PRESENZA DI INQUINANTI AMBIENTALI IN CAMPIONI DI SANGUE UMANO DI INDIVIDUI NON ESPOSTI PROFESSIONALMENTE Università degli Studi di Siena Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti” “Ecologia ed ecofisiologia applicate ai cambiamenti globali” Via Mattioli 4, 53100 Siena S. Focardi con la collaborazione di: C. Guerranti, G. Perra, N. Ademollo, T. Benincasa, A. Bianchini, I. Bisogno, F. Borghini, A. Schiavone
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PRESENZA DI INQUINANTI AMBIENTALI IN CAMPIONI DI SANGUE UMANO DI INDIVIDUI NON
ESPOSTI PROFESSIONALMENTE
Università degli Studi di Siena
Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti” “Ecologia ed ecofisiologia applicate ai cambiamenti globali”
Via Mattioli 4, 53100 Siena
S. Focardi con la collaborazione di: C. Guerranti, G. Perra, N. Ademollo, T. Benincasa, A. Bianchini, I. Bisogno, F. Borghini, A. Schiavone
Caro lettore,
Sono anche io un dei 18 volontari testati e nel mio corpo sono stati trovati 45 contaminanti
prodotti dall’uomo.
I composti chimici hanno moltissime applicazioni utili, ma di molti non si può dire che siano
sicuri per la salute dell’uomo e degli animali. Questi composti, tuttavia, vengono a contatto
con il nostro corpo tutti i giorni ed in molti casi inconsapevolmente. Li troviamo negli
apparecchi elettronici, nei mobili della casa, nei cibi, nell’aria, negli oggetti di uso
quotidiano.
E’ difficile accettare che nel mio corpo ci siano così tante sostanze chimiche, le stesse
trovate negli orsi polari, nei delfini, in molti rapaci e in altre specie.
Difficile accettare che non ci sia ancora una legge efficace, in grado di proteggerci a
sufficienza e produttori obbligati a fornire informazioni adeguate sulle sostanze che mette
in commercio.
Il WWF vuole assicurarsi che tutti oggi capiscano come questa situazione debba essere
modificata. Abbiamo la responsabilità di offrire ai nostri figli un mondo più pulito e più
sano, e questo passa attraverso la comprensione del problema e la determinazione della
sua soluzione.
Ringrazio vivamente il Professor Focardi e la sua equipe per il supporto tecnico e
scientifico del report, ringrazio la FIDAS che ha fornito medici specialisti ed attrezzature
per il prelievo ed inoltre ringrazio Aboca che, nella condivisione dei nostri ideali, sta
L’ampia ed incontrollata immissione nell’ambiente da parte dell’uomo di numerosi
inquinanti ha sconvolto gli ecosistemi, alterando l’aria, le acque e il suolo e,
conseguentemente, danneggiando gli organismi e le reti alimentari. Composti
chimici quali i POPs (Persistent Organic Pollutants) ed elementi non essenziali
come Pb, Cd e Hg, sono ormai noti per la loro tossicità nei confronti dei sistemi
biologici. Le specifiche capacità di bioaccumulo e biomagnificazione nelle catene
trofiche hanno fatto sì che molti di questi contaminanti abbiano raggiuto valori di
concentrazione piuttosto elevati nei tessuti degli organismi, ed in particolare di quelli
posti ai vertici delle catene stesse, come l’uomo, fino a provocare effetti tossici
indesiderati (Borlakoglu e Dils, 1991; Duarte-Davidson, 1994). Inoltre, alcune classi
di contaminanti, tra cui, ad esempio, il dicloro-difeniltricloroetano (DDT) e le
diossine, sono state definite come “endocrine disruptor”, ovvero modulatori del
sistema endocrino in grado di alterarne la funzionalità in molti organismi, uomo
compreso.
Scopo di questa indagine è valutare l’entità dell’esposizione umana ad alcuni di
questi composti attraverso l’analisi di campioni di sangue intero e di siero, prelevati
da individui non esposti professionalmente, quindi rappresentativi della maggior
parte della popolazione. I risultati di questo studio potranno essere utili nel far
comprendere la capacità di questi composti di penetrare negli organismi, e
determinare le priorità nella ricerca degli effetti dei contaminanti in esame sulla
salute umana.
Il sangue è stato scelto perché costituisce una matrice di studio di tipo “non
distruttivo” ma anche perchè, essendo in equilibrio chimico con i vari organi e
tessuti dell’organismo, risulta un buon indicatore della contaminazione generale nel
rappresentare la quantità di inquinanti, presenti nell’ambiente, che realmente entra
nell’organismo (Radomski et al., 1971). Le concentrazioni di contaminanti nel
sangue riflettono una molteplicità di fonti di contaminazione quali, ad esempio,
acqua, aria o alimenti, fornendo sostanzialmente un dato integrato di quanto di
nocivo è entrato nell’organismo attraverso ingestione, inalazione o assorbimento
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dermico. Inoltre, il sangue può essere facilmente campionato su qualsiasi individuo
e con la minima invasività per la persona.
Gli inquinanti determinati in ogni campione, appartengono ai seguenti gruppi:
1. Pesticidi clorurati
2. Policlorobifenili
3. Policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani
4. Polibromodifenileteri
5. Idrocarburi policiclici aromatici
6. Piombo, mercurio e cadmio
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2 Introduzione
Gli organismi, uomo compreso, durante la loro vita, possono venire a contatto con
molti contaminati e, durante i processi di scambio di materia ed energia con
l’ambiente circostante, possono arricchirsi di tali sostanze, sia che esse derivino da
fenomeni di contaminazione sia che siano normali costituenti del sistema naturale.
Gli effetti dell’esposizione ai contaminanti possono essere reversibili o irreversibili e
risultano più o meno gravi in funzione del tempo di esposizione e del grado di
contaminazione. In genere, gli organismi a vita lunga possono andare incontro a
fenomeni di bioconcentrazione (fenomeni di arricchimento attraverso le superfici del
corpo che consentono gli scambi), bioaccumulo (in cui l’arricchimento avviene per
qualunque via: respirazione, ingestione di cibo, contatto) e biomagnificazione, in cui
si esaltano gli effetti della posizione nella catena alimentare. Si possono così
osservare fenomeni di arricchimento sempre crescenti man mano che si sale nella
catena trofica, ovvero, quando si passa da prede a predatori (Vighi e Bacci, 1998).
Si deve considerare, inoltre, il fatto che l’immissione di sostanze inquinanti non
rimane limitata all’area circostante la sorgente di emissione, ma può raggiungere
luoghi lontani migliaia di chilometri attraverso fenomeni di circolazione atmosferica o
acquatica. Tale processo viene definito Long Range Transport. I pesticidi, ad
esempio, possono essere trasportati nell’atmosfera dalle correnti o possono
evaporare dalla superficie delle piante o dal suolo e ritornare nell’atmosfera per
lunghi periodi oppure essere riammesse nel terreno con le deposizioni. In questo
modo la contaminazione diviene un problema su scala globale (Murty, 1986a; Vighi
e Bacci, 1998). Le considerevoli concentrazioni di contaminanti tossici rilevate nei
pesci del Mar Artico (Muir et al., 1992a) e nei mammiferi terrestri (Norstrom et al.,
1988) e acquatici (Muir et al., 1992b) sono alcuni degli esempi che sottolineano
l’importanza del Long Range Transport (Tanabe et al., 1994).
La pericolosità di un contaminante è dovuta a tre fattori principali: la natura chimica,
che esprime quanto essa sia attiva e dannosa, la concentrazione, ovvero la quantità
per unità di volume del comparto considerato e la persistenza, che indica il tempo di
permanenza nei vari comparti considerati senza che ne sia alterato il suo effetto
tossico.
