1 Quando ci si vede vivere,… “unheimlich” e follia in Pirandello novelliere (In riferimento a Novelle per un anno) …avere coscienza è la più grande tragedia che si possa immaginare. Specie avere coscienza di essere, di esistere cioè, e di esistere come uomo. Enzo Lauretta «Mi sembra di vedere il mio Io attraverso una lente che lo rifranga e moltiplichi; tutte le figure che si agitano intorno a me sono altrettanti Io ed io mi adiro del loro modo di agire….» E.T.A. Hoffmann E allora? Moscarda, Uno nessuno centomila Il termine tedesco incluso nel titolo del presente articolo segna l’incidente che perturba il ritmo stereotipico della «vita impossibile» dei personaggi pirandelliani, e pare produrre effetti straordinari. Accorgendosi di uno «strappo» nel suo «cielo di carta», e patendo la pena di «vivere così», in un mondo che vede il
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Quando ci si vede vivere,… “unheimlich” e follia in Pirandello novelliere
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Quando ci si vede vivere,…
“unheimlich” e follia in Pirandello
novelliere
(In riferimento a Novelle per un anno)
…avere coscienza è la
più grande tragedia
che si possa
immaginare. Specie
avere coscienza di
essere, di esistere
cioè, e di esistere
come uomo.
Enzo Lauretta
«Mi sembra di vedere
il mio Io attraverso
una lente che lo
rifranga e moltiplichi;
tutte le figure che si
agitano intorno a me
sono altrettanti Io ed
io mi adiro del loro
modo di agire….»
E.T.A. Hoffmann
E allora?
Moscarda, Uno
nessuno centomila
Il termine tedesco incluso nel titolo del presente articolo segna
l’incidente che perturba il ritmo stereotipico della «vita
impossibile» dei personaggi pirandelliani, e pare produrre effetti
straordinari. Accorgendosi di uno «strappo» nel suo «cielo di
carta», e patendo la pena di «vivere così», in un mondo che vede il
2
«crepuscolo» del sole di ogni autorità tradizionale e trascendentale,
il “personaggio-qualcuno”1 di Pirandello compie una ricerca
irrequieta della sua autenticità, della sua libertà. Oreste, ormai nudo
di tutti gli autoinganni, nega il mondo creduto finora vero e si nega
continuamente, cadendo nell’abisso di un’amletica perplessità e
dell’incertezza della ricerca cerebrale.
1. La «vita impossibile»
Le novelle pirandelliane, contrassegnate dalla
presenza di operai e piccoli borghesi che patiscono «il
mal di vivere», in un mondo frantumato e caotico,
affondano le loro radici nella società siciliana e in quella
cittadina romana. Le prime riflessioni sulla doppiezza che
regola la vita sociale, che sostiene spesso le istituzioni,
dimenticando le esigenze dell’individuo, sono suggerite a
Pirandello dalla gente che vive in campagna. In Ciàula
scopre la luna, l’autore descrive l’inferno degli uomini
miseri che lavorano nelle cave di zolfo, i luoghi più tristi
di Agrigento e Caltanissetta. Zì Scarda, il tipico
personaggio pirandelliano, scava giorno e notte,
sopportando una fatica enorme, per mantenere la nuora e
sette figli rimasti orfani in seguito alla morte del figlio,
per lo scoppio di una «mina». Piangendo, si disseta delle
sue lacrime, e non ne lascia scappare una:
Poco: una goccia, di tanto in tanto; ma buttato dalla mattina alla
sera laggiù, duecento o più metri sottoterra, col piccone in mano,
che a ogni colpo gli strappava come un ruglio di rabbia dal petto,
1 “Un personaggio, signore, può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un
personaggio ha veramente una vita sua, segnata da caratteri suoi, per cui è
sempre «qualcuno». Mentre un uomo- non dico Lei stesso- un uomo così in
genere può non essere nessuno”. LUIGI PIRANDELLO, Maschere nude, Milano,
Mondatori, 1936, p. 45.
3
Zi’ Scarda aveva sempre la bocca arsa: e quella lagrima, per la sua
bocca, era quel che per il naso sarebbe stato un pizzico di rapè.
Un gusto e un riposo.2
Rassegnato alla sua grande miseria, Zi’ Scarda finisce
quasi con il trovarla giusta:
Lavorava più e meglio di un giovane; ma ogni sabato sera, la paga
gli era data, e per dir la verità lui stesso se la prendeva, come una
carità che gli facessero: tanto che, intascandola, diceva sottovoce,
quasi con vergogna:- Dio gliene renda merito.-
Perché, di regola, doveva presumersi che uno della sua età non
poteva più lavorare bene. 3
Più miserabile di Scarda, è Ciàula, il caruso, che
può non appartenere più all’umanità, avendo già nel
nome, nella voce, nell’opaca coscienza, molto della
bestia. Subendo la paura di uscire dalla «mina» e trovarsi
nel «buio vano» della notte, scopre per la prima volta la
«chiarità d’argento» della luna. L’uomo miserabile si
conquista da una pace luminosa nei confronti dello
spettacolo della vastità dell’universo:
