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PROSPETTIVE DI RICERCA SULLA PRODUZIONE VITIVINICOLA ANTICA A
LICATA (AGRIGENTO)1
1. La Montagna di Licata: cenni topografici e geomorfologici
La «Montagna di Licata» corrisponde all’intero sistema collinare
che corre parallelo alla linea di costa e si estende, per un tratto
di circa 5 km, dal colle Sant’Angelo (a est) al colle Giannotta (a
ovest). Lungo le pendici settentrionali e orientali di quest’ultimo
sorge l’odierna città di Licata, divisa in due dal fiume Salso, che
ha origine dalle Madonie e, dopo un percorso di 144 km, sfocia
nelle acque del Canale di Sicilia (Fig. 1).
Nell’antichità il Salso è stato sia una via di penetrazione
verso l’interno dell’isola, sia un limite di demarcazione naturale
che, fin dalla Protostoria, ha opposto Siculi e Sicani e in seguito
ha segnato i confini di territori molto vasti: quello geloo da
quello akragantino, l’eparchia siracusana da quella akragantina e
infine il territorio di influenza greca da quello cartaginese.
Il tratto finale del fiume, in prossimità dello stretto, si
articola in due diramazioni: la principale attraversa la piana e lo
stesso abitato, terminando con andamento tortuoso subito a est del
porto; della seconda rimane il paleoalveo, di cui si ha un
riscontro nella cartografia e nei testi antichi, dove compare con
l’idronimo di Fiumicello (MASSA 1709, Parte II, p. 371)2.
Tale ramo secondario si distaccava dal corso principale e
continuava verso sud per sfociare alla Mollarella, formando
un’interruzione tra la Montagna di Licata e il promontorio della
Poli-scia (83 m s.l.m.), posto più a ovest. Da ciò si deduce come
il monte di Licata e la piana a nord formassero un triangolo di
terra racchiuso tra le due diramazioni del fiume e il mare. Dal
punto di vista idrografico, questo territorio in passato doveva
essere irrigato da numerosi corsi d’acqua che nascevano dalla
montagna e dalle colline circostanti la piana, alimentando il
tratto finale del fiume, come testimoniano le sorgenti di Donna
Vannino, di San Michele, i pozzi della Grangela, della Gradiglia e
le numerose canalizzazioni in pietra che sopravvivono sulla
Montagna. Dal punto di vista geologico, la Montagna di Licata
presenta, in quasi tutta la sua estensione, una struttura calcarea
marnosa, che ha favorito fino alla prima metà del Novecento
l’utilizzo del suolo per pian-tagioni di vite e ulivo.
Oggi il paesaggio della Montagna è profondamente mutato rispetto
al secolo scorso: infatti, sebbene sopravvivano alberi d’olivo
secolari, le vigne sono quasi completamente scomparse e l’uso
1 Questo lavoro è una rielaborazione della tesi di Laurea
Specialistica in Archeologia, dal titolo La produzione vitivinicola
a Licata (Agrigento) in età antica, discussa nell’anno accademico
2007-2008 presso l’Università degli Studi di Siena (relatore il
prof. Andrea Zifferero, correlatore il dott. Andrea Ciacci). I dati
sul terreno sono stati acquisiti grazie alla disponibilità della
dott.ssa Gabriella Costantino, già Soprintendente ai Beni Culturali
e Ambientali di Agrigento e delle dott.sse Armida De Miro,
responsabile del Servizio Beni Archeologici e Maria Concetta
Parello, che ringrazio per le autorizzazioni concesse e per
l’attenzione con cui hanno seguito il lavoro. Sono grato a Maurizio
Cantavenera e a Filippo Todaro, dell’Associazione Archeologica
Licatese, per le informazioni e le fotografie in merito a scavi di
emergenza e recuperi effettuati nel territorio di Licata; al dott.
Silvio Errante per la consulenza geologica nel corso dei
sopralluoghi e ad Angelo Schembri, della Coope-rativa turistica
Sikania, che ha fornito importanti indicazioni per il ritrovamento
di due palmenti; a Carla Cugno Garrano, per aver curato i disegni
della ceramica, al dott. Fabrizio Mollo, dell’Università degli
Studi di Messina, per aver verificato testo e disegni e al geometra
Gaetano Ripellino dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Licata per
i dati catastali forniti. I sopralluoghi sono stati autorizzati dai
signori Nunzio Brancato, Angelo Cantavenera, Fabio De Ninnis, Maria
Liguori e dalla società Marenostrum a.r.l., che hanno consentito di
procedere con la documentazione delle emergenze archeologiche nei
terreni di loro proprietà.
2 In una descrizione del litorale e del territorio di Licata,
Giovanni Andrea Massa nomina, in successione, i nomi dei luoghi: la
“baia di Fiumicello”, compresa tra la Mollaga e il monte della
Caduta, rappresenta certamente la baia di Mollarella, in cui
sfociava il ramo secondario del Salso.
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del suolo non è più agricolo, ma in prevalenza residenziale.
Limitati settori sono lasciati al pascolo e all’allevamento di
caprovini, suini e asini.
2. Approfondimento degli aspetti storici
Secondo la tradizione tucididea, coloni di Rodi guidati da
Antifemo, insieme a coloni cretesi comandati da Entimo, fondarono
Gela nel 689-688 a.C. (Tucidide, Hist. 6, 4, 3). Un secolo dopo,
nel 581 a.C., i discendenti dei Rodio-Cretesi stanziati a Gela si
spostarono più a occidente, dove dedussero una subcolonia cui
diedero il nome di Akragas (Tucidide, Hist. 6, 4, 4).
Se si guarda oggi la fertile ed estesa piana di Licata intorno
al basso corso del Salso, proprio tra Gela e Agrigento, non si
comprende il motivo della scarsa presenza della componente geloa in
questa area durante il VII secolo a.C.; se si prova tuttavia a
ricostruire il paesaggio antico integrando fonti archeologiche,
geologiche e storiche, ci si accorge che vari fenomeni
contribuirono a condizionare il popolamento dell’area tra la fine
del Bronzo Medio e l’occupazione geloa.
Gli storici antichi, soprattutto Diodoro Siculo, narrando le
battaglie combattute dai Greci di Sicilia contro i Cartaginesi e
contro le truppe ateniesi, tramandano un abbozzo del paesaggio
siciliano con maggiore dettaglio, descrivendo un clima con piogge
molto frequenti che provocavano straripamenti e inondazioni con
formazione di acquitrini e zone paludose. Il Salso, identificato
con il ramo meridionale dell’Himera, citato dalle fonti antiche
(Vitruvio, De Arch. 8, 3, 7; Diodoro Siculo, Biblioth. 19, 109;
Strabone, Geographia 6, 211; Polibio, Storie 7, 4, 2; Livio, Ab
urbe condita 24, 6; Tolomeo, Geographia 3, 4; Solino, Collectanea
rerum memorabilium 5, 17; Vibio Sequestre, De fluminibus fontibus
lacubus nemoribus paludibus montibus gentibus per litteras libellus
14, 234; Silio Italico, Punica 14, 230), descritto come fiume
impetuoso e vorticoso, quasi infernale, non sarà stato estraneo a
questa situazione climatica, come sembrano confermare i depositi
alluvionali della piana licatese.
L’abbandono della vasta area che comprende sia la piana sia le
colline circostanti, potrebbe essere collegato all’insorgere di
epidemie, o comunque di gravi cataclismi, che colpirono la zona a
partire dalla fine del Bronzo Medio e che lasciarono memoria fino
all’arrivo dei primi coloni rodio-cretesi. Sarebbe altrimenti
inspiegabile perché siti come quello di contrada Pernice (AMATO
2003-2004), che domina assieme al Monte Petrulla la strettoia del
fiume Salso e che ha una continuità di vita ininterrotta dal
Neolitico (facies di Stentinello) al Bronzo Medio (facies di
Thapsos), sia stato abbandonato proprio in un periodo, quale quello
protostorico, in cui i presidi di zone strategiche risultavano di
notevole importanza.
Ad eccezione della Caduta di Mollarella (settore occidentale
della Montagna di Licata), da dove provengono gli unici reperti
ceramici protocorinzi (seconda metà del VII secolo a.C.), la
Mon-tagna fu occupata soltanto dalla seconda metà del VI secolo
a.C. Secondo le fonti, infatti, in questo periodo Falaride, tiranno
di Akragas, edificò una rete di phrouria (fortificazioni militari
strategiche) sulle principali alture del sistema collinare, allo
scopo di arginare il tentativo di riconquista della zona compresa
tra Palma e il Salso da parte di Gela (Diodoro Siculo, Biblioth.
19, 108, 1).
Il V e il IV secolo a.C. rappresentano un periodo denso di
incertezze: dopo la distruzione di Selinunte, Agrigento, Gela e
Camarina (406-405 a.C.), il tratto di costa meridionale che
comprendeva i territori di queste città fu sottoposto al controllo
cartaginese. Venne, infatti, firmato un trattato che prevedeva che
le poleis distrutte fossero ripopolate, senza però poter erigere
mura di fortificazione, divenendo tributarie di Cartagine (Diodoro
Siculo, Biblioth. 14, 66, 4; 68, 2).
Dal momento che tra Agrigento e Gela non esisteva, in quel
periodo, alcuna polis greca, le fonti non si soffermano sulla
descrizione di questo settore: soltanto Plutarco (Dione, 26)
informa dell’esistenza di duecento cavalieri agrigentini che, nel
357 a.C., abitavano nei pressi dell’Ekno-mos e che si unirono alla
spedizione di Dione contro Dionigi di Siracusa; l’impresa militare
è confermata da Diodoro (Biblioth. 16, 82), che però tace sul
reclutamento dei cavalieri agrigentini dell’Eknomos.
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Tale indicazione storica rappresenta il punto di inizio
dell’indagine archeologica qui presentata. Sin dalla fine del V
secolo a.C. le fonti tramandano l’immagine di una Sicilia dilaniata
dalle guerre, afflitta dalle tirannidi e scarsamente popolata: dopo
il lungo periodo di antagonismo tra Cartaginesi e Siracusani,
Timoleonte viene inviato in Sicilia da Corinto, su richiesta di
Iceta di Leontini, per porre fine alla tirannide e ristabilire la
democrazia. Timoleonte sconfigge dapprima Dionigi II e poi i
Cartaginesi. I centri sottomessi alla dominazione punica vengono
rioccupati da nuovi coloni, come Gela, insediata da genti
provenienti da Ceo e da vecchi cittadini rifugiati in altre città
che tornano per riappropriarsi delle loro terre. Alla morte di
Timoleonte, il siracusano Agatocle cerca di impossessarsi del
governo dell’isola, sostenuto dalle masse popolari (PANVINI 1996,
p. 101).
Nel 311-310 a.C. si riacutizzano i conflitti tra i Greci di
Agatocle e i Cartaginesi guidati da Amilcare; leggendo il passo di
Diodoro Siculo (Biblioth. 19, 104, 3), ritornano alla memoria i
phrouria falaridei descritti precedentemente: Amilcare si schiera
presso il capo Eknomos (secondo la tradizione, la fortificazione in
cui era posto il toro bronzeo all’interno del quale il tiranno
Falaride aveva fatto bruciare vivo il suo ideatore, Perilao:
Diodoro Siculo, Biblioth. 19, 108, 1; Timeo, Fr. 18), a ovest del
fiume, mentre Agatocle si accampa nel Phalarion, posto su un’altura
situata sulla sponda orientale. Agatocle è sconfitto in questa
battaglia, ma vince la guerra, dopo aver condotto una spe-dizione
in Africa. Pochi anni dopo la morte di Agatocle, avvenuta nel 289
a.C., Phintia, tiranno di Akragas, distrugge Gela e deporta i suoi
abitanti nel territorio dell’odierna Licata, nei pressi del Salso e
di quel capo Eknomos, già teatro di sanguinose battaglie. Decide,
quindi, di edificare proprio qui, presso il mare, una nuova polis:
secondo Diodoro prende il nome di Finziade, dal nome del tiranno
che in poco tempo provvede alla costruzione di una cinta muraria,
di un’agorà e di templi dedicati alle divinità (Biblioth. 12, 2).