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2.1 POPs Nel corso dell’ultimo secolo si è diffusa nell’ambiente una vasta gamma di sostanze,
spesso totalmente estranee ai sistemi naturali, indicate con l’acronimo “POPs” (Persistent
Organic Pollutants) ovvero inquinanti organici persistenti. I POPs sono, fra i composti
organici di sintesi, quelli più pericolosi per l'ambiente e per la salute a causa della loro
stessa natura. I POPs, infatti, sono caratterizzati da:
- tossicità, perché sono sostanze che per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo
possono provocare patologie acute o croniche fino a portare alla morte dell'organismo;
- persistenza, perché, essendo resistenti alla degradazione nell'ambiente naturale, vi
permangono per periodi molto lunghi e tendono ad accumularvisi;
- bioaccumulabilità, perché si concentrano nei tessuti, trasferendosi da un organismo
all'altro lungo la catena alimentare, fino a giungere all'uomo.
I problemi connessi a queste sostanze sono sia di natura ambientale che sanitaria. Il loro
rilascio determina un'alterazione dell'aria, del suolo e delle falde acquifere in cui questi
composti organici si accumulano per lunghissimi periodi a causa della loro persistenza.
Molti POPs sono stati identificati in maniera diffusa non solo nell’ambiente, ma
anche negli estratti di latte, siero e tessuti, compresi quelli umani (Focardi e
Franchi, 1990; Guerranti et al., 2003a).
I POPs sono stati riscontrati anche in aree molto remote rispetto ai luoghi di utilizzo:
ne è un esempio la contaminazione di acque marine ed organismi riscontrata in
Antartide (Corsolini et al., 1998). Nella loro propagazione sono determinanti i
movimenti delle masse d’aria: le correnti permettono, infatti, alle particelle associate
al pulviscolo atmosferico di trasferirsi in zone molto distanti dal luogo di diffusione.
Questo fenomeno di dispersione trasporta i POPs nel mare, negli oceani, nelle zone
continentali e desertiche, nelle foreste fluviali, fino alle “aree remote”. Questi
contaminanti raggiungono il suolo tramite il fall out atmosferico e le discariche
industriali, concentrandosi nelle strutture fognarie dove, in mancanza di areazione,
è ridotta la capacità di ossidazione da parte di microorganismi1.
Nelle acque arrivano direttamente trasferiti dall’atmosfera e traportati dagli scarichi
industriali; nei fiumi questi contaminanti vengono assorbiti dalle particelle in
1 Alcuni contaminanti possono essere metabolizzati attraverso microrganismi, come accade negli impianti di trattamento delle acque reflue, questi però necessitano di particolari condizioni di temperatura ed ossigeno, assenti nelle condotte fognarie.
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sospensione e solo successivamente si depositano sul fondo, fissandosi nei
sedimenti. Il ruolo più importante sembra essere affidato alle microparticelle in
sospensione, capaci di trattenere e concentrare i POPs, rendendoli disponibili per
gli organismi acquatici.
L’uomo può, quindi, essere esposto a queste molecole direttamente, nel caso di
inalazione o contatto dermico con una fonte puntiforme, o per via indiretta in seguito
alla trasformazione o all’accumulo del contaminante nell’ambiente (Kutz et al.,
1991).
Una delle caratteristiche salienti di questi composti è la forte lipoaffinità che
favorisce il loro accumulo preferenziale nel tessuto adiposo (Focardi e Franchi,
1990).
Tutti i viventi sono esposti a tali composti chimici e tendono a bioaccumularli, cioè
ad assumerli e trattenerli nel proprio corpo. Per quanto riguarda gli organismi
all’apice della catena trofica, uomo compreso, in essi si può verificare il fenomeno
della biomagnificazione2; a dimostrazione dell’importanza della posizione di un
organismo nella catena trofica, vari studi riportano livelli di pesticidi organoclorurati
nel latte umano di 10-20 volte maggiori rispetto a quello bovino (Fytianos et al.,
1985; Fooken e Butte, 1987); Nair e Pillai (1992) riportano valori di DDT di circa 90
volte superiori nel latte umano rispetto al latte di bufala.
2.2 Distruttori endocrini Molti organismi riportano conseguenze avverse per la salute in seguito
all’esposizione a contaminanti ambientali che interagiscono con il sistema
endocrino. Tali contaminanti sono collettivamente definiti endocrine disruptors
(distruttori endocrini), termine che indica “un agente esogeno che interferisce con
produzione, rilascio, trasporto, metabolizzazione, legame, azione o eliminazione di
ormoni naturali nell’organismo, responsabili del mantenimento dell’omeostasi e della
regolazione dei processi riproduttivi e di sviluppo” (Environmental Protection
Agency; European Commission, 1996). Relativamente a questo problema, notevole
attenzione viene rivolta agli effetti causati da sostanze chimiche presenti
nell’ambiente, che agiscono come ormoni o antagonisti degli ormoni, perturbando
componenti del sistema endocrino, attraverso meccanismi di azione non ancora del 2 Biomagnificazione: Aumento della concentrazione d’inquinanti ad ogni passaggio nella catena alimentare
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tutto descritti. Ad oggi, sono stati riscontrati effetti negativi soprattutto in organismi
altamente esposti a composti organoalogenati, tra cui il DDT e suoi metaboliti, i
policlorobifenili (PCB) e le diossine, i ritardanti di fiamma polibromurati, e i
fitoestrogeni, che si trovano naturalmente nelle piante (Environmental Protection
Agency). I PCB ed il DDT, ad esempio, agiscono sul fegato stimolandone l’attività di
enzimi microsomiali; tali enzimi possono accelerare processi come, ad esempio,
l’idrossilazione degli steroidi, provocando una eccessiva metabolizzazione di questi
ormoni sessuali.
Il processo più sensibile all’azione dei distruttori endocrini è sicuramente quello
riproduttivo, includendo in esso la produzione di gameti, la fecondazione e lo sviluppo (pre
e postnatale) della progenie. Tuttavia, possono considerarsi potenziali bersagli dei
distruttori endocrini tutti quei tessuti a livello dei quali siano presenti recettori specifici
per gli ormoni steroidi e tiroidei, tra cui anche il tessuto scheletrico, ed il tessuto nervoso
(Maranghi e Mantovani, 2003) .
I principali meccanismi d’azione dei distruttori endocrini comprendono interazioni nel
legame tra ormone e recettore, interazioni con il trasporto ormonale o con attività
enzimatiche, oltre ad influenze sull’asse ipotalamo-ipofisario; il tipo di effetti indotti può
variare con il sesso e l’età dell’organismo esposto. Dagli studi effettuati in campo
internazionale è emersa una molteplicità di fonti di esposizione che spaziano dall’
ambiente domestico e lavorativo fino agli alimenti, oltre ad una grande varietà di bersagli
ed effetti (Maranghi e Mantovani, 2003) .
Una prima indicazione sulla capacità di molti composti di sintesi di esercitare effetti
ormonali, viene da studi effettuati nel 1949, nei quali fu descritta una riduzione del
numero di spermatozoi in operatori agricoli che trattavano le colture con DDT.
Successivamente, i contaminanti estrogen-like furono associati anche a fenomeni di
teratogenesi, di deformità degli apparati riproduttivi e di anomalie della fertilità di
tartarughe, pesci e mammiferi; ne sono esempi i fenomeni di imposex in molluschi
provenienti da bacini contaminati da tributilstagno (Pellizzato et al., 2004) o la
femminizzazione di alcune popolazioni di pesci esposti ad effluenti industriali (Solè et al.,
2003).
Attualmente, crescente interesse è manifestato dalla comunità scientifica per l’effetto dei
distruttori endocrini anche in tessuti non direttamente coinvolti con il processo
riproduttivo, quali il cervello, il tessuto osseo, l’apparato cardiovascolare, il tessuto adiposo
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ed il sistema immunitario; la ricerca sui distruttori endocrini si sta, quindi, focalizzando
verso patologie autoimmuni e cardiovascolari oltre ad osteoporosi e diabete. I sistemi
immunitario e nervoso, in particolare, strettamente correlati dal punto di vista funzionale
con il sistema endocrino, possono rappresentare un bersaglio sensibile agli effetti indotti
da sostanze con proprietà di distruttori endocrini (Maranghi e Mantovani, 2003). I
risultati di studi condotti su soggetti esposti alla 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina
(2,3,7,8-TCDD), in seguito all’incidente di Seveso, mostrano, infatti, un incremento di
patologie a carico del sistema cardiovascolare, immunitario ed endocrino (Bertazzi et al.,
2001) .
