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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00040 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re- sponsabile: DOMENICO DEFELICE e-Mail: [email protected] Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti (annuo, € 40; sostenitore € 60; bene- merito € 100; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte . Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 21 (Nuova Serie) n. 11 - Novembre 2013 - € 5,00 Crisi economica o crisi antropologica? CRISI DI APPARTENENZA, UNA SPECIE DI ALZHEIMER Quando Traiano fermava l'esercito per ascoltare la vedova di Rossano Onano RISI economica, oppure crisi antropologica? Le parole chiave, economia e antropo- logia, mi sembrano onnicomprensive e quindi vaghe, ciascuno può intendere e soste- nere ciò che gli pare. La cosa mi tranquillizza: anch'io posso dire la mia. Crisi economica è locuzione riferi- ta all'attività produttiva, l'unità di mi- sura è il PIL. La crisi è caratterizzata da livelli di attività produttiva (PIL) più bassi di quelli che si potrebbero ottenere usando in maniera ottimale tutti i fattori produttivi a disposizio- ne. Negli USA, la crisi diventa reces- sione quando il PIL reale diminuisce per almeno due trimestri consecutivi. In Europa, specialmente in Italia, gli economisti sembrano avere atteg- giamento più elastico. A seconda dei canali informativi offerti al pubblico, la recessione è spostata al terzo- quarto-quinto-anche sesto semestre negativo. Sembra che tutti possano alzare l'asticella a piacere. Crisi antropologica è locuzione ancora più difficile da definire, dal momento che antropologia è la C
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Pomezia Notizie 2013/11

Mar 24, 2016

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Domenico

Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice
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Page 1: Pomezia Notizie 2013/11

mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00040 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti (annuo, € 40; sostenitore € 60; bene-merito € 100; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

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Anno 21 (Nuova Serie) – n. 11 - Novembre 2013 - € 5,00

Crisi economica o crisi antropologica?

CRISI DI APPARTENENZA,

UNA SPECIE DI ALZHEIMER Quando Traiano fermava l'esercito per ascoltare la vedova

di Rossano Onano

RISI economica, oppure crisi antropologica? Le parole chiave, economia e antropo-

logia, mi sembrano onnicomprensive e quindi vaghe, ciascuno può intendere e soste-

nere ciò che gli pare. La cosa mi tranquillizza: anch'io posso dire la mia.

Crisi economica è locuzione riferi-

ta all'attività produttiva, l'unità di mi-

sura è il PIL. La crisi è caratterizzata

da livelli di attività produttiva (PIL)

più bassi di quelli che si potrebbero

ottenere usando in maniera ottimale

tutti i fattori produttivi a disposizio-

ne. Negli USA, la crisi diventa reces-

sione quando il PIL reale diminuisce

per almeno due trimestri consecutivi.

In Europa, specialmente in Italia, gli

economisti sembrano avere atteg-

giamento più elastico. A seconda dei

canali informativi offerti al pubblico,

la recessione è spostata al terzo-

quarto-quinto-anche sesto semestre

negativo. Sembra che tutti possano

alzare l'asticella a piacere.

Crisi antropologica è locuzione

ancora più difficile da definire, dal

momento che antropologia è la →

C

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.2

All’interno:

Con Lionello Fiumi a spasso per Verona, di Ilia Pedrina, pag. 5

La Natura, l’Uomo e il Sacro, di Giuseppe Leone, pag. 9

Andrea Zanzotto, di Aldo Cervo, pag. 11

Vita e opere di Domenico Defelice, di Luigi De Rosa, pag. 14

Anna Magnavacca, di Nazario Pardini, pag. 18

Silvano Demarchi: Occaso, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 22

Ignazio Buttitta, di Nicola Lo Bianco, pag. 25

Gioacchino Belli, di Leonardo Selvaggi, pag. 27

Carlo Cipparrone: Il poeta è un clandestino, di Elio Andriuoli, pag. 30

Paola la piccola, di Paola Insola, pag. 32

Luci della capitale (Il cambiamento, Lizzani, Gemma), di Noemi Lusi, pag. 33

I Poeti e la Natura (Publio Virgilio Marone), di Luigi De Rosa, pag. 37

Notizie, pag. 54

Libri ricevuti, pag. 55

Tra le riviste, pag. 57

RECENSIONI di/per: Tito Cauchi (Diamanti al sole, di Silvana Andrenacci Maldini, pag.

40); Tito Cauchi (Ubaldo Riva Alpino, poeta, avvocato, di Liana De Luca, pag. 40); Tito

Cauchi (Commiato, di Silvano Demarchi, pag. 42); Tito Cauchi (Percorsi, di Giuseppe Me-

lardi, pag. 43); Roberta Colazingari (Eleuterio Gazzetti cantore della Valpadana, di Do-

menico Defelice, pag. 44); Mariano Coreno (I simboli del mito, di Nazario Pardini, pag.

45); Aldo De Gioia (Domenico Defelice Un poeta aperto al mondo e all’amore, di Anna Ai-

ta, pag. 45); Aurora De Luca (Barcollando nell’indicibile, di Salvatore D’Ambrosio, pag.

46); Laura Pierdicchi (Domenico Defelice Un poeta aperto al mondo e all’amore, di Anna

Aita, pag. 47); Andrea Pugiotto (Il grido della terra, di Fabio Clerici, pag. 48); Andrea

Pugiotto (Storie di Forlì, di Umberto Pasqui, pag. 49); Roberto Tassinari (Lessico

d’amore, di Paola Insola, pag. 49).

Lettere in Direzione (Ilia Pedrina a Domenico Defelice), pag. 57

Inoltre, poesie di: Mariagina Bonciani, Loretta Bonucci, Lorella Borgiani, Colombo Conti,

Mariano Coreno, Domenico Defelice, Liana De Luca, Luigi De Rosa, Salvatore

D’Ambrosio, Giovanna Li Volti Guzzardi, Flavia Lepre, Adriana Mondo, Teresinka Pereira,

Leonardo Selvaggi, Serena Siniscalco

Si ricorda che questo mensile può essere sfogliato sul link issuu.com/domenicoww/docs/

scienza che riguarda l'uomo in tutte le sue e-

spressioni, dall' evoluzione biologica al pro-

gredire delle sue espressioni culturali. Fortu-

natamente, accorre a soccorso il Centro Studi

Investimenti Sociali (CENSIS), che da qual-

che tempo licenzia relazioni tese a delineare

ciò che definisce Fenomenologia di una crisi

antropologica. Il prestigioso Istituto lamenta

la mancanza di visione del futuro da parte de-

gli Italiani, che sembrano sempre più impri-

gionati nel presente, con uno scarso senso

della storia e senza visione nel futuro. Al de-

siderio si è sostituita la voglia, alle passioni

le emozioni, conta solo quello che si prova

nel presente, non la tensione che porta a

guardare lontano. I giovani italiani sarebbero

così rattrappiti in un individualismo egoistico

teso alla sopravvivenza, in attesa che passi la

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.3

nottata. Ecco perché, spiega il CENSIS, oggi

i giovani italiani sono anche quelli in Europa

che meno hanno intenzione di avviare una

propria attività autonoma. Del resto, ammet-

te l'Istituto, è difficile che un giovane italiano

possa avviare una propria attività autonoma

quando manca un capitale di investimento i-

niziale e un mercato fiorente dove investire.

Insomma, la mancanza di visione del futuro

(crisi antropologica) è causa determinante gli

scarsi investimenti e la bassa produttività

(crisi economica). D'altra parte, gli scarsi in-

vestimenti e la bassa produttività (crisi eco-

nomica) sono causa determinante la mancan-

za di visione del futuro (crisi antropologica).

Il cane si morde la coda.

Quando si parla dell'uomo e del tempo,

prima e meglio del CENSIS sono arrivati gli

artisti.

L'uomo che ha perso tutto, tranne il fu-

turo (Chagall). Ebreo, intellettuale e russo,

Chagall abbandonò il paese natale a seguito

della rivoluzione d'ottobre. Per tutto il resto

della vita dipingerà la terra e gli affetti perdu-

ti. Il violinista verde (1923) suona alle porte

del villaggio di Vitebsk, la sua anima vola sui

tetti verso un futuro di libertà. Giobbe (1975):

autoritratto nelle vesti del profeta biblico, il

fantasma della moglie Bella alle spalle, il po-

polo in cammino su fondo di nuvole, l'angelo

azzurro su cielo livido che lascia intravedere

un percorso di speranza. L'uomo di Chagall

vive nella dimensione futura. L'uomo della

crisi attuale, incapace di futurizzare, non è

l'uomo di Chagall.

L'uomo che ha perso tutto, tranne il pre-

sente (Warhol). Il rapporto che l'uomo intrat-

tiene con l'economia produttiva è illustrato

da Warhol, anche per questo motivo forse il

più popolare pittore contemporaneo. Pittore,

per la verità, sarebbe termine improprio.

Warhol utilizza fotografie, cui aggiunge pen-

nellate o segni bizzarri su fondi policromi. Le

fotografie utilizzate riguardano personaggi

(Marilyn, 1964 e ancora 1967) oppure oggetti

(bottiglie di Coca-Cola e zuppe Campbell's,

1962) serialmente ripetuti, a significare l'os-

sessiva presenza percettiva nell'uomo di og-

getti riferiti all'attualità. L'uomo di Warhol

non ha coscienza del passato, né proiezione

futura. Si limita a consumare il presente. E' la

sua salvezza, dalle brutture della storia. E' la

sua condanna alla dipendenza dagli oggetti.

Si chiamava consumismo, a partire dagli anni

'60 di Warhol, quando gli oggetti sembrava-

no, e forse erano, a portata di mano. L'uomo

della crisi attuale, costretto a lottare per acce-

dere ai beni primari di consumo, non è l'uomo

di Warhol.

L'uomo che ha perso tutto, tranne il pas-

sato (De Chirico). A cavallo della Grande

Guerra, De Chirico licenzia i suoi quadri me-

tafisici, ove l'uomo è sostituito da manichini

con testa a birillo vestiti di peplo greco. Inter-

rogato sul perché di quelle presenze, l'artista

Page 4: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.4

stentava a rispondere. Si limitava a dire che

l'uomo muore, mentre i manichini restano.

Nelle Muse inquietanti (1916), due manichini

sono attorniati da oggetti che richiamano la

storia collettiva (una statua antica, il Castello

Estense di Ferrara) e personale (le scatole co-

lorate dell'infanzia, un enorme bastone di

zucchero filato). Ettore e Andromaca (1917)

sono due manichini abbracciati. Siamo alle

Porte Scee, la sposa saluta per l'ultima volta il

marito prossimo a morire per mano di Achil-

le. L'uomo di De Chirico ha perso tutto, tran-

ne la memoria del passato. Ma i dati della

memoria non sono più rapportati al presente,

né rapportati al futuro: perché prossima è la

morte.

Nella Malattia di Alzheimer, siamo soliti di-

re, il dato patogeno consiste nella perdita del-

la memoria. Non è del tutto esatto. L'uomo di

Alzheimer, prima di affondare nel marasma

conclusivo, conserva invece la memoria. Sol-

tanto, non sa collocare i fatti e le persone del

passato nell'esatta dimensione storica, perso-

nale e collettiva. Fatti e persone sono così

rievocati caoticamente in un presente fittizio,

una commedia rappresentativa che prevede

falsi riconoscimenti, sovrapposizioni, lacune,

deliri (“Le Muse inquietanti”). L'uomo di De

Chirico ha perso tutto, tranne il passato: ma

ha perso la capacità di utilizzarlo. L'uomo di

De Chirico è l'uomo di Alzheimer. In attesa

delle Porte Scee.

De Chirico era un pensatore originale. So-

steneva che l'uomo finge di ragionare, in real-

tà si limita ad accostare le immagini che la

memoria porta spontaneamente alla coscien-

za. Il quadro mentale precede, e condiziona, il

ragionamento. Infatti, la scrittura di questo ar-

ticolo è stata preceduta da due immagini

mentali. La prima è riferita ad una trasmis-

sione televisiva, uno dei tanti quiz tesi a pre-

miare cultura e conoscenza dei concorrenti.

Due giovani, un ragazzo e una ragazza, devo-

no rispondere a una domanda: è più antica la

Torre di Pisa o il Colosseo? I due giovani

sanno benissimo che la Torre di Pisa è a Pisa,

e ne mimano la forma disegnando con le ma-

ni una struttura lunga e storta. Il Colosseo è a

Roma, ed è rotondo. Non sanno però rispon-

dere: quale delle due strutture è stata costruita

per prima?. Nella stessa trasmissione due

giovani non sanno rispondere a questa do-

manda: è nato prima Giulio Cesare o Carlo

Magno? Trasmissioni di questo tipo sono

molto istruttive. Ci informano che l'uomo at-

tuale conosce i personaggi e le opere dell'

uomo, ma non è in grado di collocarli nella

storia. Come l'uomo di De Chirico, come l'

uomo di Alzheimer, ricorda caoticamente, la

storia non esiste.

Come nell'Alzheimer, la perdita delle coor-

dinate temporali porta a falsificazioni, a falsi

riconoscimenti. La seconda immagine menta-

le è riferita a un film, Il gladiatore, ove l'im-

peratore Commodo è rappresentato così catti-

vo da essere caricaturale. La cinematografia

d'oltre oceano, del resto, ha sempre rappre-

sentato gli imperatori romani come persone

inette e forse avvinazzate, nell'atto di tramare

nefandezza tenendo sempre una coppa di vi-

no fra le mani. L'imperatore romano della

memoria storica è una cosa diversa. E' Traia-

no che ferma l'esercito in marcia per ascoltare

una vedova che chiede giustizia. La farò al

mio ritorno, dice Traiano. E se non torni? Fa-

rà giustizia il mio successore. In questo caso,

il merito sarà del tuo successore, e non tuo.

Traiano smonta da cavallo, ascolta, ammini-

stra la giustizia.

E' nato prima Traiano o Socrate?, prima

Traiano o Gesù Cristo?, prima Traiano o

Gandhi? In fondo non ha importanza. La sto-

ria propone continuamente personaggi che at-

tribuiscono all'uomo i giusti attributi della

grandezza d'animo, della giustizia, della pietà.

Crisi economica o crisi antropologica? A me

sembra una crisi di appartenenza alla sto-

ria. La ricetta dovrebbe essere questa: ritor-

nare allo studio meticoloso della storia, allo

studio delle materie umanistiche.

Non è una ricetta originale. E' quanto, sul

tema, sono in grado di dire.

Rossano Onano Immagini:

Pag. 1: Giorgio De Chirico: Ettore e Andromaca.

Pag. 3: Marc Chagal: Il violinista verde.

Page 5: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.5

CON LIONELLO FIUMI A SPASSO PER VERONA

di Ilia Pedrina

RA prosa, poesia, critica letteraria e

giornalismo culturale, Lionello Fiumi

emerge ancora oggi con interessante

rilievo e rappresenta per la città di Verona

un punto di riferimento ineliminabile. Per le

investigazioni di piccola geografia degli

spazi e delle emozioni, che qui andrò a rile-

vare, mi servo del bel volume, donatomi dal

dott. Agostino Contò, direttore del Centro

Studi Internazionale intitolato a questo poe-

ta: 'Lionello Fiumi - Opere poetiche', curato

dalla vedova del poeta, Beatrice Fiumi Ma-

gnani, fino a quando è rimasta in vita e dal

prof. Gian Paolo Marchi e pubblicato a Ve-

rona nel 1994, con in copertina il ritratto del

poeta, alto e dalla folta capigliatura, fatto dal

suo caro amico Angelo Zamboni.

Il Fiumi nasce a Rovereto il 12 Aprile

1894, abita palazzi antichi e tra questi si in-

sinua anche in un salone dove Mozart aveva

dato il suo primo concerto in Italia, al piano

nobile di Palazzo Todesco: sogna e si diver-

te e tra libri e giornali e forme colorate da

copiare, viaggia con la fantasia e con il cuo-

re. E' la nonna paterna Fanny a dargli forse

quella forte attrazione verso il mondo fem-

minile che mai lo abbandonerà e sarà la ma-

trice primaria delle sue poesie in canto libe-

ro ed a lei si deve il lascito della villa di Ro-

verchiara, sua proprietà ed ora sede del Mu-

seo di Casa Fiumi.

Arriva a Verona da Rovereto all'età di

quattordici anni e siamo nel 1909. I suoi pa-

renti acquistano un palazzo in via Vescova-

do 9 e ne abitano un piano intero: il clima

culturale è di livello importante e l'aspetto

scientifico della conoscenza viene sempre

privilegiato. Compagni di scuola ed amici

sono spesso ospiti da lui e si suona musica e

si recitano poesie. E' dichiaratamente contro

il Futurismo e tali contenuti sono stati pre-

sentati in sintesi, stringata ancora, nell'arti-

colo “Il D'Annunzio di Lionello Fiumi prima

e dopo l'impresa di Fiume”, apparso nel

mese di Ottobre su questa stessa Rivista. A

Verona tanti i riconoscimenti, tante le im-

prese di giovanile ingegno, tanti gli studi di

poesia, che lo affascina certo più delle

scienze chimiche, specialità professionale

del padre Giovanni, degli esperimenti di fo-

tochimica delle immagini, che pure lo vedo-

no al lavoro, delle ricerche di astronomia e

di musica. Cito dall'Introduzione del prof.

Gian Paolo Marchi, che ha curato il bel vo-

lume 'Lionello Fiumi: Opere Poetiche', Ve-

rona 1994':

“ 1909-1910 . Frequenta, con ottimi risul-

tati, l'Istituto Tecnico 'Lorgna', classe II, Se-

zione di Fisica e Matematica. Continua la

sua collaborazione con le riviste citate so-

pra. Riceve un premio dal 'Corriere Fotogra-

fico'. Completa le ricerche di Fotochimica.

Alcuni cartoncini mostrano l'evolversi dei

vari esperimenti, come l' 'Autografia senza

luce di un fregio eseguito su carta colofo-

nia'. Ma l'interesse per la poesia sta preva-

lendo su quello per le scienze esatte: 'Da-

vanti l'Arena di Verona' (Alcaica) è la prima

poesia che ha il coraggio di conservare. At-

tento studio del vocabolario con esercitazio-

ni mnemoniche delle parole che più colpi-

scono la sua fantasia. Studio del Rimario di

Girolamo Ruscelli, Napoli, Stamperia Sal-

vatz, 1824, che egli postilla ed integra...”

(Lionello Fiumi: Opere Poetiche, Introdu-

zione e Cronologia a cura di B. Magnani

Fiumi e Gian Paolo Marchi, Grafiche Fiori-

ni, Verona, 1994, pag. XLII).

Lo studio assiduo lo fa ammalare ed i suoi

si preoccupano: l'adolescenza necessita d'av-

T

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.6

venture e così, dopo il fallimento delle terapie

a Monaco di Baviera, la salute gli verrà resti-

tuita a Göhren, nell'isola di Rüghen, sul Mar

Baltico, scrivendo poesie! Allora adesso ci

possiamo fidare, perché il giovane Fiumi ama

la vita, le ragazze e le compagnie dei coeta-

nei, Verona e dintorni e con lui come guida

possiamo arrivare fino all' “Avancittà”, quella

zona di periferia che cinge dall'esterno il cuo-

re della città scaligera e pure fino alla “cam-

pagna circondaria”, termine assai caro al

Fiumi e da lui coniato per indicare tutta la zo-

na geografica, libera e dai colori cangianti a

seconda della stagione, posta al confine quasi

con l' 'Avancittà', che egli ama e che obbliga

gli amici, accompagnandoli quasi con una ri-

tualità fissa, ad amare e ad apprezzare. E' dal

1912 che inizia la stesura di alcune liriche che

passeranno poi ad essere inserite nella sua

prima raccolta 'Pòlline', che sarà data alle

stampe il 14 Luglio del 1914 per i tipi dello

Studio Editoriale Lombardo di Milano, che

già ha pubblicato lavori di Pirandello, Papini,

Lucini, Panzini.

In questo mio lavoro sciolto ed a passi ve-

loci, mi intratterrò soltanto su alcune delle

liriche che cantano Verona, perché conten-

gono un fascino speciale, anche se certo og-

gi la città è di molto mutata.

Parto da 'Impressione dopo una pioggia

d'aprile, al tramonto, in Piazza Brà':

“Che luccicore che freschezza e sfarzo

di tinte pure! come quarzo

è il cielo! Ed anche, là la vecchia Arena,

mummia gialligna d'una civiltà, ha la schie-

na

ringiovanita

e si fa ròggia

come porfido all'ultima luce violastra che vi

s'ostina!

Appresso, tra la mole smeraldina

degli alberi

s'accampana

la fontana

che aguzza

spruzza

come un giubilo

di diamanti

tremolanti!

E per ovunque, al suolo, le pozzanghere, a

miriadi,

mute,

sono intessute

di cielo, cerule e liliali

quali

squamme d'onice!

e un romore buono ha il carro che passa

cricchiando,

ha il carrozzone elettrico che scivola spraz-

zando

verdi scintille!

….

Verona, 28 Aprile 1913.”

(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pag. 72).

Tanti i colori evocati in parole per rappre-

sentare il vero, tante le assonanze che detta-

no il ritmo vario e libero dei versi, tante le

similitudini che accalorano l'immaginazione

e che il giovane Lionello ci sciorina senza

preoccuparsi di annoiare, perché all'epoca, e

non solo allora, le emozioni si cantano così!

Da Piazza Brà passo a 'Piazza delle Erbe',

in quattro lunghe sezioni, quasi un dialogo

tra l'antico luogo degli incontri e degli

scambi da mercato e il poeta, che tutto os-

serva e per tutto vibra:

“ 1

Volgo, e se tieni vana l'arte io t'irrido!

Nell'antica piazza, qui, snido

e t'agito sul grugno mercantesco un rami-

cello fiammeo

di vecchi simboli del Canto, appunto mentre

più il mercanteggiare fermenta

in grasso bulicame!,

e, come il letame

liévita il lezzo,

l'occhiuta violenta

cupidigia del rame

liévita rauca nelle gole coriacee

del girovago e del merciaio

le voci innumeri d'acciaio

che si mischiano, s'arruffano ed a tratti

fanno aspri grappoli di grida!

2

Nella cintura di case

Page 7: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.7

stupendamente disformi e maculose,

sotto la superbia paonazza

della torre,

è pure una simpatica villanìa di colori,

la piazza,

ove la varia

cibaria

s'avvicenda sotto la bianca distesa

d'ombrelli che la coprono come coorte di

leggeri scudi

a difesa

dei raggi maschi e nudi

d'un sole di maggio!

….

S'inasta

col possente respiro,

e sovrasta,

la superbia paonazza

della torre dei Lamberti,

quel trofeo

d'un'età.

Ma là!...

Bellezza più gagliarda,

là!, e m'inebria. Oh! Ch'io ti arda

una strofa robustissima,

o chioma

di fili metallici

che parli fulminëo idioma!

lira vivace

che l'Elettricità s'intesse pel suo canto su-

perbo

e che ha per fondo l'acerbo

azzurrissimo

d'un cielo italico!

Elettricità,

e mi glorio d'essere virgulto della tua età!

Virgulto

selvatico e gemmante

ancor che occulto

nel putidore del folto tumulto!

Io passo nella piazza ove passa chino

il vecchio contadino

arrugginito,

che sarà presto la Morte;

ove passa come viva esca

la popolana rotondetta e forte,

ch'è l'Amore: fresca

come germoglio,

con gli occhi nerisssimi

come gocciole di seppia,

con le labbra rosse su cui il buon dialetto

veneto

è una fiorita grassa e indolente e iridata.

Io passo, che sono il Canto....

…..

3

L'Arte è necessaria.

4

Canto.

Io sento i miei diciannov'anni come un fre-

sco manto

di petali primaverili,

e tutto me come un pòlline d'oro!

….

Verona, maggio 1913.”

(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pp. 11-15).

E' chiarissimo l'ardore del giovane a sentirsi

Poeta a tutti gli effetti, perché ha letto il D'

Annunzio e ne ha colto la vigorìa d'espressio-

ne, perché è come lui, il Vate, il Maestro, au-

dace e deciso e sa cogliere da questo momen-

to storico energie preziose per abitarne senza

sforzo le trame: si, proprio come l'elogio all'

Elettricità, personificata e resa quasi simbolo

di una stagione frenetica ed in inarrestabile

divenire, quale è quella che lui riesce a pre-

vedere e a vivere, cavalcandola senza sforzo,

fin dai primi decenni del '900.

E poi esiste l'Adige, a Verona, che scorre

inarrestabile come il tempo, da tempi imme-

morabili, è ampio e carico di verdi fiancate,

in trasparenza: mi piace camminare a lungo e

scoprire aspetti inconsueti dei profili che vi si

innalzano oltre gli argini e di quelle chiese e

campanili che, in gran numero, scandiscono

ancora la vita di chi passa, anche senza so-

starvi. Ponti eleganti lo attraversano e sono

tanti perché la città, quella antica, è protetta

da più porte. Ascolto il poeta:

“ Lamento consueto

Dittico

1. Molini sull'Adige.

Immensità della sera queta!

Page 8: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.8

E il frusciante fluire di seta

dell'onda

di quest'Adige,

come una chioma profonda,

bionda

nel purpureo

crepuscolare!

E il fluire continuo continuo del fiume,

che par tessere aureo il filo del Tempo,

ne la sera queta, armoniosa

d'una gamma

di rosa!

Su l'acqua

l'ultima luce si squamma

nervosa.

Rigido contro l'ampia fiamma

che orla il cielo,

sta sul fiume

un rozzo volume

di baracche di legno nere di bitume;

vecchi molini.

Esce sul ponticello a quando a quando

un uomo polveroso e zufolando

guarda la riva ove per terra un bambino

ruzza e s'impiastriccia.

La grondante ruota nera del molino

gira veloce

e arriccia

l'acqua d'un fermento

lieto

innumerevole e irrequieto

d'argento.

Verona, aprile 1912.

(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pp. 35-36)

Nella seconda parte del 'Dittico', 'La clessi-

dra maligna', il giovane Lionello s'abbandona

a tristezze e malinconiche connessioni a cui

sono avvezzi tutti i poeti, che associano Amo-

re e Morte insieme, gioia spericolata e inetto

senso d'un totale nulla. Così s'erge a cantare:

“.... 2. La Clessidra maligna.

Ma la Vita

è un pugno di sabbia sanguigna

pesato

dal Fato

e gittato

dentro una Clessidra ben maligna:

perché alla ghiotta boccia

inferiore

il tristo Inventore

ha tolto il fondo.

…”

(Lionello Fiumi, Pòlline, op. cit. pag. 37).

Quando gli è possibile, e le circostanze

sono tante, in città nelle stanze a pagamento

o nella 'Avancittà' o nella 'Campagna Cir-

condaria', che ormai conosce benissimo, il

giovane Lionello inebria di parole giovinette

d'ogni tipo e le porta a coricarsi con lui, e le

descrive nei suoi versi e le ama, solo lui sa

come. Non ha né timore né tremore di co-

municarlo a noi e a chi altro si inoltri negli

ansimanti dettagli del suo dannunziano ero-

tismo, più brioso e scaltro insieme però, ben

s'intende, attento com'è a raccogliere tutto di

sé, per mettersi in scena e darsi così ai gio-

vani ed a tutti gli altri d'ogni tempo.

Ilia Pedrina

OCCHIO DI LUNA

Guardo in cielo e ti trovo

Occhio di luna,

tra due nuvole d’argento

dalla forma di mandorla.

Rimango d’incanto,

svanisce ogni pensiero,

la luce purifica il sentimento

come il moto con l’onda

che filtra e sedimenta.

C’è solo pace in me

è il frutto della tua magia

che mi avvolge e protegge,

che cancella tristezza,

manifesta mestizia che apparve

quando sei andata via.

Ho bisogno di te,

ma basta osservarti

per rivivere ancora,

per sentire calore in questa umida notte.

Colombo Conti

Page 9: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.9

LA NATURA,

L’UOMO E IL SACRO in una riflessione di Paola Ruminelli

di Giuseppe Leone

ON una dedica alla propria madre

“per i suoi cento anni”, Paola Rumi-

nelli, già docente di materie letterarie

e autrice di articoli e saggi sul pensiero esi-

stenziale, tra i quali “Per un nuovo Umanesi-

mo, La ricerca filosofica, Tra finito e infinito,

tanto per ricordarne alcuni, ha pubblicato nel

luglio 2013 con la Armando Editore di Roma

La natura, l’uomo e il sacro. Studi per una fi-

losofia dell’esistenza. Si tratta di un “saggio

che vuole essere” – sono parole dell’autrice –

“un sia pur modesto contributo all’invito alla

riflessione per il nostro tempo in cui i prodigi

della tecnologia sembrano aver sostituito la

realtà naturale, coinvolgendo l’interesse dell’

uomo in maniera totalizzante” (9). Un invito

a riflettere che nasce dalla constatazione che

l’uomo

contempo-

raneo non

si meravi-

gli più da-

vanti agli

eventi na-

turali, ma

solo da-

vanti ai

“miracoli”

della tec-

nica. Ne

discute nel

corso di

80 pagine

che suddi-

vide in due parti: una prima, dove l’ autrice si

sofferma intorno al mistero dell’essere, con

un excursus sulla natura, alla luce ora delle

concezioni sul cosmo e il caos quali ci sono

giunte dall’antichità, ora delle ipotesi che fi-

losofia e scienza hanno formulato in tempi

più vicini a noi; e una seconda parte, dedicata

all’uomo, alle sue origini e al suo linguaggio,

alla sua autonomia fra trascendimento e tra-

scendenza; e al sacro, con relativo discorso

sull’esistenza di Dio e il senso della vita. Il

tutto attraverso un’ esposizione chiara ed es-

senziale, frutto a un tempo di lucida razionali-

tà e sincera passione, in uno stile affabile e

colloquiale. Un pamphlet, si direbbe, con il

quale la scrittrice esorta il lettore a riflettere

per il nostro tempo, un modo di dire che sem-

brerebbe rimandare, per analogia s’intende, a

un verso di una lirica di Vittorio Sereni, a

quell’esortazione sussurrata da qualcuno alle

sue spalle a pregar per l’ Europa mentre è

prigioniero in un campo di concentramento,

affinché l’Europa oppressa e in rovina possa

essere finalmente liberata. Con la differenza

che il poeta non può far nulla, perché morto

alla guerra e alla pace, mentre l’autrice è an-

cora nella condizione di poterlo fare, appel-

landosi alla metafisica, quale è diventata, da

Kant a Levinas, orientandosi nel segno dell’

etica. In nome di questa libertà del volere

nell’uomo, allora, che nessuno può impedire

e che la filosofia continua a rivendicare tra i

suoi oggetti assieme all’immortalità dell’ a-

nima e l’esistenza di Dio, ecco la studiosa in-

vocare chi per lungo silenzio parea fioco, la

metafisica, di cui inizia ad elencare subito i

vantaggi, e non solo in quanto scienza ordina-

trice e moderatrice di un dialogo altrimenti

impossibile fra i sostenitori dello scientismo

che vogliono spiegarsi ogni cosa alla luce del-

le conoscenze razionali e i sostenitori della

fede che sostengono il contrario, riportando le

ragioni di tutte le cose alla causa del divino,

ma anche per il riverbero che ne potrebbe a-

vere la fede, in difficoltà in momenti come

questi di globalizzazione, “dal momento che

essa non può essere più un dato acquisito per

tradizione e come tale assolutamente certo,

ma come un momento che per la sua matura-

zione non esclude l’inquietudine della ricerca,

ma presuppone un avvio di pensiero che la

fondi sulle strutture ultime della coscienza”

(53). E ne giustifica anche la sua necessità,

dicendo che “l’uomo può penetrare nella na-

tura con gli strumenti della sua scienza e della

sua tecnica, che gli permettono, sia pure in

C

Page 10: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.10

piccola misura, di dominarla e di adattarla ai

suoi bisogni, ma la scienza e la tecnica non

possono dare risposta alla sua più profonda

ansia di conoscenza, che mira all’ essere stes-

so del mondo e della sua vita…” (55). Solo la

metafisica come scienza che indaga sulle re-

altà ultime – risponde la Ruminelli - può per-

venire alla risposta sull’origine del mondo,

sul perché del divenire e del susseguirsi di

forme mortali, nonché sul desiderio e l’ ango-

scia di vivere che tutti i viventi condividono.

