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1 Profili tributari e fiscali delle confessioni religiose prive di intesa in prospettiva interculturale ANGELA VALLETTA SOMMARIO: 1. Rileggere l’art. 20 Cost. in chiave interculturale. 2. La disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle ONLUS. 3. Erogazioni e deducibilità fiscale. 4. L’imposta municipale unica e gli edifici di culto acattolico. 5. Il waqf islamico e il regime delle fondazioni. 1. Rileggere l’art. 20 Cost. in chiave interculturale La strada della laicità interculturale passa anche per una moderna “interculturalità fiscale”, riferibile alla funzionalità degli enti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che non hanno stipulato una intesa con lo Stato, il cui regime è dettato dalla l. 1159 del 1929 nota come “Legge sui culti ammessi” nonché dal R.D. 289/1930 di attuazione della medesima 1 . Il contesto storico in cui fu promulgata la legge fa comprendere come oggi risulti inadeguata ed in contrasto non solo con il principio 1 Sul punto si leggano i contributi di M. TEDESCHI, Le minoranze religiose tra autonomia e immobilismo del legislatore, in Diritto e Religioni, Cosenza, 2009; F. VECCHI, Le nuove intese stipulate con le confessioni religiose di minoranza: un persistente strabismo del sistema normativo confessionale italiano, in Diritto e Religioni, Cosenza, 2010; P. BELLINI, I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in AA.VV., Studi in memoria di Mario Condorelli, I/I, Milano, 1988, p. 136; A. SPADARO, Laicità e confessioni religiose: dalle etiche collettive (laiche e religiose) alla “metaetica” pubblica (costituzionale), in AA.VV., Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo XXI, Napoli, 2007; F. VECCHI, Intese. IV) Intese con le confessioni religiose acattoliche, Postilla di aggiornamento, in Enc. Giur. Treccani, XV, Roma, 2007, pp. 2 ss.; G. CATALANO, I nuovi accordi con le confessioni religiose, in Scritti minori, II, Scritti giuridici, M. TEDESCHI (a cura di), Soveria Mannelli, 2003, p. 1169; M. TEDESCHI, La legge sui culti ammessi, in Dir. Eccl., 2003, I, pp. 629 ss., e in Studi di diritto ecclesiastico, Napoli, 2004, pp. 177 ss.
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Profili tributari e fiscali delle confessioni religiose prive di intesa in prospettiva interculturale

Apr 26, 2023

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Profili tributari e fiscali delle confessioni religiose prive di intesa in prospettiva interculturale

ANGELA VALLETTA

SOMMARIO: 1. Rileggere l’art. 20 Cost. in chiave interculturale. – 2. La disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle ONLUS. – 3. Erogazioni e deducibilità fiscale. – 4. L’imposta municipale unica e gli edifici di culto acattolico. – 5. Il waqf islamico e il regime delle fondazioni. 1. Rileggere l’art. 20 Cost. in chiave interculturale La strada della laicità interculturale passa anche per una moderna “interculturalità fiscale”, riferibile alla funzionalità degli enti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che non hanno stipulato una intesa con lo Stato, il cui regime è dettato dalla l. 1159 del 1929 nota come “Legge sui culti ammessi” nonché dal R.D. 289/1930 di attuazione della medesima1. Il contesto storico in cui fu promulgata la legge fa comprendere come oggi risulti inadeguata ed in contrasto non solo con il principio

1 Sul punto si leggano i contributi di M. TEDESCHI, Le minoranze religiose tra autonomia e immobilismo del legislatore, in Diritto e Religioni, Cosenza, 2009; F. VECCHI, Le nuove intese stipulate con le confessioni religiose di minoranza: un persistente strabismo del sistema normativo confessionale italiano, in Diritto e Religioni, Cosenza, 2010; P. BELLINI, I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in AA.VV., Studi in memoria di Mario Condorelli, I/I, Milano, 1988, p. 136; A. SPADARO, Laicità e confessioni religiose: dalle etiche collettive (laiche e religiose) alla “metaetica” pubblica (costituzionale), in AA.VV., Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo XXI, Napoli, 2007; F. VECCHI, Intese. IV) Intese con le confessioni religiose acattoliche, Postilla di aggiornamento, in Enc. Giur. Treccani, XV, Roma, 2007, pp. 2 ss.; G. CATALANO, I nuovi accordi con le confessioni religiose, in Scritti minori, II, Scritti giuridici, M. TEDESCHI (a cura di), Soveria Mannelli, 2003, p. 1169; M. TEDESCHI, La legge sui culti ammessi, in Dir. Eccl., 2003, I, pp. 629 ss., e in Studi di diritto ecclesiastico, Napoli, 2004, pp. 177 ss.

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costituzionale di uguaglianza e con il diritto di libertà religiosa2, ma soprattutto con il mutato contesto sociale, ormai multiculturale e multireligioso. La natura tipica della legge 1159, originariamente ispirata ad una politica di stretto controllo pubblicistico su questi culti, emerge anche riguardo alla disciplina prevista per gli istituti ed enti di tali confessioni3. Ai sensi dell’art. 2 della predetta legge, tali istituti possono essere eretti in enti morali ma previa “valutazione politica” e possono essere vincolati da ulteriori norme speciali sulla vigilanza e sul controllo da parte dello Stato4 anche nello svolgimento delle loro attività che, prima

2 Nel 1929 era vigente lo Statuto Albertino che faceva dell’Italia uno stato confessionale, difatti ai sensi dell’art. 1 disponeva che la religione cattolica era la sola riconosciuta come religione di Stato, e che portava a concedere ai culti diversi dal cattolico non un riconoscimento vero e proprio bensì un atteggiamento di tolleranza, nel limite di non professare né seguire riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume. 3 Cfr. V. MARANO, La personalità giuridica degli enti ecclesiastici e in particolare delle associazioni dei fedeli, in J.I. ARRIETA (a cura di), L’attività degli enti ecclesiastici e il controllo dello Stato, Venezia, 2007, p. 175; S. GHERRO, Il principio del contraddittorio tra l’ordinamento della Chiesa e gli ordinamenti statuali, Padova, 2003; P. MONETA, Rilevanza delle confessioni religiose nell’ordinamennto giuridico italiano, in Quaderni dir. e pol. eccl., 2001, 1, pp. 157 ss.; R. MAZZOLA, L’organizzazione non confessionale del “sapere” religioso in Italia, in Quaderni dir. e pol. eccl., 2001, 1, pp. 141 ss.; S. FERLITO, Il Concordato nel diritto interno, Napoli, 1997; S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa (come sopravvivere senza conoscerla), in V. PARLATO – G.B. VARNIER (a cura di), Principio pattizio e relatà religiose minoritarie, Torino, 1995; M. RICCA, Morte della “manomorta”? Abrogazione dell’autorizzazione agli acquisti delle persone giuridiche e rilevanza costituzionale della normativa concordataria, in Dir. eccl., 1997, 4, p. 1066; M. TEDESCHI, Associazioni ecclesiastiche e autonomia negoziale, in Dir. Eccl., 1984, I, pp. 533 ss.; ID., Nuovi movimenti e confessioni religiose nell’esperienza italiana, in AA.VV., Il fattore religioso fra vecchie e nuove tensioni, a cura di S. BERLINGÓ, Torino, 1999, pp. 73 ss.; ID., Nuove religioni e confessioni religiose, in Studium, 1986, fasc. 3, pp. 393 ss.; ID., Stato e confessioni acattoliche. Contributo all’analisi dell’art. 8 della Costituzione, in Il Tommaso Natale, 1977, fasc. dedicato agli Scritti in memoria di Girolamo Bellavista, vol. I, pp. 425 ss.; P. FLORIS, Autonomia confessionale. Principi limite fondamentali e ordine pubblico, Napoli, 1992. 4 Per ulteriori approfondimenti sulle confessioni acattoliche si rinvia a: L. MUSSELLI, Considerazioni sugli istituti delle confessioni acattoliche, Padova, 1979; F. FINOCCHIARO, Libertà religiosa e uguaglianza delle confessioni religiose nello Stato democratico, in Saggi (1973 – 1978), a cura di A. ALBISETTI, Milano, 2008; ID., Uguaglianza giuridica e fattore religioso, Milano,1958; G. LONG, Le confessioni religiose “diverse dalla cattolica”, Bologna, 1991; C. CARDIA, Stato e confessioni religiose, Il regime pattizio, Bologna, 1988; P. FLORIS, Uguale libertà delle confessioni religiose e bilateralità fra Stato e Chiese, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, 3; G. FUBINI, Enti ecclesiastici. III. Enti ecclesiastici delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Enc. giur., vol. XII, Roma, 1989; G. PEYROT, Condizione giuridica delle confessioni prive di intesa, in AA.VV., Nuovi accordi tra Stato e confessioni religiose, Milano, 1985; N. COLAIANNI, Stato e confessioni religiose diverse dalla cattolica (rapporti fra), in Enc. Dir., XLIII, Milano, 1990; P. BELLINI, I rapporti fra lo Stato e le religioni diverse dalla cattolica, in AA.VV., Il pluralismo confessionale nell’attuazione della Costituzione, Napoli, 1987, pp. 83 ss.; S. BERLINGÓ, Il potere