Diversi studi sul declino della qualità e quantità spermatica dell’uomo, relativi agli
ultimi quaranta anni, e gli aumenti riscontrati nell’incidenza di certi tipi di cancro,
quali quello mammario, prostatico e testicolare, hanno portato a speculazioni
riguardo potenziali eziologie ambientali. Molte prove indicano, infine, che
l’esposizione a specifici metaboliti estrogenici rivestono un ruolo cruciale nella
genesi del cancro al seno: soprattutto i livelli di estradiolo biodisponibile possono
essere importanti, così come l’esposizione a certi altri ormoni, inclusi progesterone
ed androgeni. Tali ormoni sono importanti fattori di rischio perché portano la
maggior parte delle cellule tumorali trattate ad accrescersi rapidamente: ciò indica
che il tumore è sensibile agli ormoni e non che esso sia direttamente causato dagli
ormoni stessi. Un grosso numero di fattori, come ad esempio, l’età alla nascita del
primo figlio, la tarda età della menopausa o la assenza di gravidanze può
incrementare il rischio elevando l’esposizione totale agli estrogeni. Quindi, anche gli
estrogeni ambientali vanno ad aggiungersi per lo stesso motivo ai fattori di rischio.
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3 Contaminanti oggetto di indagine
3.1 Pesticidi clorurati I pesticidi sono rappresentati da un gruppo eterogeneo di molecole in grado di
uccidere organismi indesiderati o di esercitare una azione limitante o di controllo nei
confronti degli stessi; tutti i pesticidi hanno in comune la proprietà di bloccare un
processo metabolico vitale per l’organismo sul quale esercitano la loro azione
tossica (Baird, 1997).
Inizialmente, i primi pesticidi prodotti portarono vantaggi notevoli: il DDT ed altri
pesticidi clorurati probabilmente evitarono la morte di molti milioni di persone a
causa di malattie trasmesse dagli insetti, come la malaria, la peste bubbonica e il
tifo; si ebbe inoltre, in campo agricolo, un notevole incremento nella disponibilità di
prodotti alimentari, parallelamente alla diminuzione dei costi del cibo e all’aumento
dei profitti. Ma, accanto agli effetti positivi, se ne manifestarono, ben presto, molti
negativi tanto da far pensare che gli effetti dannosi, derivanti dal largo utilizzo dei
pesticidi, superassero i vantaggi. Negli organismi bersaglio si sviluppò, in breve
tempo una resistenza genetica verso i pesticidi, inoltre si appurò che solo una
piccola percentuale del quantitativo di pesticida utilizzato raggiunge il bersaglio,
mentre la maggior parte del prodotto si disperde nell’ambiente (Miller et al., 1997).
I pesticidi oggetto di questo studio sono i pesticidi clorurati, caratterizzati dalla
presenza di anelli organici di varia complessità sostituiti con atomi di cloro; tali
molecole presentano una struttura estremamente stabile a livello ambientale, tanto
da non poter essere metabolizzati facilmente, anche se esistono specie batteriche in
grado di effettuare reazioni parziali di degradazione degli stessi (Dolara, 1997).
Insetticidi, erbicidi e fungicidi sono le tre classi più importanti di pesticidi e,
rispettivamente, esercitano la loro azione nei confronti di insetti, piante e funghi
(Baird, 1997).
Gli effetti negativi più comuni dei pesticidi sono l’alterazione della fertilità, con
meccanismi ancora non del tutto identificati, l’induzione di malformazioni e, nel caso
di alcuni pesticidi, un’azione cancerogena dimostrata, per il momento, solo in
animali da esperimento.
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Di seguito vengono presentate informazioni sui pesticidi clorurati considerati in
questo studio.
L’esaclorobenzene, HCB, analogo clorurato del benzene, è stato introdotto nel 1945
come fungicida per i cereali, in particolare per il granoturco. Oggi il suo uso è vietato
in molti paesi ed, in generale, la sua produzione è diminuita. Gran parte dell’HCB
sintetizzato è utilizzato nell’industria chimica come
solvente e come composto intermedio per la sintesi di
altre sostanze. Indirettamente si può formare anche
dal metabolismo di alcuni pesticidi e
dall’incenerimento di materie organiche e composti
clorurati (Thomas and Colborn, 1992; Bacci, 1994). Si
presenta come una polvere, ha una solubilità in acqua
estremamente bassa, è resistente all’idrolisi ed è B
Formula di struttura dell’HC
caratterizzato da bassa biodegradabilità. Dagli anni
’40, l’HCB, è stato utilizzato come fungicida per la carie del grano rimpiazzando i
fungicidi mercuriali altamente tossici. Nel 1981 la quantità di HCB prodotta
annualmente nel mondo era dell’ordine di 4000-5000 tonnellate.
Le scorie chimiche che lo contengono, se non incenerite, raggiungono l’oceano o i
terreni di scarico; l’evaporazione da questi ultimi rappresenta una potenziale via di
penetrazione nell’atmosfera e negli oceani.
L’uomo può venire in contatto con questo xenobiotico tramite la pelle ed i polmoni
(Mattews, 1986), ma la dieta è sicuramente la sua principale via di assunzione
(Focardi et al, 1986); tale sostanza, infatti è stata riscontrata nei prodotti alimentari
in concentrazioni nell’ordine di parti per miliardo (ppb) (Guerranti et al., 2003b). Una
volta introdotto nell’organismo viene assorbito tramite l’apparato digerente;
attraverso l’intestino entra nel circolo linfatico e tramite il sistema circolatorio si
distribuisce nei tessuti ricchi di lipidi, soprattutto nel tessuto adiposo ma anche nel
midollo osseo e nella cute.
La tossicità acuta dell’HCB è abbastanza bassa rispetto a quella di altri
organoclorurati: la LD50 per il ratto è stata stimata pari 10000 mg/Kg.
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Il DDT (acronimo di diclorodifeniltricloroetano) fu sintetizzato per la prima volta nel
1874, ma solo diversi decenni più tardi il chimico Paul Muller ne scoprì l’attività
insetticida. Si tratta di una sostanza cristallina, apolare, con una solubilità in acqua
inferiore a 0,0002 ppm, mentre è solubile nella maggior parte dei solventi organici.
Questa molecola si rivelò un potente veleno da contatto per il sistema nervoso degli
insetti; infatti durante la seconda Guerra Mondiale fu impiegato per combattere le
varie epidemie delle truppe, soprattutto la malaria, il cui vettore, la zanzara del
genere Anopheles, era risultato particolarmente sensibile a questo insetticida.
L’azione di questa molecola si esplica sulle fibre nervose periferiche e sui loro
recettori sensoriali inibendo le Mg2+ e le Na+ e K+-ATPasi, che controllano il
trasferimento attivo di ioni attraverso il neurilemma (Joy, 1982; Murty, 1986). Gli
effetti che determina negli insetti sono quindi di origine nervosa: riduzione della
capacità di coordinazione, atassia e tremore delle zampe; tali sintomi che possono
essere seguiti da immobilità o morte (Joy, 1982). Dopo la guerra fu
commercializzato per usi agricoli e forestali;
i primi studi avevano dimostrato la bassa
tossicità del DDT sull’uomo e sui mammiferi
ed inoltre il suo assorbimento attraverso la
pelle era risultato molto scarso (Kutz et al.,
1991). Questo portò ad un incremento della
produzione e dell’uso fino a raggiungere un
massimo nel 1963. Già nel 1962, però
Rachel Carson aveva lanciato un primo grido
di allarme nei confronti della pericolosità del DDT pubblicando il libro “The Silent
Spring”, in cui per la prima volta a questo insetticida venivano attribuite gravi
disfunzioni nella biologia riproduttiva di alcune specie di uccelli; tali disfunzioni si
manifestavano in vario modo, dal decremento delle nascite fino all’estinzione della
popolazione3 (Carson, 1962).
