Università Cattolica di Milano Facoltà di Scienze della Formazione A.a. 2016/2017 Master in Competenze interculturali Formazione per l’integrazione sociale XIII edizione Barbara Pizzetti Matricola 4614002 Ottobre 2017 Progetto Dòsti: dialogo interreligioso e integrazione
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Progetto Dòsti: dialogo interreligioso e integrazione · 4 Per approfondimenti consultare gli appunti del laboratorio monografico “Dialogo interreligioso, conflitti e comunicazione”
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Università Cattolica di Milano
Facoltà di Scienze della Formazione
A.a. 2016/2017
Master in Competenze
interculturali
Formazione per l’integrazione
sociale XIII edizione
Barbara Pizzetti
Matricola 4614002
Ottobre 2017
Progetto Dòsti:
dialogo interreligioso e
integrazione
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SOMMARIO
1. Dalla religione d’Italia all’Italia delle religioni ............................................................................................ 2
1.1. I numeri delle religioni in Italia ............................................................................................................. 2 1.2. I processi di post-secolarizzazione: pluralismo e analfabetismo religioso in Italia ................................ 3 1.3. Religione e integrazione: diritto e sfera pubblica ................................................................................... 4
2. Popolazione straniera ed appartenenze religiose a Brescia ........................................................................... 5 2.1. Il trend generale della presenza straniera a Brescia e provincia ............................................................. 6 2.2. Profilo demografico della popolazione straniera residente in provincia di Brescia ................................ 6
2.2.1. Genere ............................................................................................................................................ 6 2.2.2. Status Giuridico (residenti/non residenti/irregolari) ........................................................................ 6 2.2.3. Aree di provenienza e nazionalità ................................................................................................... 7 2.2.4. Età .................................................................................................................................................. 7
2.3. Appartenenza religiosa .......................................................................................................................... 8 3. L’accompagnamento di un processo di dialogo interreligioso: il progetto Dòsti – Idee per un festival delle
arti e delle culture religiose a Brescia (2016-17) .............................................................................................. 9 3.1. I promotori e gli scopi dell’iniziativa ................................................................................................... 11 3.2. Gli attori .............................................................................................................................................. 11 3.3. Fasi del processo ................................................................................................................................. 12 3.4. L’evento pubblico ................................................................................................................................ 13 3.5. Criticità nell’organizzazione dell’evento ............................................................................................. 14 3.6. Sviluppi possibili ................................................................................................................................. 15
4. Dòsti: buona pratica di dialogo interreligioso? ........................................................................................... 16 4.1. Dòsti e le strategie della politica nazionale .......................................................................................... 16 4.2. Dòsti: un ponte fra istituzioni locali e società civile ............................................................................ 17 4.3. Il rischio dell’esotismo e dell’estetismo e la virtù della relazione: una rilettura dell’esperienza dal
punto di vista interculturale ........................................................................................................................ 17 Brevi conclusioni e rilancio ............................................................................................................................ 18 Bibliografia .................................................................................................................................................... 20 Sitografia ........................................................................................................................................................ 21 Fonti ............................................................................................................................................................... 21
2
«Vita dialogica non è quella in cui si ha a che fare con molti uomini,
ma quella in cui si ha davvero a che fare con gli uomini con cui si ha a che fare»
Martin Buber
1. Dalla religione d’Italia all’Italia delle religioni
L’Italia, paese di solida tradizione e predominanza cattolica, è attualmente contraddistinta da
un’evidente pluralità religiosa, intesa non solo in termini quantitativi – riferibili cioè alla crescente
adesione ad altre confessioni di fede o all’aumento delle confessioni presenti e professate sul
territorio nazionale, ma anche in termini qualitativi – relativi cioè a modalità sempre più
diversificate di vivere l’esperienza religiosa anche all’interno della stessa fede o della stessa
tradizione. Si assiste cioè ad un sempre più radicale passaggio dalla religione unica dell’Italia all’Italia delle religioni.
1.1. I numeri delle religioni in Italia
Secondo la rassegna enciclopedica presentata da CERNUR Centro Studi sulle Nuove Religioni, in
Italia sono attualmente presenti, in maniera organizzata, 866 minoranze religiose e spirituali (a
fronte delle 658 conteggiate nella prima edizione dell’enciclopedia, pubblicata nel 2001). Per
quanto possa essere difficile stabilire cifre e statistiche reali1, i totali della ricerca condotta “relativi
a quanti chiaramente manifestano un’identità religiosa diversa dalla cattolica in Italia sono di
circa 1.781.807 unità se si prendono in esame i cittadini italiani, e di circa 5.672.807 unità se si
aggiungono gli immigrati non cittadini, il che ha rilievo principalmente per il mondo islamico e
secondariamente per un’immigrazione cristiano-ortodossa dall’Est europeo di proporzioni
notevoli, ma anche – per esempio – per l’induismo, il buddhismo, le religioni sikh e radhasoami, un
robusto protestantesimo pentecostale e battista di origine cinese, coreana, filippina e africana, o
l’immigrazione copta proveniente da diversi Paesi dell’Africa”2.
Considerando da una parte i 55.639.398 cittadini italiani (inclusi quanti hanno acquisito la
cittadinanza, circa 1.150.000 persone) e dall’altra, il totale della popolazione residente ‒ fissato a
60.665.551 unità, delle quali secondo i dati resi noti nel 2016 dall’ISTAT 5.026.153 sono stranieri
(8,3%) ‒ la percentuale delle minoranze religiose in Italia rappresenta complessivamente il 3,2%,
della popolazione (percentuale che sale al 9,3 se si considerano i residenti sul territorio). Nel
dettaglio, la composizione del 3,2% di cittadini italiani che appartengono a minoranze religiose è la
seguente3:
Ebrei 36.256 2,0%
Cattolici “di frangia” e dissidenti 25.500 1,4%
Ortodossi 212.318 11,9%
1 Brunetto Salvarani imputa la difficoltà di fornire dati certi riguardo al pluralismo religioso in Italia a tre ordini di
motivi: la natura sensibile dei dati stessi; il fatto che in un paese tradizionalmente cattolico come il nostro,
l’appartenenza religiosa tenda a collocarsi naturalmente nel contesto cattolico anche quando corrisponda ad una pratica
modesta o addirittura nulla e ad un livello di partecipazione e comunione ecclesiale minimo; infine, alla natura stessa
del fenomeno migratorio per la quale solo in tempi recenti l’immigrazione è andata stabilizzandosi, consentendo di
definire un quadro più attendibile della appartenenza confessionale dei residenti di origine straniera. Salvarani B., I
(difficili) numeri delle religioni in Italia, in Melloni A. (a cura di), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, Il
Mulino, Bologna, 2014, pp. 387- 391. 2 http://www.cesnur.com/il-pluralismo-religioso-italiano-nel-contesto-postmoderno-2/.
