UntitledPENSIERI SULL’IMITAZIONE JOHANN JOACHIM WINCKELMANN TRA
STORIA
DELL’ARTE, IDEALI POLITICI E AltertumswissenschAft
a cura di Gian Franco Gianotti
Quaderni, 31
Via Accademia delle Scienze, 6
10123 Torino, Italia
10123 Torino, Italia
la documentazione di attività accademiche pubbliche
(conferenze, atti di convegni o giornate di studio).
Nel sito www.accademiadellescienze.it sono disponibili ad
accesso aperto i pdf degli ultimi volumi della collana.
L’Accademia vende direttamente le proprie pubblicazioni.
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In copertina: Anton von Maron, Ritratto di Johann Joachim
Winckelmann (1768); olio su tela, 136×99 cm, castello di
Weimar.
Premessa
L’incontro di studio dal titolo «Pensieri sull’imitazione. Johann
Joachim
Winckelmann tra storia dell’arte, ideali politici e
Altertumswissenschaft» è
stato organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino il 10
maggio 2018.
Poco dopo il Consiglio di Presidenza, in data 22 maggio 2018,
deliberava
di pubblicare in un unico quaderno le relazioni presentate nel
corso di quella
giornata che si collocava tra le numerose iniziative europee
programmate
per celebrare il 300° anniversario della nascita di Winckelmann
(Stendal,
9 dicembre 1717) e il 250° della morte (Trieste, 8 giugno
1768).
Sulla base della tradizione classica della mimesi, gli Autori
ricostruiscono
la genesi del filellenismo e della storia dell’arte di Winckelmann,
le implica-
zioni di ordine politico-culturale, le suggestioni euristiche
lasciate in eredità
alla «scienza dell’antichità» germanica di Otto- e Novecento.
Angelica Kaufmann, Ritratto di J.J. Winckelmann, ripreso dal
dipinto della stessa Angelica
Kaufmann (1764); incisione all’acquaforte, 25,5x19,3 cm, raccolta
Piancastelli, Biblioteca
Comunale A. Saffi, Forlì.
Gian Franco Gianotti
1. Le pernici di Alcmane e il canto delle fanciulle di Delo
Di solito, ogni discorso deve fare i conti con una difficoltà
prelimina- re: da che punto muovere il passo d’inizio. I Greci
invece, per buona loro sorte, lo sapevano bene: di solito
iniziavano dai poemi omerici, vera e pro- pria «enciclopedia
tribale» (formula di cui si è debitori al filologo inglese Eric
Alfred Havelock, 1903-1988)1 in cui trovavano esposti globalmente i
contenuti culturali della loro civiltà. Nei poemi omerici, in
effetti, il sapere antico ha rappresentato per figuras la totalità
del reale, l’intero patrimonio religioso-mitologico e l’insieme
delle tecniche che assicurano la vita asso- ciata. Tra le tecniche
compare, già in forma adulta, l’arte del discorso che orienta le
procedure della comunicazione secondo le intenzioni dei parlanti,
così come matura appare la riflessione sulla funzione del canto del
poeta ne- gli episodi di Femio e Demodoco2, già felicemente
sintetizzata nelle parole di Elena a Ettore:
a noi Zeus diede sorte maligna, perché fossimo anche in futuro, per
la gente di là da venire, materia di canto (ajoivdimoi)3.
Sempre, dunque, si potrebbe iniziare da Omero; ma se si cerca un
docu- mento che offra i primi spunti di analisi sulla genesi del
linguaggio poetico, allora si deve guardare altrove e muovere da un
poeta corale attivo a Sparta nel VII sec. a.C., Alcmane, purtroppo
noto solo in forma pesantemente frammen- taria ma comunque
testimone di un’arte elaborata e scaltrita, non estranea alla
1 E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura, trad.
it., Laterza, Roma-Bari 19832. 2 Od. 1, 325-352 e 8, 485-522. Per
quanto segue è ancora utile G. Lanata, Poetica pre-platoni-
ca, La Nuova Italia, Firenze 1963. 3 Il. 6, 357-358 (trad. di G.
Cerri, Omero. Iliade, Garzanti, Milano 1996, p. 401). Mette conto
ricordare anche l’esortazione ripetuta a Telemaco da Atena-Mente e
da Nestore: «Anche tu, mio caro – molto bello e aitante ti vedo – /
sii pieno di coraggio, perché ti possa lodare qualcuno dei posteri»
(Od. 1, 301-302 = 3, 199-200). Cfr. anche Od. 8, 577-580 (Alcinoo a
Odisseo).
