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2 GALATEA
Campeggine, Reggio Emilia. A metà giornata di metàagosto
dell’estate canicolare. La prima scena della coo-perativa di
agricoltura biologica “La Lucerna” è il set, ilparadigma di questa
estate: la macchina rossa per instal-lare le piantine di insalata
avanza lenta in pieno sole nelcampo di terra gialla, Daniele,
figlio di Pietro, e Paolosono seduti a rimorchio e infilano le
piantine – una peruna – nei cilindri che le innestano nella terra,
Pietro gui-da il trattore e di continuo scende tra i solchi davanti
al-
la macchina, controlla e aggiusta i filari, si piega, rad-drizza
e reinnesta davanti e a sinistra. Dalla terra polve-rosa non si
alza polvere, non si alzano voci, nell’aria fer-ma, nella luce
ferma del sole. Di questa terra che lavora insieme agli altri e di
questastagione Pietro Ghirardini, presidente della cooperativadice:
“Un anno come quest’anno mi sta avvilendo, lotta-re contro la
stagione è lottare contro i mulini a vento. Ab-biamo fatto
cinquanta notti di gelo, l’ultima gelata è sta-
società
Nell’Inghilterra del seicento avrebbero fatto
parte dei movimenti utopisti sociali e
religiosi - livellatori, “diggers” zappatori,
“ranters” predicatori - all’interno della
rivoluzione cromwelliana, nell’Italia cattolica
hanno le loro radici nel cristianesimo che si
dedica ai poveri e agli svantaggiati. Cooptati
dal movimento europeo dell’agricoltura
biologica, ne sono
promotori nel Bel Paese.
Fondano una delle
esperienze più coerenti
di cooperazione tra
diversi e di impresa
agricola rispettosa della
natura e della salute
sociale. Sono quelli de
“La Lucerna”. Nell’Italia delle devastazioni,
dei condoni edilizi e dei conflitti impudenti
di interessi, fanno notizia. di Piero Del Giudice
QUELLA UTOPIA CHE
SOPRA: finto testodida trattore.
A DESTRA: La raccoltadel pomodoro.
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3GALATEA
ta l’8 aprile, non c’è stata primavera ed è cominciata
l’e-state. E’ stata massacrante. Se hai la stagione e riesci
aprendere un ritmo tu sai già che quando piove aggiusti,prepari.
Così ti scombina tutto. Sono tre mesi che annaf-fio tutti i giorni
continuamente, non faccio altro che ba-gnare”. Nella pianura padana
l’acqua per esserci c’è, mabisogna sostituirsi a tre mesi di
siccità e a quelli della Lu-cerna, come a tutti, più che a tutti
sono venuti “cattivipensieri”, come dice Paolo Arduini,
vicepresidente del-
la cooperativa: “Ho avuto dei brutti pensieri con questastagione
un po’ strana, mi sono chiesto delle responsabi-lità dell’uomo –
nel clima mutato, nello scioglimentodei ghiacciai – me lo sono
chiesto ed ho pensato di sì. Spe-ro che non sia troppo tardi per
tornare indietro. Spero checi sia la possibilità di riscendere un
attimo. Spero.”Una stagione. Forse ce ne dimenticheremo, forse se
ne di-menticheranno quelli della Lucerna. Ma questo assedioqui
intorno alle loro terre segnate dalle siepi, la succes-
S I CHIAMA LUCERNA
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4 GALATEA
sione continua di case, costruzioni, capannoni, tralicci?La
pianura padana che altro non è che un contenitore dicolate di
cemento, di autostrade, di strade, di nuove stra-de ad alta
velocità? Paolo: “La pianura, sempre più stret-ta, chimicizzata.