Formula di struttura del DDT
L’uso del DDT fu proibito negli USA solo nel 1972; negli anni seguenti altri paesi ne
limitarono o vietarono l’utilizzo. Ancora oggi, tuttavia, in alcune regioni tropicali è
impiegato per il controllo degli insetti vettori della malaria, considerando i suoi effetti
negativi come “il male minore”. E’ stato stimato che dal 1943 al 1977 siano state
introdotte nell’ambiente più di tre milioni di tonnellate di DDT: gli USA hanno
3 Le popolazioni di falco pellegrino degli Stati Uniti Orientali furono i primi ad estinguersi a causa della contaminazione da DDT.
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rappresentato uno dei principali produttori anche se questo pesticida è stato
utilizzato maggiormente in altri paesi. Nel 1971 la National Accademy of Sciences
ha stimato la quantità di DDT immessa nel sistema marino annualmente pari a 2,4 x
107 Kg. In quel periodo questo valore corrispondeva a circa un quarto della stima
della produzione mondiale di DDT. Il DDT nell’ambiente è sottoposto all’azione di
fattori abiotici (temperatura, acqua, luce) e biotici che sono rappresentati dalle
attività degli organismi, e viene degradato a diclorodifenildicloroetilene (DDE) ed a
diclorodifenildicloroetano (DDD),
molecole che hanno proprietà simili a
quelle del principio attivo (Van den Berg
et al., 1995). Sia del principio attivo che
dei suoi derivati esistono i due isomeri
pp’ e op’; la miscela commerciale
contiene un 70% di pp’ DDT ed un 30% di
op’ DDT, il quale non ha proprietà
insetticide. La diversa pressione di
vapore degli isomeri del DDT determina
una differente capacità di vaporizzazione
e di conseguenza percentuali diverse
nell’atmosfera e nell’acqua degli isomeri
stessi. Degradazione del DDT
In genere l’insieme del DDT e dei suoi prodotti di degradazione viene indicato con i
termini di residui di DDT o DDT totale. Il DDT ed i suoi metaboliti hanno una elevata
resistenza alla fotossidazione, una alta liposolubilità, e scarsa idrosolubilità, tutte
caratteristiche che li rendono altamente stabili ed in grado di persistere per lungo
tempo nell’ambiente; infatti quantità fino al 50% del prodotto applicato possono
restare nel terreno per 10-15 anni (Fisher, 1999). Inoltre, in virtù del loro alto
coefficiente di ripartizione lipidi/acqua, tendono ad accumularsi negli organismi, in
particolare in tessuti ed organi ricchi di grasso (Joy, 1982). Da ciò consegue che
l’uomo, posto all’apice della catena trofica, si trovi esposto ad alte concentrazioni di
questo pesticida. L’uomo viene in contatto con il DDT soprattutto attraverso la sua
diretta ingestione con l’alimentazione o tramite inalazione; il contatto dermico viene
considerato insignificante (Joy, 1982). DDT e metaboliti sono stati riscontrati nella
maggior parte dei prodotti alimentari (Guerranti et al., 2003b), anche se residui negli
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animali domestici sono decisamente diminuiti negli ultimi venti anni. Per quanto
riguarda animali macellati, uova e latte si è riscontrata una diminuzione di
concentrazione di circa dieci volte dal 1969 al 1979 (Tanabe et al., 1993) e la stessa
tendenza può essere osservata nel pesce del Mar Baltico (Falandysz, 1985a, b,
1986a,b,c; Kannan et al., 1992). Da uno studio del 1992 in Vietnam, il DDT è
risultato il più comune organoclorurato rilevato nel cibo e l’assunzione giornaliera di
DDT e metaboliti è stata calcolata essere pari a 19 µg/persona/die mentre in India
pari a 48 µg/persona/die. Tracce di DDT sono state rilevate nel latte umano in tutto
il pianeta. In uno studio del 1993 nel latte di donne in quattro remoti villaggi in
Papua Nuova Guinea il DDT fu rinvenuto nel 100% dei campioni (Fisher, 1999). In
Italia Focardi et al. (1984), in un’indagine compiuta su latte umano proveniente dalla
Toscana centrale, confermano la presenza di DDT in tutti i campioni analizzati,
inoltre stimano che i neonati assumano quotidianamente da 2,7 a 15,1 µg di questo
insetticida attraverso il latte materno.
Negli organismi, uomo incluso, il DDT viene trasformato in DDE che, per le sue
proprietà idrofobiche, va incontro a biomagnificazione nella catena trofica (Van den
Berg et al., 1995). Un altro metabolita è il DDD, le cui proprietà chimico-fisiche sono
simili a quelle del DDT e che persiste nell’ambiente essendo solo lentamente
degradato a composti meno attivi. Questi due metaboliti sono poi trasformati in DDA
(acido diclorodifenidiclorolacetico) che, essendo solubile in acqua, può essere
escreto con le urine. Il DDE si accumula prevalentemente per assunzione diretta in
seguito alla degradazione di DDT nell’ambiente (Kutz et al., 1991; Van den Berg et
al., 1995). Nell’uomo esso tende quindi ad accumularsi in organi e tessuti
particolarmente ricchi di lipidi come il tessuto adiposo, in quanto mantiene quelle
proprietà idrofobiche proprie del DDT.
La capacità di trasformare il DDT in DDE sembra essere il fattore principale nella
sopravvivenza degli insetti esposti; essi sono così in grado di “bloccare ” il DDT nel
processo di trasformazione che si realizza a livello della cute e dell’intestino, in
modo tale da non fargli raggiungere il sistema nervoso centrale (Van den Berg et
al., 1995).
Già nel 1947 alcuni ricercatori avevano osservato che, somministrando alte dosi di
DDT ai ratti, il fegato sviluppava dopo un certo tempo cellule tumorali (Fitzhugh e
Nelson, 1947); altri studi inoltre hanno evidenziato la stretta relazione tra la
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somministrazione di DDT e lo sviluppo di epatocarcinoma (IARC, 1974). Esiste
inoltre un legame tra DDT e cancro, infatti la IARC ha classificato il DDT come
possibile cancerogeno umano sulla base di risultati ottenuti su esperimenti con
animali da laboratorio (Falk et al., 1992; Wolff et al., 1993; Guttes et al., 1998).
3.2 Policlorobifenili (PCB) I PCB sono una classe di organoclorurati, sintetizzati per la prima volta negli USA
nei primi anni di questo secolo, la cui formula generale è C12HxCly (dove x è
compreso tra 0 e 9 ed y è uguale a 10-x ). In base alla posizione degli atomi di cloro
nella molecola del bifenile si possono ottenere 209 congeneri; sono possibili 10
livelli di clorurazione e per ognuno di essi un numero variabile di isomeri o
omologhi, in relazione al numero degli atomi di
cloro nel bifenile. La nomenclatura IUPAC
assegna ad ogni congenere un numero compreso
tra 1 e 209. Le caratteristiche fisico-chimiche di
isomeri e congeneri di PCB variano notevolmente
e questa variabilità ha dirette conseguenze su
persistenza e bioaccumulo dei singoli congeneri.
Dei 209 congeneri solo un centinaio sono
sintetizzati e utilizzati nei preparati commerciali.
Tra quelli più noti vi sono: Aroclor (USA, Gran Bretagna e Giappone), Clophen
(Germania), Fenclor (Italia), Phenclor (Italia e Francia), Pyralene (Francia), Delor
(Cecoslovacchia), Sovol (Russia), Kanechlor e Santotherm (Giappone), che
contengono un numero variabile e diverse proporzioni di isomeri e congeneri.
