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Quaderni di Studi Indo-Mediterranei
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Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

Jan 25, 2023

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bruna pieri
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Quaderni di Studi Indo-Mediterranei

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Direttore responsabile: Carlo Saccone

Comitato di redazione: Alessandro Grossato (vicedirettore), Daniela Boccassini(responsabile per il Nord America), Carlo Saccone

Comitato dei consulenti scientifici: Alberto Ambrosio (Uni-Paris Sorbonne, mi-stica comparata), Adone Brandalise (Uni-Padova, studi interculturali), France-sco Benozzo (Uni-Bologna, studi celtici), Daniela Boccassini (UBC Vancouver,filologia romanza), Johann Christoph Buergel (Uni-Berna, islamistica), PatriziaCaraffi (Uni-Bologna, iberistica), Carlo Donà (Uni-Messina, letterature compa-rate), Patrick Francke (Uni-Bamberg, arabistica), Alessandro Grossato (FacoltàTeologica del Triveneto, indologia), Giancarlo Lacerenza (Uni-Napoli, giudai-stica), Mario Mancini (Uni-Bologna, francesistica), Roberto Mulinacci (Uni-Bologna, lusitanistica), Carla Corradi Musi (Uni-Bologna, studi sciamanistici),Giangiacomo Pasqualotto (Uni-Padova, filosofie orientali),Tito Saronne (Uni-Bologna, slavistica), Mauro Scorretti (Uni-Amsterdam, linguistica), Giulio So-ravia (Uni-Bologna, maleo-indonesistica), Kamran Talattof (Uni-Arizona, irani-stica), Carlo Saccone (storia del pensiero islamico), Ermanno Visintainer(ASTREA, filologia delle lingue turco-mongole)

La rivista “Quaderni di Studi Indo-Mediterranei” (QSIM) ha sede presso il Dipartimen-to di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bologna, Via Cartoleria 5, 40124Bologna, ed è sostenuta da amici e studiosi riuniti in ASTREA (Associazione di Studi eRicerche Euro-Asiatiche). La posta cartacea può essere inviata a Carlo Saccone, all’in-dirizzo qui sopra indicato. Sito web ufficiale della rivista:http://www2.lingue.unibo.it/studi%20indo-mediterranei/sito in inglese: http://qusim.arts.ubc.ca/Ulteriori materiali e informazioni sul sito parallelo di “Archivi di Studi Indo-Mediterra-nei” (ASIM)http://www.archivindomed.altervista.org/Per contatti, informazioni e proposte di contributi e recensioni, si prega di utilizzare unodei seguenti indirizzi:<[email protected]>, <[email protected]>, <[email protected]>Per l’abbonamento alla rivista, e per gli arretrati, si prega di contattare l’Editore:www.ediorso.it

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Edizioni dell’OrsoAlessandria

Quaderni di StudiIndo-Mediterranei

VI(2013)

Le Tre AnellaAl crocevia spirituale tra Ebraismo,

Cristianesimo e Islam

a cura di

Alessandro Grossato

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© 2014Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.via Rattazzi, 47 15121 Alessandriatel. 0131.252349 fax 0131.257567e-mail: [email protected]://www.ediorso.it

Realizzazione editoriale a cura di ARUN MALTESE ([email protected])

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata,compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente persegui-bile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41

ISBN 978-88-6274-521-5

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INTRODUZIONE 1

Al crocevia spirituale tra Ebraismo, Cristianesimo e Islamdi Alessandro Grossato 3

CONTRIBUTI 17

Abraham und die abrahamitischen Religionen Judentum, Christentum und Islam

di Edmund Weber 19

Prospettive iranologiche su Ebraismo, Cristianesimo e Islamdi Andrea Piras 35

Il Testamento di Salomone: dall’ambiente giudaico (o giudeo-cristiano) alla riscrittura araba

di Augusto Cosentino 53

Juifs et musulmans dans la littérature médiévale allemande. Tolérance ou intolérance ? Quelques aspects

di Danielle Buschinger 71

La verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”: varianti medievali della parabola dei tre anelli

di Alessandro La Monica 87

The Pearl, the Son and the Servants, in Abraham Abulafia’s Parabledi Moshe Idel 103

Mobilità ebraica nell’Adriatico meridionale tra Tre e Quattrocento: il caso degli Ibn Šoham

di Fabrizio Lelli 137

Indice

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Beatificatio, Baraka, Contractio, Tzimtzum. Nicola Cusano e Le Tre Anelladi Cesare Catà 161

Geografie dell’invisibile: Sulla dottrina del Paradiso nel pensiero di Giovanni Pico della Mirandola

di Raphael Ebgi 181

Catholic Madonna in a Muslim village: Sharing the Sacra in a Bosnian Waydi Mario Katić 203

I pilastri del mondo: gerarchie occulte nelle religioni abramitichedi Stefano Salzani 219

Elijah, al-Khidr, St George, and St Nicholas: On Some Jewish, Christian and Muslim Traditions

di Ephraim Nissan 237

UNA LETTURA TRA ORIENTE E OCCIDENTE 277

La Stella e l’Arconte. Per un’iconologia dei Magi evangelicidi Ezio Albrile 279

L’INTERVISTA 301

Intervista del regista italiano Louis Nero a Carlo Saccone (Padova, Cappella degli Scrovegni, 19 settembre 2012) in vista della preparazione di un film-documentario su Dante l’Islam e l’Ebraismo(“Il Mistero di Dante”, L’Altrofilm) 303