Stupisce, man mano che si va avanti nella let-

tura, come l’autrice accordi così tanta fiducia

alla metafisica, dandola più che mai per viva,

quando filosofi come Severino avevano for-

temente dubitato dell’efficacia dei suoi rimedi

contro il male di vivere; e ancora prima di lo-

ro, Nietzsche e la non trascurabile schiera dei

materialisti ne avevano dichiarato la morte.

Molti, per la studiosa, sarebbero ancora i doni

che essa può elargire tra la gente. Tra questi,

il sentimento della meraviglia che l’umanità

postmoderna ha smarrito da quando il prima-

to della conoscenza non è stato più ricono-

sciuto al pensiero e la felicità, anch’essa per-

duta, ma che potrà essere recuperata se l’

uomo riprende ad affidarsi alla ragione. Me-

raviglia e felicità, a condizione che gli uomini

ricomincino di nuovo a guardare lontano con

il pensiero, oltre i piccoli recinti dove essi e-

spongono i prodotti della loro tecnica, per

scrutare gli interminati spazi e i sovrumani si-

lenzi, la profondissima quiete, il nulla eterno,

i campi eterni, luoghi virtuali che nessuno po-

trà mai raggiungere a piedi o volando. Mondi,

che, dando a chi li immagina la misura di

quanto è dentro di noi e quanto si estende

fuori, forniscono le proporzioni della res e-

xtensa e della res cogitans, della natura,

compresa la realtà corporea, e della realtà

pensante. Fragile, quanto si vuole, quest’ ul-

tima, rispetto al gigante dell’universo, ma

prodigiosa perché oltre a fare avere all’uomo

la coscienza del mondo, gli dà anche autoco-

scienza della propria finitudine, del provviso-

rio, della propria piccolezza di fronte al creato

e dell’alterità della sua esistenza rispetto alla

Natura e a Dio. E non solo, citando un pen-

siero della Weil, che “la precarietà delle cose

belle è preziosa, perché è rivelazione di esi-

stenza”, la Ruminelli può aggiungere che

“anche la morte può essere considerata un

bene, in quanto facendoci capire la nostra

provvisorietà, matura in noi la virtù dell’ u-

miltà radice dell’amore” (75). Un manuale

sulla metafisica, allora, questo saggio di Pao-

la Ruminelli, un illuminante testo che la stu-

diosa propone ai lettori allo scopo non solo di

“richiamare la loro attenzione sui problemi di

fondo che inquietano l’umana coscienza, qua-

li il mistero dell’essere e il senso della vita”,

ma anche di far presente quanto sia necessa-

rio “il ricorso al Pensiero” affinché l’umano

sopravviva alla sfida mortale della tecnica.

Giuseppe Leone Paola Ruminelli - LA NATURA, L’UOMO E IL

SACRO - Studi per una filosofia dell’esistenza -

Armando Editore Roma 2013, pp. 80. € 9,00

IL TELEFONINO

E all’improvviso il silenzio.

La voce che prima vibrava

nel corpo robusto

si tace, la luce

che dentro l’illuminava

si spenge.

Resta il buio

più nero e completo,

il distacco

dal circostante mondo,

la perdita della memoria.

E la disperazione.

Ma basta un breve intervento.

un semplice tocco

di chi conosce i misteri

che l’aria rinchiude

e ritorna la luce, ritorna la voce.

Il mio telefonino che era morto

è gloriosamente risorto

ed io ne riascolto felice

il suo gioioso segnale.

Sarà così un giorno

Anche per me ? Lo spero.

Mariagina Bonciani Milano

Page 11: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.11

ANDREA ZANZOTTO ATTI DI UN CONVEGNO

di Aldo Cervo

L volume è la raccolta degli Atti del

convegno svoltosi il 6 ottobre 2012 pres-

so l’Abbazia di Praglia, sulla produzione

letteraria di Andrea Zanzotto, voluto e curato

– il convegno - da Maria Luisa Daniele Tof-

fanin, scrittrice nativa di Padova, con la quali-

ficata collaborazione di Mario Richter, do-

cente universitario, noto studioso del Rina-

scimento francese e italiano, nonché della

stagione europea del Decadentismo, e del

Surrealismo. L’iniziativa, concepita per il

primo anniversario della morte di Andrea

Zanzotto, patrocinata dall’Associazione Levi-

Montalcini, nasce dall’amore – condiviso –

del poeta di Pieve di Soligo e della Toffanin

per il paesaggio dei Colli Euganei, oltre che

dall’amore – condiviso anch’esso – per la po-

esia, in virtù del quale fiorì e si protrasse ne-

gli anni un’amicizia “leggera”(secondo la de-

finizione della poetessa di Selvazzano) ma

feconda di idee e di reciproco, interiore arric-

chimento.

Prefato dal Richter, il volume esordisce con

la relazione di Antonio Daniele, ordinario di

Storia della lingua italiana all’Università di

Udine, nella quale si sottolinea – a volerci li-

mitare all’essenziale - la sacrale incidenza

del paesaggio dei Colli Euganei nella creati-

vità poetica di Zanzotto.

Il secondo intervento critico, di Silvio Ra-

mat, docente ordinario, fino a qualche anno

fa, di Letteratura italiana contemporanea

presso l’Università di Padova; ampio e curato

– l’intervento - nei minimi dettagli, fornisce

invece tutto quanto in termini di frasario è

contiguo - nell’Opera del poeta - al Sacro in

senso lato, o vi è di desunto dalle Sacre Scrit-

ture.

A seguire poi, con Mario Richter, si accan-

tona l’indagine estetica a favore di quella

sull’uomo Zanzotto, sulla sua umiltà e sulla

varietà della cultura posseduta, che diremo “a

largo spettro”, che ne fecero un inesauribile

quanto gradevole “affabulatore”.

Ma l’analisi sull’ars scribendi di Zanzotto

torna con Francesco Carbognin. Il critico, fi-

lologo ed italianista dell’Università di Bolo-

gna, affronta il problema della controversa

fruibilità della parola poetica in Zanzotto; pa-

rola che si fa “ambivalente” per veicolare una

duplice significanza, di “fisicità” e di “meta-

fisica”.

Ma non fu lo stesso già per Dante e per tutta

la produzione letteraria d’ogni tempo conno-

tata dall’allegoria e dal simbolismo?

Le pagine di Padre Espedito D’Agostini,

teologo, sono invece la testimonianza dell’ in-

tenso rapporto amicale e culturale che inter-

corse tra il poeta e Padre David Turoldo, la

cui idea di religione, che trascende – per così

dire – i limiti di un rigido dogmatismo, confe-

rì legittimità spirituale al “Sacro” di che si

permea l’opera di Zanzotto. Bello, in proposi-

to, il pensiero di Turoldo posto in apertura di

relazione:

Tu non sai che i poeti sono anche dei reli-

giosi…?

Il testo accoglie, in chiusura, il contributo

umano, ma anche letterario, di Marisa Mi-

chieli, vedova dello scrittore, la quale, nel ri-

cordare la visita resa ad Andrea da mons.

Giuseppe Zenti all’indomani della sua nomi-

na a Vescovo della diocesi veronese di Cene-

da, ne ricava, sottolineandolo, l’interesse che

il marito ebbe per la Chiesa Cattolica, ferma

restando in lui l’assenza di “ogni forma di

pedissequa e adulatrice acquiescenza nei con-

fronti dei più diversi dogmatismi”.

C’è poi – al testo – un’appendice dove, a

conferma della vocazione sacra del mondo in-

teriore zanzottiano, si pubblica – preceduta da

I

Page 12: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.12

una nota introduttiva del citato Richter – la

traduzione che il poeta curò della Lettera di

San Paolo ai Colossesi, cui fa seguito – e

chiude per davvero il libro – il contributo

dell’encomiabile organizzatrice del conve-

gno, la poetessa Maria Luisa Daniele Toffa-

nin, che riepiloga con accenti commossi quel-

la che si può definire Storia di un’amicizia.

Nata da un incontro, promosso dalla Toffa-

nin, di Andrea Zanzotto con una scolaresca di

un Istituto Superiore di Abano, l’amicizia,

nella sua “levità”tutta interiore, non ebbe mai

termine e non v’è dubbio che produsse posi-

tivi effetti nelle vicende letterarie di entrambi

i poeti.

Di tanto costituito, il volume si correda di

un CD (non so se dico bene)contenente la de-

clamazione da parte del bravo dicitore, Fede-

rico Pinaffo, di alcune liriche di Zanzotto,

quelle, precisamente, che il volume stesso,

pubblicandole, sistema – mi si passi l’ espres-

sione latina – per intervalla sermonum.

Il problema del “Sacro” come motivo do-

minante nella genesi della poesia di Andrea

Zanzotto non si sarebbe nemmeno posto se

fosse stato – Zanzotto - un credente collocato

all’interno di una determinata Confessione.

Senonché il Poeta, per un interiore bisogno di

libertà, non prese – a volerla dire così - alcuna

tessera di appartenenza, preferendo inseguire

un’idea laica del “Sacro”che ne ha fatto uomo

di fede, magari dubitante, ma di certo iper-

sensibile ai valori eterni dello spirito, che ha

potuto coltivare senza l’assillo della precetti-

stica ecclesiastica. Codesta religiosità di gior-

no in giorno ridiscussa e verificata gli valse

l’amicizia e la stima di un altro Spirito libero

della Fede, Padre David Maria Turoldo, cri-

stiano di apertura ecumenica, che seppe leg-

gere nell’opera e nella vita di Andrea Zanzot-

to i segni di una religiosità maturata attraver-

so itinerari personali, forse contraddittoria, si-

curamente sofferta ma profonda tanto da non

aver nulla da invidiare a quella che altri con-

seguono secondo i tradizionali tracciati delle

religioni organizzate in gerarchie.

Nell’interessante convegno di Praglia, i cui

Atti – pubblicati - son destinati a diventare

un passaggio obbligato per i futuri studi sul

Poeta di Soligo, oltre al confronto sul “Sa-

cro”- tema centrale dei diversi contributi cri-

tici – è emerso, come era prevedibile, anche

quello sulla non immediata fruibilità della

poesia (non di tutta, s’intende) del famoso

Poeta veneto. Riferendosi infatti alla lirica

“Sopra i Colli d’Este”, Antonio Daniele – a

voler fare qualche esempio – scrive: Non si

tratta di un componimento di facile interpre-

tazione: un certo orfismo è connaturato a

Zanzotto. Ma nessuno vorrà negare il senso

di dolorosa partecipazione alla perdita del

fratello… E Francesco Carbognin non dice

cose diverse là dove, parlando del “tipo di

scrittura” in Zanzotto, afferma: Si tratta, a

ben vedere, del “sentimento” avvertito da chi

si trova al cospetto di una dimensione sostan-

zialmente ineffabile, suscitato dalla consape-

volezza dell’insanabile contrasto tra vita e

linguaggio: tra quella che Zanzotto definisce

“vita-ustione-immediatezza” e la cifra lingui-

stica delegata, di volta in volta, a renderne

testimonianza..

Tema non nuovo, quello della “impermea-

bilità”, che già da tempo divide contrapposti

interpreti della poesia zanzottiana.

Nel merito qualche anno fa, nel N° 105 di

“La Nuova Tribuna Letteraria”, Stefano Va-

lentini scriveva:Chi, tra i sostenitori, afferma

di comprendere l’intera opera di Zanzotto, a

nostro giudizio, non dice la verità, per studio-

so illustre e competente che sia. Dall’altro la-

to chi, tra i detrattori, afferma che poiché la

comprensione è ardua o impossibile allora la

sua poesia vale poco o nulla, o addirittura

non è poesia, certamente non si è mai seria-

mente impegnato ad approfondirne la cono-

scenza, limitandosi ad una scorsa superficia-

le.

E ancora il Valentini nello stesso articolo

proponeva, per comprendere la genesi del

linguaggio poetico di Zanzotto, di partire da

una sua lirica degli anni sessanta, titolata

“L’elegia in petèl”.

Ma cos’è per Zanzotto il petèl?

E’ – il petèl – quel linguaggio pregramma-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.13

ticale che ogni bambino inventa nell’età che

precede le prime articolazioni foniche assunte

poi per imitazione dagli adulti.

Se ne potrebbe ricavare un vocabolario!

E al petèl, a un petèl che – come il fanciul-

lino del Pascoli – perdura anche nella creatura

divenuta adulta, Zanzotto, prescindendo dalle

codificate connessioni logiche e sintattiche

del discorso, cerca di rimanere legato, nella

prospettiva di conseguire un linguaggio pri-

mordiale che sia immediata traduzione in

suono della percezione del paesaggio, di quel

paesaggio fisicometafisico che è motivo do-

minante di larga parte della sua opera.

Chi scrive ritiene, in tutta modestia, che il

petèl, se è connaturato alla primissima infan-

zia, è poco immaginabile che lo si possa per-

cepire e dargli forma con eguale “verginità”

linguistica in età adulta, date le contamina-

zioni inevitabili della quotidiana comunica-

zione verbale. Ma se per assurdo fosse possi-

bile, ogni poeta non potrebbe che creare per

se stesso non potendosi ipotizzare un petèl

convenzionale che nel farsi tale contraddireb-

be se stesso!

Quanto ad Andrea Zanzotto, è da ritenersi

che, al di là di talune esasperazioni ellittiche

pur presenti nelle sue sillogi, guardasse al pe-

tèl come al segno attestante l’esistere negli

abissi del nostro subconscio (non a caso Pa-

dre David Turoldo definisce Zanzotto “rab-

domante della parola”) di uno sterminato

“giacimento”, stratificatosi a partire dalle

primissime età preistoriche, di fonemi comu-

nicativi, in cui scavare al fine di dar luogo a

un rinnovamento linguistico, che superando

tradizionali forme e schemi espressivi, gettas-

se le basi per un poetare nuovo, da mettere

meglio a punto nei tempi a venire.

Voglio tuttavia concludere fornendo un e-

sempio di come Zanzotto sapesse essere im-

mediato ed emotivamente coinvolgente anche

senza ricorrere a soluzioni linguistiche neces-

sariamente inedite. Vediamolo nel breve ri-

cordo, in prosa, del suo “loco natio” non an-

cora irrimediabilmente deturpato da un irrive-

rente progresso:

D’estate, gli abitanti di quel mondo da fia-

ba, ormai scomparso, si sedevano lungo la

via improvvisando filò all’aperto; e il dialetto

correntemente parlato dai suoi abitanti, sor-

tiva l’incanto di un continuum che fondeva

armoniosamente il linguaggio della natura al

linguaggio umano…

Lo stralcio è uno splendido esempio di poe-

sia in prosa e nasce, a parer mio, da un petèl

sotterraneo tanto più vivo quanto meno ri-

messo ad assemblaggi, per nulla evocativi, di

artificiose costruzioni fonemiche. Esso mi fa

venire a mente, per il tono malinconico che lo

pervade, il diario - ricordato dal Leopardi a

premessa del Canto notturno di un pastore

errante dell’Asia - di M. de Meyendorff,

viaggiatore russo, titolato Voyage d’ Oren-

bourg à Boukhara, fait en 1820, pubblicato a

Parigi nel 1826, dove si dice della consuetu-

dine dei Kirghisi, popolazione nomade dell’

Asia centrale, di passare le notti di plenilunio

seduti su dei massi a guardare la luna e a im-

provvisare versi tristi su motivi di pari tristez-

za.

Aldo Cervo M. Richter – M.L. Daniela Toffanin (a cura di), Il

Sacro e altro nella poesia di Andrea Zanzotto, Ed. ETS, Pisa, giugno 2013

AVRÒ OCCHI D’ANIMA

Eppur ci credo. Allora che il mio corpo

si solverà nel tetro della terra

e non avrò più occhi per vedere,

come godrò le eterne meraviglie

del nuovo mondo che mi fu promesso,

oltre questo cielo su di me sospeso,

oltre i voli silenti di rapaci,

oltre i superni tetti del pianeta?

Ebbene, avrò occhi d’anima, lo sento;

pupille intente a voli sensoriali,

vive d’intelligenza ed appagate

da prodigi, immagini, visioni,

trasalimenti edenici e stupori.

L’apparizione, sempiterna grazia,

gioirà l’approdo, senza più ritorno.

Serena Siniscalco Aprica, settembre 2013

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.14

VITA E OPERE DI

DOMENICO DEFELICE NELL'ULTIMO LIBRO DI

ANNA AITA di Luigi De Rosa

UESTA recente monografia di Anna

Aita, poetessa e scrittrice, “figlia d'ar-

te”, si rivela quanto mai utile e prezio-

sa anche per chi, come me, possiede nella

propria libreria tutte le opere di Defelice. Si

tratta di una monografia scritta con affetto ed

efficacia letteraria, ma soprattutto con accura-

tezza e precisione. Il che facilita ulteriormen-

te gli studi su Defelice, sulla sua attività poe-

tica e artistica di una vita, sulla sua instanca-

bile iniziativa di promozione culturale. Dopo

una Introduzione di Angelo Manitta, critico e

saggista, presidente della Accademia “Il

Convivio” nonché direttore editoriale della

omonima Rivista e di “Cultura e prospettive”,

la monografia si articola, ordinatamente, in

sei Capitoli: La vita 2) Le opere 3) Pubblica-

zioni di Domenico Defelice 4) Opere teatrali

5) “Pomezia-Notizie 6) Monografie per Do-

menico Defelice.

1) Il racconto della vita del poeta si snoda

dalla nascita ad Anoia (Reggio Calabria),

avvenuta il 3 ottobre 1936, fino al trasferi-

mento a Roma, poi a Pomezia, alle porte di

Roma, fino ai nostri giorni. Anzi, fino alla

gioia immensa procuratagli dalla nascita e

dalla crescita dell'adorato nipotino Riccardo

Carnevalini Milano. Il capitolo si chiude con

una toccante poesia (una delle tante già dedi-

cate a Riccardo dal nonno poeta) intitolata In

voi spontaneo, naturale che ci fa toccare con

mano la rivoluzione-sistemazione avvenuta

nell' animo e nel cuore del nonno, in uno

scambio esemplare del “testimone” fra appar-

tenenti a diverse generazioni:

“T'incanta lo schermo del computer.

Mi scruti digitare.

Seduto sulle mie ginocchia

cerchi imitarmi alla tastiera

battendo le manine alla rinfusa.

Tu e gli altri che verranno

siete figli della tecnologia.

Quel che imparato ho con fatica,

è germe in voi spontaneo, naturale.

Tu e gli altri che verranno

digitate un mio verso fra cent'anni.

Sarà il modo più semplice e discreto

per dire, con il cuor, nonno ti amiamo.”

Ho riprodotto questa poesia per un motivo

ben preciso: Il Defelice di oggi è la prosecu-

zione naturale di quello che in realtà, è sem-

pre stato: un uomo buono, innamorato della

vita e delle cose oneste e positive, un cultore

degli affetti sani, familiari, un cuore nobile,

insomma. Un poeta estremamente sensibile “

offeso dall'andazzo di un'epoca violenta e de-

ludente sotto tanti aspetti”.

Proprio per questo nella sua produzione

letteraria troviamo, così spesso, la rivolta

dell' animo contro la malvagità e l'odio,

l'invettiva o il sarcasmo contro le ingiusti-

zie e gli imbrogli, sia ai danni dei singoli

che ai danni dei popoli.

2) Le opere defeliciane passate in rasse-

gna dalla Aita sono Piange la luna, Con le

mani in croce (1962), Un paese e una ra-

gazza (1964), 12 mesi con la ragazza

(1964), La morte e il Sud (1971), Canti

d'amore dell'uomo feroce ( 1977). Tali ope-

re, più lontane nel tempo, sono rivisitate

non con esame diretto ma grazie ad un pre-

zioso libro di Sandro Allegrini ad esse de-

Q

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.15

dicato: Percorsi di lettura per Domenico De-

felice, con prefazione di Angelo Manitta, edi-

zioni de Il Convivio, 2006.

Viene poi esaminato un altro libro impor-

tante del Nostro, forse fondamentale nell' im-

pianto della sua produzione letteraria globale:

Nenie ballate e canti, Ed. Le petit Moineau

1993. A proposito dell'atroce episodio della

morte di Alfredino Rampi, caduto nel famige-

rato “pozzo di Vermicino”, la Aita scrive ( e

condivido pienamente) . “ ...il Poeta sente di

amare vivamente e profondamente questo

bambino come suo e, oppresso dal dolore,

lamenta in maniera forte il clamore incredi-

bile determinato dai mass media e la disgra-

ziata “cultura dell'apparire” che fa sì che un

tragico evento si trasformi in un'orribile for-

ma di spettacolo...”

Purtroppo da allora i mass media, in serrata

concorrenza tra di loro, non hanno fatto altro

che “peggiorare” con la rappresentazione dell'

orrore, allo scopo di aumentare lo share o la

vendita.

3) Nel terzo capitolo, dedicato alle Pubbli-

cazioni di Defelice, Anna Aita passa in rasse-

gna, con diligente e approfondito esame diret-

to e personale, opere importanti e significati-

ve come Temi umani e sociali in Carmine

Manzi (Ed. Gutenberg 1972), o come Arturo

dei colori ( raccolta di racconti edita da Po-

mezia-Notizie nel 1987). La narrativa di De-

felice è qui immersa nella delicatezza e nella

levità, nella fiaba e nella magia. Segue il gra-

devole poemetto To erase, please ?sulla di-

scrasia e presunta (o vera?) inconciliabilità tra

la spontaneità della Natura e l'artificiosità...

del computer e della Televisione...

Con L'orto del poeta (Le petit moineau,

1991) senza esagerazione, siamo di fronte a

un piccolo, autentico capolavoro. L'ho già

scritto a suo tempo, in un pezzo uscito su un

numero passato di Pomezia-Notizie, e non è il

caso che mi ripeta.

Col poemetto Alpomo (Ed. Pomezia- Noti-

zie 2000) ricordo che a suo tempo mi divertii

molto, ridendo tra me e me, ma di un riso

amaro, perché così voleva quel geniale poeta

satirico ( sì, in Alpomo Domenico è poeta sa-

tirico, e più graffiante che mai). “Alpomo”

sarebbe la povera...Italia, aggredita e violen-

tata dalla corruzione politica ed economica

come non mai nella sua storia...

Alle spalle della povera massa dei “cittadi-

ni” solo la nobiltà non sa che fare/ delle fac-

cende umili del mondo/ blindata nel Palazzo./

S'arrovella a pensare/ a chi muovere guerra,

chi defraudare/ e come suddivider le tangen-

ti,/ con chi recarsi a letto/ come trascorrere

giorni, mesi e anni / della noia al cospetto...

All'inizio dell'analisi di un altro poemetto,

“Resurrectio (viaggio nel dolore)”(Gènesi

Editrice, Torino 2004, ( storia della disavven-

tura ospedaliera del poeta per un intervento

chirurgico) la dolce Anna Aita, che oltre ad

essere una letterata e pubblicista è anche un'

operatrice umanitaria, confessa candidamen-

te: “Come scrissi in una mia recensione sul

poemetto “Resurrectio”, il mondo proposto

da Domenico Defelice, in questa sua raccolta

poetica, mi è molto caro. Sono ormai circa

trent'anni di volontariato in ospedale e ne ho

visto di tutti i colori. Per questo ho avvertito

un interesse immediato e speciale verso que-

ste pagine...”

Segue l'analisi illuminante di un altro libro

di Defelice, definito da Rosario Viola “un tri-

buto di affetto verso l'universo culturale ca-

labrese”, e cioè Pagine per autori calabresi

del Novecento (Ed. Il Convivio 2005), molto

apprezzato, oltre che da Viola, da Francesco

Fiumara, l'indimenticabile direttore de “La

Procellaria”, e da Vittoriano Esposito.

Altro libro importante di Defelice, non solo

dal punto di vista letterario-culturale, è il Dia-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.16

rio di anni torbidi (Edizioni Associate, Roma

2009), scritto e vissuto, dolorosamente, pro-

prio nella Roma degli anni intorno al 1966,

notoriamente difficili, a ridosso del Sessantot-

to.

Scrive acutamente Anna Aita : “ Un diario

vero, così come il nostro Autore ce lo affida,

potrebbe rischiare di essere banale, forse an-

che monotono. Quello del Defelice non lo è

per niente. E', al contrario, una lettura gra-

devole, accattivante, pregnante; ti conduce e

ti spinge per andare avanti per avere, alfine,

la conferma del giusto approdo dopo tanti

sacrifici...” La Aita aggiunge anche, in una

delle tante note integrative a pié di pagina che

corredano il suo saggio, che “...a parere di

Marina Caracciolo (Pomezia-Notizie, agosto

2010) “ c'è tutto intero Defelice in questo li-

bro: la personalità, la cultura, la fantasia, l'u-

manità”.

E siamo al volume di versi Alberi? , uscito

nel 2010 per i tipi della torinese Gènesi con la

prefazione di Sandro Allegrini e la posfazione

del critico-poeta-editore Sandro Gros Pietro.

“Fin dalla prima poesia - scrive la Aita - il

delizioso percorso poetico è un inno alla Na-

tura. Ogni verso profuma di verde ed è tutto

un fiorire di colori e di aromi, un trionfo del-

la terra e della vita: il sospirato Eden”. Per il

critico letterario Giorgio Bàrberi Squarotti

questi Alberi? di Defelice sono “eroticissimi,

fra emblemi e metafore, sono geniali, mirabi-

li”.

In Defelice il rapporto fra Natura e Uomo

(poeta o no) è rappresentato dalla umanizza-

zione della pianta, anzi, dell'albero, creatura

che assomiglia all'uomo anche per il suo de-

stino finale. Ma è tutta la Natura a trionfare.

Mi permetto di rimandare a quanto modesta-

mente ho scritto, con entusiastica ammirazio-

ne, su questo libro, anche in una delle prime

puntate della mia rubrica I poeti e la Natura,

che ogni mese appare su “Pomezia-Notizie”.

4) Nel capitolo quarto, come già detto, la

scrittrice si occupa delle Opere teatrali di De-

felice. E lo fa con felice esegesi, sostanziata

di puntuale documentazione, nei riguardi del-

la commedia Pregiudizi e leziosaggini (v. Il

Croco, settembre 2008). “Defelice è sempre

stato affascinato dal teatro – scrive tra l'altro

la Aita – Risiedendo a Roma, fino al 1970 ha

avuto modo di assistere a tante rappresenta-

zioni teatrali, anche come invitato in qualità

di corrispondente di varie testate: La voce di

Calabria, Il corriere di Reggio, la Voce del

Mezzogiorno, Alla Bottega, e, per ben quin-

dici anni, Avvenire...( specie nel celebre Tea-

tro Ambra Jovinelli)...

L'analisi della Aita si fa ancora più pene-

trante nei riguardi di Silvina Olnaro ( Il Cro-

co, marzo 2009), un dramma in tre atti dedi-

cato alla dolorosa storia di Eluana e di suo

padre che, disperato, aveva staccato la spina

in presenza di un “sonno” che sembrava or-

mai irreversibile. Un tremendo dramma di

coscienza (si può decidere della vita o della

morte di un altro essere umano? Specie se

giovane?), che impegna al massimo la mente

e la sensibilità umana e sociale del Defelice

uomo e scrittore. Giustamente viene notato da

Anna Aita che “la teatralità in Defelice ha

sempre contaminato poesia e prosa. Teatrale

infatti è pure il poemetto To erase, please? E,

ancor di più, Alpomo, come teatro sono tutti i

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.17

brani dei Dialoghi all'esca (Pomezia-Notizie

1989), lavoro apprezzato anche dal grande

Indro Montanelli, che scrisse: soprattutto per

la forma, l'ho trovato originale. I dialoghi dei

personaggi mettono in risalto una ricerca di

linguaggio molto accurata (…) Il tutto esalta

storie che rispecchiano la società odierna;

storie tristi e purtroppo ricorrentissime...”

