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PRODUZIONE E COSTRUZIONE DEL S É Rappresentazione delle realtà postcoloniali attraverso l'arte e i nuovi media. Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi” Marcel Proust 1. Visione dell'altro: identità e differenza Le differenze culturali, la convivenza di realtà diverse e le conseguenze storiche, sociali, e geo- politiche che ne derivano sono da sempre oggetto di studio di diverse discipline. Il problema della “convivenza con l'altro” non è una questione che riguarda solo i giorni nostri: le società multiculturali esistono da sempre e sono frutto di diversi fenomeni, primo fra tutti, le migrazioni. Esistono però dei casi in cui la convivenza tra culture diverse non costituisce una libera scelta, ma è frutto del rapporto tra dominatore e dominato. Durante l'epoca del colonialismo, le grandi potenze europee hanno iniziato un processo di espansione che ha portato alla nascita dei grandi imperi coloniali in America, in Africa e in Oriente. A partire dal crollo del colonialismo europeo nel XX secolo, si sono sviluppate diverse discipline che hanno come tema principale lo studio dell'identità e delle conseguenze culturali e sociali che hanno portato secoli di dominazioni nei territori delle ex- colonie. Gli studi post-coloniali analizzano dunque gli effetti culturali, sociali e anche antropologici di una “convivenza forzata” tra la cultura così detta dominante e quella minoritaria e le peculiarità dei nuovi stati nazionali che si sono sviluppati sulla scia del colonialismo. I nuovi stati nazionali che hanno ottenuto l'indipendenza dai colonizzatori sono dunque delle realtà ibride, caratterizzate da elementi culturali differenti. Le teorie che hanno legittimato la superiorità di un popolo rispetto ad un altro, risalgono alla nascita del concetto di nazione e alla diffusione delle idee nazionaliste che trovarono le proprie basi nelle teorie etnocentriche. L'etnocentrismo è la tendenza a mettere il proprio gruppo, e quindi la propria cultura sul piano centrale giudicando le altre dal proprio punto di vista senza tener conto della relatività culturale. L'altro veniva visto quindi come un primitivo da civilizzare nel nome della morale e dei grandi ideali occidentali di evoluzione, sviluppo e progresso. Si creò così un divario tra i popoli occidentali provvisti di cultura e civilizzati e quelli “primitivi”. In realtà l'egemonia culturale andava di pari passo con quella economica e politica, infatti le colonie erano viste come delle risorse preziose per il commercio e l'economia in generale. Agli inizi del 900 con la nascita del relativismo culturale molti studiosi e antropologi iniziarono a contrastare le idee etnocentriste e a considerare la cultura come “relativa”, ovvero un'entità che non può prescindere dal confronto con le altre culture per essere compresa. l'identità diviene dunque tale nel momento in cui può esistere il confronto con l'altro, in quanto questa viene rivendicata come distinzione, e quindi relazione con ciò che è differente. I moderni studi postcoloniali e le teorie culturali applicate ai nuovi media, cercano proprio di mettere in luce il tema dell'identità vista come insieme di tanti mondi che emergono attraverso la cultura, dalla letteratura al cinema digitale, alla fotografia fino a rappresentare una vera scuola di pensiero che affronta i temi della marginalità che deriva dalla condizione della colonia, luogo di incontro tra lingue, tradizioni, modi di vivere e di concepire il mondo. Uno dei padri fondatori degli studi post-coloniali è Edward Said, che nel 1978 scrisse Orientalism, un saggio ispirato al pensiero di Antonio Gramsci e Michel Foucault che si ricollega al discorso sulla costruzione dell'identità: Said dimostra infatti come il termine Oriente non sia altro che un'invenzione degli occidentali, un'entità semantica nella quale racchiudere generalizzazioni e stereotipi legati a tutto ciò che non è Occidente. Anche nel caso di Said, si tratta ancora una volta di “rappresentazione dell'altro”, tema ricorrente in molte opere di artisti, studiosi e scrittori contemporanei che trattano il tema dell'alienazione, ovvero della condizione di straniero, esule o
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PRODUZIONE E COSTRUZIONE DEL SÉ

May 13, 2023

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PRODUZIONE E COSTRUZIONE DEL SÉ Rappresentazione delle realtà postcoloniali attraverso l'arte e i nuovi media.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre,

ma nell'avere nuovi occhi”