6 Gian Franco Gianotti
tradizione omerica, che fa pensare con rammarico a quanto è andato
perduto della produzione lirica precedente. Bene: un frammento di
Alcmane, tramandato grazie alla curiosità lessicale d’un poligrafo
come Ateneo (II-III sec. d.C.), per- mette di entrare per un
momento nel laboratorio linguistico e melodico del poeta corale. Il
testo del frammento, scelto da Rousseau a guisa di epigrafe
d’apertura per l’Essai sur l’origine des langues, non è del tutto
sicuro perché sfigurato da guasti di trasmissione, ma col sussidio
di ragionevoli congetture si potrebbe in- tendere così:
πη τδε κα μλος λκμν ερε γεγλωσσαμναν κακκαβδων πα συνθμενος
«Questi versi e melodia Alcmane / trovò, connettendo / in
linguaggio voce di pernici»4.
Riportando il passo Ateneo commenta: «risulta chiaro che il poeta
ha im- parato il canto dalle pernici» e a conforto cita la teoria
di Cameleonte Pontico, di scuola aristotelica, secondo cui
«l’invenzione della musica fu suggerita agli antichi dagli uccelli
che cantavano in luoghi solitari»5. è prospettiva in cui si muove
anche Democrito, quando afferma che l’origine delle tecniche umane
sta nell’imitazione dei comportamenti degli animali e, in
particolare, che il canto nasce da imitazione di usignoli e cigni6.
Tale prospettiva sarà ripresa, al di là delle teorizzazioni
aristoteliche, da Lucrezio, che nel V libro del suo poema, narrando
la storia dell’incivilimento umano, dice:
imitar con la bocca le sonore voci degli uccelli si usò molto prima
che gli uomini sapessero dar vita col canto a carmi armoniosi e
allietare l’udito7.
Per quanto è dato sapere, Alcmane segna il punto di partenza di
questa linea interpretativa: si potrebbe definire l’atto di nascita
della poesia euristico- mimetica in cui l’invenzione (heure)
coincide con la rielaborazione imitativa
4 Alcm., fr. 39 Page = fr. 91 Calame. 5 Athen., 390a = Chamael. fr.
24 Wehrli. 6 Dem., fr. 154 Diels-Kranz: «Per le scoperte più
importanti siamo stati discepoli degli animali: dei ragni nel
tessere e nel rammendare, delle rondini nel costruire le case,
degli uccelli canori, del cigno e dell’usignolo, nel canto secondo
imitazione». 7 Lucr., De rer. nat. 5, 1379 ss.: «At liquidas avium
voces imitarier ore / ante fuit multo quam levia carmina cantu /
concelebrare homines possent aurisque iuvare».
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 7
di modelli naturali. Problemi testuali a parte, il passo implica
che l’attività poetica ha alle spalle un modello naturalistico
derivato dall’ascolto del canto degli uccelli8 e dal tentativo di
riprodurne l’armonia con gli strumenti lingui- stici a disposizione
dell’uomo9.
I singoli termini lasciano affiorare notazioni tecniche e si
iscrivono, cia- scuno per conto proprio, in altrettanti filoni del
lessico pertinente ai modi di comunicazione verbale. Resta però da
dire che nel frammento l’insieme dei termini suona come
dichiarazione di poetica: chiarendo le modalità del proprio «fare»
poetico (si pensi alla radice di poietés), Alcmane delinea un
processo imitativo destinato a grande fortuna10 e testimonia come
la cultura arcaica ab- bia avvertito il problema del comporre ed
elaborato una serie di categorie che troveranno sistemazione
teorica nella dottrina della mimèsi – dell’imitazione
8 Altrove Alcmane afferma: «io conosco i moduli sonori di tutti gli
uccelli» (fr. 40 Page = fr. 140 Calame). Sui rapporti imitativi tra
poesia e canto degli uccelli cfr. M. Bettini, Voci.
Antropologia sonora del mondo antico, Einaudi, Torino 2008, pp.
34-48 e 118 ss. 9 Sulle teorie antiche dell’imitazione cfr. B.
Schweitzer, Der bildende Künstler und der Begriff des
Künstlerischen in der Antike. Mimesis und Phantasia, in «Neue
Heidelb. Jahrb.», n.f. 1, 1925, pp. 28-132; H. Koller, Die Mimesis
in der Antike: Nachahmung, Darstellung, Ausdruck, Francke, Bern
1954; P. Moraux, La ‘mimesis’ dans les théories anciennes de la
danse, de la musique et de la poésie, in «Les Etudes Classiques»,
23, 1955, pp. 3-13; H. Blumenberg, Nachahmung der Natur: Zur
Vorgeschichte der Idee des schöpferischen Menschen, in «Studium
Generale», 101, 1957, pp. 266-283; G.F. Else, ‘Imitation’ in the
Fifth Century, in «Classical Philology», 53, 1958, pp. 73-90; G.
