PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA' ECONOMIA AZIENDALE INDICE IL CONTRATTO DI MUTUO IL MERCATO DI CONCORRENZA PERFETTA TEORIA DELL’IMPRESA SOGGETTI AZIENDALI: L’IMPRENDITORE OFFERTA PUBBLICA D’ACQUISTO IL REPORTING LE COOPERATIVE IL BUSINESS PLAN LE FONTI DI FINANZIAMENTO IL SISTEMA INFORMATIVO IL BILANCIO DI ESERCIZIO LA PRODUTTIVITA’ LA SOCIETA’ IL PATRIMONIO NETTO LA CAMBIALE IL CONTRATTO DI VENDITA LO STATO PATRIMONIALE LA NOTA INTEGRATIVA IL CONTO ECONOMICO I PRINCIPI CONTABILI ITALIANI ED INTERNAZIONALI
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PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA ECONOMIA AZIENDALE · economia aziendale indice il contratto di mutuo il mercato di concorrenza perfetta teoria dell’impresa soggetti aziendali: l’imprenditore
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PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA'
ECONOMIA AZIENDALE
INDICE
IL CONTRATTO DI MUTUO
IL MERCATO DI CONCORRENZA PERFETTA
TEORIA DELL’IMPRESA
SOGGETTI AZIENDALI: L’IMPRENDITORE
OFFERTA PUBBLICA D’ACQUISTO
IL REPORTING
LE COOPERATIVE
IL BUSINESS PLAN
LE FONTI DI FINANZIAMENTO
IL SISTEMA INFORMATIVO
IL BILANCIO DI ESERCIZIO
LA PRODUTTIVITA’
LA SOCIETA’
IL PATRIMONIO NETTO
LA CAMBIALE
IL CONTRATTO DI VENDITA
LO STATO PATRIMONIALE
LA NOTA INTEGRATIVA
IL CONTO ECONOMICO
I PRINCIPI CONTABILI ITALIANI ED INTERNAZIONALI
CONTRATTO DI MUTUO Con il contratto di mutuo una parte detta MUTUANTE (la banca) consegna all’altra
detta MUTUATARIO (il cliente) una determinata quantità di denaro con l’obbligo di
restituire l’equivalente alla scadenza stabilita.
Il MUTUO è un contratto reale perché per il suo perfezionamento è necessaria anche
la consegna del bene (il denaro); nonostante il linguaggio corrente, non si tratta di
un prestito ma del passaggio di proprietà del denaro perché il MUTUATARIO ha
l’obbligo di restituire non le stesse banconote ma lo stesso importo. Si distingue
quindi, sotto questo aspetto, da contratti come il COMODATO o il DEPOSITO.
Il MUTUO si presume oneroso, cioè con la corresponsione di interessi. Se gli
interessi non sono espressamente previsti, la loro misura si presenta corrispondente al
tasso legale, cioè al costo del denaro stabilito dalla BCE (Banca Centrale Europea);
le parti però possono stabilire una diversa misura e si parlerà, in tal caso, di
“INTERESSI CONVENZIONALI”.
Sono vietati dalla legge gli INTERESSI USURARI cioè con un tasso superiore di oltre il
50% alla media dei tassi bancari. In tal caso, la misura degli interessi dovuti, sarà pari
a zero.
Le parti possono anche stabilire, per motivi vari, un mutuo gratuito, cioè senza
pagamento di interessi.
Nel MUTUO ONEROSO il termine di restituzione delle somme si presume
convenuto a favore di entrambe le parti; di conseguenza il MUTUANTE non potrà
chiedere la restituzione delle somme prima della scadenza e il MUTUATARIO non
potrà effettuare una restituzione anticipata in quanto farebbe così perdere al mutuante
una parte degli interessi dovuti.
MUTUO FONDIARIO
L’operazione di MUTUO FONDIARIO viene stipulata con una banca e prevede
l’erogazione in un’unica soluzione o a stadi di avanzamento, di una somma
finalizzata all’acquisto di una casa di abitazione (se il MUTUATARIO acquista con
le agevolazioni per la prima casa, gli interessi passivi saranno in parte deducibili dall’
IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche).
Il mutuo è sempre garantito dalla accenzione di una IPOTECA su un bene immobile;
tale bene può essere di proprietà dello stesso MUTUATARIO o di una terza persona
detta: TERZO DATORE D’IPOTECA.
L’importo finanziabile è pari, al massimo, al 70 % del valore del bene ipotecato,
anche se generalmente le banche non concedono mai più del 50%.
L’ipoteca deve essere normalmente di PRIMO GRADO, cioè non preceduta da altre
ipoteche sullo stesso bene. Se però il bene è di particolare valore economico,
potrebbe essere sufficiente anche un’ipoteca di 2° grado. L’erogazione concreta del
finanziamento avviene solo dopo la cosiddetta CONSOLIDAZIONE dell’ipoteca,
cioè trascorsi 10 gg. dalla sua iscrizione.
Il MUTUO verrà restituito secondo un piano di ammortamento la cui struttura viene
concordata con la banca (Es.: rate di valore fisso nelle quali però l’importo degli
interessi è decrescente).
MERCATO DI CONCORRENZA PERFETTA
La caratteristica principale del mercato di concorrenza perfetta è che nessuno dei
soggetti possiede il potere di influenzare in qualsiasi direzione il prezzo di vendita del
bene e la quantità. Esiste un n° definito di consumatori, esiste un n° alto di
consumatori, è necessario che sia lo stesso prodotto, si devono sapere le condizioni
del mercato, è importante che non ci siano barriere ne in entrata ne in uscita.
Nel modello di concorrenza perfetta – se aumenta l’offerta il prezzo diminuisce – se
aumenta il numero di consumatori allora vince chi ha la possibilità di pagare di più e
quindi aumenta il prezzo – così facendo aumenta il n°di consumatori e tutto si
equilibra – c’è un tipo di concorrenza virtuosa.
La determinazione del prezzo di equilibrio:
se il prezzo di vendita ad esempio di un paio di scarpe aumenta ne deriverà che la
quantità di scarpe complessivamente acquistata dai consumatori diminuirà.
Aumenterà invece se il prezzo diminuisce.
Di conseguenza la curva di domanda aggregata è ottenuta sommando tutte le curve di
domanda individuali. In corrispondenza di ogni livello del prezzo essa indica la
quantità del bene complessivamente domandata dai consumatori.
Il prezzo di equilibrio corrisponde al punto di incontro delle curve di domanda e
offerta di mercato e di conseguenza ogni impresa sarà costretta a applicare quel
prezzo se vuole vendere.
Nel mercato di concorrenza perfetta i costi che sostiene un impresa devono essere
minori dei ricavi che essa dovrebbe ottenere quindi le curve vanno sotto il prezzo di
equilibrio.
Se un impresa fissa un certo costo per un certo prodotto ad esempio i propri costi
sono 100 fissa il prezzo a 150 se le altre imprese hanno gli stessi costi e gli vanno
bene il prezzo fissato si verifica la cosiddetta legge di Jevons. Ma se le imprese
fissano costi diversi il consumatore tenderà ad acquistare il prodotto che viene meno.