Marcel Proust

1. Visione dell'altro: identità e differenza

Le differenze culturali, la convivenza di realtà diverse e le conseguenze storiche, sociali, e geo-politiche che ne derivano sono da sempre oggetto di studio di diverse discipline. Il problema della “convivenza con l'altro” non è una questione che riguarda solo i giorni nostri: le società multiculturali esistono da sempre e sono frutto di diversi fenomeni, primo fra tutti, le migrazioni. Esistono però dei casi in cui la convivenza tra culture diverse non costituisce una libera scelta, ma è frutto del rapporto tra dominatore e dominato. Durante l'epoca del colonialismo, le grandi potenze europee hanno iniziato un processo di espansione che ha portato alla nascita dei grandi imperi coloniali in America, in Africa e in Oriente. A partire dal crollo del colonialismo europeo nel XX secolo, si sono sviluppate diverse discipline che hanno come tema principale lo studio dell'identità edelle conseguenze culturali e sociali che hanno portato secoli di dominazioni nei territori delle ex-colonie. Gli studi post-coloniali analizzano dunque gli effetti culturali, sociali e anche antropologici di una “convivenza forzata” tra la cultura così detta dominante e quella minoritaria e le peculiarità dei nuovi stati nazionali che si sono sviluppati sulla scia del colonialismo. I nuovi stati nazionali chehanno ottenuto l'indipendenza dai colonizzatori sono dunque delle realtà ibride, caratterizzate da elementi culturali differenti.Le teorie che hanno legittimato la superiorità di un popolo rispetto ad un altro, risalgono alla nascitadel concetto di nazione e alla diffusione delle idee nazionaliste che trovarono le proprie basi nelle teorie etnocentriche. L'etnocentrismo è la tendenza a mettere il proprio gruppo, e quindi la propria cultura sul piano centrale giudicando le altre dal proprio punto di vista senza tener conto della relatività culturale. L'altro veniva visto quindi come un primitivo da civilizzare nel nome della morale e dei grandi ideali occidentali di evoluzione, sviluppo e progresso. Si creò così un divario trai popoli occidentali provvisti di cultura e civilizzati e quelli “primitivi”. In realtà l'egemonia culturale andava di pari passo con quella economica e politica, infatti le colonie erano viste come delle risorse preziose per il commercio e l'economia in generale. Agli inizi del 900 con la nascita delrelativismo culturale molti studiosi e antropologi iniziarono a contrastare le idee etnocentriste e a considerare la cultura come “relativa”, ovvero un'entità che non può prescindere dal confronto con le altre culture per essere compresa. l'identità diviene dunque tale nel momento in cui può esistere ilconfronto con l'altro, in quanto questa viene rivendicata come distinzione, e quindi relazione con ciò che è differente. I moderni studi postcoloniali e le teorie culturali applicate ai nuovi media, cercano proprio di mettere in luce il tema dell'identità vista come insieme di tanti mondi che emergono attraverso la cultura, dalla letteratura al cinema digitale, alla fotografia fino a rappresentare una vera scuola di pensiero che affronta i temi della marginalità che deriva dalla condizione della colonia, luogo di incontro tra lingue, tradizioni, modi di vivere e di concepire il mondo. Uno dei padri fondatori degli studi post-coloniali è Edward Said, che nel 1978 scrisse Orientalism, un saggio ispirato al pensiero di Antonio Gramsci e Michel Foucault che si ricollega aldiscorso sulla costruzione dell'identità: Said dimostra infatti come il termine Oriente non sia altro che un'invenzione degli occidentali, un'entità semantica nella quale racchiudere generalizzazioni e stereotipi legati a tutto ciò che non è Occidente. Anche nel caso di Said, si tratta ancora una volta di “rappresentazione dell'altro”, tema ricorrente in molte opere di artisti, studiosi e scrittori contemporanei che trattano il tema dell'alienazione, ovvero della condizione di straniero, esule o

