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IL SETTECENTO E IL SUO DOPPIO Rococo e N eoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei vicere a cura di Mariny Guttilla
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Produzione e diffusione di strumenti per la musica colta in Sicilia nel XVIII secolo,in Il Settecento e il suo doppio. Rococò e Neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia

Apr 10, 2023

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Duncan Bull
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Page 1: Produzione e diffusione di strumenti per la musica colta in Sicilia nel XVIII secolo,in Il Settecento e il suo doppio. Rococò e Neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia

IL SETTECENTO E IL SUO DOPPIO

Rococo e N eoclassicismo, stili e tendenze europeenella Sicilia dei vicere

a cura diMariny Guttilla

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IL SETT.ECENTO E IL SUO DOPPIO ,ROCOCO E NEOCLASSICISMO, STILI E TENDENZE EUROPEE NELLA SICILIA DEI VICERE

Atti del convegno internazionale di studiPalermo, 10-12 novembre 2005Palazzo Chiaramonte (Steri) Sala dei BaroniFacolra di Lettere e FilosofiaVilla Camastra TascaPalazzo dei Normanni

Promotor'iRegione Siciliana:Assessorato dei Beni Culturali, Ambientali e delia Pubblica IstruzioneDipartimento dei Beni Culturali, Ambientali e dell'Educazione Permanente

Universita degli Studi di PalermoFacolta di Lettere e Filosofia

Con Lapartecipazione diRegione Siciliana:PresidenzaAssessorato del Turismo, Comunicazione e Trasporti

Universira degli Studi di Palermo:Dipartimento di Studi Storici e Artistici

Comitato scientifico Antonino Buttitta, Salvatore Fodale, Caterina Furlan, Mariny Guttilla,Teresa Pugliatti, Joselita Raspi Serra, Giovanni Ruffino

Volume stampato con il contributo dei fondi di ricerca d'Ateneo (ex 60%)

Le immagini a corredo degli articoli illustravano gli interventi presentati durante il convegnoe sono state fornite per la pubblicazione di questo volume dagli autori

© 2008 Gruppo Editoriale Kalas • via Siracusa, 19 • 90141 Palermotel. e fax 09116262894 • www.kalosonline.com • [email protected]

Redazione: Valentina Alabiso e Alberto La ViaProgetto grafico e impaginazione: Valentina PulettoStampa: Tipolitografia Luxograph srl, Palermo

n Settecento e il suo doppio : Rococo e Neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei vicere I a cura di Mariny Guttil1a. -Palermo: Kalas, 2008.CArte& immagini)ISBN: 978-88-89224-67-01. Arte - Sicilia - Sec. 18. - Congressi - Palermo - 2005. I. Guttilla Mariny.709.458074 CDD-21 SBN PalO215684

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.?RODUZIONE E DIFFUSIONE DI STRUMENTI PER LA MUSICA COLTA

~- SICILIA NEL XVIII SECOLO

Sarebbe arduo cercare di tracciare una staria degli stru-menti per la musica colta, in uso nella Sicilia del Settecen-

:D sulla base degli esemplari oggi superstiti. L'assenza, in-ea regionale, di musei pubblici di strumenti musicali 0 di

:ilevanti collezioni private - se si escludono Ie piccole raccol-del Conservatorio e del Teatro Massimo di Palermo eella del Museo Belliniano di Catania - ha infatti favorito la

cispersione di un patrimonio strumentario oggi purtroppo~i ignoto. A dispetto di questa grave lacuna, Ie prime ri-

che documentarie condotte in questo settore rivelano che,=el campo della produzione e del commercio degli strum en-:: musicali, la Sicilia non resta estranea aIle innovazioni che:oinvolsero il resta dell'Europa accogliendo, talvolta con una.. creta tempestivita, quelle tipologie strumentali in uso ini.rre aree del continente. I documenti rintracciati dimostra-=0 infatti che l'attivita dei costruttori siciliani del Settecento,:~bbene confinata al territorio dell' isola e subordinata aIle ri-, 'este della committenza locale, fu pili viva di quanto fino

= oggi ipotizzato e talvolta raggiunse livelli artistici di tutto:i5petto. Questo scritto - che non ha certamente la pretesa di

-ere esaustivo sull'argomento data l'esiguita di ricerche_:-ecedenti - intende fornire una visione d'insieme di questo:enomeno con particolare riferimento all'attivita di alcuni::ostruttori che si reputano particolarmente significativi per

storia degli strumenti musicali in Sicilia. 1

L'influenza esercitata sulla societa siciliana dal clero e da-_ . ordini monastici e religiosi e alla base di una imponente:radizione organaria regionale che proprio nel Settecento raggiunse l'apice del suo sviluppo._ ·onostante Ie frequenti e consistenti alterazioni subite nel tempo, l'organaria sicilian a e, tra Ie::pologie strumentali del Settecento, quella che ha lasciato in Sicilia maggiori tracce della sua.:-oria.2 Cia e stato favorito dalla concomitanza di fenomeni "ambientali" e musicali. Deputatocia secoli all'accompagnamento delle funzioni religiose, l'organo ha infatti continuato ad essere=ei secoli 10 strumento liturgico per eccellenza e, diversamente da quanto e avvenuto per altri

1. Donato Del Piano, or·gano, seconda meta XVIIIsecolo. Catania, chiesa diS. Nicolo l'Arena .

1 Sulla storia degli srrumenti musicali in Sicilia nei secoli XV-XVTII dr. G.P. Dr STEFANO, Strumenti musieali in Sici-tra Rinascimento e Baroeeo, in C. VELLA (a cura di), Musiea Picta. Immagini del suono in Sicilia tra medioevo e baroeeo,Sira-a 2007, pp. 43-53.

2 L'organo e I'unico, tra gli srrumenti siciliani destinati alia musica colta, ad esser stato oggetto in passato di un di-screta numero di ricerche. Segnaliamo fra gli altri i seguenti studi: D. Dr PASQUALE,L'organo in Sicilia dal sec. XlII al sec.XX, Palermo 1929; G. DrSPENSA ZACCARIA,Organi e organari di Sicilia dal '400 al '900, Palermo 1988; L. BUONO (a cura~1,L'organaria nella Dioeesi di Noto. Catalogazione degli organi eostruiti tra il XVIII e il XX seeolo,Catania 1998.