L’iscrizione Kaibel 256, rinvenuta sul monte, testimonierebbe anche
l’esistenza di un ginnasio (MANGANARO 1993).
Polibio tramanda che nel corso della prima guerra punica, mentre
la flotta romana è impegnata contro i Cartaginesi nelle acque del
Canale di Sicilia, le truppe di terra si stanziano presso il «Capo
Eknomos» (Polibio, Storie 1, 25).
I racconti di Polibio e di Diodoro riportano l’attenzione su un
episodio di questa guerra, av-venuto nel 249 a.C.: Polibio racconta
che «i Romani, non ritenendosi in grado di affrontare il nemico, si
stabilirono presso una delle cittadine in loro possesso, non
fornita di un vero e proprio porto, ma di cale e di prominenze
sulla spiaggia che potevano servire più o meno da ricovero.
Sbarcati qui, prepararono le catapulte e le baliste fornite dalla
città e rimasero in attesa dell’attacco dei nemici» (Polibio,
Storie 1, 53-54, trad. SCHICK). In Diodoro il nome della città in
possesso dei Romani è Finziade (Biblioth. 24, 1). Incrociando le
due fonti si può comprendere che nel 249 a.C. Finziade non avesse
ancora un porto. Con l’ultima vittoria conseguita da Marcello sui
Cartaginesi, ancora una volta presso il basso corso dell’Himera
meridionale e con la riduzione della Sicilia in provincia
senatoria, la città diviene un fiorente centro commerciale e
portuale, dedito allo smistamento dei cereali, coltivati nella
fertile piana di Licata. Lo sviluppo economico permette anche la
costituzione di un nuovo e scenografico assetto urbano, per
premiare la fedeltà della città e l’appoggio strategico fornito
alle truppe romane (LA TORRE 2005a, p. 84).
Intorno al 70 a.C., Cicerone ricorda Finziade quale città e
porto della costa meridionale della Sicilia (In Verrem Actio
Secunda, III, 192). La conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano
rappresenta un duro colpo per l’economia di Finziade, dal momento
che il primato cerealicolo della Sicilia passa alla neoprovincia
imperiale d’Egitto. Le esportazioni diminuiscono e ha inizio anche
la decadenza della città (LA TORRE 2005a, p. 84).
Dei periodi successivi si hanno poche notizie: Plinio ricorda
l’etnico Phintientes e informa che in periodo imperiale fu «civitas
stipendiaria» (Plinio, N.H. 3, 91); Strabone non menziona la città
nella sua Geographia. Mentre Finziade viene man mano abbandonata,
nelle campagne circostanti si diffonde il latifondo: anche se per
la Montagna di Licata non si hanno dati riferibili al periodo
tardoimperiale, insediamenti a carattere rurale dovettero trovarsi
nei pressi di Contrada Apaforte e Poggio Mucciacqui, dove, in
posizione più arretrata, circa 5 km a nord rispetto alla linea di
costa,
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sulle due colline alluvionali poste rispettivamente a ovest e a
est del fiume, sono state messe in luce due necropoli attive tra il
IV secolo a.C. al VI secolo d.C.3.
L’ultima citazione è contenuta nell’Itinerarium Antonini, degli
inizi del III secolo d.C., che riporta il percorso viario e per
maritima loca da Agrigento a Siracusa: tra le diverse stazioni di
sosta ricordate nei pressi di scali portuali, dopo la menzione del
Dedalium, a 18 miglia da Agrigento, com-pare il refugium chiamato
Plintis, probabile distorsione del nome romano di Phintiam
(Itinerarium Antonini 95, 5).
Sulle rovine dall’agglomerato urbano di Finziade dovettero
sorgere, secondo alcuni, la chiesa di S. Maria La Vetere (detta
anche S. Maria del Gesù o S. Maria del Monte) e un piccolo cenobio,
uno dei sei complessi monastici benedettini fatti edificare in
Sicilia dalla beata Silvia, madre di papa Gregorio Magno; si tratta
delle più antiche testimonianze, seppure non ancora suffragate da
scavi, di una possibile frequentazione altomedievale della zona
(SERROVIRA, ms. del XVII-XVIII secolo, ff. 278r ss.; PIRRO 1735, p.
740; VITALI 1909, p. 252; CARITÀ 1976, p. 22 ss.).
Sulle pareti della chiesa, durante i lavori di restauro, sono
stati scoperti dipinti in stile bizan-tino che raffigurano un santo
sacerdote e un santo papa, probabilmente datati al XIII-XIV secolo,
e che rappresentano forse proprio quel Gregorio Magno al quale la
tradizione locale attribuiva la fondazione del monastero (CARITÀ,
MELI 1990, pp. 29-36).
Con il VII secolo d.C. iniziano le incursioni dei Saraceni e le
comunità risalgono il fiume abbandonando gli insediamenti e i
casolari posti in pianura, per cercare rifugio presso luoghi più
sicuri e lontani dalle coste di Licata.
È, questo, un periodo di spopolamento per la Montagna di Licata,
che tornerà a essere occu-pata solo agli inizi dell’XI secolo, da
parte di monaci eremiti che fonderanno qui le loro comunità
monastiche.
3. Storia degli studi e delle ricerche sulla Montagna di
Licata
La fascia collinare che da Castel Sant’Angelo si estende fino a
Pizzo Caduta è ricca di testi-monianze archeologiche che vanno dal
Mesolitico e Neolitico all’età bizantina. Le ricerche sono state
limitate soprattutto a indagini di superficie, condotte
dall’Associazione Archeologica Licatese e a scavi d’emergenza,
compiuti in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni
Culturali e Ambientali di Agrigento, il più delle volte non seguiti
da adeguate pubblicazioni scientifiche. Molti dei reperti custoditi
presso il Museo Archeologico Badia di Licata si sono salvati grazie
alla tenacia e alla com-petenza dei membri dell’Associazione
Archeologica Licatese i quali, sin dagli anni Sessanta, si sono
opposti all’azione distruttiva degli scavatori clandestini e
all’abusivismo edilizio.
Allo stato attuale delle ricerche, dopo una frequentazione
preistorica che si protrae fino e non oltre il Bronzo Antico,
un’occupazione stanziale sulla Montagna di Licata sembra essere
avvenuta soltanto a partire dal VI secolo a.C. (DE MIRO 1962, pp.
122-125).
È, infatti, attribuibile al periodo la fondazione di un
santuario greco-arcaico dedicato alle divinità ctonie Demetra e
Kore e di una necropoli di sepolture a incinerazione entro anfore
corinzie (VI secolo a.C.), rinvenuti presso la baia della Poliscia,
antico approdo naturale utilizzato sin dai primi naviganti
orientali che dall’Egeo si spinsero lungo le coste meridionali
della Sicilia (DE MIRO, FIORENTINI 1976-1977; FIORENTINI 1980-1981,
p. 583).
La situazione della Poliscia non rappresenta un unicum: il
santuario greco-arcaico presenta, infatti, analogie molto strette
con quello del Casalicchio-Agnone, sia per quanto riguarda la
scelta del sito, sia per la composizione delle deposizioni votive
(DE MIRO 1986, pp. 100-101).
3 Da ricognizioni di superficie in contrada Apaforte, chi scrive
ha constatato la presenza, oltre che di ceramica a vernice nera,
dipinta e non, di frammenti di anfore grecoitaliche e rodie, di
anfore tardoantiche, di terra sigillata italica e africana; è
visibile anche una tomba a camera, costruita in opera isodoma in
età greca. Al Museo Archeologico Badia di Licata sono esposti i
reperti rinvenuti al suo interno, che daterebbero le sepolture al
III secolo a.C. Una vetrina è dedicata anche ai materiali di Poggio
Mucciacqui.
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In entrambi i casi si possono osservare i resti di possibili
fortificazioni militari (phrouria) sul punto più alto della
collina, mentre a una quota inferiore, quasi a valle e in
prossimità di un corso d’acqua, sono state rinvenute le tracce
archeologiche riferibili a un rituale ctonio. I materiali più
antichi provenienti dal santuario sono successivi al 580 a.C., data
della fondazione di Agrigento, testimoniando quindi più che
un’occupazione geloa del sito, la conquista operata da
Falaride.
Un limite alla comprensione di questa facies archeologica è dato
dalla provenienza dei mate-riali esclusivamente da contesti
sepolcrali e/o cultuali: considerando che la ricerca è stata
fortemente limitata dalla presenza in questa area della proprietà
privata, al momento non si conoscono consistenti evidenze di età
arcaica e classica, ad eccezione di pochi frammenti di ceramica
corinzia rinvenuti alla Caduta di Mollarella e della notizia,
fornita da F. La Torre, di lembi di strutture e ceramiche corinzie
recuperate in recenti indagini di scavo sul Monte Giannotta,
all’estremità occidentale della Montagna (LA TORRE 2005a, p.
78).
Maggiori sono, invece, le testimonianze archeologiche
riscontrate nella parte orientale della Montagna e relative a una
fase di occupazione ellenistico-romana. Nel 1962, lungo la via
panora-mica Sant’Antonino, sono stati messi in luce i resti di una
necropoli con tombe monumentali del tipo a epitymbia. Un altro
nucleo di tombe, di cui alcune con sarcofago acromo in terracotta,
è stato rinvenuto nel 1972 durante i lavori di sistemazione di via
Cotturo e piazza Sicilia (DE MIRO 2005, p. 134). Si tratta
probabilmente di sepolture, la cui cronologia sembra ascrivibile al
IV-III secolo a.C. (DE MIRO 2005, p. 134).
Nel corso degli ultimi anni sono state avviate nuove indagini
archeologiche sul Colle Sant’An-gelo che hanno permesso di chiarire
e confermare la notizia, riportata dalle fonti storiche antiche,
della fondazione di una neocolonia agli inizi del III secolo
a.C.
Sin dal Seicento, a seguito di scavi condotti da eruditi locali,
storici e archeologi si sono af-frontati in una secolare diatriba
riguardo l’esatta ubicazione dell’antica Gela, alimentata dalle
scoperte eseguite sulla Montagna di Licata: da una parte, diversi
studiosi – primo tra tutti P. Clüver – volevano l’antica Gela sorta
nel luogo della città attuale; dall’altra, gli studiosi seguaci
dello storico T. Fazello la collocavano nel territorio di Licata
(tra i sostenitori della tesi Gela in Licata: FAZELLO 1558, I, 5,
3; PIZZOLANTI 1763; LINARES 1845; CANNAROZZI 1870; VITALI 1905;
PAGOTO 1933; NAVARRA 1964; CELLURA 1971; CARITÀ 1972a; CARITÀ 1978;
RIZZO 2001. Tra gli studiosi contrari alla tesi: CLÜVER 1619, p.
213; CARUSO 1745, I, pp. 55-56; AMICO 1856, I, p. 492; SCHÜBRING
1873, p. 76; PAIS 1888; PARETI 1920, pp. 214 ss.; ADAMESTEANU 1959;
DELORME 1960, pp. 221 ss).
La polemica, protrattasi fino ai giorni nostri, ha lasciato un
numero considerevole di scritti storici, contenenti soprattutto
importanti informazioni in merito a ritrovamenti archeologici
casuali, dei quali altrimenti non si avrebbe alcuna menzione.
Nell’ultimo decennio, comunque, la situazione archeologica è
apparsa più chiara: le ricerche condotte nei territori di Gela e
Licata hanno dimostrato, in modo certo, che l’antica Gela non può
essere individuata sulla Montagna di Licata, carente di
testimonianze di età arcaica e classica, ma va collocata sulla
collina dell’odierna Gela, a conferma delle teorie cluveriane.
