Proprietà meccaniche dei materiali Obiettivi Imparare definizioni e terminologie relative alle proprietà meccaniche dei materiali 1. Capire il comportamento meccanico dei materiali sottoposti a sollecitazioni semplici 2. E, ovviamente, capire le relazioni tra microstruttura e proprietà meccaniche 1. Metalli 2. Ceramici 3. Polimeri 4. Compositi
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Proprietà meccaniche dei materiali
Obiettivi
Imparare definizioni e terminologie relative alle proprietà meccaniche dei materiali
1. Capire il comportamento meccanico dei materiali sottoposti a sollecitazioni semplici
2. E, ovviamente, capire le relazioni tra microstruttura e proprietà meccaniche
1. Metalli
2. Ceramici
3. Polimeri
4. Compositi
Proprietà meccaniche dei materiali
Le proprietà meccaniche dei materiali ne determinano il comportamento quando siano applicate forze e carichi. La risposta dei materiali alle forze applicate dipende dal tipo di legami, dall’organizzazione strutturale di atomi e molecole e dal tipo e numero di difetti.
Per tale motivo, le proprietà meccaniche sono molto sensibili al tipo di processo a cui è sottoposto un materiale. Si noti, inoltre, che il tipo di sforzo ed il modo in cui viene applicato possono influenzare il comportamento di un materiale in misura superiore di quanto facciano la composizione chimica, il trattamento termico o la temperatura.
Tutti i materiali, dal punto di vista della capacità di sostenere carichi, possono essere suddivisi in 3 grandi categorie:
• Materiali elastoplastici (metalli strutturali)
• Materiali viscoelastici (materie plastiche, gomme, vetro, cemento ed altri materiali amorfi)
• Materiali elastici (cristalli ionici e covalenti)
Tale suddivisione rispecchia i meccanismi coinvolti nella loro deformazione sotto carico.
In buona sostanza sono 3 le tipologie fondamentali di deformazione coinvolti nella risposta di tutti i materiali ingegneristici a forze applicate:
• Elastica
• Plastica
• Viscosa
Sforzo e deformazione
Lo sforzo rappresenta l’intensità della forza di reazione in ogni punto di un corpo in seguito all’imposizione dei carichi di servizio, delle condizioni di fabbricazione e di cambiamenti termici. Lo sforzo viene misurato come la forza agente per unità di area di un piano.
AF
A δδ
σδ 0lim→
=
σ = sforzo
F = forza
A = area
Sforzo
Ogni forza o carico applicato ad un materiale si traduce in sforzi, ogni spostamento indotto si traduce in deformazioni del materiale.
Le forze possono essere statiche o dinamiche. Lo stato degli sforzi statici è di fondamentale importanza nell’ingegneria strutturale.
Ogni stato tensionale statico in un corpo può essere descritto completamente in termini di 3 sforzi definiti su tre piani passanti per il punto e mutuamente ortogonali.
I 3 casi più importanti sono:
1. Trazione o compressione assiale (gli sforzi agiscono in un’unica direzione)
2. Trazione o compressione biassiale
3. Trazione o compressione triassiale
Qualunque sia lo stato tensionale, è sempre possibile individuare 3 direzioni principali in cui gli sforzi sono normali (di compressione o trazione).
In generale, comunque, considerato un qualunque punto di un corpo, gli sforzi che agiscono sui piani passanti per tali punti non sono normali a tali piani, ma hanno componenti normali e tangenziali (o di “taglio”)
Gli sforzi sono compressivi se tendono a portare le varie parti del materiale a maggior contatto, sono di trazione se tendono a separare le varie parti del materiale, sono chiamati di taglio quando sono paralleli ad un piano immaginario passante per un punto.
L’alterazione della forma o dimensione di un corpo in seguito alla presenza di uno sforzo è chiamato deformazione
In analogia agli sforzi, esistono 3 tipi principali di deformazione: a trazione, a compressione e a taglio.