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erano soggette altresì “alle leggi civili concernenti l’autorizzazione governativa per gli acquisti e l’alienazione dei beni dei corpi morali”5. Problematiche per gli enti di confessioni religiose prive di intesa con lo Stato si riscontrano anche nel settore tributario in quanto la l. 1159 non contiene alcuna disposizione a riguardo. Per comprendere quale sia il trattamento tributario loro riservato, si deve accertare se, in via analogica, possono essere assoggettati alla normativa prevista per gli altri enti ecclesiastici oppure se ne sono esclusi, rientrando così nella normativa di diritto comune. Non trovano pertanto applicazione né le norme fiscali contenute nella l. 222/1985, poiché riguardanti i soli enti cattolici, né quelle eventualmente previste nelle Intese con altre confessioni, si adotta dunque la disciplina tributaria generale prevista per le altre tipologie di enti, ossia quelli non religiosi. La soggettività tributaria degli enti acattolici privi di intesa, al pari degli altri enti religiosi, si ricava sia dalla loro natura e dall’attività effettivamente svolta, sia dalla loro autoqualificazione contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto. Ne deriva che anche tali enti, perseguendo comunque principalmente finalità religiose e di culto, possono essere considerati, ai fini tributari, come enti non commerciali. Il dubbio sorge proprio per le attività di religione e di culto, perché riguardo allo svolgimento di attività diverse pare evidente la soggezione alle leggi tributarie statali previste per le medesime attività. Per gli enti disciplinati dalla l. 1159 non è infatti sancita l’equiparazione, ai fini tributari, ad enti con finalità di beneficenza o istruzione, come accade per quelli cattolici all’art. 7 della l. 121/1985 e per quelli acattolici che abbiano stipulato intese.

autorizzativo nel diritto ecclesiastico, Milano, 1974; P. GISMONDI, L’autonomia delle Confessioni acattoliche, in Foro it., 1962, IV, p. 87. 5 Cfr. art. 2 della l. 1159 del 1929, oggi abrogata con legge n. 127 del 1997 e con legge n. 191 del 1998. In proposito, gli artt. 13, 14 e 15 del r.d. 289/1930 prevedono un penetrante controllo da parte dello Stato nei confronti degli enti di culto acattolico: essi sono soggetti alla vigilanza, alla tutela governativa, a visite ed ispezioni nonché allo scioglimento qualora si riscontrino gravi irregolarità nell’amministrazione; i loro atti e deliberazioni possono essere dichiarati nulli allorché contengano violazioni di leggi o regolamenti.

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La mancata sottoscrizione delle intese non deve essere considerata elemento discriminante, alla luce del principio costituzionale dell’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge e del diritto del singolo di professare liberamente la propria fede religiosa. Ciò emerge anche da una lettura attenta ed aggiornata in chiave interculturale dell’art. 20 Cost. che sancisce il principio di non discriminazione nei confronti di enti religiosi6. L’articolo 20 Cost.7 sembra incidere positivamente sulla qualificazione giuridica delle forme aggregative a carattere religioso, ciò perché oltre a riferirsi alle “istituzioni” allarga il proprio cerchio di azione anche alle “associazioni”. La disputa infatti ruota sul perché tale norma riferisca di “associazioni” e di “istituzioni”. È stato in merito precisato che “probabilmente il riferimento alle istituzioni è dovuto alla volontà del costituente di estendere la tutela proposta dalla norma ad ogni possibile ente ecclesiastico, quindi anche non avente struttura associativa. Così come il riferimento sia al carattere ecclesiastico, che al fine di religione e/o di culto è ipoteticamente dovuto alla volontà di tutelare anche gli enti non cattolici”8. Con la locuzione “associazioni ecclesiastiche9” si deve intendere qualsiasi associazione in senso ampio che persegua quale fine principale

6 Sul punto cfr. A. FUCCILLO, Le nuove frontiere dell’ecclesiasticità degli enti, Napoli, 1999; M. RICCA, Art. 20 della Costituzione ed enti religiosi: anamnesi e prognosi di una norma non “inutile”, in AA.VV., Studi in onore di Francesco Finocchiaro, vol. II, Padova, 2000, p. 1357; G. CATALANO, Osservazioni sull’art. 20 della Costituzione, in Dir. Eccl., 1964, I, pp. 353 ss.; A. GUARINO, Diritto ecclesiastico tributario e articolo 20 della Costituzione, Napoli, 2012; F. FINOCCHIARO, Commento all’art. 20 Cost., in AA. VV., Commentario alla Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna, 1977, pp. 302 ss.; S. LANDOLFI, L’articolo 20 della Costituzione nel sistema degli enti ecclesiastici, in Rass. dir. pubbl., 1969, pp. 261 ss.. 7 L’art. 20 Cost., infatti, dispone che: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”. 8 Cfr. A. FUCCILLO, Le nuove frontiere dell’ecclesiasticità degli enti, op. cit., p. 24. 9 È da sottolineare anche il fatto che il termine ecclesiastico è stato utilizzato in molte delle Intese con le confessioni religiose di minoranza per cui non può più essere considerato sinonimo di cattolico. Sul punto cfr. R. D’ALESSIO, Commento all’art. 20 Cost., in AA.VV., Commentario breve alla Costituzione, a cura di V. CRISAFULLI e L. PALADIN, Padova, 1990, p. 126; S. BARTOLE e R. BIN, Commentario breve alla Costituzione. Breviaria Iuris. Fondati da. G. CIAN e A. TRABUCCHI, n. 7, Seconda edizione, Padova, 2008.

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quello di religione e/o di culto, anche se con sfumature diverse a seconda delle finalità che in concreto queste si prefiggono di realizzare. Tale situazione di incertezza conferma la necessità e l’urgenza di riformare la disciplina degli enti prevista nella l. n. 1159/1929, alla luce dei principi costituzionali, tenendo conto che un trattamento differenziato e penalizzante nei confronti degli enti delle confessioni religiose prive di intesa risulta chiaramente illegittimo; soprattutto perché a tali organismi l’art. 20 Cost. presta una particolare attenzione che sembra riferirsi non soltanto alle attività direttamente cultuali, come si legge nell’ espressione “ogni forma di attività”10. L’art. 20 Cost. deve dunque costituire la base da cui partire per regolamentare in maniera tecnica tali forme di esercizio della libertà religiosa, avendo in considerazione le regole dettate sia per le più svariate forme organizzative, cioè per enti con i fini più diversi, sia per il tipo strutturale speciale dell’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto11. I vari progetti di legge sulla libertà religiosa fino ad ora presentati sono risultati per lo più delle mere ripetizioni di quanto già contenuto in altre fonti12. Occorrerebbe dunque una legge quadro13 in materia al fine di collocare adeguatamente le forme organizzative all’interno del sistema fornendo loro una veste giuridica consona alle funzioni cultuali e solidali che sempre più sono chiamate a svolgere. Una siffatta legge