5) Il capitolo quinto è dedicato alla Rivista

Pomezia-Notizie. “Abbiamo parlato delle o-

pere di Domenico Defelice – conclude la Aita

– e non possiamo certamente prescindere da

un altro grande capolavoro del nostro perso-

naggio: il mensile letterario “POMEZIA-

NOTIZIE, da lui fondato e diretto dal 1973..

.Un giornale puntuale, senza lusso e colori

sgargianti, ma tutto scelto, per evitare inutile

dispendio e offrire al fruitore di tutto e di

più...Nata per la cronaca locale e distribuita

gratuitamente, dopo pochi anni è stata dirot-

tata completamente sulla cultura, mantenen-

do, però, la vecchia testata per non perdere il

suo patrimonio storico. Nel 1990 ha modifi-

cato il suo formato tabloid per assumere

quello attuale, più simile al libro e divenendo

in pochissimo tempo una rivista di nicchia,

apprezzata in ambito non solo nazionale...”

La Aita riporta anche numerosi giudizi posi-

tivi espressi su Pomezia-Notizie da parte di

altre Riviste letterarie italiane, prima fra tutte

“La Nuova Tribuna Letteraria”, di Padova (

fondata da Giacomo Luzzagni, un valoroso

insegnante siciliano trapiantato in Veneto, ed

ora diretta dal figlio Natale e da Stefano Va-

lentini) una rivista che offre i suoi ricchi con-

tenuti in una veste graficamente molto ele-

gante. Ebbene, secondo NTL Nuova Tribuna

Letteraria, “Pomezia-Notizie, nonostante la

veste dimessa, è una delle riviste culturali e

letterarie più interessanti d'Italia”, giudizio

ulteriormente ribadito dal Direttore responsa-

bile Stefano Valentini, secondo il quale “Po-

mezia-Notizie è una delle riviste migliori in

assoluto che si pubblichino in Italia. La veste

grafica è essenziale, d'accordo, ma la ric-

chezza e la qualità dei contenuti hanno dav-

vero pochi eguali, come dimostra anche l'ec-

cellenza dei nomi dei collaboratori...”

6) L'ultimo capitolo del libro della Aita è

dedicato alle “Monografie per Domenico De-

felice”, con l'esame delle opere di Sandro Al-

legrini (Percorsi di lettura per Domenico De-

felice), di Leonardo Selvaggi ( Domenico De-

felice e le sue opere etico-sociali) di Orazio

Tanelli (Domenico Defelice) e di Eva Barza-

ghi (tesi universitaria intitolata Domenico De-

felice: introspettivo coinvolgimento poetico-

letterario dell'animo umano, con cui la Bar-

zaghi si è laureata in Letteratura Italiana e

Contemporanea nel 2009 presso l'Università

di Roma-Tor Vergata.

Ovviamente, all' elenco delle Monografie si

dovrà ora aggiungere questo libro di Anna

Aita.

Luigi De Rosa Anna Aita - “Domenico Defelice, un poeta aperto

al mondo e all'amore” - Ed. Il Convivio, Castiglio-

ne di Sicilia, Catania, giugno 2013, pagg. 94, € 12.

Immagini: 1) Roma, Sala dell’Immacolata, Piazza SS. Aposto-

li: Domenico Defelice e lo scrittore e poeta Angelo

Manitta, il 28 ottobre 2006.

2) Roma Eur, Palazzo delle Esposizioni: Domenico

Defelice mentre firma un suo volume alla poetessa e scrittrice Rosangela Zoppi Tirrò, il 10 dicembre

2004.

3) Pomezia, Aula Magna dell’Istituto Statale d’Arte, 18 ottobre 1986: Domenico Defelice pre-

mia la poetessa romana Patrizia Fontana Roca.

4) Roma, Centro Letterario del Lazio, in via Meru-lana, il 27 gennaio 1987. Da sinistra a destra: il Pre-

side prof. Giacomo Mangano, la scrittrice e poe-

tessa Ada Capuana - pronipote di Luigi Capuana - e Domenico Defelice.

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.18

Le promesse dei giorni di

ANNA MAGNAVACCA di Nazario Pardini

vventure verso significanti che vanno

oltre gli etimi.

Mi piaceva la luna d’avorio che baciava

prima del sonno i fiori del ciliegio

Plaquette di due sillogi, questa nuova av-

ventura letteraria di Anna: Le promesse dei

giorni e altri versi e Madre; trae il titolo dalla

raccolta eponima. Devo dire innanzi tutto che

il dipanarsi del dettato lirico si mantiene su

livelli di alto spessore per architetture tecnico

verbali e per varietà di contenuto. Un’opera

che evidenzia gli stilemi tipici della vis crea-

tiva della poetessa, e che segna una tappa di

continuità nel percorso artistico della stessa.

Percorso connotato da una maniera di sentire

e di dire che rende unica, inconfondibile, e

personale la sicurezza del ductus poetico. Sil-

loge arrivante, quindi, coinvolgente per il tat-

to delicato con cui l’autrice mette a nudo il

suo essere donna, il suo vivere e il suo vissu-

to. Per la coscienza inquietante di veleggiare

su un fiume segnato da correnti ora ripide, ora

placide e trasparenti, ora rilucenti di guadi da

cui appaiono ristagni di antiche memorie. E l’

anima di questa poesia è tutta in una simbio-

tica fusione fra abbrivi meditativi e versifica-

zione che, per contenere tanto pathos, si av-

venturano in iperboli di acribia speculativa

che vanno oltre le stesse regole della comune

sintassi. Il verbo si fa ora duttile, ora nervoso,

ora placido, ora audace in questo suo adatta-

mento, in questo suo farsi corpo per abbrac-

ciare l’anima del canto. Veri azzardi lingui-

stici, dunque. Elegie semantiche colorite da

tanto sentire. Avventure verso significanti che

vanno oltre gli etimi. E’ così che prendono

forma tante figure care. Evocazioni ad inva-

dere gli spazi sottostanti del pensiero:

“(…)

Coperta il mio cuore

su pezzi di dolore, vento la mia voce.

Oltre il sole messaggi a mia madre, a mio

padre,

a quanti ho amato e perso

e mi tocca contare – aggiungere le perdite

in questo cerchio mai chiuso…” ( Un giorno

d’autunno),

in un linguismo che fa della semplicità l’arma

vincente. Linguismo che si avvale di incastri

e di nessi creativi che raggiungono “pointes”

di grande valenza partecipativa. Con un ardo-

re allusivo di metafore che si apre ad una po-

lisemica significanza ora di tensione orfica,

ora, anche, dai toni epico-lirici:

“(…)

Resto sola,

sento lo scricchiolio di una stella

che s’arrampica sull’alba” (Un sabato);

“(…)

Sento il silenzio

chiede di bere al calice di madreperla

della notte” (Una domenica);

“(…)

Avanza il buio.

Voglio pensarti libera barca

in cerca di un faro di bianco corallo” (Un

giorno di lutto);

“(…)

Appoggio il mio cuore

sull’orlo di una pietra” (Un giorno di prima-

vera).

E tutto si svolge in forma ampia e narrativa.

Come se la poetessa sentisse la necessità di

un modus dicendi disteso per ri/vestire un re-

soconto di totale intimità. Un resoconto da

redde rationem, zeppo di vicissitudini uma-

namente infinite. Umanamente troppo umane

nel loro aveu diretto. Nel loro sperdimento

evocativo. Nel loro abbandono ad una realtà

osservata, captata, e decantata in un animo di-

sposto a farla rivivere contaminata del suo pa-

tema. Del suo senso della vita. Di una certa

stanchezza, anche, per come corrono le cose:

A

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.19

“Non devo, non voglio

oggi giorno qualunque

fare bilanci della mia vita

altrimenti lancerei tutto

su un arcobaleno,

uno di quelli che vedi

un batter d’ali

e poi ti chiedi dove può essere finito

così, senza avvisaglie.

Negli occhi quei colori scomparsi

così in fretta…” (Un giorno qualunque).

Qui presente, passato, e futuro si embrica-

no indissolubilmente in una soluzione di reale

impatto quotidiano:

“… Sul tavolo

alta la zuppiera dall’orlo d’oro

bollicine nei concavi bicchieri.

Fuma e crepita il caldo intingolo,

accese sono le luci

il melo ha messo i fiori

(…)

Il gatto ha già mangiato

e si è addormentato” (Un giorno di festa);

“(…)

Questa mia vita

non mi dà grave avviso

ma quell’insistente corrosiva stanchezza

delle stesse notti…” (Un giorno qualunque).

Una consuetudine quasi scontata. Un vivere

i fatti come se si succedessero senza novità

alcuna, come se si presentassero con quella

abitudinaria quotidianità a cui è d’uso parte-

cipare. Ed è da questi fatti che la Nostra sente

la necessità di svincolarsi per azzardare voli

oltre, oltre certi spazi che segnano il limen del

nostro vivere, che segnano notti che lacerano-

consumano:

“(…)

E’ un cielo con l’arcobaleno fermo

che io cerco,

mi sussurra di una farfalla su un ramo

della pensierosa bianca fronte della luna

dello sposalizio della sera con il silenzio

e salire salire salire…” (Un giorno qualun-

que).

Sì, è là che la Nostra vorrebbe volare, oltre

la terra, in cuore all’azzurro, in braccio ad un

arcobaleno da cui mirare la terra rimpicciolita

nei suoi travagli e nelle sue sottrazioni. Ed è

l’imperfetto che spesso domina con il suo

fervore nostalgico, per cui tutto sembra liscia-

to e ingentilito da una memoria che fa persino

presente un tempo sfuggito. Che fa di un con-

fronto, una lirica di struggente richiamo:

“Mi piaceva avere capelli rossi labbra ver-

miglie

occhi di canto sbavati di rimmel,

sentire il passo pieno, il fiato caldo della vita.

Mordere sulla pelle il vento il fuoco

(…)

Mi piaceva sdraiarmi nella rugiada

(…)

Mi piaceva la luna d’avorio che baciava

prima del sonno i fiori del ciliegio.

Adesso mi offro da bere latte caldo

metto all’orecchio una conchiglia bruna,

profumo d’incenso il mio scialle (labirinto di

rose)…” (Donna ieri – oggi).

Realtà cruda, di cui la poetessa si ciba per

concludere bilanci di amare sottrazioni. Ma

reagire con il sogno è forza umana. Ed il so-

gno fa parte della vita, ne è nerbo essenziale.

Ed è meravigliosamente umano abbandonarsi

ad orizzonti senza confini:

“Mi piace inventare primavere improvvise

sognando aperti orizzonti.

Vorrei fare collane di pietra” (ibidem).

C’è in questi versi la piena coscienza del

senso eracliteo del tempus fugit, della fuga

del giorno. Ed è così che la Nostra si intrufola

nei minimi particolari, nelle cose più sempli-

ci, nelle piccole occasioni dell’esistere per

farne poesia a pieno titolo etico-estetico. E’ la

vita con tutta la sua portata che si fa serbatoio

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.20

di un realismo lirico convincente, votato a

sottrarre le bellezze agli annichilenti artigli

del tempo con la poesia. Poesia in cui una

malinconia sotterranea fa da terreno fertile

per la fioritura di un canto sintonizzato alle

corde di ogni cuore:

“Oggi non ride il mio mare,

nere vele

stendono parole ferite.

(…)

Arrivano battono chiudono…

volto mani cuore

madre mia.

Ultimo appuntamento.

Senza pietà .

Avanza il buio.

Voglio pensarti libera barca

in cerca di un faro di bianco corallo” (Un

giorno di lutto).

Sì, le cose semplici, quelle di ogni giorno:

la camicia di lino, il treno, il gatto, le fette bi-

scottate, una ninna nanna, il latte caldo, tacchi

a spillo, un fazzoletto bianco ad animare e a

rendere umile questo messaggio di vita e di

amore che tiene in sé la complessità dell’ es-

ser/ci: il tempo, i luoghi, i perché, il memoria-

le, il rimpianto e la piena coscienza di questo

breve spazio che impietoso logora e consuma

anche quelle bellezze che pensavamo eterne.

Bellezze che la natura potente, colorita, irru-

ente, dolce, di pulcritudine ammaliante, con-

tribuisce a rendere visive, pronta a favorire l’

effusione sentimentale della poetessa. A ren-

dere patologico il di lei mondo interiore, av-

volgendolo ora di un mare che non sorride,

quando si fa più triste il pathos del canto, ora

di rivoli di neve e rosse case, di fusione di

cielo e ciliegi, quando il verso è frutto di una

tale esplosione estatica da fare appoggiare il

cuore sull’orlo di una pietra. Sì, un mondo di

amore, soprattutto. Quell’amore che si vive a

pieno leggendo les pièces più crude, più ama-

re; perché la Magnavacca ama la vita, ed un

risentimento è umano quando la vita stessa

sembra tradirci. Risentimenti che, però, non

esistono nelle liriche rivolte a “una madre”

che “Nel mistero della vita/ in sconosciuti la-

birinti/ sa andare/ giada e sole”, o a madri che

“sognano aquiloni colorati/ per i loro figli”

anche se “soltanto pochi/ riescono poi a tene-

re l’aria”. Una serie di liriche rivolte alla ma-

dre senza cadere nella retorica. Riuscendo la

poetessa a non scivolare in quel campo mina-

to in cui potrebbe portare questo tipo di ar-

gomentazione. E lo dimostra in quel X Inter-

mezzo della II sezione (Madre) che nella sua

essenzialità condensa il focus di un Poema:

“Ancora madre

chiamerò

nella memoria gli anni belli”

XXI poesie dal sapore elegiaco, anche que-

ste, che si snodano su un tessuto confidenzia-

le e intenso di riflessioni e repêchages di qua-

dri e spaccati che mettono in gioco madre e

madri senza mai cadere di tono sia a livello

emozionale che strutturale. Una andatura eti-

mo-fonico, di euritmica musicalità che prende

sostanza e vigoria lirica ex abundantia cordis.

Che sboccia nei giardini ora del reale, ora del

sogno per decollare verso dolci e delicati ap-

prodi a convertire in gaudio le lacrime. Con il

solito dire narrativo, dal respiro ampio e me-

ditato, espanso ad abbracciare un’anima tutta

volta all’amore, la poetessa sviscera tutto il

suo sentire, sostanziato da fatti ed episodi che

la memoria riporta a galla con grande traspor-

to. Ed è in questi ritorni che la Nostra trova

tutto il riposo del suo essere. Che trova l’ al-

còva dei suoi spazi esistenziali. Perché sono

proprio le immagini che assumono connotati

e dimensioni completamente rielaborate in

seno alla scrittrice. D’altronde la realtà è una

cosa, ma l’immagine viene dopo, dopo anni,

ingrandita, trasformata, a lievitare dentro per

farsi vera poesia:

“(…)

Anche mia madre mi aspettava

ma come i figli

delle amiche di mia madre

molte volte restavo impigliata

in sogni di mare

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.21

mentre mia madre

riempiva la mia assenza di dolce stupore.

Amavo mia madre

e adesso ancora amo mia madre

che non è più (Erano tutte madri…).

Ed è questa semplicità sconcertante, trapun-

ta di impennate creative, a nutrire un “Poe-

ma” monotematico che riprende fra le mani il

bandolo di un passato, cristallizzandolo in

poesia. Memorialità, stupefazione, un po’ di

tristezza, anche, per dei propositi incompiuti:

“Dicevo a mia madre

che l’avrei portata

con me

in viaggio –

Parigi o Vienna o Londra.

(…)

Mia madre

non ha visitato

né Parigi né Vienna né Londra.

Le è bastato il sogno.

(…)

E’ stato avaro il tempo…

esalava umido odore di terra

e in mano stringeva

un mazzo di crisantemi” (Dicevo…).

E si succedono liriche di grande intensità

umana, di grande coinvolgimento emoziona-

le: un climax tematico che tende ad ampliare

sempre più gli orizzonti forse non completa-

mente ultimati, irraggiunti; orizzonti di una

vita in cui le sottrazioni, anche se arginate dal

sogno, vincono sulle realizzazioni:

“(…)

Mia madre

aveva il respiro nelle sue mani,

un respiro

fatto di fatica di anni di dolore

e di quell’esplosione di bellezza

delle madri.

E le sue lentiggini…

Impietoso il tempo.

Quelle lentiggini

le ritrovo oggi nelle mie mani (Non posso

dimenticare).

Quel tempo che ritorna impietoso nei versi

della nostra a logorare le cose più sacre. E

quando si tratta di vedere questa decadenza

negli occhi e nel viso di una madre ancora più

forte, quasi indicibile, il sentimento d’ impo-

tenza che proviamo di fronte al potere peren-

torio dell’ora e del giorno sulla materialità del

nostro esistere. Sul naturale evolversi dei pro-

cessi naturali.

Ed essere madre a sua volta permette ad

Anna, forse, di comprenderne con più tensio-

ne e maggiore intensità il ruolo. Anche se re-

sterà sacro nel nostro cuore, insuperabile, e-

semplare nella nostra mente, quello di una

mamma scomparsa, la cui immagine conti-

nuerà a brillare di una luce diamantina sui

percorsi del nostro vivere:

“(…)

Figli che amo,

forse ricambiata

ma

a volte li sento lontani-stranieri

come fiori

in un sogno invernale

(…)

Riusciranno poi a rubare

musica all’oscurità, luce alle stelle

voce all’aurora?

(…)

E’ difficile essere madri,

anch’io lo sono

e so quanto è tortuosa

la strada di una madre” (Anch’io sono ma-

dre).

Nazario Pardini Anna Magnavacca: Le promesse dei giorni e altri

versi - Edizioni Helicon. Arezzo. 2013. Pp. 66

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Page 22: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.22

SILVANO DEMARCHI

Occaso di Liliana Porro Andriuoli

CCASO (Salerno, Edizioni Cronache

Italiane, 2012) è il titolo di una recen-

te raccolta di versi di Silvano Demar-

chi, un titolo che esplicitamente allude al

momento del “tramonto” della nostra vita:

evento per tutti carico di intensa drammatici-

tà. Demarchi, infatti, che negli anni giovani

era portato, in quanto uomo, a guardare alla

morte come cosa estremamente lontana, quasi

non lo riguardasse, ora, giunto al suo “occa-

so”, prende coscienza che la parabola terrena

assegnatagli sta ormai per completarsi e che

tra non molto dovrà scomparire dalla scena

del mondo. Ed è appunto quello della tristez-

za per la brevità della nostra vita (insieme a

quello del rimpianto per gli anni della giovi-

nezza, che con tutti i suoi beni sempre più si

allontana) che costituisce uno dei motivi fon-

damentali di questo suo nuovo libro. Emble-

matici risultano a tale proposito i versi di

Friedrich Hölderlin, da Demarchi posti in e-

sergo al volume: “A noi non è concesso / po-

sare in nessun luogo. / Scompaiono, cadono /

i miseri mortali, ciecamente / travolti da una

in altra ora, come l’acqua / che precipita di

roccia / in roccia nell’ignoto, / per sempre”

(Quando il sole tramonta).

Allo stesso motivo del veloce fuggire del

tempo, e quindi della precarietà e labilità del

nostro esistere, è ispirata anche la poesia d’

apertura della silloge, Fiore solitario, nella

quale la visione di un magnifico fiore

all’apice del suo “splendore” (ancora più bel-

lo per il suo ergersi “solitario” sopra i “bassi

arbusti” che gli stanno intorno) ricorda al

poeta che, fra pochi mesi l’estate sarà finita

ed anche quello splendido fiore (come, d’altra

parte, “ogni altro fiore”) comincerà “ad av-

vizzire”. È questo un pensiero che lo rattrista,

in quanto sa perfettamente che, simile a quel-

la del fiore, è la vita dell’uomo, costretto a

“nascere, splendere nella giovinezza / e len-

tamente appassire…”: un destino che incom-

be su tutti noi.

Un concetto, questo, che d’altra parte s’ af-

faccia pure in altre poesie della silloge; si ve-

da ad esempio Tutto è scomparso, dove il po-

eta, dopo aver rievocato momenti felici un

tempo vissuti, tristemente constata come “col

volgere degli anni” tutto sia andato perduto; o

si vedano ancora Franz e Declino, due poesie

nelle quali a rattristare Demarchi è l’aspetto

irrimediabilmente mutato che hanno assunto,

a causa dell’avanzare dell’età, due suoi cari

amici. Avviene così che, incontrando per la

strada Franz, l’amico che un tempo gli era più

caro1, quasi non lo riconosca e non abbia

nemmeno “il coraggio” di fermarlo: “Ti tene-

vo/nella memoria giovane, snello/e di sorri-

dente aspetto./…/Ed ora che ti ho visto passa-

re/così diverso da allora, dolce amico, / non

ho avuto il coraggio di chiamarti” (Franz).

Sorge spontanea la domanda, qui come al-

trove, se a Demarchi manchi il “coraggio” di

accettare la vecchiaia dell’amico oppure, a

fargli paura, sia invece la propria, riflessa in

quella dell’amico. Difficile a dirsi: innega-

bilmente viva (anche se forse non completa-

mente scevra da un senso di immedesimazio-

ne nell’altro) è, però, la sua tristezza; e altret-

tanto sincero, il sentimento di umana simpatia

che prova di fronte a colui che da giovane “Si

guardava compiaciuto allo specchio” per pre-

pararsi “alla gara”, mentre “Ora”, che il tem-

po lo ha irrimediabilmente cambiato e il suo

aspetto ha perduto il passato splendore, “allo

specchio non si guarda più” (Declino).

Tuttavia accanto a queste poesie in cui

prende campo la tristezza per ciò che la vec-

chiaia irrimediabilmente comporta (in verità

numericamente inferiori a quelle di alcune

sue precedenti sillogi, quali ad esempio Fo-

glie d’autunno2 e Luci al crepuscolo3), ne

troviamo altre in cui il nostro poeta dimostra

di possedere ancora una sorprendente vitalità,

che si manifesta non solo nel fluire limpido e

1 “Du bist mein enziger Freund”, “Tu sei il mio u-

nico amico”. 2 Cassino, Ed. Centro studi “Eugenio Frate”, 2003. 3 Recco, Genova, Le mani 2006.

O

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.23

sicuro del verso, ma anche nel modo in cui

affronta una tematica vasta e differenziata.

Così, da vero poeta quale egli è, Demarchi sa

nuovamente darci, anche in questo suo recen-

te libro, testi nei quali predomina l’aspetto

luminoso del mondo.

Si veda in proposito l’esultante gioia che ci

comunicano gli “agili pattinatori” di Feldkir-

che (“… nel bosco di betulle / su uno spec-

chio di cristallo / agili pattinatori esultano /

nell’ora della gioia”)4. Si veda anche la sere-

nità che emana dai versi di Limpido lago, una

poesia che si apre con una splendida visione

naturalistica: “Passeggiando nel bosco / di

carpini e pini, d’improvviso, / si dischiuse un

limpido lago”, dove bimbi “saltellavano vispi

/ con gridi di gioia” e giovani si pavoneggia-

vano trionfanti, mentre alcune fanciulle, “a-

dagiate” in riva al lago, prendevano il “sole

del mattino”. Tutti erano lieti di poter godere

del dono di una serena giornata estiva (“Per

tutti si annunciava / una giornata di calma fe-

licità”).

E la gioia che può far vivere la natura a

quanti sappiano apprezzarne l’eloquente fa-

scino s’incontra sovente nei versi del nostro

autore. Neve ad esempio si apre con la descri-

zione della profonda pace comunicata dalla

visione della neve di recente caduta sul pae-

saggio circostante: “Questa notte a sorpresa /

è caduta la neve, / si è posata sui tetti, / ha co-

perto i campi e le vie”. Unico desiderio del

poeta in quel momento così tranquillo è di

poter “Dormire come il pino / incappucciato”

e “silente” e “godere la pace di quest’aria /

immobile e fredda…”.

D’altra parte, come il motivo dell’amore

per la natura, affiorava sovente in molte poe-

sie di Demarchi fin dalle sue prime prove, co-

sì anche ora corre sotterraneo in molte di que-

sta sua nuova silloge. Si leggano ad esempio

aperture quali: “E’ gremito di stelle il cielo /

in questa notte di agosto” (Notturno) o “Sulla

costa protesi i lecci guardavano / l’abisso del

4 Può essere divertente ricordare che Feldkirch, una

cittadina medioevale situata nell’Austria occidenta-le, è famosa per il suo team di hockey su ghiaccio,

vincitore della Coppa dei Campioni nel 1997/1998.

mare” (Capri), che ci rendono intatti il suo

stupore e la sua meraviglia di fronte alla natu-

ra.

Quasi con prepotenza lo stesso motivo ri-

torna in Vita nel bosco, un testo suddiviso in

sei strofe, dove il rispecchiarsi dell’animo

dell’autore nel mondo esterno dà luogo ad e-

siti di freschissima resa poetica, come: “Sulla

soglia ascolto / il frusciare delle fronde / e tut-

to si placa dentro di me” (Ho affittato una ca-

panna); “Rivedo gli alberi, il sentiero / che lo

scorso autunno ho lasciato / nella loro muta

presenza” (Filtrano i raggi del sole); “Un ba-

gliore di fiamma / è il tramonto” (Un bagliore

di fiamma); ecc.

La perdurante vitalità di Silvano Demarchi

si manifesta inoltre intatta nel suo “irrefrena-

bile” desiderio di viaggiare: nel suo insop-

primibile desiderio, tuttora immutato, di co-

noscere terre nuove e nuove genti: “Esilaranti

sorprese / ci riserva il domani / e forte è il ri-

chiamo / di terre lontane, / perché / conoscere

è vivere” (Andiamo!). Una delle sue poesie

più riuscite in tal senso è Istanbul, nella quale

il suo pensiero corre a questa città da lui visi-

tata anni addietro e nella quale ebbe modo di

ammirare non soltanto i meravigliosi tesori d’

arte, ma anche di godere lo splendido pano-

rama sul Corno d’oro, come avvenne a To-

pkapi: “Vorrei tornare a Topkapi / su quell’

aerea terrazza / da cui si apre la vista / di I-

stanbul coi suoi tetti / che diventano oro al

tramonto / e la tremula marina del Bosforo”.

Sempre viva s’affaccia poi in lui la sugge-

stione delle memorie che la visione di quei

luoghi gli ha saputo suscitare: “… ci apparve-

ro / nel cielo di ardesia galoppanti / guerrieri

saraceni e cristiani / e opulenti sultani attor-

niati / da splendide schiave, Gran Visir / astu-

ti e potenti, ed anche / gli Armeni condotti in

catene / a morte”.

Anche altri sono tuttavia i motivi, da De-

marchi abitualmente sviluppati in passato,

che vengono qui felicemente ripresi, quale ad

esempio quello della solidarietà verso il pros-

simo, che emerge però in questa silloge in

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.24

modo un po’ diverso dall’usuale (forse più

paterno) in una poesia come Georg, nella

quale l’autore racconta di come riuscì a salva-

re un giovane tedesco inesperto da una brutta

avventura in cui stava cadendo ad Alessan-

dria d’Egitto: “Ti salvai parlando nel tuo i-

dioma / e portandoti via. Era un’afosa / sera

d’estate dall’aria tremolante, / dal colore di

perla”. Oppure in poesie come Girovagare di

notte, dove incontriamo “uomini / che hanno

stampata sul volto / la solitudine” e, senza al-

cuna precisa meta, si aggirano nella notte, i

quali molto da vicino ci ricordano alcuni in-

dimenticabili clochard di precedenti sillogi e

soprattutto l’“umanità rassegnata, gettata alla

deriva”5 che il poeta era solito incontrare not-

tetempo girovagando per gli “angiporti” delle

città visitate (che erano quasi sempre città di

mare).

In un libro dalla varia tematica come Occa-

so non potevano mancare poesie di ispirazio-

ne religiosa. Ad esse è infatti dedicata l’ ulti-

ma sezione, intitolata L’Amato, che si svilup-

pa in sette testi. Qui la Divinità assume vari

aspetti e la sua spasmodica ricerca dà luogo a

liriche ricche di una forte tensione e portatrici

di felici esiti, com’è specialmente della se-

conda, nella quale Essa appare nella veste di

un pellegrino che, “lacero e stanco”, beve

“l’acqua alla fontana / dal cavo della mano”.

Egli è addolorato per tutti coloro che lo hanno

abbandonato nel suo faticoso cammino, fatto

di notti trascorse all’addiaccio e di percorsi

che lo hanno condotto a varcare “il limite vio-

la dei monti”, inoltrandosi su vie che andava-

no “contro tramonti d’oro”. Ora egli è solo,

ma sa che il suo destino è quello di dover an-

dare avanti, anche se nessuno lo segue.

Particolarmente significativa appare inoltre

la quarta di queste poesie, nella quale l’autore

così si esprime: “Ogni mattina / Lo attendo /

sulla sponda / vestita di rugiada. / E mentre

stremato passa / (esile zattera / che uno stuolo

di nere / anatre sorvola) / segretamente Lo

5 Stupore, Cerro al Volturno (IS), Ed. Centro studi

“Eugenio Frate”, 2000.

guardo, / finché le pupille / bruciano. // Per

questo / l’anima trema / quando fa giorno”.

Com’è evidente il Dio incontrato da Silvano

Demarchi è un Dio sofferente a causa dell’

indifferenza degli uomini; ma il poeta che ne

avverte la presenza Lo ama e a Lui si affida,

attendendo con ansia che Egli giunga. Così

nella settima ed ultima composizione può

confessargli: “E ora che dei miei giorni / sono

giunto alla fine, / aspetto paziente / il Tuo ab-

braccio mortale” (Tu sei il Signore a cui mi

sento). “Allora, Tu sarai sulla soglia, / ad a-

spettarmi” egli dice: e sarà quello il giorno

del suo ingresso nell’Eternità.

Come sempre, un libro di alto livello, que-

sto Occaso di Silvano Demarchi, ed anche di

profondo sentire, che degnamente viene ad

aggiungersi ai suoi numerosi già editi.

Liliana Porro Andriuoli

VIOLETA PARRA

4 de octubre*

"Por suerte tengo guitarra

para llorar mi dolor." Violeta Parra

No te olvidamos, reina

de la canción chilena,

musa de cuantos te han oído

cantar por la revolución socialista.

No la alcanzaste a ver,

pero inundaste la tierra

de poetas y cantautores revolucionarios

y tu destino ha sobrevivido

en la patria fecundada con tu canción.