Sörbom, Mimesis and Art, Svenska Bokförlaget, Stockholm 1966; F.
Lassere, Mimésis et mimique, in «Dioniso», 41, 1970, pp. 245-263;
E. Grassi, Die Theorie des Schönen in der Antike, DuMont, Köln
1980; D. Babut, Sur la no-
tion d’imitation dans les doctrines esthétiques de la Grèce
classique, in «Revue des Etudes Grecques», 98, 1985, pp. 72-92; B.
Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica (da Omero
al V sec.), Feltrinelli, Milano 20063, pp. 88 ss.; S. De Angeli,
Mimesis e Techne, in «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», 28,
1988, pp, 27-45; C. Brillante, Il canto delle pernici in
Alcmane e le fonti del linguaggio poetico, in «Riv. di Filologia»,
119, 1991, pp. 150-163; G. Gebauer e Chr. Wulf, Mimesis: Kultur,
Kunst, Gesellschaft, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1992; M. Kardaun,
Der Mimesisbegriff in der griechischen Antike, Koninklijke
Nederlandse Akademie van Wetenschappen, Amsterdam 1993; A. Melberg,
Theories of Mimesis, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1995; G.
Gebauer, Chr. Wulf e D. Reneau, Mimesis: Culture, Art, Society,
trad. ingl., Univ. of California Press, Berkeley 1996; H. Petersen,
Mimesis, Imitatio, Nachahmung. Eine Geschichte der Europaischen
Poetik, Fink, München 2000; J. Schönert e U. Zeuch (a cura di),
Mimesis-Reprasentation-Imagination: Literaturtheoretische
Positionen von Aristoteles bis zum Ende des 18. Jahrhunderts, de
Gruyter, Berlin-Boston 2004; J.G. Koch, M. Vöhler e Chr. Voss (a
cura di), Die Mimesis und ihre Künste, Fink, München 2010; S.
Caciagli, Il lessico critico della mimesi, in «Prometheus», 44,
2018, pp. 71-91. 10 Cfr. per es. Pind. fr. 94b («su canne di loto
voglio imitare coi canti la voce delle sirene») e fr. 107a, 1-3
Snell-Maehler («devi imitare cavallo pelasgo o cagna di Amicle
inseguendo flessi- bile melodia con piede che muove rapido a
gara»).
8 Gian Franco Gianotti
della natura, riprodotta in suoni e figure mediante canto, musica,
danza, pit- tura, ecc. da specialisti attivi nelle singole
discipline e depositari di téchnai specifiche – quale Aristotele
presenterà nell’Arte poetica, liberandola dalle ipoteche negative
di stampo platonico. E se consideriamo che Alcmane, cul- tore di
memorie omeriche, rivela consumata abilità nel riutilizzare formule
epiche, adattandole ai dattili dell’alcmanio o ai metri e alla
lingua della liri- ca corale, possiamo aggiungere che egli appare
doppiamente “imitatore”, in quanto sa riprodurre i tratti della
realtà naturale e sa fare buon uso di formule e motivi omerici.
Anche i modelli della tradizione poetica sono oggetto di imita-
zione per chi possieda la necessaria maestría («nessuno degli
indotti è in grado di imitarmi», recita il v. 370 della silloge
teognidea). è aspetto che diverrà una costante della produzione
letteraria, integrando il concetto di imitazione con quello di
emulazione che tanta parte avrà nella stagione alessandrina e nelle
gare intraprese dagli autori latini con i modelli greci. Non
mancano esempi tra età arcaica e V sec. a.C. Ne ricordiamo due per
tutti: μρου ζηλοτς è l’Ordinatore di cori (Stesicoro) per
eccellenza, nome d’arte di Tisia di Imera (in Sicilia) o di Matauro
(in Magna Grecia), 630-556 ca., accreditato anche di ascendenze
esiodee, capace di sostenere con la lira il peso del carme epico e
di rivaleggiare con Omero, secondo il giudizio di Quintiliano11;
nel V sec. il poeta comico Cratino critica lo stile di Aristofane
in quanto imitatore dei modelli euripidei, coniando un efficace
neologismo: εριπιδαριστοφανζων («colui che scrive secondo lo stile
di Euripide e Aristofane»)12.