Formula di struttura dei PCB
I PCB sono composti chimici molto stabili, resistenti ad acidi ed alcali ed alla
fotodegradazione, non sono ossidabili, non attaccano i metalli, sono poco solubili in
acqua ma lo sono in olio e solventi organici quali alcol e acetone, inoltre sciolgono
facilmente le materie plastiche allo stato fuso. Non sono incendiabili (quando la loro
molecola contiene più di quattro atomi di cloro), evaporano ad oltre 800°C e si
decompongono solo oltre i 1000°C. Sono poco volatili, si possono spandere su
superfici formando sottili pellicole, hanno bassa costante dielettrica, densità
maggiore dell’acqua, elevata lipoaffinità e sono scarsamente biodegradabili.
16
La maggior parte dei PCB presenti in commercio si presentano come liquidi oleosi,
trasparenti, con densità crescente in rapporto alla percentuale di cloro; i composti
bassoclorurati (Aroclor 1221 contiene circa il 20% di cloro) (Safe, 1990) sono liquidi
poco viscosi; mentre quelli a più alto grado di clorurazione (da 7 atomi di cloro per
molecola) possono essere sotto forma di resine (Aroclor 1260) o di polvere (Aroclor
1268).
L’immissione dei PCB nell’ambiente può avvenire in seguito a fuoriuscita accidentali
di queste sostanze dai siti di produzione o da apparecchiature come condensatori e
trasformatori, e in seguito all’utilizzo di oli lubrificanti, colle, vernici, inchiostri per la
stampa, fibre sintetiche, gomme e plastiche. Possono, inoltre, essere presenti nelle
carte carbone, nelle carte per fotocopie (Fensterheim, 1993) e sono stati utilizzati
anche come anticorrosivi e protettivi di superfici metalliche e come additivi negli
anticrittogamici, aumentandone l’adesione fogliare. Una distinzione degli usi dei
PCB in ambienti chiusi ed aperti, è mostrato in Tabella 1.
La sintesi dei PCB risale al 1881 ma il loro impiego su scala industriale è iniziato nel
1929 ed ha proseguito dopo la prima guerra mondiale; sono stati ampiamente usati
fino alla fine degli anni ’70, cioè fino a quando furono varate leggi che ne limitavano
fortemente la produzione in Germania, Italia, Francia e Spagna. Nel 1976 sono state
emanate due direttive della CEE: la prima ( n.76/403) tratta la regolamentazione
dell’uso e dello smaltimento dei PCB, la seconda (n.76/769) tratta la restrizione
dell’immissione sul mercato di sostanze pericolose. Nel 1969 la Food and Drug
Administration, USA (FDA) ha definito l’action level (limite di tolleranza) di PCB per
numerosi cibi, cioè la quantità massima di PCB che può essere assunta
giornalmente (Fensterheim, 1993). Nel 1971 anche il Giappone operò in modo
analogo.
Nel 1987 il Consiglio dell’ Organization for Economic Cooperation and Development
(OCDE) ha sospeso, a decorrere dal 1 Gennaio 1989 il commercio internazionale di
quasi tutti i PCB, che comunque sono presenti ancora oggi nelle attrezzature
elettriche. Lo scopo era quello di sostituire i PCB con sostanze meno pericolose e
diminuirne la quantità nell’ambiente (Bacci, 1994). A partire dal 1980 l’uso dei PCB
è stato quindi, almeno in alcuni paesi, notevolmente limitato. Questo ha portato alla
loro diminuzione in tutti i comparti ambientali e negli organismi: ad esempio oggi i
livelli nella dieta umana sono meno dell’ 1% rispetto a quelli dei primi anni ’70,
17
quando questi composti erano ancora ampiamente usati. E’ stato stimato che dal
1973 al 1980 l’immissione nell’ambiente di PCB è stata pari a 100.000 tonnellate
(Geyer et al., 1984).
Tabella 1- Utilizzo dei PCB.
Olio isolante
Per trasformatori:
centrali termoelettriche e nucleari, navi, industrie, edifici, treni,
metropolitane, tram, generatori, televisori, ecc.
Per condensatori:
centrali, industrie, forni elettrici, navi, motori, lampade a mercurio
e fluorescenti, apparecchi telegrafici, lavatrici, frigoriferi,
condizionatori d’aria, televisori, elaboratori elettronici, ecc.
Sistemi chiusi
Altri usi Cavi elettrici, trivelle, ecc.
Conduttore di
calore
Apparecchi per riscaldamento e raffreddamento
Olio lubrificante Apparecchiature operanti ad alta temperatura, alta pressione,
sott’acqua, pompe ad olio, compressori.
Elasticizzante Colle, vernici, grassi sintetici, asfalto, inchiostri per stampe.
Elasticizzante
ed isolante
Guaine per conduttori di elettricità, nastri isolanti, altri usi in
campo elettrotecnico.
Elasticizzante
ed
antinfiammante
Fibre sintetiche, plastiche, gomme.
Carte Carte autocopianti, carte carbone, carte per fotocopie.
Sistemi aperti
Altri Tinture per carte, tessuti, vernici per metalli, additivi per
anticrittogamici, coloranti per vetro e ceramiche, antipolvere,
antiossidanti per fusibili, additivi per petrolio, additivi per
fertilizzanti.
18
La quantità totale di PCB prodotta è stimata essere pari a 2 milioni di tonnellate; di
questi un milione sono ancora presenti nel pianeta: il 35% accumulato nei vari
comparti ambientali, il restante fermo nei depositi o in attivo uso.
Secondo Brinkman e De Kok (1980) un terzo della produzione totale degli USA
(6,35 x 105 t) è entrata negli ecosistemi; le vie con cui i PCB arrivano agli organismi
sono rappresentate dall’atmosfera, dal suolo e dall’acqua.
L’analisi dei cromatogrammi di residui di PCB provenienti da estratti ambientali e
dalle miscele commerciali dimostra chiaramente che la composizione in congeneri
non rispecchia quella di alcuna miscela prodotta. PCB estratti da campioni
atmosferici contengono tendenzialmente alcuni dei più volatili congeneri basso-
clorurati, mentre la composizione in PCB di estratti di acqua e sedimenti è molto
variabile e dipende in parte dal tasso dei processi di abbattimento microbico. Le
differenze in composizione dei PCB in vari comparti ambientali è senza dubbio
dovuta alla differenza di solubilità, degradabilità chimica e fotochimica, volatilità e
facilità di metabolizzazione dei differenti congeneri. Comunque, sebbene campioni
provenienti dalla stessa matrice ambientale, ma da luoghi diversi, possano
contenere gli stessi congeneri, la loro composizione relativa risulta variabile (Safe,
1993).
Una delle caratteristiche fondamentali dei PCB è la loro lipoaffinità. Una volta entrati
nell’organismo, sono trasformati ed eliminati solo in parte e molto lentamente e si
depositano nei distretti corporei particolarmente ricchi di lipidi. La loro distribuzione
nell’individuo sembra essere condizionata da alte concentrazioni nel tessuto di
trigliceridi e NEFA (acidi grassi non esterificati), che ne favoriscono l’accumulo
(Aguilar, 1985). Solo il cervello costituisce un’eccezione, presentando livelli di
organoclorurati vicini a quelle di tessuti a più basso contenuto lipidico. Alcuni autori
hanno attribuito questa differenza all’azione della barriera ematoencefalica che
blocca l’entrata degli xenobiotici; altri invece sostengono che la barriera impedisce il
passaggio dei composti ionizzati, ma non di quelli liposolubili e che questo
fenomeno sia quindi da attribuire all’elevato rapporto fosfolipidi/trigliceridi del
cervello. Infatti i fosfolipidi hanno, per la loro struttura molecolare, una maggiore
polarità rispetto ai trigliceridi e, di conseguenza, minore affinità per i composti
apolari come i PCB (Aguilar, 1985).
19
Una volta entrati nelle reti alimentari, i PCB sono soggetti a bioaccumulo e
biomagnificazione e quindi in grado di raggiungere concentrazioni particolarmente
elevate negli organismi ai vertici delle reti stesse.