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strumenti destinati alla musica profana, esso non e mai stato soppiantato dall'introduzione dinuove tipologie strumentali. Non e possibile in questa sede approfondire una tematica che di perse potrebbe essere oggetto esclusivo di una lunga trattazione. Si desidera tuttavia far qui cennoad alcuni organari attivi in Sicilia che si distinsero in modo esemplare per la perizia e l'origina-lita delle loro opere.

La figura pin importante dell'organaria siciliana del Settecento fu probabilmente Donato DelPiano. Nato nel1704 a Grumo Nevano d'Aversa, nelle vicinanze di Napoli, Del Piano giunse gio-vanissimo in Sicilia al seguito del fratello Giuseppe e si stabifi nell'isola dove trascorse tutta la suaesistenza. Nel corso del primo cinquantennio del secolo, Del Piano realizzo un gran numero diorgani nella Sicilia orientale e a Malta. Stabilitosi a Catania, nel 1755 fu incaricato delIa costru-zione del monumentale organo delIa chiesa dei Benedettini di S. Nicolo l'Arena al quale lavoro apin riprese fino agli ultimi anni delIa sua vita (fig. 1). L'organo, recentemente restaurato dopo uncinquantennio di incuria, e ubicato in cantoria a ridosso delIa parete absidale e presenta un impo-nente prospetto ad otto campate, riccamente decorate con sculture e intagli lignei, opera dell'ar-tista napoletano Gaetano Franzese. La particolarita di questo magnifico strumento - uno dei pinelaborati che siano stati costruiti in Europa nel Settecento - oltre alIa varieta dei registri di cui edotato, consiste nell'avere cinque tastiere, tre nella consolle centrale e una singola in ognuna delleconsoffes laterali. Tale disposizione consente a tre organisti di suonare simultaneamente. Data lasua straordinarieta, l'organo di Del Piano divenne una delle principali attrattive turistiche per tut-ti quei viaggiatori che sull'onda del Grand Tour, giunsero a Catania tra la fine del Settecento e laprima meta dell'Ottocento.3 A stupire gli ascoltatori non fu soltanto l'imponenza di questa gran-de "macchina musicale" ma soprattutto la varieta di timbri ed effetti di cui essa disponeva. Que-sto strumento divenne anche un modello al quale si ispirarono altri organari siciliani che, in epo-ca successiva, realizzarono organi a tre consolles.4 Merita a tal riguardo alcune osservazioni l'orga-no realizzato nel1791 dal palermitano Giacomo Andronico, membro di una delle pin importan-ti famiglie di organari siciliani, su commissione del principe Cristoforo Riccardo Filangeri per lachiesa di S. Anna a Santa Flavia. Questo strumento abbinava alle due tastiere d'organo centraliquelle laterali (oggi purtroppo perdute) del "cembalo e mandolino", opera del messinese CarloGrimaldi, e del "cembalo ad arpone 0 fortepiano" costruito dallo stesso Andronico.5 La partico-larita dell'organo di Santa Flavia consisteva dunque nel far convivere in un'unica macchina musi-cale tre famiglie differenti di strumenti a tastiera: l'organo i cui suoni erano ottenuti attraverso ilpassaggio dell' aria nelle canne, il cembalo attraverso il pizzico delle corde ed il fortepiano attra-verso la percussione delle corde per mezzo di martelletti. L'accostamento di strumenti a tastieradifferenti all'interno di un'unica grande cassa d'organo era tuttavia gia stato realizzato circa un se-colo prima da Michele Todini per la "Machina maggiore con sette strumenti sotto una sola tasta-tura" che si trovava presso il palazzo dei principi Verospi di Roma. Tale strumento - che consen-tiva di azionare da un'unica tastiera un organo, un clavicembalo, una spinettina, uno spinettoneun tiorbino e persino un violino e una lira da arco - rappresento per tutto il Settecento una del-le tappe obbligate per i turisti in visita aRoma e non escludiamo che possa esser stata proprio 12

3 Si veda a tal riguardo G. P. DI STEFAJ."IO,L'organo dei benedettini di Catania nei racconti dei viaggiatori del passato, iI: -BUONO(a cura di), Donato Del Piano e l'organo di S. Nicolo l'Arena di Catania, Catania, c.d.s.

4 Organi che consentivano l'esecuzione simultanea di piu esecutori su consollesdifferenti furono anche realizzac GGiacomo Andronico nella chiesa di S. Anna a Santa Flavia (1791) e da Francesco La Grassa nella chiesa di S. Pietro 2 -=-_pani (1842) e nella chiesa dell'abbazia di San Martino delle Scale (1857).

5 La costruzione del cembalo doveva presurnibilmente essere precedente a quella dell'organo essendo Carlo Gr:~-di morto il 19 aprile 1717. Cfr. L. BUONO,Carlo Grimaldi «professore, organaro e cembalaro» di Messina, "Bollettino .:-Societa Calatina di Storia Patria e Cultura", 3,1994, pp. 7-15.

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ama di questa complessa "attrazione musicale" a stimolare Ieambizioni del principe di Santa Flavia e l'ingegno di Andro-nico.6

Come gia detto, il clavicembalo inserito nell'organo dianta Flavia era stato realizzato diversi decenni addietro dal-

l'organaro e cembalaro messinese Carlo Grimaldi, attivo inSicilia tra la seconda meta del XVII e l'inizio del XVIII seco-:0. E tuttavia rilevante notare che ancora alla fine del XVIIIecolo il clavicembalo venisse definito «opera del famoso Sig.

Carlo Grimaldi di Messina».? D'altronde, la straordinariabellezza dei pochi clavicembali di Grimaldi che oggi si con-servano, consacra questo costruttore come uno dei pili gran-di cembalari italiani vissuti tra il XVII e il XVIII secolo. Gri-:::naldirealizza tipologie assai diverse di strumenti a tastiera:organi, clavicembali, spinette, claviorgani, cembali piegatori,tiorbini.8 Dovette essere assai nota oltre che a Messina anche 2

a Palermo vista che perfino il vicere aveva commissionato aquesto costruttore un claviorgano di cui il principe di Catto-ica nel1704 aveva richiesto una copia gemella.9