Prima di procedere, vale la pena di ricordare come l’attività
mimetica non si sia misurata unicamente in base al modello dei
suoni emessi dagli uccelli, ma abbia altresì saputo riprodurre la
panglossia umana. Ne fa fede un passo della sezione delia dell’Inno
omerico ad Apollo in cui si legge dello splendido spettacolo
offerto dalla cornice dei partecipanti alle feste nel santuario di
Delo in onore del dio e dall’abilità mimetica dei cori
femminili:
Chi fosse presente quando gli Ioni sono riuniti / direbbe che sono
immortali, e immuni da vecchiezza in eterno; / potrebbe osservare
la grazia comune a tutti, e si allieterebbe nell’animo /
contemplando gli
11 Quint., Inst. or. 10, 1, 52: «Stesichorum quam sit ingenio
validus materiae quoque ostendunt, maxima bella et clarissimos
canentem duces et epici carminis onera lyra sustinentem. Reddit
enim personis in agendo simul loquendoque debitam dignitatem, ac si
tenuisset modum videtur aemulari proximus Homerum potuisse, sed
redundat atque effunditur». 12 Cratin., Fr. 342 Kassel-Austin. Cfr.
G. Mastromarco, εριπιδαριστοφανζων (Cratino, fr. 342 K.-A.), in F.
Conti Bizzarro, G. Massimilla e G. Matino (a cura di), «Philoi
Logoi». Giornate di studio su Antico, Tardoantico e Bizantino
dedicate a Ugo Criscuolo, Satura Editrice, Napoli 2017, pp.
73-88.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 9
uomini e le donne dalle belle cinture, / e le navi veloci, e le
loro ab- bondanti ricchezze. / E v’è ancora una grande meraviglia,
la cui gloria non perirà mai: / le fanciulle di Delo, ancelle del
dio che colpisce lon- tano. / Esse dopo aver celebrato, primo fra
tutti, Apollo, / e poi Leto e Artemide saettatrice, / rammentando
gli eroi e le donne dei tempi an- tichi / intonano un inno e
incantano le stirpi degli uomini. / Di tutti gli uomini le voci e
gli accenti (φωνς κα βαμβαλιαστν) / sanno imitare (μιμεσθαι σασιν):
ognuno direbbe d’essere lui stesso a parlare, / tanto risuona
all’unisono il loro canto armonioso13.
2. Mimèsi secondo Platone
Mentre reagisce al relativismo dei Sofisti promuovendo come valori
asso- luti le idee quali modelli dell’essere e oggetti di vera
conoscenza, la dottrina platonica deprime a rango di copia ogni
aspetto del mondo sensibile. Realtà depotenziata e imperfetta – per
l’incapacità del Demiurgo a riprodurre i modelli eterni o, più
probabilmente per le qualità negative e caotiche della materia in
cui sono modellate le riproduzioni –, il mondo di quaggiù è opaca
imitazione del mondo delle idee: dall’alto discende lungo una scala
di valori ontologicamente degradanti e verso l’alto tende mediante
ascesa conoscitiva e liberazione da condizionamenti materiali. La
filosofia serve appunto a rivelare l’illusorietà del mondo
sensibile e indirizza l’uomo verso il mondo dell’esse- re. Non
sorprende allora la scarsa considerazione di Platone nei confronti
di ogni arte imitativa – poesia compresa – che resta legata agli
oggetti sensibili e quindi al mondo dell’apparenza14. È vero che
nel dialogo intitolato Ione (dal
13 Hymn. Hom. Apoll. 151-164 (trad. di F. Càssola, con ritocchi).
Cfr. A.M. Miller, From Delos to Delphi. A Literary Study of the
Homeric Hymn to Apollo, Brill, Leiden 1986; L. Sbardella, Tra
Delo e Delfi. Varianti rapsodiche nell’Inno omerico ad Apollo, in
«Seminari Romani», 2, 1999, pp. 158-176. 14 In generale, per quanto
segue, cfr. almeno G. Colin, Platon et la poésie, in «Revue des
Etudes Grecques», 41, 1928, pp. 1-72; W.J. Verdenius, Mimesis.
Plato’s Doctrine of Artistic Imitation and its Meaning for Us,
Brill, Leiden 1949, 19723; H. Koller, Die Mimesis in der Antike,
Francke, Bern 1954; G. Sörbom, Mimesis and Art. Studies in the
Origin and Early Development of an Aesthetic Vocabulary, Svenska
Bokförlaget, Stockholm 1966; H. Flashar, Die klassizisti- sche
Theorie der Mimesis, in H. Flashar (a cura di), Le classicisme à
Rome, Fondation Hardt, Genève 1979, pp. 179-111; U. Zimbrich,
Mimesis bei Platon, Lang, Frankfurt am Main 1984; G.F. Else, Plato
and Aristotle on Poetry, Univ. of North Carolina Press, Chapel
Hill-London 1986; G.R.F. Ferrari, Plato and Poetry, in G.A. Kennedy
(a cura di), The Cambridge History of Literary Criticism. 1.