Algún día despertaremos

con el ideal de la justicia para todos

y viviremos sin las clases económicas

que separan el pueblo y las naciones.

Violeta Parra, ¡feliz cumpleaños!

Teresinka Pereira USA

*La cantautora chilena Violeta Parra nació el 4 de

octubre de 1917 y se suicidó el 5 de febrero, 1967.

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.25

IGNAZIO BUTTITTA

Il poeta in piazza di Nicola Lo Bianco

UANDO si pensa a Ignazio Buttitta, la

prima immagine è quella di una piazza,

di un pubblico, di un attore che occupa

prepotentemente la scena. Si pensa ad un e-

vento teatrale.

L’immagine dell’evento teatrale è immedia-

ta, spontanea, non solo e non tanto per la fi-

gura del “poeta in piazza”, ma perché la poe-

sia di Ignazio Buttitta nasce essenzialmente

per essere, come dice Contini, “eseguita”,

cioè teatralmente rappresentata.

La strofa, la misura del verso, il ritmo, non

sono dettati dalla ricerca di una formalizza-

zione lirica, ma rispondono ad una esigenza

teatrale.

La poesia per Buttitta non sono parole con

le quali riempire la pagina.

La parola è un semplice flatus vocis, fino a

quando non si fa corpo, gesto, voce, fino a

quando non si trasferisce viva e vibrante in

chi ascolta.

Potremmo dire, come accade nei momenti

magici che il teatro riesce a produrre, che la

poesia di Buttitta è corale, nel senso che è po-

esia in atto, creazione, che per reggersi pre-

suppone una componente indispensabile, un

co-autore:lo spettatore.

Come ben sapevano i Greci, anche per que-

sto nostro poeta poesia è poiéo: fare, agire,

suscitare.

E vien fatto di pensare a Lu Hsun, il grande

scrittore rivoluzionario cinese, al suo rovello

per il tragico/ridicolo della parola “spettro”,

della parola che rimane al di qua dell’azione,

e non è nulla finché, appunto, non diventa a-

zione.

C’è un passo nella prefazione a “Il poeta in

piazza” molto significativo.

Dice il poeta:<Pensavo tutte le volte alla

possibilità di trasformare la recita in un di-

scorso più nettamente politico, ma non riu-

scivo a trovare il linguaggio adatto>.

E si capisce:prima di ogni altra avventura

intellettuale, Buttitta, come Lu Hsun, è un

poeta. E’ vero, se avesse potuto, non avrebbe

scritto un solo rigo. Ma naturalmente non po-

teva.

Non poteva ingannare se stesso e con se

stesso quel popolo, dentro il quale era capace,

come ebbe a dire, di “pescare pesci vivi”.

Eppure il dubbio, il cruccio, forsanche il

rimorso del privilegio di essere poeta, di tanto

in tanto percorreva il suo fare poetico: ”U

rancuri”, scritta nel ’69, è la più alta e com-

movente testimonianza di questo suo stato d’

animo.

L’essere il “poeta in piazza”, possiamo

supporre, fu un nobile, incoercibile compro-

messo.

Sappiamo del suo amichevole dispetto

quando, ad es., Sciascia o Vittorini gli chie-

devano di poter leggere con gli occhi in silen-

zio il componimento, prima di ascoltarlo dal-

la sua viva voce.

In questo senso e più profondamente, anche

rispetto all’essere poeta che sta dalla parte del

popolo, Buttitta è poeta popolare, l’ultimo

grande poeta popolare, figlio legittimo della

secolare cultura orale del mondo contadino,

quando, come dice Sciascia, “il poetare coin-

cideva con l’esistere”.Cioè, con la vita quoti-

diana, nell’alternanza di gioie e dolori, di ac-

cadimenti seri o buffi, entro un orizzonte for-

se meno ampio (ma è assunto questo tutto da

verificare), ma sicuramente più autentico e

profondo nel delineare lo stile e il destino di

un popolo.

Non a caso, la più grande poesia di Buttitta

trae spunto dalla cronaca, dalla tragedia di

Portella al ridicolo delle corna del marito tra-

dito.

Il grande merito, la modernità e la grandez-

za di questa poesia è nell’avere innalzato, tra-

sfigurandola, la cronaca a evento storico,

nell’avere tramutato la storia particolare di

questo o quel personaggio, che non fanno sto-

ria, in un emblema di una civiltà superiore, in

simbolo di un riscatto umano e civile.

Turiddu Carnivali o Rosa Scordu, sarebbero

nomi, come i tanti oggi, soprattutto oggi, di-

Q

Page 26: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.26

menticati.

Il poeta li ha tolti dall’oblio della cronaca e

ne ha fatto portavoce della parte migliore dei

siciliani.

E di loro il popolo si ricorda come epopea

che gli appartiene.

Questo volevamo dire per dire che uno

spettacolo su Buttitta ci sembra l’omaggio più

conveniente per onorare la sua memoria.

Nicola Lo Bianco

POMEZIA-NOTIZIE E I SUOI 40 ANNI

40 Anni di splendore,

40 Anni d’amore

donato dal nostro amato Direttore.

Tutti i suoi numerosi lettori

ogni mese gioiscono

e s’immergono col batticuore

tra le fosforescenti pagine

di POMEZIA-NOTIZIE

che vola con le ali delle parole

dappertutto, per regalare la gioia

della meravigliosa lettura,

in pagine consacrate

alla festa della letteratura.

Una semplice Rivista,

creata 40 anni fa da un Poeta,

Scrittore, Pittore e ammiratore

delle buone notizie

che a braccia aperte diffonde,

il Nostro Insuperabile Domenico Defelice,

che tanta felicità ha sparso per il mondo

con POMEZIA-NOTIZIE

e il suo girotondo.

Son 40 anni che POMEZIA-NOTIZIE

circola a tutto tondo,

da molti anni arriva pure in Australia,

l’isola più grande e più lontana,

ma con la nostra Lingua Italiana,

più vicina che mai alla nostra Italia.

Arriva col cinguettìo

del kookaburra e del parrot,

dei picchi, delle gazze e dei pappagalli

e il venticello ballerino,

POMEZIA-NOTIZIE

canta come un bell’uccellino,

un uccellino che vola tra l’azzurro

cantando l’inno australiano

e l’inno italiano,

sotto questo sole che scaglia

i suoi raggi sulle pagine

del nostro capolavoro,

per ricordarci che è il nostro tesoro.

Giovanna Li Volti Guzzardi Melbourne, Australia, 5 – 9 – 2013

L’INCONTRO

In quella Londra che io tanto amo

e che giorno per giorno io scoprivo

a me vicina per il suo rispetto

di usanze e tradizioni e per l’immensa

varietà di interessi che mi offriva;

in quella vecchia Londra dove allora

mi sono conosciuta ed ho provato

la gioia di vagare alla scoperta

di nuove genti e usanze e nuova lingua;

in quella vecchia Londra ove ogni giorno

in una sala da concerto oppure

in una chiesa o un parco o per la via

sempre ascoltavo musica …

Là ti ho trovato un giorno,

forse in mia attesa dietro una finestra,

at number 90 di West Cromwell Road.

E anche se molto tempo è ormai passato

sempre ricordo il nostro primo incontro,

il tuo sorriso e la tua voce dolce,

e ancora in me rivive oggi il lampo

che illumina da allora la mia vita.

Mariagina Bonciani Milano

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

26/9/2013

Mentre a New York Enrico Letta rappresen-

ta l’Italia, a Roma deputati e senatori del

PdL minacciano le dimissioni in massa per

difendere Berlusconi. Non ci sono più stati-

sti né patrioti, da noi, ma solo buffoni.

Domenico Defelice

Page 27: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.27

GIOACCHINO BELLI E LA PLEBE ROMANA

di Leonardo Selvaggi

I

IOACCHINO Belli nasce a Roma nel

1791 da famiglia piccolo-borghese. Si

riflettono nella sua tormentata perso-

nalità le tracce lasciate dai contrastanti carat-

teri dei genitori, che perde nel giro di pochi

anni. La madre vivace, elegante, il padre rigi-

do e scontroso. L’infanzia e l’ adolescenza

vissute con periodi alternati di benessere e di

miseria. La fuga da Roma occupata dai Fran-

cesi e la miseria trovata a Napoli, l’agiatezza

subentrata al ritorno del Papa. Rimasto orfa-

no, ha una vita di stenti e di desolazione. Si

adatta ai più umili impieghi, pubblici e priva-

ti. Per molti anni è impiegato in un ufficio

della curia. Inizia la sua attività letteraria.

Frequenta le accademie romane, l’ Ellenica,

l’Arcadia, la Tiberina. Si dedica soprattutto

alla poesia dialettale. Conosce il Porta, quan-

do si intensifica la sua opera di poeta. Il for-

tunato matrimonio con la vedova Maria Corti

gli assicura benessere, la possibilità di viaggi,

di nuove conoscenze. Entra nell’ambiente uf-

ficiale della società romana. La produzione

dei sonetti in romanesco si concentra dal

1831 al 1837, con qualche ripresa fino al

1849, mentre procede in concomitanza con

quella in lingua arcadica e raffinata. I sonetti

in dialetto sono 2279, tutti dedicati alla plebe

romana, pubblicati dopo la morte dell’autore.

Opere minori del Belli sono poesie in lingua,

varie traduzioni, un vasto Zibaldone e un Epi-

stolario.

II

Dopo il ’48 la sua attività di censore teatra-

le, esplicata con esagerato rigore. il Rigoletto,

il Macbeth e il Mosè. Arriva con esasperata

critica a rinnegare gli stessi suoi sonetti. La

sua è una sensibilità di grande umanista con

minuto verismo, nei sonetti ritrae la vita ro-

mana prima del 1849. Contro i vizi, i soprusi,

l’ignoranza dei grandi e del clero. Fuori dai

pregiudizi e dagli schemi vede il reale. Con il

linguaggio violento, spietato del popolo de-

nuncia l’ingiustizia e la miseria che dominano

in Roma papale. La sua è una voce di ironia,

di scetticismo, di ribellione, di rassegnazione

senza speranza, solo nel turpiloquio vede la

via di liberalizzazione dalle esulcerazioni di

un animo esasperato. Nella sua opera si parla

del papa, della bibbia, della religione, della

ricchezza smodata e della povertà diffusa nel

popolino che è interlocutore, primo protago-

nista. Si espongono le condizioni di un popo-

lo negletto, superstizioso. Il Belli non inter-

viene mai né commenta né trae conclusioni,

fa agire i vari personaggi. Il giudizio morale

come risultato delle considerazioni che si

fanno sui falsi, antiquati, abominevoli ordi-

namenti politici e sociali. La raccolta dei so-

netti si ispira soprattutto ai sentimenti di amo-

re e di pietà per gli umili. Uno stato di abban-

dono, i riflessi di un’epoca in rovina. Il lato

moralistico è quello che costituisce la nota

dominante della letteratura del Risorgimento.

Gioacchino Belli è un popolano come il Por-

G

Page 28: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.28

ta, ma è più amaro. Gli scandali e i modi di

essere delle classi privilegiate formano quadri

delineati con cinismo. Il suo odio è invetera-

to, la sua indignazione è fredda, racconta con

linee essenziali, con una voce rabbiosa, avve-

lenata. Nei sonetti è descritto il Papato che ha

perduto ogni decoro, senza principi, corrotto,

immorale. Un malcostume che penetra negli

strati più bassi della società. Come il Porta, il

Belli va in fondo alle verità, ma con osserva-

zioni più minute e metodiche. E’ un raccogli-

tore di documenti umani.

III

La vita della Roma contemporanea in tutti i

suoi aspetti con la violenta capacità di giudi-

zio. Spirito anticlericale contro il governo

pontificio, presentato con macchiette e figu-

razioni caricaturali. Una vita stagnante, in pu-

trefazione, in pagine fra le più naturali e sati-

riche della nostra letteratura. Con il Belli una

abbonante e molteplice quantità di scene,

siamo lontani dalla sinteticità di Carlo Porta

milanese, che in un numero minore di com-

ponimenti delinea più numerose figure di per-

sonaggi inconfondibili. Anche il Belli ha una

sua originalità in un’opera troppo diffusa e

particolareggiata. I grandi personaggi e la

gente umile formano un tutt’uno. L’odio per

le classi ricche è giustificato dal loro perverso

comportamento e dalle tristi condizioni in cui

si trovano i popolani abbandonati a se stessi,

affamati e disperati. Con estrema oggettività

trattati sia i plebei che i patrizi, i fatti parlano

da sé, davanti agli uni il tono è squallido, da-

vanti agli altri è irruente. Gioacchino Belli, un

grande poeta, con acutezza vede la sua amata

città in un’atmosfera afosa, immobile, ottusa,

tumultuosa. Siamo nell’ultimo periodo del

potere temporale.

IV

I sonetti del Belli costituiscono un monu-

mento di poesia, una testimonianza che rima-

ne fissa nella storia dei costumi della capitale.

Un narratore il Belli di grande efficacia espo-

sitiva, coglie le fasi culminanti, un ritrattista

che sa penetrare in tutti i particolari. C’è della

tragicità nell’espressione violenta. uno stato

di avvilimento si comprime nella sua interio-

rità di elevata sensibilità davanti alle tante

deprecabili disparità sussistenti fra le classi

sociali. Contraddizioni che non si concepi-

scono. Il Belli si è formato sugli illuministi

francesi settecenteschi riformisti. Tanto ana-

cronismo in tempi di romanticismo. Impiega-

to discretamente retribuito, vive con una sua

dignità, per un ventennio con agiatezza, so-

stenuto da una moglie ricca. Se il Porta è in

pieno accordo con l’ambiente culturale in cui

si muove, il Belli, invece, è costretto a vivere

in modo sotterraneo nella Roma papalina che

attraversa una delle fasi più deprimenti della

sua storia sotto il pontificato di Gregorio XVI

(1831 - 1846). Gioacchino Belli è vicino alla

vita, alla mentalità, alle concrete situazioni

della plebe romana, trova in mezzo a questa

quasi un rifugio. L’ambiente è monotono,

non si può agire per niente, oppressive sono

le presenze di alcuni cardinali, reazionari, ti-

rannici. Abbrutimento accanto al popolino

abbattuto, si rendono possibili una saggezza

amara, sconsolata, o una protesta fatta di di-

sperazione. Si ritiene opportuno abbandonarsi

al riso, senza riuscire a liberarsi da certi pre-

sagi di fine, di completo catastrofico dissol-

vimento. Senza remissione ci si scaglia con-

tro il falso, il convenzionale.

V

Il Belli è autentico poeta, la sua arte è

spontanea, rifiuta artifici e ogni forma di ipo-

crisia, si sente popolo con uno spirito di os-

servatore risentito e implacabile. La vita della

Roma del suo tempo la vede come un gran

carnevale, sostanzialmente tenebroso, anche

nei momenti di baldoria. Trae aspetti lugubri,

surreali con espressività sofferta e drammati-

ca. Gioacchino Belli è a volte conservatore, a

volte ribelle, ora anarchico, ora favorevole al

patriziato, ora plebeo. Reazionario e sosteni-

tore dell’uguaglianza. Il tempo della Repub-

blica Romana del 1849 lo trova sconvolto,

nemico di ogni novità, in piena contraddizio-

ne con se stesso, vuole che i suoi stessi sonet-

ti vengano bruciati, è il canonico Tizzani che

Page 29: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.29

riesce a mantenere salva un’opera letteraria

importante per il momento storico che rap-

presenta. Diverse sono le interpretazioni che

si danno alla sua opera. Alcuni la considerano

fuori del suo tempo, quindi moderna: la me-

diocre Roma di Gregorio XVI non può dare

contenuto alla sua poesia, il suo genio poetico

si sottrae agli aspetti razionali e storici. Altri

critici la legano all’ambiente che si vive, ve-

dendo i sonetti realistici. Il Belli si trova in

una Roma arretrata, fuori di ogni novità e

progresso, vuole per il popolo riforme in mo-

do passivo, senza la sua partecipazione. Una

società meno ingiusta, più confacente alle e-

sigenze degli umili. Al contrario del Porta,

non sa vedere lo sviluppo di una società in

modo integrale. C’è una contraddizione tra

ragione e istinto. La sua satira, quando si av-

venta nella sua volgarità, nell’insulto è frutto

di repressione interiore, viene non da un at-

teggiamento ideologico, ma da un gusto

spontaneo di schernire, da un senso di spirito

anarchico, in piena irruenza personale, con

acerrima avversione alle norme di una società

organizzata. Al popolo plebeo romano il Belli

attribuisce i suoi stessi istinti e i suoi senti-

menti di acrimonia ferocia e di comprensione.

La ribellione che si manifesta nella risata, in

espressioni audaci non costituisce azione. E’

un ribellismo dell’immaginazione. I sonetti

non costituiscono solo un mondo profanatore,

hanno una realtà che va ad incontrarsi con l’

umanità di Gioacchino Belli, la cui arte non è

inerte, ma esprime sete di verità, prende il so-

pravvento sugli istinti, si fa sostanziale ogget-

tività, diventa autentico realismo. Il Belli, rat-

tristato da un umiliante conformismo nei so-

netti ha la forza di una satira bellicosa contro

lo stato miserevole in cui la Roma papale da

secoli si trova condannata a vivere. Gioacchi-

no Belli muore a Roma il 1863.

Leonardo Selvaggi

ESSERCI

Esserci

anche quando

la sofferenza lacerante

ti pulsa dentro

indifesa ... impotente

anonima tra insignificanti pensieri

cammino su un binario d’incertezze

furente

lascio le mie lacrime calde di dolore

a scorrermi sul cuore

pochi i battiti … che intensi

si arrendono alla sorte

fatta di un’assurda realtà

dove la vita è morte

e la morte è vita.

Lorella Borgiani Ardea (RM)

SOGNI

Vanno, vengono si trattengono

come treni veloci, lenti, in sosta,

abbandonati in vecchie stazioni.

Curiosi si affacciano al crepuscolo

entrano, escono, si scambiano

trasportando emozioni, amore, angoscia, tri-

stezza, gioia.

Agitano, paralizzano, cullano, illudono,

la ragione eludono.

Svaniscono come miraggi non appena apri

gli occhi.

Colombo Conti Albano Laziale

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

6/10/2013

La strage di Lampedusa “una tragedia im-

mane” secondo la Rosy Bindi, non colpa del

Governo in carica - come per il passato -,

ma della Bossi-Fini e di Berlusconi non del

tutto ancora sotterrato.

Domenico Defelice

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.30

CARLO CIPPARRONE: IL POETA E’ UN CLANDESTINO

di Elio Andriuoli

AUSTICO nei giudizi ed essenziale

nella forma, il nuovo libro di versi di

Carlo Cipparrone, Il poeta è un clan-

destino (Edizioni Di Felice, Teramo, 2013, €

12,00), si rivela come una penetrante rifles-

sione sulla poesia dei nostri giorni, della qua-

le coglie i mali alla radice in maniera lucida e

convincente.

La raccolta ha un valore essenzialmente sa-

tirico, dato che tende a rivelare tutto ciò che

di falso e di arbitrario è stato fatto nel Nove-

cento in nome della poesia. Si tratta però di

una satira pensosa e sofferta, perché Cippar-

rone ama intensamente l’arte del dire poetico

e si duole per tutto ciò che la ferisce e la sof-

foca.

Il libro si articola in diverse sezioni: Le pa-

role non bastano; Il disordine delle parole;

Le parole non cadano dall’alto; Poesie sulla

poesia di questi anni; Invettive; La comune

strada, ognuna delle quali affronta un argo-

mento nel più ampio discorso sulla poesia e

sulla sua condizione attuale, che dimostra nel

nostro autore una sicura attitudine critica, ca-

pace di scandagliare a fondo l’argomento trat-

tato.

Così, sin dalle prime poesie s’incontrano

versi quali: “Scrivere è opporsi, resistere”

(Scrivere è opporsi) che possono essere intesi

sia come la capacità del poeta ad opporsi alle

intimidazioni di chi vuole arbitrariamente det-

tar legge in poesia sia come la sua capacità di

opporsi al nulla mediante la parola poetica.

La penna “è un’arma sottile / al servizio del

bene e del male” dice Cipparrone, così come

possono esserlo un bisturi o un coltello, capa-

ci di salvare una vita o di distruggerla. E la

poesia può essere per chi la pratica un “amore

taciuto” e persino un vizio; mentre per i più

nasce da un “desiderio di comunicare”, di

tendere le mani verso gli altri.

L’autore ci parla in questo libro di quella

che è la sua idea di poesia e del suo modo di

coltivarla. Egli, ad esempio, ci dice che scrive

“per dar voce ai pensieri” (Scrivo dimenti-

candomene) e che a volte distrugge le sue

“vecchie carte” perché le ritiene superate

(Vecchi versi). E ci dice anche che scrive e ri-

scrive “non per lasciare il segno / ma per sta-

nare il tarlo / dalle fibre del legno” (Togliere i

chiodi) e che vive rinchiuso in se stesso,

sporgendo cauto la testa dal guscio, come la

tartaruga (Come la tartaruga), consapevole

che “la vita ha refusi incorreggibili”. D’altra

parte egli sa che “dalla deriva del corpo / a

salvarsi è solo l’anima / e una tardiva saggez-

za” (L’ora precipita), che “la poesia è

un’immensa casa senza pareti” e che “è pri-

vilegio vivere nella sua libertà”.

Mentre però nella prima sezione, Le parole

non bastano, Cipparrone parla essenzialmen-

te di sé e della sua concezione della poesia,

nella seconda, Il disordine delle parole, passa

a criticare aspramente coloro i quali “impa-

stano parole / come creta informe” (Ci sono

poeti). Si tratta in verità di letterati più che di

veri poeti, i quali all’ordine logico contrap-

pongono “il disordine delle parole”, affastel-

lando immagini e frasi prive di senso e usan-

do frasi “asfittiche”, zeppe “d’oscure metafo-

re” ed “ermetiche allegorie”, sicché alla fine

pervengono ai “funerali della poesia” (Il ca-

davere del significato).

Contro costoro Cipparrone lancia i suoi

strali, osservando che per fare della vera arte

“non vale abolire le virgole, / punti, cambiare

accenti, / scardinare grammatica e sintassi”

(Se il cielo ha le cateratte), e che non è lecito

“violentare il linguaggio” per conquistare no-

torietà (Sperando che la semplicità torni ad

essere stile).

Nelle sezioni terza e quarta della raccolta,

Le parole non cadano dall’alto e Poesie sulla

poesia di questi anni, Cipparrone approfondi-

sce la sua analisi della poesia dei nostri gior-

ni, nella ricerca della poesia eterna, senza de-

terminazione di tempo e di luogo. Interessanti

sono a questo proposito alcuni versi di questi

testi che costituiscono un invito alla consape-

volezza da parte del poeta di quelli che sono i

propri limiti: “Se il nostro vero compito/è

C

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.31

quello di scrivere,/svolgiamolo con umiltà”

(Le parole non cadano dall’alto). E’ noto in-

fatti che ci sono molti avventurieri della poe-

sia che credono di avere un grande talento:

“Ci sono troppi poeti/a screditare il mestiere”

(Resterà calvo il mondo). Cipparrone esorta

poi i poeti a non usare “la metafora per viltà /

per sospetto d’intelligenza” e a non pretende-

re troppo dai propri versi (Altri verrà).

Nelle Invettive, che costituiscono la penul-

tima sezione, la parole del nostro poeta si fa

più pungente e più acuminato il suo verso,

come avviene in Epitaffio per un poeta liber-

tino, che così termina: “Cambiò spesso metro

e stile / così come mogli e amanti” o in A un

poeta logorroico, che così si conclude: “C’è

chi ha il vizio / di fumarsi cento sigarette al

giorno, / chi di scrivere migliaia di versi all’

anno”.

Cipparrone però, da vero poeta, è capace di

fare anche dell’ironia su se stesso: “Poesia,

sono un tuo figlio, / spurio, illegittimo, inde-

siderato / che tuttavia esiste / e invano cerchi

di nascondere; / sono la tua vergogna, / prova

del tuo giovanile peccato” (Anch’io t’ appar-

tengo).

Da ultimo La comune strada, dedicata a

Carlo Betocchi, conosciuto da Cipparrone in

occasione di un viaggio compiuto da questo

noto poeta a Cosenza. Durante il suo soggior-

no in questa città Betocchi confidò a Cippar-

rone che “c’era nell’italica triade / dei sommi

poeti del tempo / chi godeva d’eccessiva fa-

ma” (Betocchi) e gli diede anche altre notizie

su Piovene e sul suo Viaggio in Italia, oltre a

fargli intuire il suo animo di uomo appartato e

schivo. Cipparrone conclude: “Capii allora

che il destino / dei poeti è nascondersi, / che il

poeta è un clandestino” (Ivi, 4).

Un libro profondo quest’ultimo di Carlo

Cipparrone, Il poeta è un clandestino, che,

pur ribadendo il valore incontestabile della

poesia, pungola e ridimensiona molti che la

praticano forse abusivamente, dandoci tutta-

via delle linee guida per coltivarla nel modo

migliore, al fine di raggiungere risultati non

effimeri.

Elio Andriuoli

IL COLORE DEL VUOTO

Attimi di cecità o di silenzio.

Poi, l’arrotolarsi su di sé di ogni cosa,

il dissanguarsi della memoria,

il sonnambulismo e l’amnesia,

lo specchio uniforme e immemore

che sta tra la vita e il sogno,

tra il sogno e il sonno-morte...

E il pensare al domani con distacco.

E la gelida solitudine e il vuoto...

Soprattutto, il colore del vuoto,

che è, di tutti, il più indelebile...

Il colore del vuoto immaginato

come espansione di ghiaccio

sulla vita dell’uomo.

Una vera e propria glaciazione,

che assume varie trasparenze

in questa esistenza che tende,

ora al gomitolo, ora alla spirale,

ora alla martellata lentezza,

ora alla mirabile contemplazione

del nulla...

Il colore del vuoto!

Il più triste, il più amorfo,

il più spento dei colori.

Un sogno negativo ed esasperante.

Un vento che fa evaporare i sogni.

Un distruttore violento

di ogni recidiva speranza.

Flavia Lepre Arona, NO

LA COMETA

Allarmò la notte

la sfera di fuoco

che emerse lacerando il buio

metallica luminosità,

regina del silenzio

un balsamo lento, rugiada d'argento

fino a che l'occhio contemplò

il corpo celeste, la nutrì il tenero cielo,

fra costellazioni afflitte,

vibrò il suo regno di suoni celesti

e pianse sola nell'immenso spazio.

Adriana Mondo Reano, TO

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.32

PAOLA LA PICCOLA di Paola Insola

AOLA non sapeva che il suo nome si-

gnificasse “piccola”, ma aveva pochi

anni e già la sua fantasia si era rifugiata

in quel giardino che si affacciava su una stra-

dina sassosa, percorsa, due volte al giorno, dal-

le pecore in periodico andare verso il pascolo.

Un mondo, il suo, circoscritto da un cancello e,

dentro, i fiori e, tra i fiori, tante vite per la sua

immaginazione.

Spesso si chiedeva come facessero le rose,

che in boccio avevano i petali ben distesi a

formare un cono rovesciato, a sbocciare pie-

gando la corolla all’esterno. Forse, concluse,

per accogliere la rugiada, perché ogni mattina

lei potesse ammirare l’incanto di quelle goc-

cioline sul ricettacolo del fiore. Spesso, con le

manine a conca, accoglieva una rosa e vi af-

fondava le labbra per dare un bacio alla bellez-

za.

Si chiedeva pure dei garofani rosso porpori-

no e del perché dei lembi dentati del fiore. Da

crochi, bianchi e violetti aveva il primato

dell’emozione a primavera, quando i loro peta-

li si schiudevano tra le foglie secche che ave-

vano scaldato la terra in inverno. Amava la pu-

dica riservatezza delle violette che facevano

capolino tra i fili d’erba.

Così piccola, si era impratichita a riconoscere

i profumi del giardino; chiudeva gli occhi per

trovare fino in fondo il cuore dei suoi fiori.

Quando venne il tempo andò a scuola, ma

non si distingueva per profitto. La sua fantasia

volava sui numeri, per lei connessi alle foglie,

ai petali dei fiori, alle zampe degli insetti... So-

lo le poesie erano studiate con particolare de-

vozione e recitate con garbo. Qualche volta

cambiava una parola del testo e quando veniva

ripresa dalla maestra, diceva semplicemente

che la sua versione della poesia aveva un “suo-

no migliore”. Spesso l’ insegnante sorrideva,

ma non sapeva comprendere quella bambina

che nei componimenti non trovava le parole.

Paola aveva difficoltà a descrivere la grande

emozione che ogni giorno viveva nel suo giar-

dino, ad occhi aperti, ad occhi chiusi, a mani

aperte sul velluto dei petali. Lei, ancora così

piccola, sapeva entrare nel talamo dei fiori

foggiati a coppa, nel turbante del tulipano, nel-

la vanità del narciso, nella voluttà della calla.

Le rose erano le sue inseparabili, preziose

amiche. Si fermava incantata su ogni girandola

di corolla, ne fissava le sfumature e con le dita

seguiva la delicatezza dei lobi, fino agli stami

dai lunghi filamenti. Immaginava di poter en-

trare nel fiore lungo il pistillo e di trovare ripo-

so tra i peli cotonati dei semi. Il nido, nell’ ova-

rio della rosa, era la sua immaginaria piccola

dimora, dove poteva trovare la ragione per re-

stare minuta e visitare la bellezza.

Un giorno trovò le parole, ma la strada oltre

il cancello era stata asfaltata. Dietro la siepe di

ligustro il giardino continuava ad offrire un

fantastico indizio di bellezza che i libri non

contenevano.

Paola e il suo piccolo mondo. Paola che non

voleva crescere perché fuori dal cancello le au-

tomobili passavano veloci. Dentro il cancello

la quiete, i petali che s’inarcano, coccinelle sui

calici dei gigli... Cresceva la sua emozione in

un viaggio sempre nuovo con la bellezza.

Incominciò a contemplare i pensieri, unirli in

corimbi per farne dono. Continuò a credere

nella fedeltà delle piccole cose. Imparò ad u-

scire dal silenzio e ritornare al silenzio e poi

compose il tempo che ha un inizio e una fine.