Per poter comprendere come tali composti arrivano all’uomo occorre considerare
che la loro assunzione avviene durante le varie fasi della vita compreso lo sviluppo
embrionale. Già prima della nascita, l’embrione, attraverso la circolazione materna,
inizia ad accumulare PCB; dopo la nascita il neonato può essere esposto ad una
ulteriore forte dose di questi composti attraverso il latte materno (Tabella 2) (Focardi
e Franchi, 1990; Harrison et al., 1998).
Tabella 2- Stima dell’assunzione media di PCB attraverso il latte materno, da parte di
neonati allattati al seno (da Harrison et al., 1998).
ETA’ (mesi)
CONSUMO MEDIO DI LATTE (g/kg peso corporeo/giorno)
QUANTITA’ MEDIA DI PCB ASSUNTI (pg/kg peso corporeo/giorno)
2
3
4
5
6
7
8
10
160
140
124
103
79
63
42
37
58
51
45
37
29
23
15
13
Numerosi studi hanno evidenziato come la maggior parte dell’assunzione di PCB
con la dieta derivi da un’alimentazione a base di prodotti ittici (Guerranti et al.,
2003b). Nel valutare la possibilità di accumulo di PCB nell’organismo, così come
quella di altri organoclorurati, oltre il fattore dieta devono essere considerati altri
parametri come età, sesso, peso, numero di figli allattati, occupazione ed area di
residenza: tutte queste caratteristiche possono aiutare nel predire la concentrazione
di PCB nelle popolazioni (Teschke et al., 1993). Occorre anche considerare che
20
l’uomo, come precedentemente descritto, ha sviluppato meccanismi di difesa attivi e
passivi che permettono una parziale eliminazione di queste molecole. I meccanismi
attivi sono processi biochimici che convertono queste molecole lipofile in metaboliti
idrofili che possono essere eliminati dall’organismo (Sipes e Gandolfi, 1986); in
quelli passivi i contaminanti sono tenuti lontani da organi centrali, come il sistema
nervoso, accumulandosi nel tessuto adiposo o trasferendosi da un organismo ad un
altro attraverso il cordone ombelicale o il latte. Durante la produzione di quest’ultimo
vengono infatti mobilitate le riserve di grasso contenenti i contaminanti che si
trasferiscono in questo prodotto. Infatti i PCB accumulati nel tessuto adiposo
vengono escreti molto lentamente, tranne nel periodo dell’allattamento. E’ stato
infatti rilevato un alto grado di correlazione fra il livello di contaminanti nel latte
umano e quello del tessuto adiposo (Sipes and Gandolfi, 1986; Borlakoglu and Dils,
1991).
I meccanismi di difesa non sono però del tutto efficienti e residui di PCB sono stati
riscontrati in campioni di tessuto adiposo di uomini vissuti in diverse regioni del
pianeta (Tanabe et al., 1993; Focardi et al., 1986; Duarte–Davidson et al., 1994;
Mariottini et al.,2002; Guerranti et a.,l 2003a).
Per quanto riguarda la cancerogenicità di questi composti, esperimenti su animali da
laboratorio hanno messo in luce la loro capacità di indurre tumori (Bacci, 1994) e
hanno identificato quale principale organo bersaglio il fegato. Secondo quanto
risulta uno studio di Bertazzi e collaboratori (1987) su un gruppo di operai addetti
alla manutenzione di condensatori elettrici, contenenti PCB, il numero di morti per
cancro risultava elevato. I loro risultati suggerivano che l’incremento di casi di
cancro dei tessuti linfatici, ematopoietici e del tratto gastrointestinale era associato
all’esposizione a PCB. Un recente studio di Hardell e collaboratori (2003) dimostra
che i PCB possono ancora esercitare effetti dannosi: per questa ricerca, effettuata
in Svezia, sono stati misurati i livelli diPCB, esaclorobenzene e clordano nelle madri
di uomini affetti da cancro ai testicoli. La maggior parte degli uomini presi in
considerazione da questo studio sono nati negli anni Settanta, esattamente il
periodo in cui è stato effettuato il massimo utilizzo di questi composti. L’incidenza
del cancro ai testicoli è andata aumentando nei paesi occidentali, con tassi che, tra
il 1980 e il 1999, hanno raggiunto in Svezia il 2,2 % (Hardell et al., 2003). Poiché
21
si ritiene che il cancro ai testicoli possa originarsi nel feto, e poiché sappiamo che le
madri trasferiscono i POPs alla loro prole, la gravidanza e l’allattamento sono i
momenti più a rischio per il bambino. Lo studio ha evidenziato, infatti, che,
all’interno del gruppo di indagine, le concentrazioni di contaminanti erano
notevolmente superiore nelle madri dei soggetti affetti da cancro ai testicoli.
La IARC classifica i PCB come "probabili cancerogeni per l'uomo".
Alcuni dei 209 congeneri dei PCB, i cosiddetti coplanari, sono isostereoisomeri di
uno dei composti più tossici oggi conosciuti, la 2,3,7,8-TCDD. Ciò rende questi
congeneri estremamente pericolosi per i sistemi viventi, poiché sono in grado di
provocare effetti tossici simili a quelli della diossina stessa. Alcuni dei PCB
coplanari, in particolare i congeneri 33’44’ (numero IUPAC, PCB-77), 344’5 (PCB-
81), 33’44’5 (PCB-126) e 33’44’55’ (PCB-169), in laboratorio con mammiferi
terrestri, danno risposte simili a quelle della 2,3,7,8-TCDD. Inoltre la tossicità delle
miscele di PCB è determinata anche dalle impurità che essi contengono, tra le quali
ci sono policloronaftaleni (PCN) e policlorodibenzofurani (Bandiera et al., 1984).
3.3 Policlorodibenzodiossine (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF) Diossine è il nome comunemente usato per indicare policlorodibenzodiossine e
policlorodibenzofurani. Si tratta di sostanze
caratterizzate da una distribuzione pressoché
ubiquitaria come contaminanti ambientali
persistenti, formate da idrocarburi aromatici
legati ad atomi di cloro più o meno numerosi.
Nella terminologia corrente il termine diossina è
spesso usato come sinonimo di 2,3,7,8-TCDD o
2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-p-diossina; in
realtà si conoscono 210 tipi diversi tra
diossine (73 tipi) e furani, strettamente
correlati per caratteristiche e tossicità, e
diciassette di queste molecole sono
considerate estremamente tossiche per
l’uomo e gli animali. La 2,3,7,8-TCDD allo
Formula di struttura delle PCDD
Formula di struttura della 2,3,7,8-TCDD
22
stato cristallino è una sostanza solida inodore, di colore bianco, con punto di fusione
a 307°C, termostabile fino a 800°C, liposolubile, resistente ad acidi ed alcali. È
chimicamente degradabile, in pochi giorni, dalla radiazione solare ultravioletta, in
presenza di donatori di ioni idrogeno (ad esempio a contatto con il fogliame verde
delle piante); se invece viene dilavata nel terreno, si lega al materiale organico ivi
presente e viene degradata molto lentamente, nell’arco di parecchi mesi o anni
(WHO, 1989). Tra le diossine, la TCDD è la molecola dotata della più spiccata
tossicità, esplicando una ampia gamma di effetti specie- e tessuto-specifici come,
ad esempio, induzione di trasformazione neoplastica; tossicità a carico del sistema
immunitario, del fegato, della pelle; azione
mutagena ed embriotossica, nonché un evidente
potere di induzione del sistema detossificante delle
monossigenasi epatiche (WHO, 1989).
Le diossine di per sé non rivestono alcuna utilità
pratica, e non sono mai state un prodotto industriale.
Sono tuttavia reperibili pressoché ovunque nell'ambiente: possono essere isolate
nel tessuto adiposo di un animale dell’Antartide come nel terriccio di una foresta
(Berry et al., 1993). Ciò è dovuto alla loro elevata stabilità chimica e all'uso
indiscriminato fatto nel recente passato di elevatissime quantità di prodotti chimici
contaminati dalle diossine stesse. In pochi decenni, centinaia di migliaia di
tonnellate di PCB e pentaclorofenolo (PCP), contaminate da quantità variabili di
diossine, sono state impiegate nell'industria (i clorofenoli come additivi antimuffa
nelle vernici e come impregnanti per il legno) e, di conseguenza, disperse nell’
ambiente.