10 Per un più ampio approfondimento sull’art. 20 Cost. si rinvia a: F. ONIDA, L’art. 20 della Costituzioni, in AA.VV., I rapporti fra Stato e confessioni religiose nella prospettiva di revisione della Costituzione, numero monografico di Politica del diritto, 1, 1996, pp. 108 ss.; P. DI MARZIO, L’art. 20 della Costituzione. Interpretazione analitica e sistematica, Torino, 1999; G. CATALANO, Osservazioni sull’art. 20 della Costituzione , in Dir. Eccl., 1964, I, p. 353 ss. 11 Cfr. A. FUCCILLO, La funzione solidaristica delle formazioni sociali di interesse religioso: nuove prospettive, in AA.VV., Proposta di riflessione per l’emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, di V. TOZZI –

G. MACRÍ – M. PARISI (a cura di), Torino, 2010, pp. 316 ss. 12 Cfr. i progetti presentati durante la XV legislatura nn. 36 e 134 Camera dei Deputati (www.camera.it), e nn. 945 e 1160 Senato della Repubblica (www.senato.it). 13 Cfr. F. PETRONCELLI HŰBLER, Intorno a una legge quadro sulla libertà religiosa, in Quaderni del Dipartimento di filosofia dei diritti dell’uomo e della libertà di religione, Università “Federico II”, 9, Napoli, 2004, pp. 37 ss. Al contrario, alcuni ritengono che la religione così come le relazioni umane e sociali e comportamentali che la caratterizzano, in quanto fenomeni antropologici, sono difficilmente rappresentabili all’interno di un provvedimento normativo. Così S. FERLITO, Le religioni, il giurista e l’antropologo, Soveria Mannelli, 2005, pp. 168 ss.; G. RIVETTI, Le esigenze strumentali delle organizzazioni religiose nei recenti progetti di legge sulla libertà religiosa, in AA.VV., Proposta di riflessione per l’emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, op. cit., pp. 174 ss.

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sarebbe così in grado di superare, anche sotto il profilo formale, l’attuale normativa delle confessioni religiose prive di intesa14. Molti ritengono che lo Stato italiano dovrà prevedere degli strumenti diversi per legiferare e regolamentare in merito, per assicurare uguali opportunità di inserimento a quelle associazioni diverse dalla cattolica che per ragioni proprie della confessione di appartenenza non possono o non vogliono stipulare intese. Si potrebbe seguire l’esempio della Spagna dove le Chiese, le confessioni, le comunità religiose acquistano la personalità giuridica15 con l’iscrizione nel Registro de Entitades Religiosas, tenuto presso il Ministerio de Justicia16. Oltre dunque ai diritti previsti nell’art. 6 della Ley Orgánica 7/1980, de 5 de julio, de Libertad Religiosa17 (L.O.L.R), alle entità iscritte nel registro viene riconosciuta la possibilità di stipulare Accordi di cooperazione con lo Stato18. Inoltre, le confessioni non iscritte o perché non lo hanno richiesto o perché si sono viste rigettate le loro istanze, possono comunque esercitare i diritti sanciti dall’art. 2, comma 2, L.O.L.R.19 ed operare nell’ordinamento giuridico attraverso gli strumenti che questo pone a disposizione degli enti di fatto.

14 Cfr. M. TEDESCHI, La legge sui culti ammessi, in Dir. eccl., 2003, 2, pp. 629 ss. 15 Sul punto si rimanda a: S. CATALA RUBIO, El derecho a la personalidad jurídica de las entidades religiosas. Alderabán, Cuenca; M. CUBILLAS RECIO, Personalidad jurídica civil de las entidades religiosas. Tècnicas jurídicas de conexíon interordinamientos, in AA.VV., Nuovi studi di diritto canonico ed ecclesiastico, Edisud, Salerno, 1990, pp. 277 ss. 16 Cfr. M. RODRIGUEZ BLANCO, El registro de Entidades Religiosas en la doctrina espagñola, in Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado español, XXIV, 2008, pp. 839 ss. 17 L’art. 6 della LOLR recita: “Uno. Las Iglesias, Confesiones y Comunidades religiosas inscritas tendrán plena autonomía y podrán establecer sus propias normas de organización, régimen interno y régimen de su personal. En dichas normas, así como en las que regulen las instituciones creadas por aquéllas para la realización de sus fines, podrán incluir cláusulas de salvaguarda de su identidad religiosa y carácter propio, así como del debido respeto a aus creencias, sin perjuicio del respeto de los derechos y libertades reconocidos por la Constitución, y en especial de los de libertad, jgualdad y no discriminatión. Dos. Las Iglesias, Confesiones y Comunidades religiosas podrán crear y fomentar, para la realización de su fines, Asociaciones, Fundaciones e Instituciones con arreglo a las disposiciones del ordenamiento jurídico general”. 18 Cfr. G. L. GIORDANO, Registro delle confessioni religiose e controllo ministeriale: la proposta di legge n. 448 alla luce dell’esperienza religiosa, in Proposta di riflessione per l’emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, op. cit., pp. 354 ss. 19 L’articolo citato recita così: “el derecho de las Iglesias, Confesiones y Comunidades religiosas a establecer lugares de culto o de reunión con fines religiosos, a designar y formar a sus ministros, a divulgar y propagar su proprio credo, y a mantener relaciones con sus proprias organizaciones o con otras confesiones religiosas, sea en territorio nacional o en el extranjero”.

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Quindi creare una norma che non sia limite negativo ma contributo positivo per l’evoluzione di una società sempre più aperta al riconoscimento, al rispetto e alla tolleranza reciproci tra gli individui che la compongono. 2.La disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle ONLUS

Gli istituti delle confessioni diverse dalla cattolica godono di uno specifico regime tributario di favore. Essi sono assoggettati, in via generale, sia in materia di imposte sui redditi che in materia di imposte sul valore aggiunto, alla disciplina propria degli enti non commerciali, ma relativamente alle attività rese all’interno della vita associativa fruiscono di un trattamento agevolato in presenza delle condizioni espressamente indicate a tal fine dalla legge. Le norme di riferimento sono gli articoli 111 del T.U.I.R. e 4 del D.P.R. 633/72 . Le due normative non risultano fra loro perfettamente coordinate anche se traspare dalla circolare ministeriale n. 124/E del 12 maggio 1998 la volontà di uniformare la normativa Iva a quella delle imposte sui redditi.

In attuazione della delega contenuta nella l. 23 dicembre 1996, n. 662, il d.lgs. 4 dicembre 1997 n. 460, modificato con d.lgs. 19 novembre 1998, n. 442, ha riordinato l’ intera disciplina tributaria degli enti non commerciali e disciplinato anche, sempre sotto il profilo tributario, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, attraverso un unico regime al quale ricondurre le normative speciali già esistenti20.

20 Per una ricostruzione dell’iter che ha portato all’approvazione del decreto sulle ONLUS, cfr. Quad. dir. e pol. eccl., 1995, 3, pp. 1029 ss.; 1996/3, pp. 1002 ss.; 1997, 3, pp. 685 ss.; AA.VV., Onlus. Enti non commerciali e parrocchia, Milano, 1997; P. RONZANI, Il regime tributario degli enti ecclesiastici, Padova, 2000; L. BOBBA, Un primo passo nella direzione giusta, in Il sole 24 ore, 8 luglio 1997, 21; ivi, F. BUSCAROLI, Enti non commerciali il reddito si fa leggero; e ID., Parte dal fisco la sfida del non profit, 19 novembre 1997, p. 26; F. CAPOGROSSI GUARNA, Onlus, Roma, 1997; A. FUSARO, Il tortuoso cammino del decreto legislativo sulle Onlus, in Il fisco, n. 11, 1998, pp. 3397 ss.; A. GUARINO, Organizzazioni non lucrative di utilità sociale ed enti religiosi nella riforma tributaria del Terzo Settore, in Quad. dir. e pol. eccl., 1997; G. NEGRI, Fisco alleato delle attività sociali, in Il sole 24 ore, Norme e tributi, gennaio 1998, 1; S. ZAMAGNI, Economia civile come risorsa, ivi. Per ulteriori approfondimento sul tema cfr. Quad. scuola spec. dir. eccl. e can., 5, Napoli, 1999: in particolare, M. C. FOLLIERO, Degli enti ecclesiastici e delle Onlus (Conservazione e infrazione, contesto e contrasto: i quattro cantoni degli enti

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La stessa rubrica del d.lgs. n. 460/1997, Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, indica altrettanto chiaramente l’ambito operativo della normativa: dettare una disciplina unitaria ed organica, sotto il solo profilo tributario, per il cosiddetto “Terzo Settore”21, fino a quel momento oggetto di leggi mirate, ma non coordinate tra loro, quali le norme sulle organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (art. 28, 29, 30 l. 26 febbraio 1987, n. 49), la legge sulle cooperative sociali 8 novembre 1991, n. 381, la legge-quadro sul volontariato 11 agosto 1991, n. 266, la legge sulle associazioni sportive dilettantistiche 16 dicembre 1991, n. 398 e le disposizioni riferite alle associazioni senza fini di lucro e associazioni pro loco (art. 9-bis d.l. 30 dicembre 1991, n. 417, convertito con modif. nella l. 6 febbraio 1992, n. 66).