3 Per le definizioni, consultare la ricerca riportata sul sito del CESNUR.
Bahá’í e altri gruppi di matrice islamica 4.250 0,3%
Induisti e neo-induisti 35.672 2,0%
Buddhisti 157.011 8,8%
Gruppi di Osho e derivati 4.100 0,3%
Sikh, radhasoami e derivazioni 14.693 0,8%
Altri gruppi di origine orientale 3.530 0,2%
Nuove religioni giapponesi 3.150 0,2%
Area esoterica e della “antica sapienza” 16.450 0,9%
Movimenti del potenziale umano 30.000 1,7%
Movimenti organizzati New Age e Next Age 20.000 1,1%
Altri 9.386 0,5%
Totale 1.781.807 100,0%
1.2. I processi di post-secolarizzazione: pluralismo e analfabetismo religioso in Italia4
Sebbene i tratti caratteristici della secolarizzazione (chiese sempre meno frequentate, vocazioni in
calo, pratiche religiose ridotte) permangano, si assiste di fatto – come testimoniato tanto dalla
diffusione dei centri yoga e dall’inaugurazione di nuovi templi buddisti, quanto dalle discussioni
populiste accese in un qualunque bar di quartiere all’indomani di un nuovo attacco terroristico
rivendicato dall’ISIS o dal favore accordato alla figura carismatica di Papa Francesco – ad un
ritorno al sacro, ad un rinvigorimento della religiosità declinata in forme plurali e variegate. Ci
troviamo perciò di fronte a una fase di cambiamento fortemente contraddittorio, a quella che la
sociologia religiosa definisce post-secolarizzazione, contraddistinta: da una sempre più evidente
vulnerabilità delle grandi istituzioni religiose; da una continua messa in discussione del messaggio
religioso di fronte alla pluralità delle scelte possibili; da appartenenze sempre più fragili e
“temporanee”; da religioni non più statiche - basate su dogmi rigidamente fissati - ma “mobili”, che
si riconfermano valide quando, e se, capaci di contestualizzazione storica; da figure di riferimento
non più identificabili nel praticante, bensì nel pellegrino e nel convertito5 che ricercano risposte non
definitive ai propri bisogni esistenziali e spirituali; da formule religiose “alla carta” e personali.
La post-secolarizzazione italiana si manifesta in un crescente pluralismo religioso, diverso e
aggiuntivo rispetto a quello rappresentato dalle minoranze storiche (ebrei e valdesi), non soltanto in
correlazione ai flussi migratori e alla presenza degli stranieri, ma anche interno alla tradizionale
appartenenza al cattolicesimo. Secondo Franco Garelli6, infatti, il 10% dei cittadini italiani (circa
cinque milioni e mezzo di persone) vivono una condizione di “appartenenza senza credenza” e pur
identificandosi come cattolici, sono cattolici “a modo loro”, selettivi nei confronti dei dogmi e delle
pratiche da seguire e sincretici nell’attingere da altre religioni simboli, principi e tradizioni7.
Pertanto, i cattolici, (l’80% circa degli italiani) possono essere distinti in: 10%; - “militanti” (che
4 Per approfondimenti consultare gli appunti del laboratorio monografico “Dialogo interreligioso, conflitti e
comunicazione” condotto da Brunetto Salvarini durante il Master in Competenze Interculturali Formazione per
l’Integrazione Sociale, XIII edizione e Naso P., Salvarani B., Post-secolarizzazione. All’italiana, in Naso P., Salvarani
B. (a cura di), I ponti di Babele. Cantieri, progetti e criticità nell’Italia delle religioni, EDB, Bologna, 2015, pp. 5 – 26. 5 Hervieu – Léger D., Il pellegrino e il convertito. La religione in movimento, Il Mulino, Bologna, 2003.
6 Garelli F., Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 24.
7 Ad esempio, relativamente all’Aldilà, solo il 36,3% degli italiani crede evangelicamente nella vita dopo la morte, il
24,4% non sa cosa aspettarsi, il 22,5% sa di non poter sapere, il 14,6% lo interpreta come “un nulla”, il 3,5% crede
nella reincarnazione, il 3,5 ha dato altre risposte. Ivi, p. 41.
4
prendono parte sia alla vita parrocchiale, sia a movimenti ed associazioni); 20% - “assidui” (che
frequentano la messa regolarmente e assiduamente); 50% - “maggioranza” (contraddistinta da
pratiche religiose saltuarie)8. Gli italiani, inoltre, sono caratterizzati da analfabetismo religioso:
essendosi interrotta la trasmissione dei saperi e delle pratiche di fede da una generazione a quella
successiva, per quanto maggiormente istruiti, sono sempre meno competenti in materia di religione
e non conoscono la confessione cattolica9. All’analfabetismo religioso, si aggiunge l’ignoranza
biblica dovuta all’esclusione dai luoghi deputati alla costruzione della cultura e dei processi
identitari e formativi, come la scuola e l’università, sia dell’insegnamento laico, scientifico e storico
della storia delle religioni, sia della “Scrittura”, testo base della cultura europea, religiosa e secolare,
che tanto ha influenzato l’immaginario dei popoli, plasmandone il linguaggio e permeandone storia,
arte, musica, letteratura.
1.3. Religione e integrazione: diritto e sfera pubblica
Secondo il sociologo della religione Josè Casanova10
, la nuova età “secolare”, contraddistinta come
detto da una sempre crescente pluralizzazione delle possibilità religiose e non, si fonda su tre
principi essenziali:
1. il riconoscimento della libertà religiosa come diritto individuale inalienabile basato sulla dignità
della persona, per cui non sono le credenze o le dottrine ad avere diritto, ma sono le persone ad aver
il diritto e il dovere di seguire la propria coscienza senza coercizione alcuna;
2. l’obbligo da parte dello Stato di tutelare le minoranze religiose e la libertà di religione di ciascun
singolo cittadino e di garantire l’uguaglianza religiosa, ossia uguale rispetto per tutte le visioni
religiose;
3. il riconoscimento del pluralismo religioso e culturale non soltanto come fatto imprescindibile ed
ormai inevitabile, ma come manifestazione positiva della condizione umana globale, principio che a
sua volta implica l’assunzione da parte di tutte le comunità religiose di un atteggiamento di mutuo
rispetto e riconoscimento reciproco, fino al dialogo interreligioso.
Ciò che caratterizza l’epoca attuale non è solo il fatto che diverse forme religiose siano ugualmente
accessibili all’individuo ed alla collettività, ma soprattutto il fatto che tali diverse forme religiose
debbano imparare sempre più a convivere in maniera positiva e costruttiva. Lo Stato post-secolare,
perciò, a fronte del pluralismo religioso e dell’espansione delle religioni dei “nuovi” cittadini e
degli immigrati, è chiamato a riformulare i modelli tradizionali di relazione fra stato e religione,
evitando, da un lato, la riaffermazione dell’egemonia cristiana nei confronti delle minoranze
religiose, dall’altro, un “secolarismo laicista”, inteso come atteggiamento negativo e aggressivo nei
confronti della religione stessa – e in particolare di certe religioni11
– e a creare e garantire le
8 Cartocci R., Geografia dell’Italia cattolica, Il Mulino, Bologna, 2011, p. 22.
9 Matteo A., La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli
(CZ), 2010. 10
Casanova J., Lo Stato post-secolare e il pluralismo religioso, in Vita e pensiero. Bimestrale di cultura e dibattito
dell’Università Cattolica 2017 – 1, Ed. Vita e Pensiero, Milano, 2017, pp. 15 – 21. 11 Per quanto il riconoscimento della libertà religiosa – avvenuto nel 1948 con l’istituzione dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – rappresenti una delle maggiori conquiste degli
ultimi 70 anni, molte società europee stanno mostrando forti resistenze a riconoscere l’Islam come religione europea
legittima. In Italia, la libertà religiosa è garantita dalla legge fondamentale dello Stato, la Costituzione - che sancisce il
principio di non discriminazione su base religiosa (articolo 3), l’uguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge
(articolo 8), la libertà di professare il proprio credo, sia individualmente che collettivamente, di promuoverne la
diffusione e di celebrarne il culto in pubblico o in privato a meno che i riti non siano contrari al buon costume (articolo
19), ed infine la proibizione di ogni forma di discriminazione o l’imposizione di speciali oneri fiscali nei confronti di
associazioni o istituzioni religiose basate sull’appartenenza confessionale (articolo 20) – e i rapporti fra lo Stato e le
confessioni religiose diverse da quella cattolica presenti sul territorio italiano sono regolati, previo riconoscimento della
personalità giuridica della confessione stessa da parte del Ministero dell’interno, tramite accordi bilaterali (intese) con le
relative rappresentanze. Nonostante quella islamica rappresenti la comunità di fede non cattolica più numerosa in Italia,
data la multiformità del mondo islamico e la mancanza di un soggetto - riconosciuto da tutti - con il quale avviare le
5
condizioni per una libera ed egualitaria espressione delle convinzioni ideologiche, morali e religiose
di tutti i cittadini (purché non in contrasto con i diritti fondamentali di ciascuno alla vita e al
perseguimento di un uguale sviluppo materiale e spirituale per tutti).