Gli strumenti di Grimaldi si distinguono per la straordi-:::l3.riaraffinatezza e perizia esecutiva e presentano una serie di

ettagli costruttivi riscontrabili anche nei cembali di scuola:lapoletana, segno di un evidente legame che lega Ie due aree.1Ie sono i cembali di Grimaldi oggi documentati: il pili an-::co, del 1697, e oggi custodito presso il Germanisches Natio-nalmuseum di Norimberga. Un altro, del 1703, si trova pres-:'0 il Musie de la Musique di Parigi ed infine un terzo strumen-ill purtroppo non datato, e custodito presso il Museo Nazio-:aale degli Strumenti Musicali di Roma. Oltre alla qualitil.:nusicale di questi strumenti, cia che colpisce e la raffinatezza degli elementi decorativi che Ii ar-::icchiscono. II cembalo di Norimberga e sostenuto da un imponente cavalletto ligneo intagliatoe dorato dalle traboccanti decorazioni fitomorfe. La cassa esterna dello strumento, decorata conoratura a mecca su sfondo nero, riproduce un fitto intreccio di motivi vegetali e sagome di uc-elli esotici. Lo strumento del 1703 conservato a Parigi presenta una tastiera pili elaborata rispet-

:;:0 a quello di Norimberga. Le copertine dei tasti diatonici sono infatti realizzate in madreperla esu ognuna di esse e intarsiato un fiore in madreperla e corallo. I frontalini dei tasti diatonici sono::ivestiti in tartaruga e madreperla mentre i cromatici sono ricoperti su tutte Ie facce visibili da un

2. Particolare delia tastierain madreperla, tartaruga ecorallo del cembalo diCarlo Grimaldi, Messina,1703. Parigi, Musee de laMusique.3. Clavicembalo pieghevo-Ie di Carlo Grimaldi, Mes-sina, inizio XVIII secolo.Roma, Museo Nazionaledegli strumenti musicali.

6 Cfr. M. TODINI, Dichiaratione delia Galleria Armonica eretta in Roma, Roma, Francesco Tizzoni, 1676, edizione ana-=tica a cura di P. Barbieri, Lucca 1988.

7 Direttorio Perpetuo per Ie sagre funzioni e cerimonie da osservarsi nella Parrocchiale Basilica di S. Anna di Solanto, Roma,: 794, pp. 506-509.

8 Molti di questi strumenti figurano nell'inventario dei beni lasciati in eredita da Carlo Grimaldi al figlio Paolo. Cfr.ll1;ONO 1994, pp. 7-15. Il testamento di Grimaldi e state anche pubblicato da D. COSTANTINI, Nuovi dati biografici sui cem-"::alaroCarlo Grimaldi, "Recercare", V, 1993 (ma stampato in data successiva), pp. 211-219. Il tiorbino, gia citato a propo-9to della Galleria Armonica di Todini, era probabilmente una sorta di spinetta incordata con corde di budello, cfr. F. No-

0, II tiorbino fra Napoli e Roma: notizie e documenti su uno strumento di produzione cembalaria, "Recercare", XII, 2000,:Jp. 95-109: 97.- - 9 Cfr. L. BUONO, Documenti sull'attivita organaria dei Grimaldi di Messina, c.d.s.

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sottile strato di tartaruga con incrostazioni geometriche in osso. Le facce rrontali dei tasti croma-tici recano intarsiato un disegno floreale in madreperla e corallo. Ad arricchire ulteriormente que-sto variegato accostamento di materiali pregiati si aggiungono, ai lati delIa tastiera, due picco Iesculture di donna in legno dorato su blocchetti lignei rivestiti in tartaruga (fig. 2). n terzo stru-mento di Grimaldi riveste un ruolo particolarrnente interessante sotto il profilo organologico. Sitratta infatti del pili antico cembalo piegatorio italiano oggi documentato. I clavicembali piegato-ri erano strumenti da viaggio: richiudibili in tre parti collegate tra loro per mezzo di cerniere con-sentivano ai musicisti un facile trasporto nel corso dei loro spostamenti. Secondo alcune fonti, ilcembalo piegatorio fu inventato nel XVII secolo dal sacerdote Giuseppe Mondini di Imola anchese la sua maggiore fama fu dovuta al costruttore rrancese Jean Marius che l'anno 1700 presentotale tipologia di cembalo presso l'Accademia delle Scienze di Parigi.1O Gli strumenti di Marius fu-rono introdotti in Italia: un cembalo piegatorio di Marius risulta per esempio negli inventari me-dicei del 1716. Lo strumento di Grimaldi conservato aRoma e quelli di Marius presentano tut-tavia caratteristiche costruttive differenti e non sembrerebbero direttamente relazionabili l'unocon l'altro. Cia ha fatto anche ipotizzare che il cembalo di Grimaldi possa precedere gli strumen-ti realizzati da Marius. La strumento e decorato sulle fasce da variopinte figurine a stampa checostituiscono deliziose scenette di genere articolate su un unico sfondo paesaggistico dal caratte-re rurale (fig. 3).

Costruttori di clavicembali furono attivi in Sicilia nel corso di tutto il secolo e questa strumen-to fu un elemento immancabile tra gli arredi delle pili prestigiose residenze nobiliarill (figg. 4-5).A Palermo lavorarono per esempio i cembalari Simone Mercante, Francesco Sperandeo, Antoni-no Riela, Antonio La Manna e il figlio Giuseppe, cembalaro del Teatro Santa Cecilia. A Cataniafurono attivi tra gli altri Pietro Rosso, Michele Russo e il gia citato Donato Del Piano, costrutto-re che ebbe un ruolo rilevante anche nella diffusione del pianoforte nella Sicilia orientale.12 Lapresenza nell'isola di un'antichissima e fiorente tradizione organaria e cembalaria fu infatti un ele-menta determinante per cons entire l'introduzione in Sicilia, intorno agli anni Sessanta del seco-10, del pianoforte. Ne11766, per esempio, l'organaro palermitano Antonino Riela si rese arteficedi un "gravicembalo a martellini" la cui singolarita desta l'interesse di molti curiosi del tempo. Lanotizia e riportata dal periodico Novelle Miscellanee di Sicilia:

Il Cembalaro palermitano Antonio Riela ha inventato e costrutto un Gravi-Cembalo a martellini di ot-tava stesa in B mi, il quale per mezzo di varj registri rende a beneplacito il suono di Gravi-Cembalo, Salte-rio, Arpone, Arpetta, tutti col trasporto di quattro semi-tuoni sopra, ed altrettanti sotto il tuono corale; mu-tazioni, che tutte si registrano co' piedi all'istante e senza incommodo di chi suona. Tutti Ii dilettanti, ed in-tendenti, che in gran numero sono accorsi a suonarlo in casa del detto nostro virtuoso artefice, non hannapotuto dispensarli di ammirare il buon gusto e il meccanismo.13

Questa documento, tra i primi fino ad oggi conosciuti in Italia, apporta interessanti contribu-ti alIa storia del pianoforte nella nostra penisola. Inventato intorno all'anno 1699 a Firenze peropera del geniale cembalaro padovano Bartolomeo Cristofori, il pianoforte, a partire dai primi an-ni del secolo, fu oggetto di sperimentazioni in Germania, Francia e Spagna anche se una sua dif-

10 Cfr. L. LIBIN,Folding harpsichords, "Early Music", XV/3, 1987, pp. 378-383: 378.11 I collages di Gaetano Ognibene e Guglielmo Conti qui riprodotti, testimoniano la presenza del clavicembalo p[?<o-

so due dirnore aristocratiche palerrnitane. Si noti l'insolito supporto del clavicembalo delia principessa Riggio. Rin~Lucio Feo per aver sottoposto alia rnia attenzione queste due opere.