RECENSIONI 315

BIOGRAFIE E ABSTRACTS 345

VI

Indice

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Prospettive iranologiche su ebraismo, cristianesimo e Islam

di Andrea Piras

Il rapporto tra cultura iranica e le tre religioni abramitiche deve essere valu-tato sulla base di premesse e considerazioni di ordine politico-istituzionale, edella forma-stato in cui la nozione geografica di Iran si è declinata nelle suepeculiarità etniche, linguistiche, sociali e religiose. Parlando di Iran pre-islami-co mi concentrerò sulla specificità di aggregazioni politico-imperiali comequelle della dinastia achemenide, arsacide e sassanide: ove la prima e la terza siidentificano per un forte radicamento nella regione sud occidentale del Fars, laPersia, il che aumenta il tono di quei valori identitari etno-geografici che rimar-cano senso di appartenenza e tendenze egemoniche. Il punto di vista dirimenteè sempre quello del potere e delle sue dialettiche di accettazione o persecuzio-ne, di tolleranza o intolleranza, nei confronti delle genti e delle regioni subalter-ne al potere imperiale: e quindi obbligate a rispettarne i dettami di obbedienza esottomissione, in quanto dominate e soggette allo status quo della figura regale,della sua corte di funzionari e della catena di comando che in sua vece ammini-strano il regno, e sono responsabili e punibili di ogni violazione commessa con-tro la sua maestà. Così come ogni suddito. Ogni cultura e religione è quindisoggetta a questa dipendenza: non si pensi dunque a un rango di esclusività epreferenza e questo vale anche per le religioni abramitiche, almeno per le primedue, visto che l’Islam per la sua posizione di conquista e di preminenza sullerestanti società, culture e religioni (ebraismo e cristianesimo inclusi), rappre-senta un caso a parte e verrà trattato in questa prospettiva di dominazione sullealtre.

ACHEMENIDI Il sistema di conquista e dominazione dell’impero persianoachemenide si basava su una accorta concessione di privilegi, di indipendenzeregionali, del mantenimento di consuetudini politiche, amministrative e cultura-li, tali da perpetuare il funzionamento di istituzioni locali (e servendosi anzi diqueste, integrandole nell’organigramma della catena di comando imperiale):unica condizione era l’obbedienza al volere del re e alla sua legge, rappresenta-ta dal satrapo che ne era il delegato e il plenipotenziario nelle regioni da lui pre-siedute. Stabilito questo vincolo di obblighi, di dipendenze fiscali (tributi) emilitari (leva di contingenti), anche per quanto riguarda le credenze religiose vi

«Quaderni di Studi Indo-Mediterranei», VI (2013), pp. 35-51.

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era una sostanziale “tolleranza”1 e quindi un rispetto delle tradizioni cultualilocali, che anzi erano sotto la diretta protezione del re: il caso dell’entrata diCiro in Babilonia e il suo nominarsi pupillo del dio Marduk ne è un esempioeloquente; così come la lettera di Dario al suo satrapo Gadata, nell’Asia Minore(Magnesia), dove si lamenta del fatto che i giardinieri sacri ad Apollo sono statiimpiegati in mansioni lavorative profane e non consone al loro ufficio: circo-stanza riprovevole che spinge Dario al biasimo verso Gadata, paventandogli disubire la sua collera, nel caso non vengano ripristinati gli onori dovuti ai servi-tori di Apollo. Che il nome degli Achemenidi fosse quindi celebrato per questailluminata politica (anche se non mancarono le eccezioni, motivate da casi diribellioni, come forse quella di Babilonia, nel regno di Serse) è evidente dalletestimonianze bibliche che magnificano Ciro2 in quanto “unto del signore” equindi “messia”, come si legge in Isaia (41; 45): unico caso di un non-ebreoche venga onorato, in questa sola occasione, con tale epiteto di prestigio e disacralità del potere, esprimendo una benemerenza che i testi biblici rinnovaronoper i sovrani achemenidi futuri, come Dario, Serse e Artaserse, a causa dellemolte concessioni elargite (ritorno in Palestina; permesso di ricostruire il tem-pio; offerte di beni e di ricchezze). Il mondo persiano è ben raffigurato nellaBibbia, sia nelle descrizioni propriamente storiche dei libri di Esdra e Nehemiache in quelle novellistiche, tipo il libro di Ester, storia della regina di originiebraiche (ricordata ancora oggi nella festa ebraica del Purim) che per salvare lasua gente dalla persecuzione inscena varie situazioni di dolore, di richiesta digrazie e di suppliche al re persiano.

Quando si considera la possibilità delle relazioni tra cultura religiosa zoroa-striana e ebraica non è semplice identificare possibili situazioni di contatto: sesì in che ambito? Qual è l’interfaccia dialogico che può aver favorito possibiliscambi di informazioni? Le domande sfociano spesso in questioni malposte,quando si parla di influssi reciproci e quando si postula, erroneamente, un“copia taglia e incolla” interculturale, tipo X che passa a Y e viceversa. E ineffetti è sempre difficile riconoscere la paternità di un prestito, a meno che nonvenga fortunosamente dichiarato in un documento (un testo, una iscrizione);oppure quando sia di palmare evidenza, come nel caso di forme architettoniche,artistiche e iconografiche che presentano segni e indizi di una più chiaraimpronta adottata. Nel caso del giudaismo post-esilico, già questa definizione,esemplata su un evento storico (la “liberazione” degli ebrei da Babilonia e il

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1 Cf. estesamente, Gnoli 1974 per una comprensione della “tolleranza” achemenide.2 Piras 2013; Garbini 1986: 124-143.

Andrea Piras

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ritorno in Palestina) sembra voler marcare, nella storia degli studi, una certadipendenza culturale nei riguardi del mondo persiano, e quindi una influenzairanica e zoroastriana nel merito di concezioni religiose come il male e il duali-smo, l’angelologia, la demonologia, l’escatologia — concetti che ritornanosovente nella dottrina, riferiti a presunti apporti iranici verificatisi nella fasepost-esilica del giudaismo di epoca achemenide.