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran
conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là,
mentr’ella saliva per cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce,
ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui,
che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella
notte ora piena del suo stupore.4
2 ID., Dal naso al cielo, Ciàula scopre la luna, Milano, Mondadori, 1969, p. 54. 3 Ivi., p, 55 4 Ivi., p. 56.
4
Il cittadino pirandelliano «fuori di chiave»5 è
Belluca, il protagonista de Il treno ha fischiato. Chiuso
entro i limiti soffocanti della sua mansione impiegatizia, e
della famiglia costituita da tre donne cieche (la moglie, la
suocera, la sorella), e due figlie vedove con sette bambini,
giorno dopo giorno, senza fermarsi un attimo, diviene un
«vecchio somaro» che gira la stanga della noria d’un
vecchio mulino:
Povero Belluca! E a nessuno passava per il capo che, date le
specialissime condizioni in cui quell'infelice viveva da tant'anni, il
suo capo poteva anche essere naturalissimo […]. Perché uomo più
mansueto e sottomesso, più metodico e paziente di Belluca non si
sarebbe potuto immaginare. Circoscritto... sì, chi l'aveva definito
così? Uno dei suoi compagni d'ufficio. Circoscritto, povero
Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di
computista, senz'altra memoria che non fosse di partite aperte, di
partite semplici o doppie o di storno, e di defalchi e prelevamenti e
impostazioni; note, libri-mastri, partitarii, stracciafogli e via
dicendo. Casellario ambulante: o piuttosto, vecchio somaro, che
tirava zitto zitto, sempre d'un passo, sempre per la stessa strada la
carretta, con tanto di paraocchi. Orbene, cento volte questo vecchio
somaro era stato frustato, fustigato senza pietà, così per ridere, per
il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po', a fargli
almeno almeno drizzare un po' le orecchie abbattute, se non a dar
5 “La storia di quest’uomo di Pirandello, dai cento nomi, dalle cento facce, dai
cento comportamenti spesso sconcertanti, dai cento tic ma dall’unica pena di
vivere, è raccontata in duecentocinquanta modi, tutti riconducibili all’angoscia di
chi acquista coscienza di sé, si vede doppiato, frastornato, ingannato, solo,
sconfitto, deluso, con il cartellino di “ricercato” che la società ha attaccato sotto
la sua immagine, e perciò braccato e messo al muro, mentre gli altri mangiano,
bevono, dormono, piangono, ridono, fanno l’amore, defecano, allevano i figli,
lavorano e muoiono, passandogli accanto insensibili e senza vedere la sua
sofferenza di fondo, ciechi e sordi alla tragedia di quel personaggio sopraffatto
dalle incredibili ipocrisie e ingiustizie sociali”. ENZO LAURETTA, Luigi
Pirandello. Storia di un personaggio fuori di chiave, Milano, Mursia, 1980, p.
220.
5
segno che volesse levare un piede per sparar qualche calcio.
Niente! S'era prese le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa
pace, sempre, senza neppure fiatare, come se gli toccassero, o
meglio, come se non le sentisse più, avvezzo com’era da anni e
anni alle continue solenni bastonature della sorte. 6
L’io giudicante della novella si immerge nel passato alla
ricerca del «mostro» cui si deve attaccare «la coda», cioè
il gesto inconsueto di Belluca. Con tali condizioni di vita,
che non danno soddisfazione ai bisogni intimi
dell’individuo né ai suoi desideri, un incidente qualsiasi
può condurre alla ribellione. Le prospettive spaziali create
dal fischio del treno fanno emergere alla superficie l’«io
vero»7 del personaggio, capace di partire con
l’immaginazione per le varie parti di un cosmo
infinitamente grande. La scoperta della dimensione
cosmica non libera totalmente l’essere vero, mettendo in
crisi la dimensione angusta della «vita impossibile», ma
le si affianca per renderla più sopportabile:
Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al
capo-ufficio, e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria.
Soltanto il capo-ufficio non doveva pretendere troppo da lui come
per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una
partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in
Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo..8
Gli stessi limiti angusti e bui della vita
circoscrivono il personaggio di Sopra e sotto, il vecchio
professore, marito imbelle di una donna che ha buttato
6 LUIGI PIRANDELLO, L’uomo solo. Il treno ha fischiato, Milano, Mondadori,
1955, p. 38. 7 ELIO GIOANOLA, Pirandello. La follia, Milano, Jaca Book, 1997, p. 116. 8 LUIGI PIRANDELLO, L’uomo solo, Il treno ha fischiato, op.cit., p. 40.
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alla perdizione le sue due figlie, riducendolo lui stesso
alla degradazione di accettare un po’ di denaro
mandatogli da una delle due ragazze. Un fine consolatorio
ha la coscienza cosmica del vecchio che si sente umiliato
dalla consapevolezza della grandezza del cosmo a
confronto della piccolezza umana. L’evocazione di uno
spazio cosmico interviene a pacificare l’angoscia del
personaggio che ha preso coscienza del proprio scacco
esistenziale. L’«io vero» del vecchio non può conciliare il
suo fallimento se non consapevole della sua piccolezza
nella vastità dell’universo:
E che conforto, che consolazione ti può venir da questo? Chiede il
vecchio professore, e la risposta del giovane coglie esattamente il
nucleo della situazione:
- Conforto? Consolazione? Voi cercate questo, Io so! Voi avete
bisogno di vedervi, di sapervi piccolo…
- Piccolo, sì… piccolo, piccolo…
- Piccolo, tra cose piccole e meschine…
- Sì… così…
- Su un crepuscolo infinitesimale dello spazio, è vero?