La Montagna di Licata è, infatti, ricca di attestazioni di età
ellenistico-romana, che sembrano coincidere con il periodo di vita
di Finziade. Il testo dell’iscrizione Kaibel 256 già menzionata,
graffito su una lastra litica in caratteri greci, riporta
l’onorevole riconoscimento ottenuto dall’istruttore dei lottatori e
da undici efebi ginnasiarchi che si distinsero per merito;
l’incoronazione, è scritto, avvenne «per volontà del senato e del
popolo di Gela» (LINARES 1845, p. 57; CANNAROZZI 1870, p. 131;
PATERNÒ 1817, p. 117; HOLM 1896, p. 278; DELL’ARIA 1966; CARITÀ
1988, pp. 47-49).
Tale iscrizione, rinvenuta sul Colle Sant’Angelo, fu utilizzata
dai seguaci di Fazello quale prova inconfutabile per collocare
l’antica Gela sulla Montagna di Licata, mentre è stata ritenuta un
falso del Seicento da D. Adamesteanu, creata per dimostrare una
tesi ubicazionale, sebbene tale interpretazione non abbia ricevuto
molti consensi (ADAMESTEANU 1959).
Altri autori hanno attribuito l’iscrizione a un’epoca posteriore
al 282 a.C., anno della distru-zione di Gela, e cioè opera dei
deportati geloi i quali, in ricordo della loro patria, continuarono
a
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chiamarsi con l’antico etnonimo (SCHÜBRING 1873, p. 76; KAIBEL
1890, XIV, p. 42; PARETI 1920, pp. 214 ss.; FEYEL 1935, nn.
226-227; MOMMSEN 1963, X, p. 737).
L’esistenza di una popolazione geloa a Finziade è comunque
confermata dall’iscrizione Kaibel 257 e da quella di Cos del 242
a.C., quest’ultima riportante una precisa annotazione: «i Geloi non
risiedevano più nell’originaria città, ma a Finziade» (SEG, XII,
380).
Resti di abitazioni ellenistiche sono stati rinvenuti sulla
sommità e lungo le pendici orientali e sudoccidentali di Colle
Sant’Angelo: alcuni ambienti sono stati riportati alla luce negli
anni Ot-tanta, sul terrazzo sommitale, durante i lavori di restauro
dell’omonimo castello seicentesco (CARITÀ 1986).
Successivamente, ha avuto inizio lo scavo del settore nord di
via S. Maria, che ha permesso l’esplorazione di una parte
dell’antico abitato ellenistico, posto su terrazzamenti artificiali
(FIOREN-TINI 1988-1989).
Altre sette case sono state individuate e riportate alla luce
lungo il versante meridionale, immediatamente a sud del Castel
Sant’Angelo, restituendo importanti informazioni in merito
all’antica urbanizzazione del sito (FIORENTINI 1997-1998; DE MIRO
2005; LA TORRE 2005b, LA TORRE 2008).
Dall’indagine condotta dall’Università degli Studi di Messina, è
emerso che sulla sommità del colle Sant’Angelo, a un più antico
impianto (probabilmente rurale) datato alla metà del IV secolo
a.C., si sovrapposero strutture abitative riferibili agli inizi del
III secolo a.C., e cioè al periodo della nascita di Finziade. Le
abitazioni poste sulla parte più alta della collina vennero
progressivamente abbandonate e l’insediamento urbano si spostò
sempre più verso la parte orientale del colle. Gli edifici di via
S. Maria, infatti, sarebbero collocabili tra la seconda metà del
III secolo a.C. e il I secolo d.C.
Un particolare interesse ha suscitato, negli anni Settanta, il
rinvenimento di una statua ace-fala femminile, in marmo bianco,
scoperta casualmente durante i lavori di sistemazione di via S.
Maria, nei pressi della vecchia sede dell’ospedale S. Giacomo
d’Altopasso. L’opera, ancora inedita, oggi conservata al Museo
Archeologico Badia di Licata, è considerata da gran parte degli
studiosi locali un originale del V secolo a.C. anche se il
ritrovamento fuori contesto, nei pressi dell’abitato
tardo-ellenistico, potrebbe far pensare a una copia di età romana,
come ipotizzato da A. De Miro (DE MIRO 2005, p. 132).
Non si sa con certezza dove si trovasse l’agorà, sebbene sia
probabile, sotto il profilo geografico e paesaggistico, una sua
posizione sull’unico pianoro a sud che si affaccia sul mare, in
prossimità del-l’attuale cimitero vecchio. Da questo luogo
provengono numerosi reperti rinvenuti occasionalmente (ceramiche,
rocchi di colonne, elementi architettonici), che fanno supporre
l’esistenza del foro. Del circuito murario è stato esplorato nel
1960 soltanto un breve tratto nel settore sudoccidentale del Colle
Sant’Angelo, laddove il pendio si presenta più ripido (CARITÀ 1981,
p. 15; 1986).
Secondo i dati emersi dall’ultima campagna di scavi condotta
dall’Università di Messina, l’assetto urbano della città non si
daterebbe agli inizi del III secolo a.C., ma tra la fine del III e
gli inizi del II secolo a.C., cioè agli ultimi anni della seconda
guerra punica. Dei templi citati da Diodoro non si ha alcuna
traccia: anche in questo caso si può solo ipotizzare si trovassero
sul punto più alto del colle, nel luogo in cui nel Seicento venne
edificato l’omonimo castello aragonese. Inol-tre, nell’estremo
lembo di terra che formava una piccola penisola sul mare, su cui si
ergeva Castel S. Giacomo, sorgeva forse un altro tempio: l’attuale
toponimo del luogo, “Olimpia”, potrebbe richiamare un possibile
culto dedicato a Zeus Olimpo. La necropoli della città doveva
estendersi sulle pendici settentrionali e occidentali del colle: le
sepolture a epitymbia già ricordate, scoperte casualmente in
contrada Sant’Antonino, potrebbero appartenere a questa fase di
occupazione (DE MIRO 2005, p. 134).
È mancata, per questa area, un’attività di indagine archeologica
rivolta allo studio più che dei singoli siti, della loro
distribuzione nel contesto più ampio della Montagna. Per tale
motivo non è stato ancora possibile identificare i due phrouria
descritti dalle fonti, l’Eknomos e il Phalarion (CONSOLO LANGHER
1993; NAVARRA 1993).
-
313
Ernesto De Miro e F. La Torre hanno abbracciato la tesi di G.
Navarra, erudito e studioso locale: sulla base del racconto di
Diodoro Siculo, Navarra interpreta il fiume che divideva i due
accampamenti non con il ramo principale del Salso-Himera, ma con il
corso secondario, quello che compare nella cartografia antica con
il toponimo di Fiumicello. Secondo questa tesi, l’Eknomos dovrebbe
trovarsi presso l’altura della Poliscia, a ovest del fiume, mentre
il Phalarion andrebbe ricercato presso il punto più alto della
Montagna di Licata, il Monte Sole (171 m), nel quale tuttora
sopravvivono i resti di una fortificazione di età ellenistica
(CARITÀ 2005; NAVARRA 1964, pp. 213-232).
Pochi frammenti ceramici rinvenuti tra la terra rimossa di uno
degli ambienti del phrourion di Monte Sole non possono stravolgere
la tesi del notaio Navarra, ma il fatto che tra questi reperti ci
sia un frammento d’anfora di importazione africana di tipologia
indeterminabile, riconoscibile per la presenza di un timbro
quadrangolare a due lettere puniche (cfr. scheda 5), permette di
esprimere alcune considerazioni.
Occorre anche ricordare che graffiti libici e iberici sono stati
individuati da C. Cellura sulle pareti dello Stagnone Pontillo, e
si daterebbero al IV-III secolo a.C., confermando il passaggio,
presso il Monte Sole, delle milizie cartaginesi in una circostanza
ancora da definire.
Sia i frammenti d’anfora, sia le iscrizioni potrebbero risalire
a un periodo compreso tra la fine del IV e la metà del III secolo
a.C.: si può, infatti, ipotizzare che si tratti di un’anfora
circolata in Sicilia tra la fine del IV e la metà del III secolo
a.C. e abbandonata da quelle stesse truppe mercenarie che
stazionarono sull’Eknomos e lasciarono le proprie firme sulle
pareti dello Stagnone (CELLURA 1978; ROCCO 1977-1978).
Se questa cronologia venisse confermata, sarebbe più facile
riconoscere il Monte Sole con l’Eknomos citato da Diodoro; il
Phalarion di Agatocle, invece, andrebbe ricercato sulla riva
opposta del Salso, a est del fiume, presso una delle alture che
sovrastano la fascia collinare che si estende da Monte Petrulla a
Poggio Marcato d’Agnone, dove sono ancora visibili tracce di
fortificazioni di età ellenistica.
4. La carta archeologica
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 96
1. Poliscia (Unità Territoriale 1, da qui in poi UT 1)(Foglio di
mappa 96, particella 121)Definizione: necropoliCronologia: periodo
arcaico (VI secolo a.C.)Descrizione: il sito occupa la parte
occidentale della lingua di terra che, allungandosi verso il mare,
divide le due spiagge della Mollarella e della Poliscia. Tra il
1972 e il 1974 l’Associazione Archeologica Licatese ha messo in
luce una necropoli con sepolture a incinerazione, attribuibile alla
fine del VI secolo a.C.– Prima sepoltura: posta in direzione N/S,
presenta all’interno di un circolo di pietre un’anfora con collo
cilindrico, spalle spioventi, corpo ovoide e piede ad anello
semplice; la bocca risulta chiusa da un tappo litico di forma
irregolare. Accanto ad essa un cratere frammentato con decorazione
dipinta a vernice nera su fondo chiaro, raffigurante due figure
umane.– Seconda sepoltura: posta in direzione SE/NO, è formata da
grandi pietre che circoscrivono un’anfora, la cui bocca è chiusa da
una pietra tufacea. All’estremità inferiore si trova una kotyle con
decorazione a linee concen-triche e un frammento di coppa corinzia
di imitazione.– Terza sepoltura: posta in direzione SO/NE, è
costituita da un’anfora a grande punta cilindrica terminale,
mancante del collo. All’altezza della spalla, è collocata una
piccola brocca acroma.– Quarta sepoltura: posta in direzione NE/SO
è formata da un’anfora, una piccola anfora con decorazione dipinta
a vernice nera baccellata, una statuina fittile di Atena Lindia,
frammenti di vasi a vernice nera di tipo ionico.Bibliografia:
CARITÀ 1988, pp. 37-38.
2. Mollarella (UT 2)(Foglio di mappa 96, particella 121,
246)Definizione: emporioCronologia: periodo greco
-
Fig.
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-
315
Fig. 1a, b, c – Quadri di dettaglio della Carta Archeologica di
Licata (AG).
-
316
Descrizione: sulla sommità della rocca Mollarella, a pochi metri
di distanza dal sito della necropoli arcaica e a circa 22 m s.l.m.,
un muro circolare, costruito a secco con pietre irregolari, ingloba
al suo interno un ambiente a pianta quadrata del quale si
intravedono alcuni blocchi squadrati in prossimità dell’ingresso,
seminascosti dalla fitta vegetazione. Nella parte orientale della
serra Mollarella una galleria scavata nel banco roccioso, dal lato
nord del promontorio, conduce direttamente sul mare; a una quota
inferiore, si trova una cisterna cilin-drica con imboccatura
circolare, collegata a canali per l’adduzione delle acque piovane.
Sulle pareti sono visibili incassi scavati a intervalli regolari
(pedarole) che dovevano servire per facilitare la discesa e la
risalita del pozzo. Più difficile, ma non da escludere, l’ipotesi
che la cisterna fosse alimentata da falde di acqua sorgiva. La
cisterna captava con probabilità le acque piovane e garantiva il
rifornimento idrico delle navi, dal momento che, a sud, sommersi
dalle acque marine, si intravedono le gettate di due piccoli moli.
