1 Università degli Studi di Padova Dipartimento di Scienze del Mondo Antico Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze Linguistiche, Filologiche e Letterarie Indirizzo di Filologia Classica XXIV Ciclo Prolegomeni a un nuovo testo di Marco Aurelio Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Rosanna Benacchio Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Lorenzo Nosarti Supervisore: Ch.mo Prof. Davide Susanetti Dottorando: Matteo Ceporina
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Prolegomeni a un nuovo testo di Marco Aurelio - Padua@Research
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Università degli Studi di Padova
Dipartimento di Scienze del Mondo Antico
Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze Linguistiche, Filologiche e Letterarie
Indirizzo di Filologia Classica
XXIV Ciclo
Prolegomeni a un nuovo testo di Marco
Aurelio
Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Rosanna Benacchio
Coordinatore d’indirizzo: Ch.mo Prof. Lorenzo Nosarti
Supervisore: Ch.mo Prof. Davide Susanetti
Dottorando: Matteo Ceporina
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Haec apud nos quoque nuper ratio ad certum perduxit. Veniet tempus, quo ista,
quae nunc latent, in lucem dies extrahat et longioris aevi diligentia. Ad
inquisitionem tantorum aetas una non sufficit, ut tota caelo vacet; quid quod tam
paucos annos inter studia ac vitia non aequa portione dividimus? Itaque per
successiones ista longas explicabuntur. Veniet tempus, quo posteri nostri tam
aperta nos nescisse mirentur.
Sen. NQ. VII. 25. 3-5.
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Ipsi illi philosophi etiam in eis libellis quos de contemnenda gloria scribunt nomen
suum inscribunt; in eo ipso in quo praedicationem nobilitatemque despiciunt
praedicari de se ac se nominari volunt.
Cic. Pro Archia XI. 26
La piccola mia lampa
non, come sol, risplende,
né, come incendio, fuma;
non stride e non consuma,
ma con la cima tende
al ciel che me la diè.
Starà su me, sepolto,
viva; né pioggia o vento,
né in lei le età potranno;
e quei che passeranno
erranti, a lume spento,
lo accenderan da me.
Niccolò Tommaseo
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7
ESTRATTO
Il lavoro mira a recensire criticamente i risultati ottenuti da J. Dalfen, l‘ultimo
editore dell‘ di Marco Aurelio, in vista di una nuova edizione del testo.
Esso consta di due parti, tra loro nettamente distinte.
La prima discute la cronologia dell‘opera, dai tempi della sua stesura alle
conoscenze che se ne ebbero nella tarda antichità. Dopodiché si prende in esame la
tradizione indiretta, con particolare riguardo per gli estratti conservati nel lessico
Suida e per le parafrasi che si leggono nelle opere di Joseph Bryennius. La
recensione di tutte le testimonianze manoscritte impone di rivedere lo stemma
codicum disegnato da J. Dalfen: una nuova collazione del codice Darmstadtinus
2773 (=D) dimostra la sua totale dipendenza dal Vaticanus Graecus 1950 (=A).
Segue quindi la storia della critica, dall‘editio princeps di G. Xylander nel 1559,
all‘edizione di P. Hadot, rimasta incompiuta nel 1998.
I dodici capitoli che costituiscono la seconda parte della dissertazione sono
dedicati a segnalare in dettaglio tutte le discrepanze dal testo costituito da J. Dalfen.
Per quel che concerne la preferenza da accordare ai singoli testimoni, la scelta
ricade sul testo dell‘editio princeps ogni volta che sia possibile. Il nuovo approccio
è caratterizzato da un atteggiamento molto più conservativo verso il testo tradito: la
maggior parte delle espunzioni operate da J. Dalfen, che costituisce il nucleo della
cosiddetta teoria delle interpolazioni, viene rifiutata sulla base dell‘usus scribendi
dell‘autore o di altre occorrenze parallele nell‘opera. Grande attenzione è dedicata
infine alle peculiarità linguistiche e stilistiche dell‘ e ai suoi rapporti
con il modello costituito dalle Diatribe di Epitteto.
8
ABSTRACT
The present work aims for a critical review of the results achieved by J. Dalfen,
the last editor of Marcus Aurelius‘s Meditations, before a new edition of the text.
It consists of two parts, clearly different from one another.
The first one discusses the chronology of the work, from the alleged time of its
composition to the knowledge that other writers or philosophers had of it in the late
antiquity. Secondly it takes into consideration the indirect tradition, with the utmost
care for the extracts of the Meditations preserved by the Byzantine lexicon Suida
and for the paraphrases of them that one can read in the works of Joseph Bryennius.
The recension of all the manuscript sources forces us to modify the stemma
codicum drawn by J. Dalfen: the new collation of the Darmstadtinus 2773 codex (=
D) shows its overall dependence upon the Vaticanus Graecus 1950 (= A). The
history of the textual criticism follows afterwards, from the editio princeps issued
by G. Xylander in 1559, to the edition of P. Hadot, that has been left incomplete in
1998.
The twelve chapters that make up the second part of the dissertation are devoted
to mention all the differences from the text constituted by J. Dalfen down to the last
detail. As to the weight to attach to the single witnesses, the text of the editio
princeps is chosen every time it‘s possible. The new approach is characterized by a
far more preservative attitude toward the transmitted text: the greatest part of the
expunctions carried out by J. Dalfen, that account for the kernel of the so-called
theory of the interpolations, are refused on the strength of the author‘s usus
scribendi or the other parallel passages of the work. Finally the greatest attention is
paid both to the linguistic and the stylistic features of the Meditations and to its
relationship with the model represented by Epictetus‘s Discourses.
La dissertazione presente, pur contemplando un quadro d‘assieme degli studi
sull‘ di Marco Aurelio, nasce però dalla più modesta ambizione di
recensire criticamente i risultati ottenuti dall‘ultimo editore del testo. Sono trascorsi
ormai trent‘anni dalla pubblicazione, per i tipi di Teubner, della prima edizione
curata da J. Dalfen, più di venti dalla seconda, rimasta, da allora, sostanzialmente
immutata: la necessaria lontananza dagli eventi, prodotta da un diaframma
temporale così vasto, impone ora un ripensamento complessivo.
La filologia italiana dell‘ultimo ventennio non ha certo mancato di produrre
sforzi significativi in questa direzione, ma con effetti quanto mai deludenti. È noto
come le più gravi riserve siano state espresse a proposito della poco felice
propensione di Dalfen a rintracciare nel testo, e a espungere, diversi passaggi
condannati come spuri: sulla concreta possibilità di ricostruire la storia di tali
interpolazioni, glosse interlineari e scolii marginali per lo più, successivamente
penetrati tra le parole dell‘autore e con esse confusi, l‘editore fonda le sue più
ottimistiche speranze di costituire uno stemma codicum pienamente affidabile1.
Ciononostante, per quanto i validissimi contributi di E. V. Maltese consentano ora
di rigettare la maggior parte delle espunzioni di Dalfen, perseverano però
nell‘additare il testo da lui costituito come l‘orizzonte imprescindibile, dal quale
dipendono integralmente. Perfino l‘eccellente lavoro di G. Cortassa, che pure
ritorna con vantaggi evidenti alla vulgata di Farquharson, plaude allo stemma
disegnato da Dalfen come a una salutare novità. Una novità molto insidiosa.
L‘appiglio più solido alla fondatezza delle proprie teorie è rintracciato da Dalfen
nelle varianti esibite dal codice D, un manoscritto che Paul Maas invitava però a
eliminare dalla recensio, perché semplicemente descriptus, non meno di trent‘anni
prima2. Per la stessa ragione la monumentale intrapresa di P. Hadot, se mai vedrà
una conclusione, rischia, nei fatti, di nascere già morta3. Quanto poi all‘effettivo
valore da attribuire agli excerpta contenuti nei codici che fanno capo alle attuali
classi W e X, è paradossale come nessuno dei numerosi recensori di Dalfen abbia
evidenziato che considerare spurie le uniche parole da essi indipendentemente
trasmesse comporta necessariamente annichilirne il valore di testimonianza
autonoma4: un valore, peraltro, quanto mai discutibile, a dispetto di tutto il credito
che l‘editore sembra disposto a concedere loro5. La spiccata predilezione che
Dalfen denuncia per A non può far dimenticare un altro dato di fatto essenziale: se
si prescinde volutamente dal testo dell‘editio princeps, l‘opera non si può affatto
leggere. Non ci è dato di sapere con che grado di fedeltà T riproduca le lezioni del
codex Toxitanus: è giocoforza affidarsi in questo all‘onestà di Xylander. Dove però
non emergano significativi indizi del contrario, non c‘è nulla che dia adito ai
sospetti di pesanti interpolazioni del manoscritto originale. Piuttosto che
lamentarne senza costrutto la perdita, varrebbe forse la pena di rassegnarsi
all‘evidenza e di saggiare il peso effettivo dell‘unica testimonianza veramente
attendibile in nostro possesso.
1 Dalfen 1978, p. VII-VIII. La garbata polemica è indirizzata contro il sano buon senso di J. H.
Leopold e dei molti editori che ne condividono le prospettive. 2 Nella dettagliatissima bibliografia compilata da Dalfen, non c‘è alcuna traccia dell‘articolo di
Maas: una menzione cursoria s‘incontra soltanto a p. XXII della sua prefazione. 3 Hadot 1998, p. CCIII-CCIV dichiara espressamente il debito contratto con le conclusioni di Dalfen
sullo studio dei manoscritti. Il suo giudizio sul codice D è altrettanto deludente: ibid., p. CXCVIII. 4 Si tratta della pericope che si legge in V 8
12.
5 In realtà non si è affatto lontani dal vero se si attribuiscono tutte le buone lezioni offerte da W e X
ai plausibili emendamenti congetturali dei copisti o dei grammatici preposti alla revisione di quel
testo.
16
17
L‘A se stesso tra
produzione e ricezione
18
19
La datazione dell‘
Ben poco si può dire di certo sulla datazione e sui tempi di stesura di questa
raccolta di scritti, a cui Marco Aurelio dava il generico nome di , ch‘è
quanto dire ‗appunti‘ o ‗noterelle‘.6 Non disponendo di alcun dato sicuro sulla
cronologia dell‘ , è impossibile affermare che si tratti dell‘opera di tutta
una vita.7 Ciononostante la frammentarietà e l‘eterogeneità dei vari capitoli, nonché
la discontinuità della scrittura, ora raffinata e sapientemente costruita, ora nuda o
meno sorvegliata, farebbero pensare a un arco di tempo piuttosto ampio, forse di
diversi anni. I riferimenti all‘età avanzata dell‘imperatore sono troppo diffusi per
non destare il sospetto che almeno una parte dell‘opera risalga al periodo della
tarda maturità, successivamente all‘ascesa al trono.8 Scarsi gli accenni all‘attualità
o ad episodi biografici di rilievo. Due capitoli dell‘ottavo libro sono certamente
posteriori alla morte del fratello adottivo Lucio Vero, avvenuta nel 169 d.C.9 Il
ricordo della peste ci riporta con tutta probabilità ad un periodo non anteriore al
166, l‘anno in cui, secondo le fonti, le legioni di Vero, vittoriose sul fronte
mesopotamico, diffusero il contagio in Occidente.10
Il riferimento ai Sarmati
richiama in certo qual modo le operazioni militari condotte da Marco Aurelio sul
fronte nord-orientale a partire dal 174,11
ma non è necessariamente legato ad un
particolare evento, quale, ad esempio, l‘acquisizione del titolo di Sarmaticus nel
175 o la celebrazione del trionfo a Roma dell‘anno successivo. Qualche altra
inferenza è possibile, ma senza sapere per quale porzione di testo valgano
esattamente certi termini post quos: il duplice ritratto di Antonino Pio pare
senz‘altro un omaggio postumo (col che saremmo dopo il 161: l‘indicazione è
comunque alquanto vaga),12
mentre ogni altro appiglio è talmente incerto da non
meritare neppure di essere ricordato.
Le due iscrizioni interne dovrebbero fornire delle indicazioni più precise per la
datazione, ma, di fatto, non sono decisive. La prima, nell‘editio princeps di
Xylander, si legge in coda al libro primo: «Scritto nel territorio dei Quadi, presso il
fiume Granua. I».13
Data però la tardività del primo libro, che risulta, per unanime
riconoscimento, una sorta di introduzione all‘opera, si preferisce spostare la
subscriptio sopraddetta al secondo libro (che diverrebbe così «il primo libro scritto
durante la campagna contro i Quadi»), facendone l‘intestazione. La seconda,
invece, si trova all‘inizio del III libro: «Scritto a Carnunto».14
Ma si riferisce
davvero solo al III libro o anche a uno o più dei seguenti? È difficile pronunciarsi,
visto che nulla garantisce che l‘attuale divisione in libri rispecchi lo stato
dell‘originale. Il fiume Granua (oggi Gran o Hron) è un affluente del Danubio.
Carnunto, non lontana, è oggi Petronell (vicino a Bad-Deutsch-Altemburg), non
distante da Vienna e Bratislava, e ospita rovine significative. Lì Marco Aurelio
6 III 14. 1.
7 Il quadro generale della cronologia dell‘ è abbozzato da Haines 1914, p. 278-295.
Ulteriori precisazioni vengono da Brunt 1974, p. 18-19. La questione è ora ridiscussa nei dettagli da
Hadot 1998, p. XLVI-LIII. 8 Vd. soprattutto VI 30. 1. In II 2. 4 Marco Aurelio dice espressamente di sé: , «sei
vecchio». Vd., p. es., II 6. 2: , «questa vita tu l‘hai quasi portata a
termine … »; Cfr. V 31. 3; X 15. 1. 9 VIII 25. 1, 37. 1.
10 IX 2. 4-5. Cfr., p. es., SHA, MA, XVII 2; XXVIII 4; SHA, V, VIII 2; D.C. 71 (72), 2, 4.
11 X 10. 1.
12 I 16; VI 30. 5-15.
13
14
20
visse, dal 170 al 173, al tempo delle campagne contro Quadi e Marcomanni
(invasori dell‘Impero nel 168). E proprio lì, probabilmente, compose i Pensieri dal
II libro in poi. Ciononostante la datazione incerta delle campagne contro i barbari
comporta un‘oscillazione considerevole, all‘incirca tra il 172 e il 178; è verosimile,
in ogni caso, che i libri dal IV al XII siano stati scritti posteriormente al 173.
Quanto al libro primo, così diverso per contenuto e tono generale, può essere stato
composto forse a Roma, tra il 176 e il 180, di ritorno dall‘Oriente dopo la rivolta di
Avidio Cassio, o a Sirmio (oggi Sremska Mitrovica), quartier generale di Marco
Aurelio tra il 178 e il 180, al tempo delle sue ultime campagne germaniche.
21
La fortuna dell’ nella tarda antichità
I dodici libri dell‘ non furono concepiti né disposti per la
pubblicazione, come dimostra senza ombra di dubbio il loro contenuto, privo dei
riferimenti indispensabili al lettore esterno e destinato ad assumere piena
intelligibilità e rilevanza solo agli occhi dell‘autore: la maggior parte delle
allusioni, delle immagini, degli accenni, e soprattutto dei suggerimenti o dei moniti,
ha senso soltanto se rivolta a se stesso.15
L‘autodestinazione di questo testo ad uso
privato è confermata anche da altri indizi. Innanzitutto dall‘oscurità alla quale esso
fu immediatamente votato. Nei secoli successivi al II d.C. nessun autore mostra di
conoscere un‘opera che pure avrebbe dovuto suscitare l‘attenzione e l‘interesse
degli uomini di cultura.16
Dione Cassio, che scrive pochi anni dopo la morte
dell‘imperatore, nel riferire un discorso che Marco Aurelio avrebbe rivolto ai
soldati dopo la ribellione di Avidio Cassio,17
gli fa pronunciare parole ed
espressioni che potrebbero trovare una qualche rispondenza nel contenuto di certi
capitoli;18
ciononostante, che Dione Cassio abbia letto l‘opera, come sostiene
Farquharson, è ben lungi dall‘essere dimostrato. L‘unica eccezione parrebbe venire
dalla testimonianza, peraltro piuttosto reticente, del retore Temistio (IV sec.), che
nel 364 d. C., rivolgendo parole di elogio all‘imperatore Valente, dichiarava: «A te
non occorrono affatto le esortazioni () di Marco … »;19
anche in
questo caso, però, è difficile stabilire se si tratti dell‘indicazione precisa di un testo
redatto, che aveva già una certa diffusione, o di un riferimento generico alle virtù
filosofiche dell‘illustre predecessore, un tratto noto e caro alla tradizione postuma,
da Dione Cassio ad Aurelio Vittore. Alcune consonanze si possono riscontrare tra
l‘opera di Marco e gli scritti di Giuliano l‘Apostata (ca. 331-363), ma è più facile
credere che Giuliano riprendesse motivi e stilemi di una consolidata tradizione
filosofica e retorica, mentre si tende ad escludere che egli conoscesse e richiamasse
intenzionalmente gli dell‘imperatore, che pure rappresentò per tutta
la sua vita uno dei modelli da imitare.20
Nessun credito, infine, merita l‘asserzione
dello storico ecclesiastico Niceforo Callisto Xanthopoulos (ca. 1295-1360) secondo
cui Marco Aurelio compose un libro destinato all‘educazione del figlio Commodo,
una delle arbitrarie illazioni di un autore particolarmente disinvolto nel presentare
la letteratura antica.21
Nel codice Toxitanus, che fornì il modello dell‘editio princeps, pubblicata nel
1559, l‘opera non recava alcun titolo. L‘intestazione, dovuta certamente a
Xylander, recita però: «Libro primo tra quelli composti per se stesso ( )
dall‘imperatore Marco Antonino».22
Anche nel codice Vaticanus Graecus 1950
l‘opera è riportata senza titolo: l‘intestazione, che attribuisce lo scritto alla penna
«dell‘imperatore Marco ( )», si legge soltanto all‘inizio del
15
Il fatto pare ormai indiscutibile, soprattutto dopo le persuasive argomentazioni di Brunt 1974, p.
1-5. 16
Le pochissime presunte tracce della conoscenza dell‘ nei secoli del Basso Impero sono
state raccolte da Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XXXVIII-XXXIX e discusse da Farquharson 1944, vol.
I, p. XIII-XVI. L‘ampia e probante disamina di Hadot 1998, p. XII-XIX, consente ora di valutarne
appieno l‘interesse e l‘importanza per la storia del testo. 17
Cfr. D.C. 71 (72), 24, 2; 26, 2. 18
Cfr., p. es., V 33. 3; IX 42. 10 ss. 19
Or. 6, 81c. 20
Cfr. Iul. 6, 1; Amm. 16, 1, 4. 21
Hist. Eccl. 3, 31. 22
.
22
XII libro.23
Ciononostante, chi pubblicò il testo e, in circostanze che restano del
tutto misteriose, poi lo trasmise, sembra non aver avuto dubbi sulla sua natura di
documento privato.
Areta di Cesarea (ca. 850-935), vescovo della Chiesa orientale e collezionista di
libri, ricorda gli «scritti di etica destinati a se stesso» ( ) dell‘imperatore Marco Aurelio:
24 è verosimile che questo titolo risalga alla
tradizione antica e che rifletta, se non la lettera, almeno lo spirito dell‘inscriptio
dell‘autore. Quando si tratta di apprezzare il ruolo giocato da Areta nella storia
della tradizione manoscritta, gli si può serenamente attribuire il merito di aver
suscitato i dodici libri dell‘ dall‘oblio e di averli riproposti con vigore
all‘attenzione dei dotti. Qualunque fosse il motivo dell‘alta considerazione che
manifesta nei confronti dell‘opera, il suo contributo a sanarne con amorevoli cure
le piaghe aperte dal tempo sembra sia stato determinante.25
La conferma indiretta di
questa ipotesi proviene dagli estratti dell‘ contenuti in Suida, il lessico
bizantino coevo ad Areta: tali citazioni vi furono certamente aggiunte dagli autori
all‘atto della sua compilazione, perché gli altri scritti grammaticali o eruditi di poco
anteriori, in cui il ricorso all‘auctoritas del passato è una costante, ignorano
palesemente l‘opera, che non citano mai direttamente.26
Il patriarca Fozio (ca. 820-
891), del resto, non sembra conoscere ancora Marco Aurelio come autore dell‘
. Egli è sì il «filosofo tra i sovrani», ma come scrittore è solo un eccellente
autore di epistole in lingua greca, tanto apprezzabili da poter essere proposte come
modello a chi voglia attingere alla perfezione nello stile epistolare. Dopo Areta,
invece, la conoscenza dell‘ appare ormai consolidata, proprio a
cominciare da Suida e da Giovanni Tzezes (sec. XII).27
Commentando in uno
scolio un luogo di Dione Crisostomo, nel quale si legge che nessun bene può
giungere all‘uomo, ove non sia prodotto dalla volontà e dalla potenza degli dei,
perché essi sono depositari di tutti i beni,28
Areta osserva che questo concorda con
quanto affermò sapientemente () l‘imperatore Marco: «Tutto fluisce dall‘alto
( )».29
Un altro passo dello stesso Dione, dove si invita a riflettere
sul fatto che il miglior rifugio è quello di cui possiamo godere dentro di noi,
dovunque ci si trovi,30
suggerisce ad Areta l‘accostamento con la riflessione nella
quale Marco Aurelio afferma che in nessun luogo l‘uomo può raggiungere un
rifugio più sereno e tranquillo che nella sua anima.31
Infine, nell‘incipit di una
lettera all‘imperatore Leone VI il Filosofo,32
Areta afferma di apprezzare molto e di
seguire il precetto del «sapiente Marco» ( ) di leggere
sempre con cura, non meno dell‘altro sapiente precetto che segue: non dare
facilmente ascolto ai chiacchieroni.33
In una lettera a Demetrio, metropolita di
Eraclea, sicuramente anteriore al 907, anno in cui fu nominato arcivescovo di
Cesarea, Areta afferma di aver ricavato un apografo dell‘ da un vecchio
23
Non ha certo torto Dalfen 1979, p. 6, n. 2, quando afferma che il titolo dell‘ con la
migliore attestazione si legge nei codici appartenenti al gruppo X: «scritti che riguardano se stesso»,
ovvero «scritti privati» ( ). 24
Schol. ad Luc., Pro Im. 3, p. 207, 7-8 Rabe. 25
Cortassa 1997, p. 139. 26
Schironi 2000, p. 213. 27
Cortassa 1997, p. 126. 28
Or. XXXII 5, p. 116 Sonny. 29
Cfr. II 3. 1. 30
Or. XX 8, p. 113 Sonny. 31
IV 3. 2. 32
Ep. LXXI, vol. II, p. 105 Westerink. 33
I 7. 7.
23
manoscritto, giunto nelle sue mani in circostanze che non vengono chiarite.34
Si
tratta della prima menzione certa, databile con buona approssimazione e di sicura
paternità, dell‘opera di Marco Aurelio, ed è assai probabile che proprio le preziose
indicazioni che ne possiamo trarre ci consentano di individuare l‘origine della
tradizione manoscritta dell‘ .35
Nella lettera, però, niente suggerisce che
Areta pensasse al volume come a un‘assoluta rarità o che l‘abbia riportato alla luce
da solo: ne scrive piuttosto come di un‘opera con cui il suo corrispondente doveva
avere una certa familiarità.36
P. Hadot, che ha contestato garbatamente
l‘interpretazione complessiva del testo proposta da G. Cortassa,37
ci ricorda
opportunamente come l‘esemplare di Areta non fosse affatto «del tutto a pezzi»
( ):38
l‘espressione , che è fondamentale per
intendere correttamente l‘incipit della lettera nel suo esatto significato, non può
essere equivalente a .39 È dunque probabile che Areta possedesse un
esemplare perfettamente leggibile, per quanto antico, dell‘ di Marco
Aurelio e che abbia provveduto solamente a farlo trascrivere, per consegnarlo ai
posteri rimesso a nuovo. Non è più opportuno, pertanto, attribuire le supposte
corruttele dell‘opera al cattivo stato del suo archetipo: la brillante restituzione di
VII 24, uno dei luoghi in assoluto più tormentati dai filologi e dagli editori, ad
opera di A. Giavatto,40
e le provocatorie osservazioni di G. Giangrande,41
testimoniano eloquentemente di una tradizione spesso sospettata a torto. Qualche
indicazione ulteriore può offrire un altro testo, l‘epigramma anonimo che si legge
nell‘Anthologia Palatina.42
Questi versi, che si riferiscono indubbiamente a un
esemplare dell‘ di Marco Aurelio, ricompaiono come colophon nel
codice Vaticanus Graecus 1950. Molto probabilmente fu Areta il lettore che
trasferì il componimento nell‘antologia.43
Se si dà credito all‘ipotesi di P. Hadot,
che lo attribuisce allo storico ed epigrammista Teofilatto Simocatta (sec. VIex.
-
VIIin.
), verrebbe anticipata di tre secoli la prima attestazione dell‘esistenza
dell‘aureo libretto di Marco Aurelio.44
34
[...] Ep. XLIV, vol. I, p. 305 Westerink. 35
Cortassa 1997, p. 112. 36
Farquharson 1944, vol. I, p. XVII. 37
Cortassa 1997, p. 115-121. 38
Hadot 1998, p. XIX-XXI. 39
Ronconi 2003, p. 21, n. 17. La parte essenziale della lettera andrà perciò intesa così: «Pur
possedendo io già da lunga pezza il libro profittevolissimo dell‘imperatore Marco ― vetusto sì, non
che fosse, però, altresì disfatto in tutto, e avaro della propria utilità con i volenterosi ―
ciononostante, poiché ora ebbi agio di copiare di là e di legare ai nostri posteri un esemplare
rinnovato, [...] ho creduto giusto nominare la vostra venerabilissima santità erede del mio
precedente possesso» Ceporina 2011, p. 47. 40
Giavatto 2005, p. 235- 241. 41
Giangrande 2003, p. 225-236. 42
AP XV. 23. 43
Maas 1913, p. 297. 44
Hadot 1998, p. XXII-XXIV.
24
25
La tradizione indiretta
26
27
Il testo dell’ conservato da Suida
Dopo Areta, la più antica testimonianza indiretta del testo di Marco Aurelio è il
lessico bizantino intitolato Suida, che risale alla fine del X sec.45
È difficile stabilire
se il suo autore abbia letto e citato direttamente il testo di Marco Aurelio o se
riproduca degli estratti raccolti da un compilatore. Tanto la distribuzione delle
citazioni (quindici dal I libro, quattro dal II, due dal terzo, una dal IV, due dal V,
quattro dal IX e una dall‘ XI) quanto l‘abbondanza di codici miscellanei
sopravvissuti nella tradizione manoscritta, dove sono confluiti soltanto dei passi
scelti, farebbero pensare piuttosto a un testo di excerpta, a una scelta antologica
dell‘ . In ogni caso Suida conosceva perfettamente l‘esistenza del libro
scritto dall‘imperatore filosofo, perché nell‘articolo biografico su Marco Antonino
si legge: «Scrisse una guida per la propria vita in 12 libri».46
Per cinque citazioni
precisa esattamente che Marco Aurelio ne è l‘autore con le seguenti formule: «in
Marco Antonino»;47
«dice Marco, il re filosofo»;48
«dall‘opera di Marco
Antonino»;49
«anche Marco Antonino dice»,50
oppure, molto semplicemente,
«Marco».51
Le altre ventuno sono anonime. Generalmente, ma non sempre, tali
citazioni sono introdotte per illustrare delle parole rare, di solito assai particolari.52
Alcune sono lunghe e letterali. Si ritrova così per intero, o per lo meno in gran
parte, il testo di certi capitoli.53
Altre, invece, sono più libere, ma si tratta di
differenze minime. Tali caratteristiche, che presuppongono una rielaborazione
originale del testo, sono riscontrabili soprattutto nei brani tratti dal primo libro, che
ha una fisionomia particolare rispetto agli altri undici, fungendo quasi da proemio
all‘intera opera; qui, infatti, Marco enumera i benefici e gli insegnamenti che ha
ricevuto dalle varie persone nella sua vita. Vi predomina una sintassi estremamente
concisa. Caratteristica è la sostantivazione di qualsiasi elemento grammaticale,
ottenuta attraverso l‘aggiunta dell‘articolo neutro davanti al termine o al
sintagma che si vuole sostantivare, al fine di rendere il discorso il più astratto
possibile. Suida ha eliminato tali sostantivazioni, evitando il .54 È così che
l‘enumerazione che fa Marco Aurelio di ciò che ha imparato da Apollonio di
Calcedonia (I 8. 3) diviene il ritratto della condotta ideale del saggio: «Bisogna che
il saggio sia sempre uguale a se stesso, nei dolori acuti, nella perdita di un figlio,
nelle malattie croniche».55
Analogamente, ciò che Marco Aurelio dice a proposito
di Sesto di Cheronea (I 9. 1-10) si trasforma nella descrizione di ciò che si
45
Tutte le citazioni di Marco Aurelio in Suida sono state diligentemente raccolte e ottimamente
edite da Schironi 2000, p. 225-233. 46
Suid. 214: . Anche Suid. 215 e 216 si
riferiscono a Marco Aurelio. 47
Suid. 2224: . 48
Suid. 830: . 49
Suid. 835: . 50
Suid. 1903: . 51
Suid. 578: . 52
A tutti gli editori di Marco Aurelio era finora sfuggito come una parte delle glosse ritorni
leggermente rimaneggiata nel lessico attribuito a Giovanni Zonara: Suid. 803 (=
Cfr., p. es., II 12. 3, 13. 1-4, 14. 1-4; III 5. 2-4. 54
Schironi 2000, p. 214. 55
Suid. 607:
.
28
dovrebbe fare, sottintendendo per vivere come un saggio. Lo stesso mutamento si
ritrova a proposito di Antonino Pio (I 16. 10, 16. 20).56
Tuttavia è chiaro che
l‘autore di Suida conosceva bene il carattere peculiare del primo libro, perché cita il
passo dedicato a Diogneto con le parole: «Da Diogneto ho imparato», che
esplicitano il senso della formula stereotipata che ritorna in Marco Aurelio
all‘inizio di ogni capitolo, e cioè (seguito dal nome proprio della persona a
cui il capitolo è dedicato) + (con il contenuto dell‘insegnamento).57
Entrambe le
modalità di citazione, che rimandano indubitabilmente alle formule tipiche proprie
delle antologie, si ritrovano identiche nella collezione di estratti conservata dal
codice Darmstadtinus 2773 (=D). Ciononostante, l‘ipotesi che Suida attinga a un
testo di excerpta di Marco Aurelio che, con alcune modifiche e perdite di materiale,
si è conservato sino almeno al XIV sec., quando fu copiato nel codice miscellaneo
D, è quanto meno insidiosa.58
Tutt‘al più si può legittimamente supporre che Suida
non abbia conosciuto l‘ che in una forma antologica.59
Questo
innanzitutto perché la tendenza in D a semplificare le frasi con aggiunte tese a
esplicitarne il senso, che assumono talvolta la forma di vere e proprie parafrasi
chiarificatrici, è significativamente condivisa da tutti i manoscritti del gruppo C.
Inoltre l‘occasionale cristianizzazione indotta nel testo di Marco Aurelio, per cui
tanto l‘autore di Suida quanto il compilatore di D sostituiscono il singolare
(Dio) al plurale (gli dei) (mai, comunque, negli stessi passaggi), di per sé non
prova nulla: si tratta, in realtà, di uno degli errori più frequenti nei manoscritti
medievali, che ritroviamo tale e quale, ad esempio, nella redazione di VI 35. 2 che
si legge negli excerpta del gruppo W. La conferma definitiva proviene da un‘altra
importantissima testimonianza indiretta: la diffusa cristianizzazione, infatti, sembra
essere una delle caratteristiche distintive delle parafrasi di Marco Aurelio
conservate negli scritti di Joseph Bryennius.60
La preferenza accordata dal copista
del codice D al primo libro dell‘ è condivisa da Suida, che inoltre, come
D, concentra la sua attenzione in generale sui primi tre libri. Non si tratta però di un
carattere esclusivo: tale è anche la condizione esibita dagli estratti di Marco Aurelio
nei manoscritti del gruppo C. È proprio questo il motivo per cui Paul Maas, nel
tentativo di stemma proposto, tendeva ad avvicinare C alla tradizione manoscritta
che fa capo al Suida.61
Se si prova a sovrapporre il testo dell‘ citato da
Suida a quello conservato in D, si noterà che i due testi in gran parte coincidono,
tranne in tre punti: la parte iniziale (I 5-6, omessa in D), un capitolo centrale (V 8,
omesso in D), e la parte finale (XI 18, omesso in D).62
La palese mutilazione
sofferta da D, che ci ha probabilmente privato degli estratti appartenenti agli ultimi
tre libri, come non depone contro l‘originaria presenza in D di XI 18, così non può
ovviamente nemmeno fornire alcun riscontro positivo. Il sospetto che il copista di
D avesse di fronte una copia mutila dell‘esemplare da cui avrebbe attinto anche
Suida è certo legittimo, ma tale ipotesi non può essere davvero presa in seria
considerazione. E se chi ha copiato gli estratti di Marco Aurelio nel codice di
Darmstadt avesse deciso di tagliare volontariamente la parte iniziale del testo? In
realtà pare proprio che il compilatore di D abbia deliberatamente omesso tutte le
porzioni di testo che contenessero una materia autobiografica troppo viva e
56
Hadot 1998, p. CLXXXVI. 57
Suid. 830: . 58
Schironi 2000, p. 225. 59
Hadot 1998, p. CLXXXVII. 60
Rees 2000, p. 586 e p. 596. 61
Maas 1945, p. 145. 62
Schironi 2000, p. 220.
29
irriducibile ad una precettistica etica di portata più generale. Si spiegherebbero così
le omissioni dei capitoli I 1-6, dove Marco Aurelio ricorda alcuni dei più stretti
familiari e i maestri che segnarono l‘apprendistato della sua fanciullezza. Lo stesso
sembra potersi dire a proposito del capitolo I 17, che contiene il commosso
ringraziamento dell‘imperatore agli dei per tutti i benefici ricevuti nel corso della
propria esistenza. Qualcosa di simile deve essere accaduto anche in occasione del
robusto rimaneggiamento a cui è andato incontro IV 3. 2.63
Inoltre, se solo si dà
un‘occhiata alla tabella pubblicata da J. Dalfen,64
si può apprezzare
immediatamente la singolare alternanza tra gli excerpta contenuti in D e quelli
conservati dai manoscritti appartenenti ai gruppi W e X. Sono pochissimi, infatti, i
capitoli che si leggono tanto in D quanto in WX, laddove molti, invece, sono quelli
comuni a C. Netta è poi la preferenza accordata dal copista di D ai primi tre libri, il
quale ha sì trascritto un buon numero di estratti dalla prima parte del quarto libro,
ma successivamente si è risparmiato sempre di più. Non sembra perciò inopportuno
supporre che chi ha assemblato la raccolta di estratti contenuta in D conoscesse un
esemplare appartenente al gruppo di manoscritti W o X, e che abbia scelto il testo
di Marco Aurelio con il preciso intento di integrare l‘antologia dell‘ lì
rappresentata. Ciò detto, è quasi superfluo ricordare che, eccezion fatta per Suida, i
capitoli V 8 e XI 18, omessi da D, si leggono solamente in WX. Suida è un
testimone di estrema importanza per l‘ , perché offre un testo
generalmente corretto, se non, in almeno tre casi, persino migliore della tradizione
manoscritta. Se per I 6. 3 nulla si può dire, non essendo questo paragrafo
conservato in D,65
in I 7.4 e in I 16. 20 D si allinea con la tradizione manoscritta,
invece di riportare le varianti corrette tramandate da Suida.66
Se gli estratti di Suida
e l‘antologia contenuta in D derivassero per davvero da un unico modello in
comune, la circostanza non potrebbe non apparire anomala. P. Hadot accetta
giustamente da Suida anche in I 12, il che conferma
inequivocabilmente la variante di T. Estrema cautela richiederebbe invece
l‘integrazione e la riscrittura completa di I 16. 20. Ben maggiore interesse, tuttavia,
avrebbero dovuto suscitare l‘estratto di Suida corrispondente a I 6. 2 nelle moderne
edizioni, nonché I 9. 6, vicinissimo alla tradizione di A.67
Mettendo
prudenzialmente da parte II 14. 3, dove Suida mostra una curiosa discrepanza tra la
lezione del lemma , propria di AD, e quella del glossema ,
propria invece di TC, nessuna delle varianti ricordate da F. Schironi, eccezion fatta
per II 14. 4 e, con qualche riserva, per II 13. 1, permette di accertare la parentela
del testo di Suida con la sola tradizione di D:68
la coincidenza in I 7. 7, per
63
Un altro genere di omissioni sembra riferirsi ad alcuni particolari biografici minuti, che l‘autore
cita di passaggio e in forma cursoria, poiché evidentemente ben conosciuti, ma che dovevano
riuscire particolarmente malagevoli da afferrare per il lettore: la lettera dell‘amico Rustico alla
propria madre, Domizia Lucilla, e la sua biblioteca (I 7. 5, 7. 8); il modello di una famiglia
patriarcale, incarnato da Sesto (I 9. 2); un celebre apologo su Domizio e Atenodoto (I 13. 2); il
contegno di Antonino Pio nella sua tenuta di Lorio; la sua condotta a Lanuvio e a Tuscolo (I 16. 27-
28), dove l‘asciutta sequela degli insegnamenti morali si ravviva in un ritratto fervido e
appassionato (I 16. 29-31). Si tratta, curiosamente, degli stessi accenni che hanno offerto agli
interpreti l‘appiglio più solido per considerare l‘A se stesso un‘opera non certo destinata ad un
pubblico di lettori. 64
Dalfen 1979, p. XXI-XXII. 65
Suida: A T. 66
Suida: A D T; Suida: A D T. 67
Il testo di I 7. 6, così come trascritto in Suid. 3369, è vicinissimo alle parole
dell‘archetipo: i manoscritti medioevali soffrono invece di una grave interpolazione. Cfr. Ceporina
20121, §5.
68 Schironi 2000, p. 218.
30
esempio, è del tutto accidentale, perché l‘epitomatore, dopo aver deliberatamente
omesso di copiare, immediatamente prima, un‘intera frase, non ha più bisogno di
una congiunzione coordinativa, ma di una negazione semplice. Nonostante si tratti
della lezione corretta, in II 12. 3 l‘accordo di Suida e T in contro
in AD è invece particolarmente significativo, proprio perché
preceduto da un caratteristico errore separativo, AD: Suida e T. Infine, per
quanto riguarda IX 22. 2, nessuno potrebbe negare qui che Suida sia
inequivocabilmente vicina a T.
31
Joseph Bryennius e Johannes Reuchlin testimoni dell’
Tra il XIV e il XV secolo, Joseph Bryennius (ca. 1350-1431), monaco,
predicatore, teologo assai ostile all‘unione con la Chiesa d‘Occidente, cita
abbondantemente l‘ di Marco Aurelio, ma sempre in maniera anonima.
Una ricerca su queste citazioni fu abbozzata da Ph. Meyer:69
l‘ampio saggio di D.
A. Rees permette ora di apprezzarne appieno il valore testimoniale per la
costituzione del testo. Non c‘è ragione alcuna per dubitare che J. B. leggesse il
testo integrale dell‘ :70
la possibilità che attinga a una tradizione
indipendente appare però quanto mai remota. Che in V 19 J. B. diverga dai due
testimoni principali A e T, anticipando di secoli la congettura di J. M. Schultz,
ovviamente non prova nulla. Lo stesso vale per VII 56. 2, dove il testo di J. B.
tramanda la lezione poi suggerita indipendentemente da A. Coraìs. In entrambi i
casi, infatti, si può pensare a facili correzioni dello stesso J. B. Nessuna delle
lezioni segnalate da Rees permette tuttavia di accostare con sicurezza il testo di J.
B. all‘uno o all‘altro manoscritto di volta in volta ricordato.71
La variante
, che si legge in II 2. 1, piuttosto che indicare una sicura parentela con
C, andrà meglio considerata come la banalizzazione del corretto , indotta dalla probabile citazione a memoria. Inutile è anche II 1. 5: la confusione
tra i verbi e , errore peculiare di J. B. e dei
manoscritti del gruppo C in questo punto, si ripete anche in XI 9. 1, ma questa
volta è condiviso da v8, un manoscritto del gruppo W, e da tutti i codici del gruppo
X. Si tratta di sviste banali, troppo diffuse per apparire davvero significative. Lo
stesso vale per gli errori di VIII 48. 3 e IX 42. 8, che J. B. condivide con i
manoscritti dei gruppi W e X: spesso il testo non è nemmeno coerente nel singolo
gruppo da manoscritto a manoscritto. L‘aggiunta di in X 34. 6, che si legge
anche in WX, va attribuita alla parafrasi di J. B., così come, poco dopo, l‘evidente
sostituzione di , presente solo nei due testimoni principali A e T, con . Poiché non si tratta di errori, ma delle lezioni corrette, la consonanza di J.
B. con T contro A in IV 29. 2 e VIII 52. 2 non depone a favore di una stretta
parentela, tanto più che, in quest‘ultimo caso, l‘itacismo di A è davvero evidente.
Più promettente appare, al contrario, l‘ipotesi di una affiliazione ad A. In XI 18. 9
la variante , rifiutata da tutti gli editori, ma sicuramente corretta, appartiene
alla sola tradizione di A.72
Qualche indizio in più potrebbe venire da VIII 51. 2: la
forma , che si legge in J. B., ricorda più da vicino di AD
che non di T. Decisivo sembra invece IX 4, citato da J. B. con
l‘omissione di , lacuna caratteristica di AD. Contrariamente a quanto sostiene
Rees,73
che il testo di J. B. conservi tutte le parole successivamente espunte da
Dalfen non depone affatto contro la sua teoria delle interpolazioni:74
come dimostra
per altra via la possibile parentela con A, è sufficiente supporre che l‘esemplare di
J. B. risalga a un‘epoca successiva al subarchetipo β, dove sarebbero penetrate tutte
le interpolazioni.
69
Meyer 1896, p. 99-100 e p. 110. 70
Rees 2000, p. 586. 71
Rees 2000, p. 586-587. 72
«In later Stoic Philos., is to be acted upon by outward objects, take impressions from
them, opp. , mostly folld. by , to be led to suppose that (…); also c. acc., have
experience of (…)» LSJ9 s.v., IV. L‘alternativa (to learn), che si legge in T, ne rappresenta
l‘evidente banalizzazione. 73
Rees 2000, p. 586. 74
Cfr. Dalfen 1974, p. 47-57 e Dalfen 1978, p. 5-26. Molto critico, in proposito, Sandbach 1981, p.
188-189.
32
In Occidente abbiamo qualche sparuta citazione da Marco Aurelio nel De arte
cabalistica di Iohannes Reuchlin, del 1517, che forse disponeva di una copia
personale del testo.75
75
Cfr. Hadot 1998, p. CLXXXVIII-CXCI; Bergson 1986, p. 165-69; Rees 1971, p. 188-92. Il
cosiddetto Folium Treverense, che contiene M.Ant. V 6. 6 ― 12. 3, è stato edito da L. Bergson: la
collazione mostra evidenti affinità con T. Cfr. Bergson 1986, p. 159-162. Che il foglio appartenesse
originariamente al codice in possesso di Reuchlin è un‘ipotesi suggestiva.
33
L‘editio princeps e le fonti
manoscritte dell‘A se stesso
34
35
L’editio princeps e la seconda edizione di Basilea
La moderna fortuna dell‘A se stesso data dalla pubblicazione della prima edizione
a stampa (=T) per opera di Andrea Gesner figlio a Zurigo nel 155976
.
Il libro, affidato alle cure del filologo e bibliotecario di Heidelberg Guglielmo
Xylander (Wilhelm Holtzmann), era accompagnato dal Proclus vel De Felicitate di
Marino, anch‘esso un‘editio princeps. La prefazione apposta dall‘editore alla Vita
di Proclo denuncia chiaramente che tanto l‘A se stesso di Marco Aurelio, quanto
l‘opera di Marino, erano contenuti nello stesso manoscritto.77
Questa supposizione
trova fondamento nel fatto che Marino e Marco Aurelio erano riuniti anche in un
altro codice, ora non più disponibile.78
Entrambe le opere furono tradotte in latino;
la prima dallo stesso Xylander, il quale vi aggiunse, oltre ad alcune brevi note, le
testimonianze su Marco Aurelio tratte dal lessico Suida e da Aurelio Vittore.
La storia del codice su cui essa si fonda è in gran parte oscura. Sappiamo soltanto
da una lettera dedicatoria, scritta in greco, premessa al testo dal naturalista e
umanista Corrado Gesner, sotto i cui auspici il libro fu pubblicato, che egli lo ebbe
―dall‘ottimo Michele Toxita, poeta esimio (dalla biblioteca dell‘illustrissimo
Ottone Enrico Elettore Palatino)‖79
, vale a dire dalla famosa collezione di
Heidelberg (di qui la sigla P usata da alcuni editori). Verosimilmente Gesner entrò
in possesso dell‘esemplare manoscritto nell‘aprile del 1556, periodo in cui Michele
Toxita (Michael Schütz), in procinto di partire per l‘Italia, si trovava a Zurigo,
oppure dopo il suo ritorno. Non sembra tuttavia che Xylander abbia mai visto il
codice nella sua interezza, poiché nell‘epistola dedicatoria alla ristampa di Basilea
del 1568 si vide costretto a rimettere la delicata questione della sua provenienza
alla sola autorità di Gesner.80
È dunque possibile o che il volume fosse in seguito
smembrato, e che Gesner facesse avere a Xylander soltanto i fogli contenenti
l‘opera di Marco Aurelio,81
o, in alternativa, che il testo di Toxites, messo poi da
Gesner a disposizione di Xylander, non fosse altro che un semplice apografo,
introducendo perciò un ulteriore stadio nella tradizione manoscritta.82
Ai primi di
ottobre del 1558, la traduzione, la prefazione e le annotazioni, unitamente
all‘originale greco, furono rispedite da Heidelberg, dove Xylander si era trasferito
da Basilea poco tempo prima, a Zurigo da Gesner, il quale ne curò la stampa
completa per opera del cugino Andrea.
La straordinaria importanza rivestita dall‘editio princeps nella costituzione del
testo di Marco Aurelio riposa sulla circostanza che il codice, da cui fu tratta la
76
Frontespizio della traduzione latina: M. Antonini imperatoris romani et philosophi De se ipso seu
vita sua libri XII, Graece et Latine nunc primum editi Guilielmo Xylandro Augustano interprete: qui
etiam Adnotationes adiecit. Marini Neapolitani de Procli vita et Foelicitate Liber: Graece Latineque
nunc primum publicatus Innominato quodam interprete adiestis [sic] itidem Scholiis. E bibliotheca
illustrissimi principis Othonis Henrici …, Tiguri, apud Andream Gesnerum F(ilium), MDLIX.
Frontespizio del testo greco:
Tiguri, apud Andream Gesnerum F(ilium), MDLIX.77
«Typographus lectori. Cum in eodem codice manuscripto M. Antonini libris, Marini Proclus
quoque contineretur: mihi quoque coniungere visum est, praesertim cum neque magnus Marini hic
libellus esset, neque antehac typis aeditus, quod sciam: et argumento ab Antonini libris minime
alienus». Cfr. Bergson 1986, p. 163. 78
Cfr. Rees 1971, p. 186-187. 79
(i.e. di Marco Aurelio) (
) .Xylander 1559, p. 10.80
Cfr. Bergson 1986, p. 163. 81
Cfr. Farquharson 1944, vol. I, p. XXIII. 82
Cfr. Bergson 1986, p. 163.
36
stampa, andò ben presto perduto, sicché quest‘ultima viene ad essere una delle due
principali fonti di tutte le edizioni moderne, esistendo solamente un manoscritto
completo, il Vaticanus Graecus 1950 (siglato con A), con cui poterla confrontare.
Xylander apportò poche modifiche al testo del codice, segnalando in nota le
lezioni respinte nonché alcune annotazioni e correzioni che nel manoscritto erano
state aggiunte a margine. Più spesso lasciò il testo così com‘era anche in luoghi
manifestamente corrotti, cercando di ricostruire il senso nella traduzione latina e
suggerendo tacitamente alcuni buoni emendamenti. Si tratta del medesimo
scrupoloso riguardo per il testo manoscritto che dimostrò nella sua edizione di
Plutarco (Vitae 1560, Moralia 1570).
È lui stesso a dare ragione del metodo impiegato: ―Nel libro ci sono dei passi che
appariva senz‘altro più opportuno non toccare, piuttosto che sostituire per
congettura, in luogo forse delle autentiche parole di Antonino, espressioni che gli
sarebbero risultate estranee‖83
.
La traduzione è molto elegante, e, nel complesso, piuttosto precisa. Talvolta
Xylander si discosta notevolmente dal significato letterale del passo, talaltra,
invece, la sua fedeltà alle parole è causa di oscurità, sebbene presenti il vantaggio
di mostrare che testo avesse di fronte a sé. Sfortunatamente, però, non è possibile
adoperare il suo lavoro, alla stregua di una delle antiche traduzioni letterali in
latino, quale sicura testimonianza per le parole del manoscritto. Talora, infatti,
parafrasa e compendia, ma si possono ritrovare parole e frasi che i tipografi hanno
tralasciato. Nella lettera dedicatoria apposta all‘editio princeps Xylander scrive:
―Né era mio desiderio, né tanto meno mio dovere, pesare le parole col bilancino;
sono certo andato appresso al senso, ma lascio giudicare agli altri se sia stato
espresso dovunque: ci sono molte ragioni, e ben evidenti, per cui questo compito si
è rivelato difficile. Eppure riconosco che, qua e là, ora mi sono visto costretto a
divinare, ora mi sono allontanato arditamente dal manoscritto greco o dall‘uso
comune‖84
. Bisogna ricordare che stava stampando un testo semplice, senza
marginalia o note a piè di pagina, ed essergli riconoscenti per la sua fedeltà.
Nel 1568, quando ormai il codex Toxitanus non era più disponibile, Xylander
pubblicò a Basilea una seconda edizione85
, nella quale, come dichiara
espressamente, si propose di rimediare ai molti errori di stampa di cui era costellata
la prima86
. Il volume conteneva inoltre le storie straordinarie di Flegonte di Tralle,
Apollonio Discolo e lo Pseudo Antigono di Caristo, così come il De longaevis et
Olympiis di Flegonte di Tralle.
Il fatto che Xylander nel 1568 non disponesse più della fonte dell‘editio princeps,
benché egli dal 1561 fosse bibliotecario presso la Biblioteca Palatina, indusse H.
Schenkl a supporre che solo la Vita di Proclo fosse giunta a Gesner da Heidelberg;
83
Sunt quaedam in eo libro quae prorsus non attingere videbatur praestare, quam conjiciendo
aliena pro Antoninianis fortasse ingerere. Xylander 15682, p. 4.
84 Verba appendere ad trutinam neque volui, neque vero debui: sensum quidem secutus sum, an
autem assecutus sim ubique aliorum opto iudicium: cur difficile hoc fuerit, multae sunt, neque non
manifestae causae. Etsi fateor, in quibusdam me vel ut divinarem opus habuisse, vel audacter a
codice Graeco aut usu communi discessisse. Xylander 1559, p. 25, i.e. p. 9. 85
Antonini Liberalis transformationum congeries. Phlegontis Tralliani de mirabilibus et longaevis
libellus. Ejusdem de Olympiis fragmentum. Apollonii historiae mirabiles. Antigoni mirab.
narrationum congeries. M. Antonini Philosophi, imp. romani, de vita sua libri XII ab innumeris
quibus antea scatebant mendis repurgati, et nunc demum vere editi. Graece Latineque omnia Guil.
Xylandro Augustano interprete cum Adnotationibus et Indice. Basileae, per Thomam Gharinum,
MDLXVIII. 86
Quae mea lucubratio cum (quod in promptu est cuivis videre atque iudicare) foede esset incuria
operarum typograficarum depravata, itaque plane edita, ut pro non edita censeri optimo iure
posset, iam pridem cogitaram de remedio ei malo faciendo. Xylander 15682,
p. 3-4.
37
essa sarebbe identica al codice Pal. Gr. 404 (fol. 73-101), che oggi si trova in
Vaticano. Al contrario il testo di Marco Aurelio sarebbe stato acquisito da Toxites
in un luogo non ben determinato.87
L‘identificazione con il Pal. gr. 404 si è
dimostrata però falsa e il dubbio circa la provenienza del manoscritto di Marco
Aurelio dalla biblioteca di Heidelberg è dunque privo di fondamento. Mentre
nell‘editio princeps il testo della Vita di Proclo si interrompe con l‘inizio
dell‘attuale capitolo 22, il Pal. Gr. 404 contiene l‘opera nella sua interezza, e, ciò
che più importa, fu scritto a Madrid da Andreas Darmarius nel 1579.88
Xylander apportò alcune correzioni al testo greco a norma della traduzione fornita
nell‘editio princeps e introdusse qualche piccola novità: la prefazione, al pari della
traduzione latina, fu rivista e corretta in molti punti e le note furono ampliate.
Ciononostante è opinione pressoché unanime tra i moderni studiosi di Marco
Aurelio che il suo scopo fu raggiunto soltanto in parte: stando infatti alle accurate
stime di Schenkl89
, Xylander corresse trentasei piccole sviste, ma trascurò
quarantaquattro errori generalmente più gravi, senza contare che non modificò
neppure i passi della traduzione latina in corrispondenza delle nuove congetture
inserite nel testo greco.
87
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. IX. 88
Farquharson 1944, vol. I, p. XXVII. 89
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. VIII-IX.
38
Il codice A
L‘unico libro manoscritto che riporti integralmente il testo dell‘A se stesso è il
codice Vaticanus Graecus 1950 (=A)90
. È scritto su carta orientale e data al
principio del XIV secolo; è anteriore al 1325. Apparteneva al nobile Stefano Gradi,
di origine ragusea, il quale lo regalò alla Biblioteca Vaticana, di cui era stato
nominato Primarius et Maior Custos da papa Innocenzo XI nel 1682.
Per la cronaca si ricorderà che questo manoscritto fu trasportato da Roma a Parigi
dalle armate francesi nel 1795, e restituito nel 1815.
Il manoscritto è suddiviso in due tomi: I = f. III + 1-279, e II = f. 280-548.
Il primo contiene la Ciropedia di Senofonte (f. 1-279).
Il resto è costituito, almeno in parte, da una raccolta di testi, scelti, per lo più, per
il loro significato morale.