Classical Criticism, Cambridge Univ. Press, Cambridge 1989, pp. 92-
148; G. Nagy, Early Greeks Views of Poets and Poetry, in G.A.
Kennedy (a cura di), The
Cambridge History of Literary Criticism. 1, cit., pp. 1-77; D.
Babut, Sur la notion d’imitation
10 Gian Franco Gianotti
nome del rapsodo che discute con Socrate) si recupera la dimensione
sacrale del fare poetico e compaiono giudizi non negativi sui poeti
come strumenti che trasmettono l’ispirazione divina. Sono aspetti,
questi, inseriti nella dimostra- zione socratica che nega al poeta
e all’esecutore di canti qualsiasi autonomia e, soprattutto, vere
competenze di arte o di scienza. Più decisa si fa la critica al
mito e ai poeti all’inizio del III libro della Repubblica15, dove
si spiega come l’epica di Omero, la tragedia e la commedia siano
opere di imitazione e non si nega utilità educativa alle finzioni
mito-poetiche, ma si richiede espressamen- te che esse siano
sottoposte a criteri morali positivi. Ancor più marcata suona
infine la condanna della poesia nel X libro della Repubblica: nella
nuova città, delineata come città in tutto eccellente dalle parole
di Socrate, non bisogna assolutamente ammettere la poesia di
carattere mimetico (ποησις μιμητικ).
Non ammettiamo, quindi, a cominciare da Omero, che tutti i poeti
si- ano imitatori di parvenze della virtù e delle altre cose di cui
stanno poetando, ma che non siano in grado di cogliere la verità?
Invece, co- me ora dicevamo, non è vero che il pittore
rappresenterà un tale che sembra un calzolaio, senza che il pittore
stesso s’intenda dell’arte del calzolaio, rivolgendosi a persone
che a loro volta non se ne intendono e guardano in base ai colori e
alle forme16?
Queste sono le domande che Socrate rivolge al suo interlocutore, a
Glaucone; e Glaucone non può fare a meno di dirsi convinto e
rispondere «Assolutamente sì».
dans les doctrines esthétiques de la Grèce classique, in «Revue des
Etudes Grecques», 98, 1985, pp. 72-92; P. Murray, Plato on Poetry,
Cambridge Univ. Press, Cambridge 1996; A. Manieri, L’immagine
poetica nella teoria degli antichi, Istituti Editoriali e
Poligrafici Internazionali, Pisa 1998; C.M.J. Sicking,
Pre-platonic, Platonic and Aristotelian Poetics of Imitation, in
Id., Distant Companions: Selected Papers, Brill, Leiden 1998, pp.
85-100; A. Ford, The Origins of Criticism. Literary Culture and
Poetic Theory in Classical Greece, Princeton Univ. Press, Princeton
2002; G. Arrighetti, Poesia, poetiche e storia della riflessione
dei Greci, Giardini, Pisa 2006. 15 Plat., Resp. 3, 376c-392b; 10,
595a ss.; cfr. E.S. Belfiore, A Theory of Imitation in Plato’s
Republic, in «Transactions of the American Philological
Association», 1984, pp. 121-146; M. Dyson, Poetic Imitation in
Plato’s Republic 3, in «Antichthon», 22, 1988, pp. 42-53; M. Tulli,
La mimesis nel III libro della Repubblica: il rapporto di Platone
con la tradizione, in N. Notomi e L. Brisson (a cura di), Dialogues
on Plato’s Politeia, Academia, Sankt Augustin 2013, pp. 314-318. 16
Plat., Resp. 10, 600e. Cfr. A. Nehamas, Plato on Imitation and
Poetry in Republic 10, in J. Moravcsik e P. Temko (a cura di),
Plato on Beauty Wisdom and the Arts, Rowman & Allanheld,
Totowa, N.J. 1982, pp. 47-78; S. Gastaldi, La mimesis e l’anima, in
M. Vegetti (a cura di), Platone. La Repubblica, VII, Bibliopolis,
Napoli 2007, pp. 93-149.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 11
Ogni imitazione umana – come la pittura e la poesia – si ferma al
mondo sensibile e quindi è imitazione di imitazione, priva di
qualsiasi validità ogget- tiva, per due gradi distante dal vero. In
particolare, la mimèsi poetica agisce sulla parte passionale
dell’anima e ostacola la guida della ragione; anzi, a giu- dicare
dagli effetti della poesia drammatica (la tragedia induce a
commuoversi per sventure fittizie; la commedia suscita il riso per
fatti riprovevoli)17, essa dà vigore alla parte peggiore della
natura umana e contribuisce a tener gli uomini prigionieri del
mondo illusorio delle apparenze. I poeti vanno dunque banditi dalla
città ideale perché diseducatori e corruttori; come unica eccezione
sono ammessi i poeti di inni agli dèi e di elogi agli uomini
valenti (come Pindaro, per esempio), perché il loro canto, lontano
dall’imitazione della realtà e dun- que non pericoloso per i
cittadini, consente all’anima di riconoscere la propria matrice
immortale e istilla il desiderio di risalire verso l’alto18.