Sulla cresta si notano anche nume-rose conche scavate nella roccia
calcarea, interpretabili come presunte fosse di combustione che
servivano per segnalare la presenza di un approdo
costiero.Materiali: scarsi frammenti di ceramica a vernice
nera.Bibliografia: sito inedito.
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 973. San
Michele-Giannotta (UT 4-9, UT67-68)(Foglio di mappa 97, particelle
81, 84, 92, 93, 105, 156, 159, 224, 448)Definizione: insediamento
rurale e produttivoCronologia: periodo ellenistico (fine IV-III
secolo a.C.)Descrizione: UT 5: un impianto di pigiatura dell’uva,
con due vasche rettangolari scavate nella roccia, orientate in
direzione SE/NO, è localizzato in contrada San Michele (60 m
s.l.m.). Il palmento (Fig. 2, a-b) è ricoperto di terra, per cui
non è stato possibile verificare la presenza, nella vasca di
fermentazione, della scodella centrale sul fondo e del gradino
angolare. Entrambe le vasche sono ricoperte da uno strato di
intonaco impermeabiliz-zante; numerosi ambienti intagliati nella
roccia sono dislocati intorno al palmento, probabilmente riferibili
a un impianto rurale per lo sfruttamento agricolo dell’area, dotato
di cisterne idriche per la raccolta delle acque. Nella zona di San
Michele si trova una sorgente naturale (68 m s.l.m.) le cui acque,
a carattere torrentizio, dovevano scorrere presso un profondo
canale che si trova subito a ovest del sito. In seguito fu
costruita un’opera di canalizzazione, che costeggia il lato est
della fattoria, nella quale si alternano condutture scavate nella
roccia e canalette in blocchi di pietra (Fig. 2, e). Lungo il
percorso, l’acqua si getta in pozzetti circolari che hanno la
funzione di decantazione e dai quali gli agricoltori potevano
attingere l’acqua depurata. Prima di raggiungere la pianura, la
condotta risulta distrutta dai lavori agricoli moderni. Con il
passare degli anni la canalizzazione è caduta in disuso e l’acqua
ha formato un secondo canale che costeggia sempre a est la
fattoria. Nel suo tratto finale si incontrano, oltre a pozzetti
scavati nella roccia con gradini per accedere all’imboccatura
ovale, lembi di strutture abitative, interamente scavati nella
roccia, in alcuni casi con nicchie sulle pareti.UT 7: il settore
nord dell’insediamento, che arriva quasi ai margini della pianura,
sembra delimitato da due ambienti quadrangolari, dei quali restano
fondazioni ricavate su due affioramenti di roccia, posti a una
distanza di circa 50 m l’uno dall’altro.UT 67: il sito risulta
frequentato anche in periodo protostorico, come dimostrerebbe il
ritrovamento, meno di 200 m più a sud, in prossimità della
sorgente, di frammenti ceramici pertinenti alla facies di
Castelluccio, frammenti di pietra levigata e tombe a grotticella
artificiale. Sulle due colline ai margini dell’insediamento, a sud
(UT 4) e sud ovest, sono visibili le tracce di altre strutture:
sulla prima (85 m s.l.m.) sono localizzati alcuni ambienti a pianta
rettangolare scavati, mentre l’altura sudoccidentale non è stata
esplorata per l’inaccessibilità del fondo.UT 8: sulla sponda
opposta del torrente, a pochi metri da un rudere (53 m s.l.m.),
sono state rinvenute due vasche di forma rettangolare, scavate
nella roccia e intonacate, orientate in direzione NO/SE, riferibili
a un impianto di pigiatura dell’uva (Fig. 2, c-d).UT 9: nelle
immediate vicinanze sono stati ritrovati lembi di strutture, con
muri perimetrali ricavati dal taglio della roccia di base e una
piccola scodella emisferica, con un foro di scolo alla base.
Dall’area provengono frammenti di tegole di età greca.UT 6: circa
100 m a sud est, come nel caso precedente, un altro rudere è stato
costruito sulle fondamenta di un ambiente probabilmente di epoca
ellenistica, riutilizzando i muri perimetrali intagliati nella
roccia.UT 68: circa 120 m a ovest del palmento, nei pressi di una
grotta abitata anche in tempi recenti, è stata rinvenuta un’ansa di
anfora greco-italica. Sull’estradosso della grotta (48 m s.l.m.) è
presente un piccolo vano quadrangolare scavato nella roccia, di
circa 1,5×1,5 m, mentre un altro, simile, è stato localizzato circa
40 m più a sud rispetto al primo (58 m s.l.m.); si tratta
probabilmente di due torri, simili a quelle scoperte tra gli
ambienti a valle del-l’insediamento di San Michele. Quest’area era
frequentata anche in periodo protostorico, come testimoniano i
rinvenimenti di ceramica eneolitica e le tombe a grotticella
artificiale scavate nella roccia.
-
317
Fig. 2 – S. Michele-Giannotta, scheda n. 3.
a
d
b
c
e
-
318
Materiali:In prossimità dell’UT 5:Anfore di tipo MGS VI:– un
frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori
concave, inclinato verso l’esterno e solcatura orizzontale sulla
superficie inferiore. Argilla arancio-rosata, contenente minuscoli
inclusi litici e micacei di colore dorato e bruno (media
frequenza); superfici con ingobbio nocciola tendente al beige;– un
frammento di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori
concave, inclinato verso l’esterno. Una leggera solcatura segna lo
stacco tra orlo e collo. Argilla rosata con minuscoli inclusi
litici e micacei di colore dorato e nero brillante (media
frequenza); superfici con ingobbio nocciola tendente al beige;In
prossimità dell’UT 68:– un frammento di ansa a sezione ovale, il
cui tipo anforico non è determinabile. Argilla nocciola-rossastra,
con minuscoli inclusi micacei dorati (elevata frequenza) e piccoli
inclusi di tritume ceramico (media frequenza); all’esterno
superfici nocciola.Bibliografia: sito inedito.
4. Giannotta (UT 10)(Foglio di mappa 97, particella
120)Definizione: insediamento rurale?Cronologia: periodo
arcaico-ellenistico (VI-IV secolo a.C.)Descrizione: su un
affioramento di roccia calcarea (85 m s.l.m.) è stata localizzata
una cisterna di tipo diverso rispetto alle cisterne (a campana)
identificate nelle case di età ellenistica. È simile al tipo “a
bagnarola” con vasca rettangolare stretta e lunga, in antico
ricoperta da lunghe lastre di chiusura in pietra, e con una botola
semicircolare, generalmente alle estremità, che serviva per
attingere l’acqua. Manufatti simili sono certamente di tipo punico
e ben documentati in Sardegna e a Pantelleria (BULTRINI et alii
1996; MANTELLINI 1999-2000; CASTELLANI, MANTELLINI 2001).Inoltre,
nei pressi di questo sito, a circa 350 m in direzione NO, sono
stati recuperati frammenti di ceramica corinzia, durante uno scavo
condotto dalla Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di
Agrigento.Bibliografia: sito inedito.
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 985. Monte
Sole (UT 11)(Fogli di mappa 98 e 118, particelle 118, 21, 22, 23,
134)Definizione: insediamento fortificato (phrourion)Cronologia:
periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: un pianoro
sommitale – già frequentato in periodo protostorico per la presenza
di tombe a grotticella artificiale dell’età del Bronzo, e che
costituisce il punto più alto della Montagna di Licata – è stato
fortificato in periodo greco, come testimoniano le possenti mura
realizzate in tecnica mista (alternando blocchi di calcare
per-fettamente squadrati, blocchi di pietra di forma irregolare e,
in alcuni tratti, operando sul banco roccioso per creare uno
strapiombo) (Fig. 3, a-b). Il banco calcareo che forma il pianoro è
stato lavorato creando ambienti regolari (cisterne, buche di palo,
canalette, fondazioni di torri quadrate e gradini, Fig. 3, c). Si
notano anche due o più vani, con pareti alte più di 2 m, ricavate
interamente nella roccia e con nicchie per l’alloggio di travi
lignee, che dovevano sostenere ballatoi dai quali i soldati
potevano presidiare le fortificazioni. Per questo motivo, infatti,
uno degli ambienti conserva ancora la caratteristica architettonica
della merlatura, Fig. 3 a. Inizialmente identificato con l’Eknomos,
oggi si tende invece a considerarlo come il Phalarion (cfr. supra).
Il rinvenimento, nel corso delle ricognizioni, di un frammento di
anfora da trasporto di tipo punico, tra la terra rimossa di uno
degli ambienti, potrebbe forse indicare la frequentazione della
fortificazione da parte di truppe cartaginesi. Il tipo dell’anfora
non è definibile, ma il frammento, d’impasto rosa-arancio, presenta
superfici esterne rivestite da un sottile ingobbio colore beige,
mentre l’attaccatura superiore dell’ansa reca un timbro
quadrangolare con due lettere puniche a rilievo, che trova
confronto con alcuni bolli punici rinvenuti in Tunisia (RAMON
TORRES 1995, p. 583, fig. 220, nn. 736-737).Materiali:Anfore
puniche:– un frammento di collo con attacco dell’ansa a sezione
ovale, con cartiglio quadrangolare riproducente due lettere
puniche, affiancato da due impressioni digitali. Argilla
arancio-rosata con piccoli inclusi bianchi e grigi (bassa
frequenza). Superfici esterne con ingobbio beige tendente al bianco
(Tav. 1, n. 1).Anfore di tipo MGS IV:– un frammento di orlo a
sezione triangolare, inclinato verso l’esterno, con solcature sulle
superfici inferiori, di cui una posta tra orlo e collo. Argilla
arancio/rosso-arancio, con piccoli inclusi litici bianchi (elevata
presenza), bruni (bassa frequenza) e micacei dorati.Bibliografia:
CARITÀ 1981, pp. 23-29; LA TORRE 2008, p. 7.
-
Fig. 3 – Monte Sole: scheda n. 5 (a-c); scheda n. 6 (d-e);
scheda n. 7 (f-g); scheda n. 8 (h).
a
h
d
b
f
c
g
e
-
320
6. Monte Sole (UT 12)(Foglio di mappa 98, particella
118)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia:
periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: a 144 m
s.l.m., sull’affioramento roccioso che delimita a nord ovest il
phrourion di Monte Sole, due vasche rettangolari, ricavate da un
affioramento di roccia calcarea e orientate in direzione NO/SE,
sono completamente colme di terra: sono visibili tracce di malta
impermeabilizzante sulle pareti, mentre non è stato possibile
constatare la presenza del gradino angolare e della scodella nella
vasca di fermentazione (Fig. 3, d, e). Nel risparmio di roccia che
separa i due recipienti è stato creato un incavo a U, che non
sembra fungere da elemento di comunicazione, dal momento che i
pavimenti di entrambe le vasche si trovano a un livello più basso
della base del canale. La ripulitura del palmento potrebbe
restituire informazioni in merito al funzionamento di questo
impianto che, a differenza degli altri finora esaminati, potrebbe
conservare elementi di pressa meccanica.Materiali: nelle immediate
vicinanze del palmento sono presenti frammenti di tegole greche in
giacitura secon-daria. Il sito è interessato da una discarica
abusiva.Bibliografia: sito inedito.