È interessante notare che la seconda parte del codice A (f. 280-407), parte distinta
dalla prima (da cui essa è separata tramite nove fogli bianchi, f. 271-279) e che
forma da sola un tutto completo, contiene i Memorabili di Senofonte (f. 280-340v),
poi l‘A se stesso di Marco Aurelio (f. 341-392v), poi il Manuale di Epitteto (f. 392
v-
399), infine, dopo una pagina di frammenti retorici (f. 401), la raccolta delle
massime di Epicuro conosciuta come Gnomologium Vaticanum (f. 401v-404
v).
Tutto questo insieme, ivi comprese le massime di Epicuro, andrà senza dubbio
attribuito all‘opera di un compilatore cristiano, che ha radunato così, per suo uso
personale, un certo numero di testi fondamentali di dottrina morale, come in una
sorta di breviario: il testo del Manuale di Epitteto è difatti quello della parafrasi
cristiana.
Subito dopo di questo insieme di testi, che riguardano l‘etica, s‘incontrano le
di Massimo di Tiro (f. 408-518v), il di Alcinoo (f. 518
v-
540v) e Aristotele, De motu animalium (f. 542-545
v).
Nel manoscritto A si possono distinguere le mani di parecchi copisti: 1^ copista =
f. 1-67 e 108-271v; 2^ copista = f. 67
v-103
v; 3^ copista = f. 280- 399 e 401-404; 4^
copista = f. 408-540v; 5^ copista = f. 542-545
v. Si annoverano anche due copisti più
recenti:1 = f. 337r-v
; 2 = f. 407v.
Il codice A rimase per molto tempo ignorato, fino a quando il cardinale Francesco
Barberini (nipote di papa Urbano VIII) non ne divulgò alcune lezioni in appendice
alla traduzione italiana del 1675.
Fu soltanto nel 1770, tuttavia, che J. P. de Joly riuscì a realizzarne la collazione
completa, che impiegò nella traduzione francese di quello stesso anno e nella
propria edizione del 1774. Tale collazione servì egregiamente anche alle edizioni di
Schultz del 1802 e di Koraìs del 1816.
Ormai pienamente affermatosi nella concreta pratica ecdotica, il codice fu
nuovamente collazionato da Stich nel 1879 e da Schenkl nel 1906.
90
Descrizione in P. Canart, Codices Vaticani Graeci. Codices 1745-1962, t. I, Città del Vaticano,
1970, p. 762-766, e t. II, 1973, p. LXIX.
39
La testimonianza di A e T
Da un‘accurata analisi comparativa si deduce che A e T sono gli unici testimoni
di due famiglie diverse: essi, infatti, s‘ignorano vicendevolmente e non presentano
contaminazioni di sorta. In più il codice che chiamiamo Toxitanus, e che servì da
modello per l‘editio princeps, conteneva, come ricordato in precedenza, oltre all‘A
se stesso di Marco Aurelio, anche il Proclus vel De Felicitate di Marino, il che ci
colloca in una tradizione assolutamente diversa dal Vaticanus Graecus 1950.
D‘altro canto la loro indiscutibile somiglianza fa pensare a un originale comune: la
successione dei capitoli, e, in generale, il loro testo, corrisponde al nostro attuale
testo a stampa; inoltre, a dispetto di alcune differenze minori, concordano
significativamente nei luoghi che presentano corruzioni o lacune, in molti piccoli
errori, e persino in lievi minuzie di ortografia e accentuazione. Ne risulta, pertanto,
che A e T sono sì gli unici superstiti di due tradizioni diverse, ma rimontano ad un
unico archetipo. Il quale è da identificarsi, probabilmente, in quel codice che, verso
l'inizio del X secolo, il vescovo bizantino Areta scriveva di avere tra le mani e di
aver fatto amorosamente ricopiare91
. Come ha brillantemente dimostrato P.
Hadot92
, esso non era affatto a pezzi: non è più opportuno, pertanto, cercare di
spiegare il supposto disordine del libro di Marco Aurelio con il cattivo stato del suo
archetipo.
Ma, poiché Areta ha fatto dono di questo vecchio manoscritto a Demetrio,
metropolita di Eraclea, non è affatto escluso che quest‘ultimo abbia fatto fare, lui
pure, una copia di questo venerabile esemplare. È dunque possibile che ci siano due
tradizioni derivate dal manoscritto di Areta93
.
Nei loro tratti esteriori, infatti, A e T appaiono notevolmente differenti.
In A l‘opera di Marco Aurelio è riportata senza titolo94
(solo prima del libro XII si
leggono le parole ) e senza distinzione in libri, sebbene
alcuni di essi siano separati da un intervallo95
.
Il titolo , che è premesso in T a tutta l'opera, è definito
da Xylander ‗inscriptio nostra‘: ne dobbiamo dedurre che anche il codex Toxitanus
fosse senza titolo. Tuttavia la veste editoriale di T è chiaramente organizzata in
dodici libri, e di fronte ad ognuno è sempre apposta l‘iscrizione:
( …)96
.Le singole riflessioni sono separate, in T, da uno spazio bianco o da un nuovo
capoverso, sebbene non siano numerate, e le divisioni risultano generalmente
coincidenti con le sequenze del pensiero. In A, invece, esse sono individuate da un
capolettera rubricato (si riscontrano peraltro, specialmente negli ultimi libri,
continue omissioni), ma le distinzioni operate appaiono francamente incoerenti.
15
… Arethae, scripta minora I, p. 305 Westerink.92
Hadot 1998, p. XXI. 93
Cortassa 1997, p. 134-139. 94
È comunque possibile che fosse previsto un titolo generale, perché, proprio in testa all‘opera, è
stato lasciato uno spazio bianco di due righe. Cfr. L. Bergson ―Fragment ...‖ p. 167. 95
Si può individuare una separazione di due righe tra l‘attuale libro I e l‘attuale libro II, tra l‘attuale
libro II e l‘attuale libro III, tra l‘attuale libro IV e l‘attuale libro V, tra l‘attuale libro VIII e l‘attuale
libro IX, e un segno di divisione tra l‘attuale libro XI e l‘attuale libro XII con la scrittura
di cui si è detto. 96
T fa erroneamente iniziare il libro II solo da II 4: sarà soltanto Thomas Gataker ad indicare
l‘esatta divisione tra i libri I e II.
40
Malgrado tutto la differenza più cospicua fra i due testimoni A e T riguarda, in
realtà, la qualità effettiva del testo trasmessoci. Se si legge T, s‘incontrano molti
piccoli errori, i quali, tuttavia, si ritrovano comunemente in ogni manoscritto.
L‘impressione generale che se ne ricava è, comunque, di un testo che presenta sì
molte idiosincrasie, ma rimane pur sempre un testo intelligibile. Se, d‘altro canto,
si prende A in un punto qualsiasi, non solo ci si trova di fronte a continue omissioni
di righe, porzioni di riga, perfino di passi più ampi, di due o tre righe97
, ma la
quantità di errori riscontrabili è tale da permettere soltanto un approccio al
significato dell‘autore e, talvolta, nemmeno quello98
. Inoltre, particolarmente negli
ultimi libri99
, si presentano corruttele che non sono riconducibili a nessuna delle
regole conosciute nell‘interpretazione dei manoscritti.
Il problema dell‘origine di tutte queste difficoltà è accresciuto dal fatto che la
mano dello scriba, per quanto tarda, si rivela piuttosto buona: spesso è evidente il
tentativo di accomodare un lapsus calami, e occasionalmente la correzione di una
forma è inserita nello spazio sopra la riga senza cancellare la scrittura precedente.
Pare che abbia tentato di essere intelligente.
Si può dunque affermare che l‘editio princeps sia, complessivamente, un
testimone migliore di A, pur presentando anch‘essa un gran numero di corruttele e
di lacune. Non c‘è nulla, beninteso, che vieti ad un editore di scegliere, volta per
volta, la lezione di A rispetto a quella di T, se nettamente migliore, ma, laddove le
due lezioni siano intrinsecamente possibili, sembra fuor di dubbio che la preferenza
vada accordata a T.
97
Tutti i moderni editori concordano nel giudicare le frequenti cadute per omeoteleuto di A il tratto
più caratterizzante nella scrittura del codice: cfr. Leopold 1908, p. IV, ma soprattutto Schenkl (ed.
mai.) 1913, p. XXII-XXIII. 98
Che il codice A non sia stato esemplato con troppa diligenza è ormai nozione vulgata nella storia
della critica. Lo spoglio più esauriente degli errori di A rimane ancora Polak 1886, cui si aggiunga
almeno: Leopold 1908, p. IV, n. 2; Farquharson 1944, vol. I, p. XI-XII; Trannoy 1925, p. XVI-
XVII. 99
Trannoy 1925, p. XVIII-XIX dimostra inequivocabilmente come l‘accuratezza di A venga
drammaticamente scemando libro dopo libro.
41
Il codice D
Il più completo e il più importante tra i codici che riportano solo estratti
dell‘opera di Marco Aurelio è il Darmstadtinus 2773 (=D)100
.
Questo manoscritto, scritto su carta, data alla metà o alla fine del XIV secolo.
Contiene i testi più diversi e si possono distinguere, nella sua scrittura, una dozzina
di mani differenti. A giudicare dalle numerose correzioni di lettori, proveniva da un
monastero o da una scuola101
. Esso presenta, nei fogli 348v-358
v, i seguenti
excerpta dell‘A se stesso, ricavati dai libri I-IX: I 7-1626 (tranne 159 e 168 e 17); II;
III 1-6; IV 2-4, 7-8, 19-21, 35-36, 43, 46-47, 501-3; V 1-6, 9-10, 14, 281-3, 31, 33;
VI 1-12, 152-19, 21-22; VII 28-29, 55, 59-61, 63, 70-71, 74; VIII 8-9, 10fine
, 12,
36, 50-51, 54-55; IX 2-7, 21-25, 29-311.
Pare comunque pressoché sicuro che il codice contenesse excerpta anche degli
ultimi tre libri, perché, al fondo del foglio 358v, il capitolo IX 31, l‘ultimo degli
estratti conservati, risulta interrotto a metà. A riprova ulteriore si può citare anche
la breve nota apposta in calce al f. 161r, che propone al lettore un rimando
successivamente inevaso102
.
La silloge non è accompagnata in D da nessun titolo: soltanto al foglio 349v, di
fronte ai capitoli estratti dal secondo libro, si leggono le parole e
. La segnalazione degli excerpta di D si deve originariamente a F. Creuzer,
nell‘edizione dell‘opuscolo plotiniano De Pulchritudine, pubblicata a Heidelberg
nel 1814, ma la prima collazione completa fu operata da Werfer soltanto nel 1821
(in Acta Philologorum Monacensium III, p. 417-423).
Nuove collazioni del codice vennero comunque ripetute da Stich, nell‘approntare
la prima edizione del 1882, e, in anni più recenti, da Leopold, per l‘edizione del
1908.
Solidi argomenti codicologici e testuali, portati nel corso degli anni dai moderni
editori, permettono di apparentare inequivocabilmente D alla tradizione di A.103
Il
foglio 354, infatti, presenta, frammiste agli excerpta di Marco Aurelio, proprio le
sentenze 24 e 33 del Gnomologium Vaticanum conservato in A. A ciò si aggiunga
che in D il florilegio dell‘A se stesso è accompagnato da estratti di Massimo di Tiro
e di Alcinoo, autori tutti che troviamo puntualmente congiunti con Marco Aurelio
anche in A, e inoltre la circostanza, davvero singolare, che tanto in A quanto in D
l‘opera, o gli excerpta, vi si trovino trascritti senza la minima indicazione del
contenuto.
100
Descrizione in L. Voltz e W. Crönert ―Der Codex 2773 miscellaneus Graecus der
Grossherzoglichen Hofbibliothek zu Darmstadt. Ein Beitrag zur griechischen Excerpten-Literatur‖,
Zentralblatt für Bibliothekswesen, 14 (1897), p. 537-571, con un indice dei testi contenuti nel
manoscritto; C. Denig, Mitteilungen aus dem griechischen Miscellancodex 2773 der
Grossherzoglichen Hofbibliothek zu Darmstadt, Programm des Grossherzoglichen Gymnasiums zu
Mainz, Schuljahr 1898-1899, Mainz, 1899; P. Moraux, Aristoteles graecus. Die griechischen
Manuskripte des Aristoteles, t. I, Berlin-New York, 1976, p. 122-124 (non vi sono descritti che i
testi aristotelici). 101
Cfr. L. Voltz e W. Crönert ―Der Codex 2273 ...‖, p. 538. 102
, Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XXXVIII. Cfr. anche
ibid., p. XII-XIII, dove si cita ugualmente L. Voltz e W. Crönert ―Der Codex 2273 ...‖, p. 551.103
Cfr., per tutti, Stich 1902, p. 516-520; Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XX-XXI e Farquharson 1944,
vol. I, p. XXXIII.
42
La straordinaria somiglianza tra A e D nella varietà delle lezioni esibite ha fatto
anzi supporre che quest‘ultimo fosse copiato direttamente da A104
.
H. Schenkl, che riprese accuratamente i termini del problema nei prolegomeni
all‘edizione del 1913, appare in verità abbastanza sicuro che D non sia
semplicemente un codex descriptus di A, e quindi esso non sarebbe affatto inutile
per la costituzione del testo come si era detto talvolta.
Questo procede non solo dal fatto che D offre spesso una versione compendiata di
A, ovvero una disinvolta parafrasi del suo presunto originale,105
e non solo dal suo
consenso in certi punti con T contro A (perché queste possono essere tutte
correzioni congetturali dovute al suo scriba),106
ma dal fatto che D ha conservato un
certo numero di scholia vetera di cui A non presenta alcuna traccia.107
La brillante
replica di P. Maas, che seguiva di appena un anno all‘edizione di Farquharson,
dove tutti gli argomenti di Schenkl erano accolti con favore, minava alle basi
l‘assunto stesso della teoria.108
La questione degli scholia vetera sembrava così
archiviata.109
La difesa di Schenkl prevedeva però un passaggio ulteriore, che purtroppo,
nell‘orizzonte necessariamente ristretto della replica di Maas, non poté essere
discusso in dettaglio. Egli fondava l‘indipendenza di D da A sulla base di una serie
di luoghi in cui la lezione di D sembra tenere una posizione intermedia tra A e T110
.
Eppure da II 8 non si ricava nulla: è molto ingenuo supporre che la lezione
, testimoniata da D, sia stata
ottenuta sbirciando , che si legge in
T, e non piuttosto per semplice correzione congetturale del
di A, soprattutto quando, di fronte ad autentiche varianti,
nel passo in esame D segue esclusivamente il dettato di A, ignorando
completamente T111
.
Lo stesso si dica di II 13: D del §1 è facile correzione di A e
non ha nulla a che fare con T C.
VII 631, un luogo a proposito del quale Schenkl sottolinea con malcelato
entusiasmo anche la coincidenza tra B e D112
, rischia di tramutarsi in un clamoroso
errore di valutazione: D, in questo caso, non è affatto un testimone affidabile per la
costituzione del testo, dal momento che ne offre una versione ampiamente
rimaneggiata, mentre la superficiale somiglianza con B, dovuta all‘assenza in
entrambi di , che segna una citazione, è imputabile esclusivamente alla
formula scelta dal compilatore di D per introdurne la parafrasi,
104
La questione si trova chiaramente impostata, nelle sue linee guida, per la prima volta in Polak
1886, p. 349-354. Di segno opposto le repliche di Stich 1902, p. 520-522, e di Leopold 1908, p. V. 105
Leopold 1908, p. V cita a conforto soprattutto VII 63 e 70. 106
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XX-XXI. 107
Pubblicati da Denig 1899; Schenkl (ed. mai.) 1913, p. 160. Essi, nel loro nucleo originario,
risalirebbero direttamente agli studi di Areta sul testo di Marco Aurelio. Così Schenkl (ed. mai.)
1913, p. V, n. 2. 108
«The scholia, which D has and A has not, would be significant only if they cannot possibly be
the work of D. But they can. [...] Besides, the phrase , in his schol. on M. Ant.
6,10, agrees with in his schol. on Plat., Theaet. 191c, published by Denig, p. 11»
Maas 1945, 145. 109
Attualmente se ne attribuisce senza esitazione la paternità all‘anonimo excerptor di D. Cfr.
Dalfen 1979, XI. Così, tuttavia, già Stich 1902, 519-520. 110
II 8, 13; VII 63; VIII 503, 51
2 Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XXI.
111
T: A D; T: A D.112
A v8 X: V T D B Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVIII.
43
In assenza d‘indicazioni più precise, è impossibile sapere che cosa intendesse
dimostrare Schenkl citandoVIII 503, perché D, nella fattispecie, o modifica
arbitrariamente il testo del proprio antigrafo113
, o ne corregge una banalissima
svista, allineandosi così a T114
.
Infine chiunque può vedere che D, di VIII 512, è un‘ovvia correzione di
A, del tutto indipendente da T115.
La scrittura del codice D è spesso corretta, in parte dallo stesso scriba, in parte da
un‘altra mano: alcune parole, che in un primo tempo erano state omesse, sono
frequentemente aggiunte a margine. Schenkl, seguito in questo da Dalfen116
,
presume che tutte queste correzioni siano state apportate a norma di un esemplare
manoscritto molto vicino a T: evidentemente l‘autore aveva a disposizione
parecchie fonti, tra le quali operò delle scelte117
.
Ciononostante in nessuno degli esempi citati da Schenkl si può decisamente
accantonare l‘ipotesi che tutte le correzioni siano dovute esclusivamente al copista
di D118
: II 174 sta anzi a dimostrare, in tutta evidenza, che i minimi ritocchi alla
sintassi del passo sono stati apportati avendo a disposizione solamente il testo di A.
Non molto più convincenti gli argomenti addotti indipendentemente da Dalfen per
rivendicare a D un valore testimoniale autonomo119
.
Innanzitutto I 159 è assolutamente inutilizzabile allo scopo, perché D omette di
copiare integralmente proprio questa pericope. Tutt‘al più si potranno rilevare le
consuete difficoltà di A nel separare correttamente la scriptio continua e un errore
piuttosto comune imputabile a iotacismo.
II 13, 122, 133; III 62 sono tutte agevolissime congetture di D, suggerite dalla
inevitabile esigenza di restituire coerenza ad un contesto altrimenti inintelligibile.
Un po‘ meno agevole III 22, decisamente difficile II 171, ma non senza paralleli
nella scrittura del codice. Ché anzi tutti i casi in cui Dalfen riconosce
ottimisticamente in D l‘autentico portatore di una genuina lezione d‘archetipo
rispetto ad A e T andrebbero meglio ricondotti alla sagacia del suo compilatore120
.
La correzione di I 76 fu suggerita indipendentemente da Xylander più di duecento
cinquant‘anni prima che gli excerpta contenuti in D fossero segnalati, ed è
riconosciuta come congettura del suo copista tanto da Schenkl121
quanto da
Maas122
.
113
A T: D. 114
T D: A.115
Le considerazioni finali di Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XXI, n. 2: ―inprimis notatu dignum, quod
VII 59 D (), quod ad litteras attinet, ex A (), quod ad sententiam, e T () pendere
videtur‖ sono sicuramente ingegnose, ma non meritano evidentemente alcuna considerazione. 116
Dalfen 1979, p. XII. 117
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVII. 118
II 174 T: A (in mg.) D; III 1
3 om. A D m1 (add. m2); 4
3
T D corr. C: A D pr.; 44 T D corr.: A D
pr.; IV 36 T D: A; VII 60
2 T D
corr.: A D pr. Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVII.119
I 159 T: A; II 1
3 T D C: A; 12
2
T D: A; 133 T D C: A; 17
1 T D C M: A; III 2
2
T D: A; 62 T D: A Dalfen 1979, p. XI.
120 I 7
6 D Xyl.: A T; VI 16
10 D: T, om. A
Cor.; IX 24 D Bas.: A T Dalfen 1979, p. XII.
121 Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVI.
122 Maas 1945, p. 145.
44
La variante , che si legge in VI 1610, è dettata al copista di D, che non
ne trovava alcuna traccia in A, da immediatamente successivo, con ovvio
parallelismo, ma è palesemente lectio facilior rispetto a di T.La parola , infine, che si legge così deformata nel testo di T in IX 24, è
una chiara svista dei compositori di Zurigo, e come tale fu corretta dallo stesso
Xylander nella successiva edizione di Basilea del 1568: anche in quest‘occasione,
dunque, con il solo A a propria disposizione, il compilatore di D si è destreggiato al
meglio delle sue capacità.
Appare evidente, allora, alla luce di tutte queste osservazioni, che non esiste
alcuna valida obiezione a considerare D un semplice codex descriptus di A,
riducendone così drasticamente il valore testimoniale per la costituzione del
testo123
.
D, infatti, coincide con T solo quando corregge autonomamente alcuni banali errori
di ortografia.124
Viceversa, alla presenza di un‘autentica variante, D si allinea
invariabilmente alla tradizione di A.125
Il compilatore di D appare un dotto che si pone in modo critico di fronte al
testo,126
ma con risultati per lo più pessimi: modifica arbitrariamente la struttura
delle frasi, o le abbrevia,127
e talvolta giunge persino a scrivere per, evidentemente indotto dalla sua fede cristiana.
128 Sono presenti, inoltre, alcune
deliberate omissioni di luoghi giudicati corrotti o troppo oscuri, nonché aggiunte,
opera dello stesso scriba o provenienti da glosse accolte nel testo.129
Frequenti si
rivelano i tentativi di emendare, con le proprie forze, le lezioni giudicate scorrette
nel proprio modello,130
con il risultato di alterare spesso luoghi sani.131
Talvolta lo
scriba dà prova di ignoranza e leggerezza, talaltra, invece, escogita brillanti
correttivi, e non è strano che in due o tre casi abbia imboccato la via giusta per
emendare il testo.132
Tutte le altre lezioni peculiari a D sono ovviamente gli errori che caratterizzano il
manoscritto.133
Qualche esempio ulteriore, fino a questo momento ignorato dai successivi editori,
chiarirà definitivamente la natura di D:
123
Era questo l‘auspicio, rimasto purtroppo frustrato, di Paul Maas: ―I hope future editors will
mention D only in the few passages where its conjectures emend the archetype‖ (Spero che gli
editori a venire menzionino D solo nei pochi passaggi in cui le sue congetture correggono
l‘archetipo) Maas 1945, p. 145. 124
Cfr. tab. n^1. 125
Cfr. tab. n^2. 126
«The man for whom D was compiled must have been one of the leading classical scholars of c.
A.D. 1400 ... One would like to know the author‘s name» Maas 1945, p. 145 127
Il rimaneggiamento di cui è fatto oggetto il libro I, nella trascrizione che si legge in D, è molto
più profondo di quanto Dalfen stesso non sia disposto ad ammettere. Esso non si limita affatto agli
incipit dei capitoli 7 e 11, non fosse altro perché, in primo luogo, 8-10 sono modificati a norma di 7.
1, mentre poi 12-16 si allineano naturalmente alla nuova formula scelta per introdurre la parafrasi, e,
in subordine, perché anche 14. 2 risulta pesantemente rimaneggiato. L‘incipit stesso di I 14 rivela il
programma editoriale dell‘epitomatore, che non trascrive alla lettera, ma adatta alla bisogna. 128
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVII. 129
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVI. 130
La correzione congetturale dell‘excerptor di D presuppone sempre la variante di A: è
significativo che in tutti i casi esaminati il testo di T non sia mai stato preso in considerazione. Cfr.
tab. n^3. 131
Cfr. tab. n^4.132
Cfr. tab. n^5. 133
Cfr. tab. n^6.
45
III 4. 9 [A T D] T: A D T: om. A D A T: D … om.
D, del. Lemercier.
Del tutto impossibilitato a riconoscere l‘erronea interpretazione della scriptio
continua in A, o nel modello che ne è alla radice,134
il copista di D, che
evidentemente non aveva altre fonti a cui poter attingere, non trova nessun rimedio
più efficace che concordare nel numero la voce verbale al nuovo soggetto
erroneamente prodottosi.135
IV 50. 1, se possibile, è ancora più eloquente:
[A T D] … A T: om. D T: A D T:
A D T: A D
Ecco il passaggio così come si legge in A: . Considerando probabilmente tutto il gruppo di parole fino
al primo punto fermo come un lemma o una rubrica,136
oppure come il commento
di un lettore scivolato poi nel testo,137
il copista di D omette tutta la pericope.138
Successivamente corregge gli errori di ortografia,139
o, per meglio dire, quelli che
prende come tali,140
per dare alla lezione di A un senso almeno apparentemente
accettabile. Nulla, come si può vedere, è più distante dal limpido testo di T, che
difficilmente l‘anonimo compilatore di D avrebbe trascurato, se soltanto avesse
avuto l‘opportunità di accedervi.
V 7. 1 [A T D]
134
T: A D.135
A T: D.136
Il titolo , che si legge, tanto in A quanto in T, in testa al capitolo VII 32, così come
i due e dei capitoli immediatamente successivi, sono correttamente espunti
da Dalfen perché aggiunta di copista o lettore. Altre sicure interpolazioni di T sono e
che si leggono prima di VII 35-36, nonché che inaugura la silloge degli
estratti platonici di VII 44-46. 137
Altro intervento di mano estranea sembra essere , che introduce, tanto in
A quanto in T, VII 48. Solo in T, peraltro, si trova, subito prima di VII 52, la scrittura:
. 138
La giusta separazione tra i diversi capitoli pare sia stata problematica da individuare in tutta la
tradizione manoscritta: come rimarca opportunamente Schenkl (ed. mai.) 1913, Adn. Supp. p. 162,
fu solo Xylander ad indicare correttamente l‘inizio di IV 50. L‘erroneo , che si legge in A (=
XII 34), è dovuto, con ogni probabilità, alla disattenzione del rubricatore, che ha tracciato una
lettera capitale diversa da quella prevista su di uno spazio in precedenza lasciato in bianco. Si tratta
di un errore piuttosto comune. Cfr. Polak 1886, p. 339-340. Qualcosa del genere è accaduta
senz‘altro anche a IV 31: T D: C A. Ciò che mette
conto di notare qui è la perfetta corrispondenza tra A e D nell‘impaginazione e nelle articolazioni
interne esibite dal testo. 139
T D: A.140
A T: D; A T: D.
46
Come si desume dal persuasivo confronto con T, questo luogo dell‘
non si può leggere in A che gravemente mutilato: l‘intera pericope è infatti caduta per omeoteleuto.
Questa lacuna di A non solo non è colmata in D, ma il suo copista altera in
anche il corretto dell‘originale, per accordare il genere all‘unico termine
plausibile sopravvissuto nel contesto.Altrettanto illuminante si rivela IX 4:
[A T D] T: om. A D Reiske 2
T: om. A D A T D pr.: D corr.
La brevissima si legge nella sua forma piena e corretta soltanto in T, che
corrisponde all‘attuale vulgata. In A, invece, la seconda parte, vuoi per aplografia,
vuoi, ancora una volta, per omeoteleuto, è stata così mutilata:
.La correzione , che si legge in D, ad opera di una seconda
mano, presuppone ovviamente che il suo scriba avesse di fronte solamente il testo
di A: T è, una volta di più, completamente ignorato
47
Tab. 1 A D T
I 8. 4
I 10. 2
I 14. 2
I 15. 8
I 16. 22
I 16. 23
II 1. 3
II 2. 2
II 4. 1
II 5. 1
II 9
II 11. 3
II 11. 4
II 12. 2
II 13. 1
II 13. 3
II 17. 1
II 17. 4
II 17. 4
III 1. 1
III 1. 1
III 1. 3
III 1. 3
III 2. 2
III 2. 4
III 3. 2
III 4. 1
III 4. 1 om.
III 4. 3
III 4. 3
III 4. 4
III 4. 6
III 6. 1
III 6. 1
III 6. 2
IV 3. 1
IV 3. 6
IV 4. 1
IV 4. 3
IV 19. 1 om.
IV 19. 3
IV 20. 2
IV 20. 3
IV 20. 3
IV 50. 1
V 1. 2
V 1. 2
48
A D T
V 1. 2
V 1. 6
V 1. 6
V 3. 2
V 5. 4
V 6. 4
V 6. 7
V 9. 1
V 9. 4
V 10. 1
V 10. 2
V 14. 1
V 28. 1
V 28. 3
V 31. 1
V 33. 2
VI 1. 2
VI 2. 2
VI 2. 2
VI 8
VI 10. 3
VI 10. 5
VI 12. 2
VI 16. 1
VI 16. 10
VI 22
VII 28
VII 28
VII 55. 1
VII 60. 2
VIII 36. 1
VIII 50. 1
VIII 50. 1
VIII 50. 3
VIII 51. 2
VIII 54. 2
VIII 54. 2
IX 2. 2
IX 2. 3
IX 2. 4
IX 2. 5
IX 3. 8
IX 21. 1
IX 22. 2
IX 23. 2
IX 25
IX 29. 6
IX 30. 1
49
A D T
IX 30. 1
50
Tab. 2 A D T
I 7. 2
I 8. 1
I 8. 6
I 9. 10
I 12
I 14. 1
I 14. 3
I 14. 7 om. om.
I 15. 1
I 15. 3
I 15. 4
I 15. 5
I 15. 6
I 15. 6
I 15. 8 […]
[…]
[…]
I 16. 6
I 16. 14
I 16. 15
I 16. 18
I 16. 20
I 16. 21
I 16. 21
I 16. 24
I 16. 24
I 16. 25
II 1. 3
II 1. 4
II 2. 2
II 2. 4
II 2. 4
II 3. 2
II 3. 3
II 4. 1
II 4. 1
II 4. 2 om. om.
II 4. 2
II 4. 2
II 4. 2
II 5. 3
II 6. 1
II 8
II 8
II 9
51
A D T
II 10. 3
II 10. 3
II 10. 3
II 11. 2
II 11. 3
II 11. 5
II 11. 5
II 12. 1 om. om.
II 12. 3
II 12. 3
II 12. 4
II 12. 4 om. om.
II 13. 1
II 13. 3
II 13. 3
II 13. 3
II 13. 3
II 14. 3
II 14. 4
II 14. 5
II 14. 5
II 16. 5
II 17. 1 om. om. […] III 2. 5
III 2. 5
III 2. 6
III 4. 1 om. om.
III 4. 3
III 4. 4
III 4. 4
III 4. 5
III 4. 5
III 4. 7
III 4. 9
III 4. 9 om. om.
III 5. 3
III 5. 3
III 5. 3
III 6. 1 om. om.
III 6. 2
III 6. 3
III 6. 4 om.III 6. 6
III 6. 7
IV 3. 3
52
A D T
IV 3. 5 om.IV 3. 5
IV 3. 8 om. om.
IV 3. 8
IV 3. 9
IV 3. 11
IV 4. 1
IV 4. 1
IV 4. 1
IV 4. 2
IV 4. 3
IV 19. 1
IV 19. 3
IV 20. 1
IV 20. 2
IV 20. 3 om.IV 21. 2
IV 36. 1
IV 36. 1
IV 46. 4
IV 47 om.IV 50. 1
V 1. 1
V 1. 2
V 1. 2
V 1. 3 om.V 1. 4
V 1. 4 om.V 1. 4
V 1. 4
V 1. 5
V 1. 6
V 1. 6
V 1. 7
V 1. 7 om. om. […] V 3. 1
V 4
V 4
V 5. 2
V 5. 2 om. om.
V 5. 3
V 5. 3
V 5. 4
V 5. 4
V 5. 4
53
A D T
V 6. 2
V 6. 2
V 6. 3 om.V 6. 4
V 6. 5 om. om.
V 6. 6
V 6. 7
V 6. 7
V 6. 8
V 9. 1
V 9. 2
V 9. 3
V 9. 3
V 9. 3
V 10. 1
V 10. 1 om. om.
V 10. 4 om. om.
V 28. 1
V 28. 2
V 28. 2
V 31. 3
V 31. 3
V 33. 6
VI 1. 1
VI 3
VI 8
VI 8
VI 12. 2
VI 15. 2
VI 16. 1
VI 16. 1
VI 16. 3
VI 16. 4
VI 16. 6
VI 16. 7
VI 16. 7
VI 16. 8
VI 16. 8
VI 19
VI 21. 1
VI 22
54
A D T
VII 55. 2
VII 55. 4
VII 55. 5
VIII 10
VIII 10
VIII 50. 1
VIII 50. 2 om. om.
VIII 50. 2
VIII 51. 1
VIII 51. 2
VIII 51. 2
VIII 51. 2
VIII 51. 2
VIII 51. 3
VIII 55
IX 2. 5 om. om. […]
IX 3. 4 om.
IX 3. 5
IX 3. 6
IX 3. 6
IX 3. 6
IX 3. 7
IX 4 om. om.
IX 4 om. om.
IX 6 om. om. […]
IX 7
IX 21. 3
IX 21. 3
IX 22. 2
IX 24
IX 25 om. om.
IX 29. 4
IX 29. 5
IX 29. 5
IX 30. 2 om.
IX 31. 1
55
Tab. 3 A D T
I 9. 4
II 2. 4 (
corr. Bas.)
II 5. 1
II 5. 1
II 5. 2
II 8
II 12. 4
II 13. 1
II 17. 1
III 1. 2
III 1. 2
III 4. 4
III 6. 1
III 6. 1
IV 3. 3
IV 3. 4
IV 4. 3
IV 46. 3 om.
V 3. 1
V 10. 1
V 10. 1
V 10. 6
V 14. 1
V 14. 1
VI 4
VI 11
VI 16. 9
VI 16. 10 om.
VIII 50. 1
VIII 51. 2
IX 3. 2
IX 23. 2
56
Tab. 4 A D T
I 7. 7
I 9. 6
I 9. 8
I 14. 1
I 15. 5
I 15. 5
I 15. 5
I 15. 6
I 16. 14
I 16. 18
I 16. 21
I 16. 21
I 16. 23
I 16. 25
I 16. 25
II 1. 3
II 2. 3
II 5. 1 om.
II 5. 2
II 7. 1
II 7. 2
II 10. 3
II 11. 6 om.
II 12. 3 om.
II 12. 3 om.
II 12. 4
II 13. 1
II 14. 4
II 16. 6 , , , II 17. 4
II 17. 4
II 17. 5
III 1. 2
III 2. 5
III 4. 4 om. om.III 4. 6
III 4. 9
IV 3. 1
IV 3. 2 ...
...
IV 3. 5 om.
IV 3. 9
IV 4. 3
IV 20. 1
IV 21. 3 om.
57
A D T
IV 21. 4
IV 46. 2
IV 47
IV 50. 1 ...
om. ...
IV 50. 1
IV 50. 1
V 1. 7
V 5. 1
V 6. 8
V 10. 5 om.
V 10. 6
V 10. 6
V 10. 6
V 28. 1
V 33. 6 [...]
[...]
VI 10. 2 om.
VI 10. 3
VI 11
VI 15. 2 om.
VI 15. 3
VI 15. 4 om.
VI 16. 3
VI 16. 5
VI 16. 6
VI 16. 7
VII 55. 2
VII 59
VII 60. 1
VIII 9
VIII 50. 1
VIII 50. 2
VIII 50. 2
VIII 50. 3
IX 2. 2
IX 3. 2
IX 3. 2
IX 3. 5
IX 4
IX 7
IX 21. 3
58
Tab. 5 A D T
I 7. 6 (idem coni. Xyl.)
I 9. 1 (in
mg.)
(Tox.) (Xyl.)
I 15. 6 (
idem coni. Gat.)
II 11. 3 (=Bas.)
II 11. 3
II 17. 4 (=Bas.; ‗quippe‘
Xyl.)
II 2. 4 (idem
coni. Gat.)
II 6. 2
II 16. 1 (idem coni.
Wil.)
II 16. 2
III 3. 6 (idem
coni. Holste)
III 4. 1
VI 16. 5 (in mg.;
idem coni. Cas.)
VII 59
59
Tab. 6 A D T
II 5. 1
II 5. 2 om.
II 10. 3
III 4. 4
V 9. 1 om.
V 28. 1
VI 16. 4
VI 16. 4
IX 3. 1
IX 3. 2 om.
IX 21. 3 om.
IX 29. 8
IX 31. 1
60
Il codice M
Praticamente di nessun rilievo, ai fini della costituzione del testo, si rivela il
Monacensis Graecus 323 (=M). Si tratta di un codice miscellaneo del XVI secolo,
il quale, frammisti ad altri excerpta di vario genere, presenta alcuni luoghi di
Massimo di Tiro e di Alcinoo (scrittori tutti che anche nei codici A e D
accompagnano l‘opera di Marco Aurelio) e quindi, nei fogli 9r, 19
r-20
v, brevissimi
estratti, in parte corredati da una traduzione latina, dei seguenti capitoli: II 101,3,
131, 166, 171,4,5; III 11, 161; IV 34, 43, 5, 62, 8-9, 101 461; VII 501.
Una parte di questi excerpta si trova copiata anche nei fogli 88v-90
v141.
Al foglio 19r (il foglio 9, infatti, è stato rimosso dalla sua posizione originaria per
un errore nell'impaginazione finale del codice) si trova apposta l‘iscrizione:
.
M si ricollega strettamente alla tradizione di T142
, da cui si allontana in due o tre
casi soltanto, commettendo gli stessi errori di A143
.
Il codice fu collazionato per la prima volta da Stich, per l‘edizione del 1882, e
nuovamente da Leopold, per l‘edizione del 1908.
141
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. X, n. 1, ha dimostrato inequivocabilmente che questi ultimi sono stati
copiati, da una seconda mano, direttamente dai primi. 142
II 171 dirime la questione in via definitiva: la pericope si legge, in forma
piena e corretta, soltanto in T C M; in A è così mutilata: ; rabberciata in D dallo scriba
per congettura: . 143
IV 43 T C D: A M; 5 T C: A M; 81
T: A M.
61
I codici della classe C
Sette codici miscellanei, databili tutti tra il XIV ed il XVI secolo, contengono, ove
non siano mutili o guasti144
, oltre alle Egloghe di Stobeo, alle sentenze di Teoctisto,
all‘opera di Aristosseno ed al frammento , la seguente silloge dell‘A
se stesso: I 87, 155, 1618; II 1-3, 9-10, 111-3, 121, 13, 141-4, 171-4; III 11, 3, 43-6; IV 31-
3, 7-11, 4, 5, 14-18, 20; III 52, 4, 10, 13-14.
La circostanza che il florilegio della classe C finisca a IV 20, combinata con
l‘evidenza che gli excerpta delle classi W e X, i quali risultano in gran parte
sovrapponibili tra loro, comincino soltanto dalla seconda parte del quarto libro145
, e
presentino poi estratti da tutti i libri successivi, ha permesso a Dalfen, il più recente
editore del testo, di formulare l‘ipotesi che, originariamente, esistesse un unico
esemplare manoscritto contenente excerpta di tutti e dodici i libri dell‘A se
stesso146
; tale codice, che nello stemma fornito da Dalfen è siglato con , sarebbe
stato in seguito smembrato e i due tronconi, così originatisi, altro non
rappresenterebbero che i lontani parenti delle attuali classi C e WX.
All‘anonimo excerptor di si dovrebbe anche lo strano disordine nella
successione degli estratti che si riscontra in C, come si può vedere dal prospetto
sopra riportato, ma soprattutto in WX.
A differenza delle classi W e X, i codici della classe C non presentano né glosse
interlineari né scolii marginali, fatta eccezione solamente per il Vaticanus Graecus
954 (=C), in cui alle parole di Marco Aurelio sono apposti qua e là commenti in
greco o in latino.
In essi, inoltre, gli estratti dell‘opera sono sempre accompagnati dalla scrittura
, quale indicazione del contenuto, e, a margine del capitolo IV 3, è
riportato un detto di un Filone non meglio precisato147
.
Molti degli excerpta, evenienza peraltro abituale in questo genere di raccolte
miscellanee, sono introdotti da espressioni quali , e simili, oppure, fra le
parole del testo, si trova inserito .
Quanto alle relazioni tra C e gli altri manoscritti, è unanime, fra gli editori,
l‘opinione che C si riallacci piuttosto alla tradizione di T che non a quella di A148
.
Che il testo dei pochi estratti conservati unicamente da C149
appaia invece
sensibilmente più vicino ad A è un‘osservazione acuta e puntuale, che merita
considerazione150
, ma non sposta di molto i termini della questione.
Il primo a pubblicare gli excerpta della classe C fu I. A. Cramer nel 1839 (in
Anecdota Graeca de codicibus manuscriptis bibliothecae regiae Parisiensis, vol. I,
p. 173-179), avvalendosi solamente di C e C, collazione poi ripetuta da Schenkl
(in Eranos Vindobonensis 1895, p. 163 s.) e corretta da Leopold per l‘edizione del
1908.
144
Particolarmente rilevante, tra questi, l'Oxoniensis Canonicianus Graecus 69, XVI secolo, (=C)
che termina a II 11. 145
W da IV 33; X da IV 492. 146
Dalfen 1979, p. XIII, il quale, peraltro, fonda tacitamente la sua teoria su analoghe osservazioni
riportate in Farquharson 1944, vol. I, p. XXXI: ―These fragments bear the mark of derivation not
directly from a manuscript of Marcus, but from a Florilegium‖ (Questi frammenti – ovverosia gli
excerpta della classe C – mostrano di non derivare direttamente da un manoscritto di Marco, ma da
un Florilegio). 147
Dalfen 1979, p. XIII. Secondo Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XIII, n. 3, la
scrittura si trova soltanto in C. 148
Cfr. Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XXI e Leopold 1908, p. V. 149
III 10, 13-14; IV 14-18. 150
A tal proposito si veda Dalfen 1979, p. XIV.
62
I codici della classe X
Più di venti codici, la maggior parte dei quali esemplati tra il XIV e il XV secolo,
contengono gli excerpta della classe X. In molti di questi, associata all‘A se stesso
di Marco Aurelio, si può leggere una selezione di epigrammi estratti dalla
Planudea; meno spesso le Immagini di Filostrato; ancor più raramente il trattato di
Moscopulo, il Manuale di Epitteto, i Disticha Catonis tradotti da Massimo
Planude, Agapeto, l‘Eroico di Filostrato. Si tratta di una serie di manoscritti venuti
alla luce per ritrovamenti successivi, circostanza che giustifica il ritardo del loro
impiego nelle moderne edizioni. Soltanto a partire dalla seconda metà del
Settecento, infatti, una collazione completa dei primi cinque codici Vaticani (=v1-
v5) e del Parisinus regius 2649 (=p4) fu disponibile a J. P. de Joly e a Schultz, il
quale, per l‘edizione del 1802, vi aggiunse il Guelferbytanus Gudianus 77 (=g) e i
quattro Laurenziani (=l1-l4). Per la propria edizione del 1882 Stich collazionò
nuovamente tutti questi codici, oltre al Barberinus II 99 (=b) e a due dei codici
Marciani (=m1, m2). Successivamente Leopold, nell‘approntare l‘edizione del
1908, impiegò altri cinque codici Parigini, fino ad allora del tutto trascurati (=p1-p3,
p5-p6), operando una nuova collazione di p4. Schenkl, infine, per l‘edizione del
1913, compì nuove accurate ricognizioni sui codici Parigini e Vaticani,
aggiungendovi il manoscritto dell'Athos (=a) da lui stesso ritrovato.
In anni più recenti nuove scoperte hanno incrementato il numero dei codici fino
ad allora conosciuti come appartenenti alla classe X. Nel 1974, infatti, D. A. Rees
segnalò la presenza di tali excerpta in due codici Vaticani, il Vaticanus Graecus
1823 (=v6), e il Vaticanus Graecus 1404 (=v7), entrambi del XIV secolo, nonché
nel codice Britann. Burn. 80 (=r) del XVI secolo. Oltre a questi furono portati
all‘attenzione degli studiosi il Venetus Marcianus 11,9 (=m3), del XV secolo151
, ed
il Mazarinianus 4591 (=f), del XIV secolo, segnalato da Ch. Astruc nel 1974 e del
tutto simile a p5 e p6.
A differenza di C, in quasi tutti i codici della classe X (fatta eccezione solamente
per g, l2, l3, r) accanto al testo di Marco Aurelio si trovano diffusamente apposte
glosse interlineari e scolii marginali, che spesso, anzi, assumono la forma di un
vero e proprio trattato sistematico di grammatica. Si può pertanto concludere, con
sufficiente approssimazione, che tale florilegio dell‘A se stesso sia stato
assemblato, intorno al XIII secolo152
, ad uso prettamente scolastico, come sembra
testimoniare, per altra via, anche il cospicuo numero di esemplari descritti a partire
dal XIV secolo.
Gran parte di essi, comunque, non è copiata con troppa diligenza: le glosse e gli
scolii, infatti, che nei codici accuratamente compilati sono distinti dall‘inchiostro
rosso e dall‘impiego di un diverso ductus nel vergare le lettere, vi si trovano
sovente confusi con le parole dell‘autore.
151
La notizia che questo codice contiene, tra gli altri, excerpta di Marco Aurelio si trova riportata
in: Indici e Cataloghi, Nuova serie VI, Codices Graeci Manuscripti Bibliothecae Divi Marci
Venetiarum, vol. III, Romae 1972, p. 90. 152
Stich 1882, p. X s., seguito da Leopold 1908, p. VI, propose di vederne l‘autore in Massimo
Planude, fondandosi sull‘iscrizione che si legge in l1:
. L‘attribuzione, per
quanto suggestiva, non può che rimanere meramente congetturale, in quanto le parole sopra
riportate non sono premesse alla raccolta completa degli estratti di Marco Aurelio, ma soltanto a
quegli ultimi quattro (e cioè XII 4, 14-15, 34) che si trovano collocati immediatamente prima degli
epigrammi della Planudea. A ciò si aggiunga che in p5, più antico e sicuramente più fede degno di
l1, in cui pure si riscontra questa singolare dislocazione dei frammenti, tale iscrizione è
completamente assente.
63
Né, d‘altro canto, a fronte di una tipologia così diversificata di manoscritti, riesce
del tutto inattesa la grande discrepanza nella varietà delle lezioni esibite, la
maggioranza delle quali andrà comunque attribuita, senza dubbio, a semplici errori
di scrittura.
Ciononostante fu Stich il primo editore ad accorgersi che alcuni errori e lezioni
comuni ricorrevano regolarmente in gruppi omogenei di manoscritti: il consenso
all‘interno dei vari gruppi fu successivamente siglato da Schenkl con le lettere x, y
e z. Per quanto riguarda poi la relazione tra X e gli altri codici, è unanime, fra gli
editori, l‘opinione che X si riallacci piuttosto alla tradizione di A che non a quella
di T.
Molti dei manoscritti appartenenti alla classe X presentano, frammisti agli
excerpta di Marco Aurelio, brevi estratti dal De Natura Animalium di Eliano, senza
alcun ordine apparente e, a parte v4 e v5, senza la minima indicazione del loro
autore, circostanza che ne ha spesso provocato l‘erronea attribuzione a Marco
Aurelio stesso153
.
Altrettanto, comunque, non si può dire dei codici l2, l3, p4, (indicati globalmente
con y) e di p1, in cui non si trova assolutamente nessuna traccia dell‘opera di
Eliano. Ne dobbiamo dedurre, con Dalfen154
, che y e p1, in uno stadio della
tradizione successivo all‘iparchetipo , siano stati separati dal resto degli esemplari
della classe X prima che i frammenti di Eliano e gli excerpta dell‘A se stesso
confluissero in un unico florilegio.
Tutti i codici della classe X, ove non siano mutili (come v1, p2 e altri), o non
presentino alcuni estratti per una qualsiasi ragione, contengono i seguenti excerpta,
sempre introdotti dalla scrittura: (si
riportanotra parentesi i relativi estratti di Eliano): VII 22 (I 22), 18 (I 25, 28), 7;
IV 492-5 (V 22, II 29, I 17, 34, 3, 52, 49); V 81-4, 7-13 (IV 25), 18, 26 (IV 50, 49); VI
131-4, 31 (IV 57, 60), 39-40 (I 1); VII 53, 62-63 (I 2), 66, 70-71; VIII 15, 172 (I 4),
34, 48, 54 (I 7-8, 13), 57, 56 (I 9-10); IX 11-9 (I 11), 40; XI 19 (I 16); IX 42; X 28-
29, 32, 34-35; XI 34-35; XII 2; XI 9, 21; XII 41, 14-15, 34.Come si potrà facilmente verificare, l‘ordine della successione è molto simile a
quello riscontrabile in W, ma notevolmente differente da C e, soprattutto, da A e T.
Un cenno a parte, per via delle loro peculiari caratteristiche, meritano i codici r,
m3 e v6, completamente sconosciuti agli studiosi fino all‘edizione di Dalfen,
pubblicata nel 1979. r, infatti, a differenza degli altri manoscritti appartenenti alla
classe X, termina a XI 21 (mancano, pertanto, i capitoli XII 4, 14-15, 34), ma non è
mutilo: dopo XI 21 la subscriptio è, infatti, chiaramente leggibile. D‘altro
canto m3 e v6 (quest‘ultimo, peraltro, limitatamente ai fogli 50v-51
v) presentano
soltanto i capitoli omessi da r. Pare dunque ragionevole concludere che r, m3 e v6
derivino da un antico esemplare comune, poi smembrato in due tronconi, o
addirittura, ma in via senz‘altro più ipotetica, che m3 o v6, a scelta, costituiscano
una delle porzioni dell‘originale perduto. In realtà che i quattro estratti del XII
libro, mancanti in r, siano stati tramandati e descritti come un piccolo corpus a sé
153
Un libro con queste caratteristiche fu senz‘altro conosciuto anche da Lilius Gyraldus, il quale
nell'Historia Poetarum, pubblicata nel 1545, scrive: ―Eius (cioè di Marco Aurelio) certe librum
graece scriptum legi, cuius titulus , quo variam illius et
multiplicem sapientiam facile colligere possumus‖ Lilius Gyraldus, Dial. V, de Poetarum Historia,
Basilea 1545, p. 603. Non v‘è dubbio che queste ultime parole facciano riferimento ai frammenti di
Eliano inseriti tra gli excerpta di Marco Aurelio, mentre il titolo, con cui l‘autore ne cita l‘opera,
ricorda senz‘altro un esemplare manoscritto della classe X. 154
Dalfen 1979, p. XIX. Sostanzialmente diversa l‘opinione di Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XV, n. 4,
il quale è piuttosto propenso a considerare deliberata l‘omissione di Eliano in p1, considerata la sua
sostanziale identità con gli altri codici che, al contrario, contengono tali estratti.
64
stante sembra trovare ulteriore conferma in alcuni dei codici che contengono tutti
gli excerpta della classe X: in m1, infatti, sono copiati sia al foglio 75 s., dove
appunto ci aspetteremmo di trovarli, sia al foglio 85, tra gli epigrammi
dell‘Antologia; in l1 e p5, invece, come si è già accennato, vengono dislocati
davanti all‘Antologia.
65
I codici della classe W
Tre codici, anch‘essi miscellanei, il Vaticanus Graecus 1823 (=V), il Vaticanus
Graecus 2231 (=v8), e il Monacensis 529 (=B), risalenti tutti al XIV secolo,
costituiscono la classe W.
È merito di Dalfen aver distinto questa classe. In precedenza, infatti, il codice B,
conosciuto fin dalla prima metà del Seicento e già collazionato da Meric Casaubon
per l‘edizione del 1643, grazie all‘apografo ricavatone da David Hoeschel, era
concordemente attribuito alla classe X, nonostante gli fosse assegnata una
posizione di tutto rilievo in virtù delle sue peculiari caratteristiche155
. In verità fu
proprio la scoperta degli altri due manoscritti, v8, segnalato da Weyland nel
1914156
, e V, segnalato da Rees nel 1974, a fornire, data la loro somiglianza con B,
quei necessari puntelli codicologici e testuali per separarli nettamente da X e
riunirli in una classe a sé stante. In primo luogo, infatti, la classe W presenta un
numero di excerpta maggiore rispetto a X; in secondo luogo B, V e v8 concordano
significativamente negli errori e nelle lezioni comuni, oppure presentano casi in cui
consentono con A e T, ma dissentono chiaramente da X; in terzo luogo, infine,
soltanto in W è presente una lacuna a IX 402. Per quanto riguarda poi le relazioni di
quest‘ultima classe con gli altri codici, W e X consentono spesso tra loro contro A
e T, proprio come assai diverso da A e T si presenta il testo degli excerpta
contenuti solo in W157
.
In B, il codice senz‘altro più completo e più importante dell‘intera famiglia, gli
excerpta dell‘A se stesso sono immediatamente preceduti, a mo‘ di titolo,
dall‘erronea dicitura: 158: la confusione è
probabilmente dovuta al fatto che, nei fogli 132r ss., si trova copiato proprio il
Manuale di Epitteto.
Gli estratti di Marco Aurelio, contenuti nei fogli 134r-143
v, sono i seguenti (si
sottolineano gli estratti comuni ai manoscritti della classe X): VII 23, 22, 18, 7; VI
35, 43-445; IV 33, 492-5, V 81-4 e 7-13, 18, 26; VI 131-4, 31, 33, 39, 40; VII 53, 62-63,
64, 66, 70-71; VIII 15, 172, 212-3, 34, 48, 54, 57, 56; IX 11-9, 40, 42; X 28-29, 32,
34-35; XI 9, 161-182.
Sfortunatamente, nei primi anni dell‘Ottocento, la scrittura di B è andata incontro
a tali danni da parte dei reagenti chimici impiegati per leggere il codice che una
buona metà delle sue pagine risulta praticamente illeggibile159
.
La circostanza che in B le ultime parole del capitolo XI 18 siano scritte proprio in
calce al foglio 143v (al foglio 144
r, infatti, cominciano i Disticha Catonis),
combinata con l‘osservazione che gli excerpta della classe X terminano invece a
XII 34, ha fatto ipotizzare a Dalfen che una parte dei fogli del codice sia andata
perduta160
. Mal si comprenderebbero le ragioni di queste affermazioni, se non si
volesse introdurre in tal modo un argomento surrettizio a favore dello stemma
codicum proposto, con la classe W a rappresentare la forma più piena e completa
del florilegio, poi ridotto e confuso con gli estratti di Eliano nella gran parte dei
codici della classe X. In realtà che XI 18 sia copiato fino in fondo al foglio di per sé
155
Si vedano, tra gli altri: Leopold 1908, p. VI; Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVIII; Trannoy 1925, p.
XX. 156
Gli excerpta di Marco Aurelio si possono leggere nei fogli 239-246v. La descrizione e la
collazione di Weyland (dove però il codice si trova siglato con v6 e viene ancora apparentato
erroneamente alla classe X) serviranno egregiamente già all‘edizione di Farquharson del 1944. 157
Per tutta questa parte si rinvia all‘ampia e probante disamina di Dalfen 1979, p. XIV-XV. 158
La stessa scrittura si trova anche in V, al foglio 150r.