Poiché “l’esercizio del diritto di libertà religiosa permea, in realtà, così profondamente la trama
sociale da incidere, con un proprio impatto, sul concetto identitario del corpo sociale”12
(ogni
associazione religiosa, infatti, in base alla propria concezione di vita, regola non soltanto il rapporto
fra il fedele e il trascendente, ma anche il rapporto che intercorre fra i singoli fedeli ed il gruppo di
appartenenza e i rapporti intercorrenti fra il singolo/gruppo e le altre componenti della società) le
amministrazioni locali, quali prolungamento dello Stato, non potendo restare indifferenti alle
convinzioni, ai credo dei propri cittadini, devono operare scelte che mirino non solo a garantire la
libertà religiosa ma anche a “dirimere” i delicati aspetti collegati alla gestione del fenomeno (norme
alimentari e macellazioni rituali, servizi sanitari e assistenza spirituale nelle strutture ospedaliere,
festività religiose e celebrazione dei matrimoni, trattamento delle salme e sepoltura, edifici di culto,
somministrazione di cibi specifici nelle mense pubbliche, ecc.). Ed è proprio nei contesti in cui i
principi delle confessioni religiose manifestano una ricaduta e un’incidenza maggiori sulla vita
sociale, che la sinergia fra politiche di integrazione e dimensione religiosa può esprimere tutto il suo
potenziale nel favorire dialogo, inclusione e coesione sociale. Perché l’integrazione non si traduca
in una mera assimilazione ma nel rispetto e nella convivenza costruttiva delle diversità, è necessario
che le istituzioni prendano atto che l’attuazione della libertà religiosa non si limita
all’”autorizzazione” ad esistere di una confessione o associazione religiosa, di un ente di culto
all’interno della composita trama sociale, ma riguarda soprattutto le aree del quotidiano e della sfera
pubblica. La forte valenza sociale del dialogo interreligioso non è questione interna alle compagini
religiose, alle chiese e alle comunità, ma riguarda la collettività ed il clima in cui la collettività
cresce e matura i propri comportamenti ed i propri valori.
2. Popolazione straniera ed appartenenze religiose a Brescia
La città di Brescia, con i suoi 36.179 residenti stranieri, pari al 22,8% di tutta la popolazione
straniera provinciale e con un’incidenza sul totale della popolazione superiore alla media lombarda
(Brescia 18,4%, Lombardia 11,4%), occupa l’ottava posizione nella classifica nazionale delle città
capoluogo con il più elevato numero di cittadini stranieri, mentre si colloca al secondo posto, dopo
Milano, per incidenza degli stranieri sul totale della popolazione residente (Brescia 18,4%, Milano
18,8%). Data la numerosità dei residenti stranieri, sul territorio bresciano si registra la presenza di
molteplici comunità di fede e associazioni religiose, la cui composizione è strettamente correlata
alla nazionalità e alla provenienza dei migranti.
trattative, ad oggi non è stata stipulata alcuna intesa. Da parte governativa sono state promosse iniziative volte a favorire
l’aggregazione tra associazioni islamiche e la reciproca conoscenza con i rappresentanti delle Amministrazioni statali,
come ad esempio l’istituzione dal parte del Ministro dell’interno pro-tempore della Consulta per l’Islam in Italia (2005),
nel cui ambito sono state elaborate, nel 2007, la “Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione” e, nel 2008, la
“Dichiarazione di intenti per la federazione dell’Islam italiano”. Nel 2010, è stato istituito con decreto del Ministro
dell’interno il Comitato per l’Islam italiano, mentre nel 2012 è stata inaugurata, sotto la presidenza del Ministro per
l’integrazione e la cooperazione internazionale, la Conferenza per le religioni, la cultura e l’integrazione, di cui fanno
parte alcuni membri del Comitato per l’Islam italiano stesso. Per approfondimenti al riguardo, si consulti l’articolo
L’esercizio della libertà religiosa in Italia, curato da Anna Nardini e Iole Teresa Mucciconi per conto della Presidenza
del Consiglio dei Ministri Ufficio del Segretario Generale – Ufficio Studi e Rapporti Istituzionali, pubblicato alla
pagina http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/Esercizio_liberta_religiosa_italia.pdf. 12 Dal rapporto del 2013 Religioni, dialogo, integrazione. Vademecum a cura del Dipartimento per le libertà civili e
l’immigrazione Direzione Centrale degli Affari dei Culti Ministero dell’Interno, p. 7, scaricabile al sito
2.1. Il trend generale della presenza straniera a Brescia e provincia
Secondo i dati pubblicati annualmente da ISTAT, al 1 gennaio 2017, gli stranieri residenti in
provincia di Brescia sono 158.585 e rappresentano il 12,6% del totale della popolazione residente. Il
trend del numero dei residenti è in diminuzione in riferimento sia all’anno precedente - rispetto al 1
gennaio 2016, infatti, si registra una riduzione della popolazione straniera presente in provincia di
Brescia di circa 5 mila persone (-3,1%), sia al 1 gennaio 2011, anno di maggior presenza dei
residenti stranieri in provincia di Brescia - rispetto al quale si registrano 12.178 residenti in meno (-
7,1%). Tale riduzione è prevalentemente imputabile alle cancellazioni per acquisizione di
cittadinanza (9.376 persone) da parte dei lungo residenti. La diminuzione dei residenti stranieri è
parzialmente mitigata dal saldo positivo (+4.182 persone) tra gli stranieri che arrivano dall’estero
(5.536 persone) e quelli che sono partiti per altre destinazioni estere (1.354 persone). Dai dati
raccolti da ISTAT relativi alla Questura di Brescia e riferiti al 2015 si desume, inoltre che l’86,2%
dei nuovi permessi di soggiorno sono rilasciati per motivi di famiglia, mentre solo il 5% per motivi
di lavoro e il 4,7% per asilo, richiesta di asilo o motivi umanitari, a conferma del fatto che, per
effetto della crisi economica, il fenomeno migratorio provinciale attualmente è motivato più da
ragioni di ricongiungimento familiare, che da ragioni economiche.
2.2. Profilo demografico della popolazione straniera residente in provincia di Brescia
I dati relativi alla popolazione immigrata riportati, provenienti dal lavoro di indagine condotto sul
territorio locale dal Centro di Iniziative e Ricerche delle Migrazioni (CIRMiB) di Brescia, in
collaborazione con Comune di Brescia, Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità,
Provincia di Brescia, Prefettura e Questura di Brescia, Ufficio Scolastico territoriale, Agenzie di
Tutela della Salute, consentono di tracciare il profilo della popolazione straniera residente nella
provincia di Brescia riguardo agli aspetti demografici, sociali e culturali ritenuti qui più rilevanti13
.