Credo che con la terra che abbiamo sia-mo giusti, ma quando esco da
qui vedo dei terreni che daagricoli sono passati a industriali, a
edificabili. Anche at-torno a noi stiamo lottando coi denti, stanno
lottandocon i denti i contadini contro l’espansionismo
industria-le. Mi viene un colpo al cuore quando vedo tutti i
can-tieri che ci sono adesso, costruzioni futuristiche incredi-bili
che mangiano terra alla agricoltura. Mi fa male alcuore, sto
male”.Una storia diversa. Un’impresa diversa. Un gruppo digiovani
cattolici, uomini e donne, con rapporti inter-
personali che si fondano nell’adolescenza in parrocchia enel
volontariato, una visione della vita come pratica discambio con i
poveri. Dopo le prime esperienze, le pri-me prove – raccolte di
stracci, assemblaggio, due stanzeda dividere tutti, diversi e
normali – la nostalgia dellaterra, il ritorno alla terra. Così
comincia la storia dellacooperativa di agricoltura biologica La
Lucerna su que-ste terre nel 1987. Ci voleva coraggio e l’hanno
avuto. Inquegli anni di biologico si parlava in qualche
regioned’Europa, poco o niente in dialetto emiliano. Pietro,
pe-rito agrario, lo dice così: “Abbiamo affrontato il proble-ma del
biologico quando non c’era quasi niente. Si sape-va di gente in
Germania, in Svizzera e in Francia, ma ilmovimento italiano non
c’era. Ci siamo posti il proble-
ma dal punto di vista etico. Ci sono persone che produ-cono da
mangiare per sé e per la gente, rifiutando di uti-lizzare
diserbanti e cose che avvelenano noi e il terreno,perché non
provare noi anche in base a tutti i principi eti-ci e religiosi che
abbiamo? Anche da un punto di vista difede il Signore ci ha messo
come custodi del terreno, delCreato, non come padroni. I custodi
cercano di fare il me-glio possibile e cercano anche di preservare,
salvaguar-dare il terreno, la fertilità. Tutto questo è stato
donato,noi prendiamo quello che c’è. Abbiamo provato, conmolto
scetticismo il primo anno. Certo, sono perito agra-rio, ma ho fatto
una scuola dove non si parlava affatto dibiologico, l’impostazione
era il concime chimico, il di-serbante, l’antiparassitario. Abbiamo
fatto un corso, ab-biamo conosciuto un altro coltivatore e ci siamo
resi con-
to che non era una cosa così stratosferica. Abbiamo pro-vato e
la roba veniva. Più parlavamo, più conoscevamoaltre persone, più ci
rendevamo conto che era giusto, cheera una scelta doverosa. Bene o
male è l’unica strada chepossa dare un futuro, garantire un futuro
anche alle ge-nerazioni che vengono. Il terreno se non lo rispetto
si de-sertifica. La fertilità c’è, è una cosa che si riproduce, si
ri-genera, però l’uomo può anche distruggerla. Il movi-mento si è
allargato, abbiamo conosciuto altra gente, so-no arrivate le leggi,
c’è stato un riconoscimento della va-lidità della scelta.
Contemporaneamente andava avantila costruzione della cooperativa,
del modo di lavorare,del modo di organizzarci, di dividere i soldi,
nel frat-tempo si sono formate delle famiglie, sono nati i figli,
il
Il terreno se non lo rispetto si desertifica. La fertilità c’è,
è una cosa
finto testo dida finto testo. finto testo dida finto testo.
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5GALATEA
gruppo si è ingrandito.” Paolo: “I concimi sintetizzati
inlaboratorio vengono dati direttamente alla pianta, ilconcetto
dell’agricoltura biologica è che nutri il terrenoe poi il terreno
da alla pianta le sostanze di cui questa habisogno. Coltivare in
questo modo è più lento perchédebbo aspettare che sia il terreno a
dare, che abbia il suociclo, se invece voglio avere una cosa veloce
do il conci-me direttamente alla pianta, le devo dare un concime
chela spinga subito ed è contro natura. Questo impoverisceil
terreno, è come crescere un bambino tenendolo sem-pre sulla
carrozzella, ma nel momento in cui vuole cam-minare non lo sa
fare…Ho visto un campo di pomodoriqui vicino, nel giro di due
giorni è diventato rosso, eratutto verde, allora gli hanno dato
sopra una sostanza chelo ha fatto maturare, ma non è maturato per
il sole, per
l’acqua. E questa sostanza dove va a finire? Quanto nuo-ce a chi
la mangia? E nel terreno dove si ferma? Cosa c’èsotto, arriva
all’acqua?”.Le culture si incrociano, il rispetto dell’ecosistema
di-venta una pratica di fede, la protezione della terra e deicicli
stagionali è responsabilità verso gli altri viventi eopzione sul
futuro. Per sapere da dove vengono questeconvinzioni e dove mette
radici la sua cultura Paolo – giàvolontario con i
tossicodipendenti, già attivo in parroc-chia, anche perito agrario
– affronta la sua biografia: “Iovengo da una famiglia di contadini.