159 La notizia è riportata da Leopold 1908, p. VI e da Dalfen 1979, p. XV.
160 Dalfen 1979, p. XV-XVI.
66
non prova nulla, tanto più che il senso riesce perfettamente compiuto, senza scarti o
brusche interruzioni nello svolgimento del pensiero. Per supporre poi, con un
minimo di fondatezza, che in B sia caduta l‘intera serie finale degli estratti di X
bisognerebbe essere assolutamente certi che la classe W contenesse, oltre ai suoi
particolari, anche tutti gli excerpta di X, eventualità nettamente smentita dal fatto
che, ad esempio, della serie comprendente XI 19, 34-35; XII 2, chiaramente
attestata in X, non si trova in W la benché minima traccia. Perfino ammettendo che
quest‘ultima sia stata interpolata nel testo di X in un periodo successivo allo
smembramento in due tronconi dell‘archetipo comune a W ed allo stesso X, come
peraltro sembra incline a fare lo stesso Schenkl161
, rimane comunque da giustificare
la particolare condizione in cui versa la serie XII 4, 14-15, 34, che suggella gli
excerpta esibiti da X. In r, infatti, come accennato in precedenza, è deliberatamente
omessa; in m3, al contrario, e in una delle parti di v6, è la sola ad essere esemplata,
mentre m1, l1 e p5 offrono robusti indizi circa l‘eventualità che i quattro estratti del
libro XII fossero tramandati e descritti come un piccolo corpus a sé stante. La loro
ipotetica mancanza da B potrebbe pertanto essere dovuta a una molteplicità di
ragioni assolutamente indipendenti da una caduta di fogli. Né, d‘altro canto, riesce
di molto aiuto il confronto con gli altri manoscritti vicini a B, in quanto v8 termina
sì a XI 9, ma non è mutilo (il foglio 246v è, infatti, in gran parte lasciato in bianco),
mentre l‘ultimo degli estratti conservati in V è soltanto X 34.
Nel Vaticanus Graecus 1823 si possono riconoscere, limitatamente agli excerpta
di Marco Aurelio, tre parti distinte: con ogni probabilità ci troviamo di fronte a
frammenti di codici diversi e di varia provenienza, a giudicare almeno dalla
scrittura e dal loro contenuto, i quali vennero poi confusamente inglobati in un
unico manoscritto. Le prime due parti, infatti, siglate complessivamente come v6,
presentano rispettivamente, nei fogli 50v-51
v e 231
r-240
v, la parte terminale degli
excerpta di X (vale a dire XII 4, 14-15 e 34) e gli stessi da VII 22 fino a IX 40. La
terza, infine, nei fogli 140r-145
v, e poi ancora nei fogli 150
r-151
v, contiene gli
excerpta di W da V 811 a X 342 e da VII 23 a IV 33 (=V).
Per quanto riguarda i rapporti con gli altri manoscritti della stessa famiglia, V
sembra essere molto simile a B; si è anzi sospettato che V e B non siano altro che
codices descripti di v8. Quest‘ipotesi, tuttavia, può essere facilmente smentita da un
attento esame del codice. In v8, infatti, a differenza che in V e in B, non solo manca
il capitolo VIII 57, ma vengono anche omessi i capitoli XI 16-18, omissione,
quest‘ultima, come già si è accennato, che non sembra provocata da una caduta di
fogli, ma deliberata; la lacuna che mutila il capitolo IX 402 si trova, d‘altro canto,
solo in B e in V. Anche a prescindere dalle lezioni e dagli errori peculiari162
, v8 si
distanzia nettamente da B e da V perché non presenta glosse interlineari o scolii
marginali: se ne può dedurre, secondo Dalfen163
, che v8, o piuttosto il suo antigrafo,
derivi sì dall‘iparchetipo , come tutti i codici delle classi C, W e X, ma che sia
stato oggetto di minori attenzioni da parte dei grammatici. Di conseguenza pare
conservi più fedelmente di B e di V non solo il testo dell‘iparchetipo , ma anche
dell‘archetipo di tutti gli altri codici. In v8, inoltre, non c‘è traccia di molte delle
sviste che si incontrano in BV: ne deriva che v8 consente spesso con AT, o
addirittura con ATX, mentre dissente da BV. Nonostante tutte queste
considerazioni non c‘è ragione per credere che v8 sia più vicino alla tradizione di
AT, perché, in primo luogo, le lezioni discrepanti di BV sembrano piuttosto errori
161
Si veda lo stemma codicum riprodotto a p. XIX della sua edizione. 162
v8, ad esempio, omette significativamente singole voci che si ritrovano invece tanto in B quanto
in V. 163
Dalfen 1979, p. XVIII.
67
di copiatura che autentiche varianti, e, in secondo luogo, ancor più di frequente
appare il consenso di v8 e di X proprio contro AT164
.
164
Tutte queste osservazioni si devono a Dalfen 1979, p. XVII.
68
69
La storia della critica
70
71
A dispetto del congruo numero dei lettori e del generale riconoscimento degli
studiosi ben poco d‘importante per il testo o l‘interpretazione dell‘A se stesso fu
pubblicato nei settantacinque anni successivi all‘editio princeps.
Comunque sia, malgrado le frequenti ristampe, ad appena cinquant‘anni dalla
pubblicazione, le copie delle due edizioni curate da Xylander non erano già più
facilmente reperibili. A tal proposito vale la pena di ricordare che il libraio Lazarus
Zetzner incettò tutti i fogli rimanenti dell‘edizione di Basilea, che poi ripubblicò
tali e quali a Strasburgo nel 1590, apponendovi solamente un nuovo frontespizio165
.
Come si può facilmente immaginare, l‘edizione di Strasburgo non ha, di per sé,
alcun valore storico o critico particolare, ma merita di essere menzionata perché fu
questo il testo su cui si trovò a lavorare Saumaise.
A Lione, nel 1626, François de la Bottière diede alle stampe quella che, già dal
frontespizio, si annunciava come una vera e propria editio princeps166
. Si tratta, in
realtà, di una mera riproduzione dell‘edizione del 1559, ivi compresi molti degli
errori di stampa già corretti da Xylander nell‘approntare l‘edizione di Basilea,
mentre ben poche, e non tutte positive, sono le modifiche apportate al testo greco e
alla traduzione latina. Ciononostante ha il vantaggio di presentare quest‘ultima
direttamente a fronte dell‘originale e di numerare tutti i capitoli, sebbene Xylander
avesse già indicato, in gran parte, le divisioni interne ai libri, senza peraltro
numerarle. Marco Aurelio era accompagnato dal Proclo di Marino, ma il sottotitolo
sembra indicare che l‘interesse prevalente fosse rivolto soltanto all‘A se stesso,
―un‘opera assai importante per la formazione morale, ora pubblicata per la prima
volta con la traduzione latina a fronte del testo greco‖. In buona sostanza l‘edizione
di Lione, che non poté giovarsi dell‘apporto di nessun nuovo codice, non riveste
perciò importanza di sorta dal punto di vista critico e testimoniale. Tuttavia merita
ancora un certo interesse da parte degli editori per via di alcune pregevoli note
compilate in appendice da un Amadeus Saly non meglio identificato.
Ma un nuovo impulso allo studio e all‘interpretazione di Marco Aurelio venne,
come già si è accennato, soltanto nel 1634 dalla traduzione inglese di Meric
Casaubon, dedicata all‘arcivescovo Laud167
. La preziosa introduzione fornisce
validi argomenti, rivolti contro Xylander (che considerava mutilo il testo
tradizionale) e contro alcuni critici anonimi (che caldeggiavano la teoria degli
excerpta), per credere che l‘A se stesso sia stato conservato, in realtà, nella sua
interezza. Con ogni probabilità Casaubon aveva soprattutto in mente Caspar Barth,
il quale fa spesso riferimento all‘A se stesso nei suoi Adversaria e fu il primo ad
esprimere l‘opinione che quanto ci è stato tramandato non sia altro che una
semplice collezione di estratti da un perduto originale168
. Casaubon, inoltre, criticò
con veemenza, in molti punti, la traduzione latina di Xylander. In appendice al
volume si trovano poi note dettagliate sul testo greco dei primi due libri, nonché
165
M. Antonini Ro: Imp: De Vita Sua Lib. XII ad animi tranquillitatem fortuna tam secunda quam
adversa parandam perquam utiles, etc. Argentinae, MDXC. La ricostruzione di questo curioso
episodio si deve alle accurate indagini di Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XXVIII. 166
Marci Antonini Imperatoris et Philosophi, de Vita sua Libri XII. Graece et Latine. Opus ad
mores insigne, nunc primum Latinae interpretationis e regione Graeci contextus et numerorum ac
distinctionis ad novas quasque sententias appositione illustratum. Accessit Marini Proclus item
Graece et Latine. Lugduni…MDCXXVI. 167
Marcus Aurelius Antoninus the Roman Emperor, his Meditations concerning Himselfe: treating
of a naturall Mans happinesse; Wherein it consisteth, and of the meanes to attain unto it. Translated
out of the Originall Greeke; with Notes by Meric Casaubon, B. of D. and Prebendarie of Christ
Church, Canterbury … London MDCXXXIV. Dalfen 1979, p. XXVII, al contrario, ne indica
erroneamente l‘autore in Isaac Casaubon, padre di Meric. 168
Definisce l‘A se stesso ‗Eclogae‘, Casp. Barthii, Adversariorum Commentariorum Libri LX,
Francofurti, MDCXXIV.
72
cursorie riflessioni sui rimanenti. L‘interpretazione dell‘opera risulta molto
semplificata dal raggruppamento dei capitoli che Casaubon riconobbe strettamente
correlati negli argomenti e dalle parafrasi, introdotte tra parentesi per assistere il
lettore. È questa la traduzione a cui Gataker fa riferimento nelle sue note, volgendo,
il più accuratamente possibile, l‘inglese di Casaubon nel suo latino.
Nel 1643 Casaubon diede alle stampe la propria edizione del testo greco169
, che fu
accompagnata dalla traduzione latina di Xylander emendata in parecchi punti170
.
Casaubon fondò il suo testo sulle due edizioni di Xylander, sull‘edizione di Lione e
su una collazione del codice B171
, preparata a suo uso dal dotto David Hoeschel ad
Augusta, laddove il manoscritto, o i manoscritti172
, si trovavano allora. Nella
prefazione apposta al libro, Casaubon ammette, con onesta franchezza, di aver
rimandato il progetto della propria edizione quando ebbe notizia che Thomas
Gataker era alle prese con lo stesso lavoro. Attese per un po‘, ma, alla fine, riuscì
ad ottenere un invito e andò a trovare Gataker nel maggio del 1642. Nel corso di
quel breve incontro fu posto di fronte a due grossi volumi manoscritti, il primo
contenente il testo greco, la traduzione latina e i marginalia, l‘altro un esteso
commento, entrambi pronti per la stampa. Erano stati completati qualche tempo
prima, ma a Gataker non era riuscito di trovare un editore disposto a pubblicarli.
Casaubon fu pertanto invitato dal suo generoso ospite a proseguire nel lavoro
intrapreso: aveva già tradotto il testo, era uno scrittore di facile vena e non
progettava nulla che fosse superiore alle sue forze o che richiedesse troppo tempo.
La sua edizione, infatti, uscì un anno dopo. Questa serie di eventi permette di
chiarire come mai Gataker faccia sì riferimento, nelle sue note, alla traduzione
inglese di Casaubon, ma non al suo testo greco, e perché sia spesso in dubbio
quanto alla lezione che Casaubon intendesse adottare. Rende altresì ovvia la
ragione per cui Gataker rivendicò come proprie molte congetture che erano già
state avanzate indipendentemente da Casaubon, e conseguentemente pubblicate,
prima che il suo libro uscisse. A dispetto delle sue ridotte proporzioni, l‘opera di
Casaubon conserva tuttora un notevole interesse, perché l‘editore era molto versato
tanto nella letteratura pagana quanto in quella cristiana e perciò interpreta Marco
Aurelio da un‘ampia visuale. Egli, inoltre, apportò molte correzioni che sono state
spesso accolte con favore dai successivi editori.
Il libro rimane ancora pregevole, sebbene sia stato oscurato dal grande lavoro di
Gataker, che, alla fine, fu pubblicato soltanto nove anni più tardi, nel 1652173
. È
difficile parlare di quest‘opera con sobria moderazione. Si tratta, infatti, di un vero
e proprio monumento di copiosa e meticolosa erudizione e, insieme, di un
ricettacolo di ampia ed esatta dottrina.
Nella sua edizione Gataker riuscì nell‘intento di offrire un testo molto migliorato
rispetto ai suoi predecessori, identificò con sicurezza molte delle lacune presenti
169
Marci Antonini Imperatoris De Seipso et Ad Seipsum libri XII. Guil. Xylander Augustanus
Graece et Latine primus edidit: Nunc vero, Xylandri Versionem locis plurimis emendavit et novam
fecit: in Antonini libros Notas et Emendationes adjecit Mericus Casaubonus Is. F. … Londini,
MDCXLIII. 170
Dalfen 1979, p. XXVII parla, a torto, di una traduzione completamente nuova. 171
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XXVIII, annota malinconicamente che Casaubon non approfittò
neppure del supplemento offerto dal codice B a V812: . Il contributo
del nuovo manoscritto alla costituzione del testo pare sia stato perciò trascurabile. 172
Casaubon, infatti, sostiene che Hoeschel, per la sua collazione, consultò ad Augusta due
manoscritti: l‘uno terminante a di IX 40, l‘altro a di XI 182. 173
Marci Antonini Imperatoris de rebus suis, sive de eis quae ad se pertinere censebat, libri XII,
Locis haud paucis repurgati, suppleti, restituti. Versione insuper latina nova; Lectionibus item
variis, Locisque parallelis ad marginem adjectis; ac Commentario perpetuo, explicati atque illustrati;
Studio operaque Thomae Gatakeri Londinatis. Cantabrigiae … Anno Dom: MDCLII.
73
nel dettato della tradizione e propose le relative integrazioni, alcune delle quali
accettate anche dai moderni editori. È stato criticato come troppo disinvolto nelle
congetture, ma gli emendamenti proposti sono sempre a margine, oppure vengono
relegati in nota, e non sono così audaci come quelli di Saumaise. A margine, a
somiglianza delle edizioni bibliche, si trovano altresì accurati rimandi ad altre
pagine o passi dell‘A se stesso, che sono preziosissimi per la perfetta comprensione
della materia. A fronte del testo greco è stampata una traduzione latina
completamente nuova, molto precisa ed accurata. Segue un commento fedele e
particolareggiato, con l‘attenta rassegna del lavoro dei precedenti interpreti, la
spiegazione del lessico e del frasario tecnico, una raccolta di luoghi paralleli da
autori antichi e moderni e molti rimandi alle Sacre Scritture. Si indicano poi le fonti
dei detti di Marco Aurelio e se ne illustra la dottrina. Le coordinate cronologiche e
la vita materiale sono ricostruiti attraverso i documenti storici e le testimonianze
letterarie. Di passaggio Gataker propone molte eccellenti correzioni degli autori,
sacri e profani, di cui cita le opere. Le note sono impreziosite dalle congetture
comunicate a Gataker da Saumaise, Patrick Joung (Junius), insigne biblista e
bibliotecario del re, e da Arnold Boot, un dotto medico olandese. Oltre a tutto ciò si
incontrano indici dettagliatissimi, una prefazione contenente un saggio sulla
filosofia stoica e un ampio ma equilibrato raffronto tra l‘insegnamento morale di
Marco Aurelio e quello della cristianità.
A causa dell‘età ormai molto avanzata e della malattia che lo affliggeva Gataker
non ebbe praticamente alcun ruolo nella revisione e nella stampa del proprio
lavoro. Si spiegano così le occasionali inesattezze, che pure si trovano in un‘opera
di tale portata, i pochi rimandi errati da un luogo dell‘A se stesso ad un altro,
nonché alcuni errori di stampa, mai comunque corretti nelle pubblicazioni
successive.
L‘edizione di Gataker fu ristampata a Londra nel 1697, e poi ancora nel 1707,
unitamente ad una vita di Marco, scritta da George Stanhope, decano di
Canterbury, e ad alcune note, scelte dalla traduzione francese dei D‘Acier del 1690-
91. A Utrecht, nel 1697, uscì una pregevole riedizione, in cui le citazioni degli
autori greci furono tradotte in latino. L‘opera di Casaubon, al contrario, non fu mai
ristampata, ma le sue note, insieme a quelle di Xylander, furono accolte in questo
stesso volume. Il suo testo, peraltro, e la traduzione latina apparvero a Oxford nel
1680, con una breve scelta delle note di Xylander e di Gataker. Per quanto riguarda
il testo e la traduzione di quest‘ultimo, invece, la ristampa di Oxford del 1704 si fa
apprezzare per le note del suo curatore, un certo R. I. che non è stato identificato
con sicurezza. Il testo e la traduzione uscirono anche a Lipsia nel 1729, con un
buon compendio della filosofia di Marco Aurelio per opera di J. F. Budde,
professore di teologia a Jena, e una biografia scritta dal pastore luterano Cristoph
Wolle. Il testo e la traduzione furono nuovamente pubblicati a Glasgow, nel 1744 e
nel 1751, e a Lipsia nel 1775. Quest‘ultima edizione è memorabile per le brevi note
e per le correzioni appostevi da S. F. N. Morus e perché il testo, così emendato,
divenne una sorta di ‗versione autorizzata‘ fino alla fine del diciannovesimo secolo.
Nel frattempo Lucas Holste (Holstenius) di Amburgo, il dotto custode prima della
collezione Barberini e poi della Biblioteca Vaticana174
, si trovava in viaggio tra
Parigi, Oxford e Firenze a studiare antichi manoscritti per la propria edizione dei
geografi greci. Durante il suo soggiorno in Francia acquistò l‘edizione lionese di
174
Ne fu nominato Primarius et Major Custos da papa Innocenzo X il 2 settembre 1653. Morì il 2
febbraio 1661. Un resoconto molto interessante della vita e delle opere, scritto da Boissonade, si
può ancora leggere nella Biographie Universelle di Michaud. Milton gli fece visita in occasione del
suo viaggio a Roma.
74
Marco Aurelio e di Marino e, scoprendo che a Firenze la Vita di Proclo era
conservata nella sua forma completa175
, accarezzò l‘idea di pubblicare entrambe le
opere. Nel 1636 avanzò agli Elzevier la proposta di una edizione dell‘A se stesso,
che fosse accompagnata anche da altri autori176
. Ma Holste era un uomo più incline
ad ambiziosi progetti che a concrete realizzazioni, e così soltanto una parte dei suoi
molteplici studi fu pubblicata in vita o successivamente alla sua morte. Nel caso
specifico dell‘A se stesso può avere abbandonato il suo progetto quando apparve
l‘edizione di Gataker. I suoi Adversaria a Marco Aurelio e a Marino sono annotati
nella sua copia del testo di Lione, che è tuttora conservata nella Bodleian Library,
quale parte dell‘acquisto di D‘Orville del 1805. Holste collazionò il testo dell‘A se
stesso con un manoscritto della classe X, conservato a Firenze, il Laurentianus
59,44 (=l4)177
, e il testo di Marino con il Laurentianus 86,3. Corresse poi i difetti
presenti nel testo di Lione sulla base delle edizioni di Xylander e di Casaubon,
modificando liberamente la traduzione latina. C‘è inoltre la lista completa degli
estratti di Suda e vi si trovano annotati molti luoghi paralleli tratti dalla letteratura
greca. In più di un‘occasione le sue congetture anticipano quelle dei successivi
editori. Holste non fa mai menzione del Vaticanus Graecus 1950, ma in un luogo, a
XII 305, registra una variante, per , che deve essere derivata da quel
manoscritto.
Nel 1675 il cardinale Francesco Barberini178
, nipote di papa Urbano VIII, nonché
amico e protettore di Holste, pubblicò a Roma la prima traduzione italiana dell‘A se
stesso179
, in appendice alla quale vengono riportate alcune lezioni sicuramente
tratte dal Vaticanus Graecus 1950. Appare perciò verosimile che sia stato proprio
Holste a richiamare l‘attenzione del suo influente mecenate su questo manoscritto,
probabilmente dopo aver rinunciato al progetto di una nuova edizione180
. Come si è
già ricordato, il libro apparteneva alla collezione dell‘abate Stefano Gradi ed entrò
a far parte della Biblioteca Vaticana soltanto dopo la morte dello stesso
Barberini181
.
Una collazione completa del codice vaticano fu tuttavia compiuta solo nella
seconda metà del diciottesimo secolo, da J. P. de Joly, il quale, oltre ad aver
esaminato personalmente il Parisinus regius 2649, poté anche disporre degli
175
Vale la pena di ricordare che l‘esemplare manoscritto da cui fu tratta l‘editio princeps si
interrompeva bruscamente dopo le prime parole dell'attuale capitolo 22, laddove il testo integrale,
nelle moderne edizioni a stampa, conta invece un totale di 38 capitoli. 176
Scrivendo a Peiresc da Aquae Sextiae, dice: ―Procli Vitam Lugduni editam cum Antonino de
Vitae Suae Officiis in transitu mihi comparavi … meum exemplar (sc. Marini) dimidio auctius est‖;
progetta di pubblicare Marino: ―sequetur deinceps Vita Procli auctore Marino media (leg. dimidia)
parte auctior quam hactenus edita fuit‖ Boissonade, Lucae Holstenii Epistulae, p. 85, p. 47. La sua
proposta è datata Idibus Maiis 1636: ―Quae de … Paraenesion M. Aurelii Imp. nova editione
Graeco-Latina tecum egi patruis tuis significabis, quibus si consilium hoc probetur, singulos ego
auctores diligentissime emendatos, quod tu quidem oculata fide testari poteris, subpeditabo‖ (a
Lud. Elzevier, da Roma), Meursii, Op. vol. XI, p. 599 F, ed. 1762, Boissonade op. cit., p. 267. In
una lettera a Donio, Holste accenna a: ―li miei Geographi e filosofi antichi, Hierocle, M. Antonino,
Arriano‖, Boissonade op. cit., p. 307. 177
La circostanza è confermata, tra l'altro, dalla citazione, a XI 92, di una variante, , che si
trova soltanto in l4 e in p6178
Franciscus Barberinus Florentinus ―creatus S.R.E. Bibliothecarius ab Urbano VIII, Kal. Jul.
1626‖. Morì il 10 dicembre 1679. 179
I Dodici libri di Marco Aurelio Antonino Imperadore di sé stesso ed a sé stesso Roma, 1675. A
dire il vero la versione apparve anonima, ma si conosce con assoluta certezza che ne fu autore
proprio il cardinale. 180
Così Farquharson 1944, vol. I, p. LI. 181
Barberini dice: ―conservato nella Bibliotheca e museo del nobile non meno che dotto Signore
Abbate Gradi‖.
75
excerpta contenuti in altri cinque manoscritti della Biblioteca Vaticana, nonché in
tre codici della Biblioteca Laurenziana. Il vaglio critico dell‘abbondante messe di
nuove testimonianze manoscritte sfociò dapprima nella traduzione francese del
1770182
, e successivamente nell‘edizione parigina del 1774, che fu accompagnata
dalla versione latina di Gataker183
. Nel panorama degli studi su Marco Aurelio
quest‘opera occupa un posto di tutto rilievo, non soltanto per il primo sistematico
impiego del codice A nella costituzione del testo, ma anche per i dubbi avanzati
sull‘autentico assetto redazionale dell‘A se stesso. Joly, infatti, colpito dalla
circostanza che le varie riflessioni, così come sono state tramandate, si susseguono
senza un ordine logico preciso, si era formato la convinzione che Marco Aurelio
avesse composto, in realtà, un unico trattato continuo di etica, e che il disordine
attualmente riscontrabile andasse imputato al primo anonimo editore, trovatosi di
fronte ad una serie di tavolette di cui non fu più in grado di stabilire l‘esatta
successione. Quale ulteriore conforto alla giustezza delle proprie teorie Joly
portava l‘ordine anomalo esibito dagli excerpta della classe X, completamente
diverso da quello offerto da A e da T, i due rami principali della tradizione
manoscritta. Egli, pertanto, nel tentativo di ricostruirne la sequenza originaria,
diede all‘A se stesso un‘altra disposizione, raggruppando i capitoli per argomenti in
trentacinque diverse sezioni (sui veri beni, sulla provvidenza, ecc.).
Quest‘operazione, che pure godette di una certa fortuna, appare francamente
arbitraria, ma ebbe comunque l‘innegabile merito di dare l‘avvio ad uno dei filoni
più importanti delle indagini sul testo.
Il sentiero, inaugurato da un dilettante, fu poi proseguito dai filologi di
professione. La storia della critica, infatti, quale si è finora sommariamente
delineata, mostra dapprima lo sforzo dei successivi editori di fornire, mediante
interventi congetturali, un testo intelligibile sulla base delle due edizioni di
Xylander e del testo di Lione del 1626. In seguito la vulgata, derivata in questo
modo dal testo di Xylander, fu corretta in conformità alla lezione dei nuovi
manoscritti di volta in volta ritrovati. È questo il motivo per cui l‘uso di A appare
ormai consolidato già dall‘edizione successiva, pubblicata a Schleswig nel 1802 a
cura di J. M. Schultz184
, la quale era stata preceduta, nel 1799, da un‘ottima
traduzione tedesca, corredata da alcune occasionali note critiche. La traduzione
latina si basa su quella di Gataker, ma con delle modifiche e delle correzioni.
L‘edizione di Schultz, che riproduce inoltre gli adversaria critica di Gilles
Ménage, conservati nel codice Parisinus Suppl. gr. 1, e di J. J. Reiske, conservati
invece nella biblioteca reale di Copenhagen, andò tuttavia incontro a recensioni
aspramente ostili, e l‘editore manifestò chiaramente tutto il suo disappunto nella
sconsolata prefazione alla ristampa di Lipsia del 1821. Comunque sia, il testo ivi
presentato risulta notevolmente migliore, ma soffre del grave difetto di seguire in
modo quasi pedissequo la recente edizione di A. Coraìs. Il testo di Schultz fu
ristampato da Tauchnitz nel 1829, in edizione anastatica e senza apparato critico, e
rimase per molto tempo un‘edizione familiare. Fu poi ripubblicato con pochi
mutamenti, in parte suggeriti dallo stesso Schultz, da F. Duebner nel 1840, nel
182
Pensées de l'Empereur M. A. Antonin, ou leçons de vertu, que ce Prince philosophe se fasoit à
lui même. Nouvelle traduction du grec distribuée en châpitres suivant les matières avec des notes, et
des variantes, Paris, 1770. 183
Pugillaria Imperatoris M. A. Antonini, Graece scripta, disiecta membratim et … restituta pro
ratione argumentorum. Sequitur Interpretatio Gatakeri Londinatis similiter ordinata. Curante …
Johanne-Petro de Joly, Parisiis, MDCCLXXIV. 184
Marci Antonini Imperatoris Commentariorum, quos ipse sibi scripsit, libri duodecim. Graeca ad
codicum manoscriptorum fidem emendavit, notationem varietatis lectionum et interpretationem
latinam castigatam adjunxit … J. M. Schultz, Slesvici, MDCCCII.
76
volume della collezione Didot dove sono riuniti, con lo scritto di Marco Aurelio, i
Caratteri di Teofrasto, le Diatribe di Epitteto, il commento di Simplicio al
Manuale di Epitteto e le Dissertazioni di Massimo di Tiro e che è stato sovente
ristampato.
Nel 1816 un filologo di statura nettamente superiore a Schultz, il patriota greco
Adamantios Coraìs, aveva dato alle stampe, come già si è accennato, un testo
completamente rivisto185
. La prefazione, in greco moderno, fornisce un efficace
resoconto dei precetti filosofici dell‘imperatore ed è accompagnata da una succinta
bibliografia. Nelle note a piè di pagina Coraìs si limita a riportare soltanto le sue
correzioni, che si basano soprattutto sul codice A, e le proprie congetture, perché
l‘edizione era stata concepita essenzialmente come un agile testo scolastico. Coraìs
eliminò dal testo precedentemente accettato molti errori, adottò da A buone lezioni
e propose, infine, parecchi ottimi emendamenti. Dopo Casaubon, Gataker e Reiske,
il suo si rivelò senz‘altro il contributo più prezioso per costituire un testo
accettabile, mentre la tendenza a preferire A rispetto a T si fece sempre più marcata
proprio a partire dalla pubblicazione del suo lavoro.
Nel 1861 seguì l‘eccentrica edizione di Capel Lofft, la prima ad essere pubblicata
al di fuori dei confini dell‘Europa186
. Non fu notata finché G. H. Rendall non
richiamò l‘attenzione degli studiosi sui suoi meriti. Lofft affollò il testo di un vero e
proprio sciame di congetture, seguito da una seconda serie di emendamenti relegati
in appendice. Tra le molte correzioni, tutte alquanto audaci ed avventate, si ritrova
però qualche contributo geniale, che i moderni editori non hanno esitato a
segnalare, anche perché la sua temerarietà evidenzia spesso delle difficoltà testuali
che potrebbero essere facilmente trascurate187
.
Nel 1882 J. Stich pubblicò a Lipsia la prima edizione dotata di un apparato critico
in senso moderno188
. Essa si fonda su un numero molto maggiore di codici rispetto
alle precedenti e manifesta una certa predilezione per le lezioni di A, ove siano
difendibili, rispetto a quelle di T, ma senza esagerazione189
. Nella prefazione Stich
fornì un breve ragguaglio delle testimonianze manoscritte e delle passate edizioni,
registrando, in apparato, tutti gli interventi di Nauck e compilando, in appendice al
volume, un preziosissimo index verborum. La ristampa, accompagnata da una
prefazione integralmente nuova, che fu riscritta per aggiornare la storia della
critica, seguì nel 1903, mentre l‘ottimo testo rimase sostanzialmente quello del
1882.
185
…
. La prefazione è siglata .186
,C. L. Porcher, N. Eboraci U.S. A. D. 1861 A.
Liberatae Reip. I. Lo pseudonimo significa C(apel) L(offt) Stoicus. L‘edizione fu successivamente
ristampata a Londra nel 1863. 187
A onor del vero molti dei difetti presenti nell‘edizione critica di Lofft andranno piuttosto
imputati al testo assolutamente obsoleto su cui si trovò a lavorare. Si vedano, a riguardo, Schenkl
(ed. mai.) 1913, p. XXX; Dalfen 1979, p. XXIX. 188
D. Imperatoris Marci Antonini Commentariorum quos sibi ipsi scripsit libri XII, recensuit
Iohannes Stich, Lipsiae, 1882. L‘edizione uscì per la nota Bibliotheca Teubneriana, e, nel 1913, fu
sostituita nella collana dal testo di Schenkl. 189
Stich, infatti, collazionò personalmente, per la prima volta, due dei codici Marciani (m1 e m2 ), il
Barberinus II 99 (=b) e il Monacensis Graecus 323 (=M). Considerò inoltre le lezioni del codex
Darmstadtinus 2773, scoperto da F. Creuzer all‘inizio del secolo. Al contrario trascurò
completamente tutti i manoscritti della classe C, sebbene Cramer ne avesse pubblicato una
collazione ad Oxford nel 1839.
77
La prima edizione del Novecento uscì ad Oxford nel 1908, a cura di I. H.
Leopold190
. Si tratta di un testo francamente eclettico, più equilibrato nelle scelte
tra A e T, ma che sembra attribuire a quest‘ultimo un‘importanza molto maggiore
rispetto a quanto non fosse incline a fare lo stesso Stich. In più di un‘occasione
presenta tuttavia il grave difetto di mantenere intatti anche luoghi manifestamente
corrotti, senza nemmeno segnalare le loro precarie condizioni. Il breve apparato
critico registra soprattutto congetture recenti, dovute in gran parte a studiosi inglesi.
La seconda edizione teubneriana, curata da H. Schenkl e pubblicata a Lipsia nel
1913 con l‘apporto delle congetture comunicategli da L. Radermacher191
, presenta
un‘ampia e dotta prefazione, in cui l‘editore offre un resoconto molto dettagliato di
tutti i manoscritti, discutendo le relazioni intercorrenti tra i singoli testimoni ed il
loro rispettivo valore. La maggioranza delle varianti e delle congetture degli
studiosi è stata confinata in un affollato supplemento, che accompagna un apparato
critico già di per sé sufficientemente particolareggiato. Per facilitare al lettore il
rinvenimento di parole o frasi all‘interno del testo i diversi capitoli sono divisi in
un numero molto ampio di sezioni minori. Chiude il volume un utilissimo index
verborum. Il carattere peculiare del testo di Schenkl è la sua decisa preferenza per
A. Egli, infatti, segue questo manoscritto persino là dove appaiono in modo
sufficientemente chiaro delle corruttele prodottesi per cause ben conosciute. Oltre a
ciò dà prova di una fervida immaginazione, escogitando lezioni che contaminano A
e T in tutti i casi in cui queste due fonti dissentono tra loro192
. Il risultato è un testo
che differisce da quello di Leopold in non meno di 180 luoghi diversi, senza
contare trascurabili minuzie di ortografia193
. Le congetture dell‘editore sono
talvolta inserite nel testo, ma solitamente si trovano registrate in apparato. Schenkl
ne parla sempre con molta modestia, e, in verità, esse non appaiono per lo più
felicissime.
L‘edizione, con traduzione inglese a fronte, pubblicata a Londra nel 1916 a cura
di C. R. Haines194
, non è propriamente un‘edizione critica, perché il carattere della
collana Loeb non consentì all‘editore di stendere un apparato completo. Si limitò,
pertanto, a riportare succintamente in nota alcune varianti (tralasciando, peraltro,
tutti i codici delle classi W e X e moltissimi di quelli della classe C) e pochi
emendamenti di altri studiosi. Per quanto riguarda le congetture dell‘editore, esse
non superano la quindicina e non risultano, in generale, particolarmente rilevanti. Il
testo dell‘A se stesso è seguito da un‘appendice, che comprende i discorsi e i detti
attribuiti a Marco Aurelio, attinti da Dione Cassio, dall‘Historia Augusta e da altri
autori, nonché la lettera apocrifa al Concilio d‘Asia, accompagnata da una breve
nota in cui si discute l‘atteggiamento tenuto dall‘imperatore nei confronti dei
cristiani. Il volume è preceduto da un‘introduzione, che ragguaglia brevemente sui
precetti fondamentali della filosofia stoica, e non sono rari i casi in cui le parole
dell‘autore vengono illustrate attraverso il confronto con luoghi simili tratti da
autori antichi o dalle Sacre Scritture. Utili, infine, l‘indice dei soggetti trattati da
Marco Aurelio e il glossarietto dei termini greci più interessanti.
L‘edizione, con traduzione francese a fronte, pubblicata a Parigi nel 1925 a cura
di A. I. Trannoy195
, fu preceduta dalla pubblicazione di cinque opuscoli, dedicati
190
Marcus Antoninus Imperator, Ad se ipsum, recognovit brevique adnotatione critica instruxit I. H.
Leopold, Oxonii, 1908. 191
Marci Antonini Imperatoris in Semet Ipsum Libri XII, recognovit H. Schenkl, Lipsiae, 1913. 192
Si veda, in proposito, l‘acuta ironia di Dalfen 1979, p. XXX. 193
La stima si deve a Farquharson 1944, p. LIV. 194
The Communings with Himself of Marcus Aurelius Antoninus…, A revised text and a translation
into English by C.R. Haines, Cambridge (Mass.)-London (LCL, n^58), 1916. 195
Marc Aurèle, Pensées, texte établi par A. I. Trannoy, Paris (CUF), 1925.
78
allo studio del testo, che contenevano un generoso numero di congetture196
. Alcune
di queste ricompaiono nell‘opera maggiore, altre, invece, furono apertamente
rifiutate o tacitamente abbandonate.
A dispetto delle garbate rimostranze di G. Cortassa197
, non si può certo affermare
che Dalfen abbia torto nel denunciare i pesantissimi debiti contratti da Trannoy con
l‘edizione di Schenkl198
. Condividendo l‘inopportuna propensione a emendare il
testo, Trannoy ne eredita alcune infelici congetture, nonché la tendenza a segnalare
solo in nota i contributi propri e degli altri studiosi, cosicché il testo, al pari di
quello del suo predecessore, appare costellato di cruces. L‘apparato critico segue
da vicino la descrizione dei manoscritti di Schenkl e contiene, di conseguenza,
alcune inesattezze. Vi si trovano registrati un manipolo di emendamenti proposti da
Mondry Beaudouin.
La prefazione di Aimé Puech è magistrale. Segue l‘interessante introduzione di
Trannoy sulla cronologia dell‘A se stesso, la filosofia stoica e la tradizione
manoscritta.
La successiva edizione, curata da A. S. L. Farquharson199
, rappresenta una tappa
fondamentale negli studi sull‘A se stesso di Marco Aurelio. L‘opera, frutto di
lunghissime ed accurate ricerche, merita una menzione tutta particolare per il suo
valore e la sua ampiezza: per la prima volta dai tempi di Gataker il testo è
accompagnato da una raccolta completa di materiale critico ed esegetico. Essa è
composta di due grossi volumi, il primo contenente una ponderosa introduzione, il
testo critico, corredato da una ricca selezione di testimonianze e di loci similes,
collocata tra questo e l‘apparato, conciso e chiaro, l‘ottima traduzione inglese,
stampata a fronte, una breve biografia di Marco Aurelio e la dettagliata analisi
storico-letteraria di ciascun capitolo dell‘opera, il secondo un ampio e
preziosissimo commento filologico e filosofico al testo greco200
.
Quando Farquharson morì, nell‘agosto del 1942, l‘introduzione e la seconda parte
del commento, per quanto già pronte in bozze o in manoscritto, non erano state
ancora licenziate per la stampa. John Sparrow, che ne curò la pubblicazione
postuma di concerto con D. A. Rees, al quale si devono pure gli indici che
chiudono i volumi, ci informa, nella sua commossa prefazione, della crescente
preoccupazione di Farquharson di non riuscire a vivere abbastanza per vedere
compiuto il proprio lavoro. In molte parti dell‘opera, in verità, si possono
rintracciare sviste e incongruenze, naturalmente dovute ad una concentrazione
temporaneamente ridotta, ma, valutate in proporzione al tutto, tali inesattezze
risultano inessenziali.
La maggior parte delle informazioni contenute nell‘opera è ovviamente attinta
dalla letteratura precedente, soprattutto da Gataker, ma molto altro è attribuibile
unicamente a Farquharson. L‘originalità del contributo personale si può misurare
―sia nell‘equilibrio che l‘autore mostra nella scelta delle lezioni – lo studioso,
196
Trannoy, A. I., Hypothèses critiques sur les Pensées de M.-A., I-V, Paris 1919, Grenoble 1920,
Le Puy 1921-22. 197
Cortassa 1984, p. 87. 198
―In editione … Henricum Schenkl paene ubique sequitur‖ Dalfen 1979, p. XXX. 199
. The Meditations of the Emperor Marcus
Antoninus, edited with Translation and Commentary by A. S. L. Farquharson, I-II, Oxford, 1944
(19682).
200 Il lavoro di Farquharson ebbe anche l‘indiscusso merito di abbozzare una prima sistematica
soluzione a tutti i problemi posti dalla lingua e dallo stile dell‘A se stesso. L‘articolo di P. Pascucci,
Ricalchi latini nel greco di Marco Aurelio, Studi Barigazzi, II, Sileno XI, 1985, p. 135-145,
approfitta, per la maggior parte, di luoghi già discussi da Farquharson: spiace dover ricordare questo
per dimostrare la sostanziale validità della sua impostazione.
79
convinto che per lo stato della tradizione manoscritta il testo di Marco Aurelio
debba essere necessariamente eclettico201
, non privilegia questo o quel testimone,
ma sceglie di volta in volta la lezione che gli pare preferibile, proponendo anche
qualche buon emendamento – sia nell‘equilibrio che l‘autore mantiene tra la
necessità di procedere con grande cautela nell‘emendare un testo che senza dubbio
è tra i più vessati e ‗difficili‘ e quella di costituire un testo che non si presenti così
irto di cruces da risultare illeggibile‖202
.
Per la costituzione del testo, che poté giovarsi, tra l‘altro, di un‘ulteriore
collazione del codice A, basata su foto203
, e sull‘apporto di v8, un nuovo importante
manoscritto segnalato da Weyland nel 1914, successivamente alla pubblicazione
dell‘editio maior di Schenkl del 1913, Farquharson utilizzò le note che Lucas
Holste aveva compilato a margine del proprio esemplare dell‘edizione di Lione,
che si trova ora conservato nella Bodleian Library di Oxford. È suo merito
esclusivo l‘aver attirato l‘attenzione degli studiosi su questa originale personalità.
In apparato si trovano poi registrate tutte le congetture comunicate all‘editore da E.
C. Marchant, con il quale Farquharson discusse proficuamente molti passaggi di
non agevole decifrazione. Capitale innovazione, inoltre, si rivela l‘importanza
annessa agli estratti dell‘A se stesso conservati in Suda, articolata in una
valutazione tanto positiva da spingersi molto al di là di quanto non fosse disposto a
fare lo stesso Schenkl.
Sospettando di frequenti manomissioni dei copisti nell‘ordine delle parole o nella
successione dei pensieri, laddove una frase o un periodo gli appaiano
completamente fuori posto, Farquharson tenta talvolta di ripristinare l‘originale per
trasposizione204
, talaltra, invece, si limita a confinare tali interventi in apparato o
nelle note di commento ai passi205
. Se, in generale, è difficile non condividere le
perplessità di P. Maas per un approccio così radicale al testo dell‘opera206
, è pur
vero che tutte le puntuali osservazioni di Farquharson hanno consentito di
individuare con sicurezza e di sciogliere con profitto molti dei nodi presenti nel
dettato della tradizione, richiamando prepotentemente l‘attenzione degli studiosi su
201
Farquharson 1944, p. XLII. 202
Cortassa 1984, p. 87. 203
Queste ultime, alla morte di Farquharson, furono messe generosamente a disposizione della
Oxford University Press dalla moglie. Maas 1945, p. 144. 204
In II 22 tutta la pericope … è trasposta al §4, dopo ; in VI 141 dopo ; in VI 152 … dopo ; in VII 671 … al §3, dopo ; in VIII 62 tutto il
paragrafo è riscritto così:
; in IX 12 la pericope [] è
trasposta, così corretta, al §3, subito dopo ;in IX 282 [] al
§3, subito dopo ; l‘intero IX 292 dopo il §5.205
Di I 1630-31 Farquharson propone la dislocazione subito dopo il §16; in II 144 tutta la pericope … andrebbe trasposta al §6, dopo ; III 41, invece, andrebbe riscritto così:
<> ; in V 54 andrebbe trasposto dopo , valutando con favore una vecchia proposta di Morus; in VIII 511 dopo
.206
―There is generally no gap where the transposed words organically fit in and it is difficult to
account for the corruption which this ‗kind of dangerous remedy‘ (F., p. XLII) presupposes. These
erratic word-groups may have been caused by the defective state of an autograph which was never
intended for publication‖ (Generalmente non ci sono lacune dove le parole trasposte si adattino
organicamente ed è difficile rendere conto della corruzione che questo ‗genere di pericoloso
rimedio‘ – Farquharson 1944, p. XLII – presuppone. Questi gruppi di parole irregolari possono
essere stati causati dall‘imperfetto stato di un autografo che non fu mai concepito per la
pubblicazione) Maas 1945, p. 145.
80
difficoltà troppo spesso ignorate. Analoghe considerazioni valgono anche a
proposito dei non pochi passaggi nel testo che Farquharson indica come
lacunosi207
. Per quanto la critica più recente ne abbia di molto ridimensionato i
sospetti, le precise obiezioni di Farquharson, che si incardinano saldamente sulla
lunga familiarità con le abitudini stilistiche dell‘autore e sulla minuziosa
comprensione degli argomenti nel loro dipanarsi, non sono affatto così facili da
aggirare208
. Il fitto lavorio che ne è nato, e che in altre circostanze ha dato così alta
prova di sé209
, appare ben lontano dall‘essere concluso.
Nel secondo dopoguerra furono pubblicate le traduzioni italiane di C.
Mazzantini210
, con testo a fronte, condotta con molta libertà sull‘edizione di
Trannoy, e quella di E. Pinto211
, condotta anch‘essa con molta libertà sulla stessa
edizione e preceduta da alcune note testuali in cui si tratta della tradizione
manoscritta dell‘A se stesso e sono discussi tutti i passi nei quali l‘autore si discosta
da Trannoy. L‘originalità e l‘importanza delle due opere appare, però,
estremamente limitata.
Senz‘altro incline a emendare si mostra invece Willy Theiler nella sua edizione,
dotata di un succinto apparato critico212
. Ma i suoi emendamenti, per quanto
innovativi, sono, per lo più, molto azzardati, e talvolta lontanissimi dal testo tradito,
cosicché stupisce che M. Pohlenz abbia potuto giudicare l‘edizione di Theiler la
migliore edizione dell‘A se stesso di Marco Aurelio213
. Quest‘opera, tuttavia, si
segnala per la precisa traduzione tedesca e per il commento, breve ma assai ricco e
denso di contenuto. Essa ha inoltre il merito di modificare in certi passaggi la
divisione interna del testo, così da renderlo più intelligibile. Theiler, che, come ha
opportunamente sottolineato Dalfen214
, fu più storico della filosofia che filologo o
207
In II 51 Farquharson segnala una lacuna dopo ; in III 26 dopo ; in III
121 questa è integrata così: <> ; in IV 504 è segnalata dopo
; in V 183 dopo ; in VII 161 la magistrale integrazione di Dalfen rende il
dovuto omaggio all‘acume di Farquharson: < > ; in VII 241 si segnala una lacuna dopo
; in X 6 la proposta di integrazione all‘incipit del §1 è molto
interessante: < > . A questo farebbero riscontro le prime
parole dell‘attuale capitolo X 74: . La nuova ripartizione della materia, che si viene
necessariamente a produrre nel testo, sebbene sia affatto diversa da quella tradizionale, risolverebbe
però molti dei problemi interpretativi ad essa collegati.208
A proposito di III 26 Cortassa annota : ―Il Farquharson individua una lacuna dopo . Non mi
pare necessario‖. Poco più avanti, a proposito di III 121, si legge: ―Il Farquharson integra
<> rendendo: «if you admit no side issue», perché stima assai improbabile
che possa essere retto dall‘ della linea precedente … Ma che l‘accusativo
possa essere retto da non mi pare così improbabile‖ Cortassa 1984, p. 92-
93. Come è facile comprendere, giudizi di questo tipo sono poco più che affermazioni apodittiche:
non rendono evidentemente un buon servizio all‘esegesi del testo. 209
A proposito di IV 504, al contrario, le precisazioni di Cortassa sono assai convincenti: ―Il
Farquharson individua una lacuna dopo , ma si può benissimo sottintendere un imperativo
come , o un infinito iussivo come. Questo è conforme allo stile incisivo e lapidario di
Marco Aurelio (cfr. VI 305: )‖. Cortassa 1984, p. 95. 210
Marco Aurelio, Ricordi, testo greco e traduzione italiana con introduzione e note a cura di C.
Mazzantini, Torino, 1948. 211
Marco Aurelio Antonino, Pensieri, Introduzione, note critiche e traduzione a cura di E. Pinto,
Napoli, 1968. A E. Pinto dobbiamo anche uno dei più infelici tentativi di disegnare lo stemma
codicum dell‘A se stesso. Stupisce vedere citato il volume da Dalfen e da Hadot tra le edizioni
critiche. 212
Kaiser Marc Aurel, Wege zu sich selbst, herausgegeben und übertragen von W. Theiler, Zürich,
1951 (19752).
213 La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it. Firenze, 1967, vol. II, p. 29, n. 32.
214 Dalfen 1979, p. XXX.
81
editore, concentrò la sua attenzione soprattutto sull‘accurata ricostruzione delle
fonti del pensiero di Marco Aurelio. La dotta prefazione, infatti, tratta diffusamente
non solo degli antichi scolarchi del Portico, ma particolarmente del medio
stoicismo di Posidonio. Molto interessante è poi la digressione su tutte le altre
dottrine filosofiche e le credenze religiose maggiormente in voga ai tempi
dell‘imperatore.
Il volume di Theiler è stato ora sostituito dall‘edizione di R. Nickel215
, che però
ripropone con poche modifiche il testo di Trannoy216
.
Le grandissime ambizioni con cui J. Dalfen ha messo mano alla propria edizione
dell‘A se stesso di Marco Aurelio217
appaiono immediatamente evidenti dal
giudizio che egli esprime sul più recente, e il più benemerito, dei suoi predecessori,
che pure non esita a definire ‗alter Gataker‘218
. L‘opera, infatti, per la prima volta
dai tempi di Schenkl, è il frutto di un‘accurata disamina di tutta la tradizione
manoscritta, dove i rapporti tra i testimoni sono ricostruiti su basi interamente
nuove. Il contributo di Dalfen si è rivelato significativo soprattutto nel definire le
precise relazioni tra i diversi manoscritti contenenti excerpta, in special modo in
seno alla cosiddetta classe X, fino ad allora comprendente materiali di natura
troppo eterogenea219
. Il lavoro di Dalfen è particolarmente prezioso per l‘ampia
documentazione delle proposte critico-testuali fornita in apparato, un sussidio
insostituibile per l‘interprete del Marco Aurelio greco, che, alle prese con un testo
fortemente danneggiato dalla tradizione e oggetto di continui restauri dal XVI sec.
a oggi, è spesso chiamato ad operare scelte ardue e decisive tra i vari interventi.
Utile la nutrita raccolta, collocata in testa all‘apparato critico, di passi di autori
antichi che hanno in qualche modo attinenza con il testo, anche se non paragonabile
all‘analogo sforzo prodotto da Farquharson. Molto ricca, e ottimamente disposta
per sezioni (opere sulla vita e la politica di Marco Aurelio; studi sulla struttura, la
lingua e lo stile dell‘A se stesso; studi sulla filosofia di Marco Aurelio; studi sulla
tradizione manoscritta dell‘A se stesso; contributi testuali; edizioni antiche; edizioni
recenti) la bibliografia. L‘index verborum, peraltro, compilato in calce al volume,
non migliora in alcun modo il ponderoso lavoro di Schenkl, che rimane a tutt‘oggi,
nonostante la maliziosa ironia di Dalfen220
, l‘unico repertorio grammaticale e
stilistico a disposizione degli studiosi dell‘opera. L‘articolata prefazione offre un
resoconto approfondito delle relazioni tra i diversi gruppi di manoscritti contenenti
excerpta dell‘A se stesso, nonché delle relazioni tra A, D e T, ma la ricostruzione
proposta non appare sempre convincente. Molto ridimensionata l‘importanza
annessa alla tradizione indiretta di Suda, sebbene Dalfen ne citi con inusitata
ampiezza tutti gli estratti conservati. Inaspettato, soprattutto dopo le puntuali
osservazioni di Farquharson221
, il massiccio ricorso ad A, a discapito di T, e
215
Rispettivamente nella Bibliothek der alten Welt e nella Sammlung Tusculum. Maltese 1993, p.
XXX. 216
Marc Aurel, Wege zu sich selbst. , Griechisch-
deutsch, herausgegeben und übersetzt von R. Nickel, Darmstadt, 1990. 217
Marcus Aurelius, Ad se ipsum libri XII, edidit J. Dalfen, Lipsiae, 1979 (19872). L‘edizione
rimpiazza il testo di Schenkl nella nota Bibliotheca Teubneriana. 218
―Farquharson … parce et caute rem criticam tractavit, nam non tam emendatoris partem agere
voluit quam relatoris interpretis explanatoris‖ Dalfen 1979, p. XXXI. 219
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XIX aveva già disegnato lo stemma codicum della classe X,
investigando approfonditamente sulle relazioni intercorrenti tra quel gruppo di manoscritti: le
conclusioni di Dalfen non sono che la necessaria conseguenza di premesse tanto rigorose. 220
―Indices … nominum locorum verborum composuit tam copiosos tamque elaboratos elucubratos
enucleatos, ut plus lectori difficultatis pararet quam explanationis‖ Dalfen 1979, p. XXX. 221
Farquharson 1944, vol. I, p. XXXVI-XXXVIII. Opinioni sostanzialmente condivise da Maas
1945, p. 145.
82
fuorviante la predilezione per D, a proposito della cui indipendenza, come si è
visto, Dalfen non può fornire alcuna prova decisiva. Ambigua, infine, la posizione
di W e di X, la cui testimonianza talvolta è anteposta perfino al consenso di A e
T222
, talaltra, invece, affrettatamente trascurata223
. Nonostante che i non pochi
contributi positivi abbiano consentito di migliorare notevolmente l‘edizione di
Farquharson, l‘opera di Dalfen desta qualche perplessità nella costituzione del
testo. Mantenendo verso il dettato della tradizione un atteggiamento ipercritico, che
lo porta troppo spesso a vedervi l‘intrusione massiccia di glosse e note marginali, e
ad introdurre emendamenti anche radicali, Dalfen opera moltissime espunzioni. Il
problema delle interpolazioni nel testo dell‘A se stesso esiste realmente, era già
stato individuato da altri studiosi ed è merito di Dalfen avergli dato il giusto
rilievo224
. Tuttavia, in molti casi, le espunzioni di Dalfen appaiono francamente
arbitrarie, perché Dalfen finisce per espungere spesso anche là dove il confronto
con molti passi consente di riconoscere alcuni dei tratti stilistici peculiari dell‘A se
stesso. Non è senza ragione, pertanto, che i numerosi recensori di Dalfen hanno
propugnato il ritorno alla lezione dei testimoni principali (A, T) ogniqualvolta essa
potesse essere accettabilmente difesa225
.
Di capitale importanza, in tal senso, si annuncia l‘edizione, con traduzione
francese a fronte, a cura di Pierre Hadot226
.
L‘opera, concepita in due tomi, dei quali finora non è comparso che il primo,
sostituisce, nella prestigiosa Collection des Universités de France, l‘ormai obsoleto
testo di Trannoy.
Il corposo saggio che inaugura il volume si articola in due parti nettamente
distinte.
La prima, dopo alcuni indispensabili ragguagli storici e biografici sull‘imperatore
filosofo, è interamente dedicata all‘attenta disamina delle questioni critiche più
importanti che si prospettano a qualunque editore dell‘A se stesso di Marco
Aurelio: l‘origine e l‘esatto significato del titolo dell‘opera, il genere letterario al
quale essa appartiene e la messe delle testimonianze letterarie antiche a riguardo.