7. Monte Sole (UT 13-14)(Foglio di mappa 98, particella 120,
121, 126)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia:
periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione:UT 13:
all’interno della proprietà Licata, circa 100 m a nord ovest dal
sito fortificato di Monte Sole, a 149 m s.l.m., è localizzato un
impianto di pigiatura dell’uva con due vasche rettangolari scavate
nella roccia, orientate in direzione NE/SO, sistemate a quote
differenti e collegate tra loro da un foro circolare,
successivamente (in età moderna?) ristretto con l’aggiunta di
pietrame e con l’inserimento di una tegola curva che fungeva da
canale di scolo. Il pavimento di entrambe le vasche è coperto da un
battuto di ceramica forse successivo all’originaria struttura,
mentre le pareti presentano diversi strati di intonaco
impermeabilizzante. La seconda vasca ha il caratteristico scalino
angolare e la scodella concava sul fondo (Fig. 3, f, g).UT 14:
questo palmento doveva sicuramente essere annesso a un’antica
fattoria rurale. Il lato nord ovest della proprietà privata, che si
affaccia sulla piana di Licata, risulta fortificato naturalmente e
artificialmente con l’ag-giunta di una torre, di cui sono visibili
le fondamenta intagliate nella roccia, accessibile per mezzo di
gradini ricavati nella roccia.Materiali: in prossimità dell’UT 13 è
stata raccolta ceramica comune e materiale edilizio di età greca,
in impasto nocciola con nucleo interno arancio-rosato e superfici
esterne con ingobbio beige tendente al verde.Un frammento d’ansa,
per i tratti dell’impasto, sembra appartenere a una MGS III o IV.
L’argilla arancio/rosso-arancio presenta nucleo interno di colore
grigio-scuro; elevata presenza di piccoli e medi inclusi litici
bianchi, bruni (bassa frequenza) e micacei dorati (media
frequenza).Anfore MGS IV:– un frammento di orlo a sezione
triangolare, con superfici superiori leggermente concave, inclinato
verso l’esterno; lievi solcature orizzontali sulle superfici
inferiori. Argilla nocciola-rossastra, con inclusi litici bianchi
(bassa frequenza), e micacei (media frequenza).Bibliografia: sito
inedito.
8. Monte Sole (UT 15-16)(Foglio di mappa 98, particelle 108,
118, 137, 138)Definizione: abitato e luogo di cultoCronologia:
periodo medievale (X-XIII secolo d.C.)Descrizione: lungo le pendici
del versante settentrionale di Monte Sole sono visibili varie
grotte frequentate a scopo cultuale e/o adibite ad abitazioni. Una
di esse (99 m s.l.m.) presenta nicchie sulle pareti, mentre sul
tetto si apre un foro circolare dal quale si accede a un piano
superiore, illuminato da finestrelle rettangolari.UT 15: la
funzione religiosa di un’altra grotta (106 m s.l.m.) a due vani,
all’interno della proprietà Cantavenera, è confermata da un
affresco bizantino, datato tra il X e il XIII secolo. Sulle pareti
sono presenti anche diverse nicchie e altre tracce di intonaco
dipinto (Fig. 3, h). Uno dei due accessi originari è stato
obliterato, mentre nei pressi dell’ingresso dell’apertura
principale è stata ricavata nella roccia una scodella concava,
probabilmente con funzione di acquasantiera.UT 16: un’altra grotta
(129 m s.l.m.), riutilizzata come stalla nel Novecento, venne
probabilmente riservata al culto cristiano, come testimonia la zona
absidale posta di fronte all’ingresso. L’ipogeo è chiuso da una
cancellata in ferro, per cui non è stato possibile individuare
eventuali tracce di affreschi sulle pareti.Bibliografia: MELI,
SCUTO 1977, pp. 25-26; CARITÀ 1988, pp. 320-321.
-
321
9. Monte Sole (UT 17)(Foglio di mappa 98, particella
70)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia: periodo
ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: lungo le pendici
settentrionali di Monte Sole (72 m s.l.m.), in prossimità degli
ipogei supra descritti, circa 400 m a nord rispetto al phrourion di
Monte Sole, l’area già frequentata in età protostorica, per la
presenza di tombe a grotticelle artificiali scavate nel banco
calcareo, è stata trasformata in un insediamento produttivo durante
il periodo greco. Appartengono, infatti, a questa fase quattro
vasche scavate su un affioramento roccioso e poste in successione
altimetrica (Fig. 4, a-b).Le prime due, orientate in direzione N/S,
sono vuote e presentano i caratteri tipici dei palmenti ellenistici
a pianta quadrata o rettangolare: la vasca secondaria ha la
scodella centrale sul fondo, il gradino angolare e l’intonaco
antico. Si differenziano, però, per la vasca terminale non molto
profonda, di forma subrettangolare, con le pareti arroton-date,
mentre il foro di comunicazione, più o meno circolare nella vasca
di pigiatura, assume un profilo ogivale nella vasca di
fermentazione. Alla base del foro, attraverso un risparmio di
roccia, è stato ricavato un piccolo canale per facilitare lo scolo
del mosto. Il palmento è stato costruito scavando un masso di
roccia che si eleva per circa 2 m: per arrivare alla vasca di
pestaggio gli antichi utilizzatori intagliarono, sul lato ovest,
tre piccoli gradini.Altre due vasche, apparentemente separate dalle
precedenti, si trovano immediatamente a nord ovest e a una distanza
di 2 m circa. Sono perpendicolari alle prime, orientate in
direzione E/O e del tutto simili alle precedenti: anche in questo
caso sono presenti tracce di intonaco impermeabilizzante sulle
pareti, mentre il riempimento di terra non ha permesso
l’individuazione della scodella e del gradino angolare. Il foro di
comunicazione ha una forma differente nelle due vasche (il diametro
è maggiore nella vasca di pestaggio) e, in questo caso, un
risparmio di roccia proprio al di sopra del foro, funge da tettoia
a protezione del canale di scolo. Considerata la vicinanza e
l’altitudine decrescente tra le quattro vasche, potrebbe trattarsi
di un’unica struttura, comunicante tramite canalette, al momento
ricoperte da terra. A sud ovest, a una quota maggiore, si notano
lembi di strutture ricavate dal taglio regolare della
roccia.Materiali: nelle immediate vicinanze dell’UT 17 è stato
raccolto un solo frammento d’ansa a sezione ovale schiacciata, il
cui tipo anforico non è determinabile. Argilla nocciola con nucleo
interno rossastro, con elevata presenza di piccoli inclusi litici
dorati, nero-brillanti, e bianchi; superfici esterne beige,
tendenti al verde.Bibliografia: sito inedito.
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 9910. Monte
Sole (UT 18)(Foglio di mappa 99, particella 9)Definizione:
necropoliCronologia: periodo ellenisticoDescrizione: circa 50 m a
sud est rispetto ai palmenti descritti (82 m s.l.m.) è stata
rinvenuta una fossa di piccole dimensioni, rivestita da lastre di
pietra (del tipo a cista) (Fig. 4, c). La fossa è stata svuotata da
scavatori clandestini e non si esclude ve ne siano altre nelle
immediate vicinanze. A breve distanza, un’altra fossa rettangolare
scavata nella roccia, di circa 2 m di lunghezza e orientata in
direzione NO/SE, risulta violata e ricolma di terra.Bibliografia:
sito inedito.
11. Cannavecchia (UT 19 e UT69)(Foglio di mappa 99, particelle
136, 147, 153, 203, 217, 373, 909)Definizione: insediamento rurale
e opera idraulicaCronologia: periodo ellenisticoDescrizione:UT 19:
in questa area è localizzato un sistema di canalizzazione, scavato
nella roccia, per raccogliere le acque pro-venienti da una vicina
sorgente naturale. Sulla cima della collina (112 m s.l.m.) si
intravedono, tra la vegetazione di una proprietà recintata
(particella n. 147), due pozzetti di incerta funzione, forse utili
alla decantazione delle acque canalizzate. Uno di questi è posto
tra gli olivi situati più in basso ed è collegato con una canaletta
scavata nella roccia (104 m s.l.m.). A causa della fitta
vegetazione non è possibile seguire il percorso della condotta.UT
69: scalando il fianco della collina a sud est si notano alcuni
gradini ricavati nella roccia (114 m s.l.m.), che continuano
all’interno di un fondo recintato (particella n. 203).Materiali:
sulla UT 69 è stato raccolto un solo frammento di ceramica,
probabilmente pertinente ad anfora, con impasto ricco di inclusi
nero-brillanti.Bibliografia: sito inedito.
12. Cannavecchia (UT 20-22)(Foglio di mappa 99, particelle 137,
314, 1039)Definizione: necropoli
-
322
Fig. 4 – Monte Sole: scheda n. 9 (a-b); scheda n. 10 (c).
Cannavecchia: scheda n. 12 (d-f ).
a
f
d
b
c
e
-
323
Cronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo
a.C.)Descrizione:UT 20: nella parte bassa della collina sulla quale
sorge il sito, uno sperone di roccia è stato sezionato per la
realizzazione di una strada privata. Su entrambi i lati della
carreggiata (80 m s.l.m.) sono visibili tombe a fossa rettangolari,
scavate nella roccia. In media le sepolture presentano dimensioni
di 2 m di lunghezza, 0,80 m di larghezza, 1 m di profondità e sono
orientate in direzione NO/SE. In alcune di esse è ancora visibile
una risega a rilievo che circonda la sepoltura, per l’alloggiamento
di coperchi fittili o in pietra. La necropoli sembra correlabile a
un presunto insediamento rurale, di periodo ellenistico, posto
sulla sommità della collina.UT 21: circa 100 m a sud ovest di
questa necropoli, una scala (Fig. 4, d) costituita da una decina di
gradini scolpiti nella roccia introduce in un’area all’interno
della quale le pareti, perfettamente verticali, sono state scavate
per ricavarne tre ambienti ipogei (92 m s.l.m.). Due di essi sono
chiusi da porte e risultano inaccessibili mentre il terzo, in stato
di abbandono, mostra elementi che potrebbero essere legati alla
sfera sacra e/o sepolcrale: esternamente, una panchina segue
l’andamento del taglio della roccia, mentre in prossimità
dell’ingresso un piccolo dromos immette all’interno della grotta.
Si segnala un interessante particolare architettonico: la porta, di
forma esagonale (Fig. 4, e), presenta al centro dell’architrave un
altorilievo raffigurante un volto, oggi in stato di degrado a causa
sia di fattori naturali, sia di interventi antropici successivi,
responsabili della rubricazione degli occhi, del naso e della
bocca; le acque meteoriche hanno inoltre contribuito ad arrotondare
i tratti del volto (Fig. 4, f ). L’interpretazione della figura
resta ignota.UT 22: all’interno dell’area dell’Ospedale S. Giacomo
d’Altopasso, circa 50 m a nord dell’eliporto (80 m s.l.m.), si apre
l’accesso a un’altra grotta, la cui funzione risulta incerta per le
ripetute modifiche operate nel corso degli anni.Bibliografia: sito
inedito.
13. Stagnone (UT 23-24)(Foglio di mappa 99, particelle 251, 206,
256)Definizione: area cultuale e necropoliCronologia: periodo
ellenistico (IV-III secolo a.C.) e medievale (XIII
secolo)Descrizione:UT 23: situato sulle pendici settentrionali di
Monte Sole, adiacente la Strada Provinciale 38, fino a pochi anni
il sito faceva parte della proprietà Pontillo. Espropriato e reso
fruibile, rientra nei beni del Demanio regionale. L’ipogeo,
interamente scavato nella roccia, è inserito all’interno di un
contesto funerario dell’età del Bronzo e del periodo ellenistico
(Fig. 5, a). L’attuale ingresso (81 m s.l.m.), che si apre a nord,
immette in un grande vano rettangolare di 15,75×9,70 m, la cui
volta, spessa mediamente più di 2 m e a una distanza dal piano di
calpestio di circa 5 m, risulta sostenuta da tre colonne rastremate
verso l’alto, anch’esse ricavate dalla roccia e poste al centro
dell’edificio. Sia le superfici verticali, comprese quelle delle
colonne, sia il piano di calpestio erano interamente ricoperti da
uno strato di intonaco levigato e policromo. Nonostante le
incrostazioni dovute all’azione del tempo, C. Cellura ha
identificato, sullo strato di malta, caratteri graffiti in alfabeto
libico e iberico, dei quali alcuni incisi e altri dipinti.