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semplicemente “diverso”, o etnicamente e sessualmente più debole (donne, migranti, omosessuali). L'idea di nazione che abbiamo appreso dai libri di scuola, è quella sviluppatasi negli ultimi due secoli con la nascita delle identità collettive e degli stati nazionali. Quando si pensa ad una nazione ci si ricollega inevitabilmente ad una serie di fattori che accomunano un popolo, come la lingua, la cultura, la storia. La nazione rappresenta dunque la quintessenza dell'identità e racchiude i sé tutte quelle caratteristiche che ci accomunano in quanto italiani, francesi, russi o inglesi. A partire dal 1800, gli ideali patriottici che si sono sviluppati durante il romanticismo hanno risvegliato un concetto di nazione che si basa sulla volontà di essere popolo, e in quanto tale, distinto dagli altri. Proprio l'esasperazione del nazionalismo, culminato nello scoppio delle guerre mondiali, ha spinto le nazioni europee a cercare l'egemonia non solo culturale, ma anche economica. Da qui la nascita di fenomeni quali l'espansionismo, il colonialismo, il razzismo e le guerre per affermare la superiorità della propria nazione rispetto alle altre.Quando si parla di nazione non si può non far riferimento al concetto di confine: il confine serve a delimitare i territori, ma è quasi sempre frutto di accordi politici e divisioni geografiche che hanno poco a che fare con la cultura dei popoli, che spesso viene racchiusa all'interno di una nazione che non la rappresenta. Quando in una nazione convivono più etnie diverse tra di loro si generano conflitti, movimenti indipendentisti e guerre di secessione che portano alla nascita di nuovi stati nazionali, come nel caso della decolonizzazione. Minoranze etniche e territori coloniali sono entrambi il frutto di un'egemonia politica ed economica da parte della “cultura dominante”. Negli ultimi anni, il concetto occidentale di nazione è stato ripreso e messo in discussione da diverse teorie culturali, tra cui quelle degli studi post-coloniali: i nuovi teorici del post-colonialismo sostengono la demolizione e la decostruzione di tutti quei principi che formano la moderna concezione occidentale dell'identità secondo una filosofia che pone fine al pensiero coloniale e ricostruire invece quelle identità e soggettività che sono state svuotate e omologate perché diverse dall'identità dominante. La teoria delle travelling cultures elaborata da Clifford è utile proprio perché aiuta a decontestualizzare e delocalizzare le culture pensandole in relazione al viaggio intesocome dialogo e contaminazione fra culture diverse. Il pensiero post-coloniale segna dunque una rottura radicale con le vecchie strutture del dominio. Al giorno d'oggi, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione come il cinema e le moderne forme d'arte come i video digitali,i testi pittorici, cinematografici e fotografici si è dato una valore aggiunto allo studio delle società antiche e moderne attraverso i mezzi che determinano la visualità (cultura visuale) con un nuovo approccio all'analisi delle opere d'arte. La visione delle immagini rappresenta una vera e propria pratica culturale e l'immagine stessa diviene cultura visuale

Il confine come luogo di transito. Donne che vivono ai margini tra capitalismo e “disumanizzazione” del corpo

I confini sono delle barriere invisibili che servono a dividere lo spazio. Quelli nazionali hanno la particolarità di delimitare i diversi stati e sono a loro modo espressione delle differenze. Molto spesso però, i confini geografici e politici non corrispondono a quelli culturali e ciò causa tensioni tra popoli diversi che si ritrovano a convivere in una stessa nazione, o ancora popoli che non si sentono parte della nazione a cui appartengono. Molti studiosi, artisti e filosofi hanno individuato nei confini delle realtà surreali, dei luoghi di transito in cui il tutto e il niente si confondono. L'artista contemporanea Ursula Biemann ha incentrato il suo interesse proprio su questi territori in cui l'essere umano viene snaturato a causa di fenomeni quali guerre, migrazioni, e interessi economici e politici che fanno del confine un territorio quasi off limits. Performing the Border è il titolo di un video realizzato dalla Biemann in seguito ad un suo viaggio attraverso l'area desertica che ricopre il confine tra Messico e Stati Uniti. Secondo la Biemann questo confine, come tutti gli altri, non è reale e tangibile ma lo diventa nel momento in cui dei corpi lo attraversano. Il paradossodi questo luogo che divide due realtà culturali così diverse come quella del Messico e degli stati Uniti sta negli interessi economici che vi girano intorno: gli accordi economici stipulati dalle grandimultinazionali nordamericane permettono l'attraversamento del confine solamente per gli scambi