Mio nonno era con-tadino, mio padre veterinario che però mi ha
sempre par-lato di quando lavorava nella stalla con suo padre. Un
po’nel sangue ce l’ho, me lo sento addosso. Quando parlo del
nutrire il terreno piuttosto che la pianta che voglio
col-tivare, tutte le volte che parlo ho questa immagine dellemie
zie nei campi a portare l’erba, di quando mia zia michiudeva nella
stalla, voleva mungere e non voleva cheandassi in giro a fare
danni, mi chiudeva nello stallinodove tenevano i bidoni del latte
quando ero da loro incampagna. Ce l’ho e me la sento”. Per
camminare all’in-dietro sulle strade di Pietro, di sua moglie
Giuliana e dialtri soci della Lucerna bisogna parlare della grande
espe-rienza delle “case della carità” in Emilia.Fontanaluccia è un
piccolo paese dal nome gentile sul-l’alto Appennino. Una comunità
di qualche centinaio diabitanti. Questo teatro montano di un
disegno di Dio,lo si incontra a mille metri di altezza facendo il
passo diSan Pellegrino sulla montagna tra Modena e Reggio:
“La chiesina e poco altro, la piazzettina, il
cinemetto,frazioni, borghetti, c’è ancora l’ospizio, la prima Casa
diCarità, ristrutturata è diventata la casa madre superioredella
congregazione mariana della case della carità.” Laprima Casa della
Carità viene fondata durante la guerraa Fontanaluccia da un uomo
schietto, deciso, con un for-te carisma, don Mario Prandi, parroco
di quel postosperduto nella montagna, che decide di affrontare
legrandi miserie e tribolazioni di quegli anni e di queiluoghi, non
solo con preghiere, ma con opere. Apre laparrocchia e ospita
anziani, malati, svantaggiati. La pre-dicazione di don Prandi
guadagna altri passi e altremontagne, si diffonde sull’Appennino e
scende per levalli in pianura, la sua volontà e le sue opere sono
così
che si riproduce, si rigenera, però l’uomo può anche
distruggerla.
finto testo dida finto testo. finto testo dida finto testo.
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6 GALATEA
coinvolgenti ed efficaci da creare un movimento che di-vulga le
sue esperienze e le sue case in una trentina diparrocchie
dell’Emilia e in una decina di missioni inpaesi del Terzo Mondo,
India, Brasile, Madagascar. Ilpovero è la nostra ricchezza, diceva
don Prandi. E i gio-vani che fondano la Lucerna lo prendono in
parola. Conloro lavorano, alla loro mensa mangiano, con loro
vivo-no poveri e svantaggiati. Giuliana, moglie di Pietro emamma di
Daniele – quello che innesta piantine di in-salata nel campo
d’agosto, ha 15 anni e studia agraria –e poi di Giovanni 13 anni,
di Gemma 10, di Matteo 6anni e del piccolo Filippo di 3 anni, si
occupa soprat-tutto della casa – di tutti , prepara il pranzo e
cura l’al-lestimento dello spaccio e la vendita al minuto dei
pro-dotti. Giuliana che ha una sorella suora nelle Case dellaCarità
dice: “Mi ha spinto all’inizio il fatto di lavorarecon altre
persone. Creare legami, rapporti con le perso-ne è la cosa più
bella, soprattutto anche con persone chehanno un po’ difficoltà nel
mondo comune a inserirsi, atrovare il loro posto. Sono persone che
hanno molto dadare agli altri, c’è una povertà che ci si scambia,
noi ab-
biamo la nostra povertà.Da loro ricevo molta ac-coglienza.”
L’accoglien-za, altro punto cardine diquesti cattolici. Il lavorosi
paga, l’accoglienza sidona. Lucia Bonazzi, so-cia storica della
coopera-tiva, addetta alla bottegadi vendita con Giuliana ea cento
altre mansioniparla dei soggetti del-l’accoglienza: “L’essen-ziale
della vita sfuggequando ci si lascia andare troppo dal correre,
dalla pro-duttività, dall’efficentismo. Persone che non
possonocorrere troppo, non possono essere produttive, hanno unmodo
di vivere più semplice e i valori normali riesconoad avere più
spazio. Io ci sto bene con certe persone, rie-sco probabilmente ad
avere un rapporto abbastanza in-tenso anche con persone in
difficoltà, a me sembra così.Il discorso del lavorare mi piace
perché riesco ad offrireanche a loro delle opportunità che non
potrebbero riu-scire ad avere se noi non facessimo questa proposta.