Nell’angolo sud est del vano si notano le basi di nove pilastrini,
posti su due file non parallele, che probabilmente sostenevano un
piano orizzontale (altare?). L’ambiente principale era chiuso, sul
lato orientale, da un muro su cui poggiava l’ultima delle tre
colonne; questa fungeva da elemento divisorio tra una finestra
quadrata e una porta che immetteva in un altro vano, parzialmente
interrato e che forse venne tagliato dalla costruzione della strada
adiacente. Sul soffitto, fra le tre colonne, si aprono due fori
circolari a forma di pozzo, che garantivano l’aerazione. Data la
valenza cultuale e sacra dell’edificio, l’illuminazione era bassa e
assicurata da lucerne collocate con proba-bilità nelle nicchie
quadrate poste intorno alla cornice del tetto. A ovest un’altra
stanza in asse con la precedente, di dimensioni minori, ma non
comunicante con essa, risulta priva di colonne; al suo interno però
si ritrovano le stesse nicchie, questa volta ricavate a metà
altezza della parete. Vi si accede dall’esterno, tramite
un’apertura che si trova di fianco all’ingresso del vano
precedentemente descritto. All’esterno del complesso monumentale,
sulla parete est, un sistema di scale scavate nella roccia conduce
sull’estradosso dell’ipogeo, dove si aprono i pozzi per l’aerazione
del sottostante locale e intorno ai quali sono state scoperte
alcune tombe a fossa di età ellenistica.UT 24: oltre la proprietà
Pontillo, circa 200 m a nord dello Stagnone (particelle 206 e 256),
altri ipogei, riuti-lizzati fino ad età contemporanea, potrebbero
essere in continuità con l’area cultuale.Materiali: dall’UT 24
proviene un frammento di maiolica, da considerare pertinente a una
probabile fase di occupazione medievale.Bibliografia: ROCCO
1977-1978; CELLURA 1978, pp. 12-31; CARITÀ 1982.
14. Stagnone-San Cataldo (UT 25-26)(Foglio di mappa 99,
particelle 47, 49, 782)Definizione: necropoliCronologia: periodo
ellenistico
-
324
Fig. 5 – Stagnone: scheda n. 13 (a); scheda n. 15 (b). Monte
delle Vigne: scheda n. 16 (c-d); scheda n. 17 (e-f ).
a
f
d
b
c
e
-
325
Descrizione: a circa 75 m s.l.m. sono presenti scale ricavate
nella roccia, su cui è stata edificata l’abitazione mo-derna
mentre, in prossimità di esse, una canaletta corre in direzione E/O
(UT 25). Sono visibili anche alcune fosse rettangolari scavate
nella roccia con funzione sepolcrale (UT 26).Non si può escludere
che la contiguità topografica di questo complesso con lo Stagnone
Pontillo potrebbe suggerirne una funzione cultuale. Nel riempimento
eseguito per il rialzamento della strada privata d’accesso
poderale, inoltre, si notano alcuni blocchi squadrati e scanalati
in pietra locale, pertinenti a una struttura andata distrutta nelle
immediate vicinanze.Bibliografia: sito inedito.
15. Stagnone (UT 27-28)(Foglio di mappa 99, particelle 110, 112,
350)Definizione: insediamento ruraleCronologia: periodo
ellenisticoDescrizione:UT 27: circa 50 m a est dell’ipogeo Stagnone
Pontillo, sul lato opposto della Strada Provinciale 38, un
affiora-mento di roccia calcarea risulta perfettamente intagliato e
squadrato, con un profilo simile a quello degli ipogei descritti in
precedenza. Considerata la distanza minima tra i due siti, separati
dalla strada, se ne deduce che in questo banco calcareo potrebbero
conservarsi ulteriori vani connessi all’area di culto. Si notano
alcuni ambienti scavati nella roccia e in particolare un ambiente
rettangolare (85 m s.l.m.), con una nicchia quadrata sulla parete
orientale. La struttura risulta parzialmente interrata, ma sono
visibili tracce di intonaco che ricoprono le pareti dell’edificio,
molto simile a quello riscontrato nei palmenti ellenistici. Si
tratta probabilmente di un insediamento rurale, nel quale sono
presenti anche tagli regolari nella roccia per la captazione delle
acque che dovevano provenire, con molta probabilità, dalla vicina
sorgente di Donna Vannino (Fig. 5, b).UT 28: la strada privata
all’interno della particella 350 conduce all’ingresso di un’altra
grotta (alla stessa quota altimetrica dello Stagnone Pontillo), su
cui insiste un fabbricato moderno (particelle 110 e 111): una
cancellata ne impedisce l’accesso, ma si osserva come il vano di
ingresso introduca a un secondo vano posteriore. L’ipogeo viene
attualmente utilizzato come magazzino e ripostiglio.Materiali: in
prossimità dell’UT 27 sono stati raccolti pochi frammenti ceramici
di forma non determinabile, dalle superfici rossastre, forse
riferibili ad anfore.Bibliografia: sito inedito.
16. Monte delle Vigne (UT 29-30)(Foglio di mappa 99, particelle
116, 117)Definizione: insediamento rurale e produttivo (e area
cultuale?)Cronologia: incertaDescrizione:UT 30: circa 200 m a sud
est rispetto allo Stagnone Pontillo, nella proprietà Racalbuto, uno
sperone roccioso è stato interamente scolpito sulla parte
settentrionale a formare una sorta di piramide a gradoni curvilinei
e sinusoidi. Sul lato orientale, da un riparo sottoroccia, ostruito
da una fitta vegetazione di rovi (107 m s.l.m.), sgorgava una
sorgente naturale (Donna Vannino): non stupirebbe perciò una
funzione cultuale della struttura, data l’architettura ad andamento
curvilineo, che richiama la forma dello Stagnone Pontillo.UT 29:
sulla sommità dello sperone (126 m s.l.m.) è localizzato un
palmento, di incerta attribuzione crono-logica (periodo
bizantino?), con due vasche ricoperte da uno strato di intonaco,
orientate in direzione NO/SE e comunicanti tra loro per mezzo di un
foro (Fig. 5, c-d). La forma differisce dai tipi finora registrati:
la prima vasca per la pigiatura è ellittica e con il fondo piano,
mentre la seconda ha una forma cilindrica, con pareti ver-ticali e
fondo concavo. La terra che lo colma impedisce una corretta lettura
della struttura: nell’area circostante il palmento si intravedono
altre fosse circolari e ambienti rettangolari.Bibliografia: sito
inedito.
17. Monte delle Vigne (UT 31-32)(Foglio di mappa 99, particelle
102, 104, 105, 106, 214)Definizione: insediamento ruraleCronologia:
incertaDescrizione:UT 31: il lato meridionale della proprietà
Marenostrum s.r.l. (154 m s.l.m.) conserva, in prossimità del muro
di cinta, lembi di strutture rettangolari, quadrangolari e
circolari, scavate nel banco calcareo e ancora interrate (forse
appartenenti a insediamenti produttivi).UT 32: l’abitazione dei
primi anni del Novecento sita nella zona centrale del fondo
custodisce, sotto le fonda-menta, un antico palmento scavato nel
banco di marna calcarea. L’impianto si trova all’interno di una
grotta,
-
326
sopra la quale è stato edificato il fabbricato: è costituito da
una vasca cilindrica con scalino addossato alla parete, ricavato da
un risparmio di roccia, con scodella sul fondo (Fig. 5, e-f ). A
est della vasca si trovano due buche (di palo?), utili per
alloggiare verosimilmente la pressa meccanica. Una canaletta
attraversa l’ipogeo in direzione nord sud, prima di confluire
all’interno del pozzetto di fermentazione. Della struttura manca la
vasca destinata alla pigiatura dell’uva, trovata lungo una
scarpata, a pochi metri di distanza dall’ingresso della grotta:
essa era stata utilizzata, prima del definitivo abbandono, come
invaso per una pianta ornamentale.Bibliografia: sito inedito.
18. San Cataldo (UT 33-34)(Foglio di mappa 99, particelle 1158,
263, 823, 41)Definizione: abitato e luogo di cultoCronologia:
periodo medievale (X-XIII secolo)Descrizione:UT 33: sotto
l’abitazione della proprietà Brancato, una parete rocciosa è stata
interamente scavata ricavandone tre grotte (87 m s.l.m.). Delle due
scavate sul lato orientale e occidentale si può dire poco: quella
occidentale è chiusa da una porta metallica, mentre la grotta
orientale è parzialmente coperta da terrapieno della strada privata
interna. L’ipogeo centrale, invece, fu adibito in età medievale al
culto cristiano: la contrada, denominata San Cataldo, prende
probabilmente il nome dal santo cui fu dedicata la chiesetta
rupestre, che conserva scarse tracce di intonaci policro-mi
rappresentanti il Crocefisso e databili tra il X e il XIII secolo
(Fig. 6, a). Non si conosce l’originaria estensione dell’affresco,
ma la figura centrale (il Cristo in croce) risulta racchiusa tra
due nicchie arcuate (di epoca successiva rispetto al dipinto); i
colori predominanti erano il giallo, il rosso e il blu. Al di sotto
dell’affresco era presente un altare rialzato da gradini, mentre
sulla parete opposta si trovano vari resti di un affresco
policromo. Il vano d’ingresso accoglie gli intonaci dipinti, mentre
agli angoli sud ovest e nord est si aprono due camere di dimensioni
minori. All’interno dell’ambiente centrale è localizzato un
palmento (Fig. 6, b-c), che conserva ancora il torchio in ferro per
la spremitura delle vinacce. Del palmento manca la vasca mobile in
pietra, tipica di questi impianti in grotta (cfr. la scheda 17),
mentre si conserva ancora la canaletta, scavata nella marna, che
costeggia la parete meridionale dell’ipogeo, confluendo in un
pozzetto di forma cilindrica che scende sotto il piano di
calpestio.UT 34: un’altra grotta (circa 67 m s.l.m.) – in cattivo
stato a causa del riadattamento e dell’utilizzo prima come stalla,
poi come abitazione durante la seconda guerra mondiale e infine
come deposito – è stata individuata circa 50 m a nord ovest
rispetto agli ipogei in proprietà Brancato. È praticamente
impossibile rinvenire tracce di intonaco parietale, ma l’ipogeo è
interessante per la presenza di un foro sul tetto, simile ai
pozzetti di aera-zione presenti allo Stagnone Pontillo (cfr. scheda
13). Al centro di una delle pareti è stata scavata una piccola
nicchia quadrata, mentre all’esterno una banchina, sempre ricavata
nella roccia, costeggia il lato a ovest della porta d’ingresso.
Nelle immediate vicinanze, sul fianco della Montagna, è stato
ricavato nella roccia una sorta di pozzetto a semicerchio, che
presenta sulla parete un rivestimento di malta idraulica.
Perpendicolare a esso, ma a una quota maggiore, sembra esserci
un’altra vasca completamente ricolma di terra. Potrebbe trattarsi
di un palmento dello stesso tipo rinvenuto a Donna Vannino (e in
questo caso la contiguità con la chiesa di S. Cataldo fa supporre
una cronologia all’età bizantina), ma potrebbe essere anche uno dei
tanti pozzetti di decantazione delle acque che si succedono a breve
distanza nelle opere di canalizzazione della Montagna.Bibliografia:
MELI, SCUTO 1977, p. 26; CARITÀ 1988, pp. 321-322.
19. San Cataldo (UT 35)(Foglio di mappa 99, particella
1158)Definizione: insediamento rurale e produttivoCronologia:
periodo ellenistico (IV-III secolo a.C.)Descrizione: sempre nella
proprietà Brancato, in prossimità dell’ingresso principale si
notano due o forse tre vasche scavate nella roccia (94 m s.l.m.),
di forma rettangolare e perfettamente allineate, ricolme di terra.