Formula di struttura dei PCDF
Il problema della presenza delle diossine nell'ambiente è molto complesso. E’ stato
dimostrato che le diossine si possono formare in molti processi di combustione con
presenza, anche molto bassa, di precursori clorurati (motori a combustione interna
di auto, navi ed aerei, stufe e caminetti domestici, incendi forestali). Anche la
fermentazione anaerobica da parte di alcuni microorganismi naturalmente presenti
nell'humus sembra portare alla sintesi di quantità non trascurabili di diossine
(Gribble, 1994). Comunque sia, l'incuria e la superficialità dell'uomo sono le sole
cause della elevata concentrazione di diossina riscontrabile nelle vicinanze di
inceneritori tecnicamente obsoleti o mal funzionanti, come pure in corrispondenza di
complessi industriali che non abbiano adottato severi mezzi di prevenzione e di
23
trattamento dei reflui (inceneritori, cartiere, fonderie, raffinerie, impianti per la sintesi
di materie plastiche) (WHO, 1989). E’ un dato di fatto che l’andamento della
concentrazione di diossine nei sedimenti lacustri e marini è temporalmente e
quantitativamente correlato con la diffusione di composti clorurati industriali
nell’ambiente (Czczwa et al., 1984 a e b, 1985, 1986; Hagenmaier et al., 1986;
Smith et al., 1992). Di conseguenza, pur essendovi delle concause, è l’uso
indiscriminato dei prodotti di sintesi che ha contaminato l’intero pianeta con le
diossine (U.S. EPA, 1994).
Attualmente, bandito l’utilizzo dei più pericolosi organoclorurati dai processi
industriali e dalle tecniche agronomiche, la fonte accertata maggiormente
significativa di diossine consiste nei processi inefficienti di combustione,
specialmente in presenza di elevate quantità di sostanze clorurate (basti pensare
all'incenerimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti ospedalieri, caratterizzati
entrambi da elevatissime percentuali di imballaggi e prodotti “usa-e-getta” in gran
parte realizzati in PVC). Gli impianti destinati alla termodistruzione di questi rifiuti
lavorano spesso in condizioni tecniche inadeguate per carenze di progetto o di
manutenzione. E' stato dimostrato come l'emissione di diossina da parte di un
inceneritore possa dipendere in gran parte da inadeguati parametri di
funzionamento e solo in secondo luogo dalla concentrazione di cloro nei materiali
combusti.
Molti composti organoclorurati sono dotati di configurazione e proprietà chimico-
fisiche simili a quelle delle diossine e vengono perciò definiti dioxin-like
compounds: sono persistenti, ubiquitari, affini ai lipidi e dotati di attività tossica
diossino-simile inducendo le stesse risposte biochimiche e immunologiche della
2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (2,3,7,8- TCDD), attraverso un ben noto
meccanismo di interazione con il recettore cellulare Ah (Safe, 1990; Ahlborg et.al.,
1994).
In ogni matrice le diossine ed i PCB non vengono rilevati come singoli composti, ma
come miscele complesse; inoltre non tutti i congeneri sono tossici o lo sono alla
stessa maniera. Per permettere il confronto dei dati di esposizione i risultati analitici
vengono relazionati a Fattori di Equivalenza Tossica, (Toxic Equivalency Factors,
TEF), che fanno riferimento al più potente membro di questa famiglia, la 2,3,7,8-
TCDD e permettono di calcolare i TEQ (tossici equivalenti) rispetto a questa
24
molecola. Questo approccio ha portato alla determinazione della tossicità relativa di
alcune classi di organoclorurati, in particolare PCB, PCDD e PCDF (Safe, 1990). (In
appendice II vengono riportati i valori dei TEF, proposti da Van den Berg et al.,
1998, utilizzati in questo studio).
I TEF vengono calcolati confrontando l'affinità di legame dei vari composti
organoclorurati per il recettore cellulare Ah, rispetto a quella della 2,3,7,8-TCDD, e
tenendo conto di effetti di tossicità dei singoli congeneri (induzione di enzimi
detossificanti, perdita di peso, atrofia del timo, teratogenicità sul topo) considerando
l'attività di questa molecola come il valore 1 di riferimento; essa infatti è ritenuta il
più potente induttore e quindi il composto più tossico per gli esseri viventi.
Moltiplicando la concentrazione dei singoli congeneri per il relativo fattore
equivalente (TEF), è possibile calcolare i tossici equivalenti espressi come
"diossine-equivalenti" o 2,3,7,8-TCDD equivalenti, usando la seguente equazione:
TEQ = (PCDDi x TEFi)+ (PCDFi x TEFi)+(PCBi x TEFi )
Anche se i valori dei TEF dei composti diossino-simili sono inferiori a quello della
diossina (pari a 1), i TEQ presentano spesso valori elevati a causa della
biomagnificazione, per cui nei tessuti degli organismi ai vertici della catena trofica,
uomo compreso, potrebbero, in relazione alla loro dieta, accumularsi quantità di
composti tossici pericolose per la salute.
La dieta rappresenta la principale via di assunzione di questi composti da parte
dell’uomo e allo stesso tempo una delle principali cause di accumulo e di
avvelenamento da parte di questa classe di composti, come è stato possibile
rilevare in alcuni incidenti, verificatesi per incuria o per dolo.
Nel 1997 la IARC ha ufficialmente riconosciuto le diossine come cancerogeno
umano e numerosi studi stanno evidenziando altri possibili danni alla salute (in
particolare sono a rischio il sistema endocrino e quello immunitario) prodotti dalla
diossina, anche a dosi molto basse. Altri effetti preoccupanti riscontrati nell’uomo
sono legati alla capacità di queste molecole di alterare il sistema nervoso e di
modificare alcuni processi metabolici (WHO, 1976).
25
3.4 Polibromodifenileteri (PBDE) I PBDE sono un gruppo di molecole appartenenti alla categoria dei ritardanti di
fiamma bromurati (BFR). I ritardanti di fiamma sono composti che vengono aggiunti
a polimeri, vernici, fibre tessili e altri materiali poiché presentano proprietà
ignifughe. Il loro principale utilizzo viene fatto dall’industria elettronica per la
produzione di cavi elettrici, componenti di televisori, computer, automobili, e circuiti
elettrici in genere. Durante la metà degli anni ’90 la produzione mondiale di
ritardanti di fiamma bromurati si aggirava intorno alle 150.000 tonnellate,
rappresentando circa il 30% di tutta la produzione mondiale di composti ritardanti di
fiamma. Un terzo della produzione di BFR è
costituita dai PBDE (Strandman et al., 1999).
Strutturalmente i PBDE sono simili ai PCB e come
questi ultimi constano di 209 congeneri. Le
miscele commerciali di PBDE contengono meno di
dieci congeneri ed i più utilizzati sono quelli con
alto grado di bromurazione come i penta-, octa- e i
decabromodifenileteri. I PBDE mostrano, inoltre, le stesse proprietà chimico fisiche
dei PCB, che li rendono inquinanti ambientali persistenti: la loro solubilità in acqua e
la loro tensione di vapore molto basse fanno sì che questi composti si leghino alla
frazione organica del suolo o dei sedimenti. (Darnerud, 2003). A causa della loro
bassa biodegradabilità e alta persistenza, si accumulano nel biota e sono stati ritrovati nel
sangue, nel tessuto adiposo e nel latte materno (Domingo, 2004). Fortunatamente la loro
degradazione a livello ambientale è più facilmente effettuabile rispetto a quella dei
PCB, grazie al fatto che il legame C-Br è più debole e quindi più facile da rompere
rispetto al legame C-Cl (Hyötyläinen e Hartonen, 2002).