Le deformazioni si esprimono in termini adimensionali come millimetri/millimetri o in percentuale
Deformazione a trazione: εT = ΔL/L0 dove ΔL = L – L0
Deformazione a compressione:εC = ΔL/L0 dove ΔL = L0 – L
Come si può notare, lo sforzo di trazione determina una contrazione perpendicolare alla sua direzione, mentre quello di compressione causa un allungamento
Deformazione
La deformazione a taglio rappresenta l’ampiezza dell’angolo determinato dalla variazione di inclinazione di un certo piano soggetto ad uno sforzo τ di taglio puro rispetto ad una linea ad esso perpendicolare:
L’angolo γ può essere assunto uguale al rapporto aa’/ad Si può dimostrare che lo sforzo di taglio è equivalente ad uno stato tensionale prodotto da una trazione in una direzione (bd) ed una compressione di uguale valore nella direzione perpendicolare (ac)
Una deformazione di taglio puro si verifica in seguito ad una torsione
(per piccole deformazioni)
AC = L
AB = θ · r
ACAB
≈γ
Lr⋅
≈⇒θ
γ
Elasticità
Un materiale si definisce elastico quando la deformazione prodotta in un corpo viene totalmente recuperata all’atto della rimozione della forza che l’ha indotta
La relazione, in campo elastico lineare, tra sforzo e deformazione è definita dalla legge di Hooke, la quale stabilisce che lo sforzo è proporzionale alla deformazione (elasticità lineare) e indipendente dal tempo
Tale legge trova applicazione nei materiali a comportamento elastico, nel limite di deformazioni estremamente piccole
Legge di Hooke generalizzata
Se consideriamo un volumetto infinitesimo di un materiale soggetto ad uno stato tensionale, lo stato di sforzo in quel punto del materiale può essere individuato con 9 componenti, 3 per ciascuno degli assi di riferimento del cubetto elementare
Si possono individuare 3 sforzi perpendicolari alle facce del cubo e 6 componenti tangenziali:
zyzxzz
yzyxyy
xzxyxx
ττσ
ττσ
ττσ Componenti dello sforzo agenti sul piano di normale x
Componenti dello sforzo agenti sul piano di normale y Componenti dello sforzo agenti sul piano di normale z
Da considerazioni di equilibrio, discende che:
zxxzzyyzxyyx ττττττ === ;;
Quindi lo stato tensionale in un punto può essere specificato in modo completo attraverso 6 componenti indipendenti:
• 3 componenti normali (σxx, σyy, σzz)
• 3 componenti tangenziali (τxy, τyz, τxz, )
Per convenzione, gli sforzi normali si considerano positivi se di trazione e negativi se di compressione
Per ogni componente dello sforzo vi è una componente della deformazione Lo stato di deformazione in un punto è, in analogia, definito attraverso 6 componenti:
• 3 componenti normali (εxx, εyy, εzz)
• 3 componenti di taglio (γxy, γyz, γxz, )
In un materiale anisotropo uno sforzo di compressione pura (ad es. σxx) non determina necessariamente una deformazione pura di compressione (εxx), ma può anche determinare ogni altro tipo di deformazione
Nel caso di materiali isotropi ogni sforzo determina la corrispondente deformazione
In un materiale anisotropo una singola componente dello sforzo può determinare più di un tipo di deformazione
Quindi, in generale, le relazioni lineari elastiche tra componenti dello sforzo e della deformazione sono dati dalla seguente forma generalizzata della legge di Hooke:
yzxzxyzzyyxxxy
yzxzxyzzyyxxxz
yzxzxyzzyyxxyz
yzxzxyzzyyxxzz
yzxzxyzzyyxxyy
yzxzxyzzyyxxxx
CCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCCC
γγγεεετ
γγγεεετ
γγγεεετ
γγγεεεσ
γγγεεεσ
γγγεεεσ
666564636261
565554535251
464544434241
363534333231
262524232221
161514131211
+++++=
+++++=
+++++=
+++++=
+++++=
+++++=
Se ne deduce che vi sono 36 possibili costanti elastiche
Si può, comunque, dimostrare che:
C12 = C21 ; C13 = C31 ; C32 = C23 e così via
⇒ Vi sono solo 21 costanti elastiche necessarie a definire il comportamento elastico-lineare di un materiale anisotropo privo di qualunque simmetria (cristalli triclini)
Il numero di costanti elastiche si riduce all’aumentare della simmetria.