Il d.lgs. n. 460/1997 nella sezione prima si occupa del riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali; nella sezione seconda detta, invece, la definizione ed una disciplina specifica per alcuni enti non commerciali e precisamente per quelli aventi le caratteristiche per essere qualificati, secondo la nuova terminologia adottata, organizzazioni non lucrative di utilità sociale.

È stato in merito rilevato che “l’incentivazione fiscale del Terzo Settore non si pone più come normativa derogatoria del generale principio di capacità contributiva, ma piuttosto come compiuta e coerente disciplina tributaria di un’autonoma fattispecie”, la quale “si concreta in un nuovo soggetto fiscale” (le ONLUS) che “non integra una categoria civilistica, ma piuttosto un regime tributario”22.

ecclesiastici), ivi, pp. 97 ss.; A. FUCCILLO, Enti ecclesiastici ed Onlus: considerazioni in relazione alla fungibilità degli schemi e strutture associative, ivi, pp. 71 ss.; A. GUARINO, Le attività religiose sono di utilità sociale?, ivi, pp. 53 ss.; P. LOIACONO, Enti ecclesiastici ed Onlus: problemi e prospettive, ivi, pp. 15 ss. 21 Cfr. M. POLETTO, Terzo Settore e Imposte Dirette, Milano, 2002; F. TUNDO, Intorno al regime delle Onlus nell’ambito degli enti non profit, in Diritto e Pratica Tributaria, Parte I, 2001, pp. 845 ss.; G. M. COLOMBO – S. RAGGHIANTI, Enti non commerciali e Onlus, Torino, 2000; A. GUARINO, Ripensare le Onlus!, in Diritto e religioni, Cosenza, 2011; M. PARISI, Gli enti religiosi nella trasformazione nella trasformazione dello Stato sociale, Napoli, 2004; 22 GUARINO, La giungla delle agevolazioni fiscali “religiose”. Una via per non perdersi, in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, 1998, 1, pp. 115 ss. Il primo periodo di applicazione del d.lgs. n. 460/1997 porta tuttavia a riflettere meglio su tale affermazione: al di là delle intenzioni del legislatore, «la categoria ONLUS sta assumendo una valenza generale nell’intero ordinamento giuridico e non solo nel settore tributario», a livello normativo e di prassi amministrativa.

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Non si rinviene più nel testo normativo in vigore l’espressione “enti di ispirazione religiosa” presente nell’art. 1 del disegno di legge n. 2420 per la Disciplina fiscale delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), consegnato al Senato dal Ministro delle Finanze Augusto Fantozzi in data 3 gennaio 1996 e che corrisponde, pur con numerose modifiche, al testo dell’attuale art. 10 del d.lgs. n. 460/1997.

Tale espressione era giustamente stata apprezzata dai primi commentatori del disegno di legge come testimonianza della volontà di rispetto della religiosità degli enti nella misura più ampia possibile, in quanto inclusiva di tutta una serie di soggetti estremamente diversificati e socialmente rilevanti, anche se non sempre facilmente inquadrabili nel concetto di ente ecclesiastico: perché rispettosa quindi dell’ identità strutturale di tutti gli enti di ispirazione religiosa, qualunque essa fosse, sulla scia della più moderna elaborazione dottrinale ecclesiasticista.

Il legislatore nel testo promulgato, art. 10 d.lgs. 460/1997, ha invece utilizzato l’espressione “enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese”; si potrebbe intendere il voluto riferimento a persone giuridiche riconosciute dall’ordinamento italiano.

Una conferma di questa interpretazione si trova nella relazione governativa di accompagnamento al d.lgs. n. 460/1997, dalla quale si rileva la precisa volontà di escludere dall’ambito applicativo dell’art. 10, co. 9, d.lgs. n. 460/1997, gli enti ecclesiastici non riconosciuti.

La locuzione “enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese” si riferisce anche agli enti di culto cattolico. Infatti, se è vero che con la Santa Sede sono stati stipulati i patti storicamente più importanti per i rapporti tra Stato e Chiesa, non bisogna neppure dimenticare che la religione cattolica non è più considerata, dal punto di vista del nostro ordinamento giuridico, religione di Stato.

Quindi, probabilmente, non si tratta solo di una categoria fiscale, ma di un nuovo soggetto dal punto di vista civilistico, come osserva REDAELLI, Enti non profit: la “rivoluzione” incomincia dal fisco, in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, 1998/3, pp. 689 ss. Anche FERRANTE, in Enti ecclesiastici e organizzazioni non lucrative d’utilità sociale - ONLUS, in Dir. Eccl., 1997, 1, pp. 573 ss., parla di «nuova categoria giuridico/fiscale».

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Di conseguenza la disciplina relativa agli enti ecclesiastici delle confessioni religiose si riferisce necessariamente, appunto, a tutte le confessioni religiose. Difatti nel comma terzo dell’ articolo 5 del d.lgs. 460/1997, relativo agli enti di tipo associativo, si prevedono agevolazioni per le associazioni religiose, ovvero quelle che possono considerarsi “diretta espressione dell’autonomia dei fideles”23 purché si conformino alle clausole, indicate nel comma quarto-quinquies, da essere poi inseriti negli atti costitutivi o negli statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata.

Questo tipo di associazioni, secondo un primo orientamento della dottrina24, non sarebbero tali per via di una particolare certificazione o di una procedura di riconoscimento, invece necessaria per gli enti ecclesiastici, ma perché sono loro stesse che si autodefiniscono “religiose”, in conformità a quanto prescritto nell’ordinamento italiano25.

Da qui il dibattito sulla definizione del concetto di “religione” e di “religioso”26, una lacuna legislativa tanto rilevante e grave dato il vasto e variegato panorama interculturale e religioso presente oggi in Italia, da richiamare l’attenzione della giurisprudenza27.

Importanti sono stati gli interventi della Corte Costituzionale con le sentenze n. 467 del 1992 e n. 195 del 1993. Nella prima, la Corte è stata chiamata ad affrontare una questione di legittimità costituzionale relativa agli artt. 4 del D.P.R. 633/1972 e 20 del D.P.R. 598/1973, in quanto disciplinanti un trattamento tributario differente per le confessioni religiose con intesa rispetto alle associazioni religiose che ne sono prive.

23 Sul punto cfr. A. MANTINEO, Enti ecclesiastici ed enti non profit, Specificità e convergenze, Torino, 2001, pp. 36 ss. 24 Cfr. C. REDAELLI, La parrocchia e gli altri enti ecclesiastici come enti non commerciali, in Onlus, op. cit., p. 51. 25 Cfr. CEI (a cura di), Enti ecclesiastici e riforma del non profit. Note operative, in Quaderni, CEI, 1998, 6. 26 Cfr. G. CASUSCELLI, Ancora sulla nozione di “confessione religiosa”: il caso di Scientology, in Quad. dir. e pol. eccl., 1998, 3, pp. 825 ss; L. DI COSIMO, Alla ricerca delle confessioni religiose, in Dir. Eccl., 1998, I, pp. 421 ss. 27 Cfr. V. TOZZI – G. MACRÍ – M. PARISI (a cura di), Proposta di riflessione per l’emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, op. cit., pp. 278 ss.