La svalutazione di ogni attività imitativa accompagna l’intera
polemica di Platone nei confronti dei Sofisti. I punti salienti si
concentrano in alcuni dialoghi che mettono in discussione le
dottrine propagandate dai maîtres à penser attivi in Atene: nel
Sofista, dove si impara che «l’imitazione è costru- zione di
immagini e non di ciascuna delle cose reali»19, Platone definisce
l’arte
17 J. Tate, Plato and Imitation, in «Classical Quarterly», 26,
1932, pp. 161-169; H. Kuhn, The
True Tragedy. On the Relationship between Greek Tragedy and Plato,
in «Harvard Studies in Classical Philology», 52, 1941, pp. 1-40;
53, 1942, pp. 37-88; P. Vicaire, Recherches sur les mots désignant
la poésie et le poète dans l’oeuvre de Platon, PUF, Paris 1964; I.
Murdoch, The
Fire and the Sun: Why Plato Banished the Artists, Clarendon Press,
Oxford 1977; R. Patterson, The Platonic Art of Comedy and Tragedy,
in «Philosophy and Literature», 6, 1982, pp. 76-93; U. Zimbrich,
Mimesis bei Platon. Untersuchungen zu Wortgebrauch, Theorie der
dichterischen Darstellung und zur dialogischen Gestaltung bis zur
Politeia, Lang, Frankfurt a. M.-Bern-New York 1984; R. Brock, Plato
on Comedy, in E.M. Craik (a cura di), “Owls to Athens”: Essays on
Classical Subjects Presented to Sir K. Dover, Clarendon Press,
Oxford 1990, pp. 39-49; R. Kannicht, „Der alte Streit zwischen
Philosophie und Dichtung”. Grundzüge der griechi- schen
Literaturauffassung, in Id., Paradeigmata. Aufsatze zur
griechischen Poesie, hrsg. von L. Käppel & E.A. Schmidt,
Winter, Heidelberg 1996, pp. 183-223; L. Wiesing, Platons Mimesis-
Begriff und sein verborgener Kanon, in G.R. Kaiser e S. Matuschek
(a cura di), Begründungen und Funktionen des Kanon, ibid., 2001,
pp. 21-41; F.M. Giuliano, Platone e la poesia, Teoria della
composizione, prassi della ricezione, Academia, Sankt Augustin
2005; G.R.F. Ferrari (a cura di), Cambridge Companion to Plato’s
Republic, Cambridge Univ. Press, Cambridge 2007; V. Tsouna, Mimesis
und the Platonic Dialogue, in «Rizomata», 1, 2013, pp. 1-29; M.
Catapano, Critica della mimesis e uso delle immagini mimetiche
nella Repubblica e nel Sofista, in «Estetica. Studi e ricerche», 2,
2015, pp. 165-183; A. Capra, Seeing through Plato’s Looking Glass.
Mythos und Mimesis from Republic to Poetics, in «Aisthesis», 1,
2017, pp. 75-86. 18 Plat., Leg. 7, 801c-802a. 19 Plat., Sophist.
265b. Cfr. J.A. Philip, Mimesis in the Sophistes of Plato, in
«Transactions of the American Philological Association», 92, 1961,
pp. 453-468.