In alcuni casi vi sono elementi che suffragano tali eventualità di copiatura: eaddirittura certezze, come per il nome del diavolo biblico Asmodeo (in Tobia),trascrizione del nome del demone zoroastriano della furia (avestico Aēšmadaēva), trasmesso in una forma medio-iranica rimodellata in ambiente ebraico,secondo assonanze di forme aramaiche che potevano coincidere o reinterpretareuna parola esterna, assunta e fatta propria (aramaico šmd “distruggere”, nelnome del demone Šemadan)3. Ma a parte questa eccezionalità, il problema deveessere posto in maniera differente quando si voglia comprendere l’influssocome stimolo alla elaborazione, come occasionalità di una serie di circostanzeche potrebbero aver dato luogo a indipendenti formulazioni, del tutto originali especifiche del quadro in esame, frutto di incidenze e contatti che appunto, inquanto tali, non sono operazioni di mera copiatura. In questa prospettiva piùattenta a salvaguardare le unicità e originalità di ogni contesto, e a cogliere ildinamismo vitale degli apporti e dei prestiti, la dialettica tra iranismo e ebrai-smo può beneficiare degli esiti più maturi della disciplina orientalistica e dellesue epistemologie che si interrogano, proficuamente e fecondamente, su taliprocessi di interazione culturale4.

ARSACIDI Sotto il regno dei parti o arsacidi, dal nome del fondatore delladinastia Arsace, le relazioni tra mondo iranico ed ebraico si incrementarono davari punti di vista, anche nell’ambito politico, a seguito delle frizioni tra parti eRoma, e quindi della presenza dei romani in Giudea, una situazione che era vis-suta con disagio dalla comunità israelita: e su ciò i parti fecero leva per inserirsia loro vantaggio espansionistico in questa triangolazione (irano-romana-giudai-ca) di soggetti e di territori contesi. Significativamente il periodo partico è rite-nuto favorevole a una armonica sintonia tra iranici e comunità ebraica mesopo-tamica5: come è testimoniato dal ricordo positivo dei parti (e dei loro sovrani)

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3 Cf. di recente Sundermann 2008.4 Cf. le pertinenti osservazioni di Shaked 1984 e Panaino 2004 a proposito di questa più accorta episte-

mologia delle interazioni storico-culturali.5 Neusner (1983: 909-913).

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nei testi giudaici, dall’adozione di un’onomastica iranica per ufficiali ebrei del-l’esercito partico e da un’iranizzazione di costumi nella società ebraica, stabili-tasi da secoli nel territorio mesopotamico, prima dell’impero achemenide e poidi quello arsacide.

Il cristianesimo non ebbe ugualmente problemi dalle relazioni con il mondopartico. Emblematica è la vicenda dell’assunzione dei magi6 – i sacerdoti zoroa-striani – nel racconto evangelico di Matteo, esempio davvero fulgido di unaacculturazione che era propiziata da rimarchevoli sintonie culturali, nel meritodi credenze che rendevano mondo iranico e ebraico-cristiano fortemente comu-nicanti e interattivi: per ciò che concerneva la salvezza e quindi l’attesa diSalvatori, una nozione forte dell’impianto religioso zoroastriano, con profonderadici nel ritualismo mazdeo. L’ansia di salvezza prevedeva epifanie di media-tori soterici che si situano, oltre che nella prospettiva mitologica, in quella piùconcreta della storia, delle speculazioni sul tempo, delle attese apocalittiche coni suoi scenari di palingenesi. Il dibattito sulle ragioni della ricezione del temadei magi nel cristianesimo si fonda su molteplici possibilità all’origine di questascelta: prima fra tutte, il prestigio di una casta sacerdotale che in tutto il Vicinoe Medio Oriente aveva fama secolare di élite intellettuale e culturale, custodedelle tradizioni, addetta all’insegnamento e esperta in pratiche e saperi dellasfera religiosa che coincidevano con quella scienza sacra delle cose divine, lamageia, diremmo la “magia” nel senso elevato, come appunto secondo il giudi-zio greco che la considerava “scienza delle cose divine”, opposta alla ciarlata-neria fattucchiera della goeteia. Il portato greco-ellenistico della favorevolericezione della “saggezza straniera” iranica (per citare un noto libro di Momi -gliano) si incontrò con le più antiche concezioni del mondo iranico e con le sueistituzioni, come appunto la casta sapienziale dei magi nell’impero partico: iltutto, coniugato negli ambienti ebraici che guardavano con attenzione e interes-se al mondo iranico già da lungo tempo. Assumere i magi nel racconto diMatteo equivaleva fare dei magi gli scopritori del Salvatore e piegare, in uncerto senso, la sapienza “pagana” a quel mistero della nascita miracolosa diGesù, evento universale di attesa e di messaggio rivolto a tutte le genti.

Un tema, quello del Salvatore, di primaria rilevanza nell’economia della sal-vezza, per lo zoroastrismo e per la sua letteratura escatologica e apocalittica,che sull’attesa del Rinnovatore futuro elaborò un nucleo di credenze, mitologiee scenari escatologici che travalicarono gli stessi confini dell’iranismo: per

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6 la letteratura scientifica sui magi, zoroastriani ed evangelici, è immensa: rimando a trattazioni recenticome il libro di Panaino 2012 e altri suoi contributi settoriali citati nella bibliografia.

Andrea Piras

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declinarsi in quella “speranza euroasiatica”, per citare Mario Bussagli, che benoltre l’Iran si irradiò nelle geografie del Mediterraneo, nelle attese messianichedel giudaismo e poi del cristianesimo. Nell’ambito dell’apocalittica (giudiziouniversale, fine dei tempi) è possibile inoltre registrare, con ampia verosimi-glianza di congettura, un transito culturale dal cristianesimo allo zoroastrismo,in particolari linguaggi dei testi zoroastriani – di complessa gestazione, coninnesti di concezioni avventizie su un fondo presistente e riplasmato a secondadegli apporti – dove i toni della narrazione risentono di un immaginario cristia-no, per l’uso di metafore e di parabole di indubbio stampo evangelico nel circo-scrivere eventi messianici7.