Di conseguenza le imprese che avevano fissato prezzi più alti sono costretti ad
abbassare il prezzo per poter vendere fino a che tutte le imprese vendono lo stesso
prodotto allo stesso prezzo.
Così risulta applicata la legge di Jevons che dice che in un mercato di concorrenza
perfetta il bene viene offerto allo stesso prezzo da tutti i venditori.
LA CONDIZIONE DI EQUILIBRIO
Un impresa è in equilibrio quando avrà prodotto quella quantità di prodotto in
corrispondenza della quale la differenza tra costi totali e ricavi totali sarà massima.
Quindi il profitto totale raggiunge il livello massimo quando il costo addizionale e il
ricavo addizionale dell’ultima unità prodotta coincidono. In tutti i costi di produzione
è incluso per convenzione un piccolo margine di profitto.
Si può dire che la condizione di equilibrio del mercato di concorrenza perfetta è
costo marginale = prezzo
L’EQUILIBRIO DI BREVE PERIODO:
le possibili situazioni dell’equilibrio di breve periodo sono 3.
1)l’impresa è insufficiente: qualunque sia il n° di unità prodotte ogni unità costerà
all’impresa un importo maggiore del prezzo di vendita. Naturalmente l’impresa è in
perdita.
2)l’impresa è un po’ più efficiente: essa riesce a produrre il bene a costi inferiori. In
questo caso i costo sono uguali al prezzo di mercato.
3)l’impresa è efficiente: il costo medio minimo è molto inferiore al prezzo di vendita.
Questa impresa è in grado di ottenere degli extraprofitti.
il caso 1 ed il caso 3 possono fondersi assieme per dare il 2° caso.
L’EQUILIBRIO NEL LUNGO PERIODO:
nel breve periodo le imprese non sono in grado di modificare le quantità impiegate di
tutti i fattori produttivi.
nel lungo periodo l’imprenditore può modificare le tecniche produttive variando le
quantità impiegate di tutti i fattori produttivi. Le imprese esistenti possono uscire dal
mercato e imprese nuove possono entrarvi.
Alla fine tutte le imprese si trovano nella situazione che la quantità di equilibrio è
quella in corrispondenza della quale il costo medio è quello coincidente con il prezzo
di vendita. Le imprese ne saranno in perdita ne avranno l’extraprofitto ma il profitto
normale.
Mercato monopolistico:
la caratteristica principale del mercato monopolistico è che esistono un numero
elevatissimo di compratori e venditori. Il monopolio puro è un mercato dove opera
una sola grande impresa che controlla tutta la produzione. Le altre caratteristiche
sono che il prodotto che l’impresa produce deve essere fortemente diverso da quello
che producono le normali imprese, devono esserci forti barriere all’entrata e all’uscita
del mercato da parte di nuove imprese.
Nel mercato monopolistico l’impresa ha il potere di fissare il prezzo che vuole al
contrario della concorrenza perfetta. Infatti questa impresa è un price-maker cioè è
in grado di imporre il prezzo che i consumatori dovranno pagare per acquistare il
prodotto.
LA CONDIZIONE DI EQUILIBRIO: per raggiungere l’equilibrio il monopolista
dovrà fissare nello stesso tempo sia il prezzo che la quantità prodotta. Quindi la
condizione di equilibrio del monopolio deve essere costo marginale = ricavo
marginale
� (concorrenza perfetta) il costo marginale è sempre uguale al prezzo e quindi il
prezzo non è modificabile e quindi è sempre uguale.
� (mercato monopolistico) il costo marginale è uguale al ricavo marginale e quindi
l’offerta totale viene da una sola impresa e il prezzo può spostarsi cioè è
modificabile.
L’EQUILIBRIO DI BREVE PERIODO: per massimizzare il proprio profitto il
monopolista adotterà la regola dell’equilibrio spingendo la produzione fino al livello
in corrispondenza il quale costo marginale e ricavo marginale sono uguali.
Confronto di equilibrio tra concorrenza perfetta e monopolio: nel monopolio il prezzo
di vendita è superiore mentre la quantità prodotta è inferiore, nella concorrenza
perfetta no. Il monopolio è una forma di mercato inefficiente in quanto comporta
l’esistenza di un margine inutilizzato di capacità produttiva.
CONCORRENZA MONOPOLISTICA
mentre in concorrenza perfetta il bene o il servizio offerto da tutte le imprese è
identico, nel mercato della concorrenza monopolistica il prodotto si differenzia da
impresa ad impresa.
Per differenziazione del prodotto si intende il processo che crea differenze reali o
immaginarie in prodotti simili. Le differenze reali sono quelle riguardanti la qualità, il
gusto… le differenze immaginarie sono quelle che puntano sulla psicologia del
consumatore come la confezione o il colore…
Ma la differenziazione del prodotto induce i consumatori a credere che i prodotti
simili siano del tutto diversi. Nella concorrenza monopolistica ogni venditore dispone
di un certo potere di mercato cioè aumentare il prezzo di vendita senza che la quantità
venduta cada a zero.
L’EQUILIBRIO DI BREVE E LUNGO PERIODO: l’impresa massimizza il proprio
profitto quando produce nella quantità in corrispondenza la quale costo marginale =
ricavo marginale. Il costo medio di equilibrio coincide con il prezzo di equilibrio e
così si ha solo un profitto normale.
TEORIA DELL’IMPRESA La Teoria dell’impresa, I’ economia, e’ l’analisi delle strategie adottate dalle imprese
in merito all’assetto produttivo, alle tecniche di produzione, alle quantità prodotte e
alla determinazione dei prezzi. Secondo la teoria economica tradizionale, lo scopo
delle imprese consiste nella massimizzazione dei profitti. Teorie più recenti
sottolineano, invece, la complessità delle realtà imprenditoriali moderne, costituite da
gruppi decisionali più o meno decentralizzati, i quali si trovano a perseguire anche
altri obiettivi fondamentali, tra cui la crescita delle vendite oppure della quota di
mercato.
Nell’ambito delle imprese di grandi dimensioni si viene a creare un conflitto
inevitabile tra i singoli individui e i sottogruppi che compongono la struttura
organizzativa nel suo complesso; a questo riguardo la teoria dell’impresa sottolinea
come gli obiettivi di ogni impresa possano venire raggiunti solo attraverso la costante
interazione tra le persone e le funzioni che ne fanno parte.
In qualunque contesto aziendale sono individuati gli obiettivi (tra i quali la
produzione, la quota di mercato, le vendite e il profitto) da ripartire tra i vari manager
di settore. In contrasto con la teoria dell’impresa tradizionale, secondo la quale le
decisioni imprenditoriali vengono adottate in maniera razionale, di recente si è
iniziato a capire che in realtà la razionalità è solo uno degli elementi, e spesso
nemmeno quello più importante, che guidano i manager nelle loro decisioni. Inoltre, è
indispensabile sottolineare come i fini dell’impresa subiscano considerevoli
variazioni nel corso del tempo.
Nelle imprese di grandi dimensioni la proprietà risulta essere perlopiù separata dal
potere decisionale; in altre parole, gli obiettivi imprenditoriali sono definiti dai
dirigenti piuttosto che dagli azionisti. I manager, più che al profitto, sono interessati
alla produzione o alle vendite, in quanto sono queste a definire la loro “capacità
manageriale” e, dunque, il loro valore per l’impresa.