12 Gian Franco Gianotti
sofistica come tecnica “dossomimetica” (cioè imitativa secondo
opinione) e contraffazione della ricerca filosofica; nel Protagora
nega all’insegnamento sofistico ogni pretesa di scienza e di
validità educativa; nell’Eutidemo dimo- stra l’inutilità
dell’eristica, cioè dell’arte di «confutare tutto quello che via
via si dice, vero o falso che sia»; nel Cratilo prende posizione
sulle teorie del linguaggio in tema di “correttezza di nomi”; nel
Gorgia rivolge la polemica contro la retorica come tecnica di
persuasione, negandole statuto di scienza e accusandola di pratiche
corruttrici e adulatorie. Non sorprende, allora, che alla polemica
antisofistica facciano seguito formulazioni di carattere generale:
nel Timeo (48e6-49a1) l’intero mondo sensibile è il risultato di
mimesis di un mo- dello intellegibile (μμημα παραδεγματος),
«rappresentazione imperfetta e concretizzazione temporale della
perfezione eterna del modello»20; nel Crizia (107b 5-6) infine si
sostiene che «tutto quanto viene detto da noi è mimesis e
raffigurazione (μμησις κα πεικασα)».
In particolare, se si bada alle considerazioni svolte nel Cratilo,
dialogo che prende nome dal seguace della dottrina eraclitea che
sarebbe stato maestro di Platone prima di Socrate21, ci si accorge
che nella prima parte del dialogo, per confutare il
convenzionalismo di Ermogene (uno degli interlocutori), si se-
gnano saldi e reciproci rapporti tra nome e oggetto in virtù
dell’intervento del legislatore-nomenclatore, mentre nella seconda
parte del dialogo a correzione del naturalismo di Cratilo si
ammette che il linguaggio non esprima il mondo delle idee, ma altro
non sia che rappresentazione soggettiva del mondo empi- rico da
parte del legislatore. In tal modo si ipotizzano tensioni non
univoche tra nome significante e cosa significata e si individua
proprio nell’intervento del soggetto (sia pure di un soggetto
‘forte’ come il nomoteta) lo spazio in cui si annida il rischio di
inadeguata o falsa rappresentazione, dunque di opinione fallace, di
errore e menzogna.
Come la poesia, anche il linguaggio non esce indenne dal severo
vaglio platonico. Come la poesia, esso contiene un momento
mimetico22 che im-
20 Parole di L. Palumbo, Mimesis: rappresentazione, teatro e mondo
nei Dialoghi di Platone
e nella Poetica di Aristotele, Loffredo, Napoli 2008, p. 11. A
questo vol. si rinvia anche per la proposta di tradurre il termine
‘μμησις’ come “rappresentazione”, secondo soluzioni correnti
soprattutto in area anglosassone: cfr. S. Halliwell, The Aesthetics
of Mimesis. Ancient Texts and Modern Problems, Princeton Univ.
Press, Princeton 2002 (L’estetica della mimesis. Testi antichi e
problemi moderni, trad. it., Aesthetica, Palermo 2009). 21 Così
Aristot., Metaphys. 1, 987 a 29 e 3, 1010 a 12 ss. Secondo Diog.
Laert., 3, 6 Cratilo sarebbe stato maestro di Platone dopo Socrate.
22 Anche il linguaggio ha carattere mimetico, come sa bene Platone
e come si ricava specifica- tamente da Aristot., Rhet. 3, 1, 1404a
21 s.: «Le parole sono imitazioni (mimémata); a disposi- zione era
subito la voce, che per noi di tutte le parti è la più
mimetica».
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 13
mette motivi contraddittori in processi cognitivi miranti a
ricostruire l’unità del mondo: il nome, appunto perché designa una
cosa ma non è tutt’uno con la cosa stessa, di fatto si pone come
diaframma tra soggetto e oggetto della conoscenza e può ritardare
ulteriormente il percorso di risalita verso l’essenza delle cose.
La contraddizione è però sanabile o almeno si riduce al minimo
qualora le definizioni del legislatore (anzi, dovremmo dire dei
legislatori, perché Platone ammette pluralità di gruppi e di
linguaggi uma- ni) siano improntate a orthótes linguistica oppure
siano sottoposte a corretta interpretazione da parte di chi sappia
davvero risalire dai nomi all’essenza delle cose. Il saggio sembra
così rinunciare all’afasia del linguaggio in- teriore (cui tuttavia
tende come a traguardo finale) e svolge la sua ricerca mediante lo
strumento della comunicazione interpersonale, accettando la sfi- da
delle parole degli uomini; e va segnalato come su questo terreno –
per così dire – pubblico siano soprattutto le parole dei poeti,
depositari della memoria e del sapere collettivi, a fornire i
materiali su cui si esercita la ca- pacità critica dell’interprete
sapiente. Infine, non possiamo dimenticare che secondo Diogene
Laerzio Platone «per primo meditò sull’importanza della
grammatica»23: in effetti, se si pensa alla discussione che Platone
introduce nel Sofista sulla possibilità dell’errore e l’esistenza
dei discorsi falsi24, si può osservare come il filosofo, nel
tentativo di definire la natura degli enunciati, dia un non
secondario contributo allo sviluppo della teoria delle parti del
di- scorso, riconoscendo le due unità costitutive della struttura
predicativa, vale a dire il nome e il verbo (onoma e rhema).