Si nutrì, assaporando a lungo le parole prima di

consumarle. Compose l’accordo tra il senso e

tutti gli altri suoi sensi e armonizzò molecole di

suoni per cantare l’incanto.

Quando scoprì il significato del suo nome,

già sapeva coniugare i pensieri, ma comprese

la realtà velata nel “tragitto di volo di una paro-

la”*. Come la piuma fuggita al passero, così la

parola s’allontana, si impenna, si eleva, ritor-

na... si posa, s’innalza ancora. Se non si appi-

glia a qualcosa il suo volo può essere incessan-

te. Solo un piccolo cuore può catturarla nella

griglia dell’armonia.

Paola. Nel suo piccolo mondo ancora la tro-

vate. Offre poesie a quelli che passano sulla

strada asfaltata.

Paola Insola * “Chi può prevedere il tragitto di volo di una pa-rola?” Virginia Wolf

P

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.33

Luci della capitale di Noemi Lusi

IL CAMBIAMENTO...

INVOLONTARIO

UANDO usciamo per andare al lavoro

può capitare che siamo parzialmente

addormentati, lievemente preoccupati

o fortemente stizziti tanto che percorriamo il

nostro tragitto con il distacco apatico che ci

pervade al risveglio.

Le macchine scorrono intorno a noi, ci pre-

cedono o ci seguono come ogni giorno da an-

ni e soltanto un atteggiamento scomposto o

scorretto ci riporta al reale, ma proprio e solo

per il tempo necessario per chiedere scusa se

da noi è dipeso o per incrementare il tasso di

fastidio che langue nel nostro subconscio.

Non diamo occhiate attente né ai negozi che

dovrebbero essere già aperti, né all’edicola

dove qualcuno di fretta scende, paga, prende

e riparte. Insomma ciò che ci circonda ci ri-

sulta ovvio, non stimolante, immutabile, in

qualche modo e quindi non oggetto della no-

stra attenzione.

Dunque, potremmo dire superficialmente e

avventatamente che in fondo tutto intorno a

noi svolge la sua funzione in una serie senza

numero di puntate ripetitive che talvolta sono

dirette da persone semplici, ma che sanno

mantenere il ritmo della normale, pacata vi-

talità.

Se ci concentriamo un attimo di più, se u-

sciamo dal nostro semi-isolamento quotidia-

no, non sfugge al nostro sguardo che le vettu-

re in strada sono certamente diminuite, per-

ché altrimenti continueremmo a rimanere in-

vischiati sul raccordo anulare con maggiore

frequenza di quanto non accada ormai da

tempo.

Posto, poi, che allargando lo sguardo si

conferma in modo netto questa ipotesi, non è

difficile dedurre che forse l’aumento del

prezzo del gasolio e della benzina esercita un

ruolo non marginale.

Poiché l’attenzione attivata si amplia e si ri-

genera, si comincia a notare anche che l’ im-

magine del ristorante di medio livello, che

ancora si sceglie di frequentare anche se

molto più raramente di quanto non fosse pos-

sibile nel recente passato, non è più caratte-

rizzata dall’affollamento di prima. Sovviene

allora che ai molti camerieri che sfrecciavano

nella sala da un tavolo all’altro, se ne sono

ora sostituiti due soltanto, in piedi eretti come

si conviene, ma tendenzialmente inerti.

Diversamente da prima, inoltre, sfila, nel

tempo, personale di ogni età, dal non più gio-

vane trentacinquenne ai vari immigrati, che

vengono evidentemente chiamati occasio-

nalmente, al dignitoso, attento, attempato si-

gnore che lavora con una precisione nei modi

e nelle intenzioni che costituiscono quasi e-

sclusivo retaggio di un ormai non più recente

passato.

Quando ciò o altro è stato notato, si aprono

scenari frequenti a conferma di queste osser-

vazioni. Andando a fare la spesa al supermer-

cato di zona, mi accadeva quotidianamente in

passato di incontrare una persona, presumi-

bilmente padre che, accompagnato da una

bambina, chiedeva l’elemosina davanti alla

porta d’ingresso del grande magazzino.

Certe immagini si ricordano soltanto quan-

do vengono sostituite e quando si nota che al

posto di una persona ce ne sono quattro – an-

che un giovane di colore, una adolescente, un

anziano discreto nell’approccio e qualche

passo più in là, forse per timidezza o speran-

do di colpire di più l’attenzione o, anche

questo è possibile, perché non gli viene per-

messo di avvicinarsi in prossimità degli altri

vista la forte concorrenza in questa attività, si

rimane decisamente scossi.

Sicuramente ad ognuno di noi non è sfuggi-

to il vuoto inquietante negli scaffali che corri-

sponde all’offerta particolarmente vantaggio-

sa di cui evidentemente si avvalgono i clienti

molto mattinieri.

Ci capita, ancora, di rilevare che non tutti i

negozi al mattino aprono per un lungo perio-

do. Non sappiamo il perché ma, da quanto

poi si ha l’occasione di sentire dai vari servizi

Q

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.34

radiofonici e televisivi, deduciamo che forse

quando saranno riattivati non ci saranno gli

stessi venditori, ma altri che a loro volta ten-

tano di avviare un piccolo esercizio commer-

ciale per guadagnarsi la sopravvivenza.

Con l’osservazione della realtà che ci cir-

conda non si intende tracciare un quadro pes-

simista, ma soltanto evidenziare comporta-

menti cui gli italiani sono costretti ad attener-

si non riuscendo a modificarne la causa. Il di-

battito sulla ‘responsabilità’ è sempre aperto

ma, talvolta, si ha l’impressione che non si

giungerà prossimamente ad una soluzione ac-

cettabile in tempi brevi.

Nel frattempo, i giorni passano e ci vedono

operosi tessitori di una tela che, per quanto

ben lavorata, risulta sempre troppo corta,

malgrado l’impegno, le competenze e la vo-

lontà.

Non ci resta che continuare a ‘fare’, osser-

vando e fortemente sperando di non rimanere,

come spesso accade quotidianamente al tele-

fono con servizi di comune utilità, in lunghis-

sima, estenuante, demotivante, assolutamente

sterile, anche se operosa, attesa.

“CIAK - C’ERA UNA VOLTA

UN GENIO... AZIONE...”

UALCHE secondo e scompare un’ a-

nima… Un microsecondo e proprio

non c’è più un punto di riferimento per

il cinema intero, una pietra miliare del fir-

mamento dei grandi di un’ Italia talvolta divi-

sa, ma sempre unita dal e nel coraggio, sem-

pre coesa nel dolore, sempre solidale con chi

soffre…

Incommensurabile tristezza in Via dei

Gracchi. Il grande Carlo Lizzani, noto regista

dei nostri tempi, non c’è più. Dicono che

scompare per sua volontà, ancora una volta,

come sempre, abile artefice del suo destino,

ancora sceneggiatore del suo copione, triste-

mente direttore di sé…

Era una persona che avrebbe voluto diven-

tare scrittore e si è proclamato regista, che

spesso, in più di un’occasione, amava sottoli-

neare che un ragazzo dei suoi tempi viveva il

cinema come dominato dalla figura dell’ atto-

re o da quella della casa di produzione, ma

non certo da chi il film lo dirigeva. Era un

giovane della sua epoca che, appartenente ad

una famiglia della media borghesia, si era av-

vicinato a questo mondo, per sua stessa di-

chiarazione, attraverso frequentazioni dome-

nicali del cinema Barberini di prime visioni di

film a prezzo ridotto.

Era amante della scrittura anche, ma non

solo, perché abituato a vivere la passione nu-

trita dal padre che aveva il piacere di redigere

articoli che venivano pubblicati sul Giornale

d’Italia, la Tribuna, il Messaggero, giornali

del tempo e perché aveva, da anima sensibile,

saputo percepire il dispiacere vissuto dal ge-

nitore per non essersi potuto dedicare, a causa

del suo lavoro, a questa attività in modo più

intenso. Avrebbe voluto in qualche modo, per

sua stessa asserzione, poter portare a compi-

mento il suo desiderio.

Era una uomo che ad un’intervista del mar-

zo 2009 aveva risposto che di progetti ne a-

veva tanti, sia cinematografici che per la tele-

visione che riteneva un veicolo di prodotti di

qualità e di ricerca.

Era un individuo consapevole che alla do-

manda relativa alla sua esperienza di parti-

giano rispondeva che, durante l’occupazione

tedesca a Roma, già in contatto con amici più

grandi di lui, provò a svolgere un’attività di

resistenza, nell’ambito dell’organizzazione

studentesca clandestina, diventando dirigente,

organizzando scioperi e bloccando anche l’

università, attività che fece maturare in lui in-

teresse verso questa tematica tanto da costitu-

ire l’oggetto, nel 1951, del suo primo film

‘Achtung! Banditi!’ sulla situazione a Geno-

va.

Era una figura che vedeva il cinema come

qualcosa che richiede amore sviscerato e no-

tevole sacrificio, forse proprio per la precarie-

tà ad esso inevitabilmente connessa, che con-

sigliava ai nuovi registi, per poter produrre a

livelli di eccellenza, di rimanere assolutamen-

te in ‘collegamento con gli altri linguaggi’,

Q

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.35

con quello dei pittori, dei musicisti, di curare

la scrittura dei copioni per assicurarsi la pos-

sibilità di trovare consensi, di leggere molto,

per poter scrivere in maniera ‘corretta, affa-

scinante’…

‘Una persona serena, distesa, ti mette a tuo

agio’ fu la definizione di Dario Fo di un paio

di anni fa, ‘uno che conosce il cinema, che

ama il cinema, non solo ma anche proprio un

grande storico del cinema’ quella di Giancar-

lo Giannini, ‘un uomo colto e sensibile’ quel-

la di Giuliana De Sio, ‘soprattutto un uomo

vero’ quella di Giovanna Ralli, ‘mi piacque

subito il suo stile, il suo modo di girare…’,

quella di Michele Placido, un uomo che ‘ti dà

una grande tranquillità’ nelle parole di Franco

Nero, che ha ‘una classe tutta sua, tutta parti-

colare’ secondo Stefania Sandrelli, ‘un regista

che sapeva dirigere gli attori molto bene’ co-

me asseriva Virna Lisi…

E’ questo uomo che oggi è venuto a manca-

re e che ha lasciato e lascerà un grande vuoto

non solo presso i suoi familiari, il cui dolore

rispettiamo e cui vanno le nostre più sentite

condoglianze, ma anche presso il suo pubbli-

co, non più giovanissimo, i suoi ammiratori,

che ne hanno osservato le gesta, i suoi colla-

boratori che hanno avuto il privilegio di vive-

re ed assorbire la sua enorme esperienza, la

gente comune che ne ha apprezzato il valore,

gli studenti che hanno avuto modo di ascolta-

re le sue conferenze, il popolo italiano che è

fiero di poterlo annoverare fra i propri grandi.

Ciao, Carlo! Grazie e … sarai sempre con

noi.

UNA “GEMMA” D’UOMO,

UN SIGNORE ATTORE 07 ottobre 2013

RA un appassionato del cinema ame-

ricano, ragazzo nell’epoca in cui le

storie avventurose erano portate sul

grande schermo proprio da attori come Gary

Cooper, Burt Lancaster o, più tardi, da Mar-

lon Brando… La generazione del dopoguer-

ra, finito il fascismo, visse il periodo in cui il

film statunitense ruppe gli argini per inondare

gli italiani di novità e modernità.

Giuliano Gemma si definiva uno del dopo-

guerra, la cui infanzia era stata travagliata,

divisa fra studio e necessario lavoro, lo sport,

la ginnastica artistica, il pugilato e fu proprio

la base atletica in suo possesso che gli permi-

se di farsi notare come valido stuntman dal

cinema italiano, giungendo perfino ad essere

scelto, poi, da Billy Wilder in ‘Ben Hur’,

comparendo quindi fra attori del calibro di

Charlton Heston e Stephen Boyd.

Successivamente lavorò con Blasetti, poi

con Tessari nel famoso film Cult ‘Arrivano i

Titani’, sempre grazie alle sue doti acrobati-

che procedette nella sua carriera con tanti re-

gisti che lui stesso asserì essere stati suoi

grandi maestri.

Si distinse poi nel Gattopardo di Visconti, a

lato di Alain Delon ed in un’intervista asserì

che essere su quel set risultò estremamente

interessante anche per il modo di procedere

del regista, così esigente, come ogni grande

professionista.

Si fece notare nel genere del western all’ i-

taliana, prima snobbato, oggi recuperato a li-

vello mondiale, ma non volle accontentarsi,

continuando a cambiare genere per l’esigenza

di esprimersi in modo diverso, per la curiosità

di cimentarsi in qualcosa di nuovo.

Era un uomo di indubitabile bellezza che

viveva la sua elegante avvenenza con estrema

sobrietà, come se non lo riguardasse. Era un

professionista di indiscutibile talento che na-

vigava lungo i sentieri del cinema, senza fare

rumore, con classe e stile unici.

Tante le personalità di spicco presenti ieri al

Campidoglio, da Carlo Verdone a Nino Ben-

venuti, Stefania Sandrelli, Franco Nero, Ales-

sandro Haber a Carla Gravina che, insieme a

tanta gente del popolo, hanno sentito l’ esi-

genza di rendere omaggio a Giuliano Gemma

nella camera ardente allestita nella Sala della

Protomoteca a Roma.

Sul grande schermo, nella stessa sala, scor-

revano le immagini dei film più noti dell’ at-

tore. Erano quattro i picchetti d’onore allestiti

E

Page 36: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.36

fra cui quello del Presidente della Repubblica.

Nel salutarlo per un’ultima volta, Benvenuti

lo ha oggi descritto così: "un marito irrepren-

sibile, un amico generoso, per me un fratello,

che non avrei mai pensato di dover lasciare in

questo modo. Non ti dico arrivederci, a pre-

sto, ma credimi, lo vorrei. Buon viaggio e un

abbraccio forte, forte, forte... ciao".

Ciao, Giuliano, attore, gran signore, uomo

che ha saputo, sottovoce, esprimere talento,

fierezza, dolcezza, coraggio, passione, volon-

tà e tenacia con estrema, dignitosissima paca-

tezza.

Mancherai molto anche a noi…

Noemi Lusi

FINESTRE ACCESE

Da quattro fili tesi ha ritirato

Liliana i panni stesi ormai asciutti.

Ceci, l’altra vicina appresso,

i gerani ha irrorato sul balcone.

Io ceno presto.

E la tovaglia ho scosso per i merli

e pei fringuelli del querulo mattino.

Ed è già sera.

Dalla finestra sul retro della casa,

oltre il giardino dal sontuoso cedro,

vedo il palazzo che mi sta di fronte,

dalla facciata con cento finestre,

in parte accese a rischiarar ritorni

dall’opra usata, la famiglia unita,

e fumante la cena sopra al desco.

E poi parole, i soldi per la spesa,

con l’ansie ed i timori, i pianti, i drammi

che pure sempre questa vita impone.

Poi s’annera la sera e si fa notte:

a poco a poco rabbuian le finestre,

la quiete cala nel giardino, mentre

i lampioni accesi levano spettri

d’alberi e cespugli.

S’alluna il nero.

Le luci spengo delle mie finestre:

con l’ombre par s’aggravino i pensieri.

Su quattro note l’usignolo amico,

fido compagno della nera insonnia,

sul ramo di magnolia

mi rinnovella il canto suo notturno

che in parte m’asserena e mi consola.

Serena Siniscalco Milano, settembre 2013

NUOVA CANZONE DELL'AZZURRO

Sembra che il mondo sia fuori di testa

come non mai, e soffra

di antichi e nuovi mali

o comunque, imperterrito, vada

per la sua strada,

senza ascoltare poeti ed artisti

( coi quali, al massimo, ci si “diverte”).

Dopo decenni di telegiornali

ho ancor più bisogno di una pausa d'azzurro,

di respirare aria normale

e di ascoltare musica celestiale,

di fare indigestione di turchino e di glauco,

di zaffìri e lapislazzuli,

di volare a perdifiato in un cielo

banalmente, dolcemente,

ceruleo,

di sprofondare in un crepuscolo

chiazzato di indaco,

in un mare turchese, o cangiante

in tutti i toni di blu.

Basta con le troppe falsità mediali,

coi colori ed i fiori artificiali,

lasciatemi ogni tanto sognare, in giardino,

tra agapanthos e petunie,

convolvoli e fiordalisi,

primule e spadoni,

anemoni e giacinti,

borragine e rosmarino !

Luigi De Rosa ( Rapallo, Genova)

( dalla nuova silloge, di imminente pubblicazione,

“Fuga del Tempo”, vincitrice del Premio “I Mu-

razzi-Città di Torino” - prefazione di Sandro Gros Pietro – Gènesi Editrice, Torino )

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.37

I POETI E LA NATURA - 25

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

PUBLIO VIRGILIO MARONE

Il poeta dell' “Eneide” è anche l'autore

delle “Bucoliche” e delle “Georgiche”

l poeta latino Publio Virgilio Marone

nacque ad Andes (Mantova) nel 70 a. C. e

morì a Brindisi nel 19 a. C. Visse quindi

per cinquantuno anni, tutti immersi (ovvia-

mente) nella cultura pagana, con un approc-

cio e un'interpretazione della Natura lontani (

ovviamente) dal messaggio cristiano, e quin-

di lontani da quello spirito che avrebbe ani-

mato, invece, nel Milletrecento, un Francesco

d'Assisi, che avrebbe adorato la Natura acriti-

camente e misticamente, come riflesso terre-

no di un Altissimo e Onnipotente Signore.

Virgilio può essere avvicinato ai filosofi greci

che trattarono della Natura, e ad Epicuro, e

soprattutto a Tito Lucrezio Caro, che avrebbe

tradotto nella poesia del De rerum natura la

filosofia di Epicuro. Ma grandi sono le diffe-

renze tra Virgilio e Lucrezio. Mentre questi,

per esempio, dichiara senza remore il proprio

sostanziale ateismo ( non c'è un unico Dio

creatore, ma ci sono vari Dei, che per giunta

passano il tempo immersi nei fatti loro, disin-

teressandosi sia della Natura che della vita

umana), Virgilio canta nei suoi Poemi una re-

ligiosità sana e “ragionata”, una pietas a fon-

damento della famiglia e dello Stato, senza

eccessi né in un senso né nell'altro.

Virgilio visse e crebbe in un ambiente agre-

ste, di contadini proprietari e benestanti, dedi-

ti all'agricoltura in un ambiente naturale ferti-

le e generoso. Fece studi elevati, prima a

Cremona e a Milano, poi a Roma. Conobbe

importanti uomini di cultura tra cui Vario Ru-

fo, e conobbe il poeta Orazio, nonché il gio-

vane Ottaviano, che sarebbe in seguito diven-

tato Augusto, il primo Imperatore romano.

Contemporaneamente all'accrescersi della

cultura, nacque e si rafforzò sempre più, in

lui, la vocazione poetica. I tumulti politici se-

guiti all'assassinio di Cesare, la battaglia di

Filippi, lo fecero cadere in disgrazia agli oc-

chi di Augusto. I suoi terreni nel Mantovano

vennero confiscati e distribuiti ai soldati vete-

rani. Per consolarsi di queste gravi sventure,

che lo avevano particolarmente afflitto, scris-

se le Bucoliche, dal 42 al 39 a. C. Il libro

piacque molto a Mecenate e allo stesso Augu-

sto, che presero l'Autore sotto la loro prote-

zione ( con annessi e connessi vantaggi). In

un clima di ritrovata tranquillità politica e

privata, Virgilio potè comporre in sette anni (

fra il 37 e il 30) una seconda opera poetica, le

Georgiche, ampio e approfondito poema di-

dascalico, che, insieme a Mecenate, lesse

all'imperatore Augusto. Maturavano, così, i

tempi e le condizioni per la concezione e la

stesura del poema capolavoro dell' Eneide,

che avrebbe cantato le peripezie dell'eroe tro-

iano figlio di Venere e Anchise, fuggito

dall'incendio di Troia e sbarcato nel Lazio,

con un destino da “progenitore” di Roma.

Le Bucoliche ( sottinteso Càrmina, canti,

canti di pastori) sono dieci ecloghe o egloghe

( poesie scelte, in esàmetri) ambientate nella

regione montuosa del Peloponneso chiamata

I

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.38

Arcadia. Si tratta di un genere di componi-

mento che ricorda gli Idillii pastorali di Teo-

crito.

I paesaggi non sono reali, ma immaginari e

statici, frutto di fantasia, al di fuori di un tem-

po e di uno spazio ben definiti. La poesia

“bucolica” e il fenomeno letterario dell'Arca-

dia significheranno anche in seguito uno stile

di vita semplice, secondo natura, un mondo

poetico di amore e di amicizia, di pace e di

consolazione dello spirito, lontano dalle ama-

rezze della realtà quotidiana della vita e del

mondo. Nelle loro forme più estreme di a-

strattezza, rischieranno di sfociare in rappre-

sentazioni di affettazione e di inautenticità.

Siamo comunque lontani dalla “scientifici-

tà” e dalla drammaticità dei paesaggi e dei

fenomeni naturali del “De rerum natura” lu-

creziano.

Escono da questo quadro due egloghe, la

Prima e la Nona, nelle quali Virgilio accenna

a dati reali della propria vita, a carattere auto-

biografico. Ma in generale le Bucoliche ri-

chiamano un mondo di dolce consolazione

dell'angoscia ( già allora ! ) di cui è intrisa la

vita degli umani. Questo concetto di angoscia

umana che viene lenita dalla vita pastorale e

agreste costituisce comunque una nota di in-

dubbia originalità, se si pensa che l'angoscia (

Angst) e Sigmund Freud verranno solo molti

secoli dopo. Prima verranno il razionalismo

del Settecento e il pre-romanticismo del Ba-

retti e di Vittorio Alfieri a respingere con de-

cisione la letteratura e la poesia dell” Arca-

dia”, che erano state accettate e seguite, inve-

ce, da altri letterati, fra cui Pietro Trapassi

detto Metastasio.

La seconda opera poetica di Virgilio, come

accennato sopra, è rappresentata dalle Geor-

giche, un poema didascalico articolato in

quattro libri per complessivi 2188 versi esa-

metri. Nel poema (il cui nome deriva dal ver-

bo greco gheorghèin, coltivare i campi) Vir-

gilio descrive i vari tipi di coltivazione e di

allevamento conosciuti e praticati nell'antichi-

tà. Il primo libro è dedicato al lavoro dei

campi, il secondo all'arte e tecnica di coltiva-

re le piante ( specie l'ulivo e la vite), il terzo

libro tratta dell'allevamento del bestiame no-

bile ( come cavalli e buoi ) e del bestiame mi-

nuto. Infine, il quarto libro è dedicato specifi-

camente alle api e all'apicoltura. Ciascuno

dei quattro libri comincia con un prologo e

finisce con una favola mitologica. Gli “inse-

gnamenti” non sono noiosi, ma esposti con

uno stile poetico assai piacevole, e infram-

mezzati da immagini e personaggi del Mito.

Le Georgiche sono un'opera di poesia pura

(didascalica, appunto. Non c'era soltanto la

poesia lirica, ma anche quella didascalica,

quella gnomica, quella elegiaca, etc.)

Poesia sì, ma anche nozioni utili e pratiche.

Per poter scrivere un tale tipo di opera, Virgi-

lio si dovette documentare accuratamente, per

anni, su una vasta bibliografia, tra cui ci limi-

tiamo qui a ricordare il De agri cultura di Ca-

tone, il De re rustica di Marrone, Erga kai

emèra ( Le opere e i giorni, del greco Esiodo,

“fondatore” del poema didascalico), le Geor-

giche del poeta greco Nicandro.

Dobbiamo pensare alla Natura generosa e

“semplice” di oltre duemila anni fa; agli

strumenti e attrezzi agricoli di allora ( in as-

senza di meccanizzazione); alle condizioni

ambientali e alle conoscenze teoriche e prati-

che di quei contadini e allevatori; al rispetto e

all'amore per la Natura, della quale la società

industrializzata e civilizzata di Ottocento e

Novecento hanno poi fatto, troppo spesso,

scempio...

Nelle Georgiche la natura è rappresentata

nella sua semplicità quotidiana, senza le sti-

lizzazioni e le astrattezze delle Bucoliche. A

differenza che in queste ultime, le piante e gli

alberi, gli animali, gli agricoltori e allevatori

sono visti e resi poeticamente nella loro terre-

strità concreta, non già inquadrati in uno

schema astratto e predeterminato. La coltiva-

zione e l'allevamento mirano non solo al be-

nessere materiale dell'uomo, ma alla sua ele-

vazione spirituale. Le doti dell'ingegno e della

forza fisica non sono disgiunte ( anzi!) da

quelle di carattere morale. L'elevazione mora-

le dell'uomo attraverso la Natura, è questo l'

obbiettivo del poeta ed artista Virgilio. Que-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.39

sto metodo spirituale e morale rende il poe-

ma un unicum nonostante l'eterogeneità delle

fonti e dei materiali occorsi per forgiarlo. Se

pensiamo che il tutto è pensato e sentito in

un'epoca così lontana, anteriore al Cristiane-

simo, non possiamo non ammirarne con cuo-

re sincero la potente originalità.

Luigi De Rosa

IL GRIDO

Quando si fa sera

arriva dagli angoli bui

della casa un’ostile angoscia,

che ti attanaglia l'anima, il tuo corpo

è quasi indifferente

a quel freddo gelido che s'insinua nelle tue membra.

Ora si fa tardi, prepari la cena senza entusiasmo,

i tuoi movimenti sono dettati dalla noia quotidiana

che non ti lascia mai.

I tuoi pensieri si accavallano in tante paure

che salgono

dalle tue viscere e vanno al cuore e si sciolgono

in un grido di aiuto, inascoltato.

E',già qui, senti girare le chiavi nella toppa,

IL TUO PADRONE E' ARRIVATO

E' torvo inviso, ti apostrofa subito in modo violento.

Tu neppure lo ascolti, avvolta come sei nel

tuo manto gelido, e non rispondi, tanto è inutile.

Contro la sua malvagità non c'è che l'indifferenza.

Tu pensi già a domani....

Certamente qualcosa farò, lo denuncerò, lo

dirò a tutti,

si domani.....domani

E ti ritrovi a terra, ferita quasi morta di

dolore e paura,

botte sul tuo corpo inerte, tante botte da

quella bestia feroce,

che tutto vuole e nulla dà.

Il tuo futuro, la tua salvezza è nelle tue

mani, coraggio

forse domani risorgerai...

Adriana Mondo Reano, TO

LA NOTTE

La notte si aggira per la casa

attraverso i riflessi;

conosce tutti i posti,

si ferma vicino ai vetri limpidi,

alla penombra che fascia le finestre.

Riempie gli angoli,

sul marmo del pavimento è leggera

appena coperta da una veste discinta.

Quando sembra fuggita

allora più vigile

la sua presenza viene accanto

impudica vedendoti ogni momento;

s’affaccia per sorridere alle cose

che si vogliono nascoste.

L’occhio tacito vaga per la casa,

le righe sulla parete sono nette;

l’ombra si intensifica,

la notte ti è addosso ti sveste.

Sente la mente

il velo della trasparenza.

I pensieri della notte sono setacciati,

le scorie sono rimaste vicino alla porta

sulla pelle delle scarpe.

La notte vuole le parole vere,

è un’amante drammatica, guarda

sulla pupilla afferrandoti per le mani.

Leonardo Selvaggi Torino

NOCHE

Empiezo a vivir

cada noche, esperando

olvidar las tormentas

del día.

En alguna parte del mundo

sé que alguien traspasa

el tiempo con un vendaval

igual que el mío.

Yo sólo quisiera darle

mi mano compañera

esta hora en que las sombras

amenazan el propio verso...

Pero escribo.

Teresinka Pereira USA

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.40

(Disegno di Serena Cavallini)

Recensioni

SILVANA ANDRENACCI MALDINI (e altri)

DIAMANTI AL SOLE Ed. Universum, Rocca di Caprileone (ME) 2005,

Pagg. 28

Diamanti al sole, titolo attraente, di una pubblica-

zione collettanea, a firma di Silvana Andrenacci Maldini, di Giovanni Campisi e di Lisa Choi. Senza

nulla togliere ai singoli poeti, la mia attenzione è

indirizzata alla poetessa Silvana. La collana è cura-ta da Renza Agnelli nelle Edizioni Universum alle

quali la Nostra ha collaborato per diversi anni quale

critico letterario, curando, a sua volta, la rassegna libraria internazionale “libri in vetrina”.

La piccola raccolta di Silvana Andrenacci Maldi-

ni, comprende sette componimenti che palpitano del sentimento d’amore, pur in presenza di una sot-

tile amarezza. Ama la sua Roma, tanto che la prima

poesia, che si intitola Sonetto a Papa Giovanni Pa-olo II, è scritta in romanesco, in cui riporta una fra-

se d’esordio del Pontefice: “Damose da fa, voleme-

se bene.”, aggiungendo, ella: “Sto concetto l’hai detto ner dialetto/ de noantri, che, pe’ carmà le pe-

ne” ecc. Ma soprattutto, amore di incanto dinanzi a

un quadro del pittore Ennio Maldini, in arte Mal-dén, contemplando il quale recita: “C’è un cavallet-

to/ con la tela bianca;/ non c’è l’Artista…/ Ma il

Fuoco Sacro/ riscalda la stanza!”. Grande è il sen-so di solitudine per l’assenza del pittore, ingigantita

dall’ellissi dei puntini di sospensione, che, comun-

que, ha lasciato l’impronta della sua “fiamma che lo

brucia!”. E non poteva essere altrimenti, la perdita

del legame terreno, il cui spirito non è mai sopito.