In questa situazione di buon vicinato tra ebraismo e iranismo dobbiamoquindi comprendere esiti interessanti del giudaismo palestinese e del nascentecristianesimo. Fin dalle origini del cristianesimo, come possiamo leggere in unapagina celebre degli Atti degli Apostoli8, i territori oltre l’Eufrate e quindi ilmondo iranico, rappresentarono geografie di elezione per il messaggio univer-sale di speranza e di apostolato. Il racconto del miracolo della Pentecoste, edella discesa dello Spirito Santo (Atti 2, 1-13) che conferisce il dono delle lin-gue, cita infati una enumerazione di popoli significativa: “siamo parti, medi,elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Pontoe dell’Asia”. Un elenco con una preponderanza iranica evidente (parti, medi), adimostrazione di un pubblico da evangelizzare esteso ad oriente, verso cui ineffetti si sarabbe diretta la predicazione cristiana, usufruendo di quegli stessicanali di comunicazione sociale e culturale che univano da secoli la Palestina ela Giudea alla Mesopotamia, fiorente provincia cosmopolita dove da tempoprosperava la comunità ebraica con il suo Esiliarca (reš galuta, il “capo delladiaspora”). La storia del giudaismo in età partica e poi sassanide è contrasse-gnata da interessanti fenomeni di dialogo interculturale, come è registrato nelTalmud babilonese, prodotto erudito della comunità ebraica insediata da secolinei territori dell’iranismo. Il portato di tali fenomeni interattivi tra giudaismo eiranismo è ampiamente studiato da più di 30 anni nella serie dei convegni“Irano-Judaica” del Ben Zvi Institute di Gerusalemme, ad opera di studiosicome S. Shaked e più giovani e promettenti ricercatori come G. Herman9 e altri.

Due importanti voci10 sul Talmud nella Encyclopaedia Iranica, a cura del

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7 Piras (in stampa).8 A partire da Labourt (1904: 16) fino ad Asmussen (1982: 11), Chaumont (1988: 3) e altri, questa cita-

zione degli Atti è ormai topica, consueta e suggestiva, per giustificare il rilievo dell’elemento iranico findagli esordi del cristianesimo.

9 Si rimanda a importanti lavori di Herman: 2006, 2010, 2012.10 Neusner 2005; Elman 2010.

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celebre studioso delle comunità giudaiche nell’impero persiano, J. Neusner, epoi di Y. Elman, forniscono uno stimolante affresco di passaggi talmudici, neiquali è evidente la situazione dialogica tra iranismo e giudaismo, i diversi puntidi vista, le difformità, gli usi, costumi e festività dell’una e dell’altra società; lacomprensione linguistica tra rabbini e magi circa alcune questioni religiose dicomune interesse, come la purità rituale, il timore della contaminazione dellamorte (ideologia funeraria) e l’escatologia (la resurrezione dei morti e il giudi-zio finale), il messianismo; certe condivise tendenze anti-idolatriche e l’enfasimorale su attitudini di mente, parola e azione rettamente disposte. Tutte conver-genze o punti di interazioni che dimostrano non certo una passiva imitazionema un interfaccia erudito e dialogico tra due élite di sapienti, quella dei magi equella dei rabbini, che sottilinea inoltre indipendenti evoluzioni del giudaismobabilonese e iranizzante, rispetto a quello palestinese di ambiente romano-elle-nistico.

SASSANIDI con l’avvento della dinastia sassanide (dal III al VII sec.) si verifi-ca un consolidamento dell’egemonia politica e religiosa della casta dei magizoroastriani: una serie di iscrizioni del III secolo, ad opera del gran mago emago dei magi Kirdīr11, ci offrono uno sguardo della situazione di crescentepredominio, nella descrizione della carriera sacerdotale di questo personaggio,sotto il regno di vari sovrani (Ardašīr, Šābuhr I, Ohrmizd, Wahrām I e II). Lasua politica nei confronti di altre religioni è chiaramente espressa (KNRm 11):

“e gli ebrei, i buddhisti, gli hindu, i nazareni, i cristiani, i battisti e i manichei furonocolpiti nell’impero, gli idoli vennero distrutti e le dimore dei demoni abbattute erifatte come troni e sedi degli dèi”.

Un programma non certo pacifico, anche se si è cercato di intendere tale“colpire” in un senso più di disputa retorica che di effettiva violenza12: ma èinnegabile che in questa epoca di crescente nazionalismo sassanide, fortementeidentitario e sorretto dai valori atavici dello zoroastrismo, si siano create situa-zioni di repressione e persecuzione sia all’interno (correnti osteggiate del maz-deismo eterodosso) che all’esterno della società sassanide. E non a caso, contro

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11 Cf. MacKenzie 1989 e Gignoux 1991, ad.loc., per l’edizione, traduzione e commento di questa e dialtre iscrizioni; e inoltre cf. lo studio di F. e Ch. Jullien 2002.

12 Così di recente ha proposto Skjærvø 2011, §5, a proposito del verbo zad (“eliminare il male”, “colpi-re”, ma non necessariamente “uccidere”) usato in relazione alle dispute tra fedi diverse.

Andrea Piras

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fedi che si distinguevano per il loro afflato universalistico, almeno il buddhi-smo, il manicheismo e il cristianesimo. Emerge nel contrasto tra universalismoe nazionalismo, analizzato dal compianto Gherardo Gnoli13, non solo una ten-sione fra valori etnico-identitari ma anche la percezione della competizioneconfessionale tra messaggi che non sono più soltanto espressione circoscritta diuna società ma di dinamiche transnazionali: di ricerche dell’assoluto e di sensoesistenziale che danno voce ad aspirazioni impellenti, che non sempre le istitu-zioni consolidate, come quelle zoroastriane, possono rappresentare. L’indivi -duo, la persona, la sua fede, si pongono così in autodeterminazioni di scelte chenon si arrestano davanti alla prigionia, alla morte e al martirio, nel rivendicarel’adesione a un messaggio di salvezza non mediato da alcuna istituzione politi-ca.

