas i free riders, coloro che tendono a “comprare soltanto”, senza accollarsi compiti organizzativi,
oppure che vedono nel gruppo solo un mezzo per un acquisto collettivo, e non di sostegno coerente
e sistematico a una rete di produttori.
Anche per questo è importante che i Gas non si sentano soli, non si avvitino su sé stessi o adagino
in un comodo status quo, ma trovino in reti e distretti molteplici occasioni di scambio di
informazioni, a partire da quelle di carattere pratico e organizzativo che sono spesso le più
pressanti, per trovare, attraverso una soluzione responsabile e creativa di quelle soluzioni, nuovi
margini di azione e spazi di riflessione collettiva.
6. Il ruolo “auto-educante” dei Gas
È confortante quindi che, tra i 204 Gas, il 70,5% dichiari di intrattenere relazioni di collaborazione
con altre organizzazioni del territorio. Spesso la collaborazione è facilitata proprio dai gasisti
membri anche di altre associazioni. Oltre all’organizzazione della spesa, i Gas sono impegnati in
numerose altre attività che spesso portano avanti con altre realtà associative del proprio territorio.
Le relazioni che si instaurano all’interno dei gruppi diventano così veicolo per la circolazione di
informazioni su molteplici ambiti e opportunità di intervento, fornendo al tempo stesso le
precondizioni per lo sviluppo della mobilitazione e la messa in pratica di specifici stili di vita.
Come si vede dalla Fig. 17, i temi delle iniziative dei Gas coprono un ventaglio piuttosto ampio e
che comprende: iniziative per presentare i produttori (57%), i temi dell’agricoltura sostenibile
(49,7%), i beni comuni (39,4%), i problemi locali (38,9%), l’educazione ambientale (36,8%) e le
energie alternative (35,8%), i referendum (32,6%), il commercio equo e solidale (29,5%),
l’autoproduzione (25,9%), la finanza etica (25,4%) e, seppur in misura minore, la lotta alla mafia
(17,6%), la decrescita (16,6%), la lettura delle etichette (13%) e il car pooling (3,1%).
A questo riguardo, è importante anche notare che l’80% dei gasisti dichiara di aver partecipato ad
iniziative riguardanti il referendum sull’acqua pubblica, un dato particolarmente interessante se si
tiene presente come il raggiungimento del quorum ai referendum del 2011 si stato attribuito da
molti osservatori all’azione dei movimenti civici.
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Fig. 17 – Temi toccati dalle iniziative dei Gas
Come indicato dai dati raccolti, all’interno dei Gas, la spesa collettiva svolge un importante ruolo
auto-educante, favorendo la consapevolezza che scegliere un certo modo di consumare vuol dire
prendere in considerazione le modalità di gestione del territorio, la tutela del paesaggio, il sostegno
ai piccoli produttori, e in generale un’attenzione per il processo produttivo non solo dal punto di
vista tecnico, ma anche per chi ci lavora.
Sono infatti notevoli i cambiamenti nello stile di consumo, di vita e anche partecipativi che il
confronto all’interno dei Gas produce sui singoli gasisti (Tab. 6, 7, 8).
Tab. 6 – Cambiamenti nel comportamento d’acquisto successivi all’ingresso nel GAS
Aumentato Diminuito Introdotto Nessun
cambiamento
n.r. Tot.
Verdure 50,4 0,4 0,7 47,4 1,2 100
Biologico 79,4 0,2 7,7 11,6 1,1 100
Integrale 52,9 0,6 10,0 35,2 1,4 100
Legumi 38,5 0,5 3,7 56,3 1,1 100
Prodotti locali 80,6 0,2 5,4 12,6 1,1 100
Prodotti
stagionali
68,1 0,1 2,8 27,8 1,2 100
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Cereali 45,1 0,3 12,8 40,5 1,3 100
Carne 3,1 42,5 0,2 52,0 2,2 100
Prodotti equo e
solidali
39,6 1,4 5,6 51,8 1,5 100
Prodotti
antimafia
44,6 0,6 14,7 38,5 1,5 100
Prodotti
ecologici
41,4 0,6 25 31,9 1,1 100
Tab. 7 – Cambiamenti nello stile di vita successivi all’ingresso nel Gas
Si No Già lo facevo n.r. Tot.