simmetria ORTOROMBICA → 9 costanti indipendenti
simmetria TETRAGONALE → 6 costanti indipendenti
simmetria ESAGONALE → 5 costanti indipendenti
simmetria CUBICA → 3 costanti indipendenti
materiale ISOTROPO → 2 costanti indipendenti
Queste costanti sono anche denominate MODULI ELASTICI
Moduli elastici (o di elasticità)
1) Modulo di elasticità a trazione “E”
E = σT/εT
2) Modulo di compressibilità (bulk modulus) “K”
È definito come il rapporto tra pressione idrostatica e cambiamento relativo di volume risultante. V0 = volume iniziale
0/VVavolumetricnedeformaziosforzoK
Δ==
σ
3) Modulo di rigidezza o “di taglio” “G”
4) Un’altra costante elastica importante è il modulo di Poisson “ν”
Esso è definito come il rapporto tra la deformazione di contrazione laterale e l’allungamento quando un corpo è soggetto a trazione uniassiale
Nel caso di un materiale isotropo a comportamento elastico lineare, solo due di questi moduli sono sufficienti a descriverne il comportamento; gli altri due possono essere calcolati noti che siano i primi due
γτ
=G τ = sforzo di taglio
γ = deformazione a taglio
alelongitudinnedeformaziolateralenedeformazio
−=ν
Relazione tra modulo K e modulo E
Si cosideri un cubetto sottoposto ad uno sforzo di trazione (σT). Il cubo si allunga nella direzione CD e la deformazione longitudinale è pari a εT = σT/E (legge di Hooke).
Allo stesso tempo si avrà una contrazione nelle direzioni AB e CB determinando delle deformazioni di contrazione trasversale pari a –νεT nella direzione AB e –νεT nella direzione CB
B A
C
D
σT
σT
Se consideriamo un volume unitario iniziale, il volume del cubo dopo la deformazione sarà pari a:
Se applichiamo ora degli sforzi di trazione di uguale intensità anche nelle altre due direzioni mutuamente ortogonali, vista l’isotropicità del materiale, si ricava che la variazione totale di
volume è pari a:
Poiché, per definizione, K = sforzo/(ΔV/V) e poiché V è unitario:
( )νε 213 −⋅=Δ TV
( ) ( )ννεσ
213213 −=⇒
−⋅=
EKKT
Per i materiali isotropi
Se il volume di un materiale non cambia in seguito a compressione (materiale incomprimibile), allora :
Cioè, per un materiale incomprimibile, il modulo K è infinitamente grande
⇒=−⇒=Δ 0210 νV 21
=ν ⇒ ∞=K
Con procedimenti analoghi si ottiene che:
( )ν+=12EG
GKE 31
911+= Per i materiali
isotropi
Per i materiali incomprimibili (es. gomme) → E=3G
Nel caso di liquidi puramente viscosi, l’unico modulo elastico che può definirsi è K
Relazione tra modulo G e modulo E
Esemplificazioni
Caso generale:
C
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
⋅
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
=
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
yz
xz
xy
zz
yy
xx
yz
xz
xy
zz
yy
xx
CC
CC
γ
γ
γ
ε
ε
ε
τ
τ
τ
σ
σ
σ
6661
1611
............................
....