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commerciali, mentre i “corpi”, ovvero coloro che vogliono varcarlo per iniziare una nuova vita spinti dal sogno del benessere statunitense, non. Questo dimostra ancora una volta come il confine sia un'entità dettata da interessi commerciali ed economici, prima che culturali. L'area messicana in cui si trova Ciudad Juárez, è dunque un luogo transnazionale ma, paradossalmente, è uno di quelli dove le multinazionali statunitensi assemblano le componenti elettroniche per le loro industrie di comunicazione, processori informatici, strumenti medici, sistemi satellitari e altri strumenti per l'industria aeronautica e militare. In questo contesto, le protagoniste assolute sono le giovani donne, che costituiscono la più importante fonte di manodopera all'interno delle fabbriche. Le donne sono proprio le protagoniste del video realizzato dall'artista, che mette in luce le gravi condizioni di sfruttamento e la mancanza di diritti ai quali queste sono sottoposte: il corpo della donna all'interno delle fabbriche viene ridotto a cyborg, macchina perfettamente assemblata che assolve il compito di assemblare tutti i pezzi con una precisione meccanica. Queste giovani donne lavorano per un dollaro all'ora e vengono rimpiazzate quando la vista si fa più debole, proprio come se fossero un materiale usa e getta. Inutile dire che la pubblicità gioca un ruolo importantissimo per la commercializzazione dei prodotti delle multinazionali: la manodopera femminile viene pubblicizzata come docile, addomesticabile e sottomessa, che rende l'immagine della disciplina. La manodopera femminile viene preferita a quella maschile in quanto è raro che delle donne, considerate più docili, possano riuscire ad organizzarsi sindacalmente e ogni minima infrazione, compresa la gravidanza, viene pagata con il licenziamento. Lo stretto controllo da parte dei direttori, quasi sempre uomini e bianchi, mette in rilievo una condizione di sottomissione e sfruttamento che non concerne solo una disuguaglianza razziale, ma anche sessista. Un'altra grave conseguenza causata dal controllo dei corpi delle donne da parte delle multinazionali,che causano la marginalizzazione dei soggetti non adatti a lavorare in fabbrica o occuparsi delle faccende domestiche, è l'aumento esponenziale della prostituzione in queste aree. I salari troppo bassi inoltre, costringono anche le donne che lavorano in fabbrica ad arrotondare lo stipendio prostituendosi il fine settimana. Questa situazione è secondo la Biemann una dimostrazione palese di come la sessualizzazione e il mercato siano in qualche modo connessi tra di loro e costituiscano parte integrante del capitalismo globale. Lo stretto controllo del sistema politico ed economico, viene però aggirato da quelle che la Biemann chiama “identità trasgressive”, ovvero quelle figure che hanno il coraggio di ribellarsi, ma rimangono comunque dei corpi che si spostano segretamente all'interno del confine come entità di transito: sono le donne che attraversano il confine per vendere merce di contrabbando, o ancora quelle che accompagnano le donne incinte che vogliono partorire nei territori statunitensi dove, paradossalmente, cercano quella libertà e quel benessere “occidentale” che gli viene negato nel proprio paese proprio dagli stessi americani. Le giovani messicane sono quindi quel binomio di tecnologia e manodopera che fa dei corpi umani dei macchinari monitorati e controllati in tutte le loro mosse, dei cyborg svuotati di qualsiasi tratto di umanità.

Transnazionalismo, dislocazione, ibridazione: espressione del post-colonialismo nell'arte.

L'arte in tutte le sue forme è un potente mezzo di comunicazione ed è espressione della cultura di unpopolo. I luoghi dell'arte e della cultura, come i musei, sono espressione della memoria di una nazione e non a caso sono sempre stati associati alla costruzione e distinzione della nazionalità, una sorta di trofeo in cui viene esposta orgogliosamente l'identità. Al giorno d'oggi, con le conseguenze legate alla globalizzazione, il museo non è più quel luogo tradizionale in cui preservare i miti della nazione, ma inizia ad essere contaminato e arricchito di nuove esperienze che derivano dalle migrazioni e dall'incontro con popoli e realtà diverse, ma l'arte acquista in questo modo un valore sociale e politico oltre che estetico in quanto esprime il punto di vista di nuovi artisti che vivono unacondizione di migrazione e dislocazione. Una figura emblematica dell'arte migrante postcoloniale che rappresenta l'immagine della “donna di confine”, è Laura Baladi, artista libanese-egiziana che ha contribuito con le sue opere fotografiche, installazioni e video a riproporre il tema del contrasto e

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dell'unione tra oriente e occidente attraverso rappresentazioni fiabesche e oniriche che esprimono un messaggio di unione tra culture. Al centro delle sue opere vi è sempre l'universo femminile e il tema ricorrente del deserto, luogo che rappresenta non solo le sue radici, ma anche quel confine quasi etereo che unisce e allo stesso tempo separa il Nord Africa con l'Africa Sub-sahariana. Fenenim El-Rahhal, ovvero “Carovana degli artisti nomadi” è un insolito progetto realizzato e curato dall'artista nel 2006: questo consiste in un'escursione nel deserto alla quale hanno partecipatoun gruppo di 30 persone costituito da artisti, scrittori, giornalisti e attivisti provenienti da tutto il mondo. Le persone che hanno partecipato al progetto hanno trascorso 7 giorni nel deserto e durante le soste in tenda si sono confrontati e hanno dibattuto su vari temi fondamentali quali l'arte, il nomadismo e l'Oriente inteso come crocevia di scambi e di culture, terra che rappresenta non solo l'esotismo, ma anche uno spunto di riflessione per ripensare e rivalutare il concetto di territorialità e identità, a cui l'Europa è così tanto legata. Ciò che la Baladi vuole mettere in luce, è un parallelismotra l'artista contemporaneo (e quindi l'arte) e il beduino, che vivono entrambi una condizione di nomadismo:l'artista porta in giro le sue creazioni per il mondo consapevole del fatto che ovunque ritroverà “il deserto”, luogo di confine in cui si ritrova il caos del mondo e che si riflette in tutte le città, che siano a orientde o a occidente. L'artista esprime dunque nelle sue opere la sua condizione di donna e nomade, nata a Beirut e divisa tra le culture dei luoghi dove ha vissuto (il Cairo, Parigi e Londra).L'arte di Laura Baladi assieme a quella di artiste come Mona Hatoum e Zineb Sedira può essere intesa come una reinvenzione e ricreazione del sé, tema ricercato e proposto da molti artisti che incarnano la cultura visiva post-coloniale e postmoderna.Anche l'artista messicano David Gremard Romero ha conferito alle sue opere un immaginario transculturale mescolando l'arte precolombiana con elementi moderni che riportano all'ibridazione della società “mestiza” messicana. L'artista ha unito l'iconografia delle maschere atzeche con quella della Lucha Libre, il wrestling messicano. Nelle sue opere emerge la volontà di dare una continuità alla storia evocando paesaggi e atmosfere lontane che rimandano all'esotismo in modo da creare un filo conduttore che unisce l' arte classica e la cultura corrente.

