01 Comune di Moltrasio Assessorato al Turismo Pietra di Moltrasio La zona insubrica, che comprende le pro- vince di Como, Varese e il Canton Ticino in Svizzera, ha visto in passato l’apertura di numerose cave di pietra di varia natura; fra esse, anche quelle della “pietra di Moltrasio”. Si tratta di un calcare selcifero di colora- zione grigio scuro, tendente a schiarirsi in zone molto soleggiate. La stratigrafia della pietra di Moltrasio, e di conseguenza le sue cave, si estendevano da Como, seguendo il versante del Monte Bisbino, passando per Moltrasio e Carate Urio, fino ad Argegno e alla Val d’Intelvi; mentre, sulla sponda orientale, proseguivano fino a Lezzeno. No- nostante fosse diffusa nel territorio, sembra che questa pietra abbia preso il nome da Moltrasio per via della notorietà del paese in Lombardia e della presenza di piode (la- stre in pietra), oppure perché, probabil- mente, è stata la prima zona in cui ebbe inizio l’attività di estrazione. L’attività delle cave si deve all’insediamento sul Lario degli antichi Romani, costruttori di ponti e strade; continua nei secoli successivi attraverso il Medioevo e il Rinascimento, per concludersi all’inizio del Novecento. Le cave più importanti erano quelle a Mol- trasio, Carate, Urio, Faggeto – ancora at- tiva –, Pognana e Careno. Oggi, a causa della mancanza di mano d’opera e dei costi molto elevati e quindi non concorrenziali, la richiesta di questo materiale è molto bassa.
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Pietra di Moltrasio
La zona insubrica, che comprende le pro-vince di Como, Varese e il Canton Ticino inSvizzera, ha visto in passato l’apertura dinumerose cave di pietra di varia natura; fraesse, anche quelle della “pietra di Moltrasio”.Si tratta di un calcare selcifero di colora-zione grigio scuro, tendente a schiarirsi inzone molto soleggiate. La stratigrafia dellapietra di Moltrasio, e di conseguenza le suecave, si estendevano da Como, seguendo ilversante del Monte Bisbino, passando perMoltrasio e Carate Urio, fino ad Argegno ealla Val d’Intelvi; mentre, sulla spondaorientale, proseguivano fino a Lezzeno. No-nostante fosse diffusa nel territorio, sembrache questa pietra abbia preso il nome daMoltrasio per via della notorietà del paese
in Lombardia e della presenza di piode (la-stre in pietra), oppure perché, probabil-mente, è stata la prima zona in cui ebbeinizio l’attività di estrazione.
L’attività delle cave si deve all’insediamentosul Lario degli antichi Romani, costruttori diponti e strade; continua nei secoli successiviattraverso il Medioevo e il Rinascimento,per concludersi all’inizio del Novecento. Le cave più importanti erano quelle a Mol-trasio, Carate, Urio, Faggeto – ancora at-tiva –, Pognana e Careno. Oggi, a causadella mancanza di mano d’opera e dei costimolto elevati e quindi non concorrenziali,la richiesta di questo materiale è moltobassa.
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A Moltrasio erano in funzione 13 cave (dasud, confine con Cernobbio, a nord, confinecon Urio): la Cava di Pizzo, la Cava del Run-casc (Cava del Roncaccio), la Cava del Taru-nin (Cava delle due strade), la Cava del CeppCativ (Cava del Taroni) e la Cava Stucchi/Della Rocca, sulla cui verticale si trovano laconosciuta Cava del Niasc (Cava del Nidac-cio) e la vicina Cava dell’Umbrelin (Cavadell’Ombrellino), le ultime ad essere statedismesse a Moltrasio, nella prima metà delXX secolo; c’erano poi la Cava dei Crotti, laCava di Vignola, la Cava del Pizzallo, la Cavadella Marianna, la Cava del Dossello e la Cavadi Linera.Inoltre, erano spesso attive piccole cave definibili “familiari” che, aperte nei siti di costruzione delle case, venivano abbando-
nate una volta terminata l’edificazione.L’estrazione della pietra era una delle attivitàeconomiche di maggior sostentamento dellefamiglie del luogo, anche se le fasi di lavora-zione comportavano grande fatica fisica. Conosciuta grazie al lavoro dei Maestri Co-macini, la pietra moltrasina era disponibile,infatti, grazie alla grande perizia di umili ca-vatori e scalpellini. Essi quotidianamentesalivano alle cave per estrarre il materiale e,nel contempo, si prendevano cura dellazona circostante mantenendola in ordine esicurezza. A testimonianza di ciò, ancora oggi, ammi-riamo gli imponenti muraglioni a secco cheservivano a contenere il pietrame di scarto.Tali muraglioni si ergevano in contempora-nea all’avanzamento del fronte di cava.