Per un cristallo singolo CUBICO => 3 costanti indipendenti
⇒
⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥⎥
⎦
⎤
⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢⎢
⎣
⎡
= •
••
44
44
44
111212
121112
121211
000000000000000
000000000
CC
C
CCCCCCCCC
C
yzxy
xzxz
xyyz
zzyyxxzz
zzyyxxyy
zzyyxxxx
CCC
CCCCCCCCC
γτ
γτ
γτ
εεεσ
εεεσ
εεεσ
44
44
44
111212
121112
121211
=
=
=
++=
++=
++=
Per un materiale ISOTROPO, 2 costanti indipendenti
( )( )
( )
yzyz
xzxz
xyxy
zzyyxxzz
zzyyxxyy
zzyyxxxx
GGG
GG
G
γτ
γτ
γτ
εεεσ
εεεσ
εεεσ
=
=
=
+Γ+Γ+Γ=
Γ++Γ+Γ=
Γ+Γ++Γ=
2
2
2
con: ( )( )
( )ν
ννν
+=
−+=Γ
12
211EG
E
Per un carico uniassiale in direzione x:
xxxx Eεσ = poiché xxzzyy νεεε −==
0===== xyxzyzzzyy τττσσ
Il valore dei moduli elastici dipende dall’entità delle forze interatomiche ed intermolecolari: i moduli di elasticità di composti covalenti sono molto elevati. Solidi amorfi molecolari (gomme e alcune materie plastiche) e cristalli molecolari hanno valori dei moduli relativamente bassi
Inoltre, in genere, i moduli tendono a diminuire all’aumentare della temperatura
Un’eccezione a tale comportamento è quello delle gomme e di alcuni polimeri che presentano un incremento del modulo con la temperatura: ciò è legato alla natura prevalentemente entropica (piuttosto che energetica) dell’elasticità
Nel caso di materiali anisotropi occorrono più di due costanti elastiche per caratterizzare il comportamento meccanico.
Ad es., nel caso del legno, occorrono 9 costanti elastiche: 3 moduli di elasticità (longitudinale, EL, radiale ER, tangenziale ET) 3 moduli di Poisson e 3 moduli di rigidezza G
Nel legno EL >> ER ed ET
Deviazioni dal comportamento elastico lineare
Il comportamento elastico lineare è di solito osservato solo per deformazioni molto piccole. Infatti, in molti casi l’andamento è curvilineo ed il modulo può ottenersi dalla tangente o dalla secante alla curva sforzo-deformazione e, ovviamente, cambia con la deformazione.
In figura è riportato il caso di tre tipologie di cemento, a titolo di esempio.
Le gomme sono anch’esse caratterizzate da comportamento elastico non lineare che si estende per range di deformazioni che sono 1’000-10’000 volte più grandi rispetto agli altri materiali
Effetto termoelastico
Quando un campione metallico viene stirato rapidamente, il suo volume aumenta e la sua temperatura diminuisce. Se il campione rimane sottoposto al carico costante per un tempo sufficiente, si riscalda sino a raggiungere la T ambiente e si espande (linea AB)
Se poi si scarica il materiale alla stessa velocità di carico, esso si contrae adiabaticamente (linea BC); la sua temperatura aumenta ed il volume diminuisce. Se lo si mantiene per un tempo sufficiente in tale stato, esso si raffredda sino a T ambiente contraendosi ulteriormente (linea CO)
Se invece un campione viene deformato a trazione ad una velocità tale che la sua temperatura si mantiene costante, il modulo di elasticità isotermo sarà rappresentato dall’andamento OB come può notarsi dalla figura (a), il modulo adiabatico (linea OA) è più elevato di quello isotermo (linea OB)
Nella pratica, le deformazioni non sono mai adiabatiche poiché c’è sempre uno scambio termico con l’ambiente circostante ed il diagramma sforzo-deformazione assume la forma riportata in (b).
Questo comportamento isteretico è legato all’energia dissipata come calore durante il carico e scarico del materiale. Tale riscaldamento o raffreddamento del materiale associato alla deformazione è denominato EFFETTO TERMOELASTICO e può essere rappresentato dalla relazione:
( )νρα
ε 21−−=⎟
⎠
⎞⎜⎝
⎛∂
∂
VS CTET
Dove: = cambiamento di T con la deformazione, ε, ad entropia, S,costante (trazione o compressione adiabatica)
ν = modulo di Poisson
ρ = densità
α = coefficiente di espansione termica
E = modulo di Young
CV = Capacità molare a volume costante
( )S
Tε∂
∂
Quasi tutti i materiali si espandono per riscaldamento, pertanto
α > 0 e , indicando che all’aumentare della deformazione la T decresce.