2.2.1. Genere
A partire dal 2015, la componente maschile è diminuita più intensamente di quella femminile (-
9,2% gli uomini e -3,1% le donne nel periodo dal 2014 al 2017), per cui attualmente le donne sono
percentualmente in aumento. Parallelamente a ciò i flussi migratori provinciali sono passati da
un’immigrazione più significativamente maschile (nel 2003 gli uomini erano circa 60%) ad un
sostanziale equilibrio dei due generi (al 1 gennaio 2017 le donne sono il 51,2%).
L’inversione di tendenza è imputabile:
- alla progressiva sostituzione della richiesta di manodopera maschile per l’industria con quella di figure professionali prettamente femminili (colf e badanti), avvenuta a seguito
dell’allargamento dei confini dell’Unione europea e della crisi economica;
- alla più precoce naturalizzazione e acquisizione della cittadinanza, soprattutto nelle ultime due annualità, della componente maschile (giunta per prima in provincia di Brescia);
- alla crescita dei ricongiungimenti familiari.
2.2.2. Status Giuridico (residenti/non residenti/irregolari)
Secondo le stime fornite dall’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità, la
popolazione straniera non residente costituirebbe il 16% del totale della popolazione straniera in
provincia di Brescia e comprenderebbe non solo immigrati irregolarmente presenti sul territorio
provinciale (8% circa degli stranieri presenti), ma anche di cittadini con regolare permesso di
soggiorno e non iscritti all’anagrafe comunale (8% circa). La porzione di stranieri irregolarmente
13
Cfr. Colombo M. (a cura di), Immigrazione e contesti locali. Annuario CIRMiB 2017, Ed. Vita e Pensiero, Milano,
2017.
7
presenti sul territorio provinciale appare particolarmente bassa rispetto agli anni precedenti 2005-
2010, quando gli irregolari erano stimati tra il 9 e l’11%, in calo rispetto al 1 luglio 2015 (-700
persone) e in linea con il trend regionale14
.
I regolari non residenti, invece, sono cresciuti rispetto al 1 luglio 2015 (+3.200 persone), ma la loro
consistenza numerica è influenzata dalle politiche amministrative adottate dai diversi comuni.
2.2.3. Aree di provenienza e nazionalità
Secondo i dati pubblicati da ORIM riguardo alle aree di provenienza degli stranieri presenti in
provincia di Brescia al 1 luglio 2016, utilizzando un campione probabilistico di 300 unità che
comprende anche stranieri non residenti, l’area di provenienza prevalente è quella dell’Est Europa
(44% dei presenti). Le percentuali di stranieri provenienti dalle aree dell’Africa (27%) e dell’Asia
(26%) sono sostanzialmente equivalenti, mentre gli stranieri che provengono dall’America Latina
hanno un’incidenza percentuale di gran lunga inferiore (3%).
Rispetto al 2015 la percentuale di popolazione Est europea è stabile, ma in leggera decrescita in
riferimento al campione degli stranieri non comunitari (28,2% nel 2015 e 26,8% nel 2016). In
confronto col 2001, appare evidente una riduzione della componente africana (47,7% nel 2001 e
26,9% nel 2016) e latino-americana (4,2% nel 2001 e 2,9% nel 2016), mentre è cresciuta
leggermente la componente asiatica (21,1% nel 2001 e 27,1% nel 2016).
Integrando l’osservazione con i dati anagrafici di fonte ISTAT, si osserva che la classifica della
prime 20 nazionalità più rappresentative per numero di residenti stranieri è rimasta pressoché
invariata rispetto al 1 Gennaio 2016. In particolare, le prime cinque nazionalità nella provincia di
Brescia sono: Romania (15,2% di tutti gli stranieri residenti in provincia), Albania (12,1%),
Marocco (9,4%), India (9,1%) e Pakistan (7,9%). La popolazione totale delle prime 20 nazionalità
rappresenta quasi l’89% di tutti gli stranieri residenti e il restante 10% si distribuisce in più di 150
nazionalità diverse; mentre nel capoluogo15
le nazionalità prevalenti sono: Romania (10,5% degli
stranieri del capoluogo) – in crescita rispetto al 2015 e Pakistan (10,1%) - in diminuzione rispetto al
2015, al punto che nel 2015 i rumeni sono diventati per la prima volta più numerosi dei pakistani.
Nel complesso, ad eccezione dei cinesi, tutti gli altri principali collettivi nazionali presenti a Brescia
hanno subìto, nelle due ultime annualità, una riduzione dei residenti.
2.2.4. Età
I dati ISTAT al 1 gennaio 2017 relativi alla distribuzione di genere per classi d’età della
popolazione residente rivelano che la componente femminile della popolazione prevale su quella
maschile, in particolare nella classe d’età 18-34 anni (52,1%) e in quelle oltre i 50 anni.
L’età mediana degli stranieri residenti è di 32 anni per gli uomini e 34 anni per le donne.
Diminuiscono indipendentemente dal genere i giovani residenti stranieri nelle fasce d’età 0-17 anni
(-6,3%) e 18-34 anni (-4,9%), probabilmente per effetto di una decrescita progressiva delle nascite
da genitori stranieri (gli stranieri hanno meno figli che in passato e alcuni acquisiscono la
cittadinanza italiana prima di procreare), della crescita delle acquisizioni di cittadinanza nella fascia
14
«Fissando l’attenzione sulle dinamiche dell’irregolarità nelle province lombarde nel corso dei sedici anni di
monitoraggio ORIM è interessante cogliere la generale convergenza dei tassi verso il basso e il progressivo comune
passaggio da un inizio secolo in cui era normale constatare anche più di un irregolare ogni cinque presenti, agli anni di
fine decennio in cui è andato decisamente consolidandosi il rapporto di uno a dieci; sino alla fase più recente in cui la
prospettiva di un irregolare ogni venti presenti sembra poter diventare sempre più realistica». Cesareo V., Blangiardo G.
(a cura di), L’immigrazione straniera in Lombardia. Rapporto ORIM 2016, Fondazione ISMU, Éupolis, Milano 2017,
p. 44. 15
«Nel capoluogo le nazionalità prevalenti sono differenti da quelle rilevate a livello provinciale, in quanto per una
questione di reti etniche, che supportano l’immigrazione e l’integrazione dei concittadini, spesso si creano delle aree di
residenza omogenee per nazionalità di provenienza». Peano Cavasola F., I trend demografici, economici e sociali degli
stranieri nel territorio bresciano – anno 2016, in M. Colombo, 2017, pp. 27-78.
8
d’età 18-34 anni e del fatto che i figli minori seguono la condizione dei genitori nel caso di una loro
naturalizzazione.
In ogni caso, la popolazione straniera residente in provincia è più giovane di quella residente
bresciana nel complesso, la cui età mediana è di 44 anni. Le prime tre classi di età, fino ai 49 anni,
rappresentano l’85,6% della popolazione, mentre per la popolazione provinciale complessiva gli
under 50 rappresentano solo il 59,3%.
I minori, che al 1 gennaio 2017 erano 40.392, pur essendo diminuiti rispetto allo scorso anno,
rappresentano un quarto della popolazione straniera (25,4%) e un quinto del totale dei minori
residenti (19,1%). In questa classe d’età le nuove nascite rappresentano l’8,5% dei bambini, delle
quali 2.892 sono avvenute da genitori entrambi stranieri e 667 da madre straniera e padre italiano.