12 Cfr. G. P. Dr STEFAt'-'O,I «clavicembali singolari» di Donato Del Piano. Fonti documentarie e contesto storico in Beo..c.d.s.; ed anche G. P. Dr STEFAt'-'O,I costrutt01i di pianoforti in Sicilia dal Settecento al Novecento, in M. Dr PASQUALE(2di), II pianoforte in Italia, Roma, c.d.s.

13 "Novelie Miscelianee di Sicilia", CVIl, Palermo, 25 luglio 1766.

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fusione pili ramificata e da far risalire all'incirca agli anni '60.Sebbene l'Italia abbia avuto il prima to dell'invenzione delpianoforte nel primo sessantennio del secolo, dopo Ie speri-mentazioni di Cristofori e dei suoi due allievi Giovanni Fer-rini e Domenico Del Mela, non furono in molti a dedicarsialla costruzione del nuovo strumento. L'unico costruttore fi-no ad oggi accertato e infatti il vicentino Paolo Morellati cherealizzo il suo primo pianoforte nel 1766, proprio 10 stessoanno in cui Riela presentava al pubblico palermitano il suo"gravicembalo a martellini".14 Ma diversamente dallo Stru-mento costruito da Morellati basato sui modello di un pia-noforte di Ferrini appartenuto a Farinelli, il pianoforte diRiela non sembra avere relazioni dirette con gli strumenti discuola fiorentina e sembrerebbe invece essere pili vicino aipianoforti di area tedesca. Come gia detto, un altro organa-ro che favor! la diffusione del nuovo strumento in Sicilia fuDel Piano. Secondo quanto afferma Giuseppe Bertini nelsuo Dizionario (Palermo 1815), Del Piano: «puo dirsi - infat-ti - che se non il primo fu certo tra' i primi ad introdurre inSicilia e a Napoli il pianoforte, e molti ne costrusse che furo-no allora in sommo pregio ed estimazione».lS L'introduzio-ne di pianoforti nella capitale partenopea e confermata anchedall'abate fiorentino Domenico Sestini che, giunto a Catanianel 1774, era state informato che Del Piano aveva costruitoanche «un Cimbalo a piano e forte mandato in dono alla Re-gina di Napoli».16 E interessante rilevare che 10 strumentoinviato da Catania nella capitale partenopea e il primo pia-noforte di cui si abbia fino ad oggi notizia in quella citta.

I pianoforti di Del Piano suscitarono l'interesse di altriviaggiatori giunti in visita presso il monastero dei Benedetti-ni di Catania. Tra di essi vi fu Jean Marie Roland de la Pla-tiere, ispettore delle manifatture del regno di Francia, giun-to nel 1777 in Italia alla ricerca di interessanti innovazioninel campo delle arti e del commercio. A Catania, il viaggia-tore francese conobbe personalmente Donato Del Piano eascolto un suo particolare pianoforte:

Quest'uomo strabiliante, con la semplicira e la cortesia di una per-sona amabile che non si fa vanto di altri meriti, e uscito dalla chiesa, dove era venuto a dire messa, appositamen-te per condurci e riceverci nel suo appartamento. Su un Forte-piano, di sua invenzione, a quattro registri, senzaaltra azione se non quella dell'anima dipinta sui volto, egli ha suonato l'arpa con tutta la delicatezza delle dita

4. Gaetano Ognibene,collage raffigurante labreria Belmonte, Pale1785. Palermo, GalleriaRegionale delia Sicilia.

14 Su Paolo Morellati efr. M. T. NARDI, I «cembali a marteltini» di Paolo Moretlati, "Rivista Italiana di Musicologia",XXX/2, 1995, pp. 359-384; ed anche M. LATCHAM, The Cembalo a martelti of Paolo Moretlati in its eighteenth-century con-text, "Recercare", XV; 2004, pp. 149-165.

15 G. BERTINI, Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' piil. celebri artisti di tutte Ie nazioni si' antiche che mo-derne, vol. II, Palermo 1815, pp. 93-94.

16 D. SESTINI, Lettere del signor abate Domenico Sestini seritte datla Sicilia e datla Turchia a diversi suoi amici in Toscana,vol.I, Firenze, per Gaetano Cambiagi, 1779, p. 64.

5. Guglielmo Conti, colla-ge raffigurante la Prind-pessina Riggio in soggi r-no, Palermo 1783.Palermo, Galleria Regio a-le delia Sicilia.

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pili abili: si sarebbe giurato che ve ne fosse una. Egli aveva esordita con il clavicembalo; non l'ho mai sentitosuonare con altrettanta leggerezza. E poi passata all'organo; era proprio 10 strumento ad aria: non avevanullaassolutamente dell'aspro di una corda di metallo \-ibrata. nForte-piano era scoperchiata; io vi tenevo il naso 50-

pra: vedevo il movimemo di tutte Ie corde, l'il!usione era per questa ancora pili perfetta. Non ci sana penne;sana solo dei martelletti ricoperti di pelle. Ha concluso con il salterio: di colpo i suoni, veramente quelli di que-sta strumento, si sono fatti sentire. Gli abbiamo chiesto ingenuamente quanto tempo gli era servito per costrui-re un simile strumento; dipende dall'ispimzione, ha risposto: non e un problenza di bmccio; ma di qua, ha aggiunto,mostrando la testa.