Per le gomme α è negativo ed, in contrasto con i metalli, le gomme si riscaldano in trazione e l’orientazione delle macromolecole è accompagnata dall’evoluzione di calore. Quando il carico viene rimosso le molecole tendono a riportarsi nella condizione iniziale assorbendo energia e questo comporta il raffreddamento
( ) 0<∂∂
ST
ε
Anelasticità
Tale comportamento può derivare a causa di diffusione di atomi interstiziali o di atomi sostituzionali o a causa di difetti al bordo dei grani cristallini o a causa delle dislocazioni
Questo effetto di elasticità ritardata è detto EFFETTO ANELASTICO
Come illustrato in figura, quando un materiale è caricato, presenterà una certa deformazione elastica costante, ε1, seguita da una deformazione elastica differita o ritardata, ε2, nel corso del tempo t, che tende asintoticamente ad un valore finale
Se si rimuove il carico, vi è un recupero elastico istanteneo della deformazione, ε1, seguito da un recupero ritardato, ε2
carico scarico
tempo
defo
rmaz
ione
effetto anelastico
Giochiamo a fare gli ingegneri Progettazione in campo elastico
Flessione elastica di travi
F F
x
u δ
La teoria della trave elastica fornisce l’andamento dello sforzo indotto dal momento flettente M =F x come
I è il momento di inerzia della sezione, definito come
La massima freccia, calcolata integrando la (i), vale
σ =MIy = E d
2udx2
I = y2 dAsezione A∫
δ =FL3
C1EI
(i)
Progettazione di una trave leggera e rigida, soggetta a flessione
Hp: imponiamo la forma della sezione della trave, per semplicità, ad esempio, quadrata di sezione A=b x b
La funzione obiettivo sulla massa è
La rigidezza è
Il momento di inerzia è
Per una data lunghezza L, la rigidezza S viene ottenuta modificando la geometria. Eliminando b nella funzione obiettivo
m = ALρ = b2Lρ
S = Fδ=C1EIL3
I = b4
12
m =12SL3
C1
!
"#
$
%&
1/2
L ρE1/2!
"#
$
%&
Le grandezze S, L e C1 sono tutte definite. I migliori materiali per una trave leggera e rigida sono quelli che presentano il
valore più basso di
Se vogliamo lavorare massimizzando l’obiettivo, invertiamo
ρ / E1/2
Obmax =E1/2
ρ
Obmax =E1/2
ρ
Obmax =E1/2
ρCm
Plasticità e flusso
Molti materiali, quando sollecitati oltre un certo limite, mostrano una deformazione permanente non recuperabile
Essa è chiamata DEFORMAZIONE PLASTICA ed è il risultato di uno spostamento permanente di atomi o molecole o gruppi di atomi e molecole dalle loro posizioni reticolari originali
Gli atomi e le molecole che si sono spostati non fanno ritorno nelle posizioni originarie, una volta rimosso il carico
Se un materiale, sottoposto ad un carico costante di entità sufficiente, mostra una deformazione che aumenta in modo continuo, tale fenomeno viene denominato FLUSSO. Il flusso è un fenomeno tipico di sostanze liquide e gassose sottoposte ad uno sforzo di taglio. Tuttavia, anche molte sostanze solide possono mostrare flusso, se sottoposte per un tempo sufficiente a carichi elevati
Nella maggior parte dei casi, i materiali allo stato solido mostrano un comportamento elastico, a basse deformazioni, che precede lo scorrimento plastico. Tale comportamento è riportato, in termini del tutto schematici, in figura, dove è rappresentato un comportamento elastico ideale seguito da uno plastico ideale
Il meccanismo di deformazione plastica è sostanzialmente diverso nel caso di un solido cristallino rispetto ad un solido amorfo
I materiali cristallini subiscono deformazione plastica in seguito allo scorrimento relativo dei piani cristallini in direzioni definite
Nei materiali amorfi la deformazione plastica si verifica quando singole molecole o gruppi di molecole scorrono le une rispetto alle altre