Minor acquisto di cibi pronti 24,8 5,1 69,4 0,7 100
Minore acquisti nei centri commerciali 41,4 47,9 9,7 0,9 100
Aumento acquisti in negozi di prossimità 27,5 33 37,9 1,6 100
Aumento autoproduzione di acluni cibi 38,3 31,9 29 0,9 100
Amuento autoproduzione di ortaggi 16,2 54,8 27,6 1,4 100
Minor utilizzo dell’auto 17,6 46,9 34,5 1,0 100
Aumento riciclo 32,5 6,7 60 0,9 100
Maggiore attenzione al consumo di energia 29,3 22,9 46,3 1,4 100
Maggiore attenzione al consumo di acqua 28,6 6,1 64,3 1,0 100
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Tab. 8 – Cambiamenti nello stile partecipativo successivi all’ingresso nel GAS
Si No Già lo facevo n.r. Tot.
Maggiore interesse per i problemi che
riguardano la mia città
26 30,3 42,5 1,2 100
Maggiore interesse alla politica in generale 7,9 35,8 55 1,3 100
Più capacità di cooperazione con persone che
non conoscevo
39,7 16,1 42,9 1,4 100
Sentirsi più capace di influenzare la politica 23,9 60,8 13,8 1,6 100
Se da un lato i dati evidenziano come tra i partecipanti aumenti, ad esempio, il consumo di cibi
biologici (79,4%), stagionali (68,1%) e locali (80,6%), mentre diminuisce il consumo di carne
(42,5%), la partecipazione a questi gruppi facilita anche l’adozione di stili di vita più sostenibili (si
diffonde una maggiore attenzione verso le pratiche di riciclo, 32,5%; verso i comportamenti che
riducono il consumo di energia elettrica, 29,3%; e di acqua, 28,6%) e incoraggia la diffusione di
atteggiamenti più collaborativi tra le persone (39,7%), accrescendo tra i partecipanti sia l’interesse
per la politica (in particolare per quella locale, 26%) sia il senso di efficacia sociale (23,9%).
7. Conclusione
Come sottolinea anche UNRISD, l’attuale conoscenza delle economie solidali, sia a livello
nazionale che globale, è spesso aneddotica e frammentaria. Molti tipi di fenomeni auto-organizzati
esistono a livello locale, e il loro pontenziale consiste precisamente nell’essere altrettanti “hub”
naturali, nodi di reti sovralocali e depositari di competenze transdisciplinari e pluriprofessionali. Il
loro approccio può essere, a differenza delle politiche cosiddette top-down, radicato nel territorio e
incarnato nelle relazioni a un tempo.
Nella prospettiva gasista, ciò che incontriamo è un’offerta di luoghi e reti in cui praticare
democrazia su questioni di evidente interesse collettivo, in un contesto altrimenti connotato da una
notevole perdita di affidabilità delle forme tradizionali della rappresentanza politica come anche
dell’associativismo tradizionale. Tramite circuiti di approvvigionamento alternativo, i Gas e i Des
cercano di rispondere concretamente a problemi veri e sentiti, quali la mancata protezione
ambientale, la mancanza di trasparenza nella tracciabilità dei prodotti, ma anche la coesione sociale,
la protezione relazionale, l’empowerment del comune cittadino e consumatore.
Tuttavia, soprattutto in questi tempi di crisi economica, se persistesse il trend di erosione dei salari,
potrebbe verificarsi un arresto dell’espansione dei Gas: alcuni membri non si potrebbero più
permettere, infatti, i costi economici e di tempo della partecipazione al Gas. Già l’osservazione
etnografica può portare qualche esempio di gasisti che lasciano perché “non ce la fanno più” e
debbono rinunciare non solo alla dimensione collettiva e motivata “oltre la spesa”, ma anche a
quella qualitativa e quantitativa del rapporto qualità/prezzo.