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Cultura individuale: relazione tra l'io e il mondo attraverso le nuove tecnologie.

Se da una parte le nuove tecnologie hanno contribuito ad unire e “avvicinare” ogni angolo del mondo attraverso le telecomunicazioni e la rete, dall'altra hanno creato una grande contraddizione: la globalizzazione, il mercato e la corsa ai consumi e alla tecnologia hanno messo in primo piano l'individualità e l'individualismo a discapito di quella dimensione comunitaria che caratterizzava il passato e che tuttora caratterizza alcune civiltà e paesi in via di sviluppo. Non sempre però la tecnologia è sinonimo di isolamento: se da una parte i cellulari, i computer, i tablet ecc...contribuiscono a soppiantare le relazioni tra individui in carne ed ossa privilegiando quelle “virtuali” dei social network, ci si può sentire “parte del tutto” anche contemplando la propria solitudine. È questo il tema centrale del secondo capitolo del libro Paesaggi Migratori ( Ian Chambers) intitolato “Passeggiata uditiva”. La passeggiata uditiva si riferisce ad un'esperienza altamente personale e individuale che ognuno di noi ha vissuto: camminare per le vie della città ascoltando musica con il walkman, precursore dei moderni lettori mp3. Il walkmen nasce negli anni80 da un'idea del presidente della Sony, e da allora il modo di concepire la propria solitudine e le relazioni di ciò che ci sta attorno è cambiato radicalmente: con il walkmen ognuno è in grado di portare con sé una “colonna sonora portatile” e allo stesso tempo creare una propria playlist che risponde esattamente alla personalità e al gusto di ogni individuo. Ma la cosa che più di altre caratterizza la relazione tra tecnologia, individualità e il contatto con l'ambiente circostante, è il fatto che il walkmen non è un elemento di isolamento come si potrebbe pensare, ma è un mezzo checonsente di relazionare l'individualità di ciascuno con un ambiente condiviso che è quello dell'emozionalità e dell'immaginazione che permette di scoprire nuovi mondi oltre alla realtà che cicirconda riprendendo il tema del nomadismo contemporaneo di cui si parlava in precedenza. Da questo punto di vista dunque, la tecnologia non è solo in grado di isolare ma anche di mettere in relazione l'uomo con la sua interiorità avviando un processo di introspezione profondo che impone il paesaggio sonoro personale su quello urbano della quotidianità. Si può dunque parlare di attività culturale della tecnologia che, nel caso del walkmen da un valore aggiunto alla realtà permettendo all'iindividuo di nascondersi, di isolarsi dal mondo per riscoprire i mondi della sua interiorità attraverso la musica da egli scelta per vedere l'esterno con nuovi occhi.La tecnologia ha inoltre ispirato molte teorie culturali che si incentrano sul progresso e sulla “computerizzazione dell'uomo: i cyberteorici teorizzano un futuro in cui l'uomo dovrà necessariamente subire un'integrazione con le macchine per divenire un essere perfetto, in grado di utilizzare un'intelligenza superiore mediante uno svuotamento del corpo e della carne. Queste teorieche si rifanno al concetto di post-umano, racchiudono in realtà una contraddizione: se i teorici del nuovo “tecnocolonialismo” sostengono una civilizzazione del mondo attraverso la tecnologia, elemento che dovrebbe garantire la libertà assoluta attraverso la connettività elettronica, bisogna tenere in conto che in gran parte dei paesi del terzo mondo, l'elettricità non è un bene garantito. Si rischia così di creare una élite di popoli all'avanguardia, benestanti e connessi dalla quale verranno esclusi tutti i paesi non tecnologgizzati, ovvero quelli poveri. Molti teorici parlano addirittura di unanuova forma di capitalismo basato sulla tecnologia che esclude ed emargina tutti coloro che non possono accedervi. Le nuove tecnologie non sono solamente oggetto di teorie culturali, ma vengono adoperate come mezzo di comunicazione dell'arte contemporanea: il cinema digitale con i film sperimentali, documentari e installazioni è molto diffuso tra una nuova generazione di registi che si interessa sempre più spesso alle tematiche del multiculturalismo e delle realtà postcoloniali.Nel suo libro “L'arte digitale postcoloniale”, Michela Quadrato tratta proprio di queste nuove forme d'arte che tendono ad una narrazione frammentata e discontinua, tipica dei linguaggi video e digitali. L'autrice pone l'accento sulla cultura e sull'arte angloamericana che spesso acquista una connotazione politica e sociale grazie all'opera di personalità come Isaac Julien, artista di origine anglo-caraibica che è il più grande rappresentante dell'arte nera europea. Oltre al cinema Julien realizza installazioni video a schermo multiplo avvicinandosi alle nuove tecniche visuali trattando