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La Corte ne ha dedotto “la irragionevolezza della non controllabilità della natura religiosa, sulla base dell’assunto che sia sufficiente o vincolante “l’autoqualificazione” che l’associazione stessa faccia di se stessa: con l’effetto che sarebbero immediatamente applicabili i benefici regolati dalle disposizioni denunciate, senza una verifica degli statuti, previsti per le confessioni religiose”28. Nella seconda, invece, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 delle legge della regione Abruzzo del 16 marzo 1988 n. 29 (Disciplina urbanistica dei servizi religiosi), limitatamente alle parole “i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione”29, fondandola su determinati importanti principi come quello supremo di laicità dello Stato, della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale, del diritto di tali confessioni di organizzarsi secondo i propri statuti e di strutturarsi come semplici comunità di fedeli e del diritto di avere la stessa libertà di stipulare accordi con lo Stato come di non farlo30.

La Corte Costituzionale con queste due importanti pronunce se da un lato ha ritenuto fornire dei parametri per poter definire il concetto di “confessione religiosa” e di “associazione religiosa” soltanto per l’ambito tributario, dall’altro non ha escluso la validità anche per altri settori dell’ordinamento.

In particolare con la sentenza n. 195 ha stabilito che: “la natura di confessione potrà risultare da precedenti riconoscimenti, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione”.

Queste sentenze ed in particolare l’ultima sarebbero dovute servire da esempio per interpretare al meglio il d.lgs. 460/1997, ma purtroppo

28 In Quad. dir. e pol. eccl., 1993, 3, pp. 721 ss.; L. CASTALDI, Riflessioni sulla personalità delle imposte e la natura delle norme tributarie in tema di enti non commerciali di tipo associativo, in Giur. Cost., 1992, I, p. 4209; G. DI COSIMO, Privilegi per le confessioni religiose: chi certifica l’autenticità dei motivi di coscienza?, ivi, pp. 4223 ss. 29 In Quad. dir. e pol. eccl., 1993/3, pp. 685 ss.; ivi, pp. 691 ss., Osservazioni di V. TOZZI; ancora, R. ACCIAI, La sentenza n. 195 del 1993 della Corte Costituzionale e sua incidenza sulla restante legislazione in materia di finanziamenti all’edilizia di culto,G. DI COSIMO, Sostegni pubblici alle confessioni religiose, tra libertà di coscienza ed uguaglianza, in Giur. cost., 1993, 3, rispettivamente, pp. 2151 ss. e 2165 ss.; C. CARDIA, Edilizia di culto e legge n. 222 del 1985, in Foro it., 1995, I, col. 3114 ss.. 30Cfr. N. COLAIANNI, Sul concetto di confessione religiosa, in Foro it., 1994, I, p. 2988; S. DOMIANELLO, Giurisprudenza costituzionale e fattore religioso. Le pronunzie della Corte Costituzionale in materia ecclesiastica(1987 – 1998), Milano, 1999; P. COLELLA, Un “passo avanti” a garanzia dell’uguale libertà delle confessioni religiose, in Giur. it., 1994, I, pp. 100 ss.

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così non è stato. Di tanto è conferma la circolare ministeriale n. 124/E: “le associazioni a carattere religioso che non siano state civilmente riconosciute come tali devono comprovare la natura e la caratteristica dell’organizzazione secondo i criteri che qualificano nell’ordinamento italiano i fini di religione e di culto, desumibili dal concordato fra Stato e Chiesa Cattolica e dalle Intese stipulate con altre confessioni religiose”31.

L’interesse alla conoscenza del regime fiscale delle ONLUS è stato riacceso da una serie di interventi, sia amministrativi che normativi.

Si veda in merito il decreto ministeriale del luglio 2003, di attuazione del decreto legislativo n. 460 del 1997, che ha imposto alle Direzioni Regionali delle Entrate di dar luogo a controlli a tappeto, diretti a riscontrare il possesso formale dei necessari requisiti in capo agli enti iscritti ed a coloro che intendono iscriversi all’anagrafe ONLUS32.

Soprattutto, il tema della disciplina fiscale correttamente fruibile dagli organismi non lucrativi riceve nel 2004 una rinnovata attualità in forza della Circolare n. 3/E, emanata il 29 gennaio 2004 dalla Direzione Centrale dell’Agenzia dell’Entrate33.

Com’è noto, il regime fiscale del Terzo Settore altro non è che una parte molto significativa dei privilegi fiscali previsti e accordati dall’ordinamento italiano vigente34.

Ai fini dell’applicazione dell’ I.R.E.S.35 lo svolgimento delle attività istituzionali non è considerato esercizio di attività commerciale e quindi

31 Sul punto cfr. A. MANTINEO, Enti ecclesiastici ed enti non profit, Specificità e convergenze, op. cit., p. 40; A. GUARINO, Diritto ecclesiastico tributario e articolo 20 della Costituzione, Napoli, 2012. 32 Cfr. A. MARINELLO, Enti non commerciali ed obiettiva economicità della gestione, in Diritto e Pratica Tributaria, Parte II, 2000, pp. 1100 ss.; S. DI DIEGO – F. FRANGUELLI– M. TARANTINO, Le Onlus. Disciplina civile e fiscale, Maggioli Ed., 1999; G. DE VITO, Gli Enti non commerciali e le Onlus, Torino, 1999; G. PONZANELLI, Enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, 2000; M. LABRIOLA, La disciplina fiscale delle Onlus di A. Fedele ne: “Le Onlus tra codice civile e legislazione speciale”, in Quaderni della Rassegna di diritto civile, EDI, 2000; A. GUARINO, Ripensare le onlus!, in Diritto e Religioni, Cosenza, 2011, pp. 310 ss. 33 Cfr. Circ. n. 3/E, emanata il 29 gennaio 2004 dalla Direzione Centrale dell’Agenzia dell’Entrate, in www.agenziaentrate.gov.it. 34 Cfr. V. GIARMOLEO, Attività commerciale ed enti non profit, Cedam, Padova, 2003; F. PADOVANI, Problemi in tema di trattamento tributario degli enti non commerciali tra storia e prospettive di riforma, in Rivista di Diritto Tributario, I, 2002, p. 765 ss. 35 Trattasi del tributo che la riforma Tremonti (D.lgs.vo 12 dicembre 2003 n. 344, in vigore dal 01.01.2004) ha sostituito all’IRPEG, novellando, in parte de qua il Testo Unico Imposte sul Reddito.

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i proventi derivanti dalle attività direttamente connesse a quelle istituzionali non concorrono a formare il reddito imponibile36.

Si deve al d.lgs. 460/97 l’introduzione, come già detto, nel corpo dell’ex art. 87 del T.U.I.R. (ora art. 74 co. IV e V37), di una previsione atta ad individuare come debba determinarsi l’oggetto esclusivo o prevalente. Quest’ultimo è dal T.U.I.R. individuato nell’attività essenziale a realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dallo statuto o dall’ atto costitutivo. In mancanza di questi tre elementi, si deve avere riguardo all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato. Attività identificate o dalla legge oppure dall’atto costitutivo e dallo statuto se esistenti in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata o semplicemente registrata.

Nell’eventualità in cui l’ente svolga sia attività commerciali che non commerciali sarà da considerare prevalente quella che gli consente il raggiungimento degli scopi primari e che pertanto caratterizza l’ente medesimo38.

Laddove, sulla scorta delle indicazioni predette, l’ente svolgesse principalmente attività non commerciale, tale qualifica sarebbe rilevante anche ai fini dell’I.V.A.39.

3.Erogazioni e deducibilità fiscale

La fonte di finanziamento pubblico delle confessioni religiose e quindi dei relativi enti, siano esse la Cattolica o quelle diverse da questa, comunque munite di intesa con lo Stato, è costituita dall’ “otto per mille” mentre quella privata è data dalle donazioni effettuate in loro favore40, queste poi fiscalmente deducibili.

36 Cfr. G. IZZO, Ragionando sulla fiscalità del Terzo Settore, in Rassegna Tributaria, 4, 2010. 37 Il Decreto n. 344 /04 ha ridisegnato la struttura del TUIR, rinumerando, tra l’altro, i vecchi articoli. 38 Cfr. Circ. 124/E del 12.5.98. 39 Cfr. art. 4 D.P.R. 633/73, T.U.I.V.A.. 40 Il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80 (c.d. “decreto competitività”) all’art. 14 è stato previsto che le liberalità in denaro od in natura erogate da persone fisiche o da enti soggetti all’IRES sono deducibili dal reddito complessivo del soggetto erogante nel limite del 10% del reddito e comunque nella misura massima di 70.000,00 euro

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Ad oggi restano escluse da tali finanziamenti le confessioni religiose che non hanno stipulato intese.