E’facile calpestare certe persone, perché quando si correnon si sta
attenti e sono le persone più fragili. Poi è un
discorso di giustizia. Non mi sembra che sia giusto per-ché
magari io sono più dotata, ho delle possibilità chealtre persone
meno dotate non hanno, che io non condi-vida.”E’ sul tema della
giustizia che in Emilia Romagna si con-frontano e spesso si fondono
dai primi decenni del seco-lo la cultura laica della eguaglianza e
la cultura cattolicadella solidarietà. Dalle esperienze dei
“piccoli apostoli”a quella della “case della carità”, da don Zeno
della cittàdei ragazzi a Dossetti, dal fronte comune contro il
fasci-smo all’aiuto agli ebrei. L’Emilia è stata e in parte rima-ne
il laboratorio di queste esperienze e delle sinergiemesse in atto
dai due grandi filoni popolari. Tuttavia, con il mondo in generale
come va, con l’Italiacome paese come va, la cooperativa La Lucerna
rischia divivere in una ridotta o in un altro pianeta. Le tecniche
perevitare l’isolamento sono state messe in atto sin dalla
fon-dazione. Buoni i rapporti con gli agricoltori vicini. I
con-tadini dei campi che confinano con i 36 ettari della
coo-perativa hanno accolto la novità di questo gruppo di gio-vani,
che si è avventurato nelle campagne portando il
verbo nuovo delle colti-vazioni biologiche, constupore e con
speranza.Poi la scelta decisiva del-la vendita diretta al
det-taglio sia con lo spacciointerno, sia con la vendi-ta ambulante
nei tre mer-cati del biologico - mar-tedì a Modena, giovedì aCarpi,
sabato a Reggio.Ottantamila contattiesterni in un anno non so-no
pochi, tanti sono i ta-
gliandi di vendita. Il biologico ha un suo mercato, unasua
clientela. Arrivano in bicicletta, in agosto, nella sto-rica e
bella p.za Fontanesi ai banchi della Lucerna. Mol-te coppie
giovani, figure eccentriche della città, signoredall’aria
intelligente e civile. Produttori del biologico econsumatori fanno
un tutt’uno. L’estraneità e l’astio, ilregime di necessità e di
rivendicazione che caratterizza edivide produttori, distributori e
consumatori dei pro-dotti convenzionali, lascia il passo a rapporti
diversi e al-ternativi, a comprensione e solidarietà, a franchezza
etrasparenza. E insieme alle nuove culture del consumosono
intervenuti i finanziamenti della Comunità euro-
Ottantamila contatti esterni in un anno non sono pochi, tanti
sono in un anno
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pea e della Regione. Anche se: “Sono due anni – dice Pao-lo -
che la comunità europea dà poco e niente. Sino a dueanni fa
finanziavano i metri quadrati di siepe che im-piantavi. Ti
obbligavano a mettere giù la siepe perché èun fattore fondamentale
per l’agricoltura biologica. Perl’ecosistema, la siepe intorno che
fa da barriera, che fa daprotezione, che fa da nidi per gli uccelli
che ti aiutanonella coltivazione, nidi per gli insetti utili.
Adesso nonlo fanno più anche perché nel biologico è finito un po’
ditutto c’è gente che l’ha fatto solo perché c’erano dei
fi-nanziamenti.” Il reseau della Lucerna è questo: prima di tutto i
sei so-ci che lavorano e i rapporti tra questi soci, attorno a
lo-ro una quarantina di soci sostenitori della cooperativa.I loro
rapporti sono di continuo saldati e attivati dalleriunioni
settimanali e mensili, le ore di preghiera e leassemblee, le messe
e i seminari di discussione. Subitoattorno a questo nucleo i soci
“conferitori”, poi i vicinidi campo e di cascina e quotidianamente
o settimanal-mente il contatto diretto con la gente attraverso la
ven-dita al minuto nella bottega interna e i banchetti sui
mercati. Ma soprattutto quelli della Lucerna si sento-no e sono
dentro un movimento del nuovo e del rispet-to dell’ambiente, un
movimento con forti pulsioni al-l’eguaglianza e allo scambio equo.