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temi quali le migrazioni contemporanee e l'identità dei neri e degli omosessuali, facendosi portavoce di un “attivismo artistico” che tocca diverse questioni sociali. Un'altra artista che si è dedicata all'arte digitale con un approccio anti-coloniale è la vietnamita Trinh T.Minhha. I suoi film documentari girati in Senegal, Cina e Vietnam in cui l'immagine si fonde con la poesia e la scrittura sono stati riconosciuti a livello internazionale. L'insieme di musiche, suoni e scrittura rimandano ad una dimensione antropologica che viene espressa attraverso l'arte del documentario.

Sardegna, terra post-coloniale. identità multiculturale e tradizione attraverso il cinema e la letteratura

Quando si parla di colonialismo e post-colonialismo, nell'immaginario comune ci si riferisce quasi sempre a realtà esotiche, come l'America Latina o l'India, ma esistono delle realtà a noi molto vicineche sono frutto di una colonizzazione culturale, basti pensare ai numerosissimi popoli che hanno attraversato il mediterraneo lasciando le proprie tracce. A detta di molti teorici e studiosi di varie discipline è possibile considerare la Sardegna, isola in cui sono nata e cresciuta, “isola post-coloniale”. In un'indagine riportata nel libro Identità e autonomia in Sardegna e Scozia, L'essere sardo rappresenta una condizione ambivalente: si è assieme sardi e italiani, non italiani in quanto sardi. La Sardegna ha avuto nella storia uno sviluppo parallelo rispetto alle altre regioni italiane e presenta peculiarità proprie, dal fattore genetico dei sardi pre-nuragici al forte carattere isolano che ha condizionato la storia, l'economia e la cultura della Sardegna. Dopo l'unità d'Italia, l'isola si trovava in forte ritardo rispetto alle altre regioni italiane, e la presenza del mare rendeva assai difficili i collegamenti con il resto dell'Italia. Le politiche economiche portate avanti dallo Stato italiano danneggiarono gravemente l'economia sarda fino a provocare la grave crisi agraria che colpì tutto il mezzogiorno. La crisi agraria in Sardegna contribuì ad incrementare la criminalità e il banditismo,fenomeno che ebbe il suo culmine dagli anni '60 in poi con l'azione dell'Anonima Sequestri. Quella del bandito in Sardegna è sempre stata una figura emblematica che suscitava paura da parte della popolazione, ma allo stesso tempo ammirazione e rispetto. Il bandito era colui che rappresentava la lotta Stato, uno Stato per troppo tempo assente. Le campagne sarde erano i luoghi off limits in cui finiva la giurisdizione dello Stato italiano e iniziava quella del codice al di fuori della legge. Riprendendo il concetto di confine, tema fondamentale per molti artisti e studiosi del post-colonialismo, si potrebbe paragonare la campagna sarda a quel luogo di transito di cui ha parlato la Biemann, territorio di nessuno in cui la legge dello Stato diventa impotente. Anche dal punto di vista culturale, il confine della campagna potrebbe rappresentare un luogo delocalizzato che fa partedell'Italia in quanto territorio ma è intriso dell'identità e delle radici profonde della cultura sarda. Il film del 1961 Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta ha segnato la storia del cinema sardo ed è stato inoltre apprezzato dalla critica internazionale. Il film a distanza di decenni continua a mantenere la sua forza espressiva e comunicativa e racconta una Sardegna vera, lontana dagli stereotipi comuni. La trama si sviluppa attorno ad un pastore sardo che, costretto ad ospitare tre banditi, viene braccato dalla polizia e costretto a fuggire e nascondersi nel Supramonte vivendo una vita di latitanza. Sono quindi le circostanze che hanno portato una persona onesta a vivere al di fuoridella legge, non la volontà di delinquere in sé.Un'altra particolarità del film è che è stato interpretato interamente da pastori, che non essendo attori professionisti, hanno dato al film una forza comunicativa più autentica, resa più forte dalla prevalenza delle immagini e dei silenzi sui dialoghi, recitati interamente in sardo e successivamente doppiati in italiano. L'opera di De Seta è fondamentale non solo per le tematiche trattate da un punto di vista nuovo, ma anche perché si tratta di un esempio eccellente di cinema indipendente in quanto il regista viene considerato uno dei primi filmmaker perché non solo si occupa della realizzazione e della regia del film, ma anche della fotografia, del montaggio e del suono: si tartta quindi di un modello da seguire per la nuova generazione di registi autonomi che sono cresciuti con il digitale.