Hadot, al quale gli storici della filosofia devono anche la più probante
ricostruzione moderna della genesi e delle finalità dello scritto227
, riesamina in
dettaglio tutti i più avvertiti contributi bibliografici sull‘argomento e non di rado
approda a risultati che si possono considerare definitivi228
.
222
Si veda, ad esempio, il testo e l‘apparato critico di Dalfen a VI 444. 223
È soprattutto il caso di V 812, dove solamente in W X si leggono le parole:
. Espungerle dal testo come spurie significa necessariamente ridurne di molto il valore
autonomo di testimoni. Zuntz 1946, p. 47-48, che cita opportunamente Farquharson 1944, vol. I, p.
XXXIII. 224
Dalfen 1974 e 19792.
225 La filologia dell‘ultimo ventennio ha segnato un sensibile progresso verso una più fiduciosa ed
Marc Aurèle, Écrits pour lui-même. Tome I, Introduction Générale, Livre I. Texte établi et
traduit par Pierre Hadot, Paris (CUF) 1998. 227
Hadot, P., Exercices spirituels et philosophie antique, Paris 1981 [trad. it. ID., Esercizi spirituali
e filosofia antica, Einaudi, Torino 1988] ; ID., La citadelle intérieure. Introduction aux « Pensées »
de Marc Aurèle, Fayard, Paris 1992 [trad. it. ID., La cittadella interiore. Introduzione ai
« Pensieri » di Marco Aurelio, Vita e Pensiero, Milano 1996]. 228
Di eccezionale interesse, in questa prospettiva, è tutta l‘equilibrata raccolta e la convincente
discussione delle testimonianze tardoantiche sull‘opera e della tradizione indiretta del testo, con
particolare riguardo alla già citata lettera del vescovo bizantino Areta a Demetrio, metropolita di
Eraclea, e all‘epigramma dell‘Antologia Palatina (AP. XV. 23) che sigilla, a mo‘ di colophon, il
testo dell‘A se stesso nel manoscritto A. Il rimando è necessariamente a Hadot 1998, p. XII-XXV e
p. CLXXXV-CXCI.
83
Nella seconda, invece, l‘oggetto dell‘indagine è significativamente limitato al
solo libro primo.
Qui troviamo, infatti, accanto alla minuta descrizione della sua complessa
architettura compositiva e delle strutture stilistiche che la sorreggono, puntuali
osservazioni sulla relativa cronologia, sugli intenti perseguiti da Marco Aurelio nel
corso della sua stesura e sui criteri che informano la lunga galleria di ritratti che ne
costituisce il tratto esteriore più appariscente. Tutte le coordinate della vita
materiale, tutti gli eventi storici, tutti i modelli politici che segnarono
indelebilmente la condotta dell‘imperatore, tutti i personaggi qui ricordati, sfilano,
elencati in bell‘ordine, in un repertorio prosopografico compilato con rara perizia e
informazione.
Suggellano i prolegomeni a questo libro primo cursorie riflessioni sulla tradizione
manoscritta e sulla storia della critica.
Eccellente la traduzione francese, stampata a fronte, che si giova non poco
dell‘acribia filologica di cui dà prova Hadot nell‘interpretazione di molti passaggi.
Dettagliatissime, infine, le note che corredano il volume, che devono molto,
ovviamente, al lavoro dei predecessori, in particolar modo al monumentale
commento di Farquharson, ma che non di rado testimoniano di un originalissimo
contributo personale.
La parte più cospicua del lavoro filologico dedicato alla costituzione del testo di
questo primo libro rifonde uno scritto dello stesso Hadot anteriore di circa dieci
anni: i mutamenti sono minimi e per lo più inessenziali alla comprensione del
disegno complessivo.
Ciononostante il progresso segnato rispetto alle due successive edizioni di Dalfen
appare immediatamente evidente.
L‘originalità dell‘impostazione di Hadot si rivela innanzitutto nella rinnovata
considerazione per la tradizione indiretta che fa capo a Suda, ritrovando così un
proficuo sentiero di cui parevano essersi completamente perdute le tracce almeno a
partire dall‘edizione di Farquharson del 1944229
.
Un ulteriore motivo di interesse risiede nella completa riabilitazione di
testimonianze manoscritte spesso sospettate a torto230
e nel drastico
ridimensionamento dell‘importanza accordata al codice D231
.
A tal proposito mette conto di notare che il rischio più serio per l‘edizione di
Hadot è semmai quello di un‘eccessiva condiscendenza allo stemma dei codici
disegnato da Dalfen232
: una valutazione più equilibrata delle relazioni tra i singoli
229
Come era lecito attendersi, Hadot accetta da Suda non soltanto le lezioni e inI 63 e 74 rispettivamente, così come si legge oramai in tutte le edizioni critiche moderne, ma
anche in I 12, il che conferma inequivocabilmente il dettato di T. Anche
l‘integrazione nel testo di I 1620 e la riscrittura di tutto il passaggio ivi proposta si fondano
esclusivamente sulla valorizzazione di questa sola testimonianza. Completa indifferenza, al
contrario, per l‘estratto di Suda corrispondente a I 62 delle nostre edizioni. Ben maggiore interesse,
tuttavia, avrebbe dovuto destare , vicinissimo, in I 96, alla tradizione di A.230
Hadot rifiuta giustamente tutte le espunzioni dal testo tradito del libro primo operate da Dalfen.
Si vedano le note a I 169, 21, 31 e la relativa discussione. 231
―Ce caractère anthologique explique certaines coupures dans les phrases ou dans les chapitres.
On ne peut en conclure que les textes omis aient été aussi omis dans l‘original ou qu‘ils aient été des
gloses‖ (Questo carattere antologico – Hadot si riferisce ovviamente alla nota circostanza che D
contiene soltanto estratti dell‘A se stesso – spiega certi tagli nelle frasi o nei capitoli. Non se ne può
dedurre che i testi omessi siano stati omessi anche nell‘originale o che siano stati delle glosse)
Hadot 1998, p. CXCVI. L‘obiezione è chiaramente rivolta a Dalfen, che ricava dall‘assenza in D
della pericope … di I 169 una prova ulteriore a favore della sua espunzione. 232
―D est parent de A, mais n‘est pas copié sur lui, car on ne retrouve pas toujours dans D les fautes
de A et il fournit souvent de bonnes leçons‖ (D è parente di A, ma non è affatto copiato da lui,
84
manoscritti avrebbe conferito un peso ben diverso ad argomenti che si devono
necessariamente limitare alla critica stilistica interna.
In alcune occasioni l‘acume di Hadot consente di individuare sicuramente la
corretta punteggiatura e interpretazione di un passaggio233
, o di decidere
definitivamente tra due varianti pressoché adiafore234
; in altre, invece, la minuta
attenzione alle particolarità della scrittura dei codici e la paziente recensione del
lavoro dei precedenti editori permettono di isolare una sicura interpolazione235
, o di
ripristinare la corretta ortografia di un nome236
, o di sottolineare il chiaro errore di
un amanuense237
.
La meditata prudenza dell‘editore e la sua scarsa propensione ad emendare il testo
producono risultati particolarmente fecondi e incoraggiano positivamente ricerche
più approfondite su questo terreno238
.
Eppure esistono delle occasioni in cui la strenua difesa della tradizione
manoscritta può rivelarsi un‘arma a doppio taglio.
In I 31, ad esempio, nonostante che sia accolta nel testo l‘eccellente congettura di
Lofft 239, verosimilmente suggerita incrociando le rispettive lezioni
e di A e di T, Hadot commenta con favore, in calce
all‘apparato critico, la testimonianza di T, per arrivare poi a sostenerla in una delle
note esplicative di tutto il passaggio240
.
Per una sorta di fortunata evenienza, Marco Aurelio torna ad impiegare lo stesso
termine in V 203241
, ma l‘accezione rigorosamente tecnica con cui compare
perché in D non si rintracciano sempre gli errori di A ed esso fornisce sovente delle buone lezioni)
Hadot 1998, p. CXCVIII. 233
È il caso, ad esempio, di I 52-3, dove si ritorna con profitto alla lezione di T:
. 234
I 81 A D: T. Hadot 1998, p. CLVII; notes complémentaires, p. 24-
25, n. 27.235
In I 86, optando con sicurezza per di A D, a preferenza di di
T, generalmente accettato dagli editori, Hadot offre un ulteriore esempio, finora completamente
ignorato, dell‘effettiva tendenza di T a interpolare gli articoli nel testo dell‘A se stesso. Due casi
indubbi, infatti, si hanno a I 1615, 21. In I 96 l‘interpolazione è significativamente condivisa con D.
Spiace però rilevare come Hadot mantenga erroneamente nel testo di I 72 un‘interpolazione analoga,
correttamente individuata in tutta la tradizione manoscritta almeno a partire dalla prima edizione di
Schultz. 236
Dopo i riscontri epigrafici forniti da Haines 1916, p. 10, n. 2 ogni dubbio sull‘autenticità di
A non ha più alcuna ragione d‘essere. 237
La scelta, in I 1624, a favore di T rende finalmente giustizia dell‘erroneo A D. 238
Notevole, in I 154, la difesa di A D T. Definitiva, in I 1711, la riabilitazione di
A T, a preferenza dell‘emendamento di M. Casaubon, divenuto lezione
vulgata a partire dalla seconda metà del XVII secolo. 239
(Da mia madre: il timore di Dio, la liberalità, l‘astinenza
non solo dal malfare, ma anche dal concepire un‘idea come questa). 240
―Mais , leçon de T, pourrait aussi signifier la qualité de s‘opposer à une chose, et donc
de s‘abstenir d‘une chose‖ (Ma , lezione di T, potrebbe anche significare la qualità di
opporsi a una cosa, e dunque di astenersi da una cosa) Hadot 1998, notes complémentaires, p. 16, n.
9. Il trapasso metonimico qui presupposto da Hadot è però ammissibile solamente a partire dalla
connotazione logico-gnoseologica dell‘aggettivo , quale è impiegato, ad esempio, a
proposito della sospensione del giudizio praticata dai filosofi scettici. Marco Aurelio, tuttavia, come
è facile verificare, evita accuratamente qualsivoglia compromissione lessicale di questo tipo. 241
(Perché il pensiero capovolge e trasforma nel proprio obiettivo qualunque impedimento
alla sua attività, e quel che blocca quest‘azione torna a favore dell‘azione, e quel che sbarra questo
cammino a favore del cammino). L‘espressione denota evidentemente qualunque pastoia intesa ad
85
in quest‘ultimo luogo non sembra lasciare dubbi sull‘inadeguatezza
dell‘analoga lezione di T in I 31.
Altrove, invece, è la poco felice propensione per il dettato di AD a risultare
inopportuna.
Per limitarsi ad un campione esemplare, basterà citare il caso di I 166.
Il testo lì presentato è quello della vulgata, con la lezione di T
correttamente preferita all‘erroneo testimoniato da AD242
. Se non che il
commento di Hadot si diffonde poi in considerazioni decisamente diverse243
.
L‘ovvio errore di AD introduce nel testo tutta una serie di insanabili aporie.
In primo luogo, infatti, deforma irreparabilmente uno dei più diffusi espedienti
stilistici impiegati nella caratterizzazione dei ritratti del primo libro: la dialettica
delle opposte virtù, alla quale P. Hadot consacra proprio alcune delle sue pagine
più ispirate244
.
In secondo luogo, l‘attenta disamina delle occorrenze nel testo del verbo
245, e di tutta l‘area semantica che abbraccia i derivati a questo
afferenti246
, dimostra che l‘accezione qui presupposta da Hadot per
sarebbe quanto di più lontano dall‘uso dell‘autore247
.
Ma la minaccia più insidiosa alla meritoria opera di Hadot proviene proprio
dall‘irresistibile tentazione dell‘interprete di fare aggio sul filologo.
Due passaggi di I 6 sono, in proposito, estremamente significativi.
Al §6, ricordando i debiti spirituali contratti in vita con il proprio maestro
Diogneto, Marco Aurelio annovera senza esitazione ―l‘aver ascoltato le lezioni
prima di Bacchio248
, poi di Tandaside e di Marciano‖249
.
Per superare d‘un tratto tutte le difficoltà derivanti dalla problematica
identificazione del personaggio che si cela dietro alla lezione , P.
ostacolare la corretta azione morale, la resistenza passiva offerta delle circostanze esterne all‘attività
della coscienza individuale. 242
(E l‘esperienza di sapere dove serve
rigidità, e dove, al contrario, arrendevolezza). 243
―La leçon de AD: est peut-être la bonne, si l‘on admet que ce mot pourrait signifier
l‘action de s‘opposer à quelque chose de mal. Marc Aurèle aurait voulu dire: Antonin savait quand
il fallait s‘opposer décidément, et quand il était possible de tolérer‖ (La lezione di AD: è
forse quella autentica, se si ammette che questa parola potrebbe significare l‘azione di opporsi a
qualcosa di male. Marco Aurelio avrebbe voluto dire: Antonino sapeva quando bisognava opporsi
decisamente, e quando era possibile tollerare) Hadot 1998, notes complémentaires, p. 34, n. 5. 244
Hadot 1998, p. CLVI-CLX. Se ne ritrova un riscontro quasi letterale, ad esempio, in uno dei tratti
del carattere che Marco Aurelio attribuiva, in I 84, al proprio maestro Apollonio di Calcide: (e riconoscere chiaramente, in un modello vivente, che la stessa persona può essere
molto energica e mite). 245
Il verbo equivale sostanzialmente a ‗ostacolare‘. Si veda, in proposito, la rassegna compilata in
Schenkl (ed. mai.) 1913, Index Verborum, s. v., p. 220. 246
: ‗ostacolo‘ VIII 414; : ‗che ostacola o impedisce‘ V 203.247
Tanto il senso denotativamente più ampio di fattiva ‗opposizione‘, ‗resistenza‘, quanto quello
connotativamente più ristretto di ‗obiezione‘, ‗riserva‘, non avrebbero nulla a che vedere con
l‘assunto filosofico in questione, in virtù del quale le circostanze materiali esterne, o il prossimo,
possono sì frapporre degli ostacoli all‘azione dell‘io materiale, ma non possono mai conculcare
l‘incoercibile libertà dell‘io spirituale. 248
Si tratta di un personaggio ben noto: Bacchio di Pafo, il filosofo platonico vissuto intorno alla
metà del secondo secolo d. C. Si veda Hadot 1998, p. LXXXII- LXXXIII. Bene fa lo studioso a
ripristinare la grafia , come si legge in T, a preferenza di , come si legge invece in
A. 249
Cortassa 1984, p. 227. Si cita qui di seguito il passo così come riportato in A e T, gli unici
testimoni disponibili in questa specifica occasione:
.
86
Hadot, alla stregua di T. Gataker e di G. Ménage, ne propone la temeraria
correzione in . Si otterrebbe così la perfetta corrispondenza con la
notizia, riportata nella Cronaca di Eusebio di Cesarea, di un certo Basilides, nativo
di Scythopolis (l‘odierna Beth-Shan, in Palestina), filosofo forse di credo stoico e
maestro di Marco Aurelio intorno all‘anno 150 d. C.250
. Il ragionamento, in sé
apparentemente ineccepibile, introduce però, a ben vedere, un criterio di
valutazione drammaticamente perverso: tanto varrebbe, allora, modificare in
l‘altrettanto sconosciuto , come fu peraltro proposto a suo
tempo dallo stesso Gataker, soltanto perché l‘Historia Augusta ci informa che il
noto il giurista L. Volusio Meciano fu tra i precettori di Marco Aurelio251
.
L‘equilibrio di cui dà prova Hadot in questa occasione, nel vagliare e rifiutare ad
uno ad uno tutti gli argomenti addotti a sostegno di una correzione infinitamente
meno problematica da un punto di vista paleografico, avrebbe dovuto ovviamente
orientare le sue scelte anche in precedenza.
Il §8 è, se possibile, ancora più istruttivo.
Il testo, trasmesso indipendentemente dai due testimoni di elezione A e T, scorre
via limpido e senza apparenti difficoltà: 252
.Ciononostante Hadot corregge in , argomentando come le
pratiche del modello educativo qui adombrato da Marco Aurelio non possano
appartenere affatto a quello greco in generale, risolto integralmente nel circuito
delle discipline tradizionali e sostanzialmente viziato da un‘intrinseca mollezza,
bensì soltanto a quello spartano, già indicato paradigmaticamente, proprio in seno
alla tradizione stoico-cinica, come il più consentaneo al conseguimento di una
perfetta formazione filosofica253
.
Eppure tutta questa dotta disquisizione non può far dimenticare un solo dato di
fatto essenziale: Hadot non è assolutamente in grado di produrre nessun autentico
parallelo della iunctura nell‘accezione, lievemente deprecatoria
da un punto di vista morale, di una vita condotta tra gli agi di una raffinatezza
eccessiva, né, tanto meno, in quella di una generica educazione greca contrapposta
a una specifica formazione filosofica.
Al contrario questo è precisamente il senso dell‘espressione , come del resto sembra sufficientemente documentato da tutta la messe
degli esempi citati254
.
Tuttavia i due vocaboli e qui non possono essere in alcun modo
sinonimi, eventualità di cui peraltro Marco Aurelio stesso appare ben consapevole,
quando in I 32 impiega , soltanto poche righe più sopra e forse proprio in
esplicita contrapposizione al nostro passo, per ricordare come avesse imparato dalla
madre ―la frugalità nel modo di vivere, ben lontana dal tenore di vita caratteristico
della gente ricca‖255
.
Se poi si esaminano con la dovuta attenzione le testimonianze offerte da Hadot, la
fallacia del tentativo di far passare per buona la sinonimia risulterà in tutta la sua
evidenza.
250
Hadot 1998, p. LXXXIII. Le argomentazioni svolte in notes complémentaires p. 19, n. 16 per
giustificare tale riscrittura da un punto di vista paleografico sono semplicemente risibili. 251
Ibid., p. LXXXIII-LXXXIV. 252
―E il desiderio di un lettuccio e di una pelle, e tutte le cose come queste attinenti all‘educazione
greca‖. 253
Hadot 1998, p. CLI-CLIII. 254
Hadot 1998, notes complémentaires p. 20, n. 19. 255
.
87
Esemplare, a questo riguardo, un luogo tratto dal quinto libro della Geografia di
Strabone256
. Discorrendo della gente che si stabilisce a Napoli in cerca di riposo
dalle fatiche di un‘intera vita di lavoro, lo scrittore ricorda opportunamente come 257
.
Laddove, però, in questo stesso passo, Strabone indugia ad osservare la
permanenza in Napoli di cospicui tratti esteriori della civilizzazione greca, sia pure
in un contesto ormai compiutamente romanizzato, le parole dell‘autore sono
passate sotto silenzio da Hadot con un minimo di cattiva coscienza: 258
La differente connotazionedei due vocaboli non dovrebbe, a questo punto, più
essere oggetto di discussione. Non sembra che sia possibile sapere con assoluta
sicurezza a che cosa Marco Aurelio intendesse alludere, quando scriveva
, ma il tentativo di correggere un testo
chiaro e privo di difficoltà paleografiche, facendo leva su argomenti preconcetti,
appare, in buona sostanza, francamente pretestuoso.
256
Si tratta di Str. V, 4, 7, discusso in Hadot 1998, l. c. 257
―A Neapolis diffondono il modo di vivere greco quelli che da Roma si ritirano qui per trovare
tranquillità, sia quanti si sono dedicati all‘educazione dei fanciulli, sia altri che per vecchiaia o
malattia desiderano vivere in tranquillità‖. La traduzione si deve a Anna Maria Biraschi, Strabone,
Geografia, l‘Italia, Rizzoli (BUR), Milano 1988, p. 181. 258
―Qui si conservano moltissime tracce della cultura greca, così come i ginnasi, gli efebei, le fratrie
e i nomi greci, sebbene la popolazione sia romana‖.
88
89
Tavola sinottica di varianza
e abbreviazioni
90
91
Edizione di Dalfen Testo accettato
I. 5. 1 I. 5. 3
I. 6. 2 []
I. 9. 6 I. 12
I. 13. 1 [] I. 14. 3 [ ] I. 14. 3
I. 15. 4
I. 16. 5 []
I. 16. 9 [ … ] …
I. 16. 20 < > I. 16. 21 [ ]
I. 16. 24
I. 16. 25
I. 16. 25 []
I. 16. 25 I. 16. 25
I. 16.26 []
I. 16. 27
I. 16. 29 I. 16. 31 [ … ] …
I. 17. 11
I. 17. 11
I. 17. 16 [] I. 17. 21 I. 17. 22
II. 2. 1 [] II. 2. 2 []
II. 3. 3
II. 4. 1
II. 5. 1 … II. 5. 1 II. 5. 2
II. 6. 1
II. 7. 1 []
II. 7. 2
II. 11. 3
II. 12. 1 II. 12. 4 [] [] II. 14. 5 III. 1. 1
III. 2. 5 III. 2. 5 III. 3. 6 III. 4. 1 [ ] …
III. 4. 4 []
III. 4. 4
III. 4. 5
92
Edizione di Dalfen Testo accettato
III. 4. 5 III. 5. 3
III. 5. 3
III. 5. 3 [ ]
III. 6. 3 [ ]
III. 7. 3
III. 7. 4
III. 7. 4 <> <> III. 11. 5
III. 12. 1 <>
III. 12. 1 III. 14
III. 16. 2 < > < >
IV. 1. 1 []
IV. 3. 2 [ … ] …
IV. 3. 3 <>
IV. 5
IV. 12. 2 vel
IV. 18
IV. 18 † †
IV. 18
IV. 19. 1 IV. 19. 3
IV. 19. 3 …
IV. 20. 1
IV. 21. 1 [ ] <>
IV. 27. 1
IV. 36. 1
<> <>
IV. 38 [ ]
IV. 39. 4 < > < >
IV. 43 []
IV. 46. 3 []
IV. 46. 3 <> IV. 46. 5 <>
IV. 48. 4
IV. 50. 1
IV. 50. 3
IV. 51. 2
V. 1. 2 [] V. 1. 2
V. 1. 4 [] V. 1. 4 [ ]
V. 2 []
V. 3. 1
V. 6. 1 []
93
Edizione di Dalfen Testo accettato
V. 8. 1 V. 8. 2 V. 8. 2
V. 8. 2 <>
V. 8. 2
V. 8. 3
V. 8. 3 V. 8. 3 V. 8. 9
V. 8. 12 [ ]
V. 9. 1 [] <>
V. 11
V. 12. 2 <>
V. 12. 2 <> <> V. 12. 3 []
V. 15. 1
V. 15. 3
V. 15. 3 [ ]
V. 15. 5
V. 15. 5
V. 16. 3 [ ] < >
V. 23. 2 < >
V. 23. 3 [ ]
V. 31. 1 … V. 31. 3
V. 33. 5 <>
V. 33. 6
V. 34. 2 V. 36. 2 <>
V. 36. 3 [ ]
V. 37
V. 37 V. 37 VI. 4 VI. 8 VI. 10. 3 VI. 11
VI. 12. 1 []
VI. 14. 2
VI. 15. 2 VI. 16. 7
VI. 16. 10
VI. 20. 1 [ ]
94
Edizione di Dalfen Testo accettato
VI. 20. 2
VI. 23. 1
VI. 25 []
VI. 30. 7
VI. 30. 9 <> VI. 30. 13 <> VI. 31 [ ]
VI. 32. 2 VI. 35. 1 VI. 35. 2
VI. 36. 2
VI. 40. 3 [ ]
VI. 42. 3 [ ]
VI. 44. 1 VI. 44. 2
VI. 44. 3 []
VI. 44. 4
VI. 45. 2 †
†
VI. 46
VI. 50. 2 VI. 57. 1 VII. 2. 1 VII. 2. 1 VII. 2. 3
VII. 5. 2 <> []
VII. 12 <> VII. 13. 3 VII. 13. 3 VII. 14. 2 [ ] VII. 16. 3
VII. 17. 1
<
>
VII. 18. 1 VII. 18. 1 VII. 22. 2
VII. 24. 1 < >
<>
VII. 28 [] VII. 31. 4 † † VII. 40 VII. 48 [] VII. 49. 1 VII. 50. 2 [ (...) ] (...)
95
Edizione di Dalfen Testo accettato
VII. 55. 2 VII. 55. 6 VII. 57 VII. 58. 3
VII. 58. 3 …
< >
VII. 64. 4 VII. 66. 2 VII. 66. 2 VII. 66. 3 VII. 67. 1 VII. 68. 3 VII. 68. 4 <> VII. 68. 4 <> VII. 73 VII. 75. 1
VIII. 1. 3
<> [] <>
VIII. 1. 6 VIII. 1. 6 VIII. 1. 6
VIII. 3. 2
VIII. 3. 2 VIII. 3. 2 VIII. 5. 2 [ ] VIII. 5. 2 [] VIII. 6. 2 [ ]
VIII. 10
VIII. 14. 1 VIII. 15
VIII. 17. 2
VIII. 18. 2 [ ] []
VIII. 21. 1 VIII. 22. 2 VIII. 25. 2 [ ]
VIII. 31. 2
< >
VIII. 34. 1 VIII. 34. 2 VIII. 35. 1 † † VIII. 36. 1 VIII. 37. 1
96
Edizione di Dalfen Testo accettato
VIII. 41. 4 <>
VIII. 45. 2 VIII. 47. 3 VIII. 48. 2 [ ] VIII. 50. 1 VIII. 51. 2
VIII. 51. 3 []
<>
VIII. 52. 1 VIII. 52. 1 [ ]
VIII. 52. 2 < >
<>
VIII. 52. 3 []
VIII. 57. 3 VIII. 57. 3 VIII. 61 IX. 1. 2 IX. 1. 2 IX. 1. 6 IX. 1. 7 IX. 3. 2 IX. 3. 2 IX. 3. 2 IX. 3. 5 [] IX. 3. 5 < > IX. 3. 6 IX. 3. 7
IX. 6
IX. 9. 4 [ ]
IX. 9. 8 [] IX. 9. 9 IX. 9. 10 [] IX. 19 []
IX. 22. 2 []
IX. 23. 2 [ ]
IX. 26 IX. 28. 3 IX. 29. 5 IX. 29. 5 IX. 29. 6 IX. 29. 7 IX. 29. 7 IX. 32. 2 <> IX. 32. 2 [ ]
X. 38. 3 XI. 3. 2 [ ] XI. 5 XI. 6. 5 XI. 6. 5 [] XI. 9. 1
98
Edizione di Dalfen Testo accettato
XI. 9. 1 [ ] XI. 11 [] XI. 11 XI. 12 XI. 12 XI. 13. 2 XI. 13. 4 XI. 15. 3 XI. 15. 3 XI. 15. 6 XI. 16. 1
XI. 16. 2
[ ]
XI. 16. 3 XI. 16. 3 XI. 17 XI. 18. 8 XI. 18. 9 XI. 18. 13 XI. 18. 17 XI. 18. 18 XI. 18. 24 XI. 18. 25 XI. 19. 2
XI. 20. 2 []
XI. 20. 3 XI. 21. 2 XI. 21. 3 XI. 25
XI. 26
XI 37 ‗‘ ‗‘ ‗ ‘ XII. 1. 2 XII. 1. 5 <> XII. 3. 3 <> XII. 3. 4 XII. 3. 4 XII. 4. 1 [ ] XII. 4. 2 XII. 5. 2 [] XII. 10 XII. 11 [ ] XII. 11 [ ] <> XII. 14. 1 []
XII. 14. 4 XII. 17. 1 † †
XII. 24. 2
99
Edizione di Dalfen Testo accettato
XII. 24. 3 []
XII. 24. 3
XII. 27. 3
XII. 31. 2
100
SIGLA
A Vatic. Gr. 1950 saec. XIV
T editio princeps Guil. Xylandri, Tiguri apud Andream Gesnerum F. 1559,
ad exemplar cod. Toxitani nunc deperditi facta
Tox. lectiones cod. Toxitani a Xylander in ed. princ. commemoratae
Xyl. aut coniecturae Xylandri in textum editionis principis receptae aut
eiusdem versio latina ed. principi addita
D Darmstadt. 2773 saec. XIV
M Monac. 323 saec. XV / XVI
C excerpta quae exstant in codicibus
C Vatic. Gr. 955 saec. XV
C Vatic. Gr. 954 saec. XV
C Venet. S. Marci App. Cl. IV 29 saec. XV
C Laurent. 58, 11 saec. XV
C Paris. Suppl. Gr. 319 saec. XV / XVII
C Oxon. Coll. Novi 270 saec. XVI
C Oxon. Bodl. Canonic. 69 saec. XVI
W excerpta quae exstant in codicibus
B Monac. 529 saec. XIV
V Vatic. Gr. 1823 saec. XIV
v8 Vatic. Gr. 2231 saec. XIV
X excerpta quae exstant in codicibus
v3 Vatic. Gr. 98 saec. XIV / XV
v4 Vatic. Gr. 100 saec. XIV
v5 Vatic. Gr. 926 saec. XV
x = consensus codd. v3, v4, v5
l2 Laurent. 59, 17 saec. XV
l3 Laurent. 74, 13 saec. XV
p4 Paris. 2649 saec. XV
y = consensus codd l2, l3, p4
v2 Vatic. Gr. 20 saec. XV
m1 Venet. S. Marci App. Cl. XI 1 saec. XV
z = consensus codd. v2, m1
a Athoo 189 saec. XV
v1 Vatic. Gr. 953 saec. XIV
v6 Vatic. Gr. 1823 saec. XIV
v7 Vatic. Gr. 1404 saec. XIV
l1 Laurent. 5, 7 saec. XV
l4 Laurent. 59, 44 saec. XIV
m2 Venet. S. Marci App. Cl. XI 15 saec. XIV
m3 Venet. S. Marci App. Cl. XI 9 saec. XV
p1 Paris. 1000 saec. XIV
p2 Paris. 1698 saec. XIV
p3 Paris. 2075 saec. XV
p5 Paris. Suppl. Gr. 1164 saec. XIV
p6 Paris. Coisl. 341 saec. XIV / XV
g Guelf. Gud. 77 saec. XIV
f Mazar. Coll. Faugère 4591 (olim 4556) saec. XIV
r Britan. Burn. 80 saec. XVI
b Barber. II 99 saec. XV
101
Stemmata Codicum
102
103
J. Stich 1902
H. Shenkl 1913
P. Maas 1945
104
E. Pinto 1968
J. Dalfen 1978
105
Note al
LIBRO I
106
107
(5) [A T] 1 Farquharson, Cortassa: A T et vulgo edd. A T: Orth.
Il consenso unanime del dettato, manifestato in questo passo da tutti i testimoni a
nostra disposizione, sembra non aver destato il benché minimo sospetto nei
moderni editori del testo; eppure, a dispetto di tanta serenità di giudizio, è
sufficiente dare una scorsa a una traduzione qualunque per riconoscervi
immediatamente il malcelato imbarazzo degli interpreti: lasciando da parte qualche
lodevole eccezione259
, appaiono tutti adottare implicitamente la pessima correzione
poi suggerita da Emil Orth260
, che appiattisce in una scialba indifferenza le due
fazioni rispettivamente contrapposte alle corse dei cocchi nel Circo e agli spettacoli
gladiatori nell‘arena261
.
Di conseguenza, stante la necessità di emendare il testo, la congettura di
Farquharson si rivela senz‘altro preferibile, perché non solo ripristina l‘elegante
parallelismo della frase, ma fornisce al passo un senso perfettamente coerente con i
dati acquisiti dalla ricerca storica moderna262
.
A tal proposito, le recenti indagini condotte da P. Hadot contestano vivacemente
la limpida proposta di Farquharson e invitano a concedere un credito maggiore alla
lezione dei manoscritti: l‘inconcinnitas del passo, qual è testimoniata in tutta la
nostra tradizione, altro non sarebbe, allora, che la realizzazione, sul versante della
scrittura, della stoica263
. Tuttavia, com‘è facile immaginare, di fronte
alla deprecabile assenza di una qualsivoglia trattazione specifica sui più notevoli
fatti stilistici dell‘ , le pur apprezzabili osservazioni dello studioso
rischiano di trasformarsi in vaghi commenti estetizzanti, destituiti perciò d‘ogni
valore scientifico: l‘aspirazione legittima a non alterare il consenso dei codici e a
preservare l‘asimmetria del testo non può certo contare su un così debole
fondamento.
259
Maltese 1993, p. 2, stampa sì a fronte il testo tradito, ma ne rende poi bene l‘asimmetria nella
traduzione: ―Dal mio precettore: non essere stato sostenitore dei Verdi né degli Azzurri né dei
gladiatori armati di parma o di quelli armati di scutum‖. 260
. Orth 1954, p. 395. 261
Si cita qui, a mo‘ d‘esempio, l‘elegante traduzione di Trannoy, 1925, p. 1: ―De mon gouverneur:
n‘avoir été ni Vert ni Bleu, ni pour les Boucliers Courts ni pour les Longs‖. Non dissimili da questa
le soluzioni adottate da alcune delle migliori traduzioni italiane quali, ad esempio, quelle di
Mazzantini, Pinto, Turolla. Insostituibili, per un rapido sguardo d‘insieme sull‘argomento,
rimangono ancora oggi le note di Farquharson, 1944, vol. II, p. 437-438. Dettagliatissimo, come il
solito, Hadot, 1998, t. I, p. CXLIII-CXLIX, con preziosi riferimenti bibliografici. 262 La sostanza dell‘intervento di Farquharson si legge già nella precisa traduzione di Haines, 1916,
p. 5, che pure riproduce a fronte il testo vulgato: ―From my tutor, not to side with the Green Jacket
or the Blue at the races, or to back the Light-Shield Champion or the Heavy-Shield in the lists‖. La
differenza tra le corse del Circo e i combattimenti dell‘arena è qui opportunamente evidenziata. 263
―Farquharson voulait remplacer le deuxième par pour sauvegarder la symétrie avec le
deuxième couple d‘opposés: ‗ni Vert ou Bleu, ni Bouclier rond ou Bouclier long‘, mais, comme l‘a
bien noté F. Martinazzoli, La ‖Successio‖ di Marco Aurelio. Struttura e spirito del primo libro dei
‖Pensieri‖, Bari, 1951, p. 74, l‘inconcinnitas de Marc Aurèle a pour but de montrer qu‘il affecte de
mettre sur le même plan toutes ces factions qui n‘ont pas de sens pour lui‖ (Farquharson intendeva
sostituire il secondo con per salvaguardare la simmetria con la seconda coppia d‘opposti: ‗né
Verde o Azzurro, né Scudo rotondo o Scudo lungo‘, ma, come ha ben osservato F. Martinazzoli, La
‖Successio‖ di Marco Aurelio. Struttura e spirito del primo libro dei ‖Pensieri‖, Bari, 1951, p. 74,
l‘inconcinnitas di Marco Aurelio ha come obiettivo di mostrare che egli ostenta di porre sullo stesso
piano tutte queste fazioni che per lui non hanno alcun senso) Hadot, 1998, t. I, p. 2, n. 2.
108
(5) [A T] (sc. ) 2
3 4 T Schenkl (ed. mai.), Dalfen, Maltese, Hadot: A Leopold,
Haines, Trannoy, Farquharson, Cortassa T Schenkl (ed. mai.), Hadot: A Leopold, Haines, Trannoy, Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese.
Anche solo da una rapida occhiata alle varianti, qui registrate in apparato, si può
comprendere bene quanto sia grande l‘incertezza, in seno alla tradizione
manoscritta, sulla collocazione più opportuna da dare all‘articolo . A ben guardare, sembrerebbe evidente che Dalfen, per quanto manifesti a tutta
prima una superficiale predilezione per T, abbia inteso seguire da vicino le
raccomandazioni di Schenkl264
.
In realtà la questione sulla corretta posizione dell‘articolo non è poi così oziosa,
perché presuppone due modalità ben distinte di organizzazione interna delle virtù
ricordate: gli interpreti che si rifanno, in maniera più o meno esplicita, al dettato di
A ipotizzano due coppie giustapposte di termini265
, chi, al contrario, legge da T ne
immagina un terzetto, accompagnato, poi, da un termine isolato.
L‘attenta disamina di Hadot266
permette ora di identificare in un gruppo omogeneo di virtù, consentaneo al
raggiungimento dell‘ stoica, operando quindi una netta distinzione da che segue: che i risultati della più moderna ed avveduta esegesi
confermino con tanta decisione la lezione di T ne costituisce il fondamentale
corollario, non certo privo di conseguenze sulla valutazione complessiva
dell‘accuratezza di quel testimone.
264
«Fortasse illud vacillans delendum», Schenkl (ed. mai.) 1913, p. 1, con ovvio riferimento a
che si legge in A. 265
Farquharson 1944, vol. II, p. 438-439. 266
Hadot 1998, notes complémentaires, p. 18, n. 4-5.
109
(6) [A T] (sc. ) 2
[] Suda s. v. : 2 om. Suda, secl. Farquharson, Cortassa.
Considerato che tanto il termine , quanto l‘espressione
, si trovano qui impiegati in relazionea cure mediche prestate grazie
alla magia267
, Farquharson suggeriva di espungere il secondo , benché
concordemente attestato in tutta la tradizione manoscritta, avvalendosi della sola
testimonianza indiretta offerta da Suida: l‘apparente azzardo era incoraggiato dagli
ottimi risultati conseguiti percorrendo anche altrove questo stretto sentiero268
,
mentre l‘unica obiezione sensata avanzata in proposito si tramutava
paradossalmente nel più forte argomento a sostegno dell‘ipotesi di
un‘interpolazione269
. In più si può notare come giunga anche qui, come
solitamente altrove, a suggellare una sequenza semanticamente omogenea270
.
267
Farquharson 1944, vol. II, p. 440-441; Hadot 1998, notes complémentaires, p. 18-19, n. 11. 268
Proprio in seguito all‘edizione di Farquharson del 1944 nessuno dubita più della genuinità di
lezioni quali e , che si incontrano rispettivamente in I 63 e 7
4, benché siano
attestate solamente dalla tradizione indiretta che fa capo a Suda. 269
―As transmitted in P and A, the repeated preposition serves to prevent the faulty parallelism of
the two genitives and ‖ (Come trasmessa in P e A, la preposizione ripetuta serve
ad evitare l‘erroneo parallelismo dei due genitivi e ) Zuntz 1946, p. 48.
Ovviamente si può anche pensare che un anonimo interpolatore abbia inserito il glossema proprio per sottolineare che e non giacciono sullo stesso piano. 270
Il fenomeno era già stato notato: ―Ant. is fond of resuming a notion previously expressed by a
more or less vague ‗of this sort‘‖ (Ant. ama ricapitolare un concetto precedentemente
espresso con un più o meno vago ‗di questo genere‘) Zuntz 1946, p. 51, che, in nota,
citava a riscontro: I 1614
; V 17; VI 503; VII 50
2; IX 27
1. Per , invece, collocato, come
qui, in fondo ad un‘enumerazione con funzione riepilogativa, cfr. I 63, 7
4, 16
25; V 8
1 (
); XI 12. Analogamente o I 6
8; III 1
2 (o ), 4
1; X 8
2; XI 6
3. Nella
stessa identica funzione troviamo impiegati anche IV 503
e VIII 252, nonché
VI 474, se a sfilare davanti ai nostri occhi è una teoria di personaggi famosi. Cfr. infine VII
631 … … e III 2
6 in
contesti affini.
110
(9) [A T D] 1 2
3 4
5 6
7 Suid. 2872 [ Suidae codd. ITM] [ITM] A T: D Xylander: A Tox. D pr. D mg. …
om. D T: A D A Leopold, Schenkl, Maltese:
T Schultz D Gataker, Dalfen
Hadot Farquharson, Cortassa, <>
Theiler, alii aliter; cruces loco app. Stich, Haines, Trannoy (in versione); glossema putat Rendall.
«[1] Da Sesto, l‘indulgenza; [2] e l‘esempio del buon padre di famiglia; [3] e il
concetto di vivere secondo natura;271
[4] e la serietà senza affettazione;272
[5] e la
premurosa attenzione agli amici». Il senso complessivo del §6 non lascia adito a
dubbi: Sesto di Cheronea, nipote di Plutarco, era per Marco un esempio di
tolleranza verso gli ignoranti, verso chi si forma delle opinioni senza senza
indagare a fondo i problemi. Alla luce delle modificazioni nell‘assetto sintattico del
testo, introdotte inevitabilmente dalla parafrasi, è agevole verificare come Suida ne
fornisca una versione alterata e ‗facilitata‘, in cui l‘aggettivo , che
s‘incontra non di rado nell‘accezione passiva ‗non scientificamente considerato‘,273
è riferito a persona e assume un valore attivo ( è colui ‗che non prende
in considerazione‘) discretamente attestato nella produzione filosofica e
scientifica.274
Evidentemente l‘epitomatore, a cui si deve l‘estratto, si era persuaso
che, parallelo a , che è qui impiegato astrattamente (è la qualità di
aver pazienza con i profani), continuasse l‘enumerazione delle virtù
di Sesto, mentre in effetti l‘espressione è parallela a e ne completa il
senso.275
Chiarita così l‘assenza dell‘articolo , il testo trasmesso da Suida sarà, in
buona sostanza, identico ad A. Quanto all‘articolo , invece, che si legge
unicamente in D e T, andrà senz‘altro attribuito all‘interpolazione dei grammatici,
tesa ad esplicitare ancor più chiaramente l‘erroneo parallelismo tra i due membri di
frase … … e a far dipendere così
direttamente da .276
Ora, però, grazie alla testimonianza congiunta di A e
271
Per l‘accusativo in particolare, e la sintassi del passo in generale, vd. Farquharson 1944,
p. 434-435; Hadot 1998, p. CLXXXVII. 272
L‘analisi delle varianti dimostra, una volta di più, che D non ha mai visto T, ma ha soltanto
corretto il testo di A ope ingenii. Cfr. Polak 1886, p. 350. 273
L‘essenziale, da cui prende le mosse la discussione presente, si può trovare già in Hadot 1987, p.
286-287. 276
Sorprendentemente, tale interpretazione godette di una fortuna ininterrotta fino a tempi piuttosto
recenti. Nel Thesaurus dello Stephanus è giustappunto chiosato con inconsiderantia.
«C‘est ainsi que l‘édition de Lyon propose, dans ses notes, de comprendre: ‗Et que je ne désire pas
prendre in considération () ce qui est seulement objet d‘opinion‘ ou bien: ‗Et que je ne
désire pas prendre in considération les gens qui pensent à eux-mêmes d‘une manière orgueilleuse [a
cause du sens que peut avoir ]‘» Hadot 1998, p. 26-27, n. 15. Per vd. IV 12. 1; IX 34.
111
di Suida, possiamo leggere l‘intero passaggio sotto una luce completamente
diversa, perché il membro di frase corrisponde al
membro di frase , e lo completa.277
In altre parole, questi due membri
di frase descrivono l‘oggetto della pazienza di Sesto: un solo gruppo di persone,
coloro che non si sono affatto familiarizzati con i principi e i ragionamenti della
filosofia, che provano sì a pensare, ma senza autentica riflessione e senza un solido
fondamento.278
Questo parallelismo, dunque, non richiede affatto la ripetizione di
davanti a , il che implicherebbe invece la distinzione di due
gruppi differenti. Conformemente alla regola, Marco Aurelio non ripete
assolutamente l‘articolo quando si susseguono due aggettivi o sostantivi
sinonimi.279
Concludendo, si può confidare sicuramente nel testo di A e intendere:
«La tolleranza verso gli ignoranti, ovverosia chi si forma opinioni prive di
fondamento scientifico».280
2; XII 27. 2. Per , in un‘accezione assai prossima a quella ipotizzata qui, si può disporre
almeno di IX 29. 2. 277
Da qui in avanti seguo la falsariga di Hadot 1998, p. 26, n. 15. 278
Questa è l‘accezione abituale con cui il sostantivo compare nell‘ : l‘uso,
come peraltro gran parte del frasario tecnico filosofico, deriva a Marco Aurelio dagli scritti di
Epitteto, presso il quale il termine equivale, in buona sostanza, all‘antonimo di . È il
lessico dell‘artigianato, e la similitudine, di evidente sapore socratico e diatribico, cesellata
dall‘autore a VI 35, consente di afferrare il tropo perfettamente: come coloro che esercitano un
mestiere, pur dando ascolto fino a un certo punto ai profani ( , appunto), tuttavia
rimangono saldamente ancorati ai principi essenziali della loro arte e non ammettono di
allontanarsene, così il saggio, che è il supremo artefice nell‘arte di vivere secondo natura, non si farà
traviare dalle fallaci opinioni di chi non ha la minima istruzione filosofica. Per ulteriori riscontri cfr.
V 85 e IX 41
2. Lo stesso discorso vale anche per l‘aggettivo : cfr. IV 3
2,
36
3, 50
1; IX 3
5. Fa
ovviamente eccezione I 175, dove il sostantivo
sembra scelto a bella posta come calco del
latino privatus: qui si fa questione della civilitas, una delle virtù politiche di Antonino Pio, per cui
Marco Aurelio riconosce il debito di riconoscenza contratto con il padre adottivo. 279
I 7. 6; II 7. 2 Hadot 1998, p. 26, n. 15. Ma cfr. supra I 6. 2. In seno a tali sintagmi il compito
affidato a è «To add a limiting or defining expression», oppure, in alternativa, «To add by a way
of climax» LSJ9 s. v. Nello sterminato commento di Farquharson, come il solito sensibilissimo ai
fatti di stile, si scovano, qua e là, ulteriori riscontri al fenomeno: II 1. 3; 16. 6; VI 50. 2.
Personalmente aggiungerei V 26. 1, che ha dato parecchi grattacapi agli interpreti:
«l‘‗egemonico‘, cioè la parte che domina la tua anima». 280
«On pourrait considérer comme un complément de […] Pour le sens, on
a donc […] ‗La patience à l‘égard des profanes et de ceux qui pensent () ce qui n‘est pas
fondé sur des principes ( )‘» Hadot 1987, p. 287. Questa soluzione fu poi purtroppo
accantonata a favore di , l‘infelice emendamento di Gataker. «L‘espressione , oggetto di tanta diffidenza, è in realtà legittima» Maltese 1986, p. 226. Non si
potrebbe immaginare niente di più lontano dalla bonomia di Sesto del sordo risentimento di
Leopardi costretto in Recanati, «in questo | natio borgo selvaggio, intra una gente | zotica, vil; cui
nomi strani, e spesso | argomento di riso e di trastullo, | son dottrina e saper … » Le Ricordanze, 29-
33. Fatto salvo, ovviamente, il segno sentimentale opposto, l‘affinità di situazione, di concetto e
financo di lessico con il passo in esame non può non sorprendere.
112
(9) [A T D] (sc. ) 10 11 Suda s. v. :
[ Sudae codd. ITM] [ ITM] [ Sudae codd. AFS]
[ AFS]
Scaphidiotes (‗honestam famam sine iactatione‘ Xylander), Leopold,
Trannoy, Farquharson, Cortassa, Dalfen, Hadot: A D Schenkl (ed.
mai.) T Haines, Theiler, Maltese.
È davvero difficile non condividere l‘entusiasmo di G. Zuntz per la limpida
correzione di P. Skaphidiotes281
, già suggerita, nelle sue forme esteriori, dalla
traduzione latina di G. Xylander282
. A riprova ulteriore si possono citare non solo la
parafrasi contenuta in Suda283
, ma anche l‘interpolazione, del tutto simile a questa,
scivolata nel testo poco più sopra, al §4284
. Lo scenario si fa perciò estremamente
plausibile se riguardiamo alla sola tradizione di AD. Resta il fatto, però, che T
appare notevolmente differente, e insopprimibile rimane la tentazione di allinearne
il contenuto ad altri impieghi analoghi di , che ricompaiono
qua e là in tutto l‘ 285. Inoltre, la possibilità, nient‘affatto remota, di un
calco più o meno consapevole d‘identiche strutture sintattiche del latino, idque, et
hoc, atque is, dovrebbe forse suggerire una cautela maggiore nel valutare questo
ramo della tradizione manoscritta.
281
―Particularly elegant was Scaphidiotes‘s restoration … of the typical Antoninian phrasing of I
910
, which had been spoiled by the insertion of both the conjunction and the article‖ (particolarmente
elegante fu la restituzione di Scaphidiotes ... del tipico stilema antoniniano di I 910
, che era stato
compromesso dall‘intrusione tanto della congiunzione quanto dell‘articolo) Zuntz 1946, p. 49. 282
Che qui, però, non è affatto accurata. Hadot 1998, notes complémentaires, p. 27, n. 5. 283
La forma , che vi si legge, si è senza dubbio prodotta in analogia ai superlativi che
precedono immediatamente. Hadot 1998, l. c., n. 6. 284
A fronte della lezione sicuramente genuina di T: , in A leggiamo: , da cui poi la correzione di D: . 285
Cfr. I 1624
; III 102; IV 27
2, 50
3; VII 70
2; XI 13
2.
113
(12) [A T D] (sc. ) (…) Suda s. v. : (…) (…) T Suda Farquharson, Cortassa, Hadot: A D Leopold,
L‘estratto contenuto in Suda conferma inequivocabilmente il testo di T: anteporre
a questo la tradizione di AD è pregiudizievole, non solo un pregiudizio.
114
(13) [A T D] 1 A T D: om. Xylander in versione, secl. Reiske (qui etiam coni.), Coraìs, Leopold,
Farquharson, Dalfen, Maltese.
―Il Farquharson e il Dalfen espungono, con il Reiske, il prima di
. A me pare che il testo debba essere mantenuto: non solo non
bisogna trascurare un amico che si lamenta di qualche cosa, ma bisogna anche
ristabilire con lui i rapporti abituali, come se nulla fosse accaduto‖286
.
286
Cortassa 1984, p. 89, citato anche da Hadot 1998, p. 6, n. 6. Cfr. R. Kühner, B. Gerth,
Ausführliche Grammatik der griechischen Sprache, II, 2, Hannover-Leipzig, 1904, pp. 257-261, §
526. Il dettagliatissimo Index Verborum compilato da Schenkl riporta, a p. 201, sotto la voce , I 16
22 e I 17
13 a riscontro della correctio …, . A questi si potrebbe aggiungere almeno I
174 (…, ). Del tutto simili anche IX 3
6 e XII 26
2.
115
(14) [A T D] 1 [ ]
2
3
4 5 6
7 A ( s. l.) T Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy D ut glossema del. Mosheim atque plurimi edd. (sed cfr. Birley, p. 275, n.19), coni.
Gataker T et omnes fere edd.: A D Farquharson (coll. X 311),
Cortassa Is. Casaubon, Scaliger, Saumaise, M. Casaubon A T D:
Trannoy in app. T D: A Stich, Leopold … A T: D A D T: Trannoy in app. …
del. Schultz T Farquharson, Cortassa, Maltese, Hadot: A D Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy,ut glossema del. Dalfen Coraìs,
Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy, Farquharson, Cortassa, Hadot: A D T
Ménage, Rendall, Dalfen, Maltese Lofft, alii aliud A D T:
Farquharson (coll. VI 305) T: om. A D.
L‘informatissima nota di Hadot287
, che ripercorre in dettaglio tutti i migliori
contributi della critica, pone un punto fermo su alcune questioni fondamentali:
l‘origine e l‘opportuna espunzione della glossa , penetrata nel
testo del §1, le variazioni ortografiche del nome Severo registrate dai codici e
l‘identificazione sicura del personaggio ricordato da Marco Aurelio.
Nulla si potrebbe aggiungere ad argomentazioni che appaiono decisive.
Lo stesso mi pare che si possa dire delle pagine consacrate alla giusta difesa di del §3, arbitrariamente eliminato da Dalfen, e alle ottime motivazioni
addotte per accogliere la correzione di Coraìs, a preferenza di di
Gilles Ménage, dell‘erronea lezione concordemente testimoniata dai
codici288
. A questo proposito credo che qualche riscontro ulteriore si possa ricavare
dall‘assetto stilistico esibito dal testo: , infatti, ristabilisce il legame
allitterativo tra termini etimologicamente affini che appare la nota più caratteristica
di queste righe. Ne costituiscono un saggio esemplare, brillante e vigoroso insieme,
l‘enumerazione trimembre dell‘incipit: , organizzata secondo la legge dei crescenti, la dittologia , giustapposta a chiosare l‘espressione
del §2, nonché
del §4, che, da un lato, ha una coda inattesa in del §5 e,
dall‘altro, un perentorio suggello nella figura etymologica
.
287
Hadot 1998, notes complémentaires, p. 29-30, n. 12. 288
Ibid., p. 31, n. 20-21.
116
(15) [A T D] 1
2 3 4 A D: T M. Casaubon T: A D A
D: T A D T: Zuntz, Theiler, Dalfen.
― di Tha probabilmente la sua origine nell‘abbreviazione
. Di qui la lettura di Meric Casaubon, che, nelle sue note
all‘edizione latina di Marco Aurelio, propone di leggere ,
formula che non corrisponde affatto alla formula stereotipata con cui Marco
Aurelio ricorda i suoi maestri. Dal canto suo, Isaac Casaubon, nelle proprie Note
all‘Historia Augusta, p. 58d, non propone alcuna correzione‖289
.
Per quanto riguarda il testo del §3, poi, nel salutare con favore la preferenza
accordata da molti editori a T per la corretta grafia dell‘aggettivo , non si
può proprio fare a meno di chiedersi come mai a VI 305, in un contesto del tutto
identico a questo, Dalfen abbia operato questa volta la scelta diametralmente
opposta, optando con decisione per il testo di AD. Come già ricordava Hadot in un
precedente contributo290
, quale che sia di volta in volta il ramo prediletto dello
stemma, l‘omogeneità dovrebbe comunque essere sempre il criterio principe ad
orientare le scelte del filologo.
Allo stesso Hadot dobbiamo infine l‘esatta messa a fuoco, in questo contesto,
della precisa accezione dell‘avverbio , e la puntuale segnalazione dei
riscontri testuali che consentono di dimostrare inequivocabilmente la genuinità
della lezione attestata dall‘intera tradizione manoscritta291
.
289
― de T a probablement son origine dans l‘abréviation .
D‘où la lecture de Meric Casaubon qui, dans ses notes à l‘édition latine de Marc Aurèle, propose de
lire , formule qui ne correspond pas à la formule stéréotypée par la quelle
Marc Aurèle évoque ses maîtres. Isaac Casaubon, pour sa part, ne propose aucun correction, dans
ses Notes à l‘Histoire Auguste, p. 58d‖. Hadot 1998, p.7, n.1, che implicitamente riconosce e
corregge la svista commessa da Dalfen nell‘attribuire la paternità della congettura a Isaac Casaubon,
padre di Meric. 290
Hadot 1987, p. 288. 291
Hadot 1998, notes complémentaires, p. 31, n. 4.