La Corte Costituzionale ha escluso l’illegittimità dell’art. 10 D.P.R. n. 917 del 1986 riferendosi al regime privilegiato riservato alle erogazioni indirizzate a titolo di liberalità a favore delle sole confessioni con intesa41.

Le ragioni adottate dai Giudici di legittimità non appaiono convincenti, “riducendosi in sostanza alla constatazione di una prassi, cioè quella di riservare questo regime alla disciplina tramite intesa, e dell’assenza di una normativa di carattere generale da utilizzare come pietra di paragone per radicare nella formazione positiva la disparità di trattamento42”.

Si potrebbe pensare che la Corte abbia sostenuto ciò per evitare che “soggetti collettivi para–religiosi o pseudo–confessionali di non facile identificazione”, possano ottenere agevolazioni fiscali ed economiche.

Tale assunto però potrebbe ledere fortemente il principio di uguale libertà delle confessioni religiose che prescinde dalla stipulazione o meno di intese con lo Stato.

La domanda che ci si pone è se questi enti possono aver diritto al cosiddetto “cinque per mille”, quindi considerati come enti del “Terzo Settore”, ed in quale misura l’ordinamento può consentire tali devoluzioni, ammettendo così un rapporto diretto tra contribuzione e pubbliche spese.

Riguardo a quest’ultimo aspetto, non credo francamente che l’ordinamento possa rinunciare al suo ruolo di “mediatore”, perché così non vi sarebbe alcuna forma di controllo previo e necessario.

Lo Stato dunque potrebbe benissimo consentire tali aiuti servendosi del principio di sussidiarietà orizzontale sancito dall’art. 118, comma 4 della Costituzione, favorire quindi “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”43.

l’anno. Su tali tematiche si rinvia a A. FUCCILLO, Dare etico. Agire non lucrativo, liberalità non donative e interessi religiosi, Torino, 2008, pp. 97 ss. 41 Cfr. M. RICCA, Pantheon, Agenda della laicità interculturale, Palermo, 2012, pp. 304 ss. 42 Cfr. M. RICCA, Pantheon, Agenda della laicità interculturale, op. cit., p. 304. 43 Cfr. GIUSEPPE D’ANGELO, Crisi dello Stato, riforme costituzionali, principio di sussidiarietà, Roma, 2005; A. PROPERSI – G. ROSSI, Gli enti non profit, Il sole 24 ore, 2012.

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In virtù dei principi di solidarietà e uguaglianza è come se lo Stato, riconoscendo alla società civile un’autosufficienza, le prestasse il diritto da soddisfare, potendo però intervenire a garantire la parità di trattamento e le condizioni di accesso nonché il controllo dell’attività svolta44.

Altri mezzi di finanziamento delle confessioni diverse dalla cattolica e prive di intesa potrebbero essere sia la donazione che il testamento.

Con l’abrogazione degli artt. 600 e 786 c.c., operata dalla legge 22 giugno 2000, n. 192, le associazioni non riconosciute possono ricevere per testamento o donazione senza la necessità dell’istanza per il riconoscimento della personalità giuridica e senza bisogno di autorizzazione governativa45.

4.L’imposta municipale unica e gli edifici di culto acattolico

Per ragioni di completezza mi preme parlare dell’Imposta Municipale Unica, ex I.C.I., che è stata e continua ad essere al centro dei principali dibattiti fiscali e politici.

Più precisamente vorrei partire da un caso pratico per sottolineare come il fattore religioso sia una presenza costante nella quotidianità.

44 In dottrina il discorso si posiziona sul ruolo della sussidiarietà, se principio procedurale o sostanziale, tra chi sostiene che quella dei privati sia una facoltà (RESCIGNO) e chi, invece, al contrario fa leva sulla responsabilità politica individuale (BERTI). Cfr. T. TASSANI, in Tutela dei diritti essenziali e imposizione fiscale tra sussidiarietà verticale e orizzontale, in (a cura di) M. C. GUERRA e

A. ZANARDI, La finanza pubblica italiana, Rapporto 2008, Bologna, 2008, pp. 303 ss.; O. CONDORELLI, Sul principio di sussidiarietà nell’ordinamento canonico: alcune considerazioni storiche, in Dir. eccl., 2003, 3, pp. 942 ss.; P. MONETA, Solidarietà sociale e religione: organizzazioni di utilità sociale ed enti ecclesiastici, in AA. VV., Studi in onore di Francesco Finocchiaro, op. cit., p. 1303; V. TOZZI, Istituzioni ecclesiastiche, caritative e non profit, loro rapporti con la Chiesa, lo Stato, la società civile ed il mercato, ivi, pp. 1626 ss.; G. DALLA TORRE, La solidarietà tra etica e diritto, in Iustitia, 1999, p. 367; G. FELICIANI, Principio di sussidiarietà e organizzazioni non profit nella dottrina sociale della Chiesa, in AA.VV., Il non profit dimezzato, a cura di G. VITTADINI, 1997, p. 20; ID., Organizzazioni “non profit” ed enti confessionali, in Quaderni dir. e pol. eccl., 1997, I, p. 20. 45 Sul punto cfr. A. PROPERSI – G. ROSSI, Gli enti non profit, op. cit., pp. 478 ss.

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Molto interessante è la sentenza n. 166 del 20 Giugno 2011 pronunciata dalla la Commissione Tributaria Provinciale di Lecco, Sez. I46.

L’immobile oggetto della questio era appunto una moschea, la cui classificazione catastale corrispondeva alla posizione D/1 (opifici) e non alla E/7 (edificio di culto), che veniva alleggerito dal pagamento dell’imposta comunale sugli immobili in virtù del diritto all’esercizio dell’attività religiosa sancito dagli articoli 8 e 19 della Carta Costituzionale. Pertanto, certificato che la destinazione dell’edificio fosse effettivamente mirata alla professione di fede, si è potuto applicare il disposto dell’ articolo 7, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 504 del 30 dicembre 1992 che testualmente recita: “Sono esenti dall’imposta: […] d) i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze”.

Tanto premesso in fatto la Commissione ha accolto il ricorso proposto dall’Associazione, in cui viene esplicitamente riconosciuto che l’edificio in oggetto è un luogo di culto. Nella parte motiva della sentenza, difatti, si legge che: “le risultanze di natura documentale ed orale emerse nel corso dell’istruzione dibattimentale convincono questo giudice che l’immobile de quo fosse di fatto e concretamente utilizzato come luogo di culto dalla comunità di religione musulmana”. Ancora, nella sentenza n. 257/2007, il Tribunale di Lecco, indicando proprio l’art. 19 della Costituzione, che viene anche richiamato nell’art. 7 del d.lgs. n. 504/1992, afferma che: “l’Associazione come proprietaria dell’unità immobiliare ha diritto di utilizzare la proprietà privata come luogo destinato al culto, perché l’esercizio del culto è una forma legittima e lecita di godimento della proprietà ed il diritto di esercitare in privato il culto, un diritto costituzionalmente garantito a tutti”. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, però, ha precisato che sono assoggettati all’ I.M.U. tutti gli immobili, a prescindere dall’uso cui sono destinati ed indipendentemente dalla loro classificazione catastale e che sono compresi, quindi, anche gli immobili strumentali e quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa.

46 Su tali tematiche mi si consenta un rinvio a A. VALLETTA, Imu e Moschee, in Diritto e Religioni, Anno XV, Cosenza, 2013.

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Tuttavia, talune tipologie di immobili, in ragione delle loro caratteristiche oggettive, sono esentate dal pagamento dell’ I.M.U.

L’art. 9 co. 8 del d.lgs. 23/2011 conferma anche ai fini dell’ I.M.U. gran parte delle esenzioni già previste, ai fini dell’I.C.I., dall’art. 7 co. 1 del d.lgs. 504/92, per cui rientrano in questa categoria anche gli edifici destinati al culto pubblico.