Il proprietario le descrive come antichi serbatoi di raccolta delle
acque meteoriche, ma è più probabile si tratti di un palmento a
vasche rettangolari di età greca. A pochi metri di distanza
dall’ingresso dell’ipogeo si conserva una cisterna di età
ellenistica, del tipo a campana.Materiali: la conferma della
frequentazione del sito in periodo ellenistico è fornita dal
rinvenimento da parte dei proprietari, durante i lavori agricoli,
di numerosi frammenti ceramici, ora collocati all’interno della
chiesetta rupestre: frammenti di anfore Ramon Torres (puniche), di
anfore MGS III (greco-italiche), di macine in pietra lavica (i
frammenti sono stati lasciati in situ).Bibliografia: sito
inedito.
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11620.
Monte Sole (UT 36)(Foglio di mappa 116, particella 158)
-
327
Definizione: necropoli?Cronologia: incertaDescrizione: su una
rupe, a circa 114 m s.l.m., sono visibili alcuni ambienti regolari
intagliati nel banco roccioso. All’esterno del complesso si può
ancora seguire l’andamento dei muri perimetrali scavati nella
roccia, mentre all’interno, nella zona centrale, si apre a livello
del piano di calpestio una fossa rettangolare ricolma di terra. Più
a sud alcuni scalini portano sul punto più alto della roccia, in
cui è stata ricavata una piccola conca.Bibliografia: sito
inedito.
21. Caduta (UT 3)(Foglio di mappa 116, particella
70)Definizione: non è possibile formulare ipotesi poiché i reperti
esposti nel Museo Archeologico Badia di Licata non sono
accompagnati da adeguate schede descrittiveCronologia: periodo
arcaico (fine VII-VI secolo a.C.)Descrizione: seguendo la linea
costiera dalla spiaggia di Mollarella verso est, si giunge alla
scogliera della Caduta nel punto in cui il pendio diventa più lieve
(circa 40 m s.l.m.). L’area pare essere densamente frequentata
durante il periodo preistorico (Neolitico-età del Rame-Bronzo),
come testimoniano i frammenti litici e ceramici recuperati durante
la ricognizione e i reperti rinvenuti a partire dagli anni Settanta
dall’Associazione Archeologica Licatese e oggi esposti nel Museo.
L’area sembra essere stata abbandonata a partire dall’età del
Bronzo e rioccupato con la prima colonizzazione greca.Materiali:
durante una perlustrazione di superficie sono stati rinvenuti una
decina di frammenti di ceramica corinzia. Nelle vetrine del Museo,
accanto ai reperti preistorici, sono esposti alcuni reperti di
ceramica greca di produzione corinzia.Bibliografia: sito
inedito.
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11722.
Monte Sole (UT 37)(Foglio di mappa 117, particelle 354, 360,
632)Definizione: insediamento ruraleCronologia: periodo
ellenisticoDescrizione: su un pianoro a circa 95 m s.l.m. sono
localizzate mura e strutture interamente intagliate nel banco
roccioso, probabilmente parte di un insediamento ellenistico
analogo a quelli identificati sui terrazzi circostanti Monte Sole.
Nell’area è stato edificato, intorno alla fine del XIX secolo, un
fabbricato rurale che all’interno custodiva un palmento. La sua
datazione resta incerta, poiché la casa è stata ristrutturata di
recente cancellando ogni traccia dell’antico impianto. Si conserva
ancora, invece, presso il lato settentrionale dell’edificio, un
pozzo per la raccolta delle acque piovane, riadattato circa un
secolo fa, ma con buona probabilità risalente ad età
ellenistica.Bibliografia: sito inedito.
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11823.
Monte Sole (UT 38-48)(Foglio di mappa 118, particelle 8, 13, 11,
17, 21, 81, 858, 860, 861, 862, 863, 864, 865, 867, 868, 869, 870,
875, 882)Definizione: insediamento rurale e produttivo,
necropoliCronologia: periodo ellenistico (IV-III secolo
a.C.)Descrizione: nei fondi di proprietà Pintacorona e Urso è stato
localizzato un importante sito rurale di età elleni-stica. Per
facilitarne la descrizione è stato suddiviso in due terrazze,
rispettivamente superiore e inferiore.UT 42: la terrazza superiore
(150 m s.l.m.), sulla quale è stato edificato un fabbricato rurale,
domina l’area circostante ed è contenuta da un basso muretto,
ricavato dal taglio della roccia, che delimita il lato meridionale
del pianoro; nell’area sono presenti cisterne per la raccolta delle
acque meteoriche, forse collegate da sistemi di canali
sotterranei.UT 40: nel settore nord est della terrazza inferiore
(136 m s.l.m.), a ridosso della parete rocciosa, è stata rinve-nuta
una concentrazione di ceramica comprendente anfore vinarie
greco-italiche e puniche (IV secolo a.C.), di cui alcune recanti
sull’ansa il timbro del fabbricante. Il luogo sembra essere
interpretabile come un magazzino, il cui muro perimetrale, a nord,
è ricavato dalla roccia stessa, mentre i lati sud, est e ovest sono
costruiti con scaglie irregolari di pietre di piccole dimensioni
(Fig. 6, d).UT 41: un’altra concentrazione di reperti è a metà tra
il pianoro superiore e quello inferiore, in cui sembra presente un
ulteriore terrazzamento artificiale e un piccolo ambiente
rettangolare.UT 43: all’estremità orientale del sito doveva
trovarsi la necropoli, dal momento che vi sono state scoperte due
fosse rettangolari scavate nella roccia, di certo parte di un
piccolo sepolcreto.
-
328
Fig. 6 – San Cataldo: scheda n. 18 (a-c). Monte Sole: scheda n.
23 (d-f ).
a
d
f
b
c
e
-
329
Tav. 1 – n. 1, scheda n. 5 (UT 11); nn. 2-12 scheda n. 23 (UT
40).
-
330
Tav. 2 – nn. 13-16, scheda n. 23 (UT 40); nn. 17-18, scheda n.
23 (UT 39); n. 19, scheda n. 23 (UT 46); nn. 20-21, scheda n. 23
(UT 44).
-
331
UT 38: circa 150 m a nord ovest dall’area del deposito di anfore
è stata rinvenuta parte di una piccola vasca di forma rettangolare
(135 m s.l.m.), scavata nella roccia e orientata in direzione
NO/SE, con le pareti e il pavimento ricoperti da uno strato di
intonaco costituito da malta idraulica, analoga agli impianti di
pigiatura localizzati sulla Montagna (Fig. 6, e-f). Il resto della
vasca risulta asportato, probabilmente durante i lavori per la
costruzione della strada poderale, mentre quella di fermentazione,
di solito posta a una quota inferiore, potrebbe essere ancora
interrata.UT 39: pochi metri a sud dell’UT 38 è stata rinvenuta una
concentrazione di ceramica.UT 46: circa 100 m a nord ovest rispetto
al palmento precedentemente descritto, a 137 m s.l.m., su un banco
di roccia calcarea, immerso nella fitta vegetazione di macchia
mediterranea, è localizzato un taglio regolare nella roccia, di
forma rettangolare, parzialmente interrato. L’assenza di intonaco
impermeabilizzante e la sua prossimità all’estremità nord orientale
del sito fanno propendere per una presunta struttura di
avvistamento (torre?).UT 47: più a ovest la roccia risulta
interamente intagliata, a formare ambienti di dimensioni maggiori,
di forma quadrangolare e rettangolare (142 m s.l.m.).UT 44:
sull’affioramento roccioso (132 m s.l.m.), circa 100 m a sud ovest
rispetto all’UT 40, si notano tre vasche parzialmente interrate,
due delle quali comunicanti tramite un piccolo canale di scolo che
si innesta nella parete della vasca.UT 48: un palmento di età
moderna è all’interno del rudere nella proprietà De Ninnis (132 m
s.l.m.): l’impianto ha una vasca in pietra per la pigiatura
dell’uva (fuori contesto), costruita modellando e scavando un
grosso blocco di pietra non ancorato al suolo, di forma
parallelepipeda, con tre lati perfettamente rettilinei e uno
curvilineo, con un foro stretto da cui defluiva il mosto. Per mezzo
di canalette mobili in pietra il mosto confluiva nella vasca
circolare, situata all’interno dell’abitazione. L’impianto dovrebbe
risalire con probabilità al periodo di costruzione del caseggiato
rurale (1860), anche se è stato realizzato sulle fondamenta di una
struttura di età greca.UT 45: un altro luogo fortificato di età
greca sembra essere l’altura posta circa 200 m a sud est rispetto
al fabbricato di proprietà De Ninnis (141 m s.l.m): anche in questo
caso, sulle sue fondamenta fu edificato, alla metà del XIX secolo,
un caseggiato rurale. Questo settore sembra integrarsi con un
sistema di fortificazioni che seguiva la pendenza naturale dei
rilievi, alle sommità dei quali dovevano sorgere postazioni di
controllo.Materiali: dall’UT 40 provengono:Anfore di tipo MGS III:–
un frammento di orlo a sezione a quarto di cerchio, internamente
svasato, su collo cilindrico appena bomba-to. Superfici superiori
leggermente convesse e inclinate verso l’esterno e superfici
inferiori convesse; una lieve solcatura segna lo stacco tra l’orlo
e il collo. Argilla arancio-rosata con piccolissimi inclusi micacei
dorati; la superficie interna ed esterna del collo presenta in
alcuni tratti colorazioni rosse più intense dovute alla cottura
(Tav. 1, n. 2) (cfr. CORRETTI, CAPELLI 2003, tav. LV, 38);– un
frammento di orlo a sezione triangolare, inclinato verso l’esterno,
con superfici superiori lievemente convesse e superfici inferiori
concave; doppia linea incisa tra orlo e collo. Argilla
marrone-camoscio, con piccoli inclusi litici bianchi e bruni (bassa
frequenza) micacei, di colore nero e dorato (media frequenza);
all’esterno superfici camoscio (Tav. 1, n. 3) (cfr. CAMPAGNA 1999,
p. 475, fig. 4, c).– puntale cilindrico con piede a bottone,
interno cavo e allargato alla base, in cui sono visibili le tracce
di tornitura. Fondo esterno concavo. Argilla arancio-rossiccio con
inclusi litici bianchi di piccole e medie dimen-sioni, e
minutissimi inclusi micacei dorati; superfici esterne di colore
arancio-rosata (Tav. 1, n. 4) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 66,
fig. a).Anfore di tipo MGS IV:– un frammento di orlo a sezione
triangolare, con superfici superiori leggermente inclinate verso
l’esterno e lievi solcature orizzontali sulle superfici inferiori.
Argilla marrone-camoscio, con piccoli inclusi litici bianchi e
bruni (bassa frequenza) e micacei, di colore nero e dorato (media
frequenza); all’esterno superfici camoscio (Tav. 1, n. 5);– due
frammenti di orlo a sezione triangolare, con superfici superiori
leggermente concave e inclinate verso l’esterno; lievi solcature
sia sulle superfici superiori che inferiori, delle quali una è
posta tra l’orlo e il collo. Argilla rosso-arancio4, che varia a
seconda dello spessore del frammento; presenza di piccoli inclusi
litici di colore bianco (media frequenza) e bruno (bassa
frequenza); le superfici esterne presentano un ingobbio
grigio-scuro, steso anche internamente nella parte superiore del
collo (Tav. 1, n. 6) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 74, fig.
a).Anfore di tipo MGS III o IV:– un frammento di orlo a sezione
triangolare, con superfici superiori leggermente inclinate verso
l’esterno, sottolineato da una linea incisa che si interrompe in
corrispondenza dell’attacco dell’ansa a sezione ovale e im-postata
orizzontalmente, con impressione alla base. Argilla a pasta
compatta arancio-bruna con piccoli inclusi
4 Alcuni frammenti riferibili a porzioni di collo mostrano un
impasto dal colore rosso intenso, con nucleo di colore grigiastro
dovuto alla cottura; altri, di forma non determinabile ma
probabilmente riferibili al medesimo tipo, presentano un impasto
meno depurato di colore arancio-rosato che, oltre ai frequenti
piccolissimi inclusi litici e micacei di colore bianco e dorato,
contengono inclusi litici di maggiori dimensioni, rossicci e
bruni.