117
(16) [A T D] 1
(…) 5
(…) 9 A T D Bignone, Maltese: Reiske (cfr. SVF III, p. 30, 22-24 Von
Arnim), Leopold, Farquharson, Theiler, Dalfen, Cortassa Schenkl (ed. mai.) in
app. del. Morus, Stich, Haines, cruces loco app. Trannoy.
―La correzione di Reiske ha avuto, come si vede, molta fortuna. In effetti essa
conferisce al testo un‘immediata perspicuità, e un‘attraente consonanza con la
definizione stoica di giustizia che abbiamo in Stob. II 84, 16 (SVF III, p. 30, 22-24
Von Arnim) ; inoltre l‘emendamento allinea il nesso
… con le analoghe espressioni, così frequenti nel
nostro capitolo I 16, … (§1),
(§9), … (§12), … (§16), … (§20), … (§21),
ecc.‖292
. Senza contare che l‘errore qui postulato presuppone una giustificazione
paleografica tutt‘altro che peregrina: l‘, verosimilmente prodottosi per
dittografia, a causa dell‘avverbio che lo precede immediatamente,
avrebbe provocato, una volta inserito nel contesto, il cambiamento di in 293Cionostante E. V. Maltese ha sottolineato più volte e ribadito con forza la
necessità di non discostarsi affatto dal dettato unanime della tradizione manoscritta,
evitando così di ―dissolvere l‘‗anomalo‘ legame sintattico ‖294
.
Qui, al contrario, si dovrebbe riconoscere una iunctura, che collega ad un
avverbio, che presuppone un verbo sottinteso; nel caso presente si può intendere:
―L‘(essere) in uno stato di inflessibilità‖. significa: ―Per quanto concerne,
per ciò che ne è di‖, come in X 112. , come molti altri aggettivi
sostantivati del libro I, indica una virtù nella sua universalità astratta, qui
l‘attitudine, la risolutezza, a distribuire a ciascuno ciò che è dovuto secondo i suoi
meriti. Perciò la frase si può tradurre letteralmente: ―L‘(essere) in uno stato di
inflessibilità per quanto concerne la risolutezza a distribuire a ciascuno secondo i
suoi meriti‖295
.
Ora non si vuol certo negare a Marco Aurelio la possibilità di una risorsa stilistica
come l‘avverbio sostantivato neutro296
, né che abbia qui un valore
292
Maltese 1986, p. 227. Sulla stessa linea, e persino più prodigo d‘esempi, Hadot 1998, notes
complémentaires, p. 33, n. 4, che purtroppo, accanto a V 302: (sc. )
, omette colpevolmente di citare IV 101: (sc.
) . A questo proposito si veda anche
Cortassa 1984, p. 232, n. 43. 293
Così Hadot 1998, l. c., che riprende, in buona sostanza, Farquharson 1944, t. II, p. 466. 294
Maltese 1986, l. c., e 1993 p. 8-9. 295
Per tutta questa parte, cfr. Hadot 1998, l. c. La stessa idea, peraltro, si trovava già abbozzata in
una delle molte proposte avanzate da Reiske e poi accantonate: <> . Si può leggere in Schenkl (ed. mai.) 1913, Adn. Suppl., p. 166. 296
Che tuttavia non è così estensivo come mostra di credere Hadot. Riporto qui di seguito e integro,
dove necessario, l‘elenco fornito da Maltese: l‘anodino (sc. …) di I 3
2 ha il suo antonimo a III 2
4 con il
vigorosissimo ; III 42 … ;
VIII 322 ‗ ‘ ;
118
avverbiale297
, tutt‘altro: la verità è che presupporli in questo contesto lascia al
―Alla stregua di Gataker e di Orth [―De Marco Aurelio‖, Helmantica, 5 (1954) p.
396], penso che si debba leggere , perché mi sembra difficile
considerare come un errore, mentre è assai verosimile che ci sia stata
confusione tra di e di ‖319
.
319
―À la suite de Gataker et de Orth [―De Marco Aurelio‖, Helmantica, 5 (1954) p. 396], je pense
qu‘il faut lire , car il me semble difficile de considérer comme une faute et il
est très vraisemblable qu‘il y ait eu confusion entre de e di ‖. Hadot 1998,
notes complémentaires, p. 42, n. 13.
127
(16) [A T] 27 T: A A T: Bas. (‗e praedio‘ Xylander) Theiler, Hadot: A T A T: Saumaise, Leopold,cruces loco app. Haines, Cortassa.
Chi conserva il testo dei mss. tende a darne, più o meno esplicitamente, la
seguente interpretazione: ―La veste proveniente da Lorio, dalla dimora di laggiù, e
la maggior parte di ciò che succedeva a Lanuvio‖320
. Il problema è che, così
facendo, si presuppone un‘accezione di ch‘è impossibile documentare. Per
ovviare a tale inconveniente, Pierre Hadot ha recentemente riproposto, e
opportunamente ritoccato, una vecchia idea, a suo tempo comparsa nell‘eccentrica
edizione di Willy Theiler. La correzione per il tradito , che è
perfettamente plausibile dal punto di vista paleografico, se solo si presuppone la
confusione tra due differenti tipi di onciale, consente, infatti, di ottenere un
sostantivo indubbiamente più consono al contesto: ―Il portico che conduce dalla
villa inferiore verso l‘alto‖. Il criptico accenno, qui contenuto, starebbe allora ad
esemplificare in qualche modo la dichiarazione , fatta da Marco
Aurelio sul conto di Antonino Pio nel §26 immediatamente precedente. L‘unica
obiezione possibile a una ricostruzione così convincente si può forse appuntare
sulle forme linguistiche prescelte a esprimere il concetto. Theiler pensava di
aggirare la difficoltà integrando, subito prima della correzione proposta, un intero
membro di frase, che supponeva caduto per omeoteleuto: ―La lettera spedita da
Lorio, quando fu costruito, ecc.‖321
. Il ricorso a così drastici espedienti lascia però
intravvedere un testo corrotto al di là di ogni plausibile restituzione. Eppure,
quando Hadot suggerisce di interpretare come: ―La galerie se
trouvant à Lorium, faisant partie du domain de Lorium‖322
, le sue argomentazioni
appaiono davvero irrefutabili.
320
Così Cortassa 1984, p. 237. 321
< > ,
Hadot 1998, notes complémentaires, p. 43, n. 16. Qualche traccia di questo interessante tentativo è
rimasto nella timida domanda: ‗an ?‘ che si legge nell‘apparato critico dell‘edizione curata
da Dalfen, a pagina 7. 322
Ovverosia: ―Il portico che si trova a Lorio, che fa parte della tenuta di Lorio‖ Hadot 1998, l. c., n.
17. Per documentare questo uso di accompagnato dall‘articolo, Hadot rinvia a LSJ9, s. v. , I, 5, citando segnatamente Xen. An. VII 2, 19 e Cyr. VII 5, 23. Nel primo caso, infatti, la replica degli
accoliti di Seute: (sc. ) (le sentinelle
domandarono se si trattava dell‘ateniese che faceva parte dell‘esercito greco) è chiaramente dettata,
nelle sue forme, dal contesto immediatamente precedente: (sc. )
(e ordina di annunciare a
Seute che era arrivato Senofonte e desiderava incontrarsi con lui); nel secondo caso, invece, gli
stessi compilatori della voce chiosano con le parole:
. Se poi si prendono in considerazione anche gli altri esempi lì
riportati, tutti volutamente ignorati da Hadot, il risultato non cambia di molto: ‗‘ (Ma l‘‗aere‘, aēr, Ermogene, è stato così
chiamato perché airei, ‗solleva‘, gli oggetti da terra?) Plat. Crat. 410b; (e sposta la pietruzza dalla riga) Theocr. VI 18;
(Ché gli
uomini appostati sulle torri ci daranno man forte, e, bersagliando i nemici, li ridurranno
all‘impotenza) Xen. Cyr. VI 4, 18. A riprova ulteriore della generalità del fenomeno si può infine
citare: (sc. )
(convocati poi gli
strateghi e i trierarchi delle varie città, ordinò a ognuno di costruire ad Antandro lo stesso numero di
triremi che aveva perduto) Xen. Hell. I 1, 25.
128
(16) [A T] 29
‗ ‘ A: T T: … cum lac. quinque litter. A <> Stich < > Farquharson in comm. A T: susp. Dürr
Dalfen (cfr. X 121; XI 3
2), Cortassa vel Reiske
T: A.
È molto difficile sottrarsi al fascino esercitato dalla correzione di Dalfen: ―In tal
modo le due frasi coordinate da acquistano una perfetta simmetria sintattica e
stilistica‖323
. Per di più l‘avverbio è attestato sufficientemente bene
nel resto dell‘opera e s‘integra a meraviglia con la serie che segue subito dopo. In
realtà il testo dei mss. appare corretto
grammaticalmente e privo di difficoltà paleografiche, anche se i critici e gli editori
sono stati insolitamente reticenti a dichiararne l‘esatto valore sintattico324
. Di
passaggio è opportuno precisare che qui il ritorno all‘infinito non è assolutamente
assimilabile al diffuso impiego che Marco Aurelio ne fa ai §§ 7, 8, 13, 17, 24325
: si
tratta, infatti, in questi casi, d‘infiniti sostantivati e l‘articolo che li accompagna è
sempre ben evidente. Il solo modo di conservare la lezione dei codici è considerare
la proposizione come coordinata avversativa
della proposizione ‗‘326
, che qui fa le
veci di un vero e proprio aggettivo, coordinato ai precedenti , ,
Vista così, la sequenza non sarebbe poi molto dissimile da I 1615: .
323
Cortassa 1984, p. 91. 324
Fumosissime appaiono le argomentazioni di Hadot 1998, notes complémentaires, p. 44, n. 7. 325
Contrariamente a quanto sostiene Hadot 1987, p. 291, probabilmente indotto all‘errore
dall‘ambigua traduzione di Trannoy. 326
Analoghe strutture sintattiche s‘incontrano anche in I 1620
; IX 4211
; XI 32, in varia coordinazione
con avverbi.
129
(16) [A T] 31
, Gataker, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Trannoy, Dalfen: A T
Farquharson, Cortassa, Maltese, Hadot M. Casaubon, Haines …
om. A, del. Dalfen A T: Reiske Farquharson, Cortassa Trannoy.
Una puntuale nota di G. Zuntz327
invita a considerare definitiva la correzione di
Gataker : ― () e (
) sono le species di ‖328
.Per quanto riguarda il resto del §31, poi, le osservazioni di P. Hadot
329, che
riesamina dettagliatamente e confuta con decisione tutti gli argomenti discussi da J.
Dalfen330
, incline ad espungere la pericope … come una glossa
marginale penetrata nel testo, sono precise e convincenti.
Altrettanto fondate appaiono le ragioni addotte per mantenere intatta, subito dopo,
la lezione dei mss. 331
327
«The of course was written in majuscule letters. Hence, for instance, the error
for – (– ) in I 1631
, corrected by Gataker. His ability equally to endure the absence
ofenjoyments and to keep sober in their presence is evidence of Socrates‘ strength of character. Its
two aspects, endurance and sobriety, are coordinated by ― is used with the popular
connotation of ‗being able‘» (Il – G. Zuntz si riferisce ovviamente al codice di
Areta – era naturalmente scritto in lettere maiuscole. Di qui, ad esempio, l‘errore per – (–) in I 16
31, corretto da Gataker. La sua capacità parimenti di tollerare l‘assenza di piaceri e di
mantenersi sobrio alla loro presenza è la prova di una forza di carattere degna di Socrate. I suoi due
aspetti, tolleranza e sobrietà, sono coordinati da ― è usato con la comune
connotazione di ‗essere in grado‘ – esempi in LSJ9, s. v., 2,b –) Zuntz 1946, p. 50, n. 3.Lo stile del
§31 ricorda molto VII 37: (È una vergogna che, mentre il volto accetta e di atteggiarsi e di comporsi come
vuole la mente, essa non si atteggi e si componga da sola!).328
― () and ( ) are the species of ‖.
Farquharson 1944, vol. II, p. 479. 329
Hadot 1998, notes complémentaires, p. 45-46, n. 16. 330
Dalfen 1974, p. 51. 331
Hadot 1998, l. c., n. 17.
130
(17) [A T] [1] A Farquharson, Cortassa: T
Schultz et vulgo edd. <> Gataker <>
Coraìs.
«Schultz‘s (for ) is not even a conjecture in the technical sense
of the word, for in P is evidence that once again the ancient scriptio continua
has caused the letter to be wrongly connected. Farq. indeed strives to support the
neuter by a parallel fron Julian;332
but the case is in fact different, since Julian has
; moreover, in Ant. the neuter is excluded by the preceding
masculine adjective ».333
G. Giangrande ha però indicato recentemente un
possible impiego avverbiale del neutro .334
332
Cfr. Farquharson 1944, vol. II, p. 479. 333
Zuntz 1946, p. 52. 334
Giangrande 2003, p. 226. Cfr., p. es., Eur. Phoen. 312; Lib. Or. I 85.
131
(17) [A T] (sc. ) 11 A T Haines, Hadot: M. Casaubon et vulgo edd. Lofft Polak, Farquharson, Cortassa: A T
Per la restituzione del tormentatissimo §21, P. Hadot, seguendo molto da vicino le
orme di Trannoy, accetta innanzi tutto la correzione , proposta da Xylander,
in luogo del tradito , ricava poi il genitivo dalle prime sette lettere
del ductus di A: , e infine dalle ultime cinque. Ancorché non
si possano considerare assolutamente definitivi, questi emendamenti successivi
presentano in più l‘indubbio vantaggio di ripristinare convenientemente l‘incipit
del §22, allienandolo ai precedenti e recuperando l‘identica costruzione sintattica
annunciata dal §16: . Accettare, al contrario, la proposta di Dalfen: , in sé eccellente dal punto di
vista paleografico, comporterebbe necessariamente indicare una lacuna, non
precisabile nella sua estensione, subito prima del §22337
: come si evince dalla
ricognizione delle occorrenze parallele nel testo338
, il connettivo denuncia, in
questa posizione, un fortissimo legame con gli enunciati precedenti, che qui, però,
si stenta a intravedere.
Un ultimo nodo da sciogliere riguarda la seconda parte del §22.
Stando al testo dei mss., nel lungo periodo si possono riconoscere quattro
proposizioni, rispettivamente introdotte da … … … 339:si può
supporre legittimamente che le proposizioni introdotte da … … siano
coordinate alla proposizione introdotta da ; il che equivale a dire che anche i
verbi 340, e sono coordinati. Traducendo, si
otterrebbe allora qualcosa del genere: ―(Dagli dei …) quando mi appassionai alla
filosofia, il non essere caduto nelle mani di un sofista, né essere rimasto seduto di
fronte agli autori o analizzare i sillogismi o dedicarmi ai fenomeni celesti‖. Occorre
subito precisare che chi contesta il dettato della tradizione non muove obiezioni
d‘ordine grammaticale o sintattico, ma ne fa una questione di senso: ―Come può
Marco Aurelio ringraziare gli dei per non essersi seduto a leggere gli autori,
337
Così come correttamente segnalato da Maltese 1993, p. 14-15, che pure stampa a fronte e traduce
il testo stabilito da Dalfen. 338
II 103 (=XI 8
6); III 2
3; IV 3
8, 43; V 23
2; VI 16
5; VII 9
2; IX 1
8; XI 18
23.
339 Proprio come accade a I 7
2 , che è sicuramente il passo più affine al nostro per contenuto e stile:
[] (il non aver tralignato per imitare i sofisti, né scrivere di questioni teoriche o
declamare discorsetti ammonitori o recitare la parte dell‘asceta o del benefattore per fare
impressione). 340
Scelto, più o meno consapevolmente, come calco del latino desidere. Farquharson 1944, vol. II,
p. 486.
134
mentre, per l‘appunto, ha letto gli autori filosofici?‖341
. Forti di questa
considerazione, e fiduciosi nella superficiale somiglianza del testo con la lettera di I
72, si è per lo più corretto il sostantivo nell‘infinito ,
attribuendogli in vario modo un complemento oggetto che potesse così allinearlo
alla sequela degli inutili esercizi filosofici descritti subito dopo: l‘analisi dei
sillogismi e lo studio dei fenomeni celesti.
Marco Aurelio può tuttavia ringraziare gli dei per non aver indugiato a lungo sulle
opere degli autori non tanto perché questi abbiano giocato un ruolo marginale,
quando egli avvertì la passione per la filosofia342
, quanto piuttosto perché riuscì a
trarne un autentico profitto. In questa prospettiva, il tema presenta marcate affinità
con la diatriba I 4 di Epitteto, che svolge un concetto molto semplice, ribadendolo,
dal principio alla fine, con il tipico procedimento a spirale. Il progresso non
consiste nel diventare abile a leggere e ad intendere i libri dei filosofi (i libri
contenenti le dottrine della Stoà), ma nello sforzarsi di metterne in pratica gli
insegnamenti, ossia nel perseguire la virtù343
. Se la virtù, con gli stati che ad essa
sono connessi (felicità, impassibilità e serenità), è il termine della perfezione, il
progresso consiste nell‘avvicinamento sistematico a questo termine. Insomma, il
progresso sta nello sforzo continuo di staccarsi dagli oggetti e nell‘esercitare la
propria scelta morale di fondo in modo conforme a natura.
341
―Comment Marc Aurèle peut-il remercier les dieux de ne pas s‘être assis pour lire les auteurs,
alors que, précisément, il a lu les auteurs philosophiques ?‖ Hadot 1998, notes complémentaires, p.
55, n. 20 342
Nell‘ , segnatamente a I 78, Marco Aurelio ringrazierà l‘amico e maestro Quinto
Giunio Rustico per averlo accostato alla lettura dei commentari di Epitteto; nell‘epistolario a
Frontone saluterà come un dono del cielo l‘incontro con i libri di Aristone di Chio. Ad M. Caes. IV
13, p. 68 Van den Hout. Questa lettera sarebbe dunque un documento prezioso, in quanto datato
dall‘accenno di Marco Aurelio al suo venticinquesimo anno, della crisi che doveva portare il futuro
imperatore dalla retorica alla filosofia. 343
La lista dei riscontri potrebbe, a questo punto, allungarsi di molto. Si vedano almeno: Arr.,
Epict.D. II 1633-34
, 1734
, 198-10
; III 213
; IV 413, 16-18
, 536
.
135
Note al
LIBRO II
136
137
(2) [A T D C] 1
2
3
4 Arr. Epict.D. 2, 16, 41. A T D: C (‗unde apparet ad glossam pertinere atque delendum
esse‘ Dalfen) Reiske … ‗iam Stichio et Leopoldo aliunde invecta esse
videbantur, post (§4) transp. Farquh.‘ Dalfen A T C ‗non datum est
(enim licet Bas.). Quin‘ Xylander: om. D A T D: C A D C: T Trannoy (qui etiam in app. coni.), del. Rendall
T D: A C (vel … ) del. Schultz, Dalfen A T
C: D A T D C rell.: om. C T (‗sic tecum reputa‘ Xylander) et omnes fere edd.:
A D C ( mg. A), Wilamowitz, Schenkl(ed. mai.), Zuntz Pinto A T C: D Gataker et omnes fere edd. Reiske Schultz Stich A T D: C D C def.
Schmidt A T Bas. et vulgo edd. 2 A T
D C rell.: C T def. Valckenaer, Schultz, Stich: C Dalfen A D Xylandrum legisse coni. Gataker (qui etiam scrips.) Coraìs Lofft Rendall, Schenkl(ed. mai.), Haines (cfr. II 17
La coincidenza di due testimoni indipendenti, come lo sono appunto T e C, è già
di per sé sufficiente a condannare la sola tradizione di A370
.
La correzione di Richards, accolta con favore da Leopold, è perfettamente inutile.
370
Zuntz 1946, p. 48.
143
(4) [A T D] 1 Bas.: T A D Dalfen, Maltese A D:
T.
Perquanto il valore abituale di sia piuttosto relativo che
interrogativo371
, non ci sono ragioni sufficienti per accettare la correzione di
Dalfen, che guarda con rinnovato interesse alla tradizione di A D: gli ostacoli ad un
impiego interrogativo del termine non paiono insormontabili372
, in specie se scelto,
più o meno consapevolmente, come calco del latino quotiens.
371
Si vedano almeno: (sc. … )
(e in un certo modo potremmo dire che ha la possibilità di farlo ogni volta che gli va a
genio) Pl. Tht. 197d; (―Fate sempre così?‖ lo interruppe Ciro. ―Sì, per Zeus, ogni volta che ci
prepariamo per il pasto‖) Xen. Cyr. 2. 3. 23.372
(sc. ) ‗
‘ (e l‘anima mia rispose:
―Chiunque pensi di vincere Amore, artefice d‘inganni, ritiene di trovare facilmente quante volte
nove sono gli astri sopra noi) Theoc. 30. 25-27; Cfr.
(Potete forse dirci, o empirici, quante volte è ‗sovente‘?) Gal.
De exp. med. 7, 5; (Ma
poiché ci rinfaccia, non so più quante volte, a proposito di Gesù che, ecc.) Orig. Cels. 3, 41; (Pazientate dunque, in nome
delle Grazie, se annovero in dettaglio quante volte questo legislatore, come il cacciatore che
circonda la fiera, irretisce e cattura quell‘uomo) Them. Or. 23, p. 208 a Harduin.
144
(5) [A T D] 1
…
2 A T: ( s. l. D) A T: D post lac. susp.
Farquharson atque vel suppl. put. T: A D T D: A T Leopold, Haines: A D Schenkl
(ed. mai.), Trannoy, Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese A T: ( s. l.)
D A T D Haines, Trannoy: Polak, Leopold, Farquharson, Dalfen,
Cortassa, Maltese Schenkl (ed. mai.) T: A
D.
È molto difficile liberarsi delle obiezioni di Farquharson373
: se è comprensibile
che Marco Aurelio non si periti qui di definire l‘aria contegnosa che si
accompagna alla gravitas romana, perché l‘autentica aspirazione alla virtù non si
confonda con le sue pose esteriori, non altrettanto comprensibile è l‘aggettivo
, che nell‘ appare inequivocabilmente connesso con l‘analisi
intellettuale374
. Una qualche conferma del precario stato della tradizione
manoscritta potrebbe venire anche dall‘excerptor di D, che ha qui espunto il
genuino per dare al passo un assetto stilistico almeno apparentemente più
lineare. A questo proposito mette conto di notare che l‘, che vi si legge
subito dopo, non può essere conservato, come vorrebbe invece la maggior parte
degli editori, a discapito di , testimoniato da T. È noto come Marco Aurelio
alterni abitualmente, e senza alcuna apparente regolarità, entrambe le forme del
pronome riflessivo di seconda persona375
: il principio della lectio difficilior non può
pertanto essere applicato. Inoltre, se si considera più attentamente , non è
difficile riconoscervi un‘ottima correzione congetturale dell‘erroneo che
373
―A substantive appears to have dropped out, for can hardly be termed exact;
is used of the inquiry of Pius, I 169, VI 30
8. M. says
() X 93. He may then have
written here, and thus, in the group of virtuous activities, have mentioned
something to correspond with , or again , cfr. Iambl. V. Pyth. 4.18‖ [Un sostantivo sembra essere caduto, perché
difficilmente può essere definita esatta; è usato per l‘indagine di Pio,
I 169, VI 30
8. M. dice
() X 93. Può dunque aver scritto qui, e così, nel
gruppo di attività virtuose, aver menzionato qualcosa da far corrispondere a , o di nuovo
, cfr. Iambl. V. Pyth. 4.18]
Farquharson 1944, vol. II, p. 507. Ribattere: ―Non vedo motivi per pensare che vi sia una lacuna
dopo , come ritiene il Farquharson. La serietà nel compiere qualsiasi azione dev‘essere
molto scrupolosa (), ma per nulla affettata ()‖, come fa Cortassa 1984, p. 91,
significa ignorare completamente la sostanza del problema, perché non ha mai
l‘accezione che si pretenderebbe di attribuirle qui.374
Oltre ai riscontri offerti da Farquharson, si potranno confrontare utilmente:
(leggere attentamente) I 77; (se rifletterai
attentamente) IV101;
(perché cos‘altro sono tutti questi eventi se non esercizi per una
ragione che ha osservato attentamente e scientificamente le cose della vita?) X 315;
(comprendere perfettamente gli elementi del dovere) III 12.
375 Farquharson 1944, vol. II, pp. 507-508.
145
l‘excerptor di D leggeva nel proprio antigrafo: di fronte al corretto di T, non
è che sano buon senso privilegiare l‘autorità di quest‘ultimo testimone.
Ripristinare il participio , che peraltro è la lezione indipendemente
attestata dai due rami della tradizione manoscritta, appare la scelta più saggia: essa
comporta l‘indubbio vantaggio di poterlo riferire per enallage al soggetto
dell‘enunciato. La correzione di Polak, al contrario, che pure ha avuto, come si
vede, grande fortuna, oltre ad alterare un testo assolutamente limpido e privo di
difficoltà paleografiche, si priva irrimediabilmente di questa possibilità.
146
(6) [A T D] 1
2 A T D: bis Gataker, Trannoy, Farquharson Rendall T Haines: A D Schenkl (ed. mai.), Trannoy, Farquharson, Cortassa Coraìs,
Leopold, Dalfen, Maltese D Stich, Dalfen2: A T (‗vita enim unicuique
id praebet‘ Xylander) Boot, Leopold Gataker < > vel
< > Casaubon <> Stich olim Lofft, Polak
Reiske < > <> Jackson Bignone
Farquharson Dalfen1 Cortassa (coll. II 121), cruces loco app. Schenkl
(ed. mai.) (qui etiam <> vel <> in app. coni.), Haines, Trannoy (qui etiam in app. coni.), Maltese.
Di contro alle perplessità di Farquharson, che accoglieva senza riserve le
correzioni di Gataker376
, le precise osservazioni di Haines e di Cortassa chiariscono
a sufficienza l‘uso dei due imperativi in apertura del §1377
. Per quel che concerne la
scelta del pronome, poi, la preferenza va indubbiamente accordata ad , per la
maggiore affidabilità testimoniale dell‘editio princeps rispetto alla sola tradizione
di A D, ma non esistono ragioni oggettive per condannare , che ne è la
variante pressoché adiafora. Molto meno accettabile, invece, è la proposta di
Coraìs, che normalizza l‘evidenza dei manoscritti sulla base delle successive
occorrenze di nel testo.
Che altro non sia che la correzione congetturale di un errore
dell‘archetipo, attribuibile con sicurezza all‘excerptor di D, è un fatto fuori
discussione378
: eppure nessuno dei numerosissimi critici, che hanno esercitato il
376
―The faulty reading resulted from the last letter of the verb being attached to the following
pronoun‖ (La lezione scorretta è il risultato dell‘ultima lettera del verbo legata al pronome
successivo) Zuntz 1946, p. 52, che spiega bene le possibili ragioni paleografiche per sostenere l‘
proposto da Gataker. 377
―Apparently a sarcastic apostrophe, which is not in Marcus‘ usual manner‖ (Apparentemente
un‘apostrofe sarcastica, che non è conforme allo stile abituale di Marco) Haines 1916, p. 31. ―Gli
imperativi … vanno benissimo quando si dia loro un valore concessivo‖ Cortassa 1984, p. 91. Si
ritrovano, infatti, con una connotazione del tutto identica, in:
(Qualsiasi cosa lo voglia, colpisca dall‘esterno
chi può soffrire di questo colpo) VII 141; oppure in: …
… (Il principio dirigente non si dà noia da solo …
Tuttavia, se qualcun altro lo può spaventare o addolorare, lo faccia … Il corpicino, a non soffrire
alcunché, s‘ingegni da sé, se può, e lo dica, se soffre qualcosa) ibid. 161-3
; o ancora in:
(Vai avanti, ora, e citami Alessandro e Filippo e Demetrio Falereo. Se la vedranno loro,
se videro che cosa voleva la comune Natura e si educarono; se però recitarono, nessuno mi ha
condannato ad imitarli) IX 297. Nella perentoria affermazione: ―… to suppose the words to be
ironically spoken, is … plainly impossible. Irony is out of place here‖ ( … supporre che le parole
siano pronunciate ironicamente è semplicemente impossibile. L‘ironia è fuori luogo qui)
Farquharson 1944, vol. II p. 511, troviamo riassunta tutta la flebile replica a chi difende il dettato
della tradizione.378
― … è evidentemente un‘ interpolazione umanistica‖ Bignone 1924, p. 516. Persino
Dalfen, che pure guarda con generale favore alla testimonianza del manoscritto, sembra condividere
la sostanza del giudizio, non ricordando il passaggio tra quelli in cui D, a suo parere, conserva
meglio di A e di T il testo del comune archetipo. Un‘altra congettura dell‘excerptor di D, pressoché
identica a questa nella sostanza, si può leggere in II 171. Lo scriba si è qui trovato in evidente
imbarazzo di fronte al precario stato del proprio antigrafo A, sebbene T e M, una volta di più
completamente ignorati, conservino la lezione autentica.
147
proprio acume per rimediare all‘evidente corruttela, dimostra altrettanta familiarità
con la materia dell‘ e con le abitudini stilistiche di Marco Aurelio379
.
379
(Insomma, breve la
vita; il presente da usare a proprio vantaggio con ragionevolezza e giustizia) IV 265; (Rispetta gli dei, salva gli uomini. Breve la vita: l‘unico frutto dell‘esistenza terrena
un‘attitudine devota e opere rivolte al bene comune) VI 304; (Ha breve vita e chi loda e chi è lodato, e
chi ricorda e chi è ricordato) VIII 212. Per il possibile significato di , invece, che si legge in
T, cfr. Giangrande 2003, p. 227.
148
(7) [A T D] 1
2 A T D: ‗Non patere te circumagi‘ Xylander, unde Gataker A T: D Dalfen, Maltese A T D: Schultz A T: D A T D Pinto, Cortassa, Maltese: Gataker et vulgo edd.
Espungere il genuino dal §1, sulla scorta della malcerta autorità di D, si rivela
senz‘altro una scelta fallimentare380
.
È merito esclusivo di E. Pinto aver rivendicato la bontà di , lezione
unanime dei manoscritti, di contro alla fortunatissima correzione di Gataker
381.
380
―The with the imperative expresses urgency, as in Il. XXIII. 75; … St. Luke 12. 29‖ (Il con l‘imperativo denota
premura, come in Il. XXIII. 75; … Ev. Luc. 12. 29) Farquharson 1944, vol. II, p. 512-513.381
―Ritengo inopportuno correggere con il Gataker − seguito dal Trannoy e dal Farquharson − in
l‘ attestato dalla tradizione manoscritta T A, sembrandomi
soddisfacente il tempo futuro che nel contesto non altera la normativa grammaticale, anzi direi la
realizza in pieno, trattandosi di un‘azione non ancora compiuta nel presente, ma che continuerà a
compiersi nel futuro‖ Pinto 1968, p. 33.
149
(11) [A T D] 3(…) (sc.
) T: A D Nauck, Skaphidiotes et omnes fere
edd.: A T D Dalfen Coraìs: A T D Schultz.
Pare proprio che questa volta la correzione indipendentemente proposta da A.
Nauck e da P. Skaphidiotes sia migliore di quella escogitata dall‘excerptor di D:
l‘apodosi dell‘irrealtà è certamente più adatta al contesto.
150
(12) [A T D C] 1 2 [A T
D]
< > 3 4 [] Suda s. v. : (…)
(…) (…) T C: om. A D A D T: om. C T Zuntz: A D C T D: A < > Zuntz (lac. not. Xylander), Cortassa, Dalfen
T A D T: Trannoy, sed nihil mutandum: cfr. [Arist.] MM II 10. 3-4 T: A D Holste Radermacher del. Schenkl (ed. mai.), Dalfen,
Maltese: del. Schultz, Leopold, Haines (qui autem cruces loco app.), Trannoy (qui etiam
scrips.), Farquharson, Cortassa. T: om. A D.
Gli argomenti prodotti da G. Zuntz per conservare la punteggiatura del §1 che si
legge nell‘editio princeps sono solidi e precisi382
.
Altrettanto si può dire della brillante integrazione suggerita per colmare
l‘evidente lacuna del §2383
.
Il persuasivo confronto con IX 19 accerta la quasi sinonimia tra i verbi e
384: sembra perciò sicuro che una delle due voci, annotata in un primo
tempo come glossa interlineare o come scolio marginale, sia stata poi inglobata
382
Zuntz 1946, p. 51-52. Alle sue puntuali osservazioni, che si ricavano dalle note di commento
all‘articolo, si può pure aggiungere V 311, dove la proposizione introdotta da sembra soffrire di
un‘identica ambiguità sintattica, sospesa com‘è tra l‘interrogativo e l‘esclamativo. L‘incipit di XII 7,
al contrario, mostra un‘interrogativa indiretta senza alcuna reggenza apparente. Lo stesso si dica di
XI 17. Il che si legge in XI 7 è però sicuramente esclamativo. 383
―After ‗supplendum , aut aliud ejusmodi‘ (Gataker).
Farquharson superadded . Had he put his supplement after instead of before
Gataker‘s, the combination of both would have resulted in a wording suited to account for the
lacuna: the omission would thus be ascribable to the homoeoteleuton —‖ [Dopo
‗supplendum , aut aliud ejusmodi‘ (Gataker). Farquharson ha
aggiunto in più . Avesse collocato la propria integrazione dopo invece che prima di
quella di Gataker, la combinazione delle due avrebbe prodotto un‘espressione adatta a rendere conto
della lacuna: l‘omissione sarebbe così imputabile all‘omeoteleuto—] Zuntz 1946,
p. 52, n. 1. ―Il Farquharson integra < >. Propongo una
soluzione leggermente diversa: < >. In tal modo la caduta
della frase si giustifica facilmente con l‘omoteleuto‖ Cortassa 1984, p. 92. Non è dato sapere con
quanta cattiva coscienza Cortassa abbia omesso di segnalare il decisivo contributo di Zuntz, ma la
sua dipendenza da quello appare evidente. 384
…
(ma bisogna, con le cose con cui la comune
Natura si rapporta ugualmente … che con queste sia disposto ugualmente anche chi voglia seguire
la Natura in pieno consenso d‘opinioni).
151
erroneamente nel testo. Tuttavia, conformemente all‘impiego abituale del verbo
quale passivo di , sembra meglio riferito alla disposizione
interiore del soggetto (), quando è in procinto di compiere un‘azione, di
quanto non lo sia , che pare piuttosto preferito per definire un rapporto o una
relazione385
. Una volta eliminato il superfluo, il §4 riesce limpidissimo: ―Come
l‘uomo si colleghi a Dio, e in virtù di quale sua parte, e come stia quest‘organo
dell‘uomo in una simile evenienza‖386
.
385
(Bisogna sempre ricordare queste cose: qual è la natura del tutto e qual è la mia e quale
rapporto ha questa con quella ecc.) II 9. Si vedano anche I 1630, 175; V 812; VI 165; IX 12, 33; X 64,
353. Qualche ulteriore conferma in tal senso ci viene anche dalle altre occorrenze del verbo nel
testo: (la predisposizione a riavvicinarsi e a
riconciliarsi con chi si è arrabbiato e ci ha offeso, non appena voglia ritornare da sé sui suoi passi) I
76; (La ragione direttiva
sa con che disposizione e che cosa fa e con quale materia) VI 5. Per il testo di D, cfr. Polak 1886, p.
352.386
―Per la sintassi di questo passo, della quale a torto si è sospettato, cfr. Plat. Alc. I, 107a:
() ( ) «qualora dunque (gli
Ateniesi) deliberino su che cosa (ti alzerai per consigliarli)?» Cortassa 1984, p. 252, n. 28.
152
(14) [A T D C] 1 2 3
4 [A T D] 5 Suda s. v. : A T D C: Richards, Leopold A T C: s. l. D A D C Suda: T
(‗idem‘ Xylander) Bas. 1 A D C Suda: T A T D Suda :
C Trannoy in app. A T D C Suda: Gataker et
vulgo edd. interp. suspic. Zuntz, scrips. Reche Schenkl T C Suda:
A D A T C Suda: D C nonn. T C Leopold,
Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese A D Suda, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy T Leopold, Haines A D Trannoy, Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese Schenkl (ed. mai.).
L‘unica possibilità concreta di conservare intatto il testo del §3 sembra quella di
considerare tutta la pericope al pari di una
proposizione interrogativa387
. Diversamente, se si accantona il suggerimento di J.
W. Reche e di G. Zuntz388
, la correzione di Gataker si impone per chiarezza e
semplicità.389
L‘errore della tradizione manoscritta, se poi di errore veramente si
tratta, appare molto antico: , al contrario, che ritroviamo in T, ha tutta l‘aria
di essere una congettura piuttosto recente, ingegnosamente escogitata da qualche
scriba per rabberciare un testo non più comprensibile.
Al §4 Suda riporta significativamente l‘identica variante che si legge
in A D: data l‘ottima qualità generale del testo di questo estratto, forse varrebbe la
pena di affidarsi anche qui, come già si è fatto proficuamente altrove, alla sola
tradizione indiretta, per quanto il consenso dei testimoni indipendenti T e C sia di
per sé sufficiente ad imporre il rispetto della regola di maggioranza.
La correzione di Trannoy, inappuntabile da un punto di vista paleografico,
persegue il chiaro scopo di assimilare agli altri infiniti iussivi che
387
Il §3 andrebbe allora inteso più o meno così: ―Identico per tutti, infatti, il presente; ma allora la
dissipazione non è forse identica e la perdita si rivela semplicemente insignificante?‖ Quando
introduce una frase interrogativa , com‘è noto, equivale al latino nonne. Per «in questions, to
introduce an objection or express surprise» vd. LSJ9 s. v. II. 2. Per il significato di ipotizzato
qui, non senza paralleli nell‘ , vd. LSJ9 s. v. IV. Cfr. Giangrande 2003, p. 228.
388 ―Two other passages which stand to gain from repunctuation are 2. 14. 1 and 5. 6‖ (Due altri
passaggi che si candidano a guadagnare da un mutamento della punteggiatura sono 2. 14. 1 e 5. 6)
Zuntz 1946, p. 52. L‘accenno è certamente sibillino, ma non si vede a cos‘altro possa riferirsi. 389
A proposito di ... , tuttavia, andrà comunque rilevato che: «This is a very rare
combination, ‗And, in fact‘». Denniston 19542, p. 445.
153
punteggiano qua e là la prosa dell‘ 390. Tuttavia, come dimostra bene
l‘incipit di II 9, , che si legge in T, è sicuramente corretto391
.
390
Cfr. … … (Sempre … ricordare … Ricordare poi ecc.) IV
461-2 ; (Ricordare sempre queste cose ecc.) VIII 254.391
. Cfr. Polak 1886, p. 345. Persino la congettura , che in
qualche modo corregge e contamina le varianti di A (D) e T, sembra sia stata suggerita a Schenkl
proprio dal confronto tra questi due passaggi.
154
(16) [A T D] 1
2 <> <>
[ ] A T: D pr. ( s. l.) D corr.; idem coni. Wilamowitz: A T D
pr., def. Schultz ‗supplevi et glossam delevi ( saepe in glossis legitur, ex. gr. in v5 ad IV
494 ] )‘ Dalfen
2 : A T D <> Coraìs, Leopold,
Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy Lofft Rendall <> Farquharson, Cortassa <> Theiler (ita iam Schenkl in app.) <> Dalfen
1
<> <> Maltese A T D pr.: D corr. Farquharson,
Cortassa.
La lezione , che si legge in tutti i testimoni, si può forse mantenere, se
la si riferisce a : nessun dubbio sulla natura congetturale di
in D.
Per quanto possa apparire assai radicale, il rimedio adottato da Dalfen, nella sua
seconda edizione, risolve in maniera semplice e lineare un problema
spinosissimo392
.
Discutendo in dettaglio le traduzioni latine di Xylander e di Gataker, Farquharson
aveva già dimostrato efficacemente l‘inconsistenza della tradizione manoscritta393
:
la correzione da lui proposta, che valorizzava l‘espressione , un vero e
proprio unicum nel lessico di Marco Aurelio, aveva, se non altro, il pregio della
chiarezza394
.
L‘ostacolo maggiore all‘integrazione di Coraìs, che peraltro è stata diffusamente
accolta, non sembra tanto di ordine linguistico395
, quanto piuttosto squisitamente di
senso: <> , infatti, non può significare che ―le nature
di ciascuno degli altri esseri‖, ma il termine , al pari del suo perfetto
sinonimo , denota, nel lessico stoico, il principio costitutivo
392
―I feel that many more passages than the current editions indicate are corrupt, and that beyond
any reasonable hope of restoration‖ (Ho la sensazione che molti più passaggi di quelli indicati dalle
correnti edizioni siano corrotti, e purtroppo al di là di ogni ragionevole speranza di restituzione) così
Zuntz 1946, p. 50, che cita, tra gli altri, proprio II 162.393
―With the MS. text Xyl. translated: ‗cuius quidem naturae una in parte reliquae singulorum
naturae omnes continentur‘; Gat.: ‗in cuius parte aliqua reliquorum omnium cuiusque natura
continetur‘. This is unsatisfactory because the doctrine is that in Universal nature (not in one or
another part of it) all particulars are embraced. Accordingly, if any is rebellious, it disturbs the general consent. Moreover … is not a known construction‖ [Con il
testo dei manoscritti Xylander tradusse: ‗cuius quidem naturae una in parte reliquae singulorum
naturae omnes continentur‘; Gataker: ‗in cuius parte aliqua reliquorum omnium cuiusque natura
continetur‘. Questo non è soddisfacente, perché la dottrina è che nella natura Universale (non in una
o in un‘altra parte di essa) sono contenute quelle individuali. Di conseguenza, se qualcuna è ribelle,
turba l‘accordo generale. Inoltre … non è un costrutto
conosciuto] Farquharson 1944, vol. II, p. 535. 394
― , with - following, it surely points to a distributive sense, either ‗each in turn‘, or
‗each regarded as a particular‘‖ ( , con - a seguire, fa pensare senz‘altro a un
significato distributivo, vuoi ‗ciascuno a turno‘, vuoi ‗ciascuno considerato nella sua individualità‘)
Farquharson 1944, vol. II, p. 535. Ciononostante ― cannot be right: ‗in turn‘ is a notion
unsuited to the context‖ ( non può essere giusto: ‗a turno‘ è un concetto inadatto al
contesto) Zuntz 1946, p. 51. 395
L‘obiezione: ―Again <> , Cor.‘s emendation, is not intelligibile
Greek‖ (E poi <> , l‘emendamento di Coraìs, non è greco
comprensibile) Farquharson 1944, vol. II, p. 535, non sembra insormontabile. Si vedano, ad
esempio, V 272 e XII 262.
155
fondamentale di ogni oggetto esistente, ovvero la sua essenza, che è perciò, per
definizione, unica e irripetibile. È proprio per non incorrere in una contraddizione
di questo genere che l‘articolo si legge goffamente integrato, nella prima
edizione di Dalfen, di fronte a 396.
Se si espunge la supposta interpolazione, lo stile si fa piano e il contenuto
conforme ai dettami della filosofia stoica più ortodossa: altre correzioni, per quanto
efficaci, ci portano troppo lontano dalla tradizione manoscritta397
.
396
Non sembra perciò accettabile l‘interpretazione di E. V. Maltese, che, combinando insieme gli
interventi di Coraìs e di Farquharson, traduce così il §2: ―Perché sentirsi in contrasto con qualcuno
degli eventi è una defezione dalla natura, che include le singole nature di ciascuno degli altri esseri‖
Maltese 1993, p. 27. 397
―Dr. Rendall proposed , ‗by the uniting power whereof‘, but that is very far from the
tradition, though it gives an excellent meaning, cfr. XII 305‖ (Il dottor Rendall ha proposto
‗dalla forza unificante della quale‘, ma questo è molto lontano dalla tradizione, benché offra
un senso eccellente, cfr. XII 305) Farquharson 1944, p. 535. ―Rendall‘s ingenious suggestion results in an inadmissible mode of expression‖ (l‘ingegnoso suggerimento di Rendall dà
come risultato una modalità di espressione inammissibile) Zuntz 1946, p. 51, n. 2.
156
157
Note al
LIBRO III
158
159
(1) [A T D M] 1(…) T D M: A A T M D corr.: D pr. T D M:
A A T D M: Reiske,
Zuntz Dalfen A T D: M.
Le precise osservazioni di Farquharson chiariscono perfettamente tutte le scelte
lessicali e stilistiche che informano questo passaggio398
: si può senz‘altro guardare
con fiducia al testo tradito dai manoscritti e accantonare come superflue le
correzioni di Reiske e di Dalfen399
. Le polemiche obiezioni di G. Zuntz travisano
deliberatamente la sostanza del problema e ignorano le connotazioni rigorosamente
tecniche del vocabolario qui impiegato da Marco Aurelio. Le ragioni invocate per
giustificare la correzione dal punto di vista paleografico si fondano su presupposti
troppo fragili400
.
398
Farquharson 1944, vol. II, p. 541-543. 399
―Reiske‘s substitution of the acc. is not needed, for is virtually epexegetic. The grasp of the
realities has as its correlate to understand the manner of estimating them‖ (L‘accusativo,
rimpiazzato da Reiske, non è necessario, perché è, di fatto, epesegetico. La perfetta conoscenza
delle cose ha, come suo correlato, il comprendere la maniera di valutarle) Farquharson 1944, vol. II,
p. 542. Il rimando a VI 502 è, a questo punto, obbligatorio: se ne veda il commento in Farquharson
1944, vol. II, p. 714. Vi si possono aggiungere almeno …
(Se dunque … abbandonando tutto il
resto,onorassi il tuo principio dirigente, ovverosia ciò ch‘è divino in te, ecc.) XII 15
(Ma se tutte le cose sono
spregevoli, rivolgiti a seguire la ragione, cioè Dio, che è l‘ultima che rimane) ibid. 312.
400 In III 1
1 Reiske put right the intolerable string of genitives by writing
. Without this alteration, the transmitted text would mean ‗the intellect sufficing for
the perception of facts and of the insight bearing upon the knowledge of‘, etc. Ant. does not write
such empty verbiage. The wrong genitive had arisen from adaptation, by some scribe, to the
preceding (In III 11 Reiske ha corretto l‘intollerabile successione di genitivi
scrivendo . Senza questo ritocco, il testo tradito significherebbe
‗l‘intelletto adeguato all‘intuizione dei fatti e all‘introspezione che concerne la conoscenza di‘, ecc.
Marco Aurelio non scrive prolisse vuotaggini del genere. L‘erroneo genitivo è derivato
dall‘adattamento, per mano di qualche scriba, al precedente ) Zuntz 1946, p. 52.
160
(2) [A T D] 5 (…) T: A D Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese A D: T |
AT D: [ ] Morus Casaubon A T D: <> Reiske, Morus A T Leopold, Farquharson, Cortassa, Maltese:
D Stich Lofft, Schenkl (ed.
mai.), Haines, Trannoy Reiske (qui et coni.), Dalfen.
Per restituire correttamente l‘incipit del §5, ci si può affidare indifferentemente
alla testimonianza di T così come a quella di A: molto meno probabile è che la
lezione genuina si possa qui ottenere dalla semplice somma delle due varianti
indipendenti401
.
Nonostante che le perplessità di fronte a un hapax legomenon siano
assolutamente legittime, non pare proprio che si possano avanzare dei dubbi fondati
sulla consistenza di 402. La correzione di Reiske, e, con essa, tutte
quelle che ne sono direttamente o indirettamente derivate, è ben lontana dall‘offrire
un senso altrettanto soddisfacente e stenta a trovare autentici paralleli nel resto
dell‘opera403
.
401
Sebbene questo non sia il caso, H. Schenkl dimostra abitualmente una spiccata propensione a
contaminare tra loro le testimonianze di A e di T: il testo della sua edizione è letteralmente affollato
di infelici tentativi del genere. Caustica, in proposito, l‘ironia di Dalfen 1979, p. XXX. 402
Anche solo leggendo il sintetico lemma compilato in LSJ9, si deduce con sicurezza l‘ampia
attestazione del verbo in altri autori: l‘accezione di ‗presentarsi alla mente‘, per cui il nostro passo in
esame è specificamente ricordato, ben si adatta al contesto. Tutti gli esempi raccolti in LSJ9, e molti
altri ancora, sono discussi in dettaglio da Farquharson 1944, vol. II, p. 548-549, che approda a
risultati definitivi. 403 Il punto che Marco Aurelio intende dimostrare qui è che l‘analisi dei fenomeni naturali consente
di comprenderne non solo la razionalità, ma anche l‘estetica: la scoperta soggettiva del bello,
guadagnata assumendo una prospettiva radicalmente diversa di fronte alle cose, che sono di per sé
indifferenti, va del tutto perduta rimpiazzando . Nell‘accezione di ‗prodursi‘, che
poi è quella postulata qui, compare a mala pena in VIII 203. Le occorrenze di V 13
1, X
74 e XII 3
1 mostrano invece un significato assai prossimo a ‗constare‘, ‗comporsi‘ ( ,di
qcs.). In XI 84 è impiegato transitivamente nel senso di ‗costituire‘, mentre in XII 30
6
vale senz‘altro ‗unirsi‘, ‗congiungersi‘. Il participio , infine, che si legge in X 122, non
può che significare ‗serio‘, ‗composto‘.
161
(3) [A T D C] 6(…) A T D: C Casaubon, Farquharson, Cortassa: T C A (unde Pinto) D Boot vel <>
vel Gataker, verba … del. inque eorum locum inser. putat Morus Holste, Reiske (qui post lac. ind. et
suppl.), Leopold, Dalfen (qui primum deinde suppl.), Maltese ( ) Coraìs apud Schultz Coraìs in ed. Polak, cruces loco app. Schenkl (ed. mai.) (qui autem in app.
coni.), Haines, Trannoy (in versione).
La presenza di costituisce il più sicuro indizio del precario stato della
tradizione manoscritta in questo punto: la correzione suggerita da Casaubon è
semplice e lineare404
. Non c‘è nulla di intrinsecamente sbagliato nelle integrazioni
proposte da Dalfen o da Reiske, o perfino nella radicale soluzione adottata da
Morus, sennonché riscrivere l‘intero passaggio appare un azzardo eccessivo.
404La principale difficoltà di accettare il testo tradito, così com‘è nei manoscritti, sta nel fatto che,
nell‘ , non compare mai da solo: (perché, quanto più è
superiore, in confronto a tutto il resto, tanto più è pronto a combinarsi e a confondersi con ciò che
gli è affine) IX 95 (perché, quanto più
questo è affine all‘impassibilità, tanto più lo è anche alla forza) XI 1822
(ma ora, quanto più si acconsente a privarsi di queste cose, o di altre cose
come queste, o anche a esserne privati da altri, tanto più si è virtuosi) V 155. Si veda infine
(sc. ) (ma bisogna capire che ciascuno vale tanto quanto valgono le cose alle quali ha dato
importanza) VII 32. La lezione , una proposta indipendentemente avanzata da Lucas
Holste, va attribuita, una volta di più, all‘excerptor di D, ma è inammissibile: Leopold e Maltese,
optando con decisione per il testo di D, commettono un grave errore. L‘imbarazzo di quest‘ultimo è
particolarmente evidente nella traduzione stampata a fronte: ―Cesserai di resistere a dolori e piaceri
e di far da schiavo a un recipiente tanto più vile della parte che lo serve‖ ecc. Maltese 1993, p. 33.
Come si vede, la lettera del testo è molto sacrificata, perché è irrimediabilmente superfluo.
Decisive, in proposito, le argomentazioni di Farquharson 1944, vol. II, p. 557.
162
(4) [A T D] 1 … (…)
2 A T Haines, Trannoy, Maltese: om. D, secl. Dalfen, ut parenthesin
uncis incl. Leopold, Schenkl (ed. mai.), ante (III 36) una cum … trasp.
Saumaise, post lac. ind. Farquharson, Maltese Boot
Polak Rendall, Farquharson
Trannoy in app. Cortassa, alii aliter A T D:
Polak (vel ) Rendall Theiler, Cortassa T: A D <> …
coni. Farquharson in comm. T D: om. A A T D: ut glossema secl. Dalfen
1.
L‘opinione espressa da E. V. Maltese sull‘attuale assetto del §1 è senz‘altro
condivisibile405
: Marco Aurelio, infatti, non ricorre mai a ,se non per
introdurre il primo membro di una proposizione disgiuntiva406
. È perciò verosimile
che, per un incidente molto antico nella storia della tradizione, per lo meno
anteriore alla biforcazione dei due rami indipendenti dello stemma facenti capo agli
attuali A e T, il testo sia giunto a noi così mutilato. Ne consegue necessariamente
che, stante l‘impossibilità di produrre un qualunque esempio ulteriore dell‘impiego
assoluto di 407, il dettato dei manoscritti, a meno di non porre il segno di
lacuna, è semplicemente irricevibile. D‘altro canto, i numerosi tentativi di
correggere una scrittura di per sé chiarissima appaiono assai meno prudenti.
Dall‘omissione in D di tutta la pericope … non si può ricavare proprio
nulla: la pretesa di espungere queste parole, confidando nell‘autorità di quel codice,
non è realistica. Al contrario, il tentativo di una loro trasposizione un paio di righe
più avanti, dopo , a cui Farquharson accenna timidamente nelle proprie note
di commento408
, è davvero ingegnoso, ma molto problematico da giustificare da un
punto di vista paleografico409
.
È difficile credere che il sano buon senso di Cortassa abbia potuto, da solo, tanto
da indurre Dalfen a riconsiderare la temeraria espunzione di dal §2410
.
La particolare predilezione per i nessi sinonimici, che Marco Aurelio sciorina di
405
―Il testo pare lacunoso piuttosto che corrotto‖ Maltese 1993, p. 249, n. 9. 406
L‘Index Verborum compilato da Schenkl, per solito dettagliatissimo, è purtroppo reticente in
questa occasione. Ciononostante, per … …, si vedano: II 112, 5
; IV 35, 27
1; V 7
2, 18
2; VI 4, 9,
101, 22, 24; VII 5
2, 26
2, 32, 75; VIII 25
4, 28
1, 58
1; IX 28
2, 39
1, 40
1; X 3
1, 7
5, 22, 33
6; XI 3
1, 10
4; XII
141, 24
1. Per … …, invece, V 33
1.