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La prospettiva antropologica, la poetica descrizione dell’aspra bellezza del paesaggio, il conflittuale rapporto con la natura, il contrasto tra l'autorità dello Stato rappresentato dalla legge e larealtà sarda sono tutte tematiche che in qualche modo possono dare spunto ad una riflessione sulle teorie post-coloniali, se anche da un punto di vista diverso.rapporti tra l'isola e “il continente”, sostantivo con cui i sardi definiscono l'Italia è contraddittorio perché non può essere ridotto a dominio o colonizzazione, ma presenta delle discrepanze tra il modo in cui i sardi percepiscono la propria identità divisa tra locale (l'essere sardo) e globale (essereitaliano ed europeo)Sono numerosi gli autori sardi che hanno riportato nelle loro opere l'idea di una Sardegna ex-colonia, teoria che alimenta una coscienza post-coloniale che riflette la storia di un'isola che è sempre stata terra di dominazione, dai fenici agli spagnoli, dai pisani agli stessi italiani. Questa tendenza si può ritrovare nelle numerose rappresentazioni di Cagliari come “città africana”, una città portuale crocevia del mediterraneo e aperta alla dominazione di numerosi popoli stranieri, una città orientale, dunque. Queste associazioni vengono riportate per esempio nei gialli storici di Giorgio Todde, ma anche in Pesi leggeri,film di Aldo Tanchis ma il tema della città africana si riflette anche nell'opera di Sergio Atzeni, scrittore che ha spesso inserito nei suoi romanzi personaggi arabi per rappresentare l'ibridazione della popolazione concentrata nelle coste meridionali dell'isola. Un altro paragone interessante messo in luce dallo scrittore sardo è senza dubbio la vicinanza geografica e immaginaria della Sardegna con il Maghreb, tema riportato nel volume I sogni della città bianca, dove per città bianca si intende la Casbah di Algeri che, per la suatopografia e la struttura architettonica può ricordare la vista che si ha di Cagliari provenendo dal mare. Questa visione di una Sardegna “orientaleggiante”, incontro di popoli e culture diverse viene proposta già in passato da David Herbert Lawrence, scrittore poeta e drammaturgo inglese che durante il suo soggiorno a Cagliari scrisse Sardinia and sea e descrisse la città in questo modo:

“E improvvisamente ecco Cagliari: una città nuda che si alza ripida, ripida, dorata, accatastata nuda verso il cielo dalla pianura all'inizio della profonda baia senza forme. È strana e piuttosto sorprendente, per nulla somigliante all'Italia. La città si ammucchia verso l'alto, quasi in miniatura, e mi fa pensare a Gerusalemme: senza alberi, senza riparo, che si erge spoglia e fiera, remota come se fosse indietro nella storia, come una città nel messale miniato da un monaco. Ci si chiede come

Illustrazione 1: scena tratta dal film "Banditi a Orgosolo"

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abbia fatto ad arrivare là. Sembra la Spagna, o Malta: non l'Italia.”Lawrence descrive la Sardegna ingenerale come uno di quei luoghi di confine senza tempo rappresentati nelle opere di artiste come Zineb Sedira e Lara Baladi, uno di quei paesaggi che richiamano le opere di artisti e studiosi del pensiero postcoloniale. Lo scrittore inglese paragona la Sardegna ad una terra che appartiene a tutto e a niente, una realtà che non può essere compresa se non in relazione alla sua storia di dominazionie passaggi di popoli provenienti dal mare: “La Sardegna è un'altra cosa: più ampia, molto più consueta, nient'affatto irregolare, ma che svanisce in lontananza. Creste di colline come brughiera, irrilevanti, che si vanno perdendo, forse, verso un gruppetto di cime… Incantevole spazio intorno e distanza da viaggiare, nulla di finito, nulla di definitivo. È come la libertà stessa.”“Ma ancora mi ricorda Malta. Persa tra Europa e Africa, appartiene a nessun luogo. Appartiene a nessun luogo, non essendo mai appartenuta a nessun luogo. Alla Spagna e agli Arabi e ai Fenici, piùdi tutto. Ma come se non avesse mai veramente avuto un destino. Nessun fato. Lasciata fuori dal tempo e dalla storia.”