Il periodo sassanide fu quindi un’epoca di contrasti religiosi tra la chiesamazdea e altre confessioni antagoniste, o semplicemente competitive, tali quin-di da sollecitare una risposta non meramente oppositiva e repressiva ma, altresì,un affinamento delle strategie intellettuali di relazione, dialogo e confronto,necessarie a una dottrina autorevole — tale lo zoroastrismo voleva porsi — enon unicamente autoritaria e persecutoria. Oppure meramente sanzionatoria,nelle procedure giuridiche che comunque testimoniano un elevato livello delconfronto nella sfera legislativa e istruttoria, non priva di implicazioni chedenotano una civiltà del diritto, nei suoi fondamenti e nelle sue metodologie diregolamentazione tra una visione religiosa egemone, quella zoroastriana, e altreconcezioni religiose che una attenta politica di ordine e prevenzione dei conflit-ti sociali non poteva disattendere: a discapito della coesione interna e socialeche la crescente adesione a fedi di successo (cristianesimo) o la presenza dicomunità religiose radicate da secoli nell’impero (giudaismo), rendeva necessa-ria per la Realpolitik dell’ecumene sassanide.

Uno degli esiti più interessanti di una dialettica formalizzata, nella regola-mentazione giuridica del trattato, è quello che emerge, nel VI secolo e nellerelazioni diplomatiche bizantino-persiane14 tra Giustiniano e Xusraw I, conse-guenti ad eventi bellici come la guerra Lazica sul fronte caucasico-georgiano.Nel trattato del 561/562 si prendeva atto della varietà confessionale dei dueimperi, con forme di tutela e salvaguardia delle diverse comunità di fedeli maz-dei e cristiani, ratificando forme di convivenza che impegnavano la Persia arispettare i cristiani: esentandoli dalla partecipazione al culto dei magi, permet-

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13 Gnoli 1984, 1985.14 Panaino (2009: 277-278, 284).

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tendo i loro usi (funerari, liturgici, rituali) e consentendo di edificare i loro tem-pli; vietando tuttavia il loro proselitismo e esigendo, di converso, il loro rispet-to. Cosa non sempre frequente, visti episodi di intolleranza cristiana verso altaridel fuoco, danneggiati nell’impeto di evangelizzazione neofita e di fervore anti-idolatrico che causarono in determinate occasioni una comprensibile reazionedel clero mazdeo.

Questa attenzione a forme più civili di deterrenza e regolamentazione, nellasfera del diritto, pur non scongiurando totalmente misure repressive, carcerariee punitive, che anzi potevano esserne l’esito ultimo e brutale — di cui ci èrimasta vivida e truculenta traccia, nelle numerose descrizioni di supplizi regi-strate negli atti dei martiri cristiani di Persia15 —, si tradusse più volte in unainterazione culturale che propiziava, al di là degli attriti socio-politici e dei con-flitti di pensiero, forme di assimilazione e di reciprocità. Bisogna aggiungereche, per quel che riguarda l’iranismo zoroastriano e la formazione del suo cano-ne di sacre scritture, l’Avesta, è materia ampiamente trattata nella storia dellaricerca l’influsso fecondo che ebbe luogo, nella creazione di un sistema di scrit-tura come quello avestico16 (che doveva fissare l’ortografia e l’ortofonia dellalingua sacra), nel dialogo con tradizioni scrittorie non zoroastriane come quellacristiana (Salterio in medio-persiano); a cui si aggiunga, per determinati grafe-mi, il ruolo non meno preponderante del repertorio alfabetico greco, ugualmen-te diffuso da secoli nei territori dell’iranismo e dell’impero persiano, come lin-gua internazionale dell’ellenismo asiatico e della diplomazia romano-persiana.La permeabilità culturale tra fenomeni di assimilazione e acculturazione, in undinamismo multilinguistico, può aiutarci a cogliere situazioni di comunicazionetra idiomi, mentalità, forme, motivi di una dialettica che caratterizzò l’età sassa-nide e la sua ricettività eclettica nei confronti della scienza, della letteratura,delle arti e dell’architettura, dal Mediterraneo alla Cina. Sono noti, del resto, iriferimenti al mecenatismo di sovrani persiani che promossero la traduzione ditesti del pensiero greco, indiano e siriaco: e una tale apertura verso il patrimo-nio intellettuale dell’ecumene eurasiatica non poteva escludere un dialogo(anche se talvolta problematico) con religioni differenti.

In tale prospettiva di circolazione e apertura dobbiamo situare e comprende-re, nelle sue valenze positive, il rapporto tra iranismo e le religioni abramitiche,nei limiti marcati dal confliggere di queste con le esigenze politiche, e dei rap-porti con le istituzioni imperiali: soprattutto con la figura del sovrano, custode

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15 Jullien 2004.16 Sullo stimolo culturale nel confronto tra lo zoroastrismo e altre tradizioni scritturali religiose per la

formazione del canone avestico, cf. Kellens (1988: 36).

Andrea Piras

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delle tradizioni avite dell’iranismo e cardine delle istanze finali di giudizio, neisuoi possibili esiti di assoluzione o di condanna. Ogni tradizione culturale ereligiosa poteva trovare, come fu infatti, benevola accoglienza nella eterogeneacompagine della società sasanide e nella sottomissione all’istituto monarchi-co17: e anzi rientrare in quei quadri istituzionali delle gerarchie burocratiche,come avvenne nei confronti degli ecclesiastici cristiani18, spesso impiegati,anche per le loro funzioni di interpreti, nelle delicate relazioni tra Persia eBisanzio che non potevano prescindere, nei mutati assetti politico-religiosidella Nuova Roma, da forme e codici di comunicazione appropriati che stempe-ravano, nelle trattative delle ambascerie, le controversie tra le due superpotenzedella tarda antichità, grazie alla scienza giuridica dei trattati e alle fastose ceri-monialità diplomatiche19. Non meno importante fu la riconosciuta sapienzamedica e terapeutica dei cristiani della chiesa di Persia20, eredi e trasmettitoridelle tradizioni scientifiche siriache, nell’agevolare una integrazione tra cristia-nesimo e impero, secondo le forme di una collaborazione attenta a una mutuasalvaguardia della “iranicità” e “persianicità” di una appartenenza sassanide chepoteva coesistere con la fede cristiana (e persiana) di una confessione fedelenon solo a Cristo ma al sovrano sassanide. E in ciò si realizzava una duplicelealtà21 verso due forme di sovranità, celeste e terrena, confermando un legameche dalle realtà spirituali si estendeva a quelle temporali: senza conflitti, dalmomento che la chiesa cristiana di Persia si era emancipata da quella costanti-nopolitana e quindi dai rischi di accuse collaborazionistiche con la Roma bizan-tina (e di sospetta lealtà al basileus) che non pregiudicavano più le sorti deifedeli cristiani riuniti nella ekklesìa persiana, leale a Dio in cielo e al Re dei rein terra.