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L’operazione di apertura della cava era de-finita da più fasi.La prima, lo “scavo”, consisteva in un son-daggio profondo per verificare la quantitàdi materiale roccioso, lo spessore delle“bancate” e la relativa sezionabilità in pianiparalleli. Tra le altre caratteristiche del corso,erano osservati anche le fessure (litoclasi)che corrono parallele alla montagna e chefavoriscono l’estrazione in superficie, dovesono più larghi.Se il punto individuato era ritenuto valido,si procedeva rimuovendo la terra e il “cap-pellaccio”, ovvero la parte non consistentee alterata della roccia, sino a raggiungerel’inizio della parte sana del giacimento.Da lì iniziava, con varie tecniche, la vera epropria estrazione della roccia in blocchi oin lastre.
Le tecniche utilizzate erano tre: • la prima, consisteva nel tagliare la bancatae lavorarla sul piano della zona di cava; • la seconda, secondo cui si faceva franare ilfronte roccia, sperando che il materiale ri-manesse integro, era la più rischiosa; • la terza, prevedeva parte della lavorazionedella bancata sul posto, cioè senza far scen-dere la roccia sul piano.Nelle cave più importanti di Moltrasio,quella del Niasc e dell’Umbrelin, l’estrazioneavveniva con la tecnica dello scavo ma-nuale tramite la puntata. Si praticavano deifori in linea sullo strato da dividere, si inse-riva un cuneo di ferro (in dialetto, puncitt)con due profilati di ferro laterali in ogni foroe, battendo sui puncitt, si staccava lo stratoroccioso da sezionare poi a seconda dell’uti-lizzo.
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I fori venivano ricavati manualmente tra-mite l’utilizzo di uno stampo profilato a se-zione ottagonale dal diametro di 3 cm e diuna mazza per battere. La parte di stampoche doveva scalfire la roccia era a forma discalpello arrotondato. Per questa fase eranonecessarie 3 o 4 persone: una, seduta, dettasostenitore, manteneva lo stampo in posi-zione verticale, le altre, i battitori, battevanocon ritmo regolare alternato sulla partesommitale dello stampo. Ad ogni colpo lapersona che teneva lo stampo doveva sol-
levarlo e ruotarlo leggermente per creareuna sezione circolare regolare. Nel foro chesi andava formando veniva versata dell’ac-qua. Il sostenitore, quando sentiva che siera accumulata polvere nel buco e che lebattute stavano “andando a vuoto”, fermavai battitori sollevando il dito indice, senza la-sciare lo stampo. Usava, quindi, per pulire ilbuco, un utensile detto spazzola (in dia-letto, spazeta) formato da una sottile barradi ferro e sulla cui estremità era stato rica-vato una sorta di cucchiaino.
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Avveniva poi il caricamento del foro con ilmateriale esplodente ad opera del fuochino(in dialetto, fughin): contemporaneamentealla polvere nera, si inseriva una miccia conun nodo all’estremità e successivamenteancora polvere nera, pressando ogni stratocon un attrezzo di ferro e ottone (l’ottoneevitava le scintille) detto calcun. Questa operazione di calconatura era molto
importante per evitare che facesse canun,cioè che venisse sprigionata la forza esplo-dente attraverso il foro, rendendo vano il la-voro. Nell’ultima parte a riempire il foroveniva messa della polvere di mattone, for-mando il tappo (in dialetto, busciun). Prima e dopo il brillamento veniva avvisatala popolazione tramite il suono di unatrombetta.
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Successivamente, il materiale estratto era af-fidato agli scalpellini (in dialetto, picapreda)che erano in grado di scorgere i difetti dellapietra – come i peli, cavillature biancastre divaria lunghezza – e, in base all’utilizzo finale,sceglievano il materiale e lo lavoravano,spesso ancora in sede di cava.Tra gli utilizzi della pietra di Moltrasio, eranofrequenti: muri a secco o con malta, pavi-
mentazioni interne ed esterne, coperture ditetti, paramanture, cordoli, lastre per bal-coni e piani di tavoli, davanzali, scale e pezzispeciali vari. Sono presenti sul territorio anche nume-rose architetture per la cui edificazione èstata scelta la pietra di Moltrasio. Oltre allemoltrasine Sant’Agata e S. Martino, si anno-vera anche il duomo di Como.
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Infine, la pietra veniva trasportata a valle supesanti slitte in legno dette “carei” (carrelli)che scivolavano lungo ripide strade di pie-tra appositamente realizzate. Alcune di queste strade sono quelle vie pe-donali che ancora oggi collegano vertical-mente Moltrasio. Un esempio è la strada,appunto, “dei carei” che collegava la cava
del Niasc alla zona di sbarco a lago, detta“rivetta”. La pietra, quindi, veniva trasportata via lagoe caricata sui comballi (in dialetto, cumball),imbarcazioni adibite al trasporto di mercipesanti e dotate di una grande vela rettan-golare per sfruttare i venti Breva e Tivanoper muoversi.