Nella maggior parte dei casi lo scorrimento plastico in cristalli singoli si verifica per slittamento relativo dei piani cristallini, in seguito all’azione di sforzi di taglio
Deformazione plastica di un cristallo singolo
Lo slittamento (slip) rappresenta uno spostamento rilevante di una parte del cristallo rispetto ad un’altra ed avviene lungo particolari piani cristallografici ed in particolari direzioni cristallografiche (piani e direzioni di scorrimento)
Piano di slip
Direzione di slip
Direzione del carico
Come abbiamo già discusso i piani di slip sono di solito quelli a maggiore densità di impaccamento. Ad es. ricordiamo che metalli fcc hanno 4 piani indipendenti di slip (1 1 1), ognuno contenente 3 direzioni di slip => 12 sistemi di scorrimento
I sistemi di slip più frequenti per 3 strutture tipiche sono riportati in tabella
Struttura Piano di slip
Direzione di slip
fcc (1 1 1) <1 1 0>
bcc (1 1 0) <1 1 1>
hcp (0 0 0 1) <1 1 2 0>
Riprendiamo un altro concetto già introdotto: un cristallo soggetto ad un carico di trazione che agisca in una certa direzione è sottoposto ad una forza di trazione che può essere scomposta in una componente normale al piano discorrimento ed una componente di taglio che giace su di esso
Sforzo critico di taglio
Se con α indichiamo l’angolo tra il piano di slip e la direzione del carico, l’area di tale sezione è pari a A/sinα (dove A è l’area della sezione retta). Lo sforzo che agisce sul piano di slip è, pertanto, (F/A)sinα. La sua componente tangenziale è τ=(F/A)sinαcosα
⇒ τ = (F/A)sinαcosα = σTsinαcosα
Lo sforzo di taglio sul piano di scorrimento è massimo quando α = 45°
⇒ τmax = σT/2
Piano di slip Direzione di slip
Direzione del carico
Normale al piano
di slip
Definizione della componente di sforzo di taglio risultante, τ, che direttamente produce la deformazione plastica (con azione di taglio) come risultato dell’applicazione di uno sforzo di trazione, σ.
ϕλσϕλϕλ
τ coscoscoscoscos/cos
===AF
AF
ϕλστ coscosc <
ϕcos' AA =
λcosF
Sforzo critico di taglio
Si può, a questo punto, valutare la componente dello sforzo τ su una delle direzioni di slip lungo la linea “mn”. Tale componente nella direzione di scorrimento (τDS) determina lo scorrimento se supera un valore critico denominato sforzo di taglio critico
Condizione di scorrimento
⇒> criticoDS ττ criticoT τθαασ >coscossin
θττ cos=DS
Ci sono condizioni di flusso plastico possibile per un cristallo quando τDS < τcritico
Questo fenomeno, che introdurrremo più avanti, è denominato CREEP ed avviene in corrispondenza di velocità di deformazione molto basse e di temperature piuttosto elevate
Com’è ovvio attendersi da quanto illustrato in precedenza, benchè τcritico sia una caratteristica del materiale e della specifica direzione di slip, l’entità dello sforzo di trazione (F/A) necessario ad indurre scorrimento nel cristallo, dipende dall’orientazione del piano di slip e della direzione di slip rispetto a quella del carico
In altre parole, valori diversi dello sforzo di trazione sono richiesti, in dipendenza del valore di λ e φ, per causare uno sforzo di taglio che, quando “risolto” lungo la direzione di slip, ha un valore > τcritico
Se consideriamo materiali policristallini, poiché ci sono molti cristalli, orientati a caso, si verificherà sempre la circostanza che un grosso numero di piani di scorrimento siano orientati in modo tale da favorire lo scorrimento, indipendentemente dalla direzione del carico
È anche importante notare che lo scorrimento determina sia un moto traslatorio lungo i piani di scorrimento, che una rotazione del campione rispetto all’asse del carico. Pertanto l’angolo tra asse del carico e piano di slip cambia nel corso della trazione