Uno degli ambiti documentari in cui è possibile registrare l’affinamentodegli strumenti critici dell’argomentazione dialettica e speculativa, nell’indagi-ne interconfessionale, è testimoniato dal genere letterario della apologeticazorostriana, sviluppatosi prevalentemente in testi che risalgono ai primi secolidell’avvento dell’Islam, a seguito della spinta di questa nuova fede che nell’VII

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17 Bisogna ovviamente escludere forme religiose eversive, dal punto di vista politico-sociale ed econo-mico, come nel caso del mazdakismo, una eresia o eterodossia dello zoroastrismo fortemente repressa sottoil regno di Xusraw I, per cui rimando alla recente antologia curata da P. Ognibene, con la collaborazione diA. Gariboldi (2004).

18 Su cui cf. estesamente il lavoro di Sako 1986.19 Su questo aspetto delle ritualità diplomatiche tra Persia e Bisanzio, cf. Piras 2009.20 Cf. Gignoux 2001.21 Cf. il lavoro di Brock 1982 sulla duplice lealtà, confessionale e politica, dei cristiani di Persia.

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secolo scompaginò le strutture politico-religioso-sociali dell’alto medioevomediterraneo e asiatico. Ora lo zoroastrismo si trovava nella cruciale situazionedi confessione subordinata all’Islam, insieme alle altre fedi che in quanto “reli-gioni del libro” potevano godere di uno statuto particolare, riconosciuto dallalegislazione musulmana invisa, al contrario, a forme di pensiero idolatrico manon a quelle culture dotate di un’autorevole tradizione di scritture sacre22. Inogni modo, la necessità di misurarsi nel confronto obbligato (e non più egemo-ne come prima dell’Islam), costrinse lo zoroastrismo a sviluppare e perfeziona-re la sua dogmatica, nella piena fioritura di una esegesi scritturale che ebbe ilsuo culmine nel IX secolo, quindi nella piena epoca abbàside, e nella prolifera-zione di quella letteratura zoroastriana in medio-persiano23 (pahlavi) che ci halasciato, tra i suoi vari generi (cosmologie, escatologie, apocalissi, letteraturadidattica, sapienziale, giuridica, cortese, lessicografica) anche un’opera di apo-logetica come lo Škand Gumānīg Wizār (“La soluzione decisiva dei dubbi”)24:dove la testimonianza appassionata, e razionalmente fondata, della religionezoroastriana si accompagna a un critica delle tre religioni abramitiche e delmanicheismo — un pensiero, quest’ultimo, da secoli avverso ai princìpi delmazdeismo e strenuamente combattuto, sia sul filo della argomentazione dottri-nale che sul filo delle spade.

Questa opera di teologia e apologetica è di fondamentale importanza percogliere l’esito più compiuto di una secolare competizione e convivenza trazoroastrismo, giudaismo e cristianesimo (e poi Islam). Il livello della specula-zione filosofica e teologica è strutturato su argomentazioni stringenti, non senzauna persistente vena polemica e di confutazione, spesso capziosa, con paralogi-smi tendenziosi che mirano a scaricare sull’“altro” le accuse di una illogicitàdel tutto intrinseca, al contrario, alla logica propria (e quindi contraddittoria)del pensiero religioso: vagliato, per così dire, pregiudizialmente e alla luce diuno schema preconcetto in cui far rientrare, procusteamente, gli argomenti dot-trinali che vengono rifiutati o minimizzati. Nondimeno, come sempre accade inopere di polemistica dotta, il livello delle conoscenze di prima mano, assimilateper essere poi discusse e rigettate, è di elevato spessore documentario e testimo-nia una lunga consuetudine intellettuale di dialogo, studio di testi e dottrine cir-colanti nella società zoroastriana, prima e dopo l’avvento dell’Islam.

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22 Sulla formazione di comunità scritturali e di religioni del libro, fra tarda antichità e medioevo, riman-do al secondo capitolo di Stroumsa (2006: 33-59).

23 Cereti 2001: 79-86.24 de Menasce 1945.

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La esposizione requisitoria di Mardānfarrox, l’autore dell’opera, individuanel giudaismo la radice prima delle altre due religioni e spesso conduce l’inda-gine su una delle tre riconducendo alle altre due quei tratti dottrinali ritenuticondivisi. Le diverse citazioni bibliche presuppongono una utilizzazione dimodelli siriaci (per Isaia) o di targum aramaici (per il Genesi), forse per inter-mediazione dei cristiani che erano maggiormente interessati degli ebrei a divul-gare e testimoniare la loro militanza confessionale; e del resto la diffusione deiSalmi nelle letterature iraniche dell’Asia Centrale25, nel salterio medio-persianoritrovato a Turfan, oppure i frammenti siro-persiani, sogdiani e poi turchi diBulayïq, confermano il ruolo missionario e diffusore del cristianesimo orienta-le, nella utilizzazione di opere vetero-testamentarie.