La teoria dell’impresa presenta alcune interrelazioni con la teoria
dell’organizzazione, che e’ un modello per analizzare le modalità del processo
decisionale di organizzazioni grandi e complesse. Per l’analisi economica
tradizionale, l’azienda è un tutto unico che prende decisioni. La teoria
dell’organizzazione riconosce, invece, che in aziende di grandi dimensioni questo
processo è spesso decentrato e le scelte sono dettate non solo dall’obiettivo di
massimizzare il profitto, ma anche dalla struttura organizzativa esistente.
In queste aziende si può sovente rinunciare a massimizzare il profitto per riuscire a
conciliare gli interessi e gli obiettivi delle varie componenti dell’organizzazione.
Quanto più il processo decisionale è collettivo, tanto più è autentico, benché più lento
(fenomeno spesso evidente nelle imprese giapponesi).
SOGGETTI AZIENDALI: L’IMPRENDITORE
Un imprenditore è una persona o un ente che istituisce o gestisce un'attività
economica d'impresa. Le norme che definiscono la figura dell'imprenditore e che
disciplinano le attività imprenditoriali - sebbene presentino dei tratti comuni -
differiscono, ovviamente, da paese a paese.
L'imprenditore nel diritto italiano
In Italia viene definito imprenditore chi esercita professionalmente un'attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Il codice civile parla di "imprenditore" e non di impresa; l'impresa, sostiene la
dottrina, è il frutto dell'attività che dall'imprenditore sortisce: una definizione
mediata, dunque, come accade per il lavoro subordinato, di cui non esiste definizione
giuridica esplicita mentre c'è quella di lavoratore subordinato.
La definizione presente nel codice risente di un forte influsso dell'indirizzo
economico, tra i diversi orientamenti esistenti al momento della redazione del codice.
In merito alla definizione giuridica di imprenditore vanno sottolineati alcuni aspetti:
1. può essere imprenditore sia una persona fisica che una persona giuridica; anzi nel
V libro si crea quel particolare status di tertium genus: cioè le società di persone, che
non sono enti personificati, ma che sono trattati alla stregua delle persone fisiche;
2. per attività economica si intende ogni attività volta ad utilizzare i fattori
produttivi (capitali, lavoro e materie prime) per ottenere un prodotto (bene o
servizio): fine dalla produzione;
3. i beni e servizi che costituiscono il prodotto dell'impresa sono solo quelli che
hanno un valore economico; i beni o servizi eventualmente prodotti dall'attività
d'impresa privi di un valore di scambio non costituiscono "prodotto" in senso
economico;
4. la destinazione al mercato dei consumatori è fondamentale perché si possa parlare
di attività imprenditoriale: chi coltiva il proprio terreno per consumarne i frutti o vi
costruisce sopra per poi abitarvi non può essere considerato imprenditore dal
momento che l'attività imprenditoriale deve essere volta a soddisfare i bisogni altrui:
fine dello scambio;
5. organizzazione: come contraltare al fatto che sull'imprenditore ricada il rischio
d'impresa ovvero il rischio del risultato economico dell'attività intrapresa,
l'imprenditore ha il potere di organizzare come meglio crede i fattori produttivi che
concorrono all'impresa operando le scelte relative alla conduzione dell'impresa stessa:
cosa produrre (o scambiare), come, dove, quando e con quali mezzi;
6. professionalità: per professionalità si intende l'"abitualità" all'esercizio
dell'impresa; il concetto non va però confuso con quello di continuità (imprenditore è
anche chi esercita un'attività solo in un determinato periodo dell'anno, ad esempio un
hotel aperto nei mesi invernali) né con quello di esclusività (o prevalenza) dell'attività
esercitata dal momento che è imprenditore anche chi esercita tale attività come
attività secondaria o delega ad altri la gestione dell'attività: la titolarità dell'impresa
può dunque essere disgiunta dall'effettiva partecipazione alla gestione dell'azienda (in
capo all'imprenditore rimane, in ogni caso, il rischio d'impresa);
7. nella norma non si fa accenno allo scopo che l'imprenditore si prefigge con
l'attività imprenditoriale: così, sebbene sia lo scopo "normalmente" perseguito
nell'attività d'impresa, non è necessario il fine di lucro; un impresa è infatti tale (con
riguardo alla norma del Codice Civile) anche se gestita con il criterio
dell'economicità (ottenimento dell'uguaglianza tra costi e ricavi) ed, al limite, anche
quando si tratti di un impresa "di erogazione" nella quale, cioè, non si badi al
rapporto tra costi e ricavi (ad esempio una mensa per poveri).
Importante quanto difficile da individuarsi è il momento in cui inzia e termina
l'attività di impresa: al momento risulta sterile la disquisizione fatta in passato circa la
distinzione tra atti di organizzazione e atti di impresa vera e propria.
L'attitudine ad affrontare il rischio è un elemento specifico dell'attività
imprenditoriale: l'imprenditore (perlomeno nella piccola impresa) deve spesso
mettere in gioco la propria sicurezza economica e finanziaria pur di mettere in pratica
la propria idea, profondendo nella realizzazione del progetto imprenditoriale gran
parte delle proprie risorse economiche e temporali.
L'imprenditore in economia
In ambito economico, la figura dell'imprenditore contribuisce a sviluppare nuovi
prodotti, nuovi mercati o nuovi mezzi di produzione. Nelle economie industrializzate
del tardo XX secolo la costituzione di imprese di grandi dimensioni ha ampiamente
rimpiazzato il tradizionale rapporto fra singolo proprietario e amministratori
dell'azienda.
OFFERTA PUBBLICA DI ACQUISTO
Per Offerta Pubblica di Acquisto o OPA, in inglese tender offer, s'intende ogni
offerta, invito a offrire o messaggio promozionale finalizzato all'acquisto di prodotti
finanziari: è quindi una sollecitazione al disinvestimento.
Esse sono divisibili in due tipologie:
volontaria: l'iniziativa proviene esclusivamente dall'offerente e può avere ad oggetto
qualsiasi tipo di strumento finanziario
obbligatoria: è l'ordinamento a costringere l'offerente se sussistono determinate
condizioni e può avere ad oggetto solo azioni ordinarie di società italiane quotate in
mercati regolamentati italiani.
A loro volta, queste possono configurarsi come OPA:
consensuale: quando il consiglio di amministrazione della società oggetto di scalata si
pronuncia favorevole all'offerta stessa;
ostile: quando il consiglio di amministrazione della società oggetto della scalata si
pronuncia contrario all'offerta stessa.
L'OPA non è dunque un'operazione d'acquisto sul mercato, bensì un'offerta, in quanto
quest'ultimo potrà aderire o meno. L'offerta pubblica d'acquisto non è nemmeno
definibile come contratto ma, invece, come procedimento attraverso il quale un
soggetto si rivolge al mercato.
Del controllo circa il corretto svolgimento delle OPA si occupano gli organismi di
vigilanza della Borsa, la Consob in Italia.
Soggetti coinvolti e tutele del legislatore
I soggetti coinvolti sono:
* l'emittente, società target dell'operazione;
* l'offerente, chi fa l'offerta (anche soggetti privati);
* eventuali intermediari.