Lo scorrimento non è l’unico tipo di deformazione che può avvenire in un cristallo. Alcuni cristalli possono deformarsi per twinning (dall’inglese twin, gemello => creazione di zone gemelle) In pratica, quello che accade è che gli atomi di una parte di un cristallo soggetto ad uno sforzo si riorganizzano così che una parte del reticolo diviene immagine speculare di un’altra parte. Ogni piano atomico trasla nella stessa direzione per un ammontare proporzionale alla sua distanza dal piano di twinning
TWINNING
In genere, il twinning richiede sforzi di taglio più elevati dello slip; in genere è relativamente poco importante nei fenomeni di deformazione plastica. Diviene importante laddove, come nei metalli a struttura esagonale (Mg) i sistemi di scorrimento sono in numero limitato. Il twinning può essere causato da impatto, trattamento termico e da deformazione plastica. È frequente in hcp e bcc
Ci proponiamo di valutare τcritico per un singolo cristallo. Consideriamo un cristallo idealmente perfetto di un metallo ed individuiamo due file di atomi dello stesso
Resistenza ideale a taglio di un cristallo
Lo sforzo necessario a produrre uno slittamento di entità x è una funzione di x ed aumenta sino al raggiungimento del valore massimo (τcritico)
L’ulteriore slittamento si verifica in corrispondenza di uno sforzo decrescente
La curva sforzo-deformazione può approssimarsi con una curva sinusoidale di lunghezza d’onda pari alla distanza interatomica (d)
dx
criticoπ
ττ2sin⋅=
Per piccoli valori di x (piccole deformazioni) è possibile applicare la legge di Hooke:
, avendo posto
Se consideriamo x piccoli, si può inoltre assumere
Calcoli più precisi indicano che, in realtà, la resistenza teorica di un metallo è compresa tra G/30 e Gd/(2πa), valori che sono di molte volte più grandi del valore effettivamente riscontrato sperimentalmente
⇒ Si è introdotto il concetto di deformazione plastica per moto delle dislocazioni, per spiegare tale incongruenza
axG
=τax
=γ
⇒⋅≅=⇒≅dx
axG
dx
dx
CRπ
ττππ 222sin
adG
CR πτ
2≅
Le forze richieste per far muovere una dislocazione sono molte volte più basse di quelle occorrenti a superare il limite elastico di un cristallo perfetto
Si può, infatti, dimostrare che lo sforzo necessario a determinare il moto di una dislocazione e, quindi, lo scorrimento plastico, è paria a:
Dislocazioni e deformazione plastica
( ) ⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡−=⎥⎦
⎤⎢⎣
⎡
−−=− b
wGbaGNP
πνπ
τ2exp
12exp
Sforzo di
“PEIERLS – NABARRO”
≡−
=ν1awcon ampiezza della dislocazione
b
a
Le dislocazioni possiedono una certa energia deformazionale, associata al lavoro di deformazione elastica fatta sul cristallo
Nell’intorno della linea di dislocazione, sono dunque presenti degli sforzi. C’è, dunque, nel materiale, uno stato tensionale associato alla presenza delle dislocazioni, che si somma allo stato tensionale determinato dalle forze esterne
Energia delle dislocazioni
La facilità con la quale si muovono le dislocazioni per effetto di uno sforzo applicato determinano la duttilità del materiale
Generalmente i materiali metallici sono resistenti a scorrimento plastico o quando la densità delle dislocazioni è bassa o quando il moto delle dislocazioni è impedito
Infatti il τcritico aumenta se sono presenti degli ostacoli. Tali ostacoli possono essere: particelle di precipitati, atomi in soluzione solida, confini dei grani cristallini, altre dislocazioni (vedi, ad es., il caso della lavorazione a freddo che determina un aumento della resistenza allo scorrimento plastico tramite la creazione di una “foresta di dislocazioni”)