E’ così che ci si met-te a fianco dei popoli più sfruttati della
Terra, al TerzoMondo. Nella cooperativa - anche lui agronomo,
an-che lui cattolico con forti esperienze di volontariato –
èsoprattutto Paolo Vincenzi che porta avanti questo di-scorso. Ha
fatto il servizio civile volontario internazio-nale in Madagascar
in un programma per lo sviluppo diaziende agricole. Il suo racconto
sulle coltivazioni delcaffè in collina e del riso in pianura, delle
paludi, delmare e delle falaises, delle aziende nazionalizzate e
de-gli ultimi coloni europei con mogli malgasce rimasti
inMadagascar, è dettagliato, pieno di nostalgia per quel-la
esperienza e quelle culture diverse. Da quella espe-rienza passa in
Italia in una azienda agricola conven-zionale che però ospita per
stages e corsi di formazionegiovani agricoltori o studenti di paesi
terzi. Da lì al bio-logico e alla Lucerna: “In questi anni le
distanze si so-no molto accorciate, persone dal Terzo Mondo ne
pas-
i tagliandi di vendita. Il biologico ha un suo mercato, una sua
clientela.
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8 GALATEA
sano tante, la possibilità di inserirsi nei progetti è mol-to
maggiore, è nato il discorso del commercio equo so-lidale, che è
parente del biologico e parente con i pro-getti di sviluppo. A
lungo andare credo che l’importa-zione di prodotti agricoli da
parte dei paesi sviluppatidai paesi sottosviluppati andrà ad
aumentare, l’esigen-za del biologico andrà ad affermarsi. Ma questo
com-mercio va fatto con modalità diverse da quello che stan-no
avvenendo. Ci sono banane e ananas da agricolturabiologica vendute
in negozi da agricoltura biologica,non sempre sono anche da
commercio equo e solidale,non sempre dietro questi prodotti c’è uno
sviluppo rea-le delle popolazioni che li producono e li
coltivano.”Dunque, qual è il sogno? “Sogni ne ho tanti.
Potrebbeessere trasmettere la nostra esperienza, quella fatta
qui.
La nostra esperienza è un capitale che potrebbe far co-modo ad
altri popoli, ad altri gruppi, basta guardarel’Albania, per
arrivare sino all’Africa e via. Questo ca-pitale di esperienza
potrebbe essere trasmesso. Potreidare molto di più oggi di quello
che ho dato quando so-no andato a 20 anni in Madagascar. Potrei
trasmettereuna esperienza tecnica e anche culturale molto
mag-giore. Si può fare spostandosi là, si può fare accoglien-do
persone che vengono qui, si può fare con il commer-cio, potremmo
anche avere una cooperativa all’esteroche ci fornisce alcuni
prodotti che non possono esserecoltivati qui o che è meglio
coltivare là e noi occuparcidella commercializzazione”.I soci
“conferitori” sono una voce crescente della rete
duttile di rapporti della Lucerna. Conferiscono
alcunecooperative del sud olio e altri prodotti, cooperative
deltrentino mele e altre frutta, conferiscono soci che si di-vidono
tra il lavoro nelle terre affittate dalla Lucerna eproprie
coltivazioni. Uno di questi è Dario Mazzoni chequest’anno ha fatto
una vendemmia eccezionale. Dario29 anni, nonni contadini, padre
ceramista tutta la vita,qualche problema: “La terra era dei nonni a
Barco di Bi-biano. Ho cominciato a mettere su i filari nel ’98.
Quelvigneto lì è diviso in tre settori, una parte è più giova-ne,
una parte è più vecchia. C’è l’irrorazione d’acqua agoccia.
Quest’anno abbiamo avuto alcuni problemi conun tipo d’uva, la
Lancellotta, una malattia che chia-miamo “flavescenza dorata”.
L’abbiamo combattuta eabbiamo perso un centinaio di piante. Ci sono
76 filari
per 2500 piante, abbiamo perso poco. Ricaviamo 500quintali d’uva
e l’uva si vende al quintale a 45/50 euromassimo. Ci tiro fuori un
po’ di soldi. Prima di inizia-re a lavorare ho fatto un po’ di
esperienza alla casa del-la carità di Carvriago. A quei tempi c’era
la sorella del-la Giulia e mi ha consigliato - Vè c’è mia sorella
che cer-ca delle persone da lavorare, se vuoi provare -. Io
sonovenuto, ho provato, m’è piaciuto. Prima ho provato an-che in
fabbrica, ma facevo fatica. Qui mi piace il rap-porto con la gente,
il modo di fare, stare all’aria apertaa contatto con la natura.