Le tutele del legislatore sono di tipo:
formale, a garanzia della trasparenza per tutelare, sul piano informativo, le parti più
deboli (risparmiatori). È dunque una tutela strumentale alla parità di trattamento;
sostanziale, a garanzia dei così detti comportamenti corretti durante la negoziazione,
intesi come di buona fede, che non siano tali d'alterare le condizioni negoziali del
mercato.
Obblighi informativi offerente
L'articolo 102 del T.U.F. disciplina che l'offerente è tenuto ad una preventiva
comunicazione alla Consob con documento, destinato alla pubblicazione, contenente
le informazioni necessarie per consentire ad i destinatari de pervenire ad un fondato
giudizio sull'offerta. La Consob poi indica le eventuali informazioni integrative,
specifiche modalità di pubblicazione e garanzie da prestare (reali o personali), entro
un termine predeterminato[3]. Questo va' dai 15 ai 30 giorni a seconda che i prodotti
finanziari ad oggetto siano quotati o meno (anche diffusi tra il pubblico). Se entro i
15-30 giorni la Consob non abbia espresso alcun parere vale il silenzio-assenso e il
documento potrà essere pubblicato.
Il Nuovo regolamento Consob ha poi specificato che l'offerente è tenuto in primo
luogo alla pubblicità della comunicazione e quindi a dare senza indugio alla Consob,
l'emittente ed al mercato un comunicato che deve indicare gli elementi essenziali
dell'offerta, le finalità, le garanzie offerte e le partecipazioni già detenute
dall'offerente.
Contestualmente l'offerente deve consegnare alla Consob altri documenti.
Una bozza del documento d'offerta laddove, nel caso vi siano contenute
informazioniin grado di stupire il mercato, l'offerente dovrà fare un comunicato
avvertendo il mercato e l'emittente di ciò che sta facendo.
Eventuali richieste d'autorizzazioni dell'autorità competenti si pensi ad esempio ad
un'opa sul mercato bancario dove operazioni di questo tipo necessitano della previa
autorizzazioni della Banca d'Italia
Condizioni dell’offerta
Dopo la comunicazione dell’OPA, il prezzo del titolo va generalmente a rialzo per
via della forte relazione che lega l’informazione alle variazioni di prezzo, ciò richiede
il rispetto di determinate condizioni:
l’offerta è irrevocabile e quindi che ogni clausola contraria è nulla;
la parità di condizioni a tutti i titolari dei prodotti finanziari che formano oggetto
dell’OPA escludendo così, che vengano stabilite condizioni d’offerta diverse. È
stabilito, in particolare, che se l’offerente lancia un’OPA e poi compra fuori mercato
(trattativa privata) ad un prezzo maggiore, il prezzo dell’OPA si adeguerà a questo.
Per quanto riguarda l’OPA volontaria:
* non è previsto un quantitativo minimo anche se per l’applicazione della
disciplina v’è una soglia minima di valore che ammonta a 40 mila euro;
* l’offerente indica la quantità di strumenti finanziari che vuole acquistare, se non
indicata, essa è uguale al quantitativo massimo;
* l’offerente può comunque riservarsi la possibilità di accettare la totalità degli
strumenti finanziari anche se oltre la quantità massima che aveva indicato;
* l’offerente può anche indicare di non essere obbligato all’acquisto se le adesioni
non raggiungono una soglia minima da lui indicata;
* l’offerente può comunque riservarsi la facoltà di accettare un quantitativo minore
purché coerente con i suoi progetti sulla target (coerenza valutata dalla Consob).
Le OPA volontarie, quindi, possono essere sottoposte a condizioni purché non
meramente potestative (sono ammesse le condizioni legali)
È prevista la possibilità di modificare l’offerta aumentando, ad esempio, il
corrispettivo (rilancio) REF non può accompagnarsi ad una riduzione del quantitativo
REF.
IL REPORTING Il reporting è una forma di comunicazione che i responsabili di budget fanno agli
organi direttivi, a vari livelli, e che questi, a loro volta, rivolgono al management,
affinché esso sia costantemente in grado di valutare l'andamento della gestione.
Nell'impostare il sistema di reporting occorre innanzi tutto stabilire la frequenza e il
tipo di rapporti, il contenuto e la forma che devono assumere, le relazione e i
collegamenti che devono tra loro sussistere.
Riguardo la frequenza è opportuno che essa sia bene calibrata, perché rapporti troppo
frequenti possono sommerge gli organi direttivi e il management di dati di
informazioni, così come rapporti troppo sporadici finiscono per non assicurare quella
tempestività di informazioni sull'andamento della gestione, che è un elemento
essenziale del controllo.
Comunque i rapporti sulla gestione devono essere elaborati e distribuiti a intervalli
regolari e sono definiti nel cosiddetto " manuale di budget".
Essi possono essere quindi giornalieri, settimanali, mensili e così via, solitamente i
rapporti sono per lo più mensili. Ciò non toglie che possono essere redatti anche
rapporti straordinari, in particolari situazioni e o per eseguire particolari progetti.
Riguardo la forma e al contenuto è evidente che possono assumere forme e contenuti
diversi, a seconda di come viene impostato il controllo e lo stesso sistema
informativo.
I rapporti devono comunque fornire per lo più alcune informazioni di base: i dati
previsti e inseriti del budget, i dati a consuntivo e lo scostamento quale risulta dal
controllo budgetario il tutto corredato da un commento sulla natura e sulle cause dello
scostamento e talvolta anche da proposte, avanzate dagli organi superiori, e circa i
correttivi e i provvedimenti da prendere per riallineare la gestione agli obiettivi di
budget. Le informazioni devono dunque essere più possibili sintetiche, chiare,
selezionate e affidabili, oltreché tempestive. Un altro elemento da definire sono i
destinatari dei rapporti. Un primo livello di destinatari è rappresentato dai
responsabili settoriali delle diverse aree nelle quali si articola l'attività dell'azienda,
per lo più dirigenti intermedi.
Questi a loro volta analizzano ed elaborano i diversi rapporti ricevuti e li trasmettono
con opportune osservazioni e proposte, al top management il quale valuta l’eventuale
opportunità di ridefinire gli obiettivi, le politiche e le strategie aziendali.
La crescita aziendale in termini di dimensioni unita alla maggiore complessità dello
scenario economico comportano una maggiore difficoltà nel coordinare tutte le aree
caziendali in modo che vengano perseguiti e raggiunti gli obiettivi prescelti.
Per questa ragione diventa ancora più impellente la necessità di fornire informazioni
a coloro che all’interno dell’organizzazione aziendale devono assicurare i risultati.
Con una corretta ed efficace divulgazione di informazioni potranno quindi essere
fatte le verifiche e le correzioni necessarie a mantenere ciascuno nel proprio ambito la
“rotta” concordata.
Per venire incontro a questa necessità risulta importante sviluppare ed implementare
un sistema di reporting non solo finalizzato alla semplice comunicazione ma anche
come strumento di crescita per le singole aree ed in definitiva per tutta l’azienda.