Le nascite da entrambi genitori stranieri sono in costante calo dal 2009 (-26,5%) e diminuiscono più
intensamente della diminuzione del totale delle nascite (-19,2%) e di quella delle nascite da
entrambi i genitori italiani (-19,3%); mentre sono in aumento rispetto al 2009 i bambini nati da
coppia mista (+26,3% i bambini nati da madre straniera e padre italiano, +23,8% i bambini nati da
madre italiana e padre straniero).
2.3. Appartenenza religiosa
La provenienza dei migranti rappresenta uno dei fattori di maggiore incidenza sull’appartenenza
religiosa, per cui alla variazione della componente della nazionalità dei migranti, corrisponde una
variazione dell’appartenenza religiosa.
Il pluralismo religioso inoltre è all’origine di vari modelli di aggregazione comunitaria che l'Ufficio
Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) distingue in tre filoni principali16
:
- ‘etnico’, in cui le comunità creano strutture organizzate in base alla provenienza, alla lingua ed
alle tradizioni di uno specifico gruppo, come nel caso dei sikh;
- ‘internazionale’, che aggrega credenti generalmente non italiani, privilegiando l’uso di lingue
coloniali come l’inglese ed il francese: è il caso delle cosiddette black churches, ovvero chiese
composte di fedeli africani di diversa provenienza che rispondono ad una sola confessione e del
"modello" islamico, che con la lingua araba, raggruppa in un’unica fede credenti non italiani
provenienti da aree del mondo diverse e distanti fra loro (Africa, Asia);
- ‘interculturale’, adottato dalle Chiese storiche del protestantesimo (valdese, metodista, battista,
ecc.), che favorisce l’incontro all’interno delle comunità di fede di fedeli non necessariamente della
stessa confessione.
Dalla ricerca condotta dall'Orim su un campione probabilistico di 300 cittadini stranieri
ultraquattordicenni, l'appartenenza religiosa della popolazione straniera in provincia di Brescia
rispecchia i modelli enunciati17
e risulta così ripartita:
- musulmani 48,8% - pur in presenza di variazioni significative delle nazionalità, la percentuale di musulmani sul totale degli stranieri si è mantenuta sostanzialmente stabile a
partire dal 2008; nel tempo, infatti, si è molto ridotta la componente africana della
popolazione, ma è cresciuta quella asiatica. Per effetto della numerosità delle comunità
provenienti da Marocco, Pakistan e Ghana, la quota di musulmani della provincia di Brescia
è di 10 punti percentuali superiore alla media lombarda (38%);
- cristiani 41,2% - rispetto al 2015 è diminuita la percentuale di coloro che professano la religione cattolica (14,3% di tutti gli stranieri, -9,3 punti percentuali) in favore dei cristiani
non cattolici (26,9% di tutti gli stranieri, +9 punti percentuali rispetto al 2015);
- sikh 3,5% - percentuale più elevata rispetto a quella regionale (1,7%);
16
UNAR, L’appartenenza religiosa degli immigrati, in Dossier statistico immigrazione 2015, IDOS, Roma 2015, pp.
186-187. 17 Per approfondimenti, cfr. Capra M., Appartenenza religiosa. Dai simboli ai sentimenti, in Colombo M. (a cura di),
Immigrazione e contesti locali. Annuario CIRMiB 2016, Ed. Vita e Pensiero, Milano, 2016, pp. 219-236.
9
- induisti 4,5% - anche in questo caso si tratta di una comunità molto numerosa e la percentuale rispetto al totale della popolazione straniera è superiore a quella regionale
(1,9%).
Tra le 78 associazioni istituite da cittadini stranieri con finalità di promozione culturale o di
solidarietà verso il paese d’origine, censite dal CIRMiB nel 2016 per conto dell’Orim, compaiono:
- 32 associazioni che fanno riferimento esplicitamente a nazionalità del continente africano;
- 3 associazioni che si riferiscono esplicitamente alla religione sikh (‘Gurdwara Singh Saba’,
‘Baba Budha Ji Sewa Society’, ‘Indian Sikh Community Brescia’);
- 7 centri/associazioni culturali e religiose di musulmani, prevalentemente fondati da cittadini di origine pakistana e dislocati principalmente nel capoluogo: (‘Cheik Ahmadou Bamba’,
‘Minhaj Ul Quran’, ‘Muhammadiah’, ‘Madni Dar Ul-Islam’, ‘Centro culturale Islamico di
Brescia’, ‘Consiglio delle relazioni islamiche’).
In sintesi, attualmente la popolazione straniera presente in provincia di Brescia presenta alcune
peculiarità già evidenziate nel corso degli ultimi anni per effetto di alcuni fenomeni, quali: la
riduzione della popolazione straniera nel suo complesso; la crescita delle acquisizioni di
cittadinanza; la prevalenza della motivazione familiare rispetto a quella economica per i nuovi
ingressi; la crescita del contingente di stranieri con un’anzianità di presenza sul territorio superiore
ai 10 anni; la significatività della popolazione di religione musulmana.
Secondo gli indici di integrazione elaborati dall’ORIM Osservatorio Regionale per l’Integrazione e
la Multietnicità18
, la condizione generale media della popolazione straniera a Brescia sta
progressivamente migliorando, tanto da giustificare l’avanzamento della città nella classifica delle
province lombarde dalla VII alla II posizione. Esaurita quindi la fase di emergenza (meno del 5%
dei nuovi ingressi riguardano il soggiorno per asilo, la richiesta di asilo o i motivi umanitari), a
fronte del progressivo aumento delle naturalizzazioni e quindi dei “nuovi” italiani, si pongono nuovi
interrogativi, bisogni e obiettivi, si aprono nuove questioni di carattere squisitamente politico. Le
politiche locali e provinciali devono perciò orientarsi non tanto – o non solo – verso interventi di
tipo assistenziale ma funzionali allo sviluppo di processi di integrazione e coesione sociale.
3. L’accompagnamento di un processo di dialogo interreligioso: il progetto Dòsti – Idee per un
festival delle arti e delle culture religiose a Brescia (2016-17)
La multiculturalità che la società attuale si trova a fronteggiare a fronte sia della migrazione, sia
della presenza di gruppi e comunità culturali stabilmente residenti, pone al centro della riflessione
nuovi concetti di identità intesa come plurale, aperta e “processuale” e di migrante come essere
18
Gli indici di integrazione nel contesto di insediamento riguardano: - la condizione economico-lavorativa, per cui un
immigrato può ritenersi integrato nel contesto di insediamento se “svolge un’attività regolare, stabile e garantita, che
sia tale da fornirgli adeguate risorse economiche attraverso una professione coerente con le proprie credenziali
formative”; - la condizione socio-territoriale, per cui un cittadino straniero può ritenersi integrato se “è in possesso di
un titolo di soggiorno valido e stabile (si va da un regolare permesso di soggiorno sino alla cittadinanza italiana), è
radicato nel territorio in cui dimora (ovvero iscritto presso un’anagrafe comunale) e dispone di una sistemazione
abitativa indipendente”; - la condizione giuridica, riguardo alla quale l’ipotesi è che la condizione di regolarità incida
sul livello di integrazione nel mercato del lavoro (e rispetto alle condizioni che ne derivano dal punto di vista
economico). Dal punto di vista metodologico, l'analisi condotta si è focalizzata su alcune variabili: per la dimensione
economico-lavorativa: “condizione professionale prevalente attuale”; “reddito medio mensile personale netto da
lavoro”; “titolo di studio posseduto”; per la dimensione socio-territoriale: “tipo di alloggio”; “condizione giuridico-
amministrativa”; “iscrizione anagrafica”, rispetto alle quali si è proceduto alla costruzione di sei indicatori di
integrazione con cui misurare il livello individuale raggiunto dai soggetti di interesse coinvolti nella rilevazione,
attribuendo "a ogni caso (unità statistica campionata) un punteggio di integrazione in relazione a ciascuna delle sei
caratteristiche considerate. Tali punteggi, compresi tra -1 (per la condizione “peggiore”) e +1 (per quella “migliore”)
sono stati preventivamente determinati attraverso l’elaborazione delle frequenze con cui le modalità delle
corrispondenti variabili erano presenti nel database". Cesareo V., Blangiardo G., 2017, pp. 84-87.