I capitoli dedicati al giudaismo (XIII e XIV) sono anche un prezioso stru-mento per valutare interlinguisticamente l’adattabilità iranica alla traduzionedal semitico (ebraico e aramaico) e quindi una interpretazione zoroastriana dellessico biblico: esempio primo, la parola usata per tradurre, nell’ambientazionedel Genesi, il “giardino dell’Eden”, per il quale è stata utilizzata la parola Vahištappartenente al lessico escatologico zoroastriano che designa la “Migliore (esi-stenza)” paradisiaca per i virtuosi osservanti della fede. La discussione sul cri-stianesimo occupa il capitolo XVI, e anche qui si può cogliere lo sforzo erme-neutico di una traduzione di concetti secondo il lessico e la mentalità mazdea:come nel caso della definizione della Trinità e in specie dello Spirito Santo,reso con la diade “Vento Puro” (Vāt ī Pāk), espressione che nella nozione di“soffio” come “spirito” coglie la dimensione pneumatico-ispirativa che caratte-rizza rūaḥ in ebraico e aramaico (tradotto infatti πνεῦμα nella Settanta). Mentrela “purezza”, concetto che nello zoroastrismo denota la perfetta condizionerituale, esente da contaminazione, e prerequisito per ogni azione cultuale, serveper definire l’ambito semantico della “santità” del vocabolo ebraico-aramaicoqadoš: parola che circoscrive una nozione di purezza/santità che ebraismo e ira-nismo condividevano, nella loro ideologia del rituale e nelle condizioni appro-priate di interiore disposizione d’animo, e di esteriore e consacrato decoro.

Lo Spirito Santo/“Vento Puro” è menzionato più volte, anche in relazione alconcepimento di Maria — ridicolizzato come episodio di una donna di cattivefrequentazioni che rimane misteriosamente incinta — e al “Messia figlio diDio” (*Mašīhā pus i Yazat) che proviene dallo Spirito Santo di Dio — il cuinome, Yazat, riprende la più diffusa e celebre parola per denotare nello zoroa-strismo un dio (e più dèi) in quanto “venerabile”, degno di devozione sacrifica-

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25 Asmussen (1982: 16).

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le e di culto, insieme di atteggiamenti e di pratiche a cui rinvia la radice avesti-ca yaz (“venerare”). Le questioni teologiche legate alla figliolanza del Messiacon Dio e, ancora di più, al suo essere non solo figlio ma Dio stesso, vengonoaffrontate nell’ottica dell’incomprensibile mistero della discesa di un dio nellestrette e impure visceri di una donna per prendere le fattezze umane, e quel cheè peggio di un dio che abbandona il suo ufficio regale nei cieli26. In questa con-futazione è l’immaginario iranico della sovranità che trapela nella concezionedel dio supremo, anch’egli sovrano in cielo come il re dell’impero è sovrano interra27. È quindi cosa del tutto bizzarra e sacrilega che un dio abdichi il suomagistero, abbandoni il trono regale (xvāday gāh), il cielo e la terra, il firma-mento e il suo incarico di signorìa e di protezione, per discendere in una matri-ce corporea: che Mardānfarrox descrive con parole insolitamente pruriginose, aparte inevitabili accenti di antifemminismo, visto il rispetto che lo zoroastrismodimostra solitamente verso la generazione e la nascita (e quindi verso l’anato-mia, la fisiologia e l’embriologia), sia umana che animale, in quanto principiodi creazione e moltiplicazione della vita sulla terra, per contrastare la morte e lasterilità che nella antropologia zoroastriana sono la più evidente manifestazionedel male nel mondo. Fra i vari argomenti che potevano essere in accordo con lasensibilità escatologica zoroastriana bisogna citare la resurrezione e infine, unaesegesi della preghiera del Padre Nostro, a proposito della quale rimando a unatrattazione che aggiorna il lavoro di de Menasce e inquadra, per ciò che concer-ne la versione medio-persiana (pazand) del testo, una filiera testuale risalente apiù di una tradizione siriaca28.

Il capitolo sull’Islam (XI e XII) testimonia un dibattito che nei primi secoliislamici caratterizzò, oltre allo zoroastrismo, il sorgere di scuole teologico-filo-sofiche e giuridiche che dovevano affinare la nuova e trionfante religionemusulmana, con strumenti critici e speculativi adatti a contrastare civiltà diantica e raffinata tradizione di pensiero. L’Islam si evolvette nel confronto trascolastiche confessionali differenti e tra queste lo zoroastrismo, dal pari suo, fuugualmente sollecitato a rinnovare il proprio armamentario filosofico, produ-cendosi in trattatti di disputazione e di apologetica come quello che abbiamosuccintamente esaminato. Altri libri come il Gizistag Abāliš, genere di tenzonereligiosa tra un apostata zoroastriano e il pio zoroastriano Ādurfarrbay, svoltasi

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26 De Menasce (1945: 213, vv. 31-35).27 In ciò consiste l’accusa formulata dalle autorità mazdee contro i cristiani, colpevoli di fedeltà a un re

che non è di questo mondo, cf. Piras 2006: 37.28 Panaino 2000.

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all’epoca del califfo abbaside al-Maʾmūn (813-833) e risoltasi con la sconfittadel rinnegato Abāliš, dimostra la coabitazione pacifica tra zoroastriani e musul-mani, dove nel caso presente il califfo in quanto “principe dei credenti” rivesteuna funzione arbitrale nelle controversie interne allo stesso zoroastrismo. Ladialettica tra zoroastrismo e le altre confessioni abramitiche fu condotta quindientro i limiti di una attenta, e sovente capziosa, argomentazione che mirava alegittimare il punto di vista zoroastriano contro quello degli “altri”. Possiamoquindi parlare di un fenomeno di necessaria demarcazione dottrinale, con fina-lità protettive di autosalvaguardia confessionale, risultato da una coesistenzache mirava a definire confini ideologici, peculiarità e legittimazioni di cono-scenze e di ortoprassi di una comunità di antico prestigio. La sfumatura di auto-coscienza identitaria e nazionalistica dell’iranismo zoroastriano, costretta amisurarsi prima nell’ambito della propria egemonia, durante l’impero sassani-de, e poi in quello più incerto di una sostanziale equivalenza di fedi, sotto l’egi-da protettiva dell’Islam, sviluppava comunque le forme di una separazionedistintiva che perpetuava la sostanziale esclusività nazional-religiosa, sorrettada una riflessione teologica e filosofica di lunga durata che trovava il suo com-pimento nella apologetica di epoca islamica.