Senza un adeguato sistema di reporting il processo decisionale aziendale sarebbe
privo di efficacia in quanto in seguito alle fasi di definizione degli obiettivi e di
implementazione delle azioni necessarie a raggiungerli non ci sarebbe un tempestivo
riscontro che evidenzi i risultati raggiunti e le cause degli eventuali insuccessi.
L’aspetto critico nell’implementazione di un sistema di reporting è la scelta del tipo e
del numero di informazioni da produrre. Bisogna evitare l’errore di produrre un
numero eccessivo di informazioni, nel quale risulterà poi difficile orientarsi, ma è
necessario concentrarsi solo su quelle più significative ed utili a definire le scelte e le
misure correttive (aspetti critici di successo). Per fattori critici di successo intendiamo
tutti quegli aspetti che contribuiscono ad avere una posizione vincente nel mercato in
cui si opera. In base all’ambiente in cui si è chiamati a competere cambiano gli
aspetti critici da curare. Un numero eccessivo di dati può produrre solo confusione ed
alla fine è valida l’equazione che troppi dati corrispondono molto spesso a nessun
dato utile.
LE COOPERATIVE Introduzione
Cooperativa: Società mutualistica la cui attività ha come scopo il vantaggio reciproco
dei soci.
Basate sul principio di mutualità, cioè sull’aiuto reciproco tra i soci che si impegnano
per uno scopo comune, in Italia le cooperative devono essere costituite
obbligatoriamente per atto pubblico, cioè alla presenza di un notaio, e possono essere
a responsabilità limitata, se i soci sono responsabili solo con il capitale versato, o
illimitata, e in tal caso i soci devono rispondere in via sussidiaria con il patrimonio
personale in caso di fallimento o di liquidazione coatta.
A favore delle cooperative sono previste facilitazioni contabili, fiscali,
amministrative. Il numero dei soci, a partire da un minimo di nove persone, e l’entità
del capitale sociale possono variare, ma a garanzia dei creditori e in aggiunta alle
riserve legali la legge impone di destinare a riserve un quinto degli utili netti
conseguiti ogni anno. Ciascun socio dispone di un solo voto, indipendentemente dal
suo ruolo nell’organizzazione e dal capitale eventualmente apportato, e può recedere
o essere escluso dalla società se non ha più interesse a parteciparvi, mentre è limitata
la possibilità di trasferire ad altri (ad esempio ai figli) la propria posizione di socio.
È discussa sul piano teorico, ma consentita in pratica, la possibilità di essere soci solo
in quanto apportatori di capitale ma non di lavoro; in ogni caso, il capitale è retribuito
con un interesse annuo, in proporzione alla quantità, non con un dividendo sugli utili
come avviene in altri tipi di società.
Cenni storici
Teorizzata a partire dal 1820 da Robert Owen in Gran Bretagna e da Charles Fourier
in Francia, e in seguito anche in Italia da Luigi Luzzatti, la costituzione delle prime
cooperative, che in genere operavano anche come società di mutuo soccorso per le
malattie, come associazioni sindacali e come centri di cultura popolare, risale al 1831,
quando a Parigi furono fondate le associazioni dei falegnami e dei tipografi, alle quali
fecero seguito, nel 1835, il Commerce veridique et social di Lione, prima cooperativa
di consumo, e nel 1844 i Pioniers, tessitori di Rochdale, in Gran Bretagna.
In Italia, la prima cooperativa di consumo fu il Magazzino di provvidenza
dell’Associazione generale degli operai di Torino (1854), mentre la prima
cooperativa di lavoro fu la Società artistico-vetraria di Altare (Savona), del 1856; le
prime cooperative di credito furono la Banca mutua popolare di Lodi (1864) e la
Banca popolare di Milano (1865). Dopo il 1880 si diffusero le cooperative dei
ferrovieri: tra le principali si ricordano l’Unione cooperativa di Milano del 1886 e
l’Unione militare di Roma, fondata nel 1889. Diverse e fiorenti forme
cooperativistiche sorsero anche nel settore del credito e in agricoltura: verso la fine
del XIX secolo furono costituite varie cooperative di produzione, in particolare
latterie, cantine sociali ed essiccatoi di bozzoli.
Con l’avvento dei regimi fascista e nazionalsocialista, i movimenti cooperativistici
furono sistematicamente soppressi in Italia e in Germania e in seguito nei paesi
occupati durante la seconda guerra mondiale. La situazione fu nettamente diversa in
tutti i paesi socialisti, dove, dopo il 1917, sull’esempio dell’Unione Sovietica, si
affermò l’idea di cooperativa con capitale e mezzi di produzione forniti dallo stato e i
lavoratori furono aggregati a strutture collettive come i kolchoz, le fattorie
collettivizzate; mancava tuttavia, ai soci di queste associazioni, l’elemento
fondamentale della libertà di adesione e di recesso.
Il movimento cooperativistico risorse dopo la fine della seconda guerra mondiale ed
entrò a far parte della vita economica di diversi paesi in Europa orientale, Africa,
Asia, Australia e America.
Mentre si valutavano i risultati di queste e altre esperienze come i kibbutz, le comuni
agricole in Israele, nel 1966 il 23° congresso dell’ICA (International Cooperative
Alliance) approvò un documento che, richiamandosi ai sette principi originari dei
tessitori di Rochdale, fissava alcuni caratteri essenziali per la costituzione di una
cooperativa.
Anzitutto la partecipazione libera e volontaria, senza discriminazioni sociali,
politiche, razziali o religiose, e l’uguaglianza tra i soci. A conferma di questo
principio di democraticità, ai fini di una corretta gestione la cooperativa sarebbe stata
diretta da una o più persone scelte tra i soci o da essi designate tra professionisti
esterni alla società. Il reddito netto ricavato alla fine di ciascun esercizio sarebbe stato
suddiviso tra i soci in parti uguali, mentre per remunerare con un interesse equo gli
apporti di capitale si sarebbe provveduto con un apposito stanziamento in fase di
bilancio.
Le cooperative, inoltre, avrebbero perseguito anche finalità educative e culturali e si
sarebbero impegnate a lavorare d’intesa con le altre strutture cooperative operanti a
livello locale, nazionale e internazionale. Restavano aperte alcune questioni, ad
esempio il fatto che i soci fossero allo stesso tempo imprenditori e lavoratori, la
legittimità dell’esistenza di soci “esterni”, apportatori di solo capitale e non di lavoro,
e soprattutto la validità del loro voto.
Tipi di cooperativa
Le “cooperative di produzione” hanno l’obiettivo di produrre beni o fornire servizi
con l’attività dei soci, che sono gli imprenditori di se stessi in quanto apportano il
capitale iniziale o di rischio necessario ad acquistare macchinari e materie prime. Il
capitale viene remunerato con un interesse in proporzione alla sua entità; il reddito
netto dell’esercizio viene diviso in parti uguali tra i soci. Una cooperativa di
produzione può a volte ricorrere a un aumento del capitale, a una direzione aziendale
esterna o a lavoratori subordinati non soci.
Le “cooperative di lavoro” intraprendono senza capitali, a spese e a rischio dei
lavoratori, un determinato lavoro, ad esempio la manutenzione di un impianto o
l’assemblaggio di un prodotto. Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo si sono
diffuse in molti paesi dell’Europa occidentale, Italia compresa, le “cooperative
sociali”, che svolgono prestazioni prevalentemente nell’area socio-sanitaria ed
educativa, come ad esempio assistenza ai disabili o agli anziani, e che coinvolgono
come soci soggetti che altrimenti troverebbero difficoltà a entrare nel mondo del
lavoro, come detenuti e tossicodipendenti.