In tutta la mia ,,-itail suono di nessuno strumento mi ha data simile rapimento; in tutta la mia vita nonho mai vista suI viso di un mortale un'aria altrettamo ispirata: era quella che, secondo l'abate Winkelman[sic], caratterizza la Divinid.; questa pienezza di fede, senza espressione violenta, senza nulla di eccessivo neimovimenti. Ci ha ringraziata, salutata, ed e ritarnata in chiesa con 10 stesso candore con cui ne era uscitaY

E probabile che i piano forti di Del Piano facessero uso di una meccanica con martelletti nonimperniati (la cosiddetta "meccanica a tangenti"), una tipologia probabilmente introdotta in Sici-lia dalla Germania e che ebbe larga diffusione nell'isola - caso unico in Europa - all'incirca finoalla meta dell'Ottocento.18

La quantid di strumenti prodotti in Sicilia alla fine del Settecento era ovviamente lontana daigrandi numeri dei principali centri europei e l'importazione di pianoforti stranieri doveva stimola-re in modo determinante l'ingegno dei fabbricanti locali. Nel1789 Nobert Hadrava, segretario del-l'ambasciatore austriaco presso la corte di Napoli, raccontava ad esempio di un costruttore tedesco,Heinrich Gustadt, che poco tempo prima era giunto a Palermo per vendere due pianoforti da luicostruiti e che era si era stabilito a Napoli dove aveva ottenuto un vitalizio dal re.19 Negli anni '90del Settecento 10 strumento aveva comunque fatto il suo ingresso in gran parte delle dimore aristo-cratiche siciliane soddisfacendo il desiderio dei nobili signori isolani che ambivano ad assumere imodi dell'elegante nobild continentale. Un pianoforte assai elaborato "infogliettato di legni diver-si con suoi rosoni, ed otto candelieri d'ottone inargentato" era stato per esempio costruito nel1796dal cembalaro catanese Pietro Rosso per il barone siracusano Gaetano Arezzo della Targia20 mentrea Palermo due pianoforti "di legno cerasa di Napoli" erano stati commissionati a Giuseppe La Man-na sul finire del secolo dai principi di Camporeale e di Ramacca.21 Come constatava il viaggiatoretedesco Joseph Hager nel suo diario di viaggio scritto a Palermo tra il1794 e il1796:

n pianoforte, questo mobile diffuso per tutta l'Europa, e anche qui nota ovunque. 10 stesso, stando pressoquesto meraviglioso strumemo al tianco di dee siciliane ho imparato alcune languide arie di Cimarosa 0 di Fio-ravanti, e qualche duetto di Andreozzi 0 Tritto [e] a Palermo ci sono tanto valenti suonatori che costruttori.22

Dal punto di vista costruttivo ed estetico i pianoforti realizzati a Palermo alla fine del Sette-cento risentono in tutto e per tutto dell'influenza degli strumenti di scuola tedesca la cui introdu-

17 J. M. ROLAl',mDELAPLATIl~:RE,Lettres ecrites de Suisse, d'ltalie, de Sicile et de lvlalthe, vol. III, Amsterdam1780, pp.188-190 (traduzionedell'autore).Questopassoe stato pubblicatoin traduzioneitalianada A.M. MAt'lDrCH,Un incontrocan Donato Del Piano, "Arteorganariae organistica",III/3, 1996, p. 33. Desidero ringraziareAnnaMaria Mandichperavermigentilmentefornito la copiamicrofilmatadel testa originale.

18 Cfr.Dr STEFA1~O,I «clavicembali singolari» di Donato Del Piano in BUONO,c.d.s.19 Cfr. G. GIALDRONI,La musica a Napoli alla fine del XVIII secolonelle lettere di N01,bert Hadrava, "Fonti musicaliita-

liane",I, 1996, p. 130.20 Archiviodi Statodi Siracusa,Fondonotai defunti,notaio F.Bayona,vol. 904, 24 settembre 1796. RingrazioLuigi

Lombardoper avermigentilmentesegnalatoquestodocumento.21 DrsPENSAZACCARIA1988, pp. 188-189.22 J. HAGER,Gemiilde van Palermo, Berlin,Heinrich Frolich, 1799, pp. 62-65; trad. it.: lmpressioni da Palermo, a cill'2

di M.T.Morreale,Palermo 1997, pp. 48-49.23 GIALDRONI1996, p. 96.

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zione a Napoli era stata probabilmente facilitata intorno agli anni '80 delsecolo dalla presenza della regina Maria Carolina d'Austria.23

Accanto alla produzione di strumenti a tastiera, la Sicilia del Sette-cento non manco di una propria tradizione liutaria che nel secolo suc-cessivo avrebbe raggiunta una larghissima espansione soprattutto inarea catanese. Di certo, tra i liutai siciliani del XVIII secolo un posta diparticolare rilievo spetta a Vincenzo Trusiano detto "Panormo", uno deinomi pili autorevoli della liuteria europea del Settecento, i cui discen-denti ebbero un ruolo determinante nella storia della liuteria inglesedell'Ottocento.24 Uno sguardo ai principali repertori bibliografici rendeevidente quanta la biografia di questo liutaio, specialmente per quantoriguarda la fase giovanile della sua attivita, sia ancora lacunosa. In basea quanto affermato da Francis Panormo, figlio di Vincenzo, questo liu-taio era nato a Monreale il 30 novembre 1734.25 L'origine monrealese diPanormo non ha tuttavia trovato fino ad oggi alcun riscontro documen-tario: nessun esito hanno prodotto, in tal senso, Ie ricerche da noi con-dotte presso l'archivio parrocchiale del Duomo di Monreale dove non estato registrato alcun atto di battesimo riguardante tale liutaio ne perquella ne per altre date.26 Alcuni documenti da noi rintracciati pres sol'Archivio di Stato di Palermo danno tuttavia conferma della presenza diVincenzo in questa citta intorno alla meta del secolo. Da atti notarili ap-prendiamo, ad esempio, che Vincenzo era presumibilmente figlio del"citarraro" Gaspare Trusiano attivo con certezza a Palermo tra gli anni'40 e '50 del Settecento.27 Di Gaspare si conserva, presso una collezio-ne canadese, un contrabbasso costruito a Palermo ne11743. Altro mem-bro della famiglia Trusiano fu Rosario, figlio di Gaspare e probabilmente fratello di Vincenzo.28

Queste informazioni dimostrano quindi che i Trusiano furono attivi a Palermo come costrut-tori di strumenti a corda almeno a partire dagli anni '40 del Settecento e che Vincenzo non fuil capostipite, come fino ad oggi sostenuto, della rinomata dinastia dei Panormo. E opera diVincenzo un contrabbasso conservato presso il Conservatorio di Palermo e recante la seguen-te etichetta manoscritta: "Vincenzo Trusiano/ fecit Panormi/ 1752" (fig. 6).29 E opportuno sot-tolineare che il contrabbasso del Conservatario di Palermo e la prima opera nota di questo im-portante liutaio. Vincenzo soggiorno a Palermo, contrariamente a quanto affermato da granparte dei repertori bibliografici, almeno fino al 1754.30 Successivamente Gaspare e Vincenzo

6. Vincenzo Trusiano. con-trabbasso, Palermo 1752.Palermo, Collezione delConservatorio di Musica"v. Bellini". Visione fron-tale e latera Ie.