- Sì, sì… infinitesimale…
Ma perché? Per seguitare ad abbrutirvi, a incarognirvi!
Il professore Sabato non rispose: aveva in bocca di nuovo il
bicchiere, che già gli ballava in mano: accennò di sì col testone,
seguitando a bere.
- Vergognatevi! Vergognatevi!- inveì il Lamella.- […] Le stelle
sono grandi, io sono piccolo, e dunque m’ubriaco, è vero? Questa è
la vostra logica!9
Patendo la «pena di vivere così», nata dalla
mancanza o dalla perdita dell’identità nel rapporto fra l’io
e l’altro, l’individuo, chiuso solo in una prigione, elabora
vanamente strategie d’evasione, «nel tentativo di
9 ID., La rallegrata, Sopra e sotto, Milano, Mondadori, 1955, p. 52.
7
ritagliarsi un minimo spazio espressivo, un angolo di
autonomia precaria, ove inscenare una sterile ribellione
contro il suo essere»10. Ma rimane sotto il peso dei
condizionamenti soffocanti del mondo, vincolato da varie
forme che cooperano alla sua fissità, togliendogli la
libertà e la vivacità. Con l’affermazione di tali forme, cioè
dei «falsi io», si rischia di perdere «l’io vero»11. «“Io
vero” e “io falso”- Gioanola esclama -funzionano come
un sistema per il quale il rafforzamento dell’uno equivale
a un rafforzamento dell’altro, in una libertà sempre più
vuota per il primo e in una schiavitù sempre più rigida per
l’altro».12
2. “unheimlich”
Freud, nel suo celebre articolo "Das Unheimlich"
pubblicato nel 1919, trattando per la prima volta il
termine, indica la contrapposizione di base tra gli
aggettivi helimlich o heimisch [familiare], e unheimlich
[straniero]:
La parola tedesca unheimlich, ovviamente è l’opposto di heimlich e
di heimisch [casalingo, familiare, nativo], ossia l’opposto di ciò che
è abituale, per cui tenderemmo a dedurne che una cosa
“perturbante” spaventa proprio per non essere nota e consueta. Però
è ovvio che non tutto ciò che è nuovo e inconsueto è anche
spaventoso. Si tratta di un rapporto che non può essere invertito.
Possiamo dire soltanto che ciò che è inconsueto può benissimo
diventare spaventoso e inquietante.
10 EMMA GRIMALDI, Il labirinto e il caleidoscopio. Percorsi di letture tra le
«Novelle per un anno» di Luigi Pirandello, Rubettino, Soveria Mannelli, 2007,
p. 29. 11 ELIO GIOANOLA, op.cit., p. 116. 12 Ibidem.
8
Secondo lui [Jentsch] il fattore essenziale per l’insorgenza della
sensazione di perturbamento risiede nell’incertezza intellettuale,
per cui il perturbante in effetti sarebbe qualcosa in cui non si sa
come raccapezzarsi13.
Il perturbante, l’«inconsueto»14, che ingenera angoscia e
orrore, nelle sue varie forme, fisiche o psicologiche, sorge
di fronte ad un'incertezza intellettuale, quando le
giustificazioni razionalistiche non garantiscono più
niente. Fra i principali fenomeni che hanno un effetto
perturbante ci sono le tematiche della morte, e le forme
del doppio.
Schelling, mettendo in risalto un altro principale
significato dell’aggettivo heimlich 15, conferma che «è
detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare segreto,
nascosto, e che è invece affiorato»16. I significati dei
contrari coincidono; il perturbante scaturirebbe
dall’incontro tra lo spaventoso e il familiare.
13 SIGMUND FREUD, Il perturbante, in Psicoanalisi dell'arte e della letteratura,
Roma, BUR, 1997, p. 150. 14 ERNEST JENTSCH, La narrazione fantastica (in appendice: Sulla psicologia
dell'Unheimliche, trad. di Zur Psychologie das Unheimlichen), Nistri-Lischi, Pisa
1983, P. 151. 15 Nel vocabolario tedesco (Freud fa riferimento al Dizionario di lingua tedesca
di Daniel Sanders, Hamburg: Hoffmann & Campe, 1871), alla voce heimlich
compaiono due significati principali:
1. appartenente alla casa, non straniero, familiare, domestico, fidato e
intimo.
2. tenuto lontano da occhi indiscreti, nascosto in modo da non farlo sapere
ad altri o da non far sapere la ragione per cui lo si intende celare.
(Heimlich è anche avvicinato al mondo della magia e al mondo
sotterraneo). 16 LILIANA CACIALLI, Tre eroi del pensiero: Nietzsche, Heidegger, Schelling,