Le “cooperative di consumo” hanno l’obiettivo di acquistare beni o servizi a basso
prezzo a vantaggio dei soci, che in tal modo possono realizzare consistenti risparmi.
La categoria forse più importante di cooperative di consumo, in Italia, è quella delle
cooperative edilizie, che comprano case o appartamenti attribuendo ai soci il diritto di
risiedere nell’immobile; la proprietà rimane alla cooperativa, mentre i costi di
manutenzione vengono suddivisi tra tutti.
Simili a queste ultime sono le “cooperative di dettaglianti”, attraverso cui i soci, di
solito piccoli negozianti, centralizzano gli acquisti realizzando, sulla quantità globale,
risparmi sul costo delle merci. Ciascuno dei soci, poi, può utilizzare per il proprio
negozio il nome della cooperativa e determinare in autonomia, entro certi limiti, il
prezzo finale di ciascun prodotto.
Le “cooperative agricole”, come cantine sociali, allevamenti, latterie sociali, possono
essere secondo i casi di produzione, di trasformazione dei prodotti e di vendita, di
acquisto in comune, ad esempio di macchine agricole, di servizio (come nel caso
della raccolta della frutta).
Le “cooperative artigiane” in genere acquisiscono in comune macchinari e materie
prime, a beneficio dei soci che esercitano individualmente la propria attività; in
questo gruppo rientrano le cooperative di pesca.
Le “cooperative edilizie” si propongono di ottenere benefici a favore dei soci in
campo abitativo e a questo fine assumono aspetti diversi, a seconda che conferiscano
ai soci un titolo di proprietà o di uso individuale, oppure conservino la proprietà
collettiva attribuendone a ciascun socio una quota, o ancora si occupino della
gestione o della costruzione vera e propria di uno o più edifici.
Piccola società cooperativa
Al fine di facilitare lo sviluppo della piccola imprenditoria, la legge numero 266 del
1997 ha introdotto nell’ordinamento italiano la “piccola società cooperativa”. Questa
nuova figura giuridica è soggetta a una normativa semplificata in alcuni punti rispetto
a quella delle cooperative tradizionali. La piccola società cooperativa deve avere
scopo mutualistico ed essere composta esclusivamente da un minimo di tre a un
massimo di otto persone. Per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il
suo patrimonio; la responsabilità dei soci è quindi limitata al capitale che questi
hanno investito nella società. Altre semplificazioni sono previste nell’ambito
dell’amministrazione e del controllo interno della società.
IL BUSINESS PLAN Un business plan è un riassunto di come un imprenditore o un manager intende
organizzare un'attività imprenditoriale e implementare attività necessarie e sufficienti
alla sua buona riuscita. Si tratta di una spiegazione scritta del modello di business
dell'impresa.
I business plan sono usati internamente per la pianificazione e gestione dell'azienda, e
all'esterno per convincere terze parti come banche o altri investitori a finanziare
l'impresa.
I business plan possono diventare rapidamente obsoleti. Opinione comune è che
abbiano poco valore effettivo (soprattutto se fatti solo per uso interno), ma comunque
attraverso il processo di stesura del piano il management acquisisce una più profonda
comprensione del funzionamento dell'impresa e delle opzioni disponibili.
Un business plan da presentare a una finanziaria deve contenere:
1. Descrizione sommaria del progetto d'investimento ed illustrazione del tipo di
impresa che si intende creare.
2. Presentazione dell'imprenditore e del management (esperienze pregresse e ruoli
nella nuova iniziativa).
3. Indicazioni sul mercato, sulle caratteristiche della concorrenza e su fattori critici
(punti di forza e punti di debolezza rispetto al mercato). Obiettivi di vendita ed
organizzazione commerciale.
4. Descrizione della fattibilità tecnica del progetto d'investimento relativamente al
processo produttivo, alla necessità di investimenti in impianti, alla disponibilità di
manodopera e di servizi quali trasporti, energie, telecomunicazioni, ecc…
5. Piano di fattibilità economico - finanziaria quadriennale con indicazione del
fabbisogno finanziario complessivo (per investimenti tecnici, immateriali e per
capitale circolante) e delle relative coperture.
6. Informazioni sulla redditività attesa dell'investimento e sui fattori di rischio che
possono influenzarla negativamente, partendo da ipotesi realistiche e prudenziali.
7. Indicazione degli investitori coinvolti e la proposta di partecipazione richiesta
alla Finanziaria.
8. Sintetica valutazione dell'impatto ambientale del progetto.
9. Piano temporale di sviluppo delle attività.
Un business plan si compone di almeno tre parti fondamentali: una prima parte
introduttiva in cui si presenta l'idea imprenditoriale e l'imprenditore stesso con le sue
principali qualità; una seconda parte tecnico/operativa in cui si deve fornire un
quadro chiaro di cosa si vuole fare, come e dove si vuole farlo; una terza parte in cui
verranno inserite le previsioni economico/finanziarie.
Prima parte: l'imprenditore e l'idea
La descrizione del progetto imprenditoriale consiste innanzitutto in una presentazione
dell'attività che si vuole avviare e della motivazione che spinge a farlo. Sarà utile far
leva su 3 elementi:
1. Quali bisogni si vuole soddisfare
2. Qual è il mercato in cui si vuole operare
3. Quali sono le attitudini personali e le capacità professionali che spingono
l'aspirante imprenditore ad entrare in quel determinato settore.
Parte seconda: cosa, dove, come
COSA
In questa sezione del piano d'impresa dovrà essere fornita una dettagliata descrizione
di cosa si va ad offrire al mercato, cioè le caratteristiche del prodotto o del servizio
che si vuole offrire e a quali clienti potenziali si rivolge.
DOVE
In questa fase inizia una vera e propria raccolta di informazioni sull'ambiente dove la
nuova attività andrà ad operare. Si dovrà quindi fare particolare attenzione al macro-
ambiente ed al micro-ambiente. Il macro-ambiente riguarda tutto quello che l'impresa
non può controllare direttamente:
* la pubblica amministrazione
* il clima politico
* il clima sociale
* il clima economico
* il clima culturale
Si pensi per esempio alle nuove mode, alle nuove leggi ecc. cioè elementi che
indirettamente possono influenzare la vita di un impresa.
Il micro-ambiente rappresenta in sostanza il campo di battaglia sul quale si cimenterà
la nuova impresa. Esso è composto da:
* clienti
* concorrenti
* fornitori
* intermediari commerciali
COME
Si dovranno ora prendere decisioni relative all'identità dell'impresa, cioè alla quantità
di merce che si vorrà produrre, alla struttura dell'impianto, al livello di redditività del
capitale investito. Una volta definiti questi obbiettivi bisognerà indicare come si vorrà
raggiungerli.