Formula di struttura dei PBDE
La miscela più utilizzata, Bromkal 70 DE, costituita in gran parte da PBDE-47 e altri
penta-BDE, fu bandita dalla Comunità Europea nel 2001 in quanto pericolosa per
l’ambiente e per la salute dell’uomo (EU, 2001).
Una delle principali vie di esposizione ai PBDE è sicuramente la dieta (Domingo, 2004): il
consumo di pesce è stato, ad esempio, correlato con il quantitativo di PBDE nel latte
materno. Anche il rilascio di PBDE dagli oggetti di consumo è una fonte di esposizione. È’
stato stimato che la media giornaliera di esposizione attraverso la dieta, ai PBDE
nell’uomo è di 97,3 ng (stima per una persona di 70 Kg di peso, Bocio et al., 2003). La
presenza di queste sostanze nell’aria in ambienti chiusi costituisce un’altra importante via
26
di esposizione, mentre il contatto dermico sembra, invece, la meno verosimile (Watanabe
et al., 2003). La concentrazione di BDE-47, il composto dominante nei soggetti non
esposti professionalmente (Meironyté Guvenius et al., 2001) è aumentato nella
popolazione europea dai primi anni ’70 fino alla metà degli anni ’90.
Molti studi tossicologici sono stati effettuati utilizzando miscele commerciali di
PBDE: ne è emersa una tossicità alquanto bassa di questi composti per esposizioni
brevi. Tuttavia, in seguito ad esposizioni prolungate, comparivano effetti
tossicologici importanti, come disordini nello sviluppo neuronale, effetti a carico del
sistema epatico e della tiroide, attività simili alle diossine, ed il cancro non veniva
escluso come possibile effetto
Vengono considerati potenziali distruttori endocrini in quanto agonisti/antagonisti in vitro
del recettore arilico Ah, tossici per la tiroide e per il sistema immunitario, effetti che
condividono con I PCB (Legler et al., 2003). Il profilo tossicologico di queste sostanze è
ancora incompleto e insufficiente per garantire una valutazione adeguata del rischio
soprattutto per quanto riguarda i loro potenziali effetti endocrini
3.5 Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) Gli Idrocarburi Policiclici Aromatici rappresentano un insieme di composti organici
con due o più anelli aromatici condensati e sono caratterizzati da un basso grado di
solubilità in acqua, elevata persistenza e capacità di aderire al materiale organico,
buona solubilità nei lipidi e in molti solventi organici, bassa volatilità (ad eccezione
dei composti più leggeri). Divenuti ormai ubiquitari nell’ambiente, si formano nel
corso della combustione incompleta di materiale organico e dipendono strettamente
dall’uso diffuso di olio combustibile, gas, carbone e legno nella produzione di
energia. In particolare, gli IPA provengono
dal traffico autoveicolare (scarichi degli
autoveicoli a benzina e diesel), dal
“catrame”, dal fumo delle sigarette, dal
fumo esalato dalla combustione del legno o
del carbone e da altri processi di
combustione in cui il carbonio del
combustibile non è completamente
convertito in CO e CO2 (Garcìa Falcòn et Formula di struttura del benzo[a]pirene
27
al., 1999).
Gli IPA sono i composti più tossici della classe degli idrocarburi (Neff, 1979) e, a
causa della loro natura lipofila, possono facilmente attraversare le membrane
biologiche ed accumularsi negli organismi (Obana et al., 1981), dove possono
causare danni al materiale genetico. Il crescente interesse scientifico per questa
classe di composti è, infatti, legato alla loro genotossicità; si sospetta, infatti,
l’esistenza di una correlazione tra gli elevati livelli di specifici IPA nell’ambiente e
l’incremento dell’incidenza di cancerogenesi e mutagenesi negli organismi esposti
(IARC, 1983). Il benzo[a]pirene, che contiene cinque anelli benzenici condensati è
quello maggiormente studiato e le informazioni sulla tossicità e l’abbondanza degli
IPA sono spesso riferite a questo composto. I primi sospetti di cancerogenità del
benzo(a)pirene risalgono agli inizi degli anni trenta e si stima una probabilità di
sviluppo neoplastico pari a 1:10000 per l'esposizione continuata alla concentrazione
di 1 ng di benzo(a)pirene per m3 di aria.
Fra i numerosi effetti tossici indotti dagli IPA sugli animali di laboratorio possono essere
ricordati:
• distruzione di ghiandole sebacee, ipercheratosi, ulcerazioni cutanee;
• danni al sistema emopoietico e linfoide con degenerazione ed arresto della
maturazione delle cellule progenitrici;
• immunosoppressione;
• reazioni infiammatorie delle vie aree;
• polmoniti acute e croniche;
• embriotossicità;
• danni genetici, neoplasie.
Sono inoltre stati riscontrati effetti antiestrogenici, con meccanismi che
comprendono competizione per il recettore estrogenico (ER) e induzione
dell’aumento della velocità di metabolizzazione degli estrogeni, e che includono gli
IPA nell’elenco dei distruttori endocrini (Arcaro et al., 1999).
La concentrazione degli IPA nell'aria, nel suolo, nell'acqua è in genere insufficiente per
essere tossica; comunque, possono essere prodotti numerosi effetti nocivi. l’EPA e la
World Health Organisation (WHO) hanno identificato, all’interno di questa classe, 16
Appendice II Valori dei TEF per il calcolo dei 2,3,7,8-TCDD equivalenti, secondo Van den Berg et
al., 1998
PCDD e PCDF TEF
2,3,7,8-TCDD 1
1,2,3,7,8-PnCDD 1
1,2,3,4,7,8-HxCDD 0,1
1,2,3,6,7,8-Hx-CDD 0,1
1,2,3,7,8,9-Hx-CDD 0,1
1,2,3,4,6,7,8-HpCDD 0,01
OCDD 0,0001
2,3,7,8-TCDF 0,1
1,2,3,7,8-PnCDF 0,05
2,3,4,7,8-PnCDF 0,5
1,2,3,4,7,8-HxCDF 0,1
1,2,3,6,7,8-HxCDF 0,1
1,2,3,7,8,9-HxCDF 0,1
2,3,4,6,7,8-HxCDF 0,1
1,2,3,4,6,7,8-HpCDF 0,01
1,2,3,4,7,8,9-HpCDF 0,01
OCDF 0,0001
PCB TEF
3,3’,4,4’-TCB (77) 0,0001
3,4,4’,5-TCB (81) 0,0001
3,3’,4,4’,5-PnCB (126) 0,1
3,3’,4,4’,5,5’-HxCB (169) 0,01
2,3,3’,4,4’-PnCB (105) 0,0001
2,3,4,4’,5-PnCB (114) 0,0005
2,3’,4,4’,5-PnCB (118) 0,0001
2,3,4,4’5-PnCB (123) 0,0001
2,3,3’,4,4’,5-HxCB (156) 0,0005
2,3,3’,4,4’,5’-HxCB (157) 0,0005
2,3’,4,4’,5,5’-HxCB (167) 0,00001
2,3,3’,4,4’,5,5’-HpCB (189) 0,0001
71
Appendice III Valori dei TEF per il calcolo dei B(a)P equivalenti, secondo Nisbet e LaGoy., 1992
IPA TEF
NaP 0,001
AceP 0,001
A 0,001
Fl 0,001
Phe 0,001
An 0,01
Flu 0,001
Py 0,001
BaA 0,1
Chry 0,01
BbF 0,1
BkF 0,1
BaP 1
DBA 1
BghiP 0,01
IP 0,1
72
Appendice IV Unità di misura utilizzate
Unità Abbreviazione Valore
grammo g
milligrammo Mg 10-3 g
Microgrammo µg 10-6 g
Nanogrammo Ng 10-9 g
Picogrammo Pg 10-12 g
Parti per milione Ppm 1µg/g o 1µg/mL o 1mg/L
Parti per miliardo Ppb 1ng/g o 1ng/mL o 1µg/L
Parti per trilione Ppt 1pg/g o 1pg/mL o 1ng/L
73
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