24 Tra i poehi studi italiani sui Panormo segnaliamo V. FARRUGGIA,1 Panormo, rappresentanti dell'arte liuteria italianain Europa, tesi di laurea in Lettere Moderne, Universitii degli Studi di Milano, Faeoltii di Lettere e Filosofia, relatoreprof. Renata Meueei, anno aeeademieo 2003-2004. Ringrazio vivamente l'autriee per avermi fornito una eopia del pro-prio seritto.

25 W SANDYS,S. A. FORSTER,The history of the violin, London 1864, pp. 382-383.26 L'arehivio del Duomo di Monreale raeeoglie anehe gli atti provenienti da altre parroeehie della eittadina.27 Cfr. Arehivio di Stato di Palermo (da ora in poi ASPa), Fondo notai defunti, notaio F. Tugnini, vol. 6192, 29 giu-

gno 1752, ee. 756-757; ASPa, Fondo notai defunti, notaio G. Tinnaro Mottula, vol. 13922, 17 novembre 1752, ee. 492-492v.

28 ASPa, Fondo notai defunti, notaio B. Lo Presti, vol. 9733,20 dicembre 1752, cc. 488-489; 499-499v.29 Di questo strumento dii anche notizia R. MEUCCI,Gli strumenti della 'musica colta in Italia meridionale nei secoliXVI-

XIX, "Fonti musicali italiane", III, 1998, p. 256.30 Ne sono prova, oltre al contrabbasso del 1752 anche documenti del 1753 e del 1754 rintraeciati presso l'Arehivio

di Stata di Palermo. Cfr.I'ASPa, Fondo notai defunti, notaio M. Galici, vol. 7025, 29 novembre 1753; ed anche vol. 7026,9 febbraio 1754.

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abbandonarono la Sicilia alla volta di Tapoli dove, nella seconda metadel Settecento, e accertata la presenza anche di un altro membro delIafamiglia Trusiano di nome Giovanni, forse fratello di Vincenzo, attivocome costruttore di strumenti a fiato.31 E proprio a seguito del trasferi-mento dalla Sicilia all'Italia continentale che Vincenzo adotto l'appella-tivo "Panormo" in riferimento alIa sua citra di origine. Questo sopran-nome fu utilizzato, in un primo periodo, in aggiunta al cognome Trusia-no per poi esservi sostituito del tutto in epoca successiva. Esso fu inol-tre trasmesso a tutti i figli di Vincenzo nessuno dei quali utilizzo mai ilvero cognome del padre. Tra il 1767 e il 1773 illiutaio siciliano abban-dono la capitale partenopea per muoversi alIa volta di Parigi dove fu at-tivo per alcuni anni.32 Lo scoppio delIa Rivoluzione Francese indusseVincenzo ad abbandonare la Francia e a trasferirsi a Dublino. 11perio-do irlandese fu tuttavia alquanto breve e si protrasse per appena tre an-ni. Nel1791 Vincenzo con i figli]oseph, George e Louis abbandono in-fatti l'Irlanda per Londra dove fu attivo fino alIa morte, sopraggiuntanel 1813. L'arrivo di questo liutaio a Londra aprlla strada ad un perio-do particolarmente florido per la storia delIa liuteria inglese di cui Vin-cenzo e i suoi discendenti divennero tra i principali protagonisti.

I Panormo, come gran parte dei liutai contemporanei, si dedicaronoalIa costruzione di diverse tipologie di strumenti a corda, sia ad arco sia aplettro. A Palermo i costruttori di strumenti a corda, detti "citarrari", sindal Cinquecento avevano stabilito Ie proprie botteghe nei pressi di viaPonti cello che fino agli inizi del XX secolo continuo ad essere la strada deiliutai. Intorno alla mera del Settecento vivevano ad esempio in questa

strada i chitarrai Michele e Ignazio De Grandis, Angelo e Salvatore Bonanno, Francesco Casiglioe Giuseppe Di Franco.33

Tra gli strumenti a corde pizzicate, sull'onda dell'influenza napoletana, una buona diffusionedovette avere in Sicilia il mandolino. Questo strumento, inventato a Napoli intorno agli anni '40del XVIII secolo, pur essendo solitamente associato alia musica popolare, nel Settecento trovospesso impiego nell' ambito della musica d'arte e, anche in Sicilia, divenne uno degli strumentiprediletti dalle signore dell'aristocrazia. Cosl ad esempio, nel 1771 il Villabianca raccontava, conevidente snobistica disapprovazione, della nobile Giuseppa Migliaccio e Bonanni vedova di donAntonino Oneto e Valguarnera di Sperlinga che «volle prendere per marito di coscienza una per-sona bassissima, che prima Ie fece da maestro sonatore di mandolino, ossia di panturro, chiamato

7. Guglielmo Conti, colla-ge raffigurante la Baro-nessa Fieiin sa/otto, Paler-mo 1782. Palermo, Galle-ria Regionale delia Sicilia.

31 Sull'attivitiJ.dei Panormo a Napoli corne costruttori di strurnenti a fiato cfr. F. NOCERINO,Gli strumenti musicali fl

Napoli nel secoloXVIII, in F. COTIICELLI,P. MArONE(a cura cIi),Storia delia musica e dello spettacolo a Napoli. II Settecent/).Napoli, c.d.s.

32 La prima attestazione francese certa risale aIl773 anno in cui Vmcenzo, secondo gli atti della corporazione dei liu-tai di Parigi, risiedeva in un appartamento in affitto al nurnero civico 70 cIirue de Chartres. Cfr.]. DILWORTH,Father FI-gure, "The Strad", aprile 1986, p. 933.