Parte terza: le previsioni economico finanziarie
L'analisi del progetto dovrà essere ora completata con la valutazione degli aspetti
finanziari e della fattibilità del business. Attraverso tale valutazione l'imprenditore
deve: definire i capitali necessari per avviare l'impresa (piano degli investimenti),
individuare le fonti di finanziamento (fonti di copertura), valutare i profitti dei primi
anni di vita (conto economico previsionale), valutare la situazione patrimoniale
dell'impresa nei suoi primi anni di vita (stato patrimoniale preventivo). Questa parte
del business plan è la più importante per chi deve finaziare l'impresa
LE FONTI DEL FINANZIAMENTO Il finanziamento è l’operazione mediante la quale un’impresa ottiene i mezzi
necessari allo svolgimento della sua attività.
Con i finanziamenti l’impresa ottiene i mezzi monetari per alimentare gli
investimenti. Alla sua accensione un finanziamento dà luogo ad una entrata di
denaro, ma può anche comportare un’entrata di beni. Alla sua estinzione il
finanziamento dà luogo generalmente ad una uscita di denaro (disinvestimento).
Ogni impresa ha necessità di finanziamenti, sia nella fase della sua costituzione, sia
successivamente durante la normale attività di gestione.
Il fabbisogno finanziario dell’impresa è strettamente connesso agli investimenti
programmati e alle caratteristiche del ciclo monetario (uscite ed entrate). La
quantificazione del fabbisogno finanziario è effettuata dalla funzione finanza che si
occupa anche di valutare la disponibilità delle diverse fonti di finanziamento. Per
quanto riguarda quest’ultime, è importante sottolineare che i finanziamenti possono
essere acquisiti da un’impresa a titolo di capitale proprio o di terzi.
I finanziamenti a titolo di capitale proprio sono effettuati dall’imprenditore
individuale o dai soci, vale a dire dalle persone che hanno la proprietà dell’azienda e
si assumono il rischio di gestione. Questi finanziamenti corrispondono: ai
conferimenti apportati al momento della costituzione dell’impresa oppure in sede
d’aumento di capitale; agli utili conseguiti che l’imprenditore individuale o i soci
decidono di non prelevare ma di reinvestirli nell’attività senza ricorrere ad altre fonti
di finanziamento (autofinanziamento).
I finanziamenti a titolo di capitale proprio presentano queste caratteristiche:
1. Non hanno una scadenza perché l’imprenditore individuale o i soci potranno
tornare in possesso dei conferimenti effettuati, solo in caso di liquidazione o di
cessione dell’impresa.
2. Non comportano un obbligo di remunerazione poiché il capitale proprio sarà
remunerato con l’utile solo se si otterrà un risultato economico positivo; in caso
negativo l’imprenditore individuale o i soci non saranno corrisposti d’alcuna
somma.
3. Sono completamente soggetti al rischio d’impresa e quindi al rischio di perdite.
I finanziamenti a titolo di capitale di terzi sono concessi all’impresa da terzi
finanziatori. Questo tipo di finanziamento rappresenta per l’impresa un debito.
Secondo la natura dell’operazione, i finanziamenti di capitale di terzi si distinguono
in:
- Debiti di finanziamento, veri e propri prestiti, attraverso i quali l’impresa si
procura i mezzi monetari necessari alla sua attività. Rappresentano sempre
un’entrata monetaria e sono gravati da un interesse esplicito regolato
all’estinzione del prestito se a breve termine; mentre se a medio-lungo termine
pagato periodicamente a scadenze prefissate (es. ogni 3, 6, 9, 12 mesi).
- Debiti di regolamento, sorgono quando l’impresa acquista beni o servizi con
dilazioni di pagamento più o meno brevi. L’acquisto di beni con regolamento
differito da luogo a un investimento in beni o servizi accompagnato dal sorgere di
un debito; l’estinzione del debito provoca un’uscita di denaro. I debiti di
regolamento rappresentano un’entrata di beni o servizi e sono sempre dei debiti a
breve termine gravati da interessi sia impliciti sia espliciti.
Anche il capitale di terzi presenta delle caratteristiche:
1. Ha una scadenza prefissata e deve essere obbligatoriamente rimborsato alla
scadenza prevista. I debiti possono avere diverse scadenze: breve (fino a un anno),
media (da 1 a 5 anni), lunga (oltre 5 anni).
2. Sull’impresa gravano degli interessi da pagare indipendentemente dal risultato
economico a fine esercizio. L’interesse può essere esplicito se le parti hanno
concordato un tasso percentuale indicato nel contratto; oppure implicito quando è
già compreso nell’importo da pagare alla scadenza.
3. È soggetto limitatamente al rischio d’impresa poiché i creditori non otterranno il
rimborso dovuto solo in caso di perdite molto elevate.
Le possibilità di reperimento dei finanziamenti sono influenzate notevolmente dalla
forma giuridica dell’impresa. Secondo il Codice Civile tutte le società per azioni e le
società in accomandita per azioni possono ricorrere all’emissione di valori mobiliari
(azioni e obbligazioni) da collocare direttamente tra il pubblico e sono dunque
agevolate nella raccolta di mezzi monetari. Le altre imprese ricorrono generalmente
al sistema bancario per ottenere i finanziamenti.
Nella realtà solo le grandi società per azioni possono facilmente ricorrere ai mercati
organizzati, alla Borsa Valori, dove collocano i titoli fra il pubblico dei risparmiatori
ottenendo numerosi vantaggi.
Invece le società per azioni di piccole e medie dimensioni e le società in accomandita
per azioni non ricorrono alla quotazione di Borsa perché talvolta mancano i requisiti
necessari e i costi relativi alla procedura sono elevati. Così anche queste imprese
devono ricorrere a finanziamenti di tipo bancario.
Affinché un’impresa possa svilupparsi è necessario che essa possegga una situazione
finanziaria equilibrata.
IL SISTEMA INFORMATIVO Il sistema informativo è costituito dall'insieme delle informazioni utilizzate, prodotte
e trasformate da un'azienda durante l'esecuzione dei processi aziendali, dalle modalità
in cui esse sono gestite e dalle risorse, sia umane, sia tecnologiche, coinvolte. Non va
confuso con il sistema informatico, che indica la porzione di sistema informativo che
fa uso di tecnologie informatiche e automazione.
Definizione
1. Attività che si devono svolgere per la gestione delle informazioni,
2. Modalità organizzative con cui devono essere condotte tali attività,
3. Strumenti tecnologici con cui svolgerle.
In un ambiente sempre più dinamico come quello odierno, le imprese si trovano in
una situazione di grande complessità gestionale e nell'esigenza di dover gestire
quantità sempre maggiori di informazioni in modo sempre più efficace, efficiente e
tempestivo per poter così rispondere ai continui cambiamenti del mercato e delle sue
esigenze: prendere decisioni velocemente richiede la possibilità di disporre di tutte le
informazioni necessarie in tempi rapidi, il che è possibile solo se l'impresa è dotata di
un sistema informativo in grado di rendere disponibili le informazioni in tempo reale.
Possiamo dunque comparare il sistema informativo aziendale ad un vero e proprio
sistema nervoso dell'azienda stessa. Le tecnologie informatiche offrono oggi grandi
potenzialità (informatizzazione del sistema informativo aziendale): - consentono alle
aziende di controllare, pianificare e gestire in modo integrato tutte le attività; -
consentono di elaborare velocemente una maggiore quantità di dati ed informazioni
di quanto fosse possibile in passato.