10
sociale dotato di “agency”19
, autore attivo del proprio progetto migratorio in grado di rivendicare i
propri diritti, di modellarsi in funzione del territorio che incontra e di interagire con i problemi che
tale territorio pone alla realizzazione di sé, di contribuire alla società civile. Il pluralismo (religioso,
linguistico, culturale), inoltre, solleva il tema della ibridazione, della mescolanza e del meticciato,
offrendo prospettive nuove – non solo educative – sul concetto di differenza.
Di fronte a tali mutamenti, la gestione della differenza culturale e del dialogo interculturale, perché
possa essere effettiva, deve assumere come sfondo etico e politico una “pedagogia” del
riconoscimento reciproco, della giustizia sociale tesa a garantire uguaglianza (nel tributare ad ogni
cultura pari dignità e assicurare a ciascuno uguali opportunità) ed equità (intesa come condivisione
degli stessi diritti fondamentali), dell’inclusione, della coesione e della partecipazione attiva e
responsabile come “dimensione effettiva della cittadinanza per intervenire nell’organizzazione
politica, economica e sociale di un Paese o di una comunità”20
.
Compito delle istituzioni, in particolare locali, diviene quello di promuovere interazioni fra soggetti
diversi, creare occasioni di superamento della tradizionale distinzione e divisione fra chi decide e
chi subisce le decisioni senza potervi partecipare e offrire le condizioni perché i residenti, anche non
italiani, contribuiscano attivamente e concretamente allo sviluppo della sfera pubblica e della
società civile.
In riferimento a ciò, la trattazione che segue ha lo scopo di portare ad esempio il processo
sviluppatosi in territorio bresciano nel corso degli anni 2016 e 2017 intorno al progetto Dòsti (cui
ho contribuito come referente per il coordinamento organizzativo in fase di tirocinio) evidenziando
il ruolo assunto dalle istituzioni locali e dalle comunità religiose, le quali assumono una funzione
determinante nei confronti non soltanto dei migranti ma anche della città e della società in
generale21
. Se da un lato le comunità di fede fanno parte di quelle reti etniche e catene migratorie
che rappresentano per gli individui e i gruppi una risorsa vitale per la riuscita del progetto
migratorio, poiché offrono accoglienza e supporto logistico-psicologico e consentono di mantenere
un legame di continuità con il proprio contesto di origine nel processo di elaborazione di nuove
strutture cognitive, relazionali e identitarie, dall’altro – come sottolineato dal Sindaco di Brescia
Emilio del Bono22
– le comunità religiose sono “sentinelle contro gli estremismi, contro i rischi
delle devianze terroristiche e della scorciatoia della violenza; sono presidi di umanità; strumenti di
legalità e palestre di democrazia” che basando il proprio operato sulla centralità della persona e il
rispetto dell’altro, rappresentano una diversa declinazione di quegli stessi principi e valori laici che
sono i principi ed i valori costituzionali.
19
“Migrants are not isolated individuals who react to market stimuli and bureaucratic rules, but social beings who seek
to achieve better outcomes for themselves, their families and their communities by actively shaping the migratory
process. Migratory movements, once started, become self-sustaining social processes. It is vital to add this sociological
and anthropological insight to the structural or institutional models provided by economists, political scientists and
legal specialists”. Castles S., The factors that make and unmake migration policies, in The International Migration
Review, Vol. 38, No. 3, Conceptual and Methodological Developments in the Study of International Migration, Center
for Migration Studies of New York Inc., 2004, p. 860. 20
Tarozzi M., Dall’intercultura alla giustizia sociale. Per un progetto pedagogico e politico di cittadinanza globale,
Franco Angeli, Milano, 2015, p. 67. 21
Per non disperdere, con l’abolizione delle Circoscrizioni, una ultratrentennale esperienza di governo di prossimità,
privando l’Amministrazione di un fondamentale strumento di ascolto del territorio e quindi di partecipazione alle scelte
amministrative, nel 2014 sono stati istituiti i Consigli di Quartiere. Attraverso le assemblee svoltesi in ogni quartiere
nella settimana centrale di novembre, è stata raccolta la disponibilità di quasi 500 cittadini ed il 14 dicembre 2014 tutti i
residenti nel Comune di Brescia, che avevano compiuto almeno 16 anni, sono stati chiamati a votare i loro
rappresentanti. La consultazione ha visto la partecipazione dell’elettorato attivo e passivo degli immigrat i regolarmente
residenti e ha portato all’elezione di alcuni consiglieri di origine straniera. 22
Nel discorso tenuto durante la tavola rotonda di apertura di Dòsti – Idee per un festival delle arti e delle culture
religiose, il 6 maggio 2017, il Sindaco ha inoltre sostenuto la necessità “di far crescere le nostre istituzioni e le nostre
comunità dentro questa educazione corale alla convivenza, al rispetto reciproco, alla crescita e alla dialettica, ma è
importante che ciò accada e venga convogliato entro gli alvei fondamentali”.
11
3.1. I promotori e gli scopi dell’iniziativa
Considerata la natura variegata e multiforme del tessuto culturale e religioso del suo territorio, la
provincia di Brescia è stata identificata dalla Direzione Centrale degli Affari dei Culti del
Dipartimento per le Libertà Religiose del Ministero dell'Interno, come area di riferimento per la
promozione di iniziative volte a favorire il dialogo religioso e interculturale e prevenire situazioni di
ghettizzazione che possano generare fenomeni di intolleranza, radicalismo o estremismo religioso e
culturale. La provincia di Brescia è stata “candidata” a divenire – attraverso il coinvolgimento
diretto delle principali istituzioni, delle comunità religiose e dei cittadini, in particolare stranieri -
fucina di buone pratiche e modelli di inclusione e confronto, improntati sul dialogo e sulla
partecipazione attiva alla vita sociale e culturale; laboratorio per progetti pilota replicabili ed
esportabili in altre province del territorio nazionale.