-
332
litici bianchi e bruni (bassa frequenza) e micacei dorati (media
frequenza); all’esterno superfici nocciola-rosato (Tav. 1, n. 7)
(cfr. BARRA BAGNASCO 1989, p. 95, tavv. XXXVII-XXXVIII, 24);– un
frammento di collo con attacco di ansa; sezione ovale con
impressione alla base. Bollo fratturato entro cartiglio
rettangolare. Di difficile lettura, si intravede a malapena
l’ultima lettera ]…M]. Argilla arancio-bruno, con piccoli inclusi
litici bianchi e bruni (bassa frequenza) e micacei, di colore nero
brillante (media frequenza); all’esterno superfici nocciola (Tav.
1, n. 8) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 74, fig. b);– ansa a sezione
ovale. Argilla a pasta compatta di marrone-rossastra con
piccolissimi inclusi micacei dorati e litici di colore nero
brillante (media frequenza); all’esterno superfici nocciola-rosato
(Tav. 1, n. 9);– ansa a sezione ovale impostata sulla spalla
obliqua; sulla curva sommitale dell’ansa, bollo fratturato entro
cartiglio rettangolare [A[. Argilla marrone-rossastra, con piccoli
inclusi micacei, di colore nero brillante (media frequenza);
all’esterno superfici camoscio (Tav. 1, n. 10) (cfr. VAN DER MERSCH
1994, p. 74, fig. b);– un frammento di ansa a sezione ovale, con
bollo fratturato entro cartiglio rettangolare. Due lettere a
rilievo ]AM]. Argilla nocciola, con piccoli inclusi litici dorati
(media frequenza) e neri (elevata frequenza); all’esterno superfici
nocciola (Tav. 1, n. 11) (cfr. VAN DER MERSCH 1994, p. 178, fig.
b).Anfore di tipo MGS VI:– un frammento di orlo a sezione
triangolare, con superfici superiori concave e inclinate verso
l’esterno; lievi solcature orizzontali sulla superficie inferiore.
Argilla nocciola-rossastro, con inclusi litici bianchi (bassa
frequenza), e micacei (media frequenza); all’esterno superfici
nocciola (Tav. 1, n. 12).Anfore corinzie di tipo B’:– ansa a
sezione ovale; sulla curva sommitale è stato impresso un bollo
entro cartiglio circolare, raffigurante un grappolo d’uva
stilizzato. Argilla nocciola-rosato, con rari e minutissimi inclusi
litici dorati; superfici esterne dello stesso colore dell’impasto,
con una tonalità leggermente più chiara (Tav. 2, n. 13) (cfr. BARRA
BAGNASCO 1989, pp. 94-95, tavv. XXXVII-XXXVIII, 21 a, b).Anfore
puniche di tipo Ramon Torres 4.2.1.5:– due frammenti di orlo e
parete di anfora a siluro, con ansa a maniglia impostata sul corpo,
riconducibili a un unico contenitore, di tipologia nordafricana;
orlo pressoché orizzontale e rientrante, “a disco”. Argilla beige,
con nucleo arancio-rosato; piccolissimi inclusi di colore bianco
(bassa frequenza); superfici esterne beige tendenti al verde, in
cui sono marcate le solcature sulle pareti (Tav. 2, n. 15) (cfr.
RAMON TORRES 1995, p. 524, fig. 161, n. 144).Sempre nella stessa
area, a ridosso della parete di roccia, ma forse provenienti dal
terrazzo mediano, sono stati rinvenuti:Vernice nera:– un frammento
di orlo di coppa;Anfore corinzie di tipo A’:– puntale troncoconico,
pieno all’interno; una leggera solcatura lo separa dal ventre a
profilo ovoide. Argilla nocciola con elevata presenza nell’impasto
di tritume ceramico di colore rosso e di inclusi litici bianchi,
grigi e micacei dorati; le superfici esterne presentano la stessa
colorazione dell’impasto (Tav. 2, n. 14).Ceramica comune:– piede di
brocca con fondo piano. Argilla beige con nucleo arancio-rosato e
scarsissima presenza di inclusi; superfici esterne non
perfettamente lisciate di colore beige (Tav. 2, n. 16).Dall’UT 41
provengono:– un frammento di macina in pietra lavica;– una moneta
in bronzo emessa con probabilità dalla zecca di Entella (D/cavallo
in corsa; R/elmo), del peso di 2,7 g (Fig. 7, a) (FREY-KUPPER
2000);– una conchiglia con foro sull’umbone;– tre frammenti di
intonaco di colore celeste.Nell’UT 39 è stata rinvenuta una
concentrazione di frammenti di ceramica con impasto e superfici
omogenee, riferibili con buona probabilità ad anfore di produzione
locale:Anfore di tipo MGS III o IV:– puntale con piede cilindrico a
bottone, internamente cavo e allargato alla base; fondo esterno
concavo. Argilla arancio-chiaro, ricca di minuti inclusi litici
bianchi (elevata frequenza), bruni e dorati (media frequenza); le
superfici esterne si presentano polverose al tatto (Tav. 2, n.
17);– puntale con piede cilindrico a bottone, internamente cavo.
Argilla arancio-chiaro5, ricca di minuti inclusi litici bianchi,
micacei (elevata frequenza), e piccoli e grandi inclusi rossi e
grigi (media frequenza); le superfici esterne si presentano
polverose al tatto (Tav. 2, n. 18).
5 Alcuni frammenti che, per le caratteristiche dell’impasto,
sembrano riferibili allo stesso tipo anforico, presentano un nucleo
interno di colore grigiastro. Sui frammenti di anse rinvenute è
frequente la presenza di una o due impressioni digitali presso il
punto di attacco con il corpo.
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333
Fig. 7 – Monte Sole: scheda n. 23 (a). Colle S. Angelo: scheda
n. 26 (b-c). Colle S. Angelo-Marianello: scheda n. 27 (d-e).
a
e
b
c
d
-
334
Dalle UT 46 e 47 provengono diversi frammenti di ceramica comune
e acroma tra i quali:– un frammento di ansa di anfora a sezione
ovale recante impresso un bollo frammentato entro cartiglio
rettan-golare (caratteri non leggibili); tipo non determinabile.
Argilla camoscio contenente piccoli inclusi litici bianchi, grigi
(bassa frequenza), nero brillanti e micacei dorati (elevata
frequenza) (Tav. 2, n. 19).Dall’UT 44 provengono:Anfore di tipo MGS
III:– un frammento di orlo a sezione a quarto di cerchio; superfici
superiori convesse e inclinate verso l’esterno e superfici
inferiori convesse. Argilla rosso-arancio con nucleo leggermente
più scuro (tendente al grigiastro), con minuti inclusi litici
bianchi, grigi (bassa frequenza) e micacei di colore dorato e nero
brillante (elevata frequenza) (Tav. 2, n. 20).Anfore di tipo MGS
V:– un frammento di orlo a sezione triangolare; superfici superiori
inclinate verso l’esterno e superfici inferiori convesse. Una lieve
solcatura segna lo stacco tra l’orlo e il collo. Argilla nocciola
con minuti inclusi bianchi, rossi e grigi (bassa frequenza) e
micacei di colore dorato e nero brillante (elevata frequenza); Le
superfici esterne presentano un ingobbio beige tendente al giallo
(Tav. 2, n. 21) (cfr. CAMPAGNA 1999, p. 475, fig. 4,
c).Bibliografia: sito inedito.
24. Monserrato (UT 49)(Foglio di mappa 118, particelle 278,
321)Definizione: insediamento fortificatoCronologia:
incertaDescrizione: a circa 123 m s.l.m., blocchi squadrati di
pietra locale di grandi dimensioni appaiono fuori conte-sto, ma
sono collocati in prossimità dalla loro originaria ubicazione:
dovevano far parte di un sistema difensivo che inglobava anche
fondamenta di torri quadrangolari scavate nella roccia. La
struttura non trova confronti puntuali con la fortificazione
ellenistica del phrourion di Monte Sole (cfr. scheda 5), ma
potrebbe far parte di una linea difensiva che controllava il tratto
di costa antistante.Bibliografia: sito inedito.
CATASTO TERRENO AGRIGENTO (U2AV): FOGLIO DI MAPPA N. 11925.
Colle Sant’Angelo (UT 50-52)(Foglio di mappa 119, particelle 509,
1875, 99, 2454, 2456)Definizione: area urbana; nella parte più alta
della collina le case ellenistiche hanno tagliato strutture più
antiche (fattorie?)Cronologia: periodo ellenistico e romano (IV-I
secolo d.C.)Descrizione:UT 50: nel 1986, durante i lavori di
restauro del Castel Sant’Angelo, uno scavo condotto dalla
Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Agrigento ha
permesso l’esplorazione di una serie di ambienti (131 m s.l.m.),
probabilmente con funzione di botteghe, scavati nel banco di roccia
calcarea, orientati in senso N/S e aperti a est. Gli edifici,
contenenti materiali di età ellenistica (metà IV secolo a.C.),
disponevano di impianti di canalizzazione delle acque meteoriche,
raccolte all’interno di cisterne imbutiformi.UT 51: tra il 1988 e
il 1989, invece, è iniziata l’indagine di un settore dell’abitato
ellenistico che si estendeva lungo le pendici orientali di Colle
Sant’Angelo (50 m s.l.m.), sui terrazzi artificiali che costeggiano
via S. Maria. Dei ventuno ambienti scoperti, diciotto, sia per il
cattivo stato di conservazione, sia per l’incompletezza dei dati di
scavo, non hanno fornito elementi utili alla ricostruzione della
consistenza planimetrica. Un solo caso ha chiarito la pianta di un
edificio domestico: cinque ambienti si distribuivano intorno a un
cortile centrale, munito di una cisterna per la raccolta delle
acque piovane. Le pavimentazioni erano di solito in opus signinum,
in alcuni casi con inserzioni di quadretti musivi, mentre gli
elevati erano costruiti in opus africanum. Del piano superiore non
rimane traccia, se non della pavimentazione in cocciopesto
rinvenuta in molti casi all’interno degli strati di crollo.
L’intonaco parietale e i rilievi architettonici in stucco,
anch’essi staccatisi dalle pareti in seguito al disfacimento delle
murature, rientrano tra i motivi del primo e del secondo stile, e
quindi sono ascrivibili tra la seconda metà del II e la prima metà
del I secolo a.C.La ceramica ha consentito di accertare che il
settore indagato è stato edificato nella seconda metà del III
secolo a.C., poco dopo la conquista della Sicilia da parte dei
Romani ed è stato abbandonato alla fine del I secolo a.C. o al più
tardi all’inizio del I secolo d.C.UT 52: nel 1994 è iniziata
l’esplorazione della casa 1, ubicata a una quota altimetrica più
elevata (112 m s.l.m.) e quindi meno soggetta al dilavamento e alle
frane. La casa aveva un piano superiore, intonaci e stucchi dipinti
e modanati sulle pareti e pavimenti che, ad eccezione di un’unica
porzione del cortile ricoperta da piastrelle quadrate in
terracotta, erano generalmente in malta e ciottoli. Si tratta di
una tipica casa ellenistica, con ambienti
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distribuiti intorno a uno spazio aperto compluviato e cisterna
per la raccolta delle acque piovane. La casa era dotata anche di un
sacello domestico (vano 6), con altare a dado e una nicchia
ricavata nella parete di fondo, decorata con figure panneggiate di
cariatidi. Tra gli strati di crollo del piano superiore, nel vano 7
(probabilmente un triclinium), si è rinvenuto un tesoro composto da
oltre 400 monete d’argento, datate agli anni terminali del III
secolo a.C. e da vari monili d’oro.L’indagine è ripresa nel 2003,
con il completamento dello scavo della casa 1 e la scoperta di
altre sei case, tutte con pianta quadrangolare e ingresso est. I
materiali rinvenuti al loro interno sono riferibili a un periodo
compreso tra il II e il I secolo a.C.: l’assenza di sigillata