L’art. 91 bis del D.L. del 24 gennaio 2012 (norme sull’esenzione dell’imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali), al comma 1 così recita: “Al comma 1, lettera i) dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 504, dopo le parole: “allo svolgimento” aggiungere le parole “con modalità non commerciali”.

Resta da chiedersi come debba essere interpretata l’espressione “modalità non commerciali”. “Gli enti non commerciali sono individuati attraverso un doppio criterio, soggettivo ed oggettivo: il primo, la natura e il fine non lucrativo perseguito dagli stessi enti; il secondo, lo svolgimento da parte dell’ente di attività al di fuori del regime della libera concorrenza di mercato”47. Per stabilire il primo requisito bisogna far riferimento alla finalità dell’ente, ovvero lo scopo (finalità di solidarietà sociale), e non alla natura (commerciale o non commerciale) dell’attività svolta, come, invece, avviene per gli enti non commerciali ai sensi dell’art. 73, comma 1, lett. c), del Testo Unico delle imposte sui redditi. Il secondo requisito, invece, consiste nello svolgimento da parte dell’ente di attività al di fuori del mercato, cioè, come recita il comma 1 dell’art. 91 bis, citato, con modalità non commerciali. Per poter qualificare un’attività come commerciale occorre che la stessa sia gestita secondo criteri di economicità e non basta l’esistenza di un apparato organizzativo per il suo svolgimento, né rileva il fatto che i fruitori del servizio paghino una retta. L’economicità della gestione si fonda su quei criteri gestionali nei quali la durevolezza nel tempo dell’attività è garantita dalla remunerazione dei fattori produttivi impiegati con i corrispettivi dell’immissione sul mercato dei

47 Secondo quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio in occasione della votazione dell’emendamento in Commissione industria. Sul punto cfr. GIAN MARIO COLOMBO, Dall’ICI all’IMU: come cambia la disciplina per gli enti non commerciali, in Corriere Tributario, n. 17 del 23 aprile 2012, p. 1274.

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beni o dei servizi prodotti. Nel caso degli enti non profit ciò non avviene, spesso i servizi vengono prestati gratuitamente48.

L’art. 91 bis, ai commi 2 e 3, introduce, a partire dal 2013, una nuova disciplina per gli immobili utilizzati promiscuamente per attività esenti e per attività imponibili. Il principio fondamentale è che, per tale tipologia di immobili, l’esenzione si applica alla sola frazione di unità immobiliare nella quale si svolge l’attività agevolata49. Il Legislatore a tal uopo prospetta due ipotesi. Se l’immobile può essere suddiviso in unità diverse, occorre provvedere ad accatastare autonomamente le porzioni non esenti in quanto dotate di autonomia funzionale e reddituale permanente. Se, invece, l’immobile non può essere suddiviso in unità distinte, l’esenzione si applicherà in proporzione all’utilizzazione per le attività agevolate, come risulterà da una dichiarazione che dovrà essere presentata dagli enti, e le cui modalità e procedure saranno stabilite con un apposito decreto regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze50.

Però sul punto è intervenuto il Consiglio di Stato51 che ha dato parere favorevole ma “con osservazioni” al regolamento del governo finalizzato all’ applicazione dell’ I.M.U. sugli immobili degli enti non commerciali. Rientrano anche quelli della Chiesa destinati a usi commerciali. È stato inoltre rilevato che occorre inserire nel testo “il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario per chiarire la distinzione tra quella economica e non. Sul punto, la giurisprudenza ha costantemente affermato che qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi in un mercato costituisce attività economica. Quindi, soggetti in apparenza “non commerciali”, che svolgano attività assistenziale, sanitaria, didattica, ricettiva, culturale, ricreativa e sportiva,

48 Cfr. LUIGI SIMONELLI, PATRIZIA CLMENTI, Nuova IMU, molti nodi da sciogliere, in Avvenire, inserto “No profit” del 28 marzo 2012. 49 Cfr. GIAN MARIO COLOMBO, “Dall’ICI all’IMU: come cambia la disciplina per gli enti non commerciali”, op. cit., pp. 1272 ss. 50 Cfr. testo della c.d. ''manovra salva Italia'', varata con Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201 (coordinato con la Legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214) recante ''Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici''. 51Parere Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, Adunanza di Sezione del 8 novembre 2012, n. 10380/2012; in tal senso cfr. anche Parere Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, Adunanza di Sezione del 27 settembre 2012, n. 04180/2012.

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possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici”52.

In sostanza, anche gli enti non commerciali possono svolgere attività di natura economica e gli immobili destinati a tali attività sono soggetti al pagamento dell’ I.M.U. e, non possono beneficare dell’esenzione (pro quota, in caso di utilizzazione mista). La Sezione ritiene che “alcune limitate parti dello schema di regolamento debbano essere ricondotte a coerenza con i menzionati principi comunitari, anche allo scopo di evitare il rischio di una procedura di infrazione avente ad oggetto il nuovo atto normativo. A tal fine, si ritiene necessario inserire e valorizzare nel testo del regolamento il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario”.

Da ultimo, il D.M. n. 200 del 19 novembre 201253 ha dato attuazione all’art. 91 bis del D.L. del 24 gennaio 2012, stabilendo che se “l’ente in questione, sia esso una scuola, un ospedale oppure una struttura alberghiera di ricezione, non fa utili o non li distribuisce o li destina alla solidarietà o li reinveste nelle sue attività culturali, sanitarie e alberghiere, non pagherà l’ I.M.U. Criterio fondamentale affinché però ciò possa avvenire è che i servizi erogati dall’ente in questione siano forniti a titolo gratuito oppure ad un prezzo simbolico che, comunque, non arrivi a coprire interamente il costo effettivo del servizio e non sia superiore alla metà della media riscontrata sul mercato”.

5. Il waqf islamico e il regime delle fondazioni

La situazione relativa ai rapporti tra l’ ordinamento italiano e l’ Islam, data “la diversità dei sistemi giuridici, tra di loro difficilmente comparabili”54, appare abbastanza complessa rispetto ad altre confessioni religiose diverse dalla cattolica che, per varie ragioni, non hanno voluto o potuto stipulare intese.

52 Parere Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, n. 10380, 2012. Sul punto cfr. UMBERTO FOLENA, Non profit colpito alla schiena, in Avvenire, 14 novembre 2012, p. 7. 53 Cfr. Gazzetta Ufficiale del n. 274 del 23 novembre 2012. 54 Cfr. M. TEDESCHI, Ordinamento italiano e Islam, marzo, 2003, www.dirittoestoria.it.

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Eppure, da un certo punto di vista, la comparazione sarebbe certamente possibile se solo si riuscisse a superare i pregiudizi, presenti nella nostra società e spesso dettati dalla scarsa conoscenza storica e culturale del mondo islamico. Comparazione realizzabile anche per la presenza di aspetti interessanti e comuni alla nostra tradizione giuridica: “il riferimento, per noi ormai storico, alla legge divina e il rapporto tra legge divina e legge umana; il particolare valore attribuito alla tradizione dottrinale e quello all’analogia e alla consuetudine”55. Nel continuare il nostro cammino sulla strada della laicità interculturale, in ambito tributario e fiscale, appare doveroso trattare del “waqf”, istituto islamico assimilato ad una “fondazione pia”, che consiste nella costituzione, a scopo di beneficenza (es. assistenza ospedaliera) o per fini religiosi (es. costruzione e gestione di moschee o scuole confessionali), di un usufrutto permanente su immobili che diventano così inalienabili56. Il termine, infatti, dalla radice araba w-q-f, ha il significato di “arrestare, immobilizzare, fermare”. L’amministrazione del waqf spetta al nazir che opera sotto il diretto controllo di un magistrato (kadi), “il quale verifica costantemente che l’amministrazione e l’uso della rendita siano conformi alla volontà del disponente”57. Il bene oggetto di waqf solitamente è un bene immobile, ma sono ammessi, contrariamente a quanto sostenuto dalla dottrina, anche beni