3.2. Gli attori
Il Consiglio Territoriale per l’Immigrazione23
, convocato dal Prefetto di Brescia Valerio Valente, e
dal Prefetto Giovanna Iurato della Direzione Centrale degli Affari dei Culti – Ministero
dell’Interno, ha quindi indetto a partire da maggio 2016 numerosi incontri con i rappresentanti delle
diverse comunità religiose presenti in provincia (cattolici, valdesi, ortodossi, evangelici, ebrei,
musulmani, musulmani murid e pakistani, sikh, induisti, buddhisti) ed i rappresentanti delle
istituzioni (Prefettura di Brescia, Assessorato alle Politiche per la Casa e alla Partecipazione dei
Cittadini del Comune di Brescia, Provincia di Brescia, Ufficio Scolastico Provinciale, Casa
Circondariale Canton Mombello, Università Statale di Brescia, Università Cattolica del Sacro
Cuore, Centro di Iniziative e Ricerche sulle Migrazioni di Brescia). Al comitato così istituitosi24
, nel
corso degli appuntamenti si sono progressivamente aggiunti alcuni studenti del corso di laurea in
Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo (STArS) dell’Università Cattolica e del corso di
grafica del Dipartimento di Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti Santa Giulia, ed esperti di
varie discipline artistiche e non: Michele Lobaccaro – autore, compositore e musicista dei
Radiodervish25
; Franco Rinaldi – pittore; Marco Meazzini – videomaker e collaboratore del
settimanale la Voce del Popolo; Matteo Asti – docente di media e cinema all’Accademia di Belle
Arti Santa Giulia; Mario Pasquero - Responsabile della Direzione Commerciale, Marketing e
23
Il Consiglio Territoriale per l'Immigrazione è un organismo collegiale, presieduto dal Prefetto, che ha il compito di
monitorare, a livello provinciale, la presenza degli stranieri e la capacità del territorio di assorbire i flussi migratori. Il
Consiglio Territoriale per l'Immigrazione attraverso la cooperazione sinergica con gli altri soggetti, istituzionali e non,
presenti sul territorio promuove iniziative di integrazione, formula proposte al Dipartimento per le Libertà Civili e
l'Immigrazione, per risolvere problemi locali connessi al fenomeno migratorio.
Diffusione del Gruppo Editoriale Bresciana (owner di Giornale di Brescia, Teletutto e Radio
Bresciasette).
3.3. Fasi del processo
Dagli incontri è emersa la volontà di elaborare e realizzare un progetto di cooperazione con i
seguenti obiettivi:
1. coinvolgere le associazioni religiose più attive e radicate sul territorio di Brescia e provincia,
sollecitando la partecipazione tanto dei ministri di culto quanto delle comunità di fedeli,
molte delle quali immigrate;
2. diffondere in modo semplice e diretto la conoscenza delle varie forme di culto, non solo fra
la popolazione residente (per migliorare la percezione comune delle diverse manifestazioni
religiose e culturali) ma anche fra le seconde generazioni che già vivono in un contesto
pluralistico;
3. sperimentare una forma unificante di dialogo attraverso i linguaggi artistici;
4. coinvolgere, attraverso le scuole e le istituzioni accademiche, il numero più elevato possibile
di giovani e di insegnanti di ogni disciplina.
Il processo si è sviluppato in diverse fasi ciascuna delle quali ha messo in evidenza esigenze e
tensioni differenti:
- la prima fase di aggancio degli interlocutori - avviata a maggio 2016, dietro convocazione da
parte del Consiglio Territoriale per l’Immigrazione della Prefettura - si è incentrata sulla
conoscenza e il riconoscimento reciproco come presupposto essenziale per stabilire un clima
di collaborazione e dialogo e per comprendere:
quali potessero essere gli orizzonti e gli obiettivi condivisi;
quali potessero essere le finalità del costituire un tavolo allargato di lavoro, che
comprendesse tanto le istituzioni pubbliche quanto i rappresentanti di diversi
gruppi etnici e comunità religiose;
con quali modalità e azioni potessero essere perseguiti e raggiunti gli obiettivi preposti;
- la seconda fase, da ottobre 2016 a marzo 2017, si è articolata a partire dal confronto alla pari
fra i vari rappresentanti delle comunità religiose e degli enti e istituzioni convolti, all’interno
di un comitato organizzativo maggiormente ristretto, per:
definire il cartellone di azioni pubbliche ed eventi (festival delle arti e delle culture religiose) in cui articolare il progetto;
stabilire i contenuti da proporre e sviluppare;
individuare le procedure da seguire e gli esperti delle discipline artistiche cui affidare il coordinamento e la curatela dei diversi eventi in cartellone;
- la terza fase da marzo al 6 maggio 2107 (data in cui si è tenuto il festival), dedicata:
all’elaborazione del logo Dòsti; all’organizzazione e realizzazione dell’edizione zero di
Dòsti – Idee per un Festival delle Arti e delle Culture Religiose; alla raccolta immediata dei
materiali prodotti, esposti durante gli eventi (foto e libri sacri, testi degli interventi dei
relatori alla tavola rotonda, videointerviste, testi dei canti religiosi)26
;
- l’ultima fase, attualmente in corso, di debriefing e definizione degli sviluppi per l’edizione
successiva, che potrebbe essere realizzata nel corso del 2018, prima della fine dell’attuale
legislatura del Consiglio Comunale.
26 I materiali disponibili sono scaricabili alla pagina http://centridiricerca.unicatt.it/cirmib-attivita-progetti-sul-territorio.
4.2. Dòsti: un ponte fra istituzioni locali e società civile
Il pluralismo, come evidenziato, coinvolge tanto nativi quanto “nuovi” cittadini, tocca una quota
rilevante della società poiché penetra capillarmente nel tessuto sociale spingendosi e diffondendosi
in provincia e nelle periferie. Le istituzioni più prossime, i comuni, sono dunque chiamati ad
assumere un ruolo fondamentale come veicolo di conoscenza e riconoscimento, come strumento di
“normalizzazione” delle situazioni più complesse, come mezzo di composizione e integrazione
delle diverse anime della cittadinanza che abita e alimenta il territorio. Ed è proprio nelle città, nel
cuore del territorio, dove la connessione con chi governa è più stretta, che i legami sociali possono
essere più intensi e fecondi. È nelle città che il nesso fra la pratica della deliberazione politica e gli
effetti e le ricadute che tale deliberazione ha sulla realtà sociale territoriale, può assumere pieno
significato e potenziale e contribuire alla diffusione di una “cultura” della politica pubblica, della
cittadinanza attiva, della partecipazione alla vita sociale e culturale del territorio, del dialogo
interculturale.
In tal senso, il progetto Dòsti rappresenta un positivo esempio di come sia possibile interconnettere,
da un lato, le istituzioni locali e le decisioni prese in campo politico per delineare modelli coerenti,
organici e continui nel tempo atti a favorire l’integrazione, dall’altro, la società civile con i propri
organismi di base (le associazioni religiose, i centri culturali, le scuole), le proprie energie e risorse
auto-organizzative e le iniziative (più o meno spontanee) che mette in campo; un positivo esempio
di come tale interconnessione consenta di affrontare passo dopo passo, concretamente, il difficile
processo di coniugazione di differenze e uguaglianza. Rappresenta un positivo esempio del fatto che
“il pluralismo è un valore nella misura in cui è agito, vale a dire se e quando non si limita a
registrare la giustapposizione statica e lineare di comunità estranee, ma si dimostra capace di
esercitare una governance circolare orientata alla convivenza, al dialogo, alla cooperazione in
funzione del bene comune”.34
4.3. Il rischio dell’esotismo e dell’estetismo e la virtù della relazione: una rilettura
dell’esperienza dal punto di vista interculturale
La scelta di coronare un processo di dialogo e confronto costruttivo con la realizzazione di un
festival e di impiegare i linguaggi artistici (musica, danza, fotografia, ecc.) per esprimere e
comunicare l’identità culturale e religiosa di un gruppo, reca con sé due diversi ordini di rischio. Da
un lato, il rischio di incorrere in una tendenza all’estetizzazione della religione, cioè nella tendenza
a cogliere ed esibire, addirittura ostentare, solo gli aspetti “estetici” più originali, suggestivi e vivacemente evocativi o rappresentativi della religione (ad esempio, costumi e rituali) e quindi a
fruire – d’altro lato – “distrattamente” di elementi simbolici di grande spessore culturale e
identitario35
.