JJ Questi dati possono essere dedotti dal fondo degli Stati liberi matrimoniali custoclito presso I'Archivio DioccIiPalermo (ADPa). Per Matteo e Ignazio De Granclis cfr. ADPa, Stati liberi matrimoniali, vol. 1904, 31 marzo17 - -. c.143v; ed anche vol. 1909, 24 giugno 1760, c. 420; vol. 1914,28 gennaio 1765 c. 266. Per Angelo Bonanno cfr. ADPa, 12-

ti liberi matrimoniali, vol. 1912,28 Iuglio 1763, c. 476. Un riferimento a Salvatore Bonanno si trova invece in ADPa, ;:2-ti liberi matrimoniali, vol. 1925, 12 Iuglio 1776, c. 530. Su Francesco Casiglio ADPa, Stati liberi matrimoniali, vol. 19_6 aprile 1773, c. 329v. Per Giuseppe Di Franco, ADPa, Stati liberi matrimoniali, vol. 1922, 13 novembre 1772, c. 1Ringrazio Giovanni Travagliato e Marcello Messina per Ia gentile collaborazione.

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Giuseppe Amendola».34 La diffusione di questo strumentotra Ie dame della nobilta ritorna anche in un collage del paler-mitano Guglielmo Conti raffigurante la baronessa Fici nelsuo salotto dove su una consolle e ben visibile un mandolinorealizzato in lastra di tartaruga (fig. 7). Anche nella realta imandolini settecenteschi e gli strumenti consimili furonospesso adornati con materiali pregiati quali tartaruga, madre-perla ed avorio. II museo Pepoli di Trapani custodisce, adesempio, un mandolone settecentesco costruito dal palermi-tanG Ignazio De Grandis il cui piano armonico e ingentilitoda decorazioni in madreperla e la cui tastiera in osso presen-ta incise raffigurazioni di angeli contornati da motivi vegeta-li (fig. 8). Lo strumento dimostra nelle sue peculiarita co-struttive l'influenza della scuola liutaria napoletana e roma-na; esso rivela inoltre la qualita delle maestranze locali in gra-do di realizzare strumenti la cui fattura e paragonabile aquella dei rinomati maestri attivi nel continente.

Sotto l'influenza musicale napoletana anche la chitarra asei corde - giunta probabilmente a Napoli dalla Francia edetta appunto "alla francese" - trovo posto nella pratica stru-mentale siciliana diventando, assieme al mandolino, uno de-gli strumenti favoriti dalla nobilta. Come affermava il viag-giatore Hager negli anni '90 del secolo: «anche la chitarra 8

qui e diffusa come in Spagna. Le ragazze accompagnanoquesto strumento con la gentile abilita che esso richiede in brevi canzoncine popolari siciliane dicarattere amoroso e birichino affatto inferiori alle tedesche per acutezza e spirito».35

Un altro strumento a pizzico protagonista delle serate musicali palermitane del secondo Set-tecento fu l'arpone costruito dal notaio e musicista Michele Barbici. Le informazioni su questostrumento e sul suo inventore oggi disponibili sono principalmente dovute ai racconti dell' abateBertini poiche purtroppo nessun esemplare di arpone sembra essere giunto fino ai nostri giorni.L'arpone era uno strumento dotato di corde di budello simile ad un «forte-piano verticale, ma»-scrive il Bertini - «non avendo de' tasti, si suona pizzicando a punta delle dita».36E probabile chel'arpone di Barbici Fosseun grosso salterio a pizzico incordato in budello Forsesimile all'arpanet-ta, diffusa in area tedesca nel corso del XVIII secolo. Questa ipotesi sembrerebbe d'altronde es-sere confermata da Luigi Francesco Valdrighi che nella sua Nomocheliurgografia (Modena 1884)dava notizia di un tale Lucio di Milano nota per aver perfezionato gli arponi e salteri del Barbicie del Battaglia.37Barbici, figlio del notaio palermitano Carlo, verso la meta del secolo fece cono-scere il suo arpone anche in giro per la penisola esibendosi presso alcune delle principali corti, traIe quali Napoli e Firenze, dove sembra aver riscosso largo successo. A Palermo Barbici si esibl

8. Ignazio De Grandis,mandolone, meta delXVIII secolo. Trapani, Mu-seo Regionale "AgostinoPepoli". Visione d'insiemee particolare delia tastiera.

J4 F. EMANUELE E GAETANI MARCHESEDI VILLABlANCA,Diari palermitani (da11746 aI1784), in G. DI MARzo (a curadi), Diari delta citta di Palermo dal secoloXVI al XIX, vol. XIX, Palermo 1875, p. 329.

35 HAGER 1799, pp. 62-65. Alcune di queste composizioni si conservano ancora oggi presso la Biblioteca del Conser-vatorio di Palermo. Ringrazio Dario Lo Cicero per avermene segnalato l'esistenza.

36 BERTINI 1815, pp. 5-7.37 L. F. VALDRIGHI,Nomocheliurgografia antica e moderna ossia elencodi fabbricatori di strumenti armonici, Modena 1884,

p. 229. Antonio Battaglia citato da Valdrighi fu un costruttore di salteri arrivo con certezza a Milano tra il1757 e i11785.Cfr. T CHIRICO, Ii salterio in Italia fra Seicento e Ottocento, "Recercare", XIII, 2001, pp. 172-175.

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spesso in occasione delle feste organizzate dalla nobilta. n Villabianca da per esempio notizia diuna festa organizzata dai marchesi Fogliani la sera del2S febbraio 1762, in occasione dell'apertu-ra del Parlamento, alla quale «fu invitata la nobilta di dame e cavalieri [per] un solenne tratteni-mento di musica, con tavolini di giuoco [... ] e insieme agli strumentisti fece alcune toccate di ar-pone il virtuoso notaro D. Michele Barbici».38I cronisti del tempo si soffermano sullo straordi-nario potere dell'arpone il cui suono «tenero e assai dolce» era in grado di muovere «gli affettine' cuori eziandio meno sensibili» tanto da indurre persino gli ascoltatori ad uno stato di trance.39Con queste parole Gennaro Catalisano nel1781 narrava uno di questi pittoreschi episodi:

11[... ] Signor Michele Barbici ancor vivente [... ] maneggia COS! bene il suddetto Arpone, che appagaqualsivoglia ceto di Persone. Trovandomi un giorno a semire il canto del ben conosciuto Signor GiuseppeBello Siciliano con il nominato Stromento, nella meta dell'Aria improvisamente [sic] fu colpita l'udienza, alpari di forza elettrica, (sebbene questa ne' nervi, e quella nel cuore), traboccando svenuto nel tempo istessouno de'j circostanti.40