Diversa è invece la rappresentazione della Sardegna di Salvatore Mannuzzu, scrittore sardo contemporaneo che rende un'immagine alternativa della realtà sarda attraverso il senso della perdita di identità: i suoi romanzi raccontano una Sardegna diversa da quella di Sergio Atzeni, quella di Sassari e della parte nord-occidentale dell'isola in cui i sardi vivono il dolore di un'identità che diventa un'assenza, una ferita che non si cicatrizza. Per Mannuzzu l'identità della Sardegna è qualcosa che “esiste perché sta venendo a mancare” a causa dell'inarrestabilità della globalizzazione, che tende ad omologare e ad appiattire tutto, comprese le tradizioni, la lingua e la cultura di un popolo. Molti partiti indipendentisti e separatisti sardi prendono spunto dal tema dello sfruttamento economico della Sardegna da parte dello Stato italiano che avrebbe contribuito alla perdita dell'identità culturale sarda, a partire dalla lingua. Con l'avvento della televisione e dell'alfabetizzazione, nelle scuole proibirono ai sardi di parlare il dialetto perché ritenuto volgare eeproprio delle classi più basse inculcando la convinzione ( tuttora persistente nella mentalità delle persone anziane che hanno vissuto quel periodo) che parlare il dialetto fosse “vergogna”: bisognava parlare l'italiano, la lingua dell'istruzione, della burocrazia e degli ambienti formali. Le conseguenzedell'alfabetizzazione in Sardegna sono state disastrose per la lingua che oggi è un patrimonio che si sta perdendo nonostante si cerchi di incentivare una politica di conservazione della lingua. La

Illustrazione 2: Vista del porto di Cagliari

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questione della lingua è un altro dei temi centrali delle letterature postcoloniali in quanto c'è un rimando alla “creolizzazione”, ovvero alla convivenza della lingua “dominante” e quella “dominata”, come nel caso dell'Italiano e del sardo. Quella della Sardegna è dunque una delle tante realtà locali che cercano di sopravvivere all'interno del globale attraverso una generazione di scrittori, registi e artisti di vario genere che attraverso una presa di coscienza identitaria rappresentano una terra di tradizioni, folklore e se vogliamo esotismo che traspare dalle opere che mettono in luce una prospettiva postcoloniale che esalta l'ibridazione e la mescolanza all'interno del quadro omogeneo dell' “italianità”.

Illustrazione 3: Donna di Mogoro indossa il costume tradizionale durante i festeggiamenti in onore del Santo Patrono

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Bibliografia

• Celeste Ianniciello, “I “musei-mondo” dell'arte contemporanea. Tracce locali di percorsi globali’, In Estetica. Studi e ricerche, 1/2012.

• Demuro Gianmario -Mola Francesco -Ruggiu Ilenia, Identità e autonomia in Sardegna e Scozia, 2013

• Giovanni Leghissa et alii (a cura di), Il postcolonialismo in Italia, Il Saggiatore, 2011

• Iain Chambers, “Passeggiata uditiva”, da I. Chambers, Paesaggi Migratori, Roma, Meltemi,2003.

• Luciana Parisi, “La percezione della differenza nel digitale: movimento e affetto”, in Lidia Curti, Silvana Carotentito, Anna De Meo, Sara Marinelli (a cura di), La nuova Shahrazad: Donne e Multiculturalismo, Napoli, Liguori, 2004.

• Maria Fernandez, “Teorie postcoloniali dei media”, in Federica Timeto, 2008.

• Michaela Quadraro, L’arte digitale postcoloniale, Roma, Aracne, 2012.

• Miguel Angel Mellino, La teoria postcoloniale come critica culturaleTra etnografia della società globale e apologia delle identità “deboli”, 2001.

• Ursula Biemann,«Performing the Border»: genere, corpi transnazionali, tecnologia’, in Federica Timeto (a cura di),Culture della differenza. Femminismo, visualità e studi postcoloniali, Torino, Utet, 2008.

Sitografia

• www.treccani.it