Dall’altro, il rischio di limitarsi a confrontare gli elementi più superficiali e immediatamente
riconoscibili delle culture e che “l’altro di ciascuno” si accosti mosso più da una curiosità vicina
forse all’esotismo che da un’autentica volontà di mettersi in discussione in un confronto profondo.
Ne risulterebbero identità rafforzate in senso conservativo, culture rigide, stereotipate e
semplificate, a tratti forse anacronistiche, per quanto affascinanti, quando la cultura è un sistema
complesso, dinamico, mutevole e permeabile di elementi declinati in modo personalizzato, situato e
storicizzato, “a scapito di una visione interattiva e dialogica del rapporto che le diverse culture
34 Salavarani B., 2015, p. 6. 35 A tal riguardo, ho potuto notare quanto interesse e curiosità e trasporto abbiano suscitato tra il pubblico accorso le
danze induiste e le arti marziali sikh in abiti tradizionali e soprattutto come, durante la tavola rotonda, sia stato
preferibile - da parte dei funzionari istituzionali preposti - disporre sul palco molti più rappresentanti della comunità
sikh di quanto previsto e concordato (suscitando peraltro a posteriori le rimostranze di altre comunità che si sono sentite
rappresentate in maniera non egualitaria), perché la loro presenza “molto colorata” sarebbe stata di grande impatto
visivo ed emotivo.
18
intrattengono fra loro”36
. È solo questa visione, quella relazionale, che pone al centro dell’interesse
non solo le connessioni e gli scambi, le reciproche influenze fra culture, ma soprattutto il rapporto
intersoggettivo fra gli individui, che nella loro diversità e con la propria storia, sono portatori di
queste culture, ad essere realmente interculturale.
Da cui l’idea di un dialogo interreligioso come “dialogo laicale sia nel metodo sia nei soggetti,
dialogo di cittadini attivi più che di specialisti o di accademici, un dialogo extra muros più che
intra muros”37
. In questo senso, l’esperienza di Dòsti, a prescindere dalle forme assunte dal
prodotto, ha rappresentato un processo di avvicinamento all’altro in funzione della costruzione di
spazi di incontro, intesi come occasioni di cittadinanza e progettualità condivisi, come ambiti nel
quale intessere e vivere relazioni interculturali attraverso gesti concreti, come orizzonti condivisi
entro cui collocare azioni comuni e comportamenti atti a modificare il contesto38
.
Brevi conclusioni e rilancio
A fronte del crescente pluralismo e della necessità da parte delle istituzioni politiche, nazionali e
locali, di elaborare giuste formule di governance delle differenze culturali e religiose, le presenza
della religione nella sfera pubblica e nella società civile (ispirata dal rispetto di norme e diritti
comuni e motivata dalla ricerca di un comune ed egualitario benessere) ed il dialogo interreligioso
rappresentano un efficace strumento di sviluppo di competenze interculturali, di mutua conoscenza
nel rispetto e nel riconoscimento delle reciproche differenze, di potenziamento degli scambi fra
istituzioni e gruppi religiosi, ma soprattutto di rafforzamento dei rapporti sociali fra individui.
Rileggendo l’esperienza di Dòsti, dal punto di vista delle relazioni interculturali e interreligiose, il
ruolo assunto nel processo di sviluppo del progetto mi ha permesso di osservare un’evoluzione da
una condizione iniziale di netto squilibrio – in termini di propositività e interattività – interno alle
comunità di stessa matrice religiosa (tra i gruppi cattolici, quelli meno partecipi e più “schivi” erano
inizialmente la comunità rumena ortodossa e quella evangelista) e tra comunità di diversa
appartenenza religiosa (quelle cattoliche si palesavano come più forti, strutturate e trascinanti
rispetto a quelle acattoliche, in particolare sikh), a un assetto di maggiore protagonismo,
coinvolgimento, autonomia e “autoralità” da parte delle comunità di minoranza. Ho inoltre potuto
rilevare il passaggio da un atteggiamento di grande preoccupazione rispetto a possibili
fraintendimenti e incomprensioni (riguardo agli atteggiamenti e ai significati attribuiti tanto agli
accadimenti quanto ai contenuti sviluppati), rafforzata da un evidente difficoltà anche linguistica, ad
una situazione di maggiore distensione e padronanza, non tanto dell’italiano, quanto della
comunicazione, cioè della capacità di evidenziare e trasmettere concetti che possano essere
compresi senza travisamenti, da una parte e della disponibilità a cogliere i significati più profondi
dei messaggi trasmessi, dall’altra.
Posso altresì ritenere che le difficoltà riscontrate e le criticità emerse lungo il percorso di gestazione
e gestione del progetto, siano indice del fatto che prima ancora che di un processo di dialogo
interreligioso, si è trattato di un processo di sviluppo di relazioni interculturali che come tali non
possono essere date per scontate ma richiedono competenza, attenzione, considerazione, sensibilità,
autoriflessione e consapevolezza.
Alla luce degli apprendimenti acquisiti durante il Master in Competenze Interculturali Formazione
per l’Integrazione Sociale, a rinforzo dell’idea che quello interculturale non è un atto di
affermazione o riproduzione di dimensioni identitarie originarie e sempre uguali a se stesse, bensì
un processo sociale di co-costruzione di significati e di significanti, di creazione di spazi di
incontro, di partecipazione attiva e responsabile, di esplorazione, conciliazione e integrazione
36 Amselle J. L., Connessioni. Antropologia dell’universalità delle culture, Bollati Boringhieri, Torino, 2001, p. 214. 37
Salvarini B., Appunti per una rassegna di studi sul dialogo interreligioso e sulle buone pratiche, in Melloni A., 2014,
pp. 231-246. 38 Per approfondimenti cfr. Reggio P., Santerini M. (a cura di), Le competenze interculturali nel lavoro educativo,
Carocci editore, 2008.
19
creative di elementi differenti in una sintesi comune ed originale, suggerirei che nelle prossime
edizioni del Festival delle Arti e delle Culture Religiose si insistesse ancor più fortemente
sull’urgenza di instaurare rapporti paritari fra minoranze e maggioranza, sulla necessità di un reale
confronto e scambio in sede di dibattito pubblico piuttosto che di una mera presentazione dei tratti
più caratteristici dell’appartenenza e identità religiosa. Ribadirei l’opportunità di elaborare prodotti
e azioni artistici (ad esempio, un coro “misto” che componga brani religiosi ad hoc in una
commistione di generi e tradizioni musicali o ancora percorsi di ricerca-azione partecipata e
autorappresentazione mediante la fotografia o la narrazione, ecc.) che siano quindi espressione delle
istanze profonde della comunità in generale e non esibizione di tratti folcloristi o estetici. Proporrei
che si insistesse nel ritenere la parità, il confronto, lo scambio e l’elaborazione creativa e
partecipata, strumenti essenziali di condivisione e ridefinizione degli assunti culturali, di
valorizzazione non solo delle differenze, ma soprattutto delle risorse e delle interazioni sociali, di
azione e quindi di trasformazione del contesto e della società civile.
20
BIBLIOGRAFIA
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Torino, 2001
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