Compenetrandoci nei suoi versi avvertiamo le fe-rite dell’anima che vengono lenite dalla Poesia, cui

l’Andrenacci fa esplicitamente appello, immagi-

nando la sofferenza come un fiume sempre in mo-vimento eppure capace di dare serenità, o i frutti

della terra che si rinnovano, o gli innamorati che si

scambiano promesse ravvivandone la passione. Un comprensibile velo di malinconia ricopre i sogni

della Nostra all’ombra di querce, in una distesa

verde e fra i campi curati dei contadini. Ma certa-mente non l’abbandona l’amore per la sua Città E-

terna, navigando fra le sue strade e i suoi numerosi

monumenti; o spaziando con lo sguardo nella cam-pagna romana, non meno ricca di reperti archeolo-

gici e di storia: “Gli orizzonti sono cheti e dorati,/ i

monti come Numi par truccati,/ la pace di Vejo è antica e perenne.”

Silvana Andrenacci Maldini mostra grande inte-

resse per la storia romana, di cui qui sono appena tracciati dei segni, e altrove soffermandosi diffusa-

mente. Mostra, altresì, la sua formazione classica e l’attaccamento al proprio dialetto a dimostrazione

di volere rinvigorire, o di non lasciare morire, le

tradizioni; né i sentimenti di cui si è nutrita.

Tito Cauchi

LIANA DE LUCA

UBALDO RIVA

alpino poeta avvocato Genesi Editrice, Torino 2013, Pagg. 160, € 16,00

Liana De Luca, autrice di origine illirico- parte-nopea, è docente di Lettere; in precedenza vivendo

a Bergamo per molto tempo, vi ha fondato il Cena-

colo Orobico di poesia; attualmente ne è presidente onorario e risiede a Torino; ha al suo attivo diverse

opere di ricerca storica; collabora a quotidiani e pe-

riodici, come recita la bandella di copertina della

monografia dedicata a Ubaldo Riva alpino poeta

avvocato, di cui ci occupiamo.

Il libro nasce sotto il patrocinio di una dozzina di enti amministrativi, culturali e di credito, nel cin-

quantenario della scomparsa dell’illustre personag-

gio, all’età di settantacinque anni (nato in Artogne in Valcamonica, Brescia, alla fine di dicembre

1887, ma registrato il 3 gennaio 1888-deceduto il 5

gennaio 1963). L’opera presente è suddivisa in tre sezioni, rispecchiando le caratteristiche del titolo, è

corredata di ampi riporti in prosa e in versi su cui

Liana De Luca ricalca la sua esposizione sui conte-nuti e sulle caratteristiche stilistiche; arricchita da

alcune iconografie, generalmente legate alla pas-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.41

sione dell’uomo-alpino. Inutile dire che lo scopo è

quello di diffondere la conoscenza dell’Uomo, che

personalmente ritengo esemplare, come si vedrà. Mi soffermo solo su aspetti umani e letterari; meri-

terebbero un commento a parte le poesie e i brani in

prosa riportati. Ubaldo Riva si definiva “eterno monello”, ma

dispose che la sua epigrafe sarebbe stata “Alpino

Poeta Avvocato” (ecco quindi la sua connotazio-ne); era un giocherellone e un caotico apparente,

come dimostrano, fra l’altro, le sue varianti sulle

sue generalità, tanto in lingua italiana, quanto nel dialetto bergamasco. Scherzando si ribattezzava

Ribaldo Uva; Uba, troncamento del nome di bat-

tesimo Ubaldo, che ha assonanza con Uva, diven-ta Öa; ma affettuosamente era anche chiamato

Dino, terminazione di Ubaldino. Giudicava il

proprio nome di battesimo “paladinico”, alla ma-niera di Orlando, Rinaldo e simili. Amava e pro-

muoveva il dialetto e il folclore bergamaschi so-

stenuti dall’Associazione culturale denominata Ducato di Piazza Pontida, fondata nel 1924, della

quale divenne organo ufficiale il Giopì (“masche-ra bergamasca trigozzuta”, 1928-1949). Era diver-

tente e arguto, racconta che amava accostarsi alle

bancarelle, così che una volta ebbe la sorpresa di ritrovarvi la copia di un suo libro, con dedica au-

tografa. Amava intimamente Bergamo, le monta-

gne e il corpo degli alpini; così, benché fosse stato scartato alla leva militare, alla prima occasione si

arruola partecipando alla Grande Guerra vestendo

la divisa dell’alpino (1915-1919). Della esperienza di alpino, Ubaldo Riva lascia

varie testimonianze. Ne La canzone de l’alpino

(1926, poesia), parla della sua convalescenza in Val Camonica, che rinominava Canonica. In

Scarponate (1930, prosa) con riferimento agli

scarponi degli alpini, abbiamo descrizioni sciolte e accattivanti, dei luoghi e dei commilitoni, ma

sempre in modo semplice, lapidario ed efficace

quanto basti, come per esempio: “Il primo ricove-

ro dal gelo dei 30 sottozero: e resistere lassù, in-

vetriati dall’algore, nel deserto senza limiti,

squassati come fuscelli dalle tormente,” (pag. 21); e seguendo, riferendosi alle Dolomiti, poetica-

mente così descrive: “la lussuria esasperata di gu-

glie dai toni di perla di opale rubino di topazio di alabastro. Le colorazioni trionfali dell’ aurora i

cromatismi vendemmiali i neroniani incendi del

tramonto”, ove si può osservare l’uso limitato del-le virgole. Entusiasta della sua divisa, della sua

immersione fra quei luoghi confacenti alla sua na-

tura. Ferito con mesi di degenza in ospedali (meda-

glia d’argento con motivazione da medaglia

d’oro), si attivava con la propaganda alla Resi-

stenza stendendo bandi. Di guerra e di pace

(1934, poesia) è raccolta che Liana De Luca giu-dica tra l’allegro e il tragico: “sempre con toni fra

l’epico e l’elegiaco, il rievocativo e il presago, il

realistico e l’ immaginifico” (pag. 28). In Gli al-pini son fatti così (1935, prosa) oltre che a ripren-

dere le stesse tematiche di guerra, si sofferma su

“scarponi” come venivano soprannominati gli al-pini, sui quali egli stesso vanta il seguente “epifo-

nema di èpico sapore: Quando passano gli alpini

trema la terra” (35). Richiamato alla Seconda Guerra Mondiale con il grado di tenente colonnel-

lo, per alcuni mesi; congedato, prese parte alla

Resistenza trasformando il suo studio professiona-le in un “centro di attività clandestina” e nei radu-

ni annuali degli alpini non mancava la sua voce

patriottica di conferenziere. L’esordio poetico di Ubaldo Riva, risale alla rac-

colta Passatismi (1925). Egli stesso scriveva di sé:

“Io sono un animale contemplativo: e ho fatto l’ al-pino: e ho fatto e faccio l’avvocato.” (47), con ciò

intendeva esplicitare in lui la convivenza delle due o tre anime. In Bambinate (1935), lascia spazio alle

descrizioni paesaggistiche e agli affetti. Egli aveva

una certa predilezione per la cabala perciò Quasi quasi una fantasia (1937), è raccolta che connota il

suo “primo mezzo secolo”, tratta degli affetti fami-

liari e dell’amore per la montagna; così l’ultima raccolta, A 3/4 di secolo (1963), rimarca l’età rag-

giunta dei 75 anni, uscita postuma.

Pure postumi furono pubblicati i Sette saggi (1988) articoli a tema musical-letterario come

specifica la Nostra, che riguardano scrittori di va-

glia internazionale: i francesi Baudelaire, Rim-baud, Mistral; l’inglese Edgard Allan Poe; la po-

lacca Mickiewice; e i nostri Di Giacomo e

d’Annunzio, intorno alla loro musicalità espressi-va e richiamando nei raffronti altri personaggi

della cultura, come Verlaine, Nietzsche, intrec-

ciandosi con gli eventi storici, come nel caso che

ci riguarda più da vicino, con la partecipazione di

volontari polacchi alla Repubblica Romana del

1848. Ubaldo Riva, dal suo lavoro di avvocato, trae

occasione di dialettica forense e investigativa. Co-

sì in Due saggi (1960) imbastisce. Nel primo tre arringhe su le ‘Ultime lettere di Jacopo Ortis’, tri-

partito nei processi politico, alla vita, a Teresa;

uno dei suoi giudizi sul poeta di Giacinto è il se-guente: “Ugo Foscolo è un Jacopo Ortis che non

muore e Jacopo Ortis è un Foscolo che si uccide.

Il motore psichico tanto in Jacopo che in Ugo è uguale, ma in Jacopo evade nella morte, in Ugo

evade nella vita.” (pag. 126). Nell’altro saggio

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.42

abbiamo l’arringa sulle figure di Verdi-Carducci-

S. Francesco. In Bergamascherie prime e seconde

(1957, prosa), racconta delle sue esperienze pro-fessionali, a tal proposito la nostra scrive: “in Ri-

va c’è anche la pietà per i poveri che avevano

commesso colpe di poco conto, magari sospinti dal bisogno, e che venivano giudicati.” (130) e

nota era la generosità dell’ Avvocato che nondi-

meno non richiedeva la parcella e per giunta aiu-tava. Egli rifletteva sulla considerazione negativa

in cui fosse tenuta la professione, da parte dei

clienti e più in generale da parte della gente, rea-gendo con L’avvocato Patisce (testo non rinvenu-

to, avverte la Nostra), e con Io… e Pecora mio

(1931, saggio) ove le due P al maiuscolo personi-ficano stati d’animo di Riva, il suo patimento o la

sua sopportazione di matti e furiosi.

Con Ubaldo Riva alpino poeta avvocato, Liana De Luca ha fatto opera meritoria, per averci fatto

conoscere una persona esemplare. È esaltante l’

umanità dell’Uomo che pur non si professava reli-gioso praticante, ma certamente aveva un alto senso

etico e morale che si evince da molte occasioni. Ri-leva come Egli si schermisse della sua “vigoria d’

ingegno”; afferma che aveva “una certa ritrosia a

mettersi in mostra”, così dopo essere stato fondato-re e presidente di una sezione a Bergamo, non volle

più rivestirne la carica. Lo giudica uomo dai molte-

plici interessi, spiritoso, innamorato della monta-gna; ironico ed autoironico, dalla vasta cultura lette-

raria e conoscenza personale di artisti notevoli, a-

mante e appassionato di musica. Saggista e critico onesto, ancora in Bergamasche-

rie, Riva scrive: “Non essere scortichini e stronca-

tori feroci: pensare quanto sangue e sudore di san-gue costi l’opera: non essere venduti per adulazio-

nismo di scoletta o di interesse” (58). La sua onestà

gli faceva scrivere di Marinetti, a proposito del ‘Fu-turismo’: “Mi ha trattato benissimo e mi ha, con

grande cordialità e amicizia, proposto di entrare nel

Movimento. Io dovetti dirgli di no” (50); e pur go-

dendo della stima del “divino Gabriele” d’ Annun-

zio, interpretandola come indulgenza, rispondeva:

“Adorare il semidio sì: farsi prendere in giro no” (53). Apprendiamo della passione per la musica e il

canto, a partire dal nonno, zio, padre, madre, e

quanto egli fosse fine conoscitore dei compositori come pure dei pittori; temi della musica hanno ispi-

rato alcune poesie. La Nostra riferisce che Ubaldo

Riva “aveva espresso il desiderio di morire ascol-tando l’intermezzo della ‘Cavalleria rusticana’ che

non è stato possibile esaudire (ma questo lui non lo

saprà). In chiusura gli dedica, con consonanza del sentire, il componimento ‘Memory’.

Tito Cauchi

SILVANO DEMARCHI

COMMIATO Ediemme-Cronache Italiane, 2013, Pagg. 64, s.i.p.

La prefazione al Commiato di Silvano Demarchi,

a firma di Antonio Crecchia, si rivela ricca di inte-ressi, per i contenuti e per la forma espositiva. Ri-

conosco subito trattarsi di due autori di talento: en-

trambi docenti di lettere. Il primo è stato anche pre-side, ha all’attivo “venti sillogi poetiche pubblicate

nell’arco di 45 anni di militanza letteraria”; il se-

condo è critico di vaglia. Si richiama la vita sociale deludente in generale; il tentativo del nostro Presi-

dente, Giorgio Napolitano, per quanto abbia potuto

fare per il Paese. Il Nostro, nauseato dalle stanze del Potere, ha trovato nella poesia l’equilibrio men-

tale, anelando alla pace, avendo compassione dei

popoli alla ricerca di una patria. Il Poeta ama la na-tura in tutte le sue manifestazioni, ma questo non

gli impedisce di stare con i piedi per terra e di pro-

vare l’estasi mistica, lenitiva di ogni sofferenza. Il Critico rileva gli scampoli di memoria attraverso i

richiami frequenti alle immagini di bambini gioiosi che giocano e alla sosta esistenziale del Poeta, nella

metafora del cielo rabbuiato o delle ombre. Defini-

sce poesia apollinea per la grazia stilistica, il cui spirito affonda le radici nel pensiero di Platone-

Socrate su cui si basa la civiltà occidentale. La sta-

zione di arrivo, dopo tanti itinerari, reali e metafori-ci, farebbe affermate al Demarchi viaggiatore, di

prendere ‘commiato’.

Nella prima parte, breve, troviamo descritti alcuni viaggi. Le località citate fanno da substrato al pen-

siero di uomini che vi vissero esortando al bene, e a

uomini che sono alla ricerca di una Patria, o che continuano a morire per le ingiustizie sociali. Nei

viaggi del Demarchi, infatti, ritroviamo quel Gan-

dhi, “il più povero dei poveri”, di cui avrà avvertito sulle rive del Gange, sul viso, il soffio che gli “sfio-

rò le guance”; troviamo i kurdi in cui egli si imme-

desima o la “Anatolia, terra di mistici abbandoni!”

Così commenta che tutt’intorno, fin dalle origini,

uomini e natura siamo fatti di “un’unica Sostanza”,

che è l’afflato divino. La seconda parte, molto più ampia, è anticipata da

una citazione di Rainer Maria Rilke, ed è una im-

mersione nella libera natura, a cominciare dal ‘giardino’ che varca in apertura, in cui sogna di

“restare per sempre”. Respirare l’atmosfera festo-

sa, assistere “Allegri sul sagrato/ si rincorrono i bimbi.”, con un senso di amarezza alla ‘Pasqua’ dei

nostri giorni. Osservare la natura nel volgere delle

stagioni: l’orizzonte, ora freddo, di alberi “incap-pucciati di neve”; ora ondulato da fogliami, da

chiome fiorite simili ai capelli fluttuanti di una bella

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.43

donna. Silvano Demarchi pensa alle acque del Pas-

sirio ove “spensierati adolescenti si abbandonava-

no/ al flusso delle onde ed io con loro”, confessan-do quanto debba essere odiosa la vecchiezza. Os-

serva il proprio “crepuscolo” e commenta la distan-

za tra il profumo dei giovani e i propri capelli bian-chi. È il mondo della giovinezza il paradiso, e i

bimbi ne sono gli angeli. Nei campi, a fine raccol-

to, “bruciano gli sterpi;/ anche il lento morire/ ha il suo fascino.” (pag. 31). Si affaccia con discrezione

il desiderio sentimentale “fulvi come rena i capelli/

gli occhi azzurri come il mare” (54) di Casablanca. Il Poeta osserva lo scorrere della vita, fuori dalla

propria: il venditore di meloni Emanuele, che rende

colorito l’invito all’acquisto; Ilario, giovane albane-se, che “per guadagnarsi la vita/ posava all’ Acca-

demia dell’Arte.” (41); o una coppia di turisti stra-

nieri su una gondola a Venezia; ascolta le note di Beethoven provenire da una finestra. I viaggi sono

occasione per arricchire lo spirito, così i tuffi nelle

piscine a Tenerife, o “i giovani mulatti di Tucu-màn,/ gettano le camicie al vento/ e ballano scalzi,

paiono indiavolati.” (40). Ma osserva anche le gru che volteggiano, il cormorano che pesca un pesce:

il loro movimento è espressione di vita, di libertà.

La silloge Commiato, di Silvano Demarchi, per certi aspetti si presenta come un inno, è rivolta alla

natura in ringraziamento al suo Creatore, per la de-

licatezza dei versi, pur in presenza di un velo di ma-linconia che tradisce la maturità inoltrata del Poeta.

I suoi sguardi delusi e mortificati, per le disparità

sociali e per le guerre che martirizzano alcune aree geografiche, sembrano stonature nell’impalcatura

poematica; ma che, invece, hanno lo scopo di de-

nunciare le infrazioni sociali e rendere noto lo stato d’animo dell’uomo, la sua genuinità che lo porta al

‘commiato’.

Tito Cauchi

GIUSEPPE MELARDI

PERCORSI Il Convivio, 2013, Pagg. 52, € 10,00

Giuseppe Melardi nativo di Bronte (Catania), nel

1940, vive in provincia di Treviso, ha diviso l’ e-

sperienza professionale tra la fabbrica e l’ insegna-mento nella Scuola elementare; con Percorsi, è alla

sua terza raccolta. La silloge ha l’introduzione di

Giuseppe Manitta, il quale ne rileva lo stile che si accompagna agli stati d’animo del Poeta, in un an-

damento narrativo, utilizzando strumenti come l’

enjambement, assonanze, anafore e iterazioni; ri-chiama altresì l’essenza della poesia della memoria,

con riferimento a un passo dello Zibaldone leopar-

diano: la mente indaga sulle proprie esperienze di

vita scavando nella coscienza, rasserenandola.

Giuseppe Melardi nell’incipit descrive lo stato psicologico che si accompagna alla emersione dei

ricordi: “Rapidi risalgono/ dei flash/ dal fondo alla

memoria/ con lo stridio della segheria.”, la memo-ria va ai luoghi dell’infanzia, vecchie strade, vico-

letti, agli aromi della cucina misti agli odori del fie-

no; alberi secolari; le feste locali, le sagre. Il pae-saggio muta colorazione con le stagioni, ma rimane

un gran silenzio di abbandono. La nostalgia è

struggente, si radica nel più profondo dell’anima. Il titolo trasparente preannuncia soste di meditazioni;

le descrizioni si sono decantate del residuo materico

per divenire purezza dell’anima. Le pagine emana-no profumi e suoni, palpitano dei sensi umani, han-

no belle le chiuse. Il Nostro ama la notte, mostra

padronanza stilistica, usando un linguaggio dall’ impronta personale.

Si ha nostalgia di un mondo quasi totalmente per-

duto: le persone erano più aperte e disponibili, tutta la famiglia si riuniva intorno al desco nell’ora dei pasti,

mentre oggi di quelle tradizioni sono rimaste solo briciole. Il tempo è un po’ come il vento che “sco-

perchia il passato,/dispiega crudele il presente/ na-

sconde sornione il futuro.” (pag. 14). Si disponeva di poco e lo si faceva bastare, non si sprecava nulla e si

aveva il sorriso ugualmente; mentre oggi disponiamo

di tante cose e non siamo contenti, né siamo capaci di scambiare un sorriso aperto, invitante.

Metafore frutto di osservazioni geopoetiche, ci

portano alla campagna aperta che odora di terra fre-sca e di erba bagnata, ci fanno assistere alle rose

che si aprono, alle lucertole che fanno capolino al

sole, vediamo la scia luminosa che lasciano le lu-mache trascinando la propria casa. È come se ci

provenisse l’eco di un lontano racconto, che sa di

fantasmi. Se si vuole amore, occorre darlo, occorre nutrirsi di questo sentimento, spogliarsi di cattivi

pensieri, dei livori. Il Poeta commenta: “La sete d’

amore/ si spegne bevendo l’amore./ La siccità lo

uccide,/ non l’odio.” (26). Non vorrei citare Papa

Francesco, ma è proprio di questi giorni che il San-

to Padre, invita ad andare a letto la sera rappacifica-ti con se stessi, spogliati da ogni misera incrosta-

zione morale.

Oggi si continuano ad affilare le armi sempre più sofisticate, cosiddette intelligenti, ma il Nostro vuole

schiacciare queste paure, così le esorcizza con la sua

poesia. I percorsi hanno le proprie tappe e i propri protagonisti; ora indicano risalite, vecchie strade, fili

d’acqua, l’acqua della fontana che scorre, il vento e le

nuvole, sorrisi aperti all’ accoglienza, le rondini in volo, pescatori che rientrano; ora abbiamo come una

pietra miliare un vecchio eucalipto che faceva da

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.44

faro di riferimento, tra la campagna e la strada a-

sfaltata, “sentinella alle porte del paese.”.

Giuseppe Melardi chiude con sgomento, si chiede se il mondo non si sia capovolto “Ascolto più voci

dal coro/ e note distinguo stonate./ Il gatto che ab-

baia,/ che miagola il cane.” (47). Sembra che i sui ‘percorsi’ l’abbiano condotto alla considerazione

che tutti quanti nasciamo destinati a morire, a per-

petuare l’originaria avventura del genere umano, i-niziata con Adamo ed Eva: l’uomo ripete le trage-

die, Caino che risorge e commette il fratricidio di

Abele. Melardi ha battuto degli itinerari che per molti di noi costituiscono i percorsi interiori. Tutto

sommato costituiscono una sorta di catarsi, o se si

vuole, una sorta di autocoscienza; e quando manca questa, ci sentiamo un po’ più smarriti.

Tito Cauchi

DOMENICO DEFELICE

ELEUTERIO GAZZETTI

Cantore della Valpadana

Ed. Il Croco/Pomezia-Notizie, 2013

Il numero di maggio 2013 de Il Croco si soffer-

ma, grazie a Domenico Defelice, sulla figura di Don Eleuterio Gazzetti. I più si chiederanno, cosa

ci fa un semplice parroco della Valpadana, su un

foglio letterario. O per lo meno cosa ha fatto di così importante per finire “sulle stampe”. E’ pre-

sto detto. Oltre a curare lo spirito e le anime dei

suoi parrocchiani, cosa che gli riusciva benissimo vista la vocazione, ha lasciato scorrere in sé anche

un’altra vena: quella artistica.

Don Eleuterio Gazzetti ha divulgato la parola di

Dio, non solo attraverso le messe domenicali ai suoi fedeli, attraverso la Comunione, la Confes-

sione etc…, ma ha lasciato anche che penna e

pennello riportassero il suo intenso amore, la sua fede, il sacro.

Già da molto piccolo cominciò ad assecondare

la sua passione nello scrivere e nel dipingere. Molti gli scritti che sono rimasti inediti, perché

per gli editori si sa la parola “gratis” anche quan-

do si tratta di un umile parroco di campagna non esiste. I suoi scritti guardano sempre alla natura

che lo circonda, alla fede e naturalmente all’uomo

con i suoi tormenti, speranze e vita. Un po’ meglio gli è andata con la pittura, per la

quale nella sua vita è riuscito ad organizzare una

ventina di personali. Alla base delle sue creazioni c’è l’ Impressioni-

smo. Nelle sue tele, comunica il suo amore per ciò

che lo circonda: alberi, case dai tetti rossi, piccoli borghi e verde sullo sfondo. Ed ancora neve om-

brata, rive di fiumi, il rosso mattone delle case in

costruzione, piccole barche vuote. Verso l’età matura Gazzetti si rivolge a Maria.

Nascono così le pennellate “La Madonna dei Par-

goli innocenti”, “Omaggio alle madri della Par-

rocchia” e molte altre in cui si ritrova l’omaggio

alla maternità.

In tutta la sua opera, comunque, predomina sempre il richiamo all’acqua: sotto forma di pie-

ne, di piccoli rivoli e molto altro, quasi a simbo-

leggiare lo scorrere della vita con tutti i suoi alti e bassi che gli esseri umani sono chiamati ad af-

frontare e a percorrere ogni giorno.

Roberta Colazingari

Immagini:

Eleuterio Gazzetti - Studio per figura (olio su te-

la 30 x 40). Eleuterio Gazzetti: Paesaggio umbro (olio su te-

la 30 x 40).

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.45

NAZARIO PARDINI

I SIMBOLI DEL MITO

Il Croco , I quaderni letterari di Pomezia-Notizie, 2013.

Nazario Pardini, con la raccolta I SIMBOLI DEL MITO, Primo Premio Città di Pomezia 2013, ci of-

fre delle poesie interessanti come contenuto e come

stile. Nei suoi versi c’e’ ritmo, suono, fluidità e tocco

di classicismo, senso spirituale e storico dove spes-

so il passato si mescola col presente legando il tutto attorno ad un solo ramo, ad un solo centro di vita.

Niente corrosione decadente; ma viaggio sicuro

con la fune che tiene e regge i simboli del mito lun-go il percorso forse una volta tracciato dagli dei, da

Apollo, Saffo e compagnia bella.

“ Amara svenava/ la tua vita, Ifigenia,/ per propi-ziare l’armata degli Achei./ Poteva di cotanto male/

convincere la fede! “

Ifigenia, figlia di Agamennone. Quando i greci mossero alla volta di Troia furono trattenuti, dalla

mancanza di vento, nel porto di Aulide per volere di Artemide, offesa da Agamennone. Calcante, in-

terrogato, rispose che la dea poteva placarsi solo col

sacrificio di Ifigenia. E mentre si apprestava il sa-crificio, Artemide, mossa a pietà, la sostituì con una

cerva e la trasportò in una nube nella Scizia dove ne

fece una sacerdotessa! Nei componimenti del Nostro c’è tanta mitologia,

a partire dall’Odissea di Omero. E non manca, na-

turalmente, Ulisse: “ Siamo andati sui mari,/ a cer-care nuovi lidi,/ abbiamo visto perire/ eroi arsi ed

arditi/ nati/ per conoscere mondi;/ abbiamo sfidato

gli dei/ per avversi sentieri,/ persi compagni / divo-rati/ da mostri o prodigi./ Turbini di grigi cieli,/

scogli di sirene,/ amene voci di malie,/ nostalgie su

labili gusci di bosco. “ Ottima la lunga poesia “ Oltre quel muro” che ci

fa ricordare DEI SEPOLCRI di Ugo Foscolo: “

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne “ endecasil-

labi sciolti di alto livello! Pardini canta: “ La notte/

ai flebili lumi/ e fra le stelle/ belle le mie anime/ sul

prato al cimitero;/ all’ora tarda,/ quando i viventi / sono nei giacigli,/ s’incontrano tra i tigli / ed i ci-

pressi.“ E cosa fanno quando s’incontrano tra i ti-

gli? Escono dai “marmi freddi” per parlare di affetti e di ricordi ai bordi dei sepolcri. Invece, secondo il

Foscolo, i morti non sentono nulla ed è illusione dei

superstiti che i morti sentano e possono essere con-solati dall’affetto dei loro cari.

Cosa può alleviare il lungo sonno dei morti? Con

la morte l’oblio cancella ogni cosa? Difficile, im-possibile, rispondere a queste domande se la spe-

ranza fugge i sepolcri!

In ogni modo, I SIMBOLI DEL MITO sono versi

possenti e le figure mitologiche vengono trattate

bene, con rispetto, le quali in fondo danno colore e calore alla visione poetica di Pardini

Ulisse ritorna alla sua amata Itaca. Al ritorno dal-

la lunga guerra di Troia, incorso nello sdegno di Nettuno, per avergli accecato il figlio Polifemo, an-

dò errando per dieci anni prima di rivedere la pa-

tria e le sue peregrinazioni formano, come sappia-mo, argomento dell’ODISSEA. Leggendo I SIM-

BOLI DEL MITO di Nazario Pardini, abbiamo fat-

to anche un tuffo nel mare della bella mitologia, tanto cara ai poeti.

Afrodite, dalla spuma del mare, tutta festosa, ci

sorride.

Mariano Coreno

Melbourne, Australia

ANNA AITA

DOMENICO DEFELICE

Un poeta aperto al mondo e all’amore

Il Convivio, 2013 - Pagg. 94, € 12,00

Domenico Defelice, narratore di ampio respiro si

pone tra i migliori scrittori dei nostri giorni.

Ancora molto giovane inizia amicizie importanti per il suo destino di scrittore, sia a contatto con am-

bienti popolari, sia esercitando vari mestieri per vive-

re, sia dedicandosi a stimolanti letture, intrecciando rapporti con esponenti della vita intellettuale.

Oggi, notevole esperienza e vasta preparazione si

compendiano nei suoi scritti ricchi di trame sempre ideate sulla base di concreti concetti.

Gli ambienti realizzati sono il risultato di un pro-

fondo e minuzioso studio che gli permette di inseri-re, in ogni più piccolo dettaglio, una inventiva ori-

ginale e, nello stesso tempo, aderente allo spirito

della sua opera. Anche nella poesia Defelice si pone in alte sfere e

il suo discorso si identifica nel tessuto connettivo

tra lo svolgersi degli eventi, la successione degli e-

pisodi raccontati e le immagini che ne derivano.

I diversi piani, in cui si realizzano i vari elementi

narrativi, sono resi ciascuno nella sua preziosa inte-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.46

razione e si evidenziano sia nel senso descrittivo,

che in quello narrativo. Pertanto, i motivi autobio-

grafici, sono assunti a verifica di una inchiesta esi-stenziale, illuminata dalla segreta ansia del destino

soprannaturale dell’uomo.

Non aggiungo altro perché mi è mancato il tempo di studiare a fondo l’opera di Domenico Defelice e

della sua arte.

Mi sono fatto un’idea seguendo il saggio dell’ ot-tima Anna Aita che, al suo attivo, ha una lunga e ri-

levante esperienza narrativa, approdata ormai a più

sicure e mature prove di successo con romanzi rap-presentativi della cultura del nostro tempo. Anna,

con squisita e delicata sensibilità, ha saputo molto

bene illustrare le qualità letterarie del Defelice, scrittore calabrese, che onora la strada del nostro

sapere.

Aldo De Gioia

Immagine: Domenico Defelice a Roma, il 21 aprile

1970 nel Chiostro di S. Giovanni in Laterano.

SALVATORE D’AMBROSIO

BARCOLLANDO NELL’INDICIBILE

Bastogi, Collana di Poesia Il Liocorno - 2009 -

Pagg.55, € 7

“Le lacrime non possono/ l’arido eletto a sostanza

del tempo tuo,/ essere lavacro per rinsanguare/ di anni esultanti il rimasuglio./[..]”

A spasso tra i versi del D’Ambrosio, senza che i-

nizialmente ci si cimenti in una lettura approfondi-ta, il lettore va avanti sbandando, per l’appunto

“barcollando”.

L’equilibro che manca non è quello della poesia, ma quello della quotidianità della vita, dell’ esi-

stenza giorno per giorno.