La parte del sistema informativo composta dai calcolatori, dalle reti informatiche,
dalle procedure per la memorizzazione e la trasmissione elettronica delle
informazioni prende il nome di sistema informatico. Infatti, i concetti fondamentali
alla base di un sistema informativo sono dati, informazioni e processi, e non
presuppongono l'utilizzo di tecnologie informatiche. Ciononostante, anche se
l'esistenza del sistema informativo è indipendente dalla sua automazione, il relativo
sistema informatico ricorre quasi sempre all'utilizzo di uno o più database per
l'archiviazione e il reperimento delle informazioni, e ad appositi moduli software per
l'inserimento e la gestione.
Evoluzione dei sistemi informativi
Già a partire dal 1970 si compiono i primi studi sull'applicazione dell'informatica ai
sistemi informativi aziendali da parte per lo più di software house, tesi a coprire
particolari esigenze o particolari funzionalità.
Il passo successivo avviene attorno al 1980, quando si sviluppano i Materials
Requirements Planning (MRP), cioè moduli software dedicati alle esigenze di
informatizzazione legate soprattutto alle problematiche di approvvigionamento dei
materiali necessari alla produzione dell'azienda, con l'obiettivo di mantenere
consistenti le informazioni nelle varie fasi di pianificazione dell'approvvigionamento,
trasporto e consegna dei materiali.
Negli anni a seguire, iniziano a comparire i primi sistemi di Enterprise Resource
Planning (ERP), che oggi rappresentano uno standard de facto all'interno dei sistemi
informativi aziendali.
Infine negli ultimi anni hanno iniziato a diffondersi gli ERP estesi che, permettendo
l'accesso contollato al sistema informativo aziendale da parte dei fornitori e dei
clienti, mira a migliorare la collaboratività tra tutti i cointeressati alla realizzazione di
un prodotto.
Negli ultimi anni i sistemi informativi sono entrati a far parte delle architetture
telematiche nel duplice ruolo di punto di partenza tecnologico e scopo ultimo del
lavoro di organizzazione delle informazioni prodotte.
Ciclo vita dei sistemi informativi
Le fasi di realizzazione di un sistema informativo sono generalmente le seguenti:
* nascita dell'esigenza: tende a migliorare la situazione esistente tramite il
perseguimento di determinati obiettivi.
* studio di fattibilità: serve a definire in maniera per quanto possibile precisa i costi
delle varie alternative possibili, ad effettuare la conseguente analisi costi/benefici ed a
stabilire le priorità della realizzazione delle varie componenti del sistema.
* raccolta e analisi dei requisiti: consiste nell'individuazione e nello studio delle
proprietà e delle funzionalità che il sistema informativo dovrà avere. Questa fase
richiede un'interazione con gli utenti del sistema e produce una descrizione completa
ma generalmente informale dei dati coinvolti e delle operazioni su di essi. Vengono
inoltre stabiliti i requisiti software e hardware del sistema informativo.
* progettazione: si divide generalmente in progettazione dei dati, progettazione
delle applicazioni e progettazione dell'architettura tecnica di sistema. Nella prima si
individua la struttura e l'organizzazione che i dati dovranno avere, nella seconda si
definiscono le caratteristiche dei progetti applicativi. Queste due attività sono
complementari e possono procedere in parallelo o in cascata. Le descrizioni dei dati e
delle applicazioni prodotte in questa fase sono formali e fanno riferimento a specifici
modelli. La progettazione dell'architettura tecnica di sistema, infine, rappresenterà
l'infrastruttura individuandone le caratteristiche in termini di sistemi (server),
connettività, sicurezza fisica e logica.
* sviluppo: consiste nella realizzazione del sistema informativo secondo la
struttura e le caratteristiche definite nella fase di progettazione. Viene costruita e
popolata la base di dati e viene prodotto il codice dei programmi.
* validazione e collaudo: serve a verificare il corretto funzionamento e la qualità
del sistema informativo. La sperimentazione deve prevedere, per quanto possibile,
tutte le condizioni operative.
* avviamento: è la fase di messa in funzione del sistema. Si erogano i corsi di
formazione, si travasano i dati da eventuali realizzazioni preesistenti che vengono
sostituite, si attivano i collegamenti con le altre applicazioni e si parte con
l'operatività reale.
* funzionamento: in questa fase il sistema informativo diventa operativo a regime
ed esegue i compiti per i quali era stato originariamente progettato. Se non si
verificano malfunzionamenti o revisioni delle funzionalità del sistema, questa attività
richiede solo operazioni di gestione e manutenzione.
* manutenzione: con la manutenzione correttiva si consolida il sistema, mentre con
la manutenzione evolutiva lo si completa ed arricchisce di funzionalità inizialmente
non individuate.
Va precisato che il processo non è quasi mai strettamente sequenziale, in quanto
spesso durante l'esecuzione di una attività citata bisogna rivedere decisioni prese
nell'attività precedente. Quello che si ottiene è un ciclo di operazioni. Inoltre alle
attività citate si aggiunge quella di prototipizzazione, che consiste nell'uso di specifici
strumenti software per la realizzazione rapida di una versione semplificata del
sistema informativo, con la quale sperimentare le sue funzionalità. La verifica del
prototipo può portare a una modifica dei requisiti e una eventuale revisione del
progetto.
Il suddetto ciclo di vita ha costituito la base sulla quale è stato poi formalizzato il
ciclo di vita delle architetture telematiche.
Sistema informativo aziendale
Nell'azienda il sistema informativo è uno dei sistemi operativi ed ha il compito di
* raccogliere i dati;
* conservare i dati raccolti, archiviandoli;
*elaborare i dati, trasformandoli in informazioni;
* distribuire l'informazione agli organi aziendali utilizzatori.
Per fare questo il sistema informativo si può avvalere di tecnologie informatiche: la
parte del sistema informativo aziendale che se ne avvale prende in nome di sistema
informatico. Oggi, con il diffondersi delle tecnologie informatiche, il sistema
informatico finisce per rappresentare la quasi totalità del sistema informativo, ma,
almeno a livello concettuale, il sistema informativo non implica di per sé l'uso
dell'informatica; del resto prima che fossero introdotte le tecnologie informatiche già
esistevano sistemi informativi.
Le informazioni fornite dal sistema informativo agli organi aziendali sono necessarie
agli stessi per assumere le decisioni e sono caratterizzate da:
* il contenuto (ossia la rilevanza per il destinatario e la correttezza intrinseca);
* il tempo nel quale sono rese disponibili;
* il luogo ove sono rese disponibili;
* la forma con la quale sono presentate.
IL BILANCIO D'ESERCIZIO Il bilancio d'esercizio è l'insieme dei documenti che un'impresa deve redigere
periodicamente, allo scopo di rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria nonché il risultato economico della società.
Il bilancio d'esercizio si compone di tre documenti:
1. lo Stato patrimoniale
2. il Conto economico
3. la Nota integrativa
Altro documento giudicato di complemento è il rendiconto finanziario.
La redazione del bilancio ha due obiettivi: rispondere agli obblighi contabili e fiscali
previsti dal codice civile e mettere a disposizione di operatori esterni ed interni