Differente è il caso di una religione — il manicheismo — che nacque e pro-sperò, nell’impero arsacide e poi sassanide, quindi nell’ambiente iranico, macon finalità e progettualità del tutto diversi, più universali ed eclettici che nazio-nali e anzi dotata, per il suo impeto missionario, di quegli atteggiamenti inclusi-vi e assimilatori differenti da quelli della religione zoroastriana, più connotatain senso nazionalistico e perciò esclusivista. Se, come abbiamo visto, la dialetti-ca tra zoroastrismo e religioni abramitiche è caratterizzata (almeno per giudai-smo e cristianesimo) da dinamiche di regolamentazione giuridica, nell’alveodelle istituzioni politico-monarchiche degli imperi dell’Iran pre-islamico, per ilmanicheismo si verifica una diversa situazione. Religione fondata da Mani nelIII secolo, considerata deviante per lo zoroastrismo, a causa del suo pessimismoverso la sessualità e il matrimonio, il manicheismo fu inviso a diverse confes-sioni per la sua mentalità eclettica che lo portava ad attingere al buddhismo,allo zoroastrismo e al cristianesimo, considerandosi Mani il compimento di unasequela profetica che abbracciava tutta l’Asia, con una speciale predilezione perGesù. Questo in virtù della stessa esperienza di Mani, cresciuto in una comunitàbattista degli elchasaiti, improntata a concezioni giudeo-cristiane, poi perfezio-nate a seguito di rivelazioni angeliche che gli comunicano progressivamente deimisteri celesti che lo spingono a propagarli, inaugurando una sequela missiona-ria che si espanderà con profitto (anche se tra persecuzioni e martirii) versol’occidente e l’oriente, dall’Africa alla Cina.

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In questo movimento di espansionismo, culturale e religioso, Mani operòcome un “traduttore” della religione — con questo epiteto di “traduttore”(tarkumānān) viene infatti salutato nel testo medio-persiano M3829 — che siappropriò di idiomi diversi per renderli in una sua particolare sintesi (e non,banalmente, in un sincretismo incongruo) da propalare a tutte le genti. Oltrealle parvenze cristiane (per estendersi nel Vicino Oriente e nella Mesopotamia)ciò si realizzò: in una veste zoroastriana, per il sovrano persiano Šābuhr I e perl’ampio pubblico aristocratico dell’impero sassanide; con accenti buddhisti perdiffondere l’insegnamento oltre i territori dell’Iran orientale, della Battriana edella Sogdiana, trasformandosi poi al contatto con il pensiero cinese taoista ebuddhista. In questa irradiazione multilinguistica e multiculturale fu semprecentrale l’apporto di una variegata cristologia, eredità della sua prima esperien-za tra i battisti, e di influssi veterotestamentari del giudaismo eterodosso: nonquello biblico e mosaico da lui ricusato, in una prospettiva gnostica e marcioni-ta (per il rifiuto della figura del Dio creatore), ma quello dell’apocalittica e dellerivelazioni angeliche, dell’ascetismo comunitario riconducibile anche a formedell’esperienza di Qumran. E inoltre, il giudaismo della sequela di profeti comeAdamo, Seth, Shem, Noé, Enosh ed Enoch, che insieme a Zarathustra, Buddhae Gesù formavano il composito lascito profetico che culminava in lui, Mani,l’Apostolo di Gesù Cristo e il “sigillo dei profeti” (khatīm al-nabiyyīn), sintesi enucleo di una irradiazione missionaria che andava da oriente a occidente30.

In questa prolifica opera di sintesi, il rapporto del manicheismo con l’Islamfu ovviamente problematico, per ragioni analoghe a quelle che lo rendevanoostile agli altri due monoteismi: per la sua impostazione dualistica, che urtavacontro l’implacabile monoteismo dell’Islam e la sua irriducibile unità assolutadi Allah, che nega recisamente ogni idea di moltepicità o di dualità di un divinoche rifugga dal suo esclusivo dominio incontrastato, sul bene come sul male. Lasorte del manicheismo nell’Islam fu quindi, nuovamente, segnata da condannee persecuzioni, specialmente nel periodo del califfato abbàside dei primi secolidell’ègira e poi dopo, nel biasimo musulmano verso ogni forma ereticale didualismo, anche se una certa rinomanza per Mani in quanto pittore sopravvissenei secoli, e ancora fino ad oggi nella contemporaneità della cultura islamica31.

Tutto ciò non riuscì però ad eliminare una certa fascinazione intellettualeche il manicheismo produsse sulle classi colte dell’Islam: prova ne è l’influssodi tracce e persistenze che le sue mitologie e cosmologie, la sua sacralità della

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29 Boyce 1975: 196, testo dz.30 Tardieu 1981: 18-25.31 Piras 2012: 17-19.

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luce in quanto principio luminoso dell’essere, potevano esercitare su eruditi enotabili (come la famiglia dei Barmecidi, sovente menzionati nelle Mille e unanotte), accusati spesso di inclinazioni manichee. Come si legge in opere di con-futazione che denunciavano improprie parodie del Corano, rivisitato in base aiprecetti manichei32: prima fra tutte quella della bismillah, la frase che apre leSure del Corano, “Nel nome di Allah clemente e misericordioso”, riformulata in“Nel nome della Luce clemente e misericordiosa”, con un’enfasi, ritenuta sacri-lega, sul principio luminoso sostituito al nome di Allah (predilezione blasfemadel creato invece che del Creatore). Queste sparse testimonianze non bastaronoa conciliare l’avversità dell’Islam verso la zandaqa, il movimento degli ereticidualisti (zindīq) nel cui novero si inserivano anche i manichei. E sia da parteislamica che ebraica e cristiana le aperture dialogiche e interattive che la reli-gione di Mani proponeva verso le tradizioni abramitiche sortirono comunqueogni volta un effetto di ripulsa e di condanna, a dispetto — e anzi proprio acausa — delle sue eclettiche assimilazioni, interpretate come una strategiacamaleonitica di dissimulazione e trasformismo a scopo di proselitismo.

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