407 A dispetto della loro superficiale affinità, l‘ testimoniato da A e da T in XI 18
18 non può
essere annoverato tra i precedenti significativi: qui l‘errore della tradizione manoscritta è fuori
discussione. 408
Farquharson 1944, vol. II, p. 558. 409
Oltre a sopperire elegantemente alla mancanza della seconda congiunzione disgiuntiva,
ipotizzando uno dei più semplici casi di aplografia, la correzione di Farquharson permetterebbe
anche l‘impiego assoluto del verbo , a somiglianza di quanto accade in IV 22, dal
momento che, in vista del significato della parola, la costruzione con il genitivo appare innaturale.
Tuttavia, se da un lato il parziale omeoteleuto ― potrebbe ben spiegare la dislocazione di
tutta la pericope, dall‘altro non c‘è modo di chiarire persuasivamente l‘inevitabile anastrofe di
.410
Cortassa 1981, p. 224.
163
continuo nelle pagine dell‘ , identifica sì un sicuro campo di indagine,
ma non dimostra inequivocabilmente l‘autenticità di questo passaggio. Eppure, per
scoprire la diretta filiazione del lessico impiegato qui, è sufficiente interrogarne il
modello letterario più evidente:
411. Quando poi la iunctura ricompare tale e quale, qualunque
perplessità è destinata a scomparire: 412
.
411
―Guardate che temete vanamente, che desiderate senza effetto tutto quel che desiderate‖ Arr.,
Epict.D. III 24112
. 412
―I soli errori sono forse incendiare il Campidoglio e uccidere il padre? Non è forse anche un
errore usare le proprie rappresentazioni a caso, a vanvera e come capita? E non sono forse errori non
seguire un ragionamento né una dimostrazione né un sofisma e neppure, in breve, vedere nelle
domande e nelle risposte quel che s‘accorda o non s‘accorda con se medesimo?‖ Arr., Epict.D. I 733
.
164
(4) [A T D C] 4
(…) 5
A T D C: Coraìs A T D: om. C, del. Ménage,
Dalfen A T C Schenkl (ed. mai.), Trannoy: D Leopold, Haines,
Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese A T D: C Dalfen A T D: C T Leopold, Haines, Cortassa, Maltese: A D
C Dalfen <> Theiler, cruces loco app.
Schenkl (ed. mai.) (qui autem in app. vel coni.), Trannoy,
Farquharson.
Dalfen, accogliendo la proposta di Ménage, espunge l‘, che è omesso dai
codici della classe C. Eppure Schenkl dimostra inequivocabilmente come
l‘omissione in C sia imputabile all‘esplicita volontà del suo compilatore413
. In
sintagmi di questo tipo, l‘iperbato dell‘avverbio di fronte alle preposizioni è un
fatto ben documentato414
: non esiste un solo valido motivo per dubitare del
consenso dei migliori testimoni415
.
Sicuramente interpolato è tuttavia , che si legge nel solo D alla riga
successiva, una circostanza che avrebbe dovuto dissuadere gli editori
dall‘accoglierlo nel testo416
.
Accettando l‘isolato , che si legge in C, Dalfen rimaneggia pesantemente
l‘incipit del §5; altri correggono in vari modi. ―Mi pare tuttavia che il testo
tramandato dai testimoni principali (che, come si vede, diverge solo per il tempo
del verbo : T ha , che mi pare preferibile, perché nel contesto vi sono tutti
presenti, AD hanno ), non sia impossibile come hanno giudicato i più. Direbbe
Marco Aurelio che il sapiente, per la sua attività, non dispone che delle cose che
dipendono da lui (per l‘uso di cfr.II 14) e non conta affatto sulle cose
esterne‖417
.
413
Schenkl (ed. mai.) 1913, p. XVII. 414
Cfr. LSJ9, s. v., III, 2c. Considerazioni analoghe si leggono in Farquharson 1944, vol. II, p. 559-
560. 415
―Se però si mantiene l‘non si può tradurre, come fanno il Farquharson e altri, «tra i migliori»,
ma si dovrà rendere «il più possibile tra i migliori»‖. Cortassa 1984, p. 92. 416
―Another group of typical glosses, from which the critic must strive to rid the text, consists in the
addition of the auxiliary verb, which Ant. so often leaves to be understood. Clear instances of this
tendency are afforded by III 43, where the conjecture <>, by the scribe of D, may deserve a
place in the apparatus, but not in the text‖ (Un altro gruppo di tipiche glosse, da cui il critico deve
ingegnarsi di liberare il testo, consiste nell‘aggiunta del verbo ausiliare, che Marco Aurelio lascia
così spesso sottinteso. Chiari esempi di questa tendenza sono offerti da III 43, dove la congettura
<>, del copista di D, può meritare sì un posto nell‘apparato critico, ma non nel testo) Zuntz
1946, p. 50. 417
Cortassa 1984, p. 92-93.
165
(5) [A T D] 3 Bach (De M. A. Antonino, Lipsiae, 1826, p. 36), Cortassa (cfr. XI 10
4): T Schenkl (ed.
mai.), Haines, Trannoy A D Schultz vel Gataker, Farquharson Morus,
Leopold Rendall < > Couat Dalfen, Maltese T: A D <> Morus Schultz Rendall
T Leopold, Farquharson, Cortassa: A D Schenkl (ed.
mai.), Haines, Trannoy, Dalfen, Maltese A T D: ‗ more glossatorum
iteratum seclusi‘ Dalfen2.
Le difficoltà di accettare, per l‘incipit del §3, il testo tradito dai manoscritti
appaiono insormontabili. Data l‘assenza di qualunque indicazione più precisa, è
quasi impossibile sapere che cosa intendesse esattamente Schenkl accogliendo l‘
che si legge in T418
. Non molto di più si può ricavare dalle edizioni di Haines e
di Trannoy, che pure ne seguono dappresso le orme. La traduzione di Haines,
infatti, sembra adottare implicitamente l‘emendamento di Couat < >,
o qualcun altro equivalente a questo419
, mentre Trannoy è fortemente sospettato di
optare tacitamente per la correzione di Morus 420. In realtà, se è vero che si
può conservare l‘ di T solo a patto di intenderlo come ‗inoltre‘, ‗oltre a ciò‘, è
però altrettanto vero che quest‘uso appare confinato alla lingua poetica, a quella
dell‘epica in special modo, e alla prosa non attica, in particolare ad Erodoto,
circostanza che ne riduce drasticamente le possibilità di un impiego qui421
. D‘altro
418
A quanto pare, era disposto a concederne la problematica equivalenza a . Schenkl (ed.
mai.) 1913, Index Verborum, s. v. , p. 220. 419
―Be thine the cheery face and independence of help from without and independence of such ease
as others can give‖. Haines 1913, p. 53. Di passaggio non si può proprio fare a meno di notare come
l‘espressione ―independence of help from without‖ corrisponda molto meglio a
diTche non a di AD. Lo stesso si può dire di ―il se passe d‘aide
extérieure‖, che è l‘equivalente francese scelto da Trannoy per la propria traduzione. 420
L‘―en outre‖, con cui Trannoy riprende qui l‘ stampato a fronte, traduce, infatti, anche l‘ con cui incomincia il §2. 421
Esempi in LSJ9, s. v., C, 1-3. Come per quasi tutti i fatti stilistici dell‘ , così, anche per
gli apporti omerici alla lingua di Marco Aurelio, manca una qualunque trattazione specifica. Per
quanto non trascurabili, essi appaiono però limitarsi all‘adozione di glosse o all‘imitazione di luoghi
celebri, piuttosto che interessarne la sintassi o gli aspetti grammaticali minuti. Frequentissime,
infatti, conformemente ai precetti della retorica coeva, sono le reminiscenze lessicali di aggettivi
( I 1629
, V 810
; I 1629
; II 53), di avverbi ( II 5
1), di nomi (
IV 481). A questo proposito è interessante notare come la glossa omerica ricorra così, al
maschile, in II 22 e III 3
6, al neutro, invece, in VIII 38, con la stessa oscillazione di genere, cioè, che
ritroviamo nella fonte. Nulla di certo, al contrario, può essere affermato sul conto di X 84.
L‘occorrenza, in V 31, del difettivo è probabilmente suggerita da impieghi analoghi nei
poemi omerici. A volte Marco Aurelio dà prova di un‘inventiva pari ai suoi modelli: ,
l‘epiteto scherzoso che ritroviamo in IV 506, è rifatto alludendo ironicamente al ben noto
di Omero. Altrove, invece, la tessera verbale è incastonata con raffinata arte allusiva: così, in III 25,
dopo la lieve immagine, di sapore esiodeo, delle spighe mature che inchinano al suolo (Hes. Op.,
473-474), le parole rimandano alla ferocia guerriera di Il. XVII, 132-
137, da cui esse sono tolte di peso, così come rievoca
l‘impeto belluino di Il. XIII, 471-475 o di Od. XIX, 441-447. Poco più che citazioni imprecise, o
ampi rimaneggiamenti, si leggono invece in IV 332 (Od. I, 241-242); V 31
1 (Od. IV, 690-692); VI
103 (Il. VII, 99). La poderosa immagine del promontorio marino su cui si infrangono i flutti, con cui
si apre IV 49, riecheggia da vicino Il. XV, 618-621, anche se non è da escludere che su Marco
Aurelio abbiano potuto influire tanto la rielaborazione virgiliana dello stesso passo, che si legge in
Aen. VII, 586-590, quanto il modello senecano di Const. sap. 3. 5. In X 342, infine, la celeberrima
similitudine di Il. VI, 146-149 funge da pretesto per l‘enunciazione di alcuni precetti filosofici
166
canto, a meno di non intervenire altrimenti sul testo, così come, ad esempio,
proponeva di fare Schultz, non pare proprio che sia possibile ricavare un senso
accettabile dall‘ di AD. La correzione <> , uno dei vari
suggerimenti di Gataker, presenta l‘indubbio vantaggio, come aveva già ben visto
Farquharson422
, di continuare la costruzione di e dei §§1-2.
L‘emendamento di Nicholas Bach, tuttavia, se da un lato è sicuramente più
economico, dall‘altro sembra legare ancor meglio con il contesto: ―la serenità e il
non aver bisogno di aiuti esterni scaturiscono naturalmente dall‘atteggiamento che
in precedenza Marco Aurelio invita ad assumere‖423
. Se Maltese ha trovato
allettante la proposta di Dalfen, dipende soltanto dal fatto che permette
l‘immediata corrispondenza di con ,
che si legge in AD424
. L‘anafora … …
suggerisce però che il parallelismo è piuttosto tra e
, due espressioni che, a ben vedere, sono
formalmente identiche. Questo conferma, per altra via, la tradizione di T, che
peraltro appare genericamente preferibile in tutti i casi di varianti pressoché
adiafore. Per evitare l‘impasse, Dalfen è costretto ad espungere. L‘unica ipotesi
plausibile, che si può formulare qui, è che l‘omeoteleuto ―
abbia provocato la ripetizione di . Gli esempi, in proposito, non
mancano di certo, nemmeno per i nostri manoscritti425
. È però interessante notare
come questo sembri essere il tipico errore in cui tende ad incorrere A, laddove T ne
è generalmente scevro: appare perciò inverosimile che entrambi i rami della
tradizione manoscritta testimonino qui di una menda così grave426
. Per quanto non
si possa che condividere il giudizio espresso da Farquharson427
, la ripetizione
dell‘aggettivo non solo è genuina, ma è anche chiaramente conforme ai
canoni stilistici dell‘ 428.
fondamentali, mentre IX 24 allude, con la precisione del grammatico, al noto episodio della
rievocazione dei morti da parte di Odisseo (Od. XI, 210 sgg.). 422
Farquharson 1944, vol. II, p. 566. 423
Cortassa 1984, p. 93, che si attribuisce, a torto, questa congettura. 424
―All‘interno, la serenità, e, dall‘esterno, nessun bisogno di aiuto‖ Maltese 1993, p. 37. 425
Cfr., ad esempio, V 132:
(
A) A T; VI 333:
( A T) A T W; VII 4:
( A) A T. Un‘origine analoga deve avere anche la
macroscopica dittografia che si legge in A a VII 683:
. Per la lezione di A in V 20. 1 e V 25. 2, cfr. rispettivamente Polak
1886, p. 344 e p. 341. Altre dittografie di A si leggono, p. es., in VII 2. 3 e VIII 45. 2.426
L‘unico parallelo convincente sarebbe VI 333, di cui si è già discusso in precedenza. L‘errore
doveva essere già nel codice di Areta, perché non è credibile che soltanto i manoscritti della classe
W conservino qui l‘autentica lezione dell‘archetipo. Thomas Gataker suggerirà la stessa correzione,
senza nemmeno sapere dell‘esistenza di W: si tratta, perciò, con ogni probabilità, dell‘abile
congettura di qualche grammatico. 427
―The repetition of the adj. is both clumsy and superfluous‖ (La ripetizione dell‘aggettivo è tanto
goffa quanto superflua) Farquharson 1944, p. 566. 428
Una messe convincente di esempi è raccolta da Cortassa 1981, p. 225. A questi si possono
certamente aggiungere V 14 e VI 31. Tutto ciò dovrebbe anche indurre a riconsiderare più
attentamente la lezione di T in IV 191, pressoché scomparsa dalle edizioni dell‘ all‘epoca
del ritrovamento di A.
167
(6) [A T D] 3(…) T Leopold, Haines, Farquharson, Cortassa, Maltese, ut glossema del. Zuntz, Dalfen Lofft A D Schenkl (ed. mai.), Trannoy.
Questo passaggio ha sempre destato innumerevoli perplessità negli interpreti. G.
H. Rendall, ad esempio, espungeva tanto quanto : si trattava, infatti,
di un‘idea legittima guardare ad entrambi come a spiegazioni alternative di .
A una tale diagnosi, tuttavia, si deve opporre la considerazione che
è un‘espressione precisa dell‘etica stoica429
. Per di più, tutto il capitolo è
incentrato sulla ricerca del bene peculiare e caratteristico dell‘essere umano: il
termine, dunque, non può che essere autentico in questo contesto430
. Ma che si può
dire di ? La lezione di A è . L‘aggiunta,
immediatamente prima di , di in T denuncerebbe così il disagio di quel
copista di fronte alla giustapposizione dei due sinonimi. In conseguenza di ciò, non sarebbe altro che una banale glossa di . Eppure non bastano che
poche righe, tratte da VIII 12, per comprendere appieno la sostanza del problema: 431
. Non è difficile accorgersi come
e , che sono sempre sinonimi nell‘ , denotino
rispettivamente l‘individualità e l‘identità di specie del soggetto: non altrimenti e additano sia il bene peculiare dell‘essere umano in genere, sia il
bene particolare dell‘individuo. Una volta di più non si può che apprezzare
l‘estrema accuratezza del testo di T.
429
Arr., Epict.D. I 292; III 7
14; M. Ant. VI 51; IX 41
1 (=fr. 191 Usener); XI 16
3; cfr. XI 1, passim.
430 Zuntz 1946, p. 49.
431 ―Se ti svegli dal sonno di mala voglia, ricordati che è conforme alla tua costituzione e conforme
alla natura umana il produrre azioni rivolte al bene comune, mentre il dormire è comune anche agli
animali irragionevoli‖.
168
(7) [A T] 3
4 <> T: A T Leopold, Haines,
Farquharson, Cortassa: A Schenkl (ed. mai.), Trannoy, Dalfen, Maltese T:
A Nauck, Farquharson, Cortassa, Maltese: A T Leopold, Schenkl (ed.
Se è vero che, da un punto di vista semantico, l‘opzione, al §3, tra le varianti
indipendenti di A e di T costituisce poco più che una
questione di gusto personale, è però altrettanto vero che, da un punto di vista
codicologico, si rivela la pietra di paragone fondamentale per saggiare il peso
relativo da attribuire ai due rami principali dello stemma. Qualunque sia la scelta,
ne consegue sempre una precisa gerarchia tra i testimoni.
Per quanto appaia problematico alterare il consenso dei manoscritti, in specie se
non ci sono apparenti errori432
, l‘intervento di A. Nauck non solo presuppone
un‘eccellente giustificazione paleografica433
, ma il predicativo , che ne
risulta, coinvolgendo direttamente nell‘azione la figura del sapiens, che è l‘oggetto
di questo capitolo almeno a partire dal §2, si adatta al contesto ancor meglio
dell‘avverbio 434.
Com‘è facile verificare, tanto di A, quanto di T sono
entrambi scorretti: non si potrebbe, perciò, che plaudere alla correzione di
Casaubon, se non fosse che , il rimedio escogitato da L. Holste, è ancor
più efficace435
. Quanto poi alla particella da integrarvi accanto, va senz‘altro
benissimo: tutti gli esempi forniti da Dalfen chiariscono a meraviglia la sintassi del
passo. Sennonché , con la funzione di introdurre, come qui, degli exempla ficta,
è ancor più largamente attestata nell‘ 436, mentre la sua omissione
sarebbe agevolmente riconducibile a un caso di aplografia da manuale437
.
La correzione , suggerita a H. Schenkl da L. Radermacher, soffre
del grave difetto di postulare l‘esistenza di un verbo , chenon è
altrimenti attestato438
.
432
L‘avverbio ricorre nuovamente, con identica accezione, in VIII 33.433
―The adj. was evidently altered by attraction to ‖ (L‘aggettivo è stato evidentemente
alterato per l‘attrazione di ) Farquharson 1944, vol. II, p. 573. 434
L‘aggettivo , con analoga funzione sintattica e con accezione identica a quella postulata
qui, sembra essere uno dei termini chiave di questo terzo libro dell‘ : se ne vedano, a tal
proposito, i capitoli 52 e 16
4.
435 ―Holste‘s emend. is confirmed by A, which he had not seen. Xyl.‘s trans. indicates
that he made the same correction‖ (L‘emendamento di Holste è confermato da A, che
egli non aveva visto. La traduzione latina indica che Xylander ha fatto la stessa correzione)
Farquharson 1944, vol. II, p. 573. 436
Cfr. I 1620
; II 101; III 8
2; VIII 50
1; X 6
5.
437 Questo, ovviamente, per la facilissima confusione, nella scrittura onciale, tra i gruppi di segni
e . 438
È quanto si deduce da Schenkl (ed. mai.) 1913, Index Verborum, s. v., p. 220. Questa opzione è
sostenuta da Giangrande 2003, p. 227.
169
(11) [A T] 5(…) A T: Iunius, Dalfen Morus, Coraìs.
Nella definizione dei rapporti con il prossimo, l‘ è una virtù cardine tanto
quanto lo è l‘439: l‘avverbio è perciò genuino e la sua sostituzione
con la forma non contratta assolutamente superflua.
439
IX 272; X 14
2 IV 20
2; VIII 26
2 X 36
6; XI 13
2.
170
(12) [A T] 1
2 T: A T Leopold, Haines, Trannoy, Cortassa, Maltese:
A Gataker Iunius, Schenkl (ed. mai.)
<> Polak <> <> Haines in app.
<> Farquharson <> Dalfen, alii aliter
T: A T: A A T: Coraìs
(huicCasaubon) A T Leopold, Haines, Trannoy (qui autem in app. coni.),
Farquharson, Cortassa: Richards, Dalfen, Maltese (cfr. veritas … Romana Fronto ep. ad
Ver. II 7, p. 135 N.) Rendall Theiler Orth, cruces loco app. Schenkl (ed.
mai.) A: T (corr. Bas.).
Fin dall‘apparizione dell‘editio princeps si è seriamente dubitato che
potesse essere retto dall‘ della linea precedente: da qui
tutta una nutrita serie di correzioni, alcune delle quali intese a rendere conto della
caduta di un verbo per aplografia. Ma una leggera figura di zeugma è tutt‘altro che
improbabile qui, soprattutto calcolando le molteplici accezioni con cui
ricorre nell‘ , in qualche occasione alquanto inaspettate440
, e il plausibile
traslato di 441Al contrario è molto difficile stabilire che cosa Marco Aurelio intendesse dire
esattamente scrivendo , sia perché il rimando presupposto da
può risultare ambiguo, sia perché il verbo appare impiegato in un senso
affatto diverso da quello per lui abituale442
. Interpretando restrittivamente ,
come riferito soltanto a , Farquharson attribuiva a un
440
: abs. III 51; V 5
6; VIII 45
1;
II 52; ibid. 16
6;
III 74; ibid. 16
3;
VI 55; VII 71; , VIII 47
3 5;
IX 4213
; X 332; XII
241 :
IV 2; (sc. ) ‗ ‘ VIII 47
4-5; IX
311; … X 9
2;
X 112.
441 Dal lessicografo Esichio, s. v. , apprendiamo che il significato proprio di
è per l‘appunto quello di ‗mercanzia di poco valore‘. Il significato figurato più comune ne fa invece
un facile equivalente di ,nell‘accezione consueta di ‗appendice‘, ‗corollario‘. Da qui il
passaggio alla connotazione richiesta di ‗attività collaterale‘, o a quella di ‗questione secondaria‘,
non sembra poi così difficile. Haines 1913, p. 61, n. 2, cita, in proposito, una testimonianza antica su
Marco Aurelio: C. D. LXXI. 6. 2. Si
veda anche LSJ9, s. v., II. 442
<> (la Natura <ti> ha collegato e commisto a
costoro) X 366; (godere di vivere
inanellando una buona azione dopo l‘altra) XII 293. Allo stesso modo , e cioè una
connessione razionale, è esplicitamente contrapposta, in IV 45, a , vale a dire a una serie di unità separate, tenuta insieme solo da
un vincolo di necessità. Si veda anche , la continuità e
concatenazione, in V 813
.
171
significato che riconosceva apertamente di non poter documentare443
. Altrettanto
insoddisfacente si rivela , la correzione suggerita a Coraìs da Casaubon, se il
pronome riprende unicamente di poche righe più sopra444
. D‘altro canto, a
meno di non accogliere , e di intenderlo, però, quale sostituto olofrastico di
tutto il periodo precedente, non è possibile tradurre la lezione dei codici con ‗se ti
attieni a questo‘, ‗se adotti questi principi‘, o in altri modi analoghi445
. La strada
maestra per conservare il testo tradito dai manoscritti sembra essere perciò soltanto
quella già additata, ad esempio, da E. Turolla, che presuppone un impiego
transitivo del verbo certamenteraro, ma non impossibile446
.
L‘obiezione più seria rivolta a quest‘uso di , testimoniato tanto da A
quanto da T, è rappresentata dalla correzione ,proposta da H. Richards, a
favore della quale Dalfen offre un interessante riscontro tratto dall‘epistolario di
Frontone447
. Eppure già R. G. Bury suggeriva che Marco Aurelio stesse traducendo
heroica, nel senso di ‗sincerità del tempo andato‘, come in ‗opinio ab heroicis
ducta temporibus‘ di Cic. Div., I. 1448
. In alternativa è lecito supporre, con
Farquharson, che qui si alluda esplicitamente a ciò che Aristotele intendeva con
449, e tradurre così tutta
l‘espressione: ―soddisfatto … di dire eroicamente la verità in ogni tuo discorso e in
ogni parola che pronunci‖450
.
443
―If you make this secure‖, Farquharson 1944, vol. I, p. 47. ― resumes , as
and indicate. It seems that is used … in a sense not exemplified
in L. and S.‖ ( riprende , come indicano e . Sembra
che sia usato … in un senso non esemplificato in L. e S.) ibid., vol. II, p. 582-583. 444
―To read with Cas. (si illi adhaereas) gives no satisfactory meaning, for M. nowhere
speaks of ‗cleaving unto‘ the ‖. [leggere con Casaubon (si illi adhaereas) non offre
alcun significato soddisfacente, perché Marco non parla in nessun luogo di ‗aderire‘ al ]
Farquharson 1944, vol. II, p. 583. 445
Maltese 1993, p. 43; Cortassa 1984, p. 275. Impossibile indovinare il significato preciso di ―if
you grapple this to thee‖ Haines 1913, p. 61; ―si tu y joins cette condition de ne rien attendre ni rien
eviter‖ Trannoy 1925, p. 25 è insopportabilmente lontano dalla lettera del testo. 446
Tutta la pericope è tradotta così da Turolla: ―qualora tu fossi capace di tale risultato‖, Marco
Aurelio Antonino, Colloqui con se stesso, Rizzoli (BUR), Milano 19751, p. 39. Per l‘uso del verbo
in senso proprio si può invece citare (sc. )
(e presso il fossato l‘esercito argivo raggiunse di corsa la città del regno di
Cadmo) E. Ph., 1100-1101. 447
Simplicitas, castitas, veritas, fides Romana plane, vero nescio an Romana (La sua
schiettezza, la sua integrità, la sua veridicità e lealtà sono assolutamente romane, la sua affettuosità,
però, non so se sia romana) Fronto ep. ad Ver. II 7, p. 135 N. 448
Bury 1918, p. 149. Nella stessa direzione andava già Haines 1913, p. 61. Analoga la soluzione
adottata da Trannoy 1925, p. 25, n. 1. 449
―la virtù sovrumana, una sorta di virtù eroica e divina‖ E. N. 1145a19. Farquharson 1944, vol. II,
p. 583. 450
Cortassa 1984, p. 275.
172
(14) [A T C] (…) A C P. Maas, Zuntz: T et vulgo edd. Tox. Xylander in adn.
Radermacher Schenkl (ed. mai.) Trannoy in app.
Il processo di corruzione del testo è qui particolarmente evidente. Lo stadio finale
è rappresentato da , che è il rimedio escogitato da Xylander per tentare di
correggere l‘erroneo del proprio esemplare. Frattanto, però, grazie ai
ritrovamenti successivi di A e di C, si è appreso che proprio la lettera da questi
espunta risulta essere l‘avanzo più cospicuo della lezione dell‘archetipo
451. Sfortunatamente , al pari del suo equivalente latino ad
extremum, non può significare che ‗completamente‘, ‗del tutto‘; ‗verso la meta‘
sarebbe stato, al contrario, 452, anche perché, nell‘, non
si danno occorrenze di questo termine che non sia sempre accompagnato
dall‘articolo453
.
451
S’il vous plait, secondo l‘efficace traduzione di Maas 1945, p. 145. Cfr., p. es. Soph. OT, 343-
344: (Perciò, se credi, sfoga la tua ira più
selvaggia). Zuntz 1946, p. 49 rimanda, in maniera forse un po‘ troppo sbrigativa, a
(Nessuno mi
impedirà di fare ciò che voglio: ma il mio volere è conforme alla natura dell‘essere razionale e
sociale) V 29. 2. P. Maas, al contrario, ricorda, molto più opportunamente, (Perciò, quando vuoi, sopprimi l‘opinione) XII 22. Vi si potrebbe aggiungere XI 18.
24, assai simile a questo nelle modalità espressive: (sc. ) (Per favore, accettane in dono anche un decimo dal Musagete). Cfr. (La loro parte più preziosa, dove nasce, quando vuole, fede, pudore, verità, legge, buon
genio) X 13. 2; (Dunque togli via, e non aver riguardo di sopprimerlo, il tuo giudizio personale concepito nella
convinzione che si tratti di cosa terribile: ogni impeto d‘ira è sfumato) XI 18. 12. 452
II 166; III 16
4;
… IX 232. Qualche indicazione in più si può ricavare dalle
occorrenze del verbo : ove non regga semplicemente l‘infinito, come in VI 151, è sempre
seguito dalla preposizione (VI 166; ibid. 30
7; XI 16
3) o, tutt‘al più, da (IX 9
1 4), mai da .
453
L‘unica eccezione, ma ampiamente giustificata dalla forma espressiva prescelta, è V 322:
. Si vedano, al contrario, V 142;
… … V 153;
ibid. 163; XI 1
1.
173
(16) [A T] 2(…)
< > < > Bury (lac. not. Xylander) < > Maltese: A T
Leopold … Schenkl (ed. mai.), Trannoy <> Gataker, Farquharson,
Cortassa <> Wilamowitz, Haines < > Coraìs, Dalfen < > Schenkl (ed. mai.) in app. < (vel )> Rees.
L‘ovvia lacuna dell‘archetipo era già stata identificata con sicurezza da Xylander:
una parola, con il significato approssimativo di ,deve essere evidentemente
supplita di fronte a . Haines adotta l‘integrazione di suggerita da
Wilamowitz, mentre Schenkl si limita a confinare in apparato la propria congettura
. Altrettanto valide sono le proposte di Gataker, accolta da Farquharson
e da Cortassa, e di Coraìs, accolta ora da Dalfen. Ciononostante,
scrivendo , R. G. Bury presuppone un caso di aplografia ancor più
esemplare454
. Il ritocco di Maltese è insignificante.
454
In LSJ9, s. v., 2 si trovano molti esempi di interrogativo equivalente a
(‗ognuno‘, ‗ogni‘) affermativo.
174
175
Note al
LIBRO IV
176
177
(1) [A T] 1 2 <> T: A ut glossema del. Trannoy (‗ fortasse delendum‘ Schenkl in
app.), Dalfen. <> Gataker: A T (‗proposita‘ Xylander), Schultz,
‗fortasse (cfr. SVF III fr. 564, p. 149, 27 sqq.)‘ Dalfen.
Almeno a giudicare dalle note di commento, compilate in calce all‘apparato
critico, pare proprio che Dalfen condivida appieno i dubbi già espressi sul passo da
Schenkl e da Trannoy e si appoggi alla loro autorità per eliminare dal
testo come spurio.
In verità gli argomenti a favore di queste espunzioni si dimostrano spesso, alla
prova dei fatti, assai meno temerari di quanto non appaia a prima vista, perché
l‘eventualità che glosse e note marginali siano penetrate a vario titolo nel corpo del
testo non è poi così remota come ci si potrebbe immaginare, bensì una prospettiva
da mantenere sempre ben viva nel vaglio critico di un‘opera che, per lo meno ad un
certo stadio della storia della sua ricezione, godette di un‘indubitabile fortuna in
ambito scolastico, guadagnandosi a lungo le amorevoli cure dei dotti.
Il caso più semplice da isolare e dirimere si presenta quando tali interpolazioni si
trovano dislocate nelle immediate vicinanze del termine che intendono glossare, ad
esso semplicemente giustapposte. A seconda che si possano rintracciare in uno
solo455
o in entrambi456
i rami principali della nostra tradizione manoscritta,
costituiscono altrettanti preziosissimi ‗fossili guida‘, destinati a fornire
fondamentali indizi a proposito della cronologia relativa e dei rapporti di parentela
tra i codici.
Una fattispecie notevolmente più complicata si ha, al contrario, di fronte al
desiderio manifestato dai copisti di accomodare l‘apparente contraddizione
introdotta da un‘interpolazione: assistiamo così, ad esempio, al tentativo di
mitigare la durezza di un asindeto tramite l‘inserzione di connettivi come o , con il bel risultato di incorporare in tutto e per tutto nel testo glosse e note
marginali.
Il fenomeno, riconosciuto piuttosto precocemente dai moderni editori dell‘
, ma variamente interpretato, è stato fatto oggetto, da parte di G. Zuntz457
, di
alcune illuminanti riflessioni, che costituiscono indubitabilmente l‘imprescindibile
punto di partenza delle più mature e documentate ricerche consacrate da J. Dalfen
al medesimo problema458
.
Ora è chiaro che, laddove si offra l‘opportunità di identificare con sicurezza e di
interpretare con verosimiglianza la stratificazione e le tracce di questo lavorio,
grazie anche al confronto con uno o più testimoni che ne risultino scevri, la
455
È questo il caso della voce , che ritroviamo in I 1617
, una glossa evidentemente intesa a
rendere perspicuo al lettore il crudo calco latino , ma che appartiene soltanto alla
tradizione di T. 456
È questo, all‘opposto, il caso della voce , volta a glossare, in II 124, il meno consueto
, ma che ritroviamo puntualmente tanto in A quanto in T. 457
Zuntz 1946, p. 48-50. 458
Dalfen 1974 e 19792.
178
probabilità di arrivare a discernere autentico da inautentico, ipotetico originale da
interpolazione, sarà di molto accresciuta459
.
Tuttavia la circostanza obiettiva che il dettato apparentemente più ingenuo, e
quindi ipoteticamente più vicino all‘autentica lezione d‘archetipo, rimonti,
pressoché nella totalità dei casi, alla tradizione di A, che, come sappiamo, è poi
l‘unico vero e proprio codice a trasmettere l‘opera nella sua interezza, altro non
essendo T che la prima edizione a stampa di un libro manoscritto poi andato
perduto, ha contribuito non poco ad accrescerne il prestigio a detrimento di T,
ammantandone il testo dell‘aura di superstiziosa venerazione che si deve a una
reliquia.
Lo stesso identico equivoco sorregge la scelta da parte di Dalfen della lezione di
A, a discapito di quella di T, nel passo preso in esame: riconoscendo nella
mancanza in A del connettivo , che andrebbe meglio attribuita, ancora una
volta, al noto difetto di accuratezza con cui è stato esemplato quel codice, una
prova della maggiore genuinità del testo così tramandato, elimina ,
probabilmente alla stregua di una glossa esemplificativa di che segue
subito dopo.
A ben vedere, però, non può essere in alcun modo né una nota
marginale penetrata nel testo, né, tanto meno, un sinonimo del successivo
: per quanto minima possa apparire la differenza di significato tra i due
termini, essa è, in questo contesto, effettivamente operante, proprio perché fondata
sull‘impiego di uno specifico frasario tecnico, che ha robusti addentellati non
soltanto con numerosi passi dell‘ , ma soprattutto con la generale
riflessione stoica antica sull‘etica. Ogni atetesi diretta ad obliterare tale differenza
non potrà che rivelarsi fallimentare: un‘ulteriore dimostrazione che un approccio
multidisciplinare riesce un alleato insostituibile alla costituzione di un testo
accettabile.
, infatti, afferisce inequivocabilmente allo spazio entro cui si
dispiega l‘azione morale, il quale, proprio perché già concesso in anticipo, e quindi
sottratto alla fattiva volontà del soggetto (), è neutro dal punto di vista
etico, ovverosia non è né buono né cattivo, ‗indifferente‘ () in una
parola460
. Altro non è che la materia inerte (, infatti, riprende appunto
quest‘ultimo concetto al principio del §2) cui il saggio artiere imporrà le luminose
forme dello spirito, ricavandone il proprio capolavoro461
.
459
Nel caso esemplare di II 42, disponendo dei soli A e T per costituire il testo (il valore
testimoniale di D, giova ripeterlo, è pressoché inapprezzabile, in quanto semplice apografo di A),
proprio l‘assenza del connettivo dalla tradizione di A ha permesso, in primo luogo a Rendall, e
successivamente anche a Leopold, di trattare la voce quale mera variante ortografica di
e di espungerla dal testo come spuria. La più accorta difesa della lezione di T si può
leggere invece in Farquharson 1944, vol. II, p. 506. Le vibrate proteste di Zuntz 1946, p. 49,
supportano l‘espunzione dell‘intera pericope dalla prima edizione di Dalfen del 1979. Più di recente,
tuttavia, si è tornati a guardare con rinnovato interesse al testo di T, al punto che persino Dalfen,
nella riedizione del 1987, si è visto costretto a riconsiderare le proprie posizioni. 460
Così la virtù non consiste negli oggetti dell‘attività come tali, ma nel proposito che la buona
volontà mostra d‘avere: non quid, sed quemadmodum feras interest (non che cosa, ma in che modo
tu la sopporti è importante) Sen., Prov. 2.4; … (l‘uso
non è indifferente … la materia non fa differenza) Arr., Epict.D. II 57.
461 L‘immagine è tradizionale: non ex ebore tantum Pheidias sciebat facere simulacra … si adhuc
viliorem materiam obtulisses, fecisset quale ex illa fieri optimum posset: sic sapiens virtutem (Fidia
era capace di modellare non solo statue d‘avorio … con una materia di valore ancora minore
avrebbe fatto ciò che di meglio poteva trarre da quella materia: così il saggio la sua virtù) Sen., Ep.
85.40. È in questo senso che Marco Aurelio può affermare: …
(Perché sempre per me la circostanza presente è un‘occasione per la virtù …
179
Viceversa chiama in causa il requisito fondamentale d‘ogni azione
morale che punti dritta al conseguimento del proprio obiettivo: essere sub
condicione, ossia, in sintesi, ―nell‘ipotesi che l‘azione da intraprendere o lo scopo
da conseguire non siano impossibili per l‘uomo‖462
. Questo concetto, che
ritroviamo puntualmente con accentuazione tecnicistica in del
§2463
, è già presente nello stoicismo antico464
e viene ripreso anche da Seneca con
quel tanto di legalistico che connota l‘equivalente latino scelto per la traduzione465
.
L‘idea che l‘azione moralmente corretta () non possa essere che
quella esercitata con riserva, cioè dicendo sempre: ―Se è possibile‖466
, è
ovviamente centrale nell‘467 e Marco Aurelio s‘impegna strenuamente,
in VI 19, per metterne a fuoco i confini, onde evitare ogni fraintendimento e
compromissione volgare: 468
.Anzi la sovrapposizione tra azione etica e azione possibile, cui si assiste
progressivamente nel corso dell‘opera, è spinta tanto avanti da identificarsi tout
court con l‘azione giusta in sé, trasferendosi, nel contempo, sul piano
oltremondano della provvidenza e della legge di natura469
.
e per l‘arte propria di un essere umano) VII 68
3;
(Bisogna, infatti, in tutto e per tutto, darsi da fare abilmente riguardo ad ogni cosa
esterna, non nel senso di aderirvi, bensì, quale che essa sia, di dispiegare la propria abilità riguardo
ad essa) Arr., Epict.D. II 521
. La sostanza di queste osservazioni si legge già in Farquharson 1944,
vol. II, p. 598. 462
Maltese 1993, p. 250, n. 2. 463
La formula ricorre in V 202, VI 50
2 e XI 37
1, nonché in VIII 41
4, dove l‘avverbio
, neoformazione peculiare a Marco Aurelio, esprime contrastivamente lo stesso
concetto. L‘antecedente più immediato è, ancora una volta, Epict. Ench. 2. 2. 464
(Dicono che nel saggio nulla va contro il suo desiderio,
il suo impulso, le sue aspettative, perché fa tutto con riserva e nessuna avversità gli può capitare che
non sia stata prevista) Stob. II 102, 20 W. (SVF III, p. 149, 27-30 Von Arnim) 465
Non mutat sapiens consilium omnibus his manentibus, quae erant, cum sumeret. Ideo numquam
illum poenitentia subit, quia nihil melius illo tempore fieri potuit, quam quod factum est, nihil
melius constitui, quam quod constitutum est. Ceterum ad omnia cum exceptione venit: si nihil
inciderit quod impediat. Ideo omnia illi succedere dicimus et nihil contra opinionem accidere, quia
praesumit animo posse aliquid intervenire, quod destinata prohibeat (Il saggio non cambia opinione
se non mutano le condizioni delle circostanze in cui prese la decisione. Egli quindi non conosce il
rimorso, perché, al tempo in cui decise, non era possibile far meglio di come in effetti si fece, né
alcun‘altra decisione si poteva prendere migliore di quella che si prese. Del resto, il saggio
intraprende ogni azione con riserva … salvo eventi contrari. Pertanto noi diciamo che a lui tutto va
per il verso giusto e nulla contro le sue previsioni, perché nel suo animo egli già mette in conto che
può capitare qualcosa a vanificare i piani prestabiliti) Sen., de beneficiis IV 34 (SVF III, p. 149, 31-
38 Von Arnim). 466
Senza dubbio a metà tra il serio e il faceto Farquharson 1944, vol. II, p. 589 suggerisce che
l‘adagio è l‘equivalente stoico del precetto cristiano ovverosia si Dominus voluerit, come si legge in Ep. Jac. 4. 15 nella vulgata geronimiana. 467
Ne sono un‘eco persistente persino alcune occorrenze apparentemente ingenue del verbo
, come III 74 oppure VII 5
2, 7, 53.
468 ―Se qualcosa è troppo impegnativa soltanto per te, non immaginarla impossibile per l‘uomo, ma,
se qualcosa è possibile e familiare per l‘uomo, giudicala accessibile anche per te‖. 469
È quanto accade in XII 53, dove Marco Aurelio affronta di passaggio il problema della
sopravvivenza individuale dopo la morte: (cioè che la vita ultraterrena ricompensi
i buoni) (Perché, se fosse giusto,
sarebbe anche possibile, e se fosse secondo natura, la natura l‘avrebbe realizzato).
180
Delle tre relazioni fondamentali che definiscono il ruolo dell‘uomo nel mondo:
con se stesso, con il prossimo, con l‘universo tutto, il campo d‘azione privilegiato
dell‘agire con riserva è proprio il rapporto con gli altri uomini, particolarmente se si
tratta di liberarli dall‘errore e di indicare loro la via migliore da seguire470
. Di qui
anche l‘autoesortazione, reiterata ossessivamente fino alla litania, a non perseguire
obiettivi irraggiungibili, il che equivarrebbe a rendersi schiavi della stessa follia che
incatena i più471
.
Una curiosa conferma al sospetto che si tratti, a tutti gli effetti, di una vulgata
formuletta di scuola viene poi da Marco Aurelio stesso, giusto in apertura al libro
quinto dell‘ .
Come potrà costatare agevolmente un qualunque lettore avvertito, molto della
scrittura dell‘autore contrae qui pesantissimi debiti con il modello della diatriba
epittetea fissato da Arriano di Nicomedia: è soprattutto il placido dispiegarsi della
replica del maestro alle successive obiezioni degli allievi ad indirizzare in tal senso
e a rivelare il palese intento mimetico di una concreta occasione di scuola.
Dopo aver affermato che ogni riluttanza a compiere il proprio dovere svanisce,
allorché si sia intesa appieno la costituzione dell‘essere umano, il maestro si trova a
dover rintuzzare l‘obiezione di uno degli allievi: ―Tutto ciò è vero – riconosce – ma
starsene a godere il calduccio del letto è più piacevole‖. Il maestro ha tuttavia buon
gioco, a questo punto, nel dimostrare che la passività indotta nel soggetto dal
godimento dei piaceri non ha nulla a che spartire con l‘essenza più autentica
dell‘essere umano, e nell‘esortare nuovamente i suoi discepoli ad adempiere con
zelo alla propria funzione nel mondo, imitando, in questo, le piante e gli animali472
.
Poco più avanti la discussione si anima: ‗ ‘ ‗ ‘473
.Va da sé che, mettendo in bocca al proprio allievo, in forma di garbata
anteoccupatio, questo genere di risposta saccente, lo scopo dichiarato del maestro è
di stigmatizzare la farisaica vuotezza di coloro che si appropriavano di formule
scolastiche , verbis tenus, per dirla con Aulo Gellio474
, senza che esse
avessero il benché minimo peso sulle concrete scelte etiche del singolo.
Ciononostante, al di là delle generiche affinità tematiche e dei riecheggiamenti
verbali isolati, puntualmente registrati fino a qui, due ulteriori passi dell‘
permettono di affermare perentoriamente, soprattutto in virtù della
straordinaria somiglianza di tono, di lessico e di contenuto, non solo l‘autenticità di
in IV 1, ma anche la migliore accuratezza complessiva del testo di
T475
.
Nel primo il rapporto tra la formula stereotipa e , che è la pietra angolare per stabilire la fondatezza della nostra
lezione, è chiarissimo:
470
VIII 172; IX 11
1; X 4, 30
3.
471 V 17; VII 71; IX 42
2 4; XI 18
24.
472 V 1
1-3.
473 «Ma si deve pur riposare!». Si deve: lo dico anch‘io. Sicuramente la natura ha stabilito una
misura anche per questo, sicuramente l‘ha stabilita anche per il mangiare e per il bere, eppure tu
procedi al di là di quella misura, al di là di quel che ti basta; quando si tratta di fare qualcosa, però,
non è più così, ma: «nei limiti del possibile»! V 14.
474 Noctes Atticae XVII 19. Si veda anche l‘arguta replica di Erode Attico ad uno di questi studenti
di filosofia alla moda che si legge in I 2. 475
Si tratta, rispettivamente, di VI 502 e di X 33
1.
181
476; nel secondo, invece, dove ricompaiono identici i fili che
tramano l‘ordito lessicale in IV 1, le diverse voci, che nel passo in esame sono
dislocate, tramite una figura di chiasmo, a cavallo dei §§1-2, risuonano tutte
assieme in un unico accordo: 477
.
476
―Ricorda che ti accingi con riserva, che poi non miravi all‘impossibile‖. 477
―Che cos‘è che si può fare o dire nel modo migliore in questa situazione?‖.
182
(3) [A T D C] 1
2 (…) (…). 3 T D: C A vitio rubr. C nonn.: A
T C rell. D … A T C: om. D del. Dalfen (cfr. Hermes 102, 1974, p. 56 sq.) … A T C: D T C: A D A T C:
D (,,) Reiske, Holste, Farquharson, Cortassa: A T
C D (‗molestiam‘ Xylander) Trannoy <> Isaac Casaubon Meric Casaubon
cercava di tenersi lontano dalla confusione, cosicché si sedeva a un capo dello scranno, al fine di
evitare di essere infastidito da almeno metà della gente) D. L. 7. 14; (evitare di contaminarsi) J. AJ. 2. 3. 2; cfr. Him. Or. 2. 26, AP. 10. 59. 2 (Pall.). A onor del vero,
però, l‘unica altra occorrenza del verbo nell‘ presenta un significato affatto diverso:
(il presente è da usare a proprio vantaggio con
ragionevolezza e giustizia) IV 263.
516 Cortassa 1984, p. 94. A riprova ulteriore si potranno aggiungere
(XI 156) e (III 16
3; IV 10
2).
190
prossimo per non abbandonare il sentiero della virtù. Qui il corridore indugia nella
corsa della vita pur di osservare un cattivo soggetto517
. Analogo è anche IX 294,
dove invita a compiere il proprio dovere a
prescindere dall‘approvazione altrui518
.
517
L‘esatto significato dell‘espressione sarà chiarito in dettaglio da Marco Aurelio
stesso in IV 28. 518
―Non voltarti intorno a guardare che ci sia chi lo venga a sapere‖ Maltese 1993, p. 175.
191
(19) [A T D] 1 (…) 3
…(20) [A T D C] 1 ‗primam capit. litteram vitio rubricistae, ut saepius accidit, om. A‘ Dalfen T:
Reiske Schultz, ‗locus desperatus‘ Schenkl (ed. mai.) in app., cruces loco app. Haines,
Trannoy A T D: Reiske, Schultz Gataker, Dalfen, Maltese:
T A D Leopold Boot Reiske <> Marchant,
Farquharson, Cortassa A T D: Boot, post lac. ind. Farquharson,
Cortassa, Maltese T D C: ( om.) A Boot, Trannoy, Dalfen A D
C: T A T C et omnes fere edd.: D Rendall
Hoffmann Schenkl (ed. mai.) Nauck, Farquharson, Cortassa, Maltese: A T D C Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy, Dalfen.
Fa certo specie notare che, anteriormente all‘apparizione di A, dove il secondo
può ben essere caduto per uno dei suoi molteplici errori di aplografia,
nessuno degli editori esprimesse il benché minimo dubbio sulla lezione di T al §1.
L‘enfasi indotta dalla ripetizione, infatti, è appropriata al contesto e rimanda a
taluni tratti stilistici peculiari dell‘ 519.
Ricavare un senso accettabile dal §3 si rivela quanto mai complicato: l‘esitazione
degli interpreti a definire l‘esatta successione dei capitoli 19 e 20 acuisce di molto
le difficoltà. La scelta più opportuna appare così una giudiziosa cautela verso il
dettato dei manoscritti, limitando al massimo il numero delle correzioni.
Accogliendo da Gataker il lievissimo ritocco all‘ che si legge in T520
, e
seguendo saggiamente Farquharson nel considerare il testo mutilo della sua
conclusione, E. V. Maltese giunge a un ottimo compromesso521
. Arnold Boot
suggeriva però di intendere come la prima parola del capitolo 20: con una
formula di trapasso Marco Aurelio si diffonderebbe ora in considerazioni ulteriori
sull‘inutilità della lode. Tuttavia, a meno di non giudicare gli attuali capitoli 19 e
20 come le due metà di un unico brano, poi erroneamente diviso, l‘ipotesi non è
praticabile522
. Inoltre, grazie al confronto tra i diversi testimoni a nostra
disposizione, non sembrano sussistere incertezze sull‘autentico assetto redazionale
519
Un caso analogo è già stato discusso a proposito di III 53. Un primo approccio sistematico al
problema si deve, come detto, a Cortassa 1981, p. 225. 520
Trannoy 1925, p. XIV-XV ricorda, in proposito, la frequente confusione tra i segni e in tutti i
manoscritti dell‘ , imputabile con certezza alla minuscola dell‘archetipo. 521
―Adesso, infatti, tu trascura pure inopportunamente la dote naturale, dedicandoti a un‘altra
ragione; poi […]‖ Maltese 1993, p. 55. L‘imperativo deve avere la stessa sfumatura
concessiva che ritroviamo, ad esempio, in II 61. Il confronto con
(non t‘impressioni il biasimo che ne viene di certuni o le
chiacchiere), che è il convincente parallelo che si legge in V 31, sembra però suggerire un‘altra
accezione di , persino più adatta al contesto: ―prestando orecchio alle chiacchiere di qualcun
altro‖. Sulla stessa linea Haines 1916, p. 77. 522
Marco Aurelio impiega generalmente (IV 39; VI 42
3) per ricapitolare quanto detto in
precedenza: analogo l‘uso del semplice in IV 36 e 49
6.
192
del testo in questo punto523
. Perché, se è vero che T non presenta alcuna soluzione
di continuità tra i capitoli 19 e 20, e soltanto al §2, con le parole
, la maiuscola sembra indicare una qualche separazione da ciò che precede, è
però altrettanto vero che i codici della classe C riprendono proprio da qui la loro
collezione di estratti dal quarto libro, copiando il capitolo 20 per intero. Dalla
contemporanea omissione in A della lettera capitale rubricata si può agevolmente
dedurre che le prime parole del capitolo 20 fossero davvero
524.
La chiusa del §1 è tuttavia inquinata da un‘altra menda dell‘archetipo: la
correzione di Nauck ripristina elegantemente uno stilema abituale nell‘
525. Che persino il dotto excerptor di D si veda costretto al maldestro
, è il più sicuro indizio di una difficoltà oggettiva del testo: se l‘alterazione in
di un secondo può essere problematica da giustificare sul piano
paleografico, non resta che correggere il primo, comunque inammissibile da solo.
523
Decisive, in proposito, le accuratissime ricognizioni sui manoscritti compendiate in Schenkl (ed.
mai.) 1913, p. 162. 524
Schenkl (ed. mai.) 1913, Adn. Suppl., p. 172; Farquharson 1944, vol. I, p. 58. 525
Le occorrenze dei correlativi … … sono numerosissime: I 159, 16
20 ( … …
…); II 13, 11
5-6, 14
4; III 13
2, 14, 16
4; IV 3
2, 8, 37, 39
4, 49
2; V 1
7, 28
4; VI 16
1 8, 18
1, 20
1, 41
2;
VII 261, 62
2, 64
1, 68
4; VIII 10, 36
2, 52
3; IX 9
6, 30
2; X 1
2, 33
8; XI 11; XII 24
1.
193
(21) [A T D] 1‗ ‘ 2 <> A T D: Gataker tacite <> Casaubon,
Gataker, Leopold, Haines, Farquharson, Cortassa, Maltese: A T D ‗gloss.
(ad ) seclusi‘ Dalfen Rendall Schenkl
(ed. mai.), cruces loco app. Trannoy s. l. D T s. l. D
Gataker: T A D Reiske.
La limpida correzione di Casaubon e di Gataker preserva, nel modo più semplice,
il caratteristico , di cui non appare opportuno privarsi526
: l‘andamento
della comparazione presuppone un‘espressione analoga nel comparante che bilanci
l‘ del comparato.
La drastica soluzione di Dalfen dimentica tutto questo.
526
…
(i più famosi degli Stoici discettano … della persistenza delle nostre anime) Clem. Al. Strom. V 14,
p. 712 Pott. (=SVF II, p. 182, 18-20 Von Arnim).
194
(27) [A T] 1
2 <> Heracl. Fr. 125 DK
6.
A T: Schultz Lofft del.
Theiler A T: Reiske Rendall, Leopold
Schenkl (ed. mai.) in app. <> Bignone Trannoy
Dalfen, cruces loco app. Haines A T: Trannoy
A T: del. Lemercier A T: Rees.
L‘occorrenza di , che denota una mescolanza confusa, dimostra a
sufficienza che la meditazione presente è ispirata al famoso frammento di Eraclito
trascritto in apparato527
. L‘obbiettivo primario è denunciare l‘illogicità di pensare il
mondo come caos: conseguenza, questa, agli occhi del Nostro, inammissibile
perfino accogliendo l‘ipotesi atomistica, di Democrito, ma soprattutto di Epicuro. Il
ragionamento che comprova il contrario fa forza sui concetti che il sentire
dell‘uomo è all‘unisono col sentire del tutto ed egli sente la sua interiorità come un
, ossia come ordine e armonia. Approfittando della distinctio introdotta
dall‘epanadiplosi, Marco Aurelio adopera , nei due membri, in
un‘accezione leggermente diversa, a seconda che il suo significato sia definito o
meno dai participi: ‗un universo che è ordinato … un miscuglio che risulta in
ordine‘528
. Questo non contravviene affatto all‘uso di negli autori greci529
.
Marco Aurelio è autorizzato a trattare i mondi della teoria atomistica come nel secondo senso dal linguaggio di Epicuro, la cui preoccupazione fondamentale è
di rendere intelligibile il divenire, ancorandolo ad un principio di causa rigidamente
formulato. Quel che gli preme è di fondare teoreticamente l‘ordine dell‘universo e
la regolarità dei fenomeni, che ci sono peraltro testimoniati dall‘esperienza; giacché
non si dimentichi che lo scopo esplicitamente dichiarato della sua scienza è quello
di assicurare all‘uomo la tranquillità. Ora in un universo dove non esistessero limiti
al possibile, ma tutto accadesse a caso, dove ogni cosa potesse nascere da ogni altra
cosa, l‘uomo si troverebbe in quello stato di continua incertezza, di ansia e di
terrore, nel quale si troverebbe se gli eventi fossero alla mercé della volontà
arbitraria degli dei. Così Lucrezio parla ripetutamente di ‗naturae foedera‘, e di
‗validas aevi leges‘, e, descrivendo il risultato degli incontri tra gli atomi: ‗tandem
deveniunt in talis disposituras, qualibus haec rerum consistit summa creata‘530
.