Tra i fattori critici di “sviluppo”, proprio in relazione ai temi dell’economia e del lavoro, gli enti
sovranazionali come UNSRID individuano per organizzazioni come i Gas la necessità di trovare
forme di crescita e rappresentanza interna, oltre che modalità di reperimento e creazione di risorse
(umane e finanziarie). Tuttavia poco si sa su quali formule possano effettivamente funzionare:
“ampliamento di scala” oppure moltiplicazione e coordinamento di realtà che volutamente
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rimangono di piccole dimensioni? A questo proposito può essere utile la strategia, spesso citata, del
“campo di fragole”, in cui gli studiosi della cooperazione Borzaga e Ianes (2011) riprendono la
lezione enunciata nel 1991 da Felice Scalvini - oggi Co-Presidente di Cooperatives Europe - sul
modello di proliferazione cooperativa: questa potrebbe servire per indirizzare la crescita gasista
verso modelli non gerarchici e non centralizzati.
Il progetto di ricerca “Dentro il capitale delle relazioni” è stato ideato e realizzato a cura
dell’Osservatorio CORES dell’Università degli Studi di Bergamo (Gruppo di Ricerca su Consumi,
Reti e Pratiche di Economie Sostenibili, www.unibg.it/cores) in collaborazione con Davide
Biolghini e Giuseppe Vergani del Tavolo RES (www.retecosol.org). La direzione scientifica del
progetto è di Francesca Forno, Cristina Grasseni e Silvana Signori.
Il sondaggio è stato realizzato a titolo gratuito dall’Osservatorio CORES in collaborazione con il
Tavolo RES Nazionale. La rilevazione è stata condotta tramite due questionari online, con la
supervisione tecnico-informatica di Giuseppe Cattaneo dell’Università degli Studi di Bergamo.
Le autrici desiderano ringraziare Silvia Salvi, che ha coordinato la rilevazione dei dati, ed i
facilitatori provinciali: Marco Baronio, Matteo Bassoli, Patrizia Bavo, Davide Biolghini, Filippo
Cambieri, Adele Colombo, Dario Consonni, Micol Dell'oro, Nicolino Di Giano, Luciano
Emmanuele, Laura Fontana, Paolo Graziano, Laura Macario, Aurelio Mandrà, Michele Montre,
Alberto Parovel, Giuliana Piccolo, Riccardo Poggi, Laura Rossi, Michele Vezzoli, Luca Zecchini.
Riferimenti bibliografici
Alexander S., Ussher S. (2012) “The Voluntary Simplicity Movement: A multi-national survey analysis in
theoretical context” in Journal of Consumer Culture 12: 66-86, doi: 10.1177/1469540512444019.
Borzaga C., Ianes A. (2011) “Il sistema di imprese della cooperazione sociale. Origini e sviluppo dei Consorzi di
cooperative sociali”, Euricse Working Papers, n. 014.
Carrera L. (2009) “I Gruppi di Acquisto Solidale. Una proposta solida nella società liquida”, in F. Forno e S. Tosi,
Partecipazione e Conflitto, 3. Special issue Partecipazione politica e denaro, pp. 89-117.
Forno F. (2013), “Co-operative movement” in D. A. Snow, D. Della Porta, B. Klandermans, and D. McAdam (a cura
di), Blackwell Encyclopedia of Social and Political Movements, Oxford, Blackwell publishing, vol. I, p. 278-280.
Forno F. e Salvi S. (2012), “Per una cittadinanza sostenibile: analisi critica dei consumi delle famiglie di Bergamo”,
Comune di Bergamo/Cittadinanza Sostenibile, http://resbergamasca.files.wordpress.com/ 2011/08/a-rapporto-di-
ricerca.Pdf.
Grasseni C. (2013) “Beyond Alternative Food Networks: Italy’s Solidarity Purchase Groups”, London,
Berg/Bloomsbury Academic.
Micheletti M.(2003). "Why More Women? Issues of Gender and Political Consumerism," in M. Micheletti, A.
Follesdal e D. Stolle (a cura di), Politics, Products, and Markets: Exploring Political Consumerism Past and
Present. New Brunswick, NJ: Transaction Press.
Micheletti M., Follesdal A. e Stolle D. (a cura di) (2003). Politics, Products,and Markets: Exploring Political
Consumerism Past and Present. New Brunswick, NJ:Transaction Press.
Norris P. (a cura di) (1999). Critical Citizens. Oxford: Oxford University Press.
Osservatorio CORES (2013), I GAS nella provincia di Bergamo: indagine osservatorio CORES in collaborazione
con il Tavolo Nazionale RES, CORES Working Papers, no. 1, Università degli Studi di Bergamo,
http://hdl.handle.net/10446/28934.