Barbici scrisse anche diversi componimenti per 10strumento da lui costruito. Alcune di que-ste partiture si trovano tutt'oggi conservate presso la Biblioteca del Conservatorio di Palermo.41Si tratta di concerti e sonate per arpone con accompagnamento di due violini anche se, a detta delBertini, il notaio palermitano aveva anche composto concerti per arpone a piena orchestra e«molta musica vocale, ove l'Arpone produceva grandissimo effetto accompagnando la voce, men-tre il resta degli istrumenti sentivasi appena».42 11Bertini ci informa inoltre che Barbici non ful'unico virtuoso di arpone. Un altro palermitano, Cristo foro Baisi, chiese infatti allo stesso Bar-bici di costruirgli un arpone e ne divenne gran virtuoso tanto da eseguire su quello strurnentoqualunque difficile sonata clavicembalistica, adattandovi musica scritta per altri strurnenti e com-ponendone di nuova. Dopo essersi esibito per l'Italia ed in Francia, Baisi si stabill a Mosca doveancora soggiornava nel primo decennio del XIX secolo.43

11salterio, in Italia come in Spagna, fu per tutto il Settecento uno strumento assai diffuso de-stinato tanto alla musica strumentale quanto all'accompagnamento della musica vocale. Questa ti-pologia di strumenti si incontra talvolta in Sicilia anche all'interno di lasciti testamentari, comenel caso di don Amedeo Virgillito di Catania che lasciava in eredita «un cembalo pittato, tre flau-ti traversi, un salterio» alla figlia Maria Teresa.44Un salterio di costruzione palermitana e ancoraoggi conservato presso la collezione di strurnenti musicali del Teatro Massimo di Palermo. Talestrurnento, che presenta una cassa dorata riccamente scolpita e un dipinto a soggetto mitologicosulla tavola armonica, fu realizzato ne11790 dall'organaro Giovan Battista di Paola (fig. 9).

Riguardo aHacostruzione di strurnenti a fiata, i documenti a nostra disposizione non consentonodi ipotizzare l'esistenza di una scuola artigiana locale mentre e probabile che tali strurnenti fossero in-trodotti in Sicilia dall'estero e, con ogni probabilita, da Napoli. Per esempio, il Conservatorio del

3B VILLABlANCAin Dr MARZO1875, vol. XVIII, p. 85. Ringrazio Roberto Pagano per avermi gentilmente segnalatoquesto passo.

39 BERTINI1815, pp. 5-7.4{) G. CATALrSAJ."IO,Grammatica Armonica Fisico-Matematica ragionata su i veri principj fondamentali Teorico-Pratici, Ro-

ma 1781, p. 111.41 La raccolta di partiture del Barbici custodite presso la Biblioteca del Conservatorio di Palermo comprende tre so-

nate per cembalo 0 arpone con accompagnamento di violini e quattro concerti per arpone, due violini e basso. Presso lastessa biblioteca si conserva anche il manoscritto di una anonima canzonetta su testo siciliano (Su' a iu munnu e un sacciucomu) con accompagnamento di arpone 0 chitarra.

42 BERTINI1815, pp. 5-7.43 Ibidem.44 Archivio di Stato di Catania, Fondo notai defunti, notaio Pietro Maravigna, vol. 3991, 31 dicembre 1783, cc. 327-331.

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Buon Pastore di Palermo nel 1721 aveva provveduto a far ac-quistare a Napoli «alcuni strumenti da fiato usati per l'ammon-tare di onze 9 e tar127».45Un contributo all'introduzione in Si-cilia di nuove tipologie di strumenti fu apportato dalla presen-za nell'isola di un reggimento svizzero la cui banda era costitui-ta da suonatori di strumenti a fiato e a percussione.46Fu pro-prio tale banda ad introdurre a Palermo Ie percussioni per Ie"turcherie" tanto di moda nella musica del Settecento (fig. 10).La presenza a Palermo di tali strumenti e documentata dal Vtl-labianca che nel giugno 1768 scriveva:

Le serate festive poi, che si tennero dai capi di corte, riuscironoanche bellissime. La prima del capitano si godette sommamente, es-sendo stata tenuta nel magnifico palazzo de' principi di Resuttano~apoli e si distinse per la banda degli strumentisti del reggimentodegli Svizzeri di Jauk, che fecero sentire tre strumenti novelli di 9

tamburo e piattini di metallo il suono de' quali rintuonava in ogniangolo della casa. Questi strumenti ed altri chiamati triangolo, tim-pani ecc., che hanno portato li Svizzeri, sono degli antichi Greci, eli usano gli Albanesi fin oggi per musica militare ne' loro reggimen-ti. Molti vassalli di detto principe, strumentisti di fiata, trattenneropoi la famiglia bassa de' piani inferiori colle sinfonie teatrali.47

Da queste descrizioni viene fuori l'immagine di una Sici-lia probabilmente meno isolata ed estranea alia cultura musi-cale europea di quanto sia stato ritenuto in passato. Si trattadi un panorama che attende ulteriori approfondimenti e lacui conoscenza potra apportare significativi contributi aliastoria delle attivita musicali siciliane del XVIII secolo.*

9. Giovan Battista di Pao-la, salterio, Palermo,1790. Palermo, Collezionedel Teatro Massimo. Visio-ne dall'alto e latera Ie.10. Aniello Sgaraglia, Sce-ne orienta/i, partieolarecon banda turea, Bagheria1790 Bagheria, VillaPala-gonia.

45 F. DE MA1uA, It R. Conservatorio di musica di Palermo, Firenze 1941, p. 21.46 n reggirnento svizzero arrivo a Palermo intorno al 1734 sotto il regno di Carlo III di Barbone. Cfr. D. MACK

S.\IITH,Storia delta Sicilia medievale e moderna, vol. II, Bari 1973, p. 334.47 VILLABlANCA in DI MARZO 1875, vol. XIX, pp. 108-109. Anche a Napoli era presente una banda del reggimento

svizzero che talvolta prese anche parte alIa rappresentazione di melodrammi messi in scena presso il Teatro San Carlo (co-me avvenne per esempio nel 1741 per I'Ezio di Sarri e nel 1746 per il Tigrane di Hasse). Cfr. MEUCCI 1998, p. 264.

* Un sentito ringraziamento agli amici Luciano Buono ed Anna Tedesco per gli utili suggerimenti apportati nella re-dazione di questo contributo.