D‘altronde è paradossale che proprio chi rifiuta la definizione di per il
eracliteo ricordi che ―è pericoloso esagerare nella seconda parte e far
negare da M. Aurelio assolutamente la possibilità di un ove non manchi
qualche parvenza di ordine; perché egli (che ama mostrarsi oggettivo e tollerante
527
Il frammento esprimerebbe, nel complesso, la necessità del movimento per la sussistenza di un
composto, in specie se esso è prodotto da un elemento secco e da uno umido. Come il ‗ciceone‘ si
mantiene soltanto se mescolato di continuo, così il moto perpetuo è un‘esigenza dell‘universo. Il
termine ricorre, con identica accezione, anche in VI 101 e IX 39
1.
528 Farquharson 1944, vol. II, p. 615.
529 Per le due accezioni di , cfr. …
[Arist.] Mu. 391
b9.
530 ―giungono infine ad assumere quelle tali disposizioni, di cui consiste l‘attuale struttura
dell‘universo‖ Lucr. I, 1027-1028. La traduzione si deve a Luca Canali, Lucrezio, La natura delle
cose, Rizzoli (BUR), Milano 1994, p. 149.
195
dei diversi sistemi, sì che cita più volte Epicuro, e stabilì una cattedra di
epicureismo) evidentemente pensava al cosmo epicureo in cui vi è pure un ordine,
sebbene molto sui generis, per un giudice come M. Aurelio‖531
.
Su di un analogo equivoco linguistico s‘incardina anche l‘argomentazione di uno
dei passaggi chiave di X 7, che sviluppa il tema dell‘impossibilità di intendere il
mutamento, sotto lo stretto profilo e nella specifica determinazione di mutamento
delle parti, come un male532
. Qui ―è possibile riconoscere il ritorno alla posizione
epicurea, che comunque non viene respinta in quanto tale, ma soltanto per il
suffragio che potrebbe dare al ventilato carattere negativo e di male del mutamento
delle parti. L‘ipotesi, anziché far riferimento alla natura, con la sua portata
finalistica e razionale, si appella al puro , a una cieca necessità naturale
qual è, per l‘appunto, quella del movimento degli atomi. Ma anche in questa ipotesi
la negatività del mutamento delle parti si rivela assurda; più esattamente, dà luogo
al ridicolo (). Tale mutamento, infatti, da un lato deve considerarsi
necessario, in quanto determinato dalla cieca necessità della natura, dall‘altro,
essendo un male, fa sorgere lo stupore per ciò che accade, come se esso nella sua
negatività fosse contrario alla legge che lo causa. Quella legge che, per l‘appunto,
determina il risolversi della cosa negli elementi di cui è costituita‖533
.
Se poi si guarda a X 6, l‘affinità col paradosso introdotto da IV 27 è ancora più
evidente534
. ―Il testo sembra presentare una vistosa contraddizione, ma essa è in
realtà solo apparente. Come acutamente fa notare P. Fournier535
, qui (e altrove: cfr.
Pensieri, VI, 44; IX, 28; XII, 14; 24) Marco Aurelio vuol dire che, a prescindere da
quella che può essere la struttura dell‘universo, bisogna comunque comportarsi
come se fosse governato da una natura razionale. Per sostenere nel modo più
categorico la necessità dell‘applicazione dei suoi principi morali, Marco Aurelio
giunge ad affermarla anche indipendentemente da qualsiasi supporto ontologico.
Ma si tratta ovviamente di un‘ipotesi per assurdo, che non implica da parte di
Marco Aurelio un dubbio reale sulla struttura del cosmo, come è dimostrato da
Pensieri VI, 44, dove in un contesto analogo Marco Aurelio ribadisce le sue teorie
ontologiche. Giustamente M. Pohlenz, riprendendo e sviluppando quanto è asserito
dal Fournier, afferma536
: «Tali affermazioni rispondono esclusivamente al bisogno
[…] di garantire in modo affatto incondizionato il dovere morale, non importano la
rinuncia ad una convinzione metafisica»‖537
. Ma forse si può essere ancora più
531 Bignone 1924, p. 517. 532
[] (Se poi qualcuno, anche mettendo da parte la Natura, spiegasse queste cose in base a
una legge naturale, anche così sarebbe ridicolo affermare da un lato che le parti del tutto si
trasformano per una legge naturale, dall‘altro stupirsi o adirarsi come per un evento contro natura,
soprattutto se la dissoluzione si produce negli elementi di cui ciascun essere è costituito) X 74.
533 Zanatta 1997, p. 709.
534
(Vuoi atomi, vuoi Natura, il primo assunto
sia: ‗sono parte del tutto amministrato dalla Natura‘; il secondo: ‗ho un rapporto di familiarità con le
parti dello stesso tipo‘) X 61.
535 Pensées de Marc Aurèle. Traduction d‘Auguste Couat éditée par P. Fournier. Paris-Bordeaux,
1904, comm. ad loc., p. 208. 536
La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it. Firenze, 1967, vol. II, p. 144. 537 Cortassa 1984, p. 438-439, n. 12. Galeno sottolinea che è indifferente per la vita di tutti i giorni
se il mondo sia stato creato o meno da Dio o da una causa che operi alla cieca, purché proceda come
se fosse in conformità a un disegno, V. 780. In questa prospettiva, Marco Aurelio può affermare
serenamente:
196
rigorosi: ―in apertura, l‘alternativa, lasciata aperta dall‘imperatore, tra l‘ipotesi
atomistica di Epicuro e quella stoica della universale non significa affatto
che egli vi attribuisca uguale attendibilità, o che in questa sede finisca per
concedere un certo qual valore e una certa qual plausibilità anche a quella tesi di un
universo fatto di atomi e vuoto che altrove aveva rigettato come aberrante (cfr. VI,
44; IX, 28; XII, 14, 24). Con la conseguente contraddizione tra questi luoghi.
L‘attuale riferimento a essa, nell‘opposizione alla dottrina stoica della , che,
come si vede, continua a persistere, ha invece il valore di una supposizione fatta per
assurdo e formulata per dichiarare che anche in questo caso il nesso tra l‘uomo con
l‘universo e gli altri uomini non cessa di valere. Giacché anche in quest‘assurda
ipotesi risulta che unica è la legge (meglio: la struttura ontologica) di tutti i termini
chiamati in causa; termini che anche in tal modo appaiono saldamente e
costitutivamente connessi tra loro. Tutti infatti sono costituiti dall‘aggregazione di
atomi, tutti sono fatti dalla stessa materia. Per cui tutti sono accomunati dal
medesimo fondamento. E il fatto che una simile unità dell‘uomo col tutto e con i
suoi simili emerga anche da una tale aberrante ipotesi, comprova in modo
definitivo l‘indefettibile certezza e l‘assoluta verità di quell‘unione medesima,
rafforzata dal riaffermarsi anche nella negatività di una premessa dalla quale
parrebbe invece negata‖538
.
(Ma se c‘è un disordine ingovernabile, rallegrati di avere per conto
tuo, in te stesso, in mezzo a una tempesta come questa, una mente che ti governa) XII 144.
538 Zanatta 1997, p. 706-707.
197
(30) [A T] A T Stich: Gataker et vulgo edd.
Mantenendo il testo tradito, e rifiutando la fortunatissima congettura di Th.
Gataker, J. Stich aveva certamente ragione:539
«C‘è chi fa il filosofo senza la
tunica, chi senza libri. Un altro s e m p l i c e m e n t e seminudo».
539
Cfr. Giangrande 2003, p. 228.
198
(36) [A T D] 1 <> <> ‗post punctum pos. T, sustulit Xylander‘ Schenkl (ed. mai.) <> <> scripsi: T A D et
vulgo edd. < ( Gataker)> Casaubon Gataker
<> <> Coraìs <, > Schenkl (ed. mai.) in app.
Immaginando uno dei più semplici casi di aplografia, la correzione proposta mira
a conservare il testo di T, risolvendo l‘anomalia sintattica introdotta dal participio
predicativo540
: ―Osserva ininterrottamente come si produca tutto ciò che si produce
per trasformazione, e abituati a pensare che la natura universale nulla ama tanto,
quanto trasformare le cose e farne di nuove identiche‖.
540
Il testo di A D non può che significare: ―Guarda continuamente tutte le cose nascere per
trasformazione‖. Tutto ciò ci allontana di molto da ‗promuovere ad oggetto di speculazione teorica‘,
che è l‘accezione del verbo richiesta dalla prosa filosofica. L‘unico altro esempio che si può
produrre di questa costruzione nell‘ dipende, una volta di più, dall‘arbitraria preferenza
per il dettato di A, che ha causato non pochi imbarazzi agli interpreti: X 26
3. Per si vedano invece XI 16
2 e XII 35
1; per
II 13 e XI 1
3; per seguito dall‘interrogativa indiretta si dispone infine di IX
4010
.
199
(38) [A T] A T: secl. Dalfen Gataker Schultz <, >
Kronemberg <, > Marchant.
La dettagliata discussione di Farquharson chiarisce l‘assoluta coerenza del dettato
dei manoscritti: ―Esamina a fondo il loro principio dirigente, e quali cose rifuggano
i benpensanti, quali invece perseguano‖541
. La posizione di non
rappresenta una difficoltà apprezzabile, trattandosi della consueta anticipazione del
soggetto della frase subordinata542
.
541
Farquharson 1944, vol. II, p. 625. 542
Farquharson 1944, vol. II, p. 626. Cfr. inoltre II 13, 2
3; VII 34
1; IX 29
5, 32
2.
200
(39) [A T] 4 < > < > Schenkl (ed. mai.) et omnes fere edd.:
< > Gataker, Dalfen, Maltese < > ante Casaubon.
Ritoccando lievemente l‘ottima integrazione già suggerita da Gataker, Schenkl
ripristina un perfetto parallelismo con l‘anafora … … del secondo
membro di frase.
201
(43) [A T D] A T D: Nauck, Leopold, Farquharson, secl. Dalfen A T D suspexit Nauck:
Trannoy in app.
La maldestra correzione di Nauck contraddice uno dei tratti stilistici più evidenti
nell‘ : il diffuso ricorso alla frase nominale non può essere trascurato543
.
543
Sulla correttezza del sintagma introdotto da non è lecito nutrire dubbi: II 22; VI 32
1, 46; VII
92; XI 17. Il testo tradito è confermato dalla citazione di J. B., cfr. Rees 2000, p. 588.
A T: ‗hic seclusi et ante transtuli‘ Dalfen Diano: vulgo edd. T: A, spat. vac. in D <> Casaubon, Leopold, Farquharson: A T D Haines, Dalfen, Cortassa, Maltese <> Gataker Schenkl (ed. mai.), Trannoy Theiler Rendall,
Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Farquharson: A T D []
Casaubon Dalfen‗hexametri clausula esse videtur‘, Maltese,cruces loco app.
Trannoy (qui autem in app. coni.), Cortassa.
Per il testo e la punteggiatura del §3 non si può che rimandare alle puntuali
osservazioni di Carlo Diano e di Giuseppe Serra544
.
La presente restituzione del §5 presuppone invece il tradizionale supplemento di
Casaubon e il brillante emendamento di Rendall545
, che approfitta di una
felicissima correzione di Headlam al testo di un epigramma di Meleagro546
,
sorprendentemente affine nei contenuti alla citazione di Marco Aurelio547
, per
identificare la voce nel dettato dei manoscritti.
544
Eraclito, I frammenti e le testimonianze, a cura di Carlo Diano e Giuseppe Serra, Fondazione
Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1980, p. 109. 545
Rendall 1902, p. 26. 546
Headlam: P. 547
‗ ‘ ‗ ‘ ‗ ‘ ‗ ‘ ‗ ‘ ‗ ‘ ‗ ‘ («O uomo, Eraclito son io, che imparò la sapienza in solitudine». «Vero: ma più
che la sapienza valgono i meriti verso la patria». «Ahi, mordevo, latravo anche contro i miei
genitori, straniero». «Bella ricompensa per chi t‘ha cresciuto!» «Vattene!» «Non essere duro:
presto dure notizie apprenderai dalla patria». «Stammi bene». «Pure tu, anche se vieni da Efeso».)
AP. 7. 79. La traduzione si deve a Giulio Guidorizzi, Meleagro, Epigrammi, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano 1992, p. 99.
203
(48) [A T] 4 T Leopold, Haines, Trannoy, Farquharson, Cortassa: A Dalfen, Maltese Schenkl (ed. mai.)
T: A A T: del. Wilamowitz.
Il testo di T è sicuramente corretto548
: la confusione in A tra i segni e è un
fatto assodato che non deve trarre in inganno549
.
548
Il persuasivo confronto con VII 15 toglie ogni dubbio in proposito. 549
Ne troviamo un ulteriore esempio subito dopo T: A.
204
(50) [A T D] 1
2
[A T] 3(…)
4 … A T: om. D, ‗fort. delendum‘ Dalfen T: A D T: A D T: A D A T
Zuntz: Bas. et vulgo edd. A T: Richards post lac. ind. Farquharson
(sed cfr. IV 17; IX 283; XII 20).
Il §1 rappresenta un terreno privilegiato per saggiare l‘effettiva attendibilità di D
come testimone autonomo: la deliberata omissione delle prime parole del testo, che
la redazione di T dimostra indubitabilmente autentiche, e le correzioni ivi
introdotte, ora brillanti e sagaci, ora maldestre ed incaute, rivelano tutti i pregi e
tutti i difetti del suo estensore. La totale dipendenza da A e l‘arbitrarietà dei tagli,
indotta dal carattere antologico della raccolta, non richiedono prove più
convincenti.
Gli argomenti discussi da G. Zuntz per ripristinare al §3 la probabile lezione
dell‘archetipo , pressoché scomparsa in seguito alla riedizione di Basilea del
Dalfen vel Casaubon Reiske ‗ temptaverim (cfr. Dio
Cass. 79, 18, 2; 66, 8, 6)‘ Dalfen, cruces loco app. Trannoy (qui autem in app. coni.).
Come si evince da una rapida ricognizione degli usi linguistici nell‘
551, l‘esatto significato delle parole in apertura del §1 non può che essere:
―Ricorri sempre alla via più breve‖. Ogni dubbio sulla genuinità dell‘espressione va
perciò accantonato552
.
L‘attenta disamina di Farquharson chiarisce bene la sostanza metaforica celata
nel termine impiegato da Marco Aurelio al §2553
.
551
Cfr. V 13; IX 22
1; XI 2
2.
552 Zuntz 1946, p. 52.
553 Farquharson 1944, vol. II, p. 638.
206
207
Note al
LIBRO V
208
209
(1) [A T D] 1 ‗‘ 2 A T D: Ménage Upton s. l. D A D: T Schenkl (ed.
mai.), Trannoy A T D: Gataker tacite A T D: Wilamowitz Schmidt, Fournier, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Theiler: A T D Maltese, secl.
Farquharson (versionem Xyl. ‗ergone ad voluptatem natus es, non ad agendum?‘ secutus), Dalfen,
Cortassa, cruces loco app. Trannoy (qui autem in app. coni.) A D: T Stich
<> Coraìs Wilamowitz Bury T D: A Bury Farquharson, Cortassa A T D: Gataker T D: A A D: om. T (‗singula haec suo intenta officio‘ Xylander) A: T D T Farquharson, Cortassa: A D et vulgo edd.
Come dimostrano a sufficienza tutte le altre occorrenze del termine nell‘
, di A e D è sicuramente corretto554
. Tuttavia, dal momento che
riprende per estensione la condanna dell‘ implicita nella prima
interrogativa, e si contrappone a sua volta al successivo , si è considerata
intollerabile la presenza di nella seconda domanda, che, stando almeno al testo
dei manoscritti, presuppone una risposta affermativa. Con varie soluzioni, tutte
rispettose del senso generale del passo, è stato dunque rimosso l‘ostacolo della
negazione. Nonostante l‘attenzione che si deve alle puntuali osservazioni di
Farquharson555
, l‘emendamento , indipendentemente proposto da
Fournier e da Schmidt, può comunque contare sulla facilissima confusione, in una
grafia minuscola, tra le forme e , e sulla ricorrenza del pronome di seconda
persona anche ai §§3, 4 e 6 di questo stesso capitolo.
Il tentativo più ingegnoso di conservare il dettato della tradizione si deve a E. V.
Maltese, che propende per una diversa spiegazione di tutto il passaggio556
.
―Evidentemente la menzione dell‘ non pone ancora il problema in tutta la
sua gravità, richiede un‘immediata precisazione. Così, non senza un moto d‘
impazienza, la seconda domanda mette a fuoco il punto essenziale: «Dunque sei
nato per godere? Insomma non forse per essere passivo? O invece per agire?»; in
altri termini, esser nato per il piacere non significa forse, su un piano più generale,
esser nato per la passività?‖557
. La principale difficoltà di questa interpretazione
non è tanto l‘accezione presupposta per , che, al contrario, risulta ben
554
(Chi ama la gloria ripone il proprio bene nell‘attività altrui, chi
ama il piacere nella propria passività: chi ha senno nella propria iniziativa) VI 51; … (Il male e il bene dell‘essere … razionale
consiste non nella passività, ma nell‘attività) IX 16. 555
―The stress upon the pronoun is unnatural and is difficult in construction and sense; we expect
‖. (L‘enfasi sul pronome non è naturale, mentre fa difficoltà per la costruzione ed il senso; ci si
aspetta ) Farquharson 1944, vol. II, p. 639. 556
(―Sei nato, allora,
per godere? Il che, insomma, non significa forse: per essere passivo? O, invece, sei nato per essere
attivo?‖) Maltese 1993, p. 68-69. 557
Maltese 1986, p. 229.
210
documentata558
, quanto piuttosto il suo impiego effettivo: Marco Aurelio sembra
affidare a il compito di riprendere sinteticamente le fila di un
ragionamento più esteso, mentre ricorre a espressioni assai diverse per la correctio
di una voce isolata559
.
L‘hapax legomenon , testimoniato da A e D, è ovviamente
attraente, ma a favore di depone la vigorosa figura etymologica che
ritroviamo anche in di VII 91.
558
Cfr. IV 5, 62; IX 42
6; X 33
8. Analogo è il valore di in VI 16
9; VII 1
2; IX 40
10; XI 2
2; di
in V 84; di in II 10
3; XI 8
6. Con identica accezione troviamo anche
IV 483 e IV 26
5; IX 28
3; X 26
2.
559 L‘elenco, a questo punto, è piuttosto nutrito: II 7
2; III 4
3, 6
1; VIII 51
1; XI 18
6; XII 19
1;
VI 231; IV 46
5; VI 14
1; VII 68
3; III 41; IV 393; VI 1610;
VIII 451; IX 312; XI 213, 25; XII 33 e 4.
211
(1) [A T D] 3 4‗ ‘ ‗ ‘ Schenkl (ed. mai.), Trannoy, Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese: T A D Leopold, Haines 1
L‘autorità di Thomas Gataker ha pesato a lungo sull‘interpretazione di un
passaggio molto controverso nella storia della tradizione572
. È solo di recente,
infatti, che J. Dalfen ha proposto di rimediare all‘evidente corruttela dei manoscritti
approfittando della testimonianza di Aristotele573
. Nulla, però, che possa competere
con l‘arguzia di A. Nauck, il quale, esplicitando la reticente allusione alla battuta di
Menandro, prolunga sottilmente nell‘aposiopesi il divertissement letterario fino
all‘esplosione di trivialità dell‘ finale.
La ravvicinata concomitanza, al §3, delle due negazioni ha da sempre suscitato
imbarazzo tra gl‘interpreti: gli editori si dividono equamente tra l‘espunzione di
Morus e la correzione di Lofft. È tuttavia possibile, come peraltro sembra incline a
pensare lo stesso Haines574
, che la soluzione adottata da Rendall non sia poi così
impraticabile575
.
572 Le sensate correzioni all‘inammissibile , testimoniato tanto da
A quanto da T, sono ancora presupposte, ad esempio, dalla classica traduzione ottocentesca di
Long: ―For if any man should conceive certain things as being really good, such as prudence,
temperance, justice, fortitude, he would not, after having first conceived these, endure to listen to
anything which should not be in harmony with what is really good‖. The Thoughts of the Emperor
Marcus Aurelius Antoninus. Translated by George Long. London 1862. L‘innegabile miglioria di
Reiske , sia pure ineccepibile da un punto di vista paleografico,
introduce però per congettura un improbabile hapax legomenon. 573
―textum Marci sanare conatus sum Aristotelem (Polit. 1323b 6 sqq.) secutus: …
(sc. ) ‖
Dalfen 1979, p. 40. 574
―Rendall keeps and translates: «would not fail to shock»‖ (Rendall mantiene e traduce:
«non mancherebbe di colpire») Haines 1913, p. 112. 575
221
Lys. VI. 34. ―Andocide,
del resto, non chiede soltanto di condurre una tranquilla vita da cittadino, come se non fosse
colpevole; si comporta invece come se fosse stato lui a individuare i responsabili dei crimini contro
la città e si adopera per acquistare maggior potere, come se non fosse grazie alla vostra mitezza e
agli impegni che vi assorbivano che ha evitato di essere punito da voi, che ora sta manifestamente
oltraggiando: ma in un sol colpo sarà dimostrato colpevole e punito!‖. La traduzione si deve a
Enrico Medda, Lisia, Orazioni (I-XV), Rizzoli (BUR), Milano 1991, p. 211. Lys. XIII. 52. ―Forse sosterrà di aver compiuto tanti delitti contro la sua volontà.
Per quanto mi rigurda, giudici, non penso che se un uomo, involontariamente quanto si vuole, causa
sciagure enormi, oltre le quali non si può andare, questa sia una ragione per cui voi non dovreste
difendervi da lui‖. Ibid. p. 387. (perché non penso che tu
sia nato senza la protezione degli Dei) Od. III. 27-28.
222
(15) [A T] 1
2 3 T Leopold, Haines: A et vulgo edd. T Leopold, Haines: om. A
Gataker et vulgo edd. T: A T: A A: T Dalfen, Maltese A T: ut glossema del. Dalfen.
Le note di Farquharson chiariscono bene perché di A abbia esercitato
così tanto fascino sugli interpreti576
. La successiva caduta di alcune parole,
imputabile al consueto errore di aplografia, si è trasformata paradossalmente nel
più forte argomento a favore della correzione di Gataker, che dell‘esistenza del
codice A non era neppure a conoscenza. Vale però la pena di chiedersi perché mai
rinunciare pregiudizialmente a un testo che, nella lezione di T, appare privo di
qualunque difficoltà.
È davvero singolare come Dalfen, che pure è il solo, con Leopold, a riconoscere i
giusti meriti di un‘analoga correzione di Reiske577
, non accolga da A la variante
, che ne costituisce l‘unico vero riscontro nei nostri manoscritti.
Se nell‘ non si incontrassero molti altri passaggi in uno stile assai
prossimo a questo, le ragioni invocate da Dalfen per espungere dal testo
del §3, alla stregua di una semplice interpolazione, dovrebbero suscitare un
maggiore interesse. Ogni dubbio sulla genuinità della lezione trasmessa è tuttavia
destinato a cadere, ove si legga, ad esempio,
578: l‘espunzione delle ultime parole, a
suo tempo proposta da Gilles Ménage, non ha giustamente trovato alcun
sostenitore. Due luoghi, scelti quasi a caso dal quarto libro, chiariscono bene il
perché. ―Il tuo male ― spiega Marco Aurelio ― non si trova nel principio dirigente
di un altro, e neppure in qualche mutamento e alterazione dell‘ambiente. «Dov‘è,
dunque?». Dove tu hai quel che giudica dei mali. Questo, dunque, non giudichi, e
tutto va bene‖. 579
. L‘inciso , che Marco Aurelio
giustappone a chiosare l‘espressione , è assolutamente
576
Cfr. (Bisogna osservare che cosa ricerca
la tua natura in quanto animale ecc.) X 22, citato da Farquharson 1944, vol. II, p. 657. Il verbo
è particolarmente caro a Marco Aurelio: nell‘accezione qui presupposta si trova impiegato
almeno in III 67, VI 26
3 e XI 10
4. L‘ulteriore occorrenza di IX 41
1 (=Epicur. fr. 191 Usener)
conferma la generale benevolenza dell‘imperatore di fronte alle posizioni epicuree. 577
( A T) (piccolo, dunque, ciò che
vive ciascuno, piccolo l‘angolino della Terra dove vive; piccola, poi, anche la più lunga fama tra i
posteri, grazie a una serie di omiciattoli, per giunta, che saranno morti rapidissimamente e non
conoscono se stessi, tanto meno chi è morto da tanto tempo) III 102. ―In tale contesto è certo che il
nesso riproduce il latino nedum‖ P. Pascucci ―Ricalchi latini …‖ p. 142. 578
―Socrate chiamava Lamie, spauracchi dei mocciosi, anche le idee dei più‖ XI 23. 579
―Anche se ciò che gli sta più appresso, il corpicino, è inciso, cauterizzato, suppura,
incancrenisce, l‘organo che giudica di questo se ne stia tranquillo lo stesso, riconosca, cioè, né che
sia un male né un bene quel che può capitare indifferentemente a un uomo malvagio e a uno buono‖
IV 393.
223
superfluo, in vista di ciò che segue, alla comprensione del testo, ma nessuno degli
editori ne ha accolto l‘espunzione caldeggiata da Morus. Le prime righe di IV 40
sono, se possibile, ancora più indicative: 580
. A dispetto della sua inutilità, non c‘è editore antico o
moderno che abbia esitato nell‘attribuire a Marco Aurelio questa precisazione.
580
―Pensare costantemente all‘Universo come a un unico vivente, dotato di un‘unica sostanza e di
un‘anima unica, e in quale modo tutto pervenga a un‘unica sensazione, la sua, ecc.‖
224
(15) [A T] 4
5 A T: Coraìs, Leopold T: A T: A A T et fere
omnes edd.: ‗(sim. iam Theiler, qui post inser.)‘ Dalfen …
om. A, neque Xylander expressit in versione del. Lemercier, suspexit
Cortassa: A T Leopold, Haines, Dalfen, Maltese < > Fournier.
Nel rimediare all‘ovvia corruttela del §5, la soluzione adottata da Dalfen è
pienamente accettabile: sciogliendo in il tradito , l‘editore
rimuove agevolmente anche il non secondario ostacolo del congiuntivo , concordemente testimoniato in tutta la tradizione. Sembra però più opportuno non
privarsi del caratteristico poliptoto ―, che, con l‘alternanza
delle forme attiva e passiva, punteggia diversi altri luoghi dell‘ ,
modellandone alcuni dei più indimenticabili aforismi581
. Tuttavia, a meno di non
accogliere l‘emendamento di Fournier, o qualcun altro equivalente a questo, non è
davvero possibile, come fanno Leopold, Haines e, a quanto pare, Maltese,
conservare come congiuntivo indipendente, senza che sia retto, cioè, da
alcuna particella.
581
(Perché la sorte assegnata a
ciascuno è coinvolta e coinvolge) III 46;
(Tutto effimero: e ciò che ricorda e ciò ch‘è ricordato) IV 35; (Riposano comunque, da qualche parte, Cediciano, Fabio, Giuliano, Lepido o altri
come loro, che molti seppellirono, ma finirono poi sepolti) ibid. 503;
(Tutto si compie secondo la natura universale: perché
di certo non secondo un‘altra natura o che dall‘esterno la includa o che le stia inclusa all‘interno o
che ne stia all‘esterno disgiunta) VI 9; (E allora? Vuoi anche tu lo stesso? Non vuoi piuttosto lasciare i turbamenti altrui a chi
turba e n‘è turbato, e dedicarti interamente a come approfittarne per conto tuo?) VII 582;
(Ha breve vita e chi
loda e chi è lodato, e chi ricorda e chi è ricordato) VIII 212; (Perciò la cessazione dell‘esistenza non è certo un
male dell‘individuo, perché non è neppure un errore, se è vero che, da un lato, prescinde dalla
volontà individuale e, dall‘altro, non contravviene agli interessi della società; anzi, è un bene, se è
vero ch‘è opportuna all‘Universo e gli giova e se ne giova) XII 235.
225
(16) [A T] 3(…) <
> < > suppl. Gataker, Farquharson, Cortassa T: om. A, secl. Stich, Leopold, Haines, Dalfen, Maltese <>
Coraìs Schenkl (ed. mai.), Trannoy T:
A A: T.
La continua omissione di righe, porzioni di riga, e perfino di passi più ampi, di
due o tre righe, costituisce, purtroppo, un tratto caratterizzante della scrittura di A,
dove le conseguenti lacune si possono quasi sempre ricondurre a banali cadute per
omeoteleuto e aplografia. Perciò, piuttosto che confidare nell‘incerta autorità di
quel codice, per espungere da T ciò che ne resta, sarebbe forse più saggio, con
Gataker, recuperare il sorite nella sua forma logica distesa, che riesce
irrimediabilmente sfigurata dal fortunato emendamento di Coraìs e dal precario
rattoppo di Schenkl.
226
(20) [A T] A Tox.: Xylander et vulgo edd.
Il testo va lasciato qual è nei manoscritti: «Per un verso, l‘uomo è l‘essere a noi
più familiare, in quanto si devono beneficare e i n c e n t i v a r e gli uomini».582
582
Per questa accezione di , cfr. Giangrande 2003, p. 229.
227
(23) [A T] 1
2 3 T: om. A A T: < > Kronemberg <
> Dalfen (cfr. VI 361; VII 29
3) Leopold,
Farquharson, Cortassa: Trannoy (in versione), Maltese
Morus Leopold,
Farquharson, Cortassa: A T Dalfen
Casaubon, Trannoy, Maltese,cruces loco app. Schenkl (ed. mai.), Haines
T: A Morus A T: < > Morus A T: del. Dalfen, Maltese Reiske, Marchant, Farquharson, Cortassa, cruces loco app. Haines A: T
Richards<> Schultz Fournier, Trannoy: A T Leopold,
Per quanto non si possa che plaudere al sano buon senso di Cortassa591
, è forse
più opportuno non precisare troppo l‘ambiguità sintattica delle due proposizioni
iniziali, la cui incertezza appare decisamente ricercata592
. Per quanto concerne poi
l‘ampio rimaneggiamento del luogo omerico citato, la cautela di Farquharson è
d‘obbligo593
. Né si comprende bene che cosa dovrebbe essere caduto dopo , come sostengono invece Trannoy e Dalfen.
Per la corretta restituzione del §3, l‘editio princeps appare, ancora una volta, più
affidabile della testimonianza congiunta di A e D: nell‘ di Marco
Aurelio l‘aggettivo denota invariabilmente l‘ultima persona o cosa di
una successione, laddove , e il suo allotropo , esprimono piuttosto la
nozione di compiutezza qui richiesta dal contesto594
.
591
―Dopo pongo un punto fermo in luogo del punto interrogativo posto dal Farquharson e
da molti altri editori, tra i quali il Dalfen, facendo reggere sia la frase introdotta dal iniziale, sia
quella successiva introdotta da , da un sottinteso che si ricava facilmente dal
successivo del §2. Questo è del tutto conforme allo stile dei Pensieri‖ Cortassa 1984,
p. 96. 592
Si veda, in proposito, l‘analoga condizione di II 121 e gli argomenti ivi discussi.
593 ―As M. is paraphrasing, it is better not to insert , and so to ascribe a false quantity (–) to him‖
[Dal momento che Marco Aurelio sta parafrasando, è meglio non integrare , e attribuirgli così
un‘erronea scansione (–)] Farquharson 1944, vol. II, p. 667. A dispetto della sintassi omerica, che
richiede il doppio accusativo della cosa e della persona, Marco Aurelio sentiva l‘espressione (o ) sicuramente affine al latino malefacere, maledicere alicui. 594
: I 1715
; VI 3015
; VII 69; XII 312 n. adv. VII 24
1. : I 16
17; X 1
3
n. subst. XII 364. : XI 10
2 n. adv. V 8
5.
230
(33) [A T D] 4 5 6 A T D: Nauck … om. D A T:
<> Morus, Upton Gataker, Maas Wilamowitz et omnes fere edd.:
A T Leopold Farquharson <> Dalfen … A T: D A
D ( mg. D): T Dalfen, Maltese.
Per la corretta restituzione del §5 bisogna innanzitutto sgomberare il campo da un
pericolosissimo equivoco: non rappresenta affatto la stancata ripetizione di
uno stilema formulare caro a Epitteto595
, bensì la drammatica eco
dell‘interrogativo con cui si apre l‘incipit del §4, e lo si deve perciò conservare596
.
Le fortunate correzioni di Gataker e Morus vanno così accantonate. ―Il Farquharson
corregge, col Marchant, il dei codd. in (da
intendersi come infinito con valore di imperativo). Più semplice mi pare leggere
con il Wilamowitz‖597
. Il lieve ritocco di Dalfen, che si potrebbe
accogliere senza troppi problemi, migliora sensibilmente lo stile: l‘interrogativa
retorica, qui introdotta da , conferisce all‘indicativo futuro la connotazione
abituale di un comando attenuato598
.
Accettare da T comporta il grave fraintendimento di un principio cardine
del tardo stoicismo: ―E ricordare che quanto cade fuori dei limiti della tua misera
carne e del tuo misero soffio vitale non è tuo né in tuo potere‖599
. Nel suggellare la
sua appassionata perorazione, Marco Aurelio enumera, una volta di più, tutti i
doveri che discendono naturalmente dalle tre relazioni fondamentali dell‘essere
umano: con gli dei, con il prossimo, con se stessi. Ora la radicalità del dogma non
consiste tanto nel ricordare l‘evidente alterità al soggetto degli oggetti esterni,
quanto piuttosto nell‘affermare l‘estraneità del principio dirigente persino
all‘involucro terreno che lo racchiude600
: solo di A e D consente di rispettare
alla lettera la sostanza del precetto.
595
Così Maas 1945, p. 145. 596
―Che cos‘è, allora, quel che ti trattiene qui, se etc.? Che cos‘è, allora?‖. 597
Cortassa 1984, p. 96. Si deve però ricordare che, se il rimando a IV 484 è ben motivato,
Farquharson commette un grossolano errore nel considerare , che si legge qui al §6, un
infinito iussivo. 598
Esempi in LSJ9 s. v., A, II, 12. Argomenti a favore del testo tradito si leggono invece in
Giangrande 2003, p. 229. 599
Maltese 1993, p. 89. 600
(La realtà si divide in cose soggette al nostro potere e cose non
soggette al nostro potere. In nostro potere sono il giudizio, l‘impulso, il desiderio, l‘avversione e, in
una parola, ogni attività che sia propriamente nostra; non sono in nostro potere il corpo, il
patrimonio, la reputazione, le cariche pubbliche e, in una parola, ogni attività che non sia nostra)
Epict. Ench. 1. 1. La traduzione si deve a E. V. Maltese, Epitteto, Manuale, Garzanti, Milano 1990,
p. 3.
231
(34) [A T] 2 Post iter. A, unde Schenkl (ed. mai.) T: A Coraìs
Dalfen.
Gli addentellati superstiti nel ductus di A non lasciano dubbi sulla correttezza
della lezione in T: l‘occorrenza dell‘aggettivo non è senza paralleli nell‘
601.
601
Cfr. infatti IX 222.
232
(36) [A T] 2 <> 3
‗ ‘ A: T … om. A <> Farquharson, Pinto: T Farquharson, Pinto: T, Leopold, del. Dalfen (idem atque
e dittogr. put. Trannoy) (‗quoniam boni aliquid fiat‘)
Xylander Saumaise Casaubon ( Coraìs) Jackson, alii aliter; cruces loco app. Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy, Cortassa,
Maltese.
―Il luogo è certamente disperato, ma a me sembra che il Farquharson lo sani
discretamente‖602
. L‘integrazione di , in coda al §2, renderebbe ancora più chiara
l‘omissione in A per omeoteleuto di tutta la pericope. La struttura argomentativa di
questo passaggio, così emendata, ricorderebbe da vicino, nella sua formulazione
linguistica, VI 263, ad esempio:
603.
602
Pinto 1968, p. 37. Per il testo e l‘interpretazione di tutto il passaggio si deve rinviare
necessariamente a Farquharson 1944, vol. II, p. 672-674. 603
―Perciò ricorda anche qui allo stesso modo che qualunque dovere è il prodotto di certi fattori‖.
233
(37) [A T] ‗ ‘ A T: Boot vel Schultz A T Schenkl (ed.
Per ciò che concerne l‘incipit del §1, G. H. Rendall intuì immediatamente le
difficoltà del testo vulgato: «The text is certainly faulty; it is not in M.‘s usual
manner to place before the , and there is no special emphasis
apparent. Moreover A (the sole MS. authority here besides v.) reads
... ».673
La proposta di correzione, ., giustificava esemplarmente la genesi dell‘errore: «The previous section concludes
with :674
the division into sections was unmarked in the archetype, and
the was merged in the leaving the isolated and unintelligible . With
initial , the later in the section falls at once
into natural place. And this is very common».675
La precaria demarcazione
nell‘archetipo dei diversi capitoli non rappresentava di certo un‘ipotesi peregrina:
«As to the continuity of sections, it is of frequent occurrence in A, and there are
other instances where the letters or word concluding a section have affected the
opening of the next. So in VII 67; XI 11, 24; XII 10, 18, and perhaps 15».676
Ciononostante, a dispetto della fiera ostinazione di Rendall,677
A. S. L. Farquharson
comprese appieno tutti i meriti della felice congettura di J. Stich: «Stich happily
divined that A‘s is derived from a text which omitted the initial
capital. The antithesis to and the presence of in A further support
the correction».678
L‘omissione della capitale, o la disattenzione del rubricatore,
che traccia una lettera diversa da quella prevista su di uno spazio in precedenza
lasciato in bianco, sono state riconosciute da tempo tra le fattispecie di errore più
comuni nella scrittura del codice A.679
«Che le idee vivano nel pensiero, nella
673
Rendall 1894, p. 143. 674
VII 1. 3. 675
Rendall 1894, p. 144. : IV 11, 26. 1; VII 2. 3, 34. 1; VIII 5. 2, 19. 2; IX 27. 1, 37. 2. 676
Rendall 1894, p. 144. 677
«I cannot bring myself to believe in the abrupt and unlikely » Rendall 1894, p. 144. 678
Farquharson 1944, vol. II, p. 718. 679
Polak 1886, p. 339-340. Pur confinando l‘indagine ai soli libri VII-XII dell‘ , nella
seconda parte dell‘opera si riconoscono almeno le seguenti omissioni: VII 36 per
; VIII 50 per ; IX 1 per , 17 per , 19 per , 35 per ; X 12 per , 25 per ; XI 20
per , 21 … per , 27 per ; XII 16 per , 35
per . Di veri e propri errori si tratta invece in: VII 65 per
, 72 per ; IX 37. 4 per ; X 19
per ; XI 16 per , 33
272
persona vivente che le pensa, è pensiero costante e spesso ricorrente di M. A. Su
questo punto m‘intrattengo, in modo abbastanza diffuso, nell‘Introduzione».680
La variante , trasmessa da A, ma che J. M. Schultz licenziava erroneamente
come congettura di A. Coraìs, pare si sia imposta all‘attenzione generale degli
editori grazie agli sforzi di J. Stich. Il testo dell‘editio princeps, tuttavia, va
ripristinato in quanto lectio difficilior: il verbo mostra qui delle
connotazioni tecniche che sembra bene non misconoscere.681
per ; XII 23 … per … , 34
per (= IV 50). 680
Mazzantini 1948, p. 398. 681
«In later Stoic Philos., is to be acted upon by outward objects, take impressions from
them, opp. , mostly folld. by , to be led to suppose that (…); also c. acc., have
experience of (…)» LSJ9 s.v., IV. Nell‘ testimoniano della prima accezione X 33. 2,
della seconda, invece, VI 46; VII 65; VIII 22. 2. Cfr. infra XI 18. 9 e relativa nota.
273
(5) [A T] [1] [2] [3] T: A A T Schultz, Stich, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy,
Farquharson: Reiske, Theiler, Dalfen, Cortassa, Maltese A T: Ménage, Farquharson
<> Lofft , quod in A T hoc loco legitur, ante transt. Reiske, Theiler, Dalfen, Cortassa,
Maltese.
Il testo tradito dai manoscritti, è bene ricordarlo, non presenta difficoltà
linguistiche né stilistiche di sorta: ricorre infatti in XII 17. 1 con identico
valore intransitivo;682
, d‘altro canto, è un avverbio piuttosto comune.683
A.
S. L. Farquharson, tuttavia, leggeva: (…),
«Substituting, with Ménage, the dative of the
personal pron. for , I understand the sense to be: ‗provided that on other grounds
the responsibility rests upon me‘, that is, ‗provided that it is my duty to see it
through‘. Then I get it done, either by finding an agent to complete it, in view of
my insufficiency, or superintending someone who assists me».684
Ciononostante,
nemmeno agli occhi del suo promotore pareva che la congettura sanasse il testo in
maniera soddisfacente: «The solution is certainly doubtful».685
La critica al dettato
della tradizione si riduceva perciò a denunciarne la fallacia interna al
ragionamento: «The usual interpretation of the MSS text appears to result in an
absurdity. M. is made to say that if he is unequal to the task, he makes way ‗unless
this is his duty on other grounds‘, i.e. unless he is under an obligation to attempt to
do what ex hyp. he cannot do».686
Più che di un‘assurdità, si è invogliati a parlare di
un paradosso, ben esemplificato, peraltro, pochi numeri più tardi: il fante, a cui è
fatto l‘obbligo di non abbandonare la postazione nella ,687
è impedito
nella scalata alle mura dalla zoppia; l‘appoggio del commilitone, però, gli consente
di travalicare la menomazione fisica.688
W. Theiler e, più di recente, J. Dalfen,
hanno adottato la soluzione a suo tempo proposta da J. J. Reiske, che trasferisce l‘ e corregge in : (…) <>
[] J. M. Schultz e A. Coraìs guardavano con generale
favore a questa possibilità. Le correzioni spostano così l‘ottemperanza
all‘imperativo morale da Marco Aurelio a un nuovo personaggio, relegato sullo
sfondo. Riscrivere il testo è però lo scotto che si paga a una miglioria del senso
pressoché inavvertita.
682
(Se non si deve, non fare; se non è
vero, non dire). 683
Nella stessa accezione vd., p. es., V 6. 2; X 11. 2. 684
Farquharson 1944, vol. II, p. 720-721. 685
Farquharson 1944, vol. II, p. 721. 686
Ibid. 687
Cfr. VII 45 (= Plat. Ap. 26d); per la metafora della vita come ‗posto di battaglia‘, ma intesa come
destino individuale e come lotta con se stessi per conseguire la virtù, vd. III 5. 2. 688
VII 7: [1] [2]
(Non vergognarti di essere aiutato. Ti si prospetta, infatti, di adempiere al
dovere come un soldato all‘assalto delle mura. E allora? Se non si potesse salire sugli spalti da soli,
azzoppati, ma con un altro fosse possibile questo?).
274
(12) [A T] A T: <> Casaubon (cfr. III 5. 4), Leopold, Dalfen Trannoy in app., Cortassa.
G. Zuntz sintetizzava così le ragioni invocate per alterare il testo della : «It
seems irresponsible to reject Casaubon‘s (for ). Ant. has said that he wants
man to be ‗erect, not erected‘689
. It is surely easier to assume that a letter has
dropped out in the transmission of the iterated phrase than to suppose that Ant. has
reversed the opinion which he had substantiated at the earlier place».690
Si può
ottenere lo stesso risultato, però, ponendo semplicemente il punto e virgola dopo
. Quest‘ultima correzione presenta l‘indubbio vantaggio di modificare
solo la punteggiatura. «Avremmo così una domanda retorica: ‗Diritto o
raddrizzato?‘, che, evidentemente, implica la risposta: ‗diritto‘. Frequentissime
sono in Marco Aurelio le interrogative retoriche con valore parenetico.691
Questa
soluzione è già stata implicitamente prospettata dal Trannoy, che nella sua edizione
dei Pensieri scrive con il punto fermo, ma in una nota alla
traduzione692
prospetta l‘ipotesi che si debba dare alla frase un senso
interrogativo».693
Sotto la scorta delle illuminanti osservazioni di Karl Fr. W.
Schmidt, tuttavia, che ricostruiscono con precisione i meccanismi
dell‘intertestualità sottesi tanto a III 5. 4, quanto a VII 12,694
A. S. L. Farquharson
aveva buon gioco nell‘affermare: «In view, however, of 695 no change
is demanded».696
Nell‘ esistono contraddizioni persino più evidenti di
quella che si pensa di poter rintracciare qui:697
ogni affermazione paradossale
attinge le ragioni della sua coerenza dal contesto in cui è inserita.
689
III. 5. 4: (C‘è bisogno, perciò, di essere retti, non corretti). 690
Zuntz 1946, p. 52. Cfr. inoltre I 15. 8:
(e dare l‘impressione di essere un uomo incorruttibile, piuttosto che corretto). 691
Cfr., p. es., V 1 passim. 692
Trannoy 1925, p. 70, n. 1. 693
Cortassa 1984, p. 99. 694
Schmidt 1907, p. 598-599. 695
VII 7. 1. 696
Farquharson 1944, vol. II, p. 724. Il principio è chiaramente enunciato in VIII 16. 697
VIII 1. 2: (farti la nomea di filosofo non è più nemmeno facile per te: persino i presupposti
ripugnano); XI 7:
(Come appare evidente il fatto che non
esistono altri presupposti di vita tanto adatti a filosofare, quanto quelli da cui ora ti trovi a partire!).
275
(13) [A T] [1]
[2] [3] A T: om. Xylander in vers., secl. Gataker, Schultz, Stich, Haines, ‗interpol.
suspicor‘ Trannoy in app. A: T A T Schultz, Fournier, Mazzantini,
Pinto, Cortassa: Gataker (cfr. IX 42. 11), quem secuti sunt plerique edd. T:
A Schenkl (ed. mai.), Theiler Trannoy in app. … A T:
Lemercier Casaubon, Schultz: A et plerique
edd. T Coraìs, Stich, Haines.
La scelta opportuna di conservare in questo punto il testo vulgato è argomentata
persuasivamente da G. Zuntz: «Finally we should not, with Gataker, alter
in VII 13. 3 into accordance with IX 42. 11; rather, this typical
Stoic term should be restored also at the latter place. In accordance with his general
philosophy, and with Epictetus, Ant. repeatedly urges that volition must be guided
by , that is, by the clear cognition which refers and subjects every detail
of perception and action to the true, that is rational, nature of the man».698
«Marco
Aurelio vuol dire che se non si comprende appieno l‘intimo legame che unisce
l‘uomo ai suoi simili, non si può neppure avere una comprensione perfetta della
gioia che deriva dal far loro del bene».699
Nel restituire la forma più acconcia del pronome riflessivo, è bene affidarsi
ancora una volta al testo di T, generalmente più corretto di tutti gli altri manoscritti
a nostra disposizione.
698
Cfr. IV 22; XI 18. 9. Zuntz 1946, p. 51. 699
Cortassa 1984, p. 99. Sulla stessa linea Mazzantini 1948, p. 398-399, e Pinto 1968, p. 39-40, che
però dipende integralmente dal primo. La questione è stata riesaminata di recente da Giangrande
2003, p. 230.
276
(14) [A T] [1]
[2]
T: A T: A T: A A T:
Gataker A T: secl. Dalfen.
Benché l‘aggiunta erratica di finale sia una delle mende più significative nei
nostri manoscritti,700
la variante di A, , che si legge nell‘incipit del §1,
nasconde forse le tracce di un calco inconsapevole del latino quidvis, e potrebbe
perciò essere autentica.
Al §2, invece, l‘espunzione di J. Dalfen oblitera una volta di più una delle
peculiarità stilistiche dell‘ .701
Il testo va decisamente ripristinato nella
sua integrità. Contestualmente ci si dovrà guardare dall‘attribuire a la
funzione di complemento oggetto del precedente :702 i loci paralleli che
si possono citare a sostegno della tradizione, nonché l‘attenta disamina dell‘usus
scribendi del Nostro, ostano a questa interpretazione.703
700
Trannoy 1925, p. XIV-XV. 701
VI 42. 3: (perché
chi regge l‘universo ti utilizzerà sicuramente bene); X. 38. 1:
(Ricorda che a tirare le fila è chi sta nascosto all‘interno);
XII. 18: (Osservare sempre che cosa
sia in sé l‘oggetto che produce in te la rappresentazione); XII. 36. 4: (perché a segnare la fine è il responsabile allora della composizione, ora della
dissoluzione; tu, al contrario, sei irresponsabile di entrambe). 702
Come fanno, p. es., Cortassa 1984, p. 363, e Maltese 1993, p. 118, per non citare che alcuni degli
interpreti più recenti. 703
Cfr., in contesti analoghi, X 33. 6: (sc. ); 33. 7: ; XII 1.
4: . Il verbo sembra rifiutare generalmente tanto l‘accusativum rei quanto
l‘accusativum personae: cfr. supra VI 30. 7 e nota relativa.
277
(16) [A T] [3] A T: [] Farquharson, Cortassa A Bas.: T A T: <> Farquharson, Cortassa
A T: Reiske A T (‗neque ei sunt habitus‘ Xylander):
Chalcidius ad Timaeum, 220 (= SVF II, p. 236, 7-11): «Certo, anche gli animali che non hanno
l‘uso della parola hanno un loro egemonico, con il quale distinguono gli alimenti, hanno
rappresentazioni, scansano i pericoli, scavalcano i rupi e i precipizi, riconoscono come necessari
certi nessi, non voglio dire di ordine logico, ma almeno naturale. Fra le creature mortali solo l‘uomo
può disporre di quel bene straordinario della mente che è la ragione» (Trad. di R. Radice). 722
X 24: «Che cos‘è per me il mio principio guida?»
283
(31) [A T] [4] ‗ ‘ []
Democr. Fr. B 9 DK6; Democr.
Fr. B 125 DK6.
Usener: A T Casaubon Schultz Coraìs Schmidt Mazzantini, alii alia, cruces loco app. Haines, Stich CasaubonCoraìs: A T Schultz, cruces loco app. Haines, Stich, qui autem in app. ‗an (s. ) ?‘ coni. hexam. [] < > fec.
Trannoy in app., Farquharson, Cortassa, Maltese: ( T) A T Xylander Boot Usener, alii aliter, cruces loco app. Haines, Dalfen, qui autem ‗fort.
‘in app. coni.
La formula , che ricorre identica in IV 23. 3, segnala una
citazione da Democrito, restituita in una forma intelligibile dalle brillanti correzioni
di M. Casaubon e di H. Usener.723
Non c‘è più ragione per dubitare delle parole che chiudono il
capitolo; evidente è il loro rapporto con un famoso luogo di Epitteto:
.724
723
Il passo è discusso in dettaglio da Cortassa 1989, p. 109-112. 724
Arr. Epict. D. I 20. 14: «Tuttavia, di per sé, la proposizione fondamentale della filosofia è
oltremodo breve» (Trad. di C. Cassanmagnago).
284
(40) [A T]
A: T (corr. Bas.) … … A T: … … corr. Lugd. e Plut.
111 A.
G. Cortassa offre eccellenti ragioni per rifiutare la normalizzazione del testo
tradito.725
725
Cortassa 1989, p. 82-84.
285
(48) [A T] [ ] … A T: secl. Breithaupt … Upton T: A T: A
secl. Farquharson A T: Reiske <> Lemercier A
T Schultz, Stich, Haines: gloss. del. Lemercier, Dalfen Casaubon et omnes fere edd.
< > Reiske Fournier T: A
Viene qui enunciato il principio dello ‗sguardo dall‘alto‘, come fondamento della
disciplina dell‘assenso:726
si tratta di esercizi compiaciuti, che devono molto della
loro suggestione letteraria allo stilema dell‘accumulazione, realizzata mediante la
figura detta (= Lat. enumeratio).727
Sotto la scorta di altri luoghi
simili a questo,728
la correzione , che si deve a M. Casaubon, ha goduto del
favore generale degli interpreti. Sennonché l‘avverbio è abitualmente contrapposto,
nell‘ , a , non a ,729
mentre la preposizione , come ha
ben visto C. R. Haines, può avere qui un valore distributivo: «If be
read, it will mean literally, drove by drove, i.e. in its aggregations».730
726
Cfr. Rutherford 1989, p. 155-161. 727
Cfr. Quint. VIII, 4, 26-27. Vd., p. es., qui VII 3. 728
IX 30; XII 24. 3. 729
II 1. 4: ; VI 17. 1: ; 46:
(= VII 1. 2; IX 28. 1); . 730
Haines 1916, p. 183, n. 5. Cfr. VIII 31. 2 per un uso analogo.
286
(49) [A T] [1] A T: <> coni. Schenkl (ed. mai.) in app., scrips. Trannoy A T: Schenkl (ed. mai.) in app. A T: <> suppl. Trannoy T: A <> Trannoy Dalfen verba … post cap. 48transp. Jackson T: A.
A. I. Trannoy ravvisava in la correzione di , l‘erronea
lezione dell‘archetipo che invece è trasmessa da A.731
Ciononostante (=
Lat. imperium) potrebbe essere benissimo un termine genuino in questo contesto.732
731
Trannoy 1925, p. XVII. 732
Theiler 1951, p. 328 ad loc. ricorda opportunamente Sen. N. Q. III, praef. 9; Cons. ad Marc. 26,
Haines, Trannoy, Farquharson, Cortassa A T M Schenkl (ed. mai.), Farquharson, Theiler,
Dalfen, Cortassa, Maltese: Gataker e Philone, Schultz, Stich, Leopold, Haines, Trannoy A T M: Gatakere Philone, Schultz, Stich, Haines T M:
A verba … secl. Dalfen, ‗locus vix sanus‘ Schenkl (ed. mai.) in app., gloss.
iam Rendall susp. est et in corr. A T: [] vel Reiske T:
A A T: <> vel Gataker, Cortassa.
La citazione, che, come si può vedere, fa parte di un frammento assai più esteso,
ben sintetizza agli occhi di Marco Aurelio il dogma del ritorno di ciò che muore
alla natura universale,733
a cui viene contrapposta, come altrove, la possibilità che
la morte sia pura dispersione degli atomi, cioè degli elementi ,
‗inalterabili‘, una volta disgregati.734
Quel che segue ai versi di Euripide,
erroneamente espunto da J. Dalfen come glossa, è l‘alternativa atomistica a quanto
in essi è contenuto.735
«Così alla dissoluzione () Marco Aurelio
contrappone tacitamente l‘unità () e alla dispersione () il ritorno
() all‘unica sostanza universale».736
733
Cfr., p. es. IV 4, 5; V 4, etc. 734
VI 10; VII 32; IX 39. 1; X 7. 4-5. 735
Cfr. VII 32: [ ]
([Sulla morte:] o dispersione, se atomi; se unità, invece, o estinzione o trasmigrazione). 736
Zanatta 1997, p. 643. Cfr. Farquharson 1944, vol. I, p. 361-362, e vol. II, p. 741-742. Sulla stessa
linea Cortassa 1989, p. 87-89.