Questo squilibrio del passo umano, che ormai si appende alle spalle del mondo, è ciò che ispira il

poeta, essere chiamato a vedere oltre e vedere pro-

fondamente.

Il poeta diviene qualcuno che sembra delirare. I

suoi testi parlano d’amore, ma l’amore soffre e

spacca in due l’anima; parlano di vita, ma la vita si disfa e ammuffisce, perde la bussola e va delirando;

parlano di profumi e ricordi, ma ben presto essi si

fanno metafora di abbandono e oblio. Da qui l’ in-certezza, il disorientamento, il barcollare in una ma-

teria che diventa poesia indicibile, la profezia di co-

se che il poeta vede e che lo sovrastano. Egli le ama e le odia e diventano così quel qualcosa che non

andrebbe detto.

Ad una lettura più attenta, però il disorientamen-to, ci accorgiamo, non finisce, non si torna affatto

all’equilibro né delle cose né tanto meno dei temi.

Capiamo perciò che il disorientamento, questo “

barcollare”, è un espediente voluto e pensato dal D’

Ambrosio. Il lettore viene messo in condizione di indossare le scarpe del poeta per poter camminare

tra le macerie ideali e concettuali di questa epoca,

viene messo in condizione di calzare i suoi occhiali e portato e vedere il mondo nel modo in cui Egli lo

scandaglia. La parola è il mezzo supremo di porre in

un corpo solo finito ed astratto: le parole di questa raccolta sono il mezzo con cui l’autore mette l’ uno

di fronte all’altra follia e ragione, certezza ed incer-

tezza, il primo e l’ultimo, ordine e disordine. Brandi-sio Andolfi afferma “ L’Autore, allora, si rivela in

questa raccolta veramente figlio del suo tempo e ,

come poeta, cantore fedele di tutti i moti [..]”. Ed è così che accanto a questi versi di immensa

carica quanto mai realistica e che descrivono lo sfa-

celo di una città e della sua dis-umanità “ [..] Intan-to guardi il duro delle tue mani/ e aggiungi a que-

sto/ la nostalgia di un tempo incorrotto/ che forse

non ti avrebbe consegnato chiodi / dietro le porte sgangherate/ dove appendere panni consunti/ pro-

fumati di sudore e lavoro/ della vita tua.” ( da Alle cinque si ferma il cantiere) seguono versi di sogno

e di speranza “[..] non sarò più/ senza l’approdo/ di-

sperato naufrago.” ( da Avrò il mio giardino?) e an-che versi d’amore e di ricordi di felicità come in

“Di te questo” . Ma ogni tema, che il lettore può

annoverare tra quelli cantati, è in realtà la porta d’accesso ad altri temi e spigoli da arrotondare: l’

amore è l’amata, ma anche la madre che scalda, in

un corpo che brucia ( vedi Neve), il ricordo della gioventù e della città amata ( vedi “E ancora altri

profumi”) diviene lo stendardo del poeta , la sua

spada di penna e la sua firma “Lunghi profondi re-spiri/ di chi ha cose infinite da dire”.

Una scrittura metaforica ed intrinseca, che cura la

forma esterna perché sia l’accesso a quella interna e profonda delle parole, scrittura che sa essere mor-

bida e descrittiva ma anche rude e spoglia; innalza

il lettore attraverso rari e vibranti versi per poi spe-

gnerlo nel nero giornaliero.

Aurora De Luca

Stampare un giornale ci vuole coraggio, ma è più dif-ficile farlo vivere: composizione, bozze, carta, stam-

pa, buste, francobolli… se non volete che

POMEZIA-NOTIZIE

muoia, diffondetelo e aiutatelo con versamenti volon-

tari (specialmente chi trova la propria firma, o scritti che lo riguardano, dovrebbe sentirsi moralmente ob-

bligato. L’abbonamento serve solo per ricevere la ri-

vista per l’intero anno). C/c. p. n. 43585009 intestato

al Direttore

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.47

ANNA AITA

DOMENICO DEFELICE

Un poeta aperto al mondo e all’amore

Il Convivio – 2013 Pag. 96 € 12,00

Credo che per uno scrittore o artista in generale, una delle gratificazioni più importanti sia quella che

altri s’interessino di lui e del suo lavoro; ciò deter-

mina che per il valore delle sue opere ha acquisito una gran notorietà. Di questo può vantarsi Domeni-

co Defelice, che ha dedicato la sua vita alla lettera-

tura e all’arte, non solo per se stesso ma aprendo la porta a tutti gli amanti della cultura, come attesta la

sua Rivista Pomezia-Notizie, in vita (e ancora pro-

spera) sin dal lontano 1973, dove moltissimi poeti e scrittori hanno avuto la possibilità di collaborare e

farsi conoscere.

Ciò che distingue Defelice da altri nomi altiso-nanti sono proprio la disponibilità e la cordialità

che lo rendono semplice e umano, quindi, una per-

sona squisita. Ormai si perde il numero delle tante sue opere, che denotano inoltre una versatilità non

comune. Defelice è poeta, prosatore e scrittore di testi teatrali, critico e saggista, collaboratore di nu-

merose testate; inoltre, ama la pittura (e in Rivista si

possono ammirare sovente i suoi disegni). Un arti-sta dunque completo.

Ai numerosi personaggi che gli hanno dedicato

un saggio monografico, si aggiunge Anna Aita con

questo suo volume “Domenico Defelice – Un poeta

aperto al mondo e all’amore”. Già dall’inizio si

comprende l’impegno di Aita, che presenta Defeli-ce sin dalla nascita e lo segue a passo a passo per

dar modo al lettore di comprendere appieno la sua

personalità. Possiamo quindi immaginarlo negli anni infanti-

li, al pascolo delle pecore, per aiutare i genitori che

vivevano grazie alla coltivazione della terra. Sono anni poveri e di guerra, ma decisivi per il suo con-

nubio con gli amici animali e la natura. Lo trovia-

mo ragazzo, a seguire gli studi a Reggio Calabria, dove incontra una giovane per la quale scriverà “Un

paese e una ragazza”, ma il primo vero amore sarà

Marcella, conosciuta tempo dopo, alla quale dedi-cherà molti versi e un poemetto. Seguono altri in-

contri (uno di questi finito tragicamente) finché non

trova la donna della sua vita, la sua sposa, ancora oggi felicemente al suo fianco. Anche le occupa-

zioni sono diverse: lavori che gli permettono di se-

guire gli studi ma non gli offrono certamente una vita agiata, anzi, molti sono i disagi e le costrizioni.

La sua ispirazione artistica però è ben viva e Defe-lice continua a scrivere e a collaborare con varie te-

state.

Quando deciderà di stabilirsi definitivamente a Roma avrà modo di far amicizia con importanti let-

terati e nonostante le varie vicissitudini, la lonta-

nanza dai suoi cari, lo stipendio esiguo d’ insegnan-te (che dopo, grazie alla sua bravura, aumenterà

sempre di più), Defelice impronterà la sua vita sia

sul piano professionale sia su quello artistico. Molte sono, infatti, le sue opere scritte con i relativi suc-

cessi letterari. Riguardo all’amore vi sarà un cam-

biamento radicale: il matrimonio con Clelia e il tra-sferimento definitivo a Pomezia, dove fonderà il

periodico Pomezia –Notizie.

Terminata l’analisi dettagliata della storia bio-grafica di Defelice, Aita svolge un’esegesi sulle sue

opere, pubblicazioni e testi teatrali; si occupa

inoltre di Pomezia-Notizie e delle varie monografie

scritte per lui. Un’indagine senz’altro impegnativa

vista la sua copiosa produzione. In questo modo il

lettore può seguire gradualmente l’ispirazione e la maturazione di Defelice, ammirarne la scrittura, la

fervida immaginazione, la versatilità, la costanza di

tenere in vita il suo periodico anche in tempi difficili come il nostro, nonostante gli anni che

avanzano e un continuo assillante lavoro.

E’ impossibile soffermarsi su ogni edizione di Defelice, poiché ci vorrebbe un vasto spazio, e non

si può nemmeno generalizzare sul suo operato poi-

ché ogni lavoro è diverso dall’altro e meriterebbe un suo approfondimento; si può soltanto affermare

che Aita, con questa sua esaustiva monografia, ha

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.48

sviscerato il mondo di Defelice dando la possibilità

al lettore di conoscere appieno sia l’uomo sia l’ ar-tista. E’ un’altra importante attestazione che avva-

lora l’importanza di questo personaggio, già d’ al-

tronde tradotto in nove lingue e conosciuto in cam-po internazionale.

Sono da rilevare inoltre le interessanti fotografie

di Defelice, dalla prima infanzia in poi, che deline-ano l’evolversi della sua immagine nel corso degli

anni, il suo ambiente familiare, momenti di relazio-ni pubbliche ecc., che nell’insieme rendono l’ at-

mosfera del testo ancor più pregnante.

Laura Pierdicchi

Immagini: - Pomezia, 18 ottobre 1986, palestra Isti-

tuto d’Arte: Domenico Defelice, con accanto il

Sindaco della Città Filippo Walter Fedele, stringe la mano all’ad della Sigma-Tau, dott. Pietro Anne-

si, sponsor del Premio Internazionale Città di Po-

mezia, VII Edizione. Pomezia, settembre 1985: Domenico Defelice con

il corrispondente del quotidiano Il Tempo, Franco

Di Filippo, presso la Tomba di Enea, sito archeolo-gico nella tenuta del principe Borghese in località

Pratica di Mare (RM).

FABIO CLERICI

IL GRIDO DELLA TERRA

Missione Emilia

Associazione Culturale TRACCEPERLAMETA,

2013, pagg. 136

L’Italia è una terra a rischio. Non certo dal punto

di vista politico (diecimila bocche che masticano e nessun cervello che pensa davvero), ma da quello

fisico-geologico sì. Considerando che è la terra vul-

canica per antonomasia, nel Sud Europa, essa è pe-rennemente a rischio sismi, con debite conseguenze

per l’ambiente e gli abitanti dello stivale.

Purtroppo, i terremoti in Italia sono come i we-stern di Sergio Leone e Bruno Corbucci: visto uno,

visti tutti.

La terra trema, senza preavvisi di sorta, il panico

si diffonde ovunque, le case ed i monumenti crolla-

no (due cose delle quali l’amministrazione se ne frega, mussolinianamente: le case si rifanno, in e-

conomia, ed i monumenti non sono che Cultura del

passato), la gente muore o resta ferita in modo più o meno grave. Chi non ha avuto la fortuna (!) di finire

al cimitero o all’ospedale, è costretto a vivere da

sfollato senza casa, in baraccopoli d’emergenza provvisorie (niente è più duraturo del provvisorio,

in Italia!), mentre le Autorità continuano a latrare

che non si dimenticheranno dei poveri cittadini e si provvederà presto e bene (e cioè: il commissario

Ambrosio si ammazza di fatica sul posto, mentre l’

onorevole De Ficiente va a far fine settimana a Por-to Cervo).

Ci sono poi atti di valore o umanitari fatti effetti-

vamente dalle forze dell’ordine o da gruppi di vo-lontari ed i giornali fanno servizi di due, tre, quattro

pagine, con moltissime foto.

Ma tutto questo è solo Storia, in via ufficiale. Ma cos’è davvero un terremoto e quel che ne con-

segue? Fabio Clerici (classe 1961), scrittore, poeta, viag-

giatore appassionato e grandissimo amatore della

montagna ci racconta la vera storia del terribile ter-remoto che colpì l’Emilia il 20 maggio 2012 (poco

più di tre anni esatti dopo la tragedia analoga che

colpì L’Aquila).. E ce la racconta con voce appas-sionata, da essere umano, non da scrittore profes-

sionista o da giornalista d’assalto, sperando di fare

uno scoop che gli valga un Pullitzer (l’Oscar dei giornalisti).

Io dico che è una storia VERA in quanto che

quanto ho affermato sopra è solo un terremoto IN VIA UFFICIALE, raccontato in terza persona, dall’

esterno, con tono gelido e professionale. Nessun

coinvolgimento emotivo e tutte le virgole al posto giusto. Un servizio completo di tutto che ignora il

dolore di chi ha perso un parente o un amico nella

tragedia, che ignora il pianto dei bambini, terroriz-

zati da un evento imprevisto, o i versi delle bestie,

non meno spaventate dei cuccioli d’uomo.

Questa è una storia vista “da dentro”, narrata in prima persona attraverso le azioni di un gruppo di

agenti della Polizia Locale (già Vigili Urbani), in

trasferta sul luogo della disgrazia per prestar soc-corso, in ogni modo (materiale e spirituale) alle vit-

time ed ai sopravvissuti, non importa se bestie o

umani. Può piacere oppure no, questa storia, ma certo non

è una vicenda da prendersi alla leggera. Non è un

servizio televisivo da godere, attendendo L’Isola dei Famosi, sgranocchiando patatine e pensando,

con indifferenza: Povera gente (meglio loro che i-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.49

o)! Stavolta è un fatto personale e nel momento in

cui lo si legge si capisce che questo è Dolore vero,

autentico sangue caldo, disperazione non di frutto letterario. Un vero schiaffo in piena faccia.

Può piacere o no, ripeto. Dipende dalla natura e

dal temperamento del lettore, ma non è un libro da prendere in sottogamba. E’ una testimonianza effet-

tiva, diretta e personale, fatta sulla pelle nuda. E

non per modo di dire. E, inoltre, è un libro che vale il doppio, in quanto che Clerici è innanzitutto ed es-

senzialmente un poeta (ha firmato numerose, bellis-

sime sillogi in passato. Il risvolto di copertina ne dà ampia lista) e questo suo sforzo letterario, in prosa,

è un raro e non disprezzabile esempio di abilità e di

sensibilità artistica. Non è facile davvero, come ar-gomento da presentare ai lettori, vecchi o nuovi che

siano.

Non intendo commentare oltre. Troppo ci sarebbe da dire e questa è sempre e solo una recensione. Ma

chi leggerà questo testo non rimarrà deluso e dovrà

rendersi conto che le tragedie mostrate dalla tv non sono un lavoro teatrale a firma Goldoni o Brecht.

Qui si fa sul serio! Buona lettura.

Andrea Pugiotto

UMBERTO PASQUI

STORIE DI FORLÌ

Non c’è bisogno di presentare Pasqui. Tutti i letto-

ri dell’ottima rivista Poeti nella società lo conosco-no già, mercé le accurate recensioni da lui redatte

su testi dei generi più diversi. La sua professionali-

tà, come recensore, non è certo messa in discussio-ne.

Ma stavolta l’amico Pasqui è dall’altra parte della

barricata, come si dice, poiché stavolta è nel ruolo di scrittore. Anzi, di curatore.

Storie di Forlì ci parla di questa bellissima metro-

poli emiliana, vecchia già di 2.200 anni (portati be-

nissimo, in verità), che ne ha vedute, sentite e vis-

sute di tutti i colori.

Il titolo del testo potrebbe far supporre ad un’ an-tologia di fiabe popolari inerenti Forlì o di novelle

di Autori nati in quella bella città. Tutti sarebbero

autorizzati a pensarla in tal senso, giacché prece-denti, nell’uno come nell’altro senso, non ne man-

cano davvero. E invece, questa antologia fa parte

del genere Favole vere del grande fiume, di guare-schiana memoria. Storie meravigliose, realmente

accadute a Forlì ed immediati paraggi, che ci parla-

no di santi e di guerrieri, di strade e di piazze, di gente piccola e meschina ed anche di grandi fatti

che mutarono il corso della Storia.

Pasqui offre un ritratto a tutto tondo di Forlì dalle

prospettive più diverse: Luoghi; Personaggi; A-

neddoti; Dintorni, trattando ogni argomento con dovizia di particolari… a costo di essere reputato

odioso, dovendo anche presentare persone discuti-

bili e che si preferirebbe dimenticare! Ma Pasqui vuole cantare Forlì nel Bene e nel Ma-

le, senza negare le ombre né esaltare in modo ipo-

crita e sperticato le luci, facendo apparire bellissimo ciò che è solo passabile. Forlì è sotto gli occhi di

tutti i lettori, nuda e scoperta in ogni dettaglio. Può

piacere o no, può essere considerata una gran si-gnora o una puttana di origini incerte. Dipende

sempre dal punto di vista del lettore.

Pasqui – rendiamogli giustamente questo merito – è stato meravigliosamente obiettivo: non ha né ag-

giunto né tolto nulla. Forlì è sulla bilancia, nuda co-

sì com’è. Il giudizio spetta al lettore. Ma nel criti-carne i difetti, non scordate i pregi. Dopotutto, si

dovrebbe essere sempre grandi, nel Bene e nel Ma-

le. E Forlì forse lo è stata. Io, come recensore, ne sono rimasto affascinato.

Come lettore, posso solo dire: il giudizio a chi lo leggerà dopo di me. Il mio parere, pur se modesto,

qui non vale nulla, giacché ogni testa la pensa a

modo suo, diversa l’una dall’altra. Per fortuna. Da leggere con attenzione, per non farvi sfuggire

le più incredibili meraviglie riposte negli angoli più

impensabili.

Andrea Pugiotto

PAOLA INSOLA

LESSICO D’AMORE

Lorenzo Editore, 2012 - Pagg. 96, € 18

Cara Paola,

Ho letto con piacere il tuo Lesico d’amore (Lorenzo Editore, Torino 2012), raccolta antologica

destinata ad abbracciare ben trentacinque anni di

attività poetica (1977 - 2010). La prima sezione,

non a caso intitolata Il segreto della crisalide, è

giocata sullo sfiorarsi e talvolta sull’incontrarsi di

tematiche quali l’immersione totale nella natura e una religiosità ora palese, ora sottesa. La lirica

introtuttiva, alla quale la sezione è debitrice del

titolo, unisce mirabilmente lo stupore di fronte all’ eterno miracolo di una nuova vita che sboccia alla

presa di coscienza di quella precarietà destinata a

permeare l’intera esistenza mentre la successiva Basterebbe un colpo d’ala canta la contraddizione

del nostro viver perennemente sospesi tra umano e

divino: “Percorriamo/sentieri poveri di slanci/poi stupiti reggiamo nuvole/per la sosta dei gabbiani”.

Di fronte all’errore, alla caduta sempre in agguatto

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.50

la lirica Cronaca ci indica l’unica vera via d’uscita:

“...il Vangelo/è ancora Speranza/e la Parola/

dissipa dubbi/oltre la giungla/delle contraddizioni./ DIO perdona / ubriaco d’AMORE”. Ritorno

propone la metafora della poesia intesa come pane

(“Sarà vittoria di braccia/aggrappate alla ragione /a scrivere un paragrafo/sul pulviscolo del grano

/che stagiona nei versi: mio pane per un giorno”).

Una delicata sensualità permea infine Momento d’ amore e Sogno.

Anche nella seconda sezione, Confluenze,

introdotta da una citazione tratta da Goethe e da un frammento critico del compianto Silvio Bellezza, la

natura è protagonista, palcoscenico di una umanità

afflitta dal “male di vivere”: “Il mare aveva il colore/della luna e il vento smarriva/un cammino

di offerte/aggrappate ai polsi/nel sopore di vite

stremate” e ancora “Nessun rancore per il tributo /della resa, solo l’aggrottare/di ciglia per fierezza

grande./Misuri il cielo tra gli orli/discreti delle

foglie/ti pieghi sul fieno, mentre/sul tuo corpo rotola la luna”.

Il messaggio è chiaro: andare avanti nonostante tutto come attesta la lirica Navigare necesse est

abbinata all’acquarello proposto in copertina,

realizzato da Annamaria Zerbetto: “Per i naviganti dell’ora saremo/diafane vele trafugate alla notte/

ma dell’intreccio di una logora tela/siamo l’ordito

che resiste/al gorgo del destino:Navigare/(o amare?) necesse est”.

Lo spirito di ricerca, la voglia di saper ascoltare

Oltre le note animano la quarta sezione, sino a quella summa di tematiche insoliane costituita da

Incontro: “Nel colmo cesto delle labbra/furono il

dolce e l’asprigno/dei giorni che vorticano infinite ipotesi./Nuovo fermento ci prese per mano./Poi il

vento scompaginò le rime/e il racconto si fece mi-

nuto/liberando polvere d’amore”, con lo sguardo comunque proteso, ancora una volta, verso il futu-

ro: “Staremo bene sottovento/dopo aver guardato

indietro e concluso/senza darci il tempo di capi-

re/quali giorni salvare e quanti gesti/reinventare

sui rintocchi/che segnano ore nuove” (Dentro il

vento). A Una manciata di parole fanno seguito i Corim-

bi, sezione nella quale talvolta sei onirica, talvolta

contemplativa (Non muove sul mare) e a tratti quasi maliziosa (Fu l’improvvisa ventata). A volte emer-

ge la fisicità del rapporto (La tua bocca, Amore su-

dato e Dopo la parola: “parlarono i nostri corpi/al consenso della notte/vestita di fragranze. Ci de-

stammo/al singulto dell’alba/lievitati d’amore”).

Alcune liriche si ammantano di spiritualità (Tra-spari) e forte si avverte ancora una volta il contra-

sto tra il timore che tutto possa presto finire (Abita-

vi nei miei occhi) e lo stupore di fronte alla genesi

di nuovi sogni, sbocciati da quella necessità d’ ama-

re unico baluardo in grado di fronteggiare l’ ineso-rabile scorrere del tempo: “Sei nel mio stupore/nel

viaggio che fiorisce/dal deserto: miraggio/nel lento

miracolo/dell’alba”; “Proveremo a tenerci stret-ti/nel balenio/di notti generose/disposte a stempe-

rare/la curva/delle ore in fuga” (Il bisogno di ri-

trovarti), camminando in precario equilibrio sul filo “che separa promesse/calde d’estate/da svoli in-

cauti/di falena” (Questa sera inseguo).

Infine, la trilogia del Lessico d’Amore; Mia cara Turin, innanzi tutto, scritta in piemontese con la ri-

uscita immagine di quella collina che “...desfend

motobin/ij seugn ed j’innamorà” (“...difende molto bene/i sogni degli innamorati”), quindi la poesia

Per Gaia, composta l’8 marzo 2010 in occasione

della nascita della tua nipotina, ideale trait d’union con la lirica conclusiva, Lessico d’Amore, dedicata

passando dalla sfera privata a quella di respiro uni-

versale “alle donne del mondo” nella certezza che “Può accadere/guardandoci allo specchio/di smar-

rire/le certezze degli opposti/incapaci/di trovare differenze”.

Complimenti!

Roberto Tassinari

ACCAREZZARTI DI PAROLE

Nel fluire del tempo

mi persi navigando nei giorni

lenti i passi … mi accompagnavano

con furore per il cuore.

Sentivo la mia voce

percorsa da brividi

accarezzarti di parole

suadenti … persuasive

sino all’inverosimile.

Come foglia

non lasciavo mai il mio ramo

in attesa dell’inverno

cercavo di eludere l’autunno

per non staccarmi da te

che eri linfa per la mia essenza.

Generosa la stagione ascoltò

con compostezza il mio volere

turbando i colori previsti

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.51

dal suo proposito

si accostò a me ricercando

comprensione

che

subito accolsi

per smarrirmi in un’emozione.

Lorella Borgiani Ardea (RM)

TRA POCO È NATALE

Tra poco

è Natale.

Gesù è già

in cammino

per venire

in soccorso

all’Umanità

perché non si perda

in cose vane

e nel giorno

di Natale

ritorna

bambino

per rallegrare

i bambini

di tutto il mondo.

E suoneranno

le campane

vicine e lontane

per far festa

a Gesù

nel giorno di Natale.

Loretta Bonucci Triginto di Mediglia, Mi

TRA POCO È SERA

Tra poco

è sera.

Il cielo

è in preghiera

e le rondini

tornano al nido

con il grido

esterrefatto

per i misfatti

che succedono

ogni giorno

e piangono

gli alberi

incamminati

per la via

per questo giorno

che si oscura.

Loretta Bonucci

ALLELUIA

DELLA CREATIVITÀ

Brent, uno scimpanzé artista di 37 anni, ha

composto un quadro astratto e vinto 10.000

$ a un concorso di pittura. Al posto del pen-

nello, lo scimpanzé usa la lingua per appli-

care i colori. Niente da fare. La brava scim-

mia Brent ne deve mangiare, di pastasciutta,

per raggiungere l'originalità creativa dell'

uomo. Andy Warhol, già negli anni '70, di-

pingeva orinando affettuosamente sulla tela.

Rossano Onano

Anche s’è antigienico

i colori spalmare con la lingua

e se si ostina a non usar la zampa,

io sto con Brent, caro il mio amico Onano.

Che sia sempre così:

scimmia giocosa, estrosa, al naturale,

eternamente scimmia,

giammai essere umano,

se negli anni settanta

Andy Warhol pisciava sulla tela.

Ma non fu il primo e solo originale,

ché già, alla romana Galleria d’Arte

Moderna, una Palma Bucarelli,

sfrontata ed arrivista,

circondata di bonzi,

col mio e col tuo denaro,

comprava per esporre un po’ di stronzi:

l’ormai celebre assai Merda d’Artista!

Domenico Defelice

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.52

DEL POETA LA DIGNITÀ

Signore, al ristorante

non vado che ad ogni morte di papa;

in discoteca

da che avevo trent’anni.

Molto viaggio con la fantasia,

poco su treni ed autostrade

e paura ho del volo.

Non ho Suv, né iPhone, non ho iPad.

Niente prebende, non son cavaliere.

Vesto modesto, non ho conti in banca,

non ho la villa con la piscina.

La bellezza mi incanta alla mia età

- ed ancora la donna! -.

Ho del poeta la dignità.

Domenico Defelice

SEMPRE HO AVUTO UN SOGNO

Sempre avuto ho un sogno, caro Stefano,

in parte oggi da te realizzato:

sì, da te che convoli a giuste nozze

con la tua Emanuela.

L’ha già fatto Gabriella,

dalla quale un bel fiore anche è sbocciato.

Chiuderlo spetta a Luca,

sebbene pure lui ha le sue stanze.

Ho avuto sempre un sogno

ed a lungo per esso ho lavorato.

L’augurio è che il buon Dio nei suoi giardini

or non mi chiami subito,

prima ch’io veda almen le vostre case

tutte fiorite d’occhi di bambini.

Domenico Defelice Pomezia, 14 settembre 2013

AD ALESSANDRO

Da questo scoglio lambito

dall'acqua,

il vento canterino delle onde

fa vibrare l'aria

vela oltre vela

veleggiar io sogno

nella bellezza corrosa.

In punta di piedi

il desiderio entra in scena

e la fine non svela il suo sorriso

nell'oblio di perenne canto

Adriana Mondo

POEMAS SUELTOS

Mis poemas nacen del espanto

pero son pensamientos

palpitantes de razón.

Después de echar los versos

en el papel en blanco

mi ser reposa en las sombras

mientras en mis venas

corre la noche vacía

en busca del alba.

Anhelo volar a la distancia,

visitar amigos con quienes

mirar la luna triste

que muere sola esperando el sol.

Teresinka Pereira USA

PICCOLI FUOCHI

Odore pungente di stoppa bruciata,

si alimenta al calar della sera,

piccoli fuochi nella notte stellata

avanzano lenti tra la fresca brezza.

E’ un lasso di tempo tra l’estate e l’autunno

in cui si sente odore di terra,

primordiale profumo che penetra le narici,

ossigena il sangue rendendoti vivo,

creativo,

così da dar senso alla vita.

Colombo Conti

UN ALTRO CANTO DI SAFFO

Il viola voluttuoso della viola

è il viola del velluto dei tuoi occhi

mentre vibrante al verso della viola

vagheggio il tuo veleno che violenta.

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.53

Vendicativa per un voto violo

viziosamente la vergine viola

e mi vesto di viola e intreccio viole

per il tuo ventre dalle vene viola.

Viola di vaso viola di vallata,

ti voglio vaporosa di violetta.

Vieni vessillo veloce nel vento

dalla tua viola vedova d’amore.

Liana De Luca Torino

Nota – Le tre parole che non iniziano con la lette-

ra V, una per strofa, cioè occhi – intreccio –amore

aggiungono n ulteriore significato al testo.

IL VENTO

A Melbourne

tira vento:

chiudo porte e finestre

e resto dentro!

Mariano Coreno

QUANDO…

Quando chiuderò gli occhi

vi prego, figlie mie,

di mettere nella bara

anche le mie poesie!

Mariano Coreno

NIENTE È MIO

Quel poco che ho

e’ soltanto mio

fino a quando vivo.

Mariano Coreno Melbourne, Australia

CASE

Uova come i pigri insetti

ho lasciato nelle crepe dei muri

delle tante abitate case.

Mi torna a volte

qualche profumo-invito

e le vedo ancora lì nascoste

non schiuse.

Braccio sulla fronte

gioco a nascondino numerare

correre risate argentine

allontanarsi.

Il fuoco di mia madre attizzato

che dentro ancora brucia,

le silenziose stanze

senza echi di voci alterate,chiamare.

Non so se mio padre sapesse gridare

non l’ho mai sentito

solo caldissima la mano

stupore ancora oggi, come la mia.

Mano nell’insistenza dei richiami

prigioniera in una fotografia

con la piccola dagli occhi imbronciati.

Intrepida cerchia di quattro

felici e perfetti nell’attesa

per tornare all’attacco e conquistare

i tempi originari perduti.

Un profumo rincorre un suono,

un suono una voce

che dall’invisibile ridona

illusione d’ossa e di carne

pensiero che si sfalda

dove fiato in gola si perde.

Sognai

ero nella casa prima

quella che più amai.

Salvatore D’Ambrosio Caserta

PERDUTI SEGNI

Non si perde

sotto palpebre chiuse senza notti

l’appreso.

Rimane come di candela tenue lume

a farsi al riaffiorare in superficie

improvviso abbaglio.

Nulla è rimasto o è rimasto poco

quello che non c’è più però

e più manca come una preghiera

all’accendersi delle luci al crepuscolo

il buona sera.

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.54

L’ostilità del giorno rotta dal gesto

in accordo con le voci

a consumare la pace nelle case

come per dire:questa è l’eternità.

Consapevole canaglia

tenue lume

m’incendi la notte di perduti segni

mentre cresce sotto il silenzio di palpebre

concerto d’irrealizzabili promesse.