55 Cfr. M. TEDESCHI, Ordinamento italiano e Islam, op. cit. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a M. TEDESCHI, “Nuove religioni e confessioni religiose”, in Studium, 1986, 3, p. 61; L. MUSSELLI, “Islam ed ordinamento italiano. Riflessioni per un primo approccio al problema”, in Dir. eccl., 1992, I, p. 621; ID., Confessioni religiose/Islam, in Enc. Giur., Aggiornamento, vol. XI, Roma, 2003, ID., L’Islam come confessione religiosa, in Studi di diritto ecclesiastico, Napoli, 2004, pp. 19 e ss.; ID., “Libertà religiosa e Islam nell’ordinamento italiano”, in Il Politico, 1995, LX, n. 2, p. 227; A. IACOVELLA, “Cenni sulla condizione etico-giuridica dei cristiani nel mondo musulmano: Islam e codificazione della ‘differenza”, in Dir. eccl., 1994, I, p. 1045; S. FERRARI, Introduzione, in AA.VV., Musulmani in Italia: la condizione giuridica delle comunità islamiche, Bologna, 2000; L. MUSSELLI, “Islam e ordinamenti giuridici europei: momenti di contrasto e momenti di possibile integrazione”, in Quaderni della Scuola di specializzazione in diritto ecclesiastico e canonico, IV, La presenza islamica nell’ordinamento giuridico italiano, a cura di M. TEDESCHI, Napoli, 1966, p. 15; M. TEDESCHI, Tre religioni a confronto. Cristiani ebrei e musulmani nel basso Medioevo spagnolo, Torino, 1992; e l’edizione spagnola Polémica y convivencia de las tres religiones, Madrid 1992; ID., “Cristianesimo e islamismo. Presupposti storico-giuridici”, in Dir. eccl., 1995, I, p. 928. 56 Cfr. Enciclopedia Treccani in www.treccani.it. 57 Cfr. R. SANTORO, Le pie fondazioni tra diritto canonico e diritto islamico, in AAVV., I mercanti nel tempio. Economia, diritto e religione, a cura di A. FUCCILLO, Torino, 2011, pp. 59 ss.

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mobili purché fruttino una rendita; tuttavia “restano escluse somme di danaro e particolari categorie di titoli di credito, in ragione del divieto di usura previsto dalle disposizioni coraniche” 58. Il fondatore di un waqf prende il nome di waqif ed è colui che, in possesso di determinati requisiti quali la maggiore età, la libertà, la sanità mentale e la capacità di saper amministrare affari legali, ha dunque la capacità giuridica di costituire una fondazione pia59. All’interno del waqf sono individuabili due sottocategorie: i waqf di beneficenza o pubblici e i waqf familiari o privati. Per quanto riguarda i primi sarà lo stesso fondatore a scegliere chi dovrà amministrare i beni ed in che modo la rendita verrà distribuita. I proventi del waqf familiare, invece, sono assegnati ai figli o ai discendenti del donatore e, in caso di estinzione della sua stirpe, spetteranno ai poveri o alle fondazioni pie60. Questa figura, oggi quasi totalmente scomparsa61, serviva a “riequilibrare una situazione quo ante che vedeva economicamente privilegiato uno solo dei figli, magari colui che era costato maggiori sacrifici alla famiglia per motivi di studio; in tale circostanza la sua quota di donazione sarebbe stata inferiore rispetto a quella degli altri fratelli”62. Ciò perché la disciplina islamica delle successioni è molto rigida e prevede un rigoroso rispetto delle norme che contemplano i motivi sia d’ingresso che di esclusione dall’asse ereditario. Il waqf cosiddetto privato funge anche da strumento per la tutela delle donne islamiche per le quali la consuetudine tuttora

58 Cfr. R. SANTORO, Le pie fondazioni tra diritto canonico e diritto islamico, op. cit., p. 75; A. BILETTA,

Waqf, in Nuovissimo Digesto Italiano, Vol. XX, Torino, 1975, p. 1076. 59 Cfr. L. MILLOT, Introduction a l’etude du droit musulman, Sirey, Parigi, 1971, pp. 538 ss. 60 Per ulteriori approfondimenti si consiglia si consiglia: AA.VV., Le waqf dans le monde musulman contemporain, a cura di F. BILICI, Instanbul 1994; D. PIOPPI, Declino e rinascita di un’istituzione islamica: il waqf nell’Egitto contemporaneo, Roma, 2006; V. SANGIULIANO, Il waqf nella legislazione egiziana, Napoli, 1997; V. STRIKA, Notizie sull’organizzazione del waqf in Iraq, in Annali, 3, 1977, p. 339 ss.; J. BRIOTTI, Il waqf in Libia, Roma, 1935; B. VINCENTI, L’istituto del waqf: spunti intorno ad una teoria dell’istituto, Portici, 1961; R. DEGUILHELM, Le waqf dans l’espace islamique, Parigi, 1995. 61 Il waqf familiare oggi è stato sostituito dai waqf cosiddetti ibridi o misti, ovvero quelle fondazioni che nascono nell’intento di destinare i proventi sia ad esigenze di utilità pubblica che privata, garantendo sussidi, al tempo stesso, per la collettività e per il suo stesso fondatore. Per ulteriori letture sul tema si rivia a D. PIOPPI, op. cit., pp. 47 ss. 62 Cfr. R. A. PELLICCIA, L’istituto del waqf nel diritto islamico, in Diritto e Religioni, Cosenza, 2011, pp. 437 ss.

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impedisce loro di entrare a far parte dell’asse ereditario al pari dell’uomo63. Oggi la comparazione del waqf ad una fondazione pia, prevista nel diritto canonico, suscita particolare interesse in quanto verrebbero ad aprirsi nuovi scenari interculturali in cui andrebbero ad incontrarsi, nella prassi, diritto canonico e diritto islamico. Infatti tale strumento non solo è utilizzato dai musulmani al fine di coniugare i diversi aspetti di economia sociale e di fede ma potrebbe servire anche come mezzo di ausilio per i cattolici presenti negli Stati islamici al fine di adempiere al dovere di sovvenire alle necessità della Chiesa così come contemplato dal can. 222 del Codex Juris Canonici64. Quindi per quanto concerne più concretamente l’aspetto tributario e fiscale, il waqf potrebbe essere sottoposto allo stesso regime delle fondazioni in quanto attraverso la sua costituzione realizza un modo di finanziamento della propria confessione religiosa65. Nel nostro Paese, ormai multiculturale, multireligioso e multirazziale, il numero delle confessioni religiose è sempre più in aumento e l’ordinamento statuale dovrebbe essere pronto a tutelarle anche da questo punto di vista, consentendo l’introduzione di specifici istituti, quali strumenti di diritto positivo in grado di soddisfare le diverse e continue esigenze sia spirituali che sociali, in ogni caso nell’assoluto rispetto della persona e dei suoi valori di cui la fede religiosa è profonda espressione.

63 Cfr. A. CILARDO, Diritto ereditario islamico delle scuole giuridiche ismalita e imamita. Casistica, Napoli, 1993; L. MILLIOT, op. cit., a proposito del rapporto tra leggi di successione e waqf familiari, pp. 542 ss.; D. PIOPPI, op. cit., per quanto riguarda il sistema elusivo degli waqf di famiglia rispetto alle successioni. 64 Cfr. R. SANTORO, op. cit., p. 76. Per un ulteriore approfondimento del tema si rinvia a: A. D’EMILIA, Per una comparazione fra le pie cause nel diritto canonico, il charitable trust nel diritto inglese e il waqf khayri nel diritto musulmano, in AA.VV., Atti del I Congresso di diritto comparato, vol. II, Roma, 1953, pp. 41 ss.; A. GAMBARO, R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, Torino, 2003; F. CASTRO, Il modello islamico, Torino, 2007; I. H. ARTIN POLADIAN, Il waqf nel vicariato latino di Gerusalemme in Giordania. Studio storico giuridico comparato in un’ottica pluriculturale, Roma, 2008. 65 Per un approfondimento sul tema si rinvia a: R. SANTORO, op. cit., pp. 59 ss.; I. H. ARTIN

POLADIAN, op. cit., pp. 52 ss.; F. FALCHI, Pie volontà e pie fondazioni, in Digesto Discipline Pubblicistiche, vol. XI, Torino, 1996; J. P. SHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, Milano, 2008; C. BEGUS, Diritto patrimoniale canonico, Città del Vaticano, 2007.

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