288
(55) [A T D] [2] T Schultz, Stich, Leopold, Haines, Farquharson, Theiler, Cortassa: A
D Schenkl (ed. mai.), Trannoy, Dalfen, Maltese A T: D A D Bas.: T
(‗autem‘ Xylander).
L‘argomento introdotto per dimostrare l‘assunto che «tutti gli altri viventi sono
costituiti in funzione degli esseri razionali», sembra espresso più efficacemente in
forma di similitudine che di parentesi.
289
(55) [A T D] [6] A T D Schultz, Stich, Theiler: Coraìs (cfr. V 3. 2; X 11. 4) et plerique edd. Schenkl (ed. mai.), Trannoy A T D: Ménage A T D: Gataker
Richards.
Seguendo il suggerimento di A. Coraìs, si preferisce di solito correggere ,
per uniformare il dettato alle altre occorrenze nell‘ dell‘espressione
. La lezione unanime dei manoscritti è ora convenientemente
difesa da G. Giangrande.737
Un esempio istruttivo sul corretto comportamento da
tenere in casi come questo è offerto da VII 25, dove J. Dalfen rifugge giustamente
la tentazione a normalizzare il testo tradito sotto la scorta di ,738
conservando invece inalterato l‘hapax legomenon .
La forma si deve ovviamente mantenere. Le affermazioni di H. Richards739
sono contraddette, p. es., da VII 2. 3: .740
737
Giangrande 2003, p. 230. Cfr. inoltre Theiler 1951, p. 329 ad loc. 738
Cfr. IV 3. 11; V 33. 1; VII 70. 2; X 11. 2. 739
«After an imperative Greek idiom needs the future » Richards 1905, p. 23. 740
«Fanne pratica e andrai bene».
290
(57) [A T] Bas., Schultz, Stich, Haines: T A et plerique edd.
È assai probabile che già nel manoscritto di Areta si leggesse erroneamente
, come in T.741
La forma , che ha guadagnato consensi diffusi a
partire dall‘edizione di A. Coraìs, è in realtà un grossolano errore di A;742
non
sorprende perciò che non ricorra altrove nell‘ . L‘usus scribendi del
Nostro indica altresì in l‘unica opzione sensata.743
741
Sulla reciproca confusione tra e nei manoscritti, cfr. Trannoy 1925, p. XIV-XV. 742
Cfr., p. es., VII 2. 3 T: A; 58. 3 T: A; 73 T: A,
etc. 743
Vd., p. es., subito dopo, VII 58. 3: (Fai soltanto attenzione, etc.).
291
(58) [A T] [3] (sc. ) < > A T Schultz, Stich, Schenkl (ed. mai.), Haines, Theiler: Gataker, Leopold, Trannoy,
Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese A T: Gataker T: A T: A A T: <>
Gataker, Haines, qui autem cruces loco app. post lac. ind. et suppl. Schultz < > Kronenberg < > Theiler ‗fort.
< > vel < > (cfr. X 13. 1)‘ Dalfen in app. A
T: Gataker, Trannoy Kronenberg, Theiler post lac. ind. et suppl. Marchant, Farquharson, Cortassa T: A post lac.
ind. Trannoy.
La correzione di Th. Gataker, che pure ha goduto di una certa fortuna, appare
assolutamente superflua: «Perché ne farai buon uso (i. e. degli eventi) e sarà
materia tua».744
L‘integrazione suggerita da E. C. Marchant poche righe dopo è impeccabile:
«And call both things to your mind that what you do is important and that it is
unimportant in what sphere your action lies».745
744
Cfr. VIII 35. 2 (l‘essere
razionale può fare di ogni ostacolo materia sua), citato da Theiler 1951, p. 329 ad loc. 745
Farquharson 1944, vol. I, p. 141. Cfr. ibid., vol. II, p. 746-747.
292
(64) [A T W] [3] [4] A T: om. B V T W: A A T Schultz, Stich, Leopold, Schenkl (ed.
mai.), Haines, Trannoy, Theiler: W Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese.
La nota di H. Richards riassume bene le ragioni dell‘interpretazione abituale:
« goes with , not with , as the last
words of the § show».746
«The sense is that the sufferer from minor disagreeables
allows himself to give in to them because he overlooks that they are of the same
order as pain, yet he would be ashamed to give in to pain».747
È molto probabile
che l‘esperienza suggerisca qui a Marco Aurelio l‘oggetto della riflessione.748
Ciononostante, che sonnolenza e inappetenza e patire il caldo denuncino la
cachessia dell‘organismo, e rivelino alla coscienza la sofferenza della progressiva
Dalfen (cfr. IV 48,1) simil. iam Theiler (qui pro scrips.)
Casaubon, Gataker, Coraìs, Schultz, Stich A T: Lofft, Rendall
A T: < > Coraìs T: A T:
A A T: Reche T: A …
A T: ‗non suo loco posita‘ Morus; post colloc. Reche A T:
Reche.
«Il Farquharson suppone, con la maggior parte degli editori, che sia caduto
qualcosa dopo . Il testo può essere mantenuto qual è, sottintendendo
dopo : al pensiero della morte dei singoli viene contrapposto quello della
morte delle corti intere (che qui, evidentemente, stanno ad indicare grandi quantità
di uomini: si noti l‘insistenza di Marco Aurelio: moglie, figlia, nipoti ecc.), assai
più efficace al fine di far riflettere sulla condizione dell‘uomo. Al massimo si
potrebbe integrare semplicemente <>».835
835
Cortassa 1984, p. 102-103.
316
(34) [A T W X] [1] [2]
[3]
[4]
[5] [] A T W X rell.: om. y A T: W X Dalfen s. l. B A T W X
rell.: om. z v3 A T V v8 X: (cui glossa adscr.) B T
W X rell.: A v6 g A T: V X Dalfen v8 (in B legi nequit)
A T W X: Coraìs A T W X rell.: l3 Coraìs, Schultz, Stich, Leopold,
Haines, Farquharson A T X nonn.: W X plerique A T W X rell.: v7 A W X: T (‗quae homini‘ Xylander) corr. Bas. in Graecis A T:
W X A W X: T Morus T W X: A A T W X: Lemercier A T W X Stich, Leopold, Schenkl (ed. mai.),
Haines, Trannoy: del. Schultz, Farquharson, Dalfen, Theiler, Cortassa, Maltese
Casaubon < > Nauck.
L‘attestazione congiunta dei principali testimoni A e T, nonché l‘usus scribendi
dell‘autore dell‘ ,836
dissuadono dal privarsi della lezione : essa
non si ritrova soltanto nella tradizione filosofica più illustre,837
ma appare altresì un
vezzo stilistico di Epitteto.838
Per quel che concerne la chiusa, invece, sembra difficile dar torto a J. M. Schultz:
«Quod reliquum est, nescio an in fine Sect. male repetitum sit verbum
».839
836
Cfr. IV 50. 3. 837
Cfr., p. es., Plat. Leg. 782b. 838
Cfr. Arr. Epict. D. II 1. 32; III 16. 10; IV 1. 97, 11. 16, 11. 32. 839
Schultz 1829, p. 190.
317
(35) [A T] [1] A T: <> Rendall T: A <> Casaubon Stich A T: hic verbum latere put. Casaubon, qui coni., Schultz,
Schmidt, Fournier, Theiler Richards,
Cortassa, alii aliter; cruces loco app. Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy, Farquharson, Dalfen2
( < > Dalfen1), Maltese A T: del. Schmidt
Gataker, Schultz, Farquharson, Theiler, Cortassa.
Le note di J. M. Schultz riassumono bene lo scetticismo degli editori di fronte al
testo dei manoscritti: «Servandam h. l. putavi antt. Edd. lectionem, etsi aperte
depravatam, quum emendatio videretur incerta. E Vat. A nihil varietatis ad h. l.
enotatum, nisi quod habet. autem, quin posteriore loco ex
depravatum sit, vix dubitabitur».840
K. Fr. W. Schmidt condanna il
secondo come dittografia del precedente;841
Th. Gataker normalizza la
definizione nella più corriva ; non si può
tuttavia escludere che Marco Aurelio, discutendo qui le proprietà dell‘essere
razionale in parallelo alla natura, desiderasse connotare più specificamente la
natura universale proprio come «la natura degli esseri razionali». «Iam vero sive
scripseris, quod malit Coraius,
sive aut , a sententia
saltem auctoris non aberrabis».842
Sennonché non sembra affatto
scorretto, e un buon numero di attestazioni ne garantiscono l‘autenticità.843
Senza
discostarsi troppo dalla tradizione, C. Mazzantini traduce: «Come ciascuno degli
esseri razionali ha ricevuto le altre sue potenze, pressoché nella misura in cui le
possiede la natura universale degli esseri razionali appunto, così noi abbiamo, da
questa natura, ricevuto anche la seguente facoltà».844
Eccellente è l‘interpretazione
che ne consegue: «Il concentrarsi della totalità cosmica in ogni ente ed evento, e in
modo particolarissimo nelle sostanze razionali, è pensiero dominante di M. A. (…)
E qui appunto (…) M. A. insiste su questa totalità intensiva. Le facoltà ()
della natura si trovano concentrate, complicatamente realizzate, in ciascun essere
razionale, pressoché nella stessa misura in cui si trovano esplicitamente realizzate
nella natura universale».845
Ciononostante lo zeugma di , presupposto
per supplire nel primo membro della similitudine gli equivalenti di ‗ha ricevuto‘ e
di ‗possiede‘, è violentissimo. La minima correzione suggerita da G. H. Rendall
rimedia efficacemente a tutte le difficoltà: <>
(sc. ) .
846 La sua traduzione non è però altrettanto
convincente: «Each rational being shares (speaking generally) the attributes of
rational nature at large, among others the following».847
Il testo così emendato,
infatti, non può significare altro che: «Come in tutte le altre facoltà ciascuno degli
840
Schultz 1829, p. 190. 841
Schmidt 1907, p. 602. 842
Schultz 1829, p. 190. 843
Cfr., p. es., Plat. Pol. 305c; Leg. 630a, 705a; D. Chr. 4. 44; Aristid. Or. 49. 20, p. 418 Keil; Eus.
PE. 13. 3. 44. 844
Mazzantini 1948, p. 234. 845
Mazzantini 1948, p. 408. 846
Rendall 1894, p. 148. Per la correlazione ... ... cfr., p. es., V 29. 1; VII 34. 2; IX 3. 4
etc. 847
Rendall 1898, p. 116.
318
esseri razionali vale quasi quanto la natura degli esseri razionali, così abbiamo
ricevuto da lei anche questa».
319
(36) [A T D] [1] T D: A A T D: Gataker, Theiler, Dalfen < > Marchant, Farquharson T D: A.
«Il Farquharson, seguendo il Marchant, integra < >, molti altri editori correggono, col Gataker, in
. Il testo dev‘essere mantenuto qual è. Marco Aurelio non vuol dire
semplicemente che non bisogna pensare ai mali che accadranno in futuro, bensì,
con espressione più incisiva e potente, che non bisogna già prefigurarsi questi mali,
che non bisogna averli davanti agli occhi come se fossero già avvenuti. Di qui l‘uso
del perfetto invece del futuro (per quest‘uso, e per i relativi esempi, cfr. E.
SCHWYZER-A. DEBRUNNER, Griechische Grammatik, II, München, 1950, p.
287)».848
848
Cortassa 1984, p. 103.
320
(37) [A T] [1] T: A A T: del. Nauck T Schultz, Haines: A [] Saumaise, Nauck et vulgo edd. A T: <> Schultz A: T (‗Chabrias‘ Xylander) Reiske A T: secl. Nauck, Dalfen
1
T: A … T: om. A T: Marchant, Farquharson, Cortassa.
«Ita antt. Edd. Vat. A autem Coraius dedit e
Salmasiani emendatione, de qua prope nefas videtur dubitare, coll. Lucian. Imagg.
10 ibique Schol. et Pro Imagg. 1 et Schol.849
In nominibus propriis tamen nil sine
Codd. auctoritate in contextu, quem vocant, mutandum censeo».850
«A has
preserved a corruption originating in an editor who supposed that the reference was
to the famous story of , the wife of Abradatas and captive of Cyrus, whose
tomb was in fact erected by the latter, X. Cyr. VII. 3. 17. Lucian says of Lucius
Verus‘ favourite: Imag.
10».851
Il testo di T è formalmente ineccepibile e nulla vieta che Marco Aurelio
accennasse al fratello adottivo Lucio Vero semplicemente in questi termini: «Ora
siede forse accanto alla tomba del suo signore Pantea, o Pergamo?»
849
Schol. in Luc. Pro Imag. 1, p. 207 Rabe. 850
Schultz 1829, p. 191. 851
Farquharson 1944, vol. II, p. 771.
321
(38) [A T] A T Dalfen, Maltese: Gataker et fere omnes edd. Theiler A T:
Coraìs, Schultz, Leopold.
La correzione di Th. Gataker mira esplicitamente a evitare la contraddizione con
un lemma compilato da Suida: ‗
‘.852
Secondo l‘Etymologicum
Magnum, tuttavia, ‗ ‘.
Stampando , W. Theiler pensava ovviamente a un accusativo, considerando
le sicure occorrenze al maschile di in II 2. 2 e III 3. 6. La stessa incertezza
di genere si ritrova però nella lingua omerica, da cui la parola proviene:853
qui si
tratta certamente di un nominativo neutro.854
852
Su. 426. Cfr. Su. 897. L‘uso nell‘ è pienamente conforme. Cfr. : IX 36. 1;
V 28. 1; XI 15. 4. 853
Cfr. Farquharson 1944, vol. II, p. 498. 854
Nel caso di X 8. 4 il discrimine è incerto.
322
(41) [A T] [4] A: T (‗appetis‘ Xylander), Schultz, Leopold, Farquharson, Theiler A T:
Coraìs A T: Fournier Schenkl (ed. mai.) in app. <> Trannoy <> Dalfen
(cfr. VI 50, 2; SVF III p. 149, 34 sqq.).
«Sorge un ostacolo al tuo impulso? Se assecondi l‘impulso senza riserva, si tratta
già di un male in quanto essere razionale; se invece accetti la definizione consueta,
non hai ancora patito danno, né impedimento alcuno». La ‗definizione consueta‘
concerne l‘ della ,855
qui in esplicito contrasto con l‘ della
, della .856
Contrariamente a quanto credono i profani,
l‘impedimento dell‘impulso non è un male della natura razionale, ma solo della
natura animale.857
855
VIII 41. 1. 856
V 20. 2 s.; VIII 7. 2. 857
Cfr. l‘impiego avverbiale di in II 10. 1; IV 20. 2; VI 45. 3. Vd. Farquharson 1944,
vol. II, p. 516. Il passo è interpretato così da Theiler 1951, p. 332 ad loc. e da Maltese 1993, p. 153.
Le alternative proposte da chi conserva il testo tradito sono efficacemente riassunte da Farquharson
1944, vol. II, p. 773 e da Cortassa 1984, p. 400, n. 73.
323
(45) [A T] [2] Ab novum caput instituit A T: A Gataker (‗deterius‘ Xylander;
Bas.) T: A ‗fort. ‘ Schenkl (ed. mai.) in app.,
Theiler Dalfen A T: Gataker (cfr. Plut. 165d), Theiler
Richards Schmidt ‗fort. (scil. ; cfr. Plat. Tim.
73b)‘ Schenkl (ed. mai.) in app.
Sull‘autenticità del participio non sembra possibile nutrire alcun
dubbio: .
858
858
IX 7: «Cancellare la rappresentazione; frenare l‘impulso; s p e g n e r e i l d e s i d e r i o;
mantenere il principio dirigente sotto il suo controllo». Cfr. XI 37 (= Epict. fr. XXVII Schenkl),
nonché Epict. Ench. 2. 2.
324
(47) [A T] [1]
[2] [3] A T: Nauck A T (‗similiter‘ Xylander), Schultz, Stich, Schenkl (ed. mai.),
Le congetture, che si devono all‘excerptor del codice D, si possono eliminare
senza rimpianti eccessivi:891
il resto della tradizione offre lezioni pienamente
accettabili.
891
La congettura è giustamente definita ‗specious‘ da Maas 1945, p. 145.
L‘espunzione dell‘articolo, che risulta implicitamente nella lezione ,
nasconde un grave fraintendimento del testo: vale et cetera, come in X 19. 1; , ‗i processi fisiologici‘, ne costituiscono l‘apposizione. La correzione , per il
tradito , presuppone conclusioni analoghe a quelle di Leopold 1907, p. 71.
341
(3) [A T D] [4] [5] [6] [7] Suida s. v. : ( Suidae cod. V)
Suida s. v. : A D: T A D T: Rendall A T: D Coraìs
(coll. XII 34) A corr. T D: A pr. A T D: del. Schultz (cfr. III 4. 8; IV 50.
3), Dalfen Reiske T def. Giangrande: A D <…>
Xylander (qui ‗animus‘ in vers. suppl.), Leopold (qui autem <> vel
<> coni.) <…> Schenkl (ed. mai.), Trannoy < >
Casaubon, Gataker <> Coraìs, Schultz, Stich < >
Haines, ‗vix dubium quin < > supplendum sit sec. Plat. Phaed. 66c‘
La correzione di Th. Gataker è supportata, p. es., dall‘analogo errore in cui
incorre la tradizione di A subito dopo.912
Non è nemmeno complicato produrre
adeguati riscontri stilistici: .913
La tradizione manoscritta può essere comunque difesa: .914
912
Cfr. IX 27. 2 T: A. 913
IV 11: «Non pensare alle cose come le giudica il prepotente». 914
X 33. 2: «Qual è la voluttà per i gaudenti, questo rappresenta per te, in ogni condizione materiale
determinata da altri o del tutto casuale, l‘adempiere a ciò che è proprio della costituzione
dell‘uomo». Cfr. inoltre VII 13. 1: ... ...
349
(28) [A T] [2] [3] A: T (‗aut‘ Xylander) Coraìs (cfr. X 31. 4), Leopold, Farquharson, Cortassa,
Maltese, ‗recte; sed sive ante sive post haec verba haud pauca excidisse manifestum est‘ Schenkl
(ed. mai.): A Stich T Schultz Lofft, Rendall Trannoy in app. (coll. IV 45. 1), cruces loco app. Schenkl (ed. mai.), Haines
A T: post , secludens, transtulit Farquharson
< > Theiler A T Leopold, Schenkl (ed. mai.):
Rendall, Dalfen, Cortassa, Maltese Schultz ( seclud. put. Trannoy in app.), sed
cfr. Epict. fr. 175 Schweig.: , cruces loco app. Haines A: T
(‗sive‘ Xylander).
Se si confronta questo passaggio con le testimonianze parallele offerte da VI 44 e
da XII 14, si comprende bene come le argomentazioni di Marco Aurelio si
svolgano qui essenzialmente su due fronti:915
in primo luogo, il dilemma , che rappresenta l‘autentico punto di contrasto tra la scuola
filosofica in cui si riconosceva l‘imperatore e l‘epicureismo;916
in secondo luogo, la
duplice dichiarazione sui rapporti tra la provvidenza e l‘individuo, riassunta nella
formula .917
Nella nostra tradizione
manoscritta, tale alternativa è poi seguita dalle parole † †
, in gran parte sospette. La correzione , suggerita da A. Coraìs, può dirsi sicura.
918 Se l‘emendamento ,
proposto da G. H. Rendall,919
ha goduto di una discreta fortuna, è solo perché dà
immediata evidenza al secondo corno del dilemma , che altrimenti
rimarrebbe inespresso. Le obiezioni in effetti non mancano, anche perché il testo
appare sanissimo.920
C. Mazzantini accoglie la congettura di A. Coraìs, lasciando
inalterato ciò che segue: «E allora perché ripugni? In un certo modo avverrebbe
come si dice che avviene degli atomi o indivisibili».921
Il senso appare comunque
problematico.
915
Cfr. Farquharson 1944, vol. II, p. 808. 916
Cfr. IV 3. 5 . 917
Cfr. XII 4. L‘alternativa è qui espressa specularmente dalle proposizioni e , che formano l‘ossatura del §2. 918
Cfr., p. es., IX 39. 2 in un contesto analogo. 919
Rendall 1894, p. 150-151 920
Cfr., p. es., Farquharson 1944, vol. II, p. 809.
«Che cosa m‘importa, dice Epitteto, se le cose che
sono siano costituite di atomi o di sostanze senza parti o di fuoco e di terra?» Epict. fr. 175 Schweig.
(Trad. di C. Cassanmagnago). 921
Mazzantini 1948, p. 268.
350
(29) [A T D] [4] [5] [6] [A T] [7] T: A D Trannoy in app. T Schultz: A D et vulgo edd. mg. D T Schultz, Stich, Trannoy, Farquharson, Theiler, Cortassa, Maltese: A
Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Dalfen A T D Schultz, Stich, Schenkl (ed. mai.),
Haines: Reiske, Coraìs, Trannoy, Farquharson, Theiler, Dalfen, Cortassa, Maltese T D: A (deinde et ) Trannoy in app.
T: A susp. put. Schenkl (cfr. VIII 25. 2) A T: <>
Coraìs A T Schultz, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Theiler: Stich (in app.),
Dalfen, Maltese Wilamowitz, Trannoy, Farquharson, Cortassa T et vulgo
edd.: A Dalfen.
Dopo la perentoria ingiunzione espressa da , la coordinata negativa
... segue spontaneamente.
«In view of the parallel in Galen,922
and the fact that little words are more often
dropped than inserted by the copyists, I have preferred P‘s reading.923
The reading
of A may, however, be thought to be more in character, with its ironical litotes».924
L‘indicativo presente è perfettamente accettabile: «Which of them all
changes one moral principle?».925
«The MSS. reading would according to M.‘s usage mean ‗let them look
to it‘».926
J. Dalfen approfitta dell‘incerta lezione di A per accogliere senza esitazione nel
testo soltanto ; è però un‘espressione quasi formulare.927
922
«Tu vero, etsi non multo fias melior, satis esse ducito, si vel parum
anno priore ad meliora promoveris» Gal., vol. V, p. 20 Kühn. 923
A norma della classificazione dei manoscritti adottata da Farquharson, P cod. corrisponde al
nostro T. 924
Farquharson 1944, vol. II, p. 810. 925
Rendall 1898, p. 135. 926
Farquharson 1944, vol. II, p. 811. L‘espressione sarebbe cioè del tutto equivalente al latino
viderint: cfr., p. es., V 25. 1 (= VIII 41. 3; XI 13. 1-2; XII 1. 4). 927
Cfr. IV 29. 3; V 3. 2, 8. 9, 25. 2; VIII 46. 2; IX 1. 6, 1. 9-10, 9. 4; X 8. 2; XI 10. 3, 13. 4; XII 32.
3.
351
(32) [A T] [1] [2] A T: del. Nauck A T Dalfen, Cortassa, Maltese: <> Gataker
et vulgo edd. A T def. Giangrande: <> Casaubon et vulgo edd.
A T: ‗gloss. delevi (cfr. X 17; XI 2. 2)‘ Dalfen … T: om. A.
G. Giangrande ha dimostrato persuasivamente che Marco Aurelio accetta qui la
teoria secondo la quale ogni universo () esiste per tutta la durata del suo
specifico ‗Weltalter‘ (), al termine del quale un nuovo ha inizio.928
J. Dalfen espunge come glossa di . Se è
vero che in X 17 il significato dell‘espressione può essere ambiguo,
e riferirsi soltanto ai singoli oggetti sensibili, non c‘è dubbio alcuno che in XI 2. 2
si indichino così gli elementi costitutivi di ogni evento individuale: i suoni di una
melodia, i passi di una coreografia, le mosse di un incontro di lotta. Il testo va
perciò lasciato intatto: «Riflettere sul rapido mutamento di ogni singolo oggetto
nelle sue parti: com‘è breve l‘intervallo dalla nascita alla dissoluzione, abissale il
tempo che precede la nascita, e com‘è altrettanto infinito quel che segue alla
dissoluzione».
928
Giangrande 2003, p. 233. Cfr. IX 28.
352
(34) [A T] [1] A T: [] <> Dalfen ([] iam Coraìs), (‗quae ament‘ Xylander).
La tradizione manoscritta non sembra affatto interpolata:929
«Quali sono i principi
dirigenti di costoro, e intorno a che cosa si sono affannati, e per quali motivi
nutrono amore e rispetto!»
929
Cfr. VI 59. 1; X 19. 3.
353
(35) [A T] [1] [2] < > [] T: om. A T: A A T: secl. Couat, Jackson, Trannoy, Theiler, Dalfen <>
Reiske Schenkl (ed. mai.), Haines A T: <> Coraìs, Schultz, Stich, Leopold < > [] Farquharson ( iam del. Casaubon), Theiler, Cortassa: T,
om. A, secl. Dalfen Gataker <> [] Reiske, Leopold, Schenkl (ed.
Schenkl (ed. mai.), Haines A T Haines, Dalfen, Theiler, Maltese: del. Casaubon,
Schultz, Stich, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Farquharson, Cortassa coni. Trannoy in app. A T Schultz, Stich, Haines: Nauck et plerique edd. <> Dalfen, Maltese A et omnes fere edd.: T Schultz, Dalfen, Maltese T: A A et omnes fere edd.: T Schultz, Dalfen, Maltese A et omnes fere
edd.: T Schultz, Dalfen, Maltese T: A Schenkl (ed. mai.) A T Schultz,
Maltese: T Schultz, Stich, Haines T: A A T: Ménage T Schultz, Stich, Schenkl (ed. mai.), Trannoy, Theiler: A Lofft, Rendall,
Leopold, Farquharson, Dalfen, Cortassa, Maltese Jackson, quod prob.
Trannoy in adn. A T ‗aut aut deesse videtur‘ Trannoy in app.: <>
Mazzantini T: A T: A A T: Leopold, Theiler, Dalfen A T: <> Coraìs, Schultz, Stich, Haines.
«X 13 riguarda il momento del risveglio, l‘inizio, cioè di una nuova giornata, e,
benché non esclusivamente, s‘attaglia però in modo preminente alla personale
situazione di Marco Aurelio. Secondo la lezione dell‘editio princeps,
adottata dal Turolla (il codice vaticano reca ; Jackson propone : viene lodato), il disinteresse che l‘imperatore deve avere per il fatto che altri attuino
il giusto e il moralmente bello si giustifica in rapporto al motivo per cui lo attuano,
espresso nelle righe successive. Il loro comportamento di adulatori (si tratta in
effetti proprio di costoro. Marco Aurelio vi ha già fatto riferimento, sia pur
brevemente, in V 16) in realtà non lo realizza affatto e non vi si conforma se non
nel modo puramente apparente e subdolo di una finzione. Proprio di questo giusto e
di questo bene morale l‘imperatore dovrebbe ogni mattina ricordare a se stesso che
non gli importa, e in tal senso si esprimerebbe la regola. Ma, francamente, mi
sembra un pensiero non del tutto lineare. Assai improbabile poi, in quanto slegato
dal seguito, che col prescritto disinteresse s‘intenda significare la necessità di non
ricercare il giusto e il bene perché così fanno gli altri, ma perché è doveroso in se
stesso. Più semplice e sciolta mi sembra in vece la norma secondo la proposta del
Lofft di correggere in : ‗Non t‘importerà se da un altro sia disprezzato ciò
che è giusto e versa in uno stato moralmente bello‘. Il riferimento agli adulatori,
che in realtà hanno dispregio e non cura di questi valori, vi si adatta perfettamente e
pare confermarlo. Va sottolineato come la loro figura delinei esemplarmente quella
del cortigiano, il quale sa parlare bene di chi ha potere, ma anche sparlare di chi
intende subdolamente denigrare ai suoi occhi, pieno di antipatie, di mire personali e
ambizioni. Di interesse, perché pienamente caratterizzante l‘acutezza anche
pittorica e la pregnanza espressiva di questi pensieri, il tratto che questi adulatori di
corte rubano () ma non con le mani, bensì col pensiero: la fiducia –
s‘intende – del signore adulato»952
.
«If be read, with Leop., we get the difficulty that is said to
become . At XII 19. 2, certainly, is conceived of as
becoming , , , but it can hardly become what is regarded as
its presiding deity».953
Contrariamente a quanto pensa G. Giangrande,954
il soggetto della proposizione
non può che essere , cioè .
955
952
Zanatta 1997, p. 703-704. Cfr. Rendall 1894, p. 154. 953
Farquharson 1944, vol. II, p. 838. 954
Giangrande 2003, p. 233. 955
Cfr. VI 8.
365
(15) [A T] [1] [2] A T: Kronenberg A T: <>
coni. Trannoy in app. (cfr. X 23. 2) A T: Morus Schmidt <
> Jackson Meiser (Herm. XLIII 643), Dalfen A T: <> Fournier.
La stessa immagine ricorre subito dopo in un contesto analogo:956
le correzioni
proposte al dettato della tradizione appaiono tutte eccessivamente avventurose.
«There was a tradition concerning Zoroaster, from love of wisdom and justice,
D. Chr. 36. 40».957
956
Cfr. X 23. 1. Per i rapporti di quest‘ultimo passo dell‘ con la citazione di Plat. Theaet.
174d-e, lì contenuta, cfr. Cortassa 1989, p. 133-136. Vd., inoltre, IV 3. 1. 957
Farquharson 1944, vol. II, p. 839.
366
(19) [A T] [3] A T: Gataker Richards coni. Trannoy in app.
<> Dalfen.
L‘integrazione di J. Dalfen è superflua; il testo tradito, infatti, si può lasciare
com‘è: «Poco fa, di quante cose erano schiavi e per quali motivi! Tra poco, si
ritroveranno in situazioni del genere».958
958
Cfr., p. es., V 33. 4 (e vana la gloria tra uomini del
genere).
367
(21) [A T] [2] <> <> Casaubon: A T Schultz, Stich, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines,
Trannoy, Farquharson <> Dalfen, Cortassa, Maltese Theiler A: T.
Si adotta qui l‘integrazione tradizionale suggerita da M. Casaubon: la caduta della
negazione è oltretutto facilmente spiegabile come un normale caso di aplografia.
«L‘integrazione mi pare necessaria perché Marco Aurelio usa normalmente per
introdurre una interrogativa retorica che presuppone una risposta negativa e qui
evidentemente la risposta che la domanda attende non è ‗non si dice anche questo‘,
bensì, al contrario, ‗certo, si dice anche questo‘».959
959
Cortassa 1984, p. 106. Per (= Lat. numquid?), cfr. IV 49. 5; V 11, 28, 1; VI 26. 1, 26. 2,
43, 49; VIII 37. 1; IX 21. 2, 21. 3; X 13. 1, 13. 2, 24. Per (= Lat. nonne?), cfr. invece IV
24. 4; VI 26. 1.
368
(25) [A T] [2] A T: Coraìs, Stich, Leopold, Haines, Theiler Nauck: A T Gataker Coraìs
Morus T: A A T Schultz, Stich: Reiske, Morus et
omnes fere edd.
G. Giangrande ha opportunamente ricordato come l‘infinito aoristo sia
qui perfettamente accettabile.960
960
Giangrande 2003, p. 233-234.
369
(26) [A T] [3] T Schultz: A et vulgo edd. A: T
A T: <> Reiske.
Gli editori moderni tendono a preferire la lezione di A, ma il testo di T è
senz‘altro corretto; tutt‘al più si può accogliere da A il solo participio ,
allineandosi così all‘usus scribendi dell‘autore:961
«Contemplare perciò questi
processi, che si producono sotto una cappa così fitta, ecc.».962
961
Vd. II 16. 2; IV 29. 1, 43, 45; VI 42. 2; VII 4, 30; IX 1. 10; X 28. 2 IV 40; VI 25; VIII 23 II 13. 2 III
2. 1, 2. 5 III 2. 5 IV 42
V 23. 1 VI 42. 1 VII 49. 2
VIII 26. 2 IX 39. 1 XII 1. 5 XII 13. 962
Cfr. supra IV 36. 1 e relativa nota.
370
(28) [A T W X] [1] [2]
l2 l
3 z A T l
2 v
8 Stich, Schenkl (ed. mai.), qui autem
in app. coni., Haines, Trannoy: B V X plerique Schultz, Leopold, Farquharson, Dalfen,
Cortassa, Maltese: Theiler A T: om. W X post interp. Gataker,
Leopold, Farquharson, Cortassa A T W X rell.: z p1 om. p
1
A T V v8 X rell.: B z p
1 om. z.
J. Dalfen sacrifica incautamente il testo vulgato a favore di una variante
marginale: la concordanza del predicato di genere neutro non pone
particolari problemi.
«I più pongono un punto in alto dopo , fanno reggere da
e pensano che il termine indichi la schiavitù ai sensi e a tutto ciò
che dipende da essi (piaceri, dolori, desideri, ecc.). Preferisco interpungere dopo
con il Gataker e il Farquharson, far dipendere da un
sottinteso che si ricava facilmente dal periodo precedente (questo non è
certo in contrasto con lo stile dei Pensieri) e pensare che il termine indichi
gli stretti legami, da Marco Aurelio sottolineati assai spesso (cfr. p. es. Pensieri, II,
9), che uniscono ogni individuo all‘ordine universale. Dopo aver biasimato chi
geme e recalcitra di fronte a ciò che gli arreca il destino, Marco Aurelio invita a
riflettere (per questo valore del verbo cfr. p. es. Pensieri, I, 17) sulla
stretta connessione che esiste tra la sorte dei singoli e la vita del cosmo intero, per
poi specificare con la successiva dichiarativa introdotta da la natura di questa
nel caso dell‘essere dotato di ragione: egli non può sfuggire al suo destino,
che si inquadra nei disegni del universale divino e perfetto, ma può
accoglierlo di buon grado oppure no, può farsi volontariamente parte del tutto o
divenirlo suo malgrado».963
963
Cortassa 1984, p. 452, n. 56.
371
(29) [A T W X] A T Stich, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy: W X Coraìs, Schultz, Leopold,
Farquharson, Dalfen, Theiler, Cortassa, Maltese A T W X: <> Schultz om. X
nonn. T W X: A.
« pro vulg. e pluribus Codd., qui Excerpta complectuntur, primus
recepit Coraius».964
Le occorrenze delle due voci sono equamente distribuite
nell‘opera:965
appare perciò preferibile affidarsi ancora una volta ai testimoni
principali A e T.
964
Schultz 1829, p. 204. 965
Per , cfr. V 12. 4; VIII 2. 1. Per , cfr. invece VIII 36. 1; IX 21. 3.
372
(30) [A T] [1] <> [2]
<> [3] T: A T: A A T: del. Dalfen (‗gloss. ad X 29
G. Giangrande ha ribadito di recente l‘assoluta affidabilità della tradizione
manoscritta:987
«Qual è la tua arte? Essere virtuoso. Ma tutto ciò come può andare a
buon fine, se non partendo dai principi teorici che riguardano da un lato la natura
universale, e dall‘altro la costituzione individuale dell‘uomo?»
987
Giangrande 2003, p. 234. Cfr., p. es., XII 32. 3:
(Pensando a
tutto questo, non immaginare alcunché di grande che non sia l‘agire come impone la tua natura e il
patire come comporta la natura universale).
383
(6) [A T] [5] T Schultz, Stich, Farquharson, Cortassa, Maltese: A ‗an ?‘ coni.
Stich in app., quod prob. Leopold, Theiler, Dalfen <> Schenkl (ed. mai.), Haines,
Trannoy Gataker: A T <> Rendall A T: secl. Ménage, Dalfen ...
T: ceteris omissis A.
Il testo della vulgata testimonia del buon equilibrio nella sintassi, incardinata sulla
correlazione tra le due proposizioni interrogative: l‘espunzione di ,
proposta da G. Ménage, e accolta con favore da J. Dalfen, appare perciò
francamente pretestuosa, non potendo approfittare nemmeno dell‘evidenza
contraria dei manoscritti. Nella variante sembra indubitabile l‘itacismo di
A, che deve aver favorito il successivo errore. Il genitivo è qui intollerabile per
semplici ragioni stilistiche:988
gli argomenti di G. Giangrande non tengono conto a
sufficienza dell‘inconcinnitas prodotta dall‘accettare questo ramo della
tradizione.989
Disponendo già del corretto , il lieve ritocco si rivela dunque inutile.
988
Si veda infatti la limpida organizzazione interna di XI 6: [1]
[4] [5] 989
Giangrande 2003, p. 234.
384
(9) [A T W (praeter V) X] [1] A T B p
6 Dalfen, Maltese: v
8 X rell. Coraìs et vulgo edd. T W X:
A T Schenkl (ed. mai.), Trannoy, Theiler: A W X Schultz, Stich,
Leopold, Haines, Farquharson, Dalfen, Maltese, Cortassa g p1 z
g A T W X: ‗seclusi ( saepe in initio glossarum
legitur)‘ Dalfen.
Marco Aurelio adopera abitualmente la forma come pronome riflessivo di
seconda persona;990
il testo di T è poi indirettamente confermato dall‘erronea
lezione di A. È pressoché certo che la variante , che si legge soltanto nei
codici appartenenti alle classi W e X, sia il frutto della trivializzazione dei copisti.
Espungendo le parole , come fa J. Dalfen, si rischia di
eliminare uno stilema caratteristico dell‘ .991
Se dobbiamo dare retta a A.
S. L. Farquharson, che commenta sottilmente ciò che si dice altrove del filosofo
Apollonio di Calcedonia,992
potrebbe significare assolutamente, come ha ben tradotto C. R.
Haines, ‗those who endeavour to stand in thy path or be in some other way a thorn
in thy side‘.993
Approfittando però delle altre occorrenze del verbo,994
la traduzione
di G. Cortassa appare senz‘altro più precisa: «Piuttosto sorveglia te stesso con
uguale attenzione in questi due aspetti del tuo comportamento: non solo nel
giudicare e nell‘operare in modo ben equilibrato, ma anche nell‘essere indulgente
nei confronti di quelli che cercano di ostacolarti o ti si mostrano ostili in qualche
altro modo».995
990
Cfr., p. es., IV 3. 2; V 1. 5, 3. 1; VI 11, 42. 3 VII 13. 2, 13. 3, 28; VII 67. 1; IX 42. 10; X 8. 3, 8.
5; X 31. 1. 991
Cfr., p. es., VI 14. 1; IX 42. 13. 992
Cfr. I 8. 5: (e il non esser petulante nelle
spiegazioni). Vd. Farquharson 1944, vol. II, p. 448-449. 993
Haines 1916, p. 301. 994
II 2. 4 (), 16. 2 (); IV 3. 3-5 (); VI 26. 3 (abs.); 49. 1 (); VII 70. 1 (); VIII 46. 2
(abs.); X 3. 2 (abs.), 7. 4 ( ); XI 9. 1 (abs.), 18. 4 (abs.), 20. 6 (). 995
Cortassa 1984, p. 469.
385
(11) [A T] A Stich, Trannoy: [ ] Richards, Leopold, Farquharson, Cortassa T
(‗Non veniunt‘ Xylander), Schultz [] Ménage, Coraìs, Reiske, Theiler, Dalfen, Maltese coni. Coraìs in notis Stich in app. Hoffmann Schenkl (ed. mai.) in
app. <> Haines T: om. A T: A A T: Stich,
Leopold, Haines, Farquharson A T: Reiske et vulgo edd. T: A.
« should apparently be omitted. Does it arise from concluding the ch.
before?»996
L‘ipotesi di H. Richards è certamente più plausibile dell‘emendamento
al testo di T: «Primam vocem , quam Menag. aliique sublatam maluerant, delevit
Coraius: quo facto oratio ordine progreditur. Quum tamen Criticum Paris. ne sibi
quidem h. l. restituendo constare viderem, quippe qui in notis proposuerit, atque lectionem vulgatam per negligentiam quandam scribendi, quae
anacoluthon h. l. peperit, defendi posse, eam mutare non ausus sum. In sqq. autem
mutato accentu dedi , ut Paris. habet, pro . Ratio neminem latebit». J.
M. Schultz accetta però il testo tradito per le ragioni sbagliate: il periodo è
regolarmente incardinato sulla contrapposizione di protasi e apodosi.997
G. Giangrande ricorda opportunamente come l‘indicativo presente non
necessiti correzioni di sorta.998
996
Richards 1905, p. 25. Cfr. XI 10. 4:
(Perché la giustizia non
si potrà salvaguardare tutte le volte in cui o ci interesseremo ai beni intermedi, o ci lasceremo
facilmente ingannare e saremo precipitosi nel formulare un giudizio e nel cambiarlo). 997
Per nell‘apodosi, cfr. Denniston 19542, p. 453.
998 Giangrande 2003, p. 234.
386
(12) [A T] A T: Casaubon tacite A T et vulgo edd.: (vel )
Reiske, Theiler, Dalfen (cfr. SVF II p. 219,6 sqq., Plut. 565C) Rendall Polak T: A A et vulgo edd.: om. T (Xylander in versione quoque neglexit) Schenkl (ed. mai.) in app., Theiler, Dalfen Coraìs, Leopold Rendall T: A Gataker: A
T.
Forti delle affermazioni di Marco Aurelio, che ha già paragonato altrove l‘anima
del sapiens allo sfero di Empedocle,999
gli editori che mantengono il testo tradito
interpretano nel significato di ‗uniforme‘.1000
Guardando alla chiusa del
pensiero, però, e alla nota che inaugura l‘intero libro,1001
non si può escludere che
Marco Aurelio connoti qui il termine come self-seeing, sul modello, p. es., di
, introducendo così nell‘argomentazione una caratteristica vena
paretimologica.1002
A. S. L. Farquharson chiarisce ottimamente la sostanza metaforica dei quattro
predicati successivi, collegati dal polisindeto e semanticamente articolati in due
coppie di opposti:1003
«La sfera dell‘anima resta simile a se stessa, senza alterarsi,
allorché non si protende verso qualche cosa al di fuori, né si rannicchia in se stessa,
né si sparpaglia irrequieta, né poltrisce nell‘inerzia; ma risplende invece d‘una
luce, per mezzo della quale vede la verità di tutte le cose, e quella verità che è
intima a lei stessa».1004
999
Cfr. VIII 41. 5: (sc. ) (se l‘intelletto diviene
uno sfero rotondo, tale rimane). 1000
E cioè true to its own , LSJ9 s. v.
1001 Cfr. XI 1. 1: (Le proprietà dell‘anima razionale:
vede se stessa, etc.). 1002
Cfr. Rendall 1894, p. 156-157. 1003
Farquharson 1944, vol. II, p. 867-868. 1004
Mazzantini 1948, p. 326.
387
(13) [A T] [2] (sc. ) T: A Dalfen.
Il testo di T è corretto e va perciò preferito a qualunque congettura.1005
1005
Cfr. III 5. 2; VI 42, 4; XI 28; XII 3. 4.
388
(13) [A T] [4] Casaubon: T A Schenkl (ed. mai.) in app. A: T, unde < > Reiske Coraìs:
A T T Stich, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines,
Trannoy, Farquharson, Cortassa, Maltese: A Bas. (‗eo
destinatus‘ Xylander), Schultz Dalfen A T: Reiske.
La correzione , suggerita da M. Casaubon, si è guadagnata il
giusto credito presso tutti gli editori. Il testo tradito non sarebbe scorretto di per
sé.1006
Considerando però la facile confusione nei manoscritti tra i segni e , si
potrebbe forse optare per l‘alternativa .1007
J. Dalfen ignora di proposito la natura tachigrafica della scrittura di A e
congettura l‘inutile : , la variante di T, è
irreprensibile,1008
laddove rivela soltanto un errore di maiuscola
piuttosto comune.
1006
La seconda persona singolare dell‘indicativo presente medio-passivo usciva originariamente in
; successivamente il intervocalico cadde, lasciando libere di contrarsi la vocale tematica e il
dittongo : * > * > . A partire da IV secolo a. C. si affermò in attico, e prevalse per
alcuni deponenti, la forma parallela in in sostituzione di . Cfr., p. es., ; , etc. 1007
Cfr., p. es., III 4. 1, 6, 7. 1008
Farquharson 1944, vol. II, p. 869.
389
(15) [A T] [1] ‗ ‘ [2] [3] A T Schultz, Stich, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy: Gataker, Coraìs, Leopold,
Farquharson, Theiler, Dalfen, Cortassa, Maltese … A T Schultz: Reiske (qui
in app. Gataker: A T <> Morus, Coraìs A T Schultz, Stich:
Reiske, quod prob. fere omnes edd. A T: Gataker tac., Schultz, Leopold, Farquharson,
Maltese, Cortassa.
K. Fr. W. Schmidt invitava a riconoscere in la prova delle interferenze
sintattiche del latino nella lingua dell‘ .1054
Fenomeni analoghi, e
ugualmente problematici, non sembrano però alieni nemmeno dal greco
classico.1055
«Antt. Edd. , sed oppositi ratio flagitat, ut reponatur: sequitur
enim . Corai. dedit <> , sed articulo hic non aegre caremus. Vid. III 5.
3».1056
G. Giangrande ha ricordato opportunamente la correttezza dell‘avverbio
:1057
, che è la correzione suggerita da J. J. Reiske, normalizza il
testo sulla scorta delle altre occorrenze del termine nell‘opera,1058
ma l‘hapax
legomenon appare assai più adatto di quest‘ultima a esprimere i
sentimenti ispirati dalla situazione descritta.1059
1054
Schmidt 1907, p. 606. 1055
Cfr., p. es., Thuc. II 40. 3: (Infatti siamo differenti anche in questo, che siamo sì veramente coraggiosi, ma
valutiamo le azioni che ci accingiamo a compiere, perché invece per gli altri l‘ignoranza porta
all‘audacia ed il calcolo ragionato all'indecisione). 1056
Schultz 1829, p. 212. 1057
Giangrande 2003, p. 235. 1058
Per , cfr. III 12. 1; VII 3. 2; VIII 5. 2, 51. 3; X 4. 1, 12. 1. 1059
Cfr., p. es., Gal. vol. XIV, p. 236 Kühn: «Ob quam rem Augustus
vehementer fuisse attonitum commemorant, partim ob harum (sc. le ancelle Naìra e Carmione) erga
reginam (sc. Cleopatra) amorem, ut cum ea mori non dubitarint; partim quod illa generosam potius
mortem oppetere maluerit quam in servitute vivere».
412
(3) [A T] [4] (…) (…)
Emped. fr. 27 DK
6:
Emped. fr. 28 DK
6: <>
T: om. A Peyron e Simpl. (cfr. VS I p. 324): A T Coraìs Coraìs ex Achill. isag. aliisque, Rendall, Leopold, Schenkl (ed. mai.), Haines, Trannoy
A Theiler, Dalfen, Maltese: T Peyron e Simpl., Schultz, Stich,
Farquharson, Cortassa T: A
J. Dalfen si affida a W. Theiler per mantenere nel testo , che è la variante
trasmessa da A.1060
Sembra comunque meno azzardato preferire testimonianze più
sicure e consistenti.
1060
Cfr. [Arist.] De Mundo 398b 27-35: [...]
. «In hörte M. offenbar in der Bedeutung von De
Mundo 398b 33» Theiler 1951, p. 345 ad loc.
413
(4) [A T X] [1] A T: om. X, ‗gloss. delevi‘ Dalfen Gataker et vulgo edd. A T X
plerique: om. z.
Il sintagma preposizionale manca in tutti i codici che appartengono
alla classe X. Producendo a riscontro uno scolio marginale, presumibilmente
compilato per sciogliere la possibile ambiguità così ingenerata nel testo di Marco
Aurelio,1061
J. Dalfen espunge le parole come glossa di .1062 Una lettura più
attenta lascia però qualche dubbio sulla destinazione effettiva dell‘annotazione.1063
Come dimostra a sufficienza il prosieguo dell‘argomentazione, i genitivi e
sono necessariamente soggettivi, mentre il termine richiede
un complemento indispensabile alla comprensione.1064
La ricognizione degli usi
linguistici nell‘ lascia pochi dubbi sulla correttezza delle forme
espressive adottate qui.1065
1061
La chiosa sembra qui alludere alla distinzione tra genitivo soggettivo e genitivo oggettivo: . 1062
Cfr. Dalfen 1979, p. 20. 1063
L‘avverbio farebbe pensare a una citazione letterale, ma non si vede bene perché nello scolio dovrebbe chiosare le parole (sc. ) nel testo
di Marco Aurelio. Non sarà forse che la glossa marginale si riferisse originariamente a XI 21. 3, di
poco precedente, e che sia stata poi dislocata da lì per errore? Ecco il testo di quest‘ultimo
passaggio: (In effetti, come non è unanime l‘opinione su tutti quelli
che in un modo o nell‘altro i più giudicano beni, ma solo su alcuni di essi, e cioè sui beni di
interesse comune, così anche lo scopo da proporsi deve riguardare il bene della società e dello
Stato). 1064
Cfr. XII 4. 3:
(Tanto rispettiamo i giudizi altrui su di noi in confronto ai nostri stessi). 1065
Cfr., p. es., XI 16. 2: (sc. ) (sic!) (Nessuna delle cose indifferenti produce in noi un‘opinione su di lei, né viene da noi;
esse, al contrario, rimangono immobili, mentre siamo noi che concepiamo i giudizi su di loro e li
scriviamo, per così dire, in noi stessi, pur potendo da un lato non scrivere, pur potendo dall‘altro, se
lo facciamo senza rendercene conto, cancellare immediatamente). Sulla scorta di quest‘ultimo
esempio, la correzione , suggerita da Th. Gataker in XII 4. 1, si può considerare
superflua. Di avviso diverso, invece, A. S. L. Farquharson, che vorrebbe emendare anche in XI 16. 2: «As M. uses the shorter form of the reflexive pron. after – VIII 40. 3; IX 15;
XII 4. 1 – and as the breathings are so uncertain in the MSS., seems probable»
Farquharson 1944, vol. II, p. 870. Cfr., p. es., IX 15: (Le cose restano fuori dell‘uscio, chiuse in se stesse, né sapendo, né dichiarando nulla
su di sé. Chi dunque si pronuncia su di loro? Il principio dirigente).
414
(4) [A T] [2] A T: Bas. A Stich: T Schultz A T: []
Ménage, Schultz Reiske, quod prob. fere omnes edd.
G. Giangrande afferma risolutamente l‘inutilità di emendare il tradito
in , come già suggeriva di fare J. J. Reiske, imitato in questo
da tutti gli editori:1066
il verbo è qui adoperato in senso causativo.1067
1066
Giangrande 2003, p. 235-236. 1067
Cfr. LSJ9 s. v., B causal, make known, celebrate, (=
schol.) Pi. O. 13. 3.
415
(5) [A T] [2] (sc.
) (sc. ) A: T, del. Coraìs T: om. A, Schenkl (ed. mai.), Trannoy A T: del. Dalfen A T: Ménage.
Non si possono nutrire riserve di alcun tipo sull‘espressione , che
invece è formalmente impeccabile.1068
1068
LSJ9 traduce bene con ‗in the other way‘ s. v. V. 2, che rimanda a sua volta a ibid.
Ab. III. a.
416
(10) [A T] A T Leopold, Maltese: Gataker et plerique edd. Casaubon
J. Dalfen accoglie l‘eccellente emendamento , suggerito qui da Th.
Gataker; E. V. Maltese e J. H. Leopold difendono invece il testo tradito: se fosse
soltanto la posizione di a sconsigliare la lezione dei manoscritti, l‘ostacolo
si potrebbe aggirare facilmente.1069
1069
Cfr., p. es., IX 42. 11: ; XII 14. 4: .
417
(11) [A T]
<> Nullum interv. inter cc. 10 et 11 in A, in initio c. 11 colloc. in T T: A
unde [ ] Schenkl (ed. mai.), ‗ olim ut gloss. adscr. fuisse put. Schenkl (coll. XII
18)‘ Dalfen Theiler fere omnes edd. T: A Schenkl
(ed. mai.) in app. <> Farquharson, Cortassa, Maltese: A T,
novum c. fecit Theiler, del. Kronenberg, Leopold, Dalfen, in initio c. 12 colloc. vulgo edd. (neque
interv. neque interp. in A).
Il ragionamento sotteso all‘espunzione operata da H. Schenkl, ma condivisa da J.
Dalfen, è particolarmente perverso: si ritocca un evidente errore di copiatura in
A,1070
per ricavarne le tracce di una dubbia interpolazione.1071
Il testo di T, infatti, è
sano e perfettamente in linea con lo stile dell‘opera.1072
«‗ ‘ glossema esse potest ad ea quae antecedunt: at certo certius
novum caput sic incipiendum est: ».1073
«I have supplied , supposing that the words amplify and are
equivalent to , II 9. The words follow immediately in
A, whereas in P they open ch. 12».1074
1070
Le due forme e si trovano confuse anche altrove in A. Cfr., p. es., IX 25 T
D: A. 1071
La glossa marginale così ottenuta, , dovrebbe spiegare il termine , che si legge in
XII 10, sulla scorta, p. es., di XII 18. 1072
Cfr. VI 34: (Che belle
sensazioni hanno provato briganti, froci, parricidi, tiranni!) 1073
Kronenberg 1905, p. 303. L‘epanadiplosi, che incornicia XII 12, e la reggenza di , che rifiuta l‘accusativum rei, sono argomenti decisivi in suo favore: (Non si devono rimproverare gli dei, perché non fanno errori né volontari, né involontari;
e neppure gli uomini si devono rimproverare, perché fanno errori solo involontari. Quindi non si
deve rimproverare nessuno). 1074
Farquharson 1944, vol. II, p. 889.
418
(14) [A T X] [1] A T X plerique: bis in v
2 m
1 T, Schultz, Stich, Haines,
‗gloss. seclusi‘ Dalfen: A X et vulgo edd. A X: om. T (‗atque‘ Xylander) A T X plerique: v
2 A T X: del. Lemercier X:
T, corr. Bas. A.
J. Dalfen ha sicuramente buon gioco nell‘espungere : nell‘
il termine è invariabilmente impiegato come sostantivo, mai come aggettivo.1075
L‘interpretazione tradizionale immagina invece una disgiunzione a tre membri,
dove la testa di ciascun sintagma ricorre a sinistra del suo modificatore.
L‘inversione chiastica tra il determinato e il determinante si ha soltanto in
, vale a dire ‗l‘ordine inviolabile‘, le parole che rappresentano