Vengo tre giorni alla Lucernae gli altri sto a casa e il sabato
vado nella vigna. Lì miaiuta mio padre Lino, con lui discutiamo
delle volte,siccome io faccio fatica fare delle cose, allora mio
padre
...quello che serve all’uomo per poter mangiare. La terra è un
dono
finto testo dida finto testofinto testofinto testofinto
testofinto testofinto testofinto testofinto testofinto testo.
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9GALATEA
mi deve insegnare due, tre volte, sui campi. A guidareil
trattore a fare manovra con i carri io non riesco tantobene, lui mi
insegna e delle volte si arrabbia”. La Lucerna non è un piccolo
“paradiso terrestre” conbuoni e laboriosi cristiani dentro che,
mescolati a figlidi un dio minore, danno la loro testimonianza,
recinta-ti da siepi ecologiche, dentro la struttura nobile e di
an-tica architettura di una cascina della bassa con il vec-chio
silos delle granaglie. La Lucerna non è neanche sol-tanto un
esempio. E’ una scelta di vita, un tentativo distare nel mondo per
cambiarlo dall’interno, la ricercadi un equilibrio. Alla terra
viene chiesta una fertilitàche si possa rinnovare, i guadagni che
il lavoro durissi-mo dà - e soltanto negli ultimi anni – sono
misuratisullo stretto necessario per vivere. Pietro e Giulia
ven-
gono remunerati, insieme, con 1500 euro al mese, edhanno cinque
figli. Paolo Arduini ha un reddito di 650euro al mese, riesce a
farcela perchè lavora anche la mo-glie Chiara, assistente sociale e
insieme possono darequalche garanzia alla figlia Sara. Il marito di
Lucia è in-gegnere, ma hanno quattro figli. Dario arrotonda conla
vigna sulla terra dei nonni. Paolo Vincenzi ha due fi-gli ma lavora
anche la moglie. Ecco perché Ercole Gi-roldini di Canossa, anni 45,
il socio più anziano, per 25anni odontotecnico, ha potuto soltanto
da poco venirea lavorare sui campi. Ercole dal robusto appetito è
unuomo piccolo e mite nonostante il nome, discendentedi mugnai
attivi in uno dei più antichi mulini delle col-line, ha tre figli e
una moglie, Rita, che fa la commessa
ed è socia fondatrice della cooperativa: “La cooperativanasce
anche con me anche se io come lavoro effettivo hofatto sempre
l’odontotecnico, sino a due-tre anni fa. Erotra i primi, da sempre
mi ci dedico, ho fatto un periodoche facevo tre pomeriggi alla
settimana qui da volon-tario. Ho potuto prendere questa decisione
difficile an-che perché adesso oltre a condividere un lavoro un
po’più umanizzante e molte cose, possiamo condividereun po’ di
guadagno tra di noi e anche con persone in dif-ficoltà. Mi
interessava fare una esperienza di questo ti-po anche perché ti
mette già in guida su certi valori chenon sono principalmente il
guadagno, anche se il gua-dagno è necessario. Il biologico rientra
comunque inquella filosofia di vita che è poi il messaggio del
Van-gelo. La terra è vita. Credendo molto alla vita crediamo
che vada rispettata in tutte le sue forme. Lo sfrutta-mento
normale è quello che serve all’uomo per poteremangiare. La terra è
un dono grosso dal cielo, lo sfrut-tarlo è evangelico, abusarne non
lo è. E’ una scelta im-portante il biologico perché fa parte del
discorso, dopo19 anni, tribolando ci siamo riusciti, siamo stati
unadelle prime scelte biologiche in Italia”.Tribolare, questo è il
verbo. E un futuro in bilico, dicePietro. Forse siamo ancora in
tempo. Forse il punto dicrisi maggiore è passato, il neoliberismo è
in crisi, i con-sumi si fermano nonostante le sollecitazioni e i
modelliselvaggi, la società no future ricomincia a pensare. E’
tut-to in bilico ancora, ma forse siamo in tempo: salvare
noi,salvare la Lucerna. �
grosso dal cielo, lo sfruttamento è evangelico, abusarne non lo
è.
finto testo dida finto testofinto testofinto testofinto
testofinto testofinto testofinto testofinto testofinto testo.