Salvatore D’Ambrosio

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE Premio “Filoteo Omodei” e “Pensieri in versi”

2014 - Scadenza 31 gennaio 2014. L’Accademia

Internazionale “Il Convivio” bandisce la quinta

edizione del premio “Filoteo Omodei” e la dodi-

cesima edizione del premio ‘Pensieri in versi’,

cui possono partecipare autori sia italiani che

stranieri nella propria lingua o nel proprio dia-

letto. Per i partecipanti che non sono di lingua

neolatina è da aggiungere una traduzione italia-

na, francese, spagnola o portoghese. Il premio

“Pensieri in versi” è diviso in sei sezioni: 1) Poe-

sia inedita a tema libero in lingua italiana. 2) Sillo-

ge di poesie senza limiti di versi, ma che compren-da almeno 10 liriche, (ordinate in 5 fascicoli, pena

l’esclusione). 3) Poesia inedita a tema libero in lin-

gua dialettale (con traduzione nella lingua naziona-le). 4) Libro edito in lingua italiana o in dialetto:

poesia, romanzo o raccolta di racconti, saggio (in-

viare tre copie, di cui una con generalità). 5) Pittura

e scultura (si partecipa inviando due foto chiare e

leggibili di un’opera pittorica o scultorea). 6) Alle

sezioni precedenti possono partecipare anche gli studenti delle scuole primarie e secondarie. Il pre-

mio “Filoteo Omodei” è diviso in tre sezioni: 1)

Poesia inedita in lingua italiana a tema religioso. 2) Poesia inedita a tema religioso in lingua dialettale.

3) Racconto inedito. Premiazione: a Verzella, in

provincia di Catania, nel mese di giugno 2014. Si può partecipare a più sezioni, ma con una sola ope-

ra per sezione, dichiarata di propria esclusiva crea-

zione. Gli elaborati vanno inviati in cinque copie (tranne per la sezione libro con tre copie e sezione

pittura con due copie), di cui una con generalità, in-

dirizzo e numero telefonico, alla Redazione de “Il Convivio”: Premio “Filoteo Omodei”, Via Pietra-

marina–Verzella, 66 - 95012 Castiglione di Sicilia

(CT) - Italia. La partecipazione al concorso è gra-tuita per i soci dell’Accademia Il Convivio e per gli

studenti che partecipano tramite scuola. È richiesto

invece da parte dei non soci, per spese di segreteria, un contributo complessivo per partecipare a tutte le

sezioni di euro 10,00. Per informazioni tel. 0942-986036, cell. 333-1794694, e-mail: enzaconti@ il-

convivio.org; [email protected]. Sito: www. il-

convivio.org

*** COMUNICATO STAMPA DELLA LECTURA

DANTIS METELLIANA - Primo appuntamento

per gli appassionati e gli studiosi dell’Alighieri.

Martedì 15 ottobre alle ore 18, nell’Aula Consiliare del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni, nell’ambito

del 40° ciclo di letture dantesche organizzato dalla

Lectura Dantis Metelliana, Eugenio Ragni, dell’Università di Roma Tre, “ha letto” il canto

XXVII del Paradiso. Ha introdotto il presidente

dell’Associazione, Fabio Dainotti. Ha coordinato i lavori il direttore Paolo Gravagnuolo. Il canto 27°

è l’ultimo dei canti ambientati nel Cielo Stellato;

in esso S. Pietro esprime un violento biasimo con-tro i suoi successori, che si servono della Chiesa per

i loro bisogni materiali. Nel canto si assiste anche

all’ascesa di Dante e Beatrice al Cielo Cristallino. Il professor Ragni, che ha firmato numerose voci per

l’Enciclopedia dantesca, si è occupato anche della

letteratura del Novecento; attualmente dirige i suoi interessi agli aspetti numerologici della Divina

Commedia. In occasione dell’evento è stato confe-

rito il Premio di laurea “ Fernando Salsano” e sono state esposte opere di un artista contemporaneo.

*** PREMIO ALIAS, VENTESIMA EDIZIONE -

Nella foto: Console Dr. Marco Maria Cerbo – An-gelo Mario Cianfrone – Giovanna Guzzardi - Da-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.55

niel D’Appio - Premiazione 30 settembre 2013.

Melbourne – Giunto alla sua ventunesima edizione,

il concorso letterario internazionale dell’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori ha premiato la

siciliana Enza Sangiorgio con la Medaglia d’ Ar-

gento del Sommo Pontefice e Angelo Cianfrone con la Medaglia d’Argento del Presidente della Re-

pubblica. I due hanno partecipato e vinto grazie

a due toccanti composizioni. L’ Accademia ha

selezionato la poesia di Enza Sangiorgio, intitola-

ta Salsedine, per il lirismo con cui l’autrice si rela-

ziona al mare, elemento a lei familiare in virtù delle sue origini isolane. La poetessa, infatti, è nata a

Melbourne e attualmente vive a Perth, nell’ Austra-

lia Occidentale, ma ha origini siciliane. Angelo

Cianfrone, invece, ha ottenuto il riconoscimento

del Presidente della Repubblica per un racconto, L’

Alpino, che narra la storia di un soldato di ritorno dalla campagna di Russia, il quale, pur cadendo in

disgrazia, non abbandona il proprio sentimento pa-

triottico. Angelo Cianfrone è nato in provincia di Chieti ed ora risiede ad Adelaide. I premi sono sta-

ti consegnati nel corso di una serata di gala dal

Console Generale d’Italia a Melbourne, Marco

Maria Cerbo, che si è complimentato con gli autori

vincitori per aver mantenuto forte il legame con la terra e la lingua d’origine.

Foto di Lorenzo Cambieri.

Domenico Defelice - Scaffale (1964)

LIBRI RICEVUTI

VALERIO MASSIMO MANFREDI - Il mio

nome è Nessuno - Il giuramento - Romanzo,

Numeri Primi Mondadori, 2012 - Pagg. 354,

€ 13,00. **

VALERIO MASSIMO MANFREDI - Il mio

nome è Nessuno - Il ritorno - Romanzo, Mondadori, 2013 - Pagg. 336, € 19,00. Vale-

rio Massimo MANFREDI è un archeologo

specializzato in topografia antica. Ha insegna-to in prestigiosi atenei in Italia e all’estero e

condotto spedizioni e scavi in vari siti del

Mediterraneo pubblicando in sede accademi-

ca numerosi articoli e saggi. Come autore di

narrativa ha pubblicato con Mondadori quin-

dici romanzi: “Palladion”, “Lo scudo di Ta-los”, “L’ Oracolo”, “Le paludi di Hesperia”,

“La Torre della Solitudine”, “Il faraone delle

sabbie”, ”Alèxandros” (trilogia), “Chimaira”, “L’ultima legione”, “L’Impero dei draghi”,

“Il Tiranno”, “L’armata perduta”, “Idi di

marzo”, “Otel Bruni”, “Il mio nome è Nes-suno - Il giuramento”, nonché raccolte di rac-

conti e saggi. Ha vinto prestigiosi premi, Dino

De Laurentis ha tratto un film da un suo ro-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.56

manzo, conduce programmi culturali televisivi e

collabora con “Il Messaggero” e “Panorama”.

** MARIO RICHTER - MARIA LUISA DANIELE

TOFFANIN (a cura di) - Il sacro e altro nella poe-

sia di Andrea Zanzotto - Indagini e testimonianze a firma di: Francesco Carbognin, Padre Espedito D’

Agostini, Antonio Daniele, Silvio Ramat, Mario

Richter, Maria Luisa Daniele Toffanin - allegato CD-Rom dei testi di Federico Pinaffo - Edizioni

ETS, 2013 - Pagg. 126, € 14,00. Francesco CAR-

BOGNIN lavora come Assegnista presso il Dipar-timento di Filosofia Classica e Italianistica dell’

Università di Bologna. Autore dei volumi “<L’ Al-

tro spazio”>. Scienza, paesaggio, corpo nella poesia di Andrea Zanzotto” (2007); “Le armoniose disso-

nanze. “Spazio metrico” e intertestualità nella poe-

sia di Amelia Rosselli” (2011) e di studi sulla poe-sia del Novecento. Organizzatore di diversi Conve-

gni nazionali e internazionali, curatore dei relativi

Atti, di Andrea Zanzotto ha curato l’edizione di “Sull’Altopiano” (2007), di “Il mio Campana”

(2011) e di diversi altri saggi a stampa e video. Ha collaborato all’edizione e al commento dell’”Opera

poetica” di Amelia Rosselli (2012). Con N. Loren-

zini ha curato “dirti “Zanzotto” “ (2013). Padre E-

spedito D’AGOSTINI è nato a Moriago della Bat-

taglia (Treviso) nel 1944. Licenza in teologia pres-

so gli istituti dell’Ordine dei Servi di Maria. Ha vis-suto nei conventi di Venezia fino al 1990, promuo-

vendo iniziative culturali legate al ruolo e alla vo-

cazione secolare della Serenissima. Nel 1990 si tra-sferisce presso il Priorato di S. Egidio in fontanella

di Sotto il Monte (BG), dove, fin dal 1964, David

Maria Turoldo aveva fondato una comunità aperta all’incontro, al dialogo, all’impegno civile ed eccle-

siale di rinnovamento. Ed è tramite Turoldo che e-

gli conosce Zanzotto. Al Priorato tuttora conduce i quaderni di spiritualità “Servitium”. Antonio DA-

NIELE è nato a Padova nel 1946 e ha insegnato

nelle università di Vienna, Padova e Cosenza. E’

ordinario di Storia della lingua italiana all’ Univer-

sità di Udine. Autore di numerosi saggi e monogra-

fie sulla lingua e la letteratura dal Trecento al Sei-cento e un’attenzione al più recente Novecento.

Silvio RAMAT è nato a Firenze e dal 1976 al 2012

è stato professore ordinario di letteratura italiana contemporanea all’università di Padova. Premiato

dall’Accademia dei Lincei, ha pubblicato: “L’ er-

metismo” (1969), “Storia della poesia italiana del Novecento” (1976), “Protonovecento” (1978), “La

poesia italiana 1903 - 1943. Quarantuno titoli e-

semplari” (1997), “I passi della poesia” (2002), “Il lungo amore del secolo breve” (2010). Poeta fin

dall’età di vent’anni, nel 2006 ha riunito in “Tutte

le poesie” (1.400 pagine, 2006) i libri editi a quella

data. Sono apparsi, poi, “Il canzoniere dell’amico

espatriato” (2009 e 2012) e “Bachi di prova” (2011). Mario RICHTER è nato a Valdagno nel

1935, libero docente dal 1966 e professore ordina-

rio dal 1972, ha insegnato letteratura francese nelle università di Lecce, Parma, Milano e per 30 Anni a

Padova. Fa parte di alcune fra le maggiori accade-

mie venete. Autore di numerosi studi sul Rinasci-mento franco-italiano e sulla poesia moderna, da

Baudelaire al Surrealismo. Al suo commento delle

“Fleurs du Mal” (1990 - 1997), pubblicato anche in Francia (2001) è stato assegnato il Premio “Natali-

no Sapegno”. Tra i suoi libri ricordiamo “La for-

mazione francese di Arderngo Soffici” (1969. Re-centemente ha curato una nuova traduzione italiana

del “Port-Royal” di Sainte-Beuve. Maria Luisa

DANIELE TOFFANIN è nata a Padova, docente di italiano e storia negli istituti superiori. Dedita alla

poesia e alle attività culturali, promuove, nell’ am-

bito dell’Associazione Levi-Montalcini, nelle scuo-le incontri letterali, momenti di poesia, laboratori di

scrittura. Partecipa a convegni organizzati dall’ U-niversità di Udine. Pubblica poesie su riviste nazio-

nali e internazionali. Ha pubblicato: “Dell’azzurro

ed altro” (1998, 2000), “A Tindari” (2000, 2001), “Per colli e cieli insieme mia euganea terra” (2002),

“Dell’amicizia - my red hair” (2004 - 2006), “Iter

ligure” (2006), “Fragmenta” (2006), “E ci sono an-geli” (2011), “Appunti di mare” (2012).

**

LEONARDO SELVAGGI - Antonio Angelone e

il suo mondo ideale - EdiAccademia, Isernia 2013

- Pagg. 44, s. i. p. Leonardo SELVAGGI è nato a

Grassano (MT), ma vive a Torino, dove è stato di-rigente superiore del Ministero per i Beni Culturali.

Collaboratore di svariate Riviste, ha ottenuto premi

e riconoscimenti. Curatore di importanti Antologie di Poesia contemporanea, ha pubblicato diecine di

volumi tra prosa, poesia e saggistica, tra i quali si

ricordano: Le ombre; Diario Poetico; Frammenti;

Desiderio di vivere; Venti anni di Poesia; La tran-

sizione; Lo sradicato e altri scritti; Pagine di un

anno; Le radici dell’essere; La croce caduta; L’ ul-timo dei romantici; Le feste degli altri; Franti pen-

sieri d’autunno; Il mattino dell’ufficio; Immigrato a

Torino; Poesie in due tempi; Eterne illusioni; Sti-molazioni e colloqui; I giorni del baratro; Realtà e

Poesia; Francesco Lomonaco; Saggi sulle “poe-

sie” di Ferruccio Brugnaro; Le ultime pagine del Duemila; Lontano è il tempo della notte; Andrea

Bonanno pittore e saggista dell’uomo nella sua es-

senzialità primordiale; L’amore sopra il precipizio; Poesie nella tempesta; Nicola Festa il classicista

sommo della Basilicata; Vita e Pensieri; Sugli asse-

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.57

tati di Ordine e Giustizia; Noi e il Terzo Millennio;

I tempi felici; L’altra valle; La terra tutta ci prende;

L’anima e gli echi lontani; Ruggero Bonghi; La poesia di Carmine Manzi nella sua ultima evolu-

zione; Luigi Pumpo – Poeta della vita e della natu-

ra; Domenico Defelice e le sue opere etico-sociali; Pantaleo Mastrodonato nella vita e nell’arte. Profi-

lo critico di scrittore e poeta; eccetera, dei quali si

sono interessati numerosi critici. Nel 1988, il Cen-tro di Studi e Ricerche “Mario Pannunzio” gli ha

conferito il Premio Speciale del Presidente della

Repubblica per la letteratura e il 2 giugno del 1989 gli è stata conferita l’ onorificenza di Ufficiale dell’

Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.

** AA. VV. - Presentazione dello Scrittore Antonio

Angelone Chiostro del Comune di Forlì del San-

nio 2 Agosto 2013 - All’interno, fotografie in bian-co e nero - EdiAccademia, 2013 - Pagg. 44, s. i. p.

**

ALDO DE GIOIA - ANNA AITA - La lunga not-

te. Le quattro giornate di Napoli - Rogiosi edito-

re, 2012 - Pagg. 80, € 12,50. **

ALDO DE GIOIA - Sogni lontani - Poesie -

RCEMultimedia Communication Company, 2013 - Pagg. 124, € 12,00. Aldo DE GIOIA, storico di

Napoli, poeta, giornalista. Ha scritto su importanti

quotidiani italiani: “La Repubblica”, “L’Avanti”, “Napoli Notte” e “Libero” quando la prima reda-

zione era diretta da Aldo Bovio. Ha collaborato con

giornalisti di vaglia come Arturo Fratta, Max Vairo, Mimì De Simone e Pietro Gargano. Ha fatto parte

della Commissione Toponomastica del Comune di

Napoli, ha dettato lapidi commemorative e varie. Per motivi storici è stato nominato cittadino onora-

rio di Atella (NA), Benemerito dell’Università de-

gli Studi di Salerno, Grande Ufficiale della Repub-blica Italiana.

**

ANNA AITA - Aldo De Gioia. Quando la storia

diventa poesia - In copertina, a colori, ritratto di

Aldo De Gioia; all’interno, a colori e in bianco e

nero, 98 foto, più numerosi documenti - RCEMul-timedia Communication Company, 2013 - Pagg.

158, € 18,00. Anna AITA è nata e vissuta in un

ambiente di musica e poesia. Suo padre era piani-sta, lo zio paterno tenore del S. Carlo, mentre al

nonno materno, Antonio Cinque, poeta, fondatore e

direttore de “La piccola Fonte” (primo cenacolo let-terario), è stata intestata una strada a Napoli. Aita

ha pubblicato: “Riflessi dell’anima” (poesie), “Sul

filo della memoria” (narrativa), “Soltanto una ca-rezza” (poesie), “Trasparenze” (quaderno di poesie

ottenuto in premio con votazione nazionale), “Il co-

raggio dell’amore” (romanzo verità), “In tre andan-

do verso” (poesie), “Così la vita” (poesie), “Sintesi

e commento di alcune opere di Carmine Manzi” (monografia), “Don Giustino tra storia e poesia”

(biografia), “La lettera smarrita, La lunga notte”,

“Domenico Defelice. Un poeta aperto al mondo e all’amore” (monografia).

TRA LE RIVISTE IL CENTRO STORICO - Organo dell’ Associa-

zione Progetto Mistretta, Presidente Nino Testa-

grossa, responsabile Massimiliano Cannata - via

Libertà 185 - 98073 Mistretta (ME) - Riceviamo il

n. 8 - 9 (agosto-settembre 2013) e rileviamo gli in-terventi di Massimiliano Cannata (“Cocchiara e l’

Inghilterra: mondi ed esperienze a confronto”),

Francesco Saverio Modica (“La chiesa di Santa Caterina”), Aldo Antonio Cobianchi (“Bianca di

Villamena, di Francesco Rampolla Del Tindaro”),

Lucio Bartolotta (“Pirandello e Sciascia: la “sicili-tudine” “).

*

IL FOGLIO VOLANTE/LA FLUGFOLIO - men-sile di cultura varia, direttore Amerigo Iannacone,

responsabile Domenico Longo - via Annunziata

Lunga 29 - 86079 Venafro (IS) - Sul n. 10 (ottobre 2013), poesie di Loretta Bonucci.

*

SOLOFRA OGGI - Dr. responsabile Angelo Pica-

riello - via Casapapa 1 - 83029 Solofra (AV) - Ri-

ceviamo il n. 8 - 9 (agosto-settembre 2013).

LETTERE

IN DIREZIONE (Ilia Pedrina a Domenico Defelice)

Carissimo,

mi hai permesso su Lionello Fiumi uno spa-

zio importante nel numero di Ottobre della

tua 'bella creatura' Pomezia Notizie, ora più

che mai splendente nei suoi primi quarant'a-

nni ed oggi, Domenica 13 Ottobre, mi lascio

sbalzare a Roverchiara dalla 'Peugeot' del mio

Amico Gianluigi, di colore verde metallizza-

to: con lui alla guida mi sento sicura e talora

volgiamo lo sguardo su queste terre lungo il

Page 58: Pomezia Notizie 2013/11

POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.58

corso dell'Adige, carta stradale alla mano,

perché non si sa dove sia. Si pensa, si riflette,

le parole non bastano a segnalare il nostro

stato d'animo perché tanto, troppo rimane so-

lo nel pensiero, per pudore e per rabbia in-

sieme, perché gli italiani non sono solo 'brava

gente', ma hanno anche, prima di tutto una

dignità, che va rispettata. Anche lui, il prof.

Gianluigi Bellin, docente all'Università di Ve-

rona nei Corsi di Logica, Matematica e Filo-

sofia della Scienza, ha trovato spazio nella

tua Rivista, per temi che riguardano la Giusti-

zia e con una 'Lettera Aperta', concentrata sul

problema dei ricercatori universitari e non so-

lo: ama la Poesia, quella d'Italia e d'ogni do-

ve, è musicista e Monteverdi lo prende den-

tro, con i suoi madrigali. 'Tu sei Poeta clande-

stino', gli dico spesso io, usando un'espressio-

ne che Giulio Caprin ha utilizzato per desi-

gnare se stesso all'amico Fiumi e che lo scrit-

tore Gianfranco Casaglia ha così bene evi-

denziato nell'opera 'La scoperta di un Poeta -

Il poeta clandestino scrive al poeta giu-

stamente palese - Lettere di Giulio Caprin a

Lionello Fiumi presenti nel Centro Studi Inter nazionale 'Lionello Fiumi' Biblioteca Civica

di Verona' che ti farò mandare, un'intensa cor-

rispondenza fra i due, ma mancano le lettere

di Fiumi al Caprin e il dott. Contò ne ha cura-

to la Prefazione.

Qui, nel piccolo Comune di Roverchiara, nel-

la casa dei nonni paterni, il Fiumi veniva a

passare le vacanze, dopo essere stato a Parigi

ed altrove e qui, proprio oggi si svolge la ce-

rimonia della premiazione dei vincitori del

PREMIO LIONELLO FIUMI POESIA E

TRADUZIONE. Arriviamo in ritardo, tutti

sono già seduti e la sala del Municipio è gre-

mita, alle pareti foto che non ho potuto guar-

dare. Il Sindaco Loreta Isolani è Presidente

Onorario e siede al centro, alla sinistra del

dott. Contò, che è il responsabile del Centro

Studi di Verona e Presidente del Premio, poi

Cinzia Bigliosi, traduttore, Enzo Saggioro,

critico letterario, e poi l'Assessore alla Cultu-

ra della Provincia di Verona e Stefania Guer-

rini, responsabile della Biblioteca

'Lionello Fiumi' di Roverchiara, Se-

gretaria del Premio e sua anima pul-

sante, perché carica di entusiasmo e di

intelligenti emozioni.

La presentazioni dei premiati viene

intercalata da esecuzioni musicali per

pianoforte e violino, brevi ma intense,

partendo da Vivaldi, attraversando

Dvorak per arrivare a Massenet. Ti

manderò tutto il materiale pubblicato

su Fiumi ed il Premio, perché ne ho

fatto precisa richiesta proprio alla si-

gnora Stefania che, slanciata ed ele-

gantissima in una mise Chanel, ha ri-

cordato commossa il suo contatto te-

lefonico con Alberto Bevilacqua,

quando lo ha avvertito, poco prima

che morisse, che aveva vinto il Pre-

mio: con questo intervento lei lo ha

voluto 'rassicurare', si, perché verrà ri-

cordato ed il suo mondo d'anima vivrà

ancora. Anche in questi tempi di 'resa

dei conti pubblici' strettissima ed as-

sillante, il Sindaco Isolani ha fatto in

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.59

modo tale da trovare i fondi per la XIII Edi-

zione del Premio, perché nulla viene chiesto

ai partecipanti, che sono stati moltissimi,

suddivisi nelle tre sezioni, le poesie in raccol-

ta edita, premio vinto da Giovanni Trimeri, le

poesie in raccolta inedita, vinto da Ivan Fede-

li ed il Premio 'Martha Leroux' per un'opera

edita in versi o in prosa tradotta dalla lingua

francese, vinto da Francesco Bergamasco. Si,

caro Direttore, perché Martha era la prima

moglie parigina del poeta ed è morta prema-

turamente: ne abbiamo visto la dolce bellezza

quando il dott. Contò, a conclusione dell'in-

contro ed alla presenza del nipote del Fiumi,

Giovanni Fiumi, ha mostrato una selezione di

immagini che loro due hanno scelto, tra esse

un 'interno' familiare raffinato e tristissimo ad

un tempo perché coglie Martha e Lionello,

con alle spalle il padre di lui, Giovanni ed in

primo piano un bambolotto di celluloide, di

quelli grassocci e nudini di una volta... Mi ha

preso un nodo alla gola!

Puoi immaginare il mio imbarazzo quando,

poco prima dell'inizio della premiazione e

della lettura delle poesie degli Autori selezio-

nati, lui, il dott. Contò, mi ha citata pubbli-

camente come colei che sta portando avanti

uno studio sull'amicizia tra Fiumi e Carême

ed io ti ho pensato subito perché è solo grazie

a te che ho potuto pubblicare le prime impor-

tanti tappe di questo percorso coinvolgente

che mi ha colto da anni in ricerche, viaggi e

lavoro: sei stato tu darmi il coraggio, costan-

temente scandito mese dopo mese dalle pub-

blicazioni su questi temi, utilizzando materia-

le del Fondo Fiumi di Verona, e segnalato con

emozione forte nelle 'Lettere' a te, perché si

sappia che un'opera è esperienza di vita e non

solo di studio; perché si vibri ancora di fronte

al fenomeno estetico della Poesia; perché si

capisca che un legame profondo scaturisce tra

due Amici ed è la Poesia stessa che li unisce e

ne alimenta la linfa vitale. Tu, Poeta illumina-

to e in palpito, tu che guidi da ventitré anni,

si, da ben ventitré anni, il PREMIO CITTA'

DI POMEZIA, tu sai che la Poesia non è solo

'dono' di rime e ritmi ma è esperienza e vita e

abbandono e risorgiva ad un tempo... Quando

ho mostrato la tua Rivista al prof. Francesco

De Piscopo, docente di Letteratura Italiana

all'Università di Napoli Federico II, mi ha

detto che ti stima tantissimo e sa cosa vuol di-

re coordinare lavori ed autori in tempi così

difficili!

Ma torniamo a noi. La cerimonia si è poi

conclusa e tutti si sono spostati nella villa del

Fiumi, posta di fronte al Municipio di Rover-

chiara e da lui donata al Comune, per un

buffet all'aperto, tra vini delle terre veronesi,

vivande in piccoli piatti ed un risotto alla sal-

siccia che ci ha lasciato sapore antico in boc-

ca, sacro. Torneremo qui ancora, per tutti i

dettagli fotografici sulla vita del Poeta, ma in-

tanto ti abbraccio, riconoscente.

Ilia

Ilia Carissima,

Roverchiara (somiglia tanto alla mia “Quer-

cia” in Alberi?: “Sulla collina/ solitaria/le

braccia ampie stendeva/in un canto altissimo

di foglie,/turbinio di specchi solari”) è ancora

- a quel che sembra - una speciale isola feli-

ce, se Sindaco - e non poteva che chiamarsi

Isolani! -, assessori di provincia, studiosi, cri-

tici letterari e d’Arte, innamorati della Bel-

lezza, collaborano in armonia e portano a-

vanti il Premio intestato a Lionello Fiumi.

Pomezia è, invece, mare comune della corru-

zione e dell’intrallazzo. Città sorta dal nulla

nel 1938 ad opera del Fascismo, è divenuta

improvvisamente, negli anni 1960 - 1970 at-

traverso la Cassa per il Mezzogiorno, il polo

più industrializzato del Lazio (solo da Roma,

giungevano a prestare la loro attività, ogni

giorno, 25 mila pendolari). Aggredita e poi

divorata a brani da politici e impresari diso-

nesti e d’assalto, oggi (e conta circa 70 mila

abitanti), Pomezia è ridotta a un agglomerato

di case sorte alla rinfusa in cui vive - si fa

per dire! -, accanto a un gruppo assai consi-

stente di facoltosi che meriterebbe di godere

della sorveglianza costante della Guardia di

Finanza - gente disperata per mancanza di

lavoro. Pomezia, deserto desolato in fatto di

cultura: la sua biblioteca non è in grado di

conservare e di valorizzare neppure quello

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POMEZIA-NOTIZIE Novembre 2013 Pag.60

che ha richiesto e che i cittadini le hanno do-

nato; il suo teatro è solo una fabbrica man-

giasoldi, da decenni in costruzione. Pomezia,

dalle migliaia di capannoni vuoti, soffocati

dalle erbacce e dalle spine. Pomezia,il cuore

mio lacerato per i tanti giovani e i tanti vec-

chi a rovistare nei cassonetti anche in pieno

mezzogiorno.

Il Comune è gravato da più di 150 milioni di

euro di debiti e il Premio Internazionale Città

di Pomezia, da me fondato e diretto, grava

totalmente sulle mie misere spalle. Vivendo

con una pensione da mille euro, non posso

permettermi lussi; viaggio solo con la fanta-

sia e ho dovuto ridurre il Premio al solo edi-

toriale, abolendo, cioè, la bella cerimonia di

premiazione che, negli anni passati, riuniva

migliaia di persone dall’Italia e dall’estero.

Dico migliaia, perché la cerimonia si svolge-

va in due tempi, intervallati da avvenimenti

come, per esempio, la sfilata degli abiti da

sposa o dei gruppi folcloristici nazionali, che

richiamavano autentiche folle. Un Premio

conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo

(tra i vincitori stranieri si ricordano, Solange

De Bressieux, della Sorbona di Parigi e Ora-

zio Tanelli della Rutgers University, N. J.,

USA), riportato anche nel volume Premiopoli

di Cinzia Tani, edito dalla Mondadori. Opera

legata al Premio era pure l’Antologia Pome-

tina (tre volumi: 1985, 1986, 1987), della

quale il 21 settembre 1989 è stato omaggiato

anche SS. Giovanni Paolo II.

Allora, un applauso futurista-lirico* e meri-

tatissimo al Sindaco Loreta Isolani, al dott.

Agostino Contò, a Cinzia Bigliosi, Enzo Sag-

gioro, Stefania Guerrini. E un grazie anche a

te, dal cuore, perché, amando svisceratamen-

te la Cultura, corri da un capo all’altro

l’Italia, vai all’estero e leghi d’amicizia e di

fattiva partecipazione studiosi di vaglia. Dar-

ti spazio sulle pagine della mia creatura di

carta è, dunque, non soltanto un dovere, ma

un vero godimento dell’anima.

Stimo anch’io il prof. De Piscopo e gradita

mi sarebbe la sua collaborazione.

Un fraterno e caloroso abbraccio.

Domenico

*Non credere - cara Ilia - al Fiumi quando si dichiara

antifuturista: certi suoi versi e immagini, se proprio

non lo sono, del Futurismo hanno ...odori e sapori!

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

NON sottoposti ad impaginazione) composti con

sistemi DOS o Windows su CD, indicando il si-

stema, il programma ed il nome del file. E’ ne-

cessaria anche una copia cartacea del testo.

Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per

cartella si intende un foglio battuto a macchina

da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale

di 1.800 battute. Per ogni materiale così pubbli-

cato è necessario un contributo volontario). Per

quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-

zione. I testi inviati come sopra AVRANNO LA

PRECEDENZA. I libri, possibilmente, vanno

inviati in duplice copia.

Per chi usa E-Mail: [email protected]

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nicoww/docs/p._n._2013_n._11 __________________________

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