3. Mimèsi, linguaggio e poesia secondo Aristotele
In sintesi si può dire che la riflessione platonica sia ricca di
sfumature e a seconda dei problemi trattati (o in ragione
d’evoluzione interna) attenui o inasprisca la svalutazione
dell’attività mimetica. Sempre di svalutazione si tratta, però, in
quanto ogni imitazione si colloca a livello ontologico inferiore
rispetto all’originale e quindi rappresenta allontanamento dal
vero. Perché tale prospettiva e i valori su cui si regge mutino di
segno, bisogna attendere che sull’intera questione si pronunci
Aristotele, all’interno di un sistema di pensie- ro che non
disconosce l’alterità tra mondo ideale e mondo reale, ma sa
evitare
23 Diog. Laert., 3, 25. 24 Plat., Sophist. 260b-261e.
14 Gian Franco Gianotti
le rigide polarizzazioni gerarchiche del maestro e l’irriducibile
dualismo che ne può conseguire.
Pur mutuando termini e nozioni da Platone, l’Arte poetica di
Aristotele procede a metodica revisione critica delle dottrine
platoniche sull’arte e in- nalza – per la prima volta in maniera
sistematica – la poesia a oggetto di una téchne specifica e di una
trattazione specialistica. Come è noto, la trasmissione del testo
sembra averci negato sezioni cospicue (forse sulla poesia giambica
e sulla commedia), ma la parte superstite del trattato, di solito
inteso come strumento didattico o serie di appunti per lezioni,
consente comunque di ri- conoscere un duplice programma, di
descrizione («la poetica in sé e le sue forme») e di prescrizione
(«come devono esser composti i racconti – mythoi – perché la poesia
riesca bene»), che si articola secondo questa sequenza: definizione
dell’arte poetica e classificazione delle sue forme; il genere
della poesia tragica, visto nella sua storia e nei suoi elementi
costitutivi; precetti compositivi per ottenere la miglior tragedia;
il discorso e le sue parti; con- fronto tra genere epico e genere
tragico. Da Platone – per altro mai nominato – deriva la
definizione di arte come imitazione e rappresentazione; tuttavia il
concetto di mimèsi, liberato dalla scomoda posizione di attività
degradan- te nella scala dei valori platonici, perde ogni
connotazione negativa. Ecco il passo essenziale della Poetica in
cui Aristotele capovolge il giudizio negativo di Platone, precisa
che cosa sia a suo giudizio l’attività mimetica e le assicura
diritto di cittadinanza tra le procedure conoscitive e le
produzioni artistiche affidate alle parole e alle immagini:
In generale due sembrano essere le cause che hanno fatto nascere
l’arte poetica, e tutte e due naturali. L’imitare, infatti, è
connaturato agli uomini fin dalla fanciullezza e in questo l’uomo
si differenzia dagli altri esseri viventi, perché è il più incline
a imitare e perché le prime conoscenze se le procura mediante
l’imitazione; in secondo luogo tutti ricavano piacere dalle
imitazioni25.
Come i fanciulli conoscono e imparano per imitazione dal mondo
degli adulti, così l’adulto conosce e trae diletto dalle opere
della mimèsi, dalle im- magini e dalle parole che permettono di
imparare “che cosa sia ogni cosa”
25 Aristot., Poet., 1448b, 4-9. L’imitazione produce non solo
conoscenza (cfr. 1448b 13: «imparare riesce piacevolissimo non solo
per i filosofi, ma egualmente per gli altri uomini»), ma anche pia-
cere (‘hedoné’, termine decisivo nella dottrina aristotelica
dell’attività poetica). Cfr. S. Tsitsiridis, Mimesis and
Understanding: an Interpretation of Aristotle’s Poetics 4. 1448b
4-19, in «Classical Quarterly», 55, 2005, pp. 435-446.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 15
procurando piacere (e di passaggio mette conto osservare come da
queste for- mulazioni, che sintetizzano la preoccupazione già
platonica di far procedere di pari passo gradevolezza dei racconti
ed educazione al bene, tragga origine la plurisecolare riflessione
sull’opportunità per i poeti di miscere utile dulci, di fondere
cioè istanze pedagogiche ed elementi dilettevoli)26.
Oggetto della mimèsi poetica è la vita stessa o, meglio, «le azioni
della vita» (ai pravxei" tou' bivou): ma mentre per Platone era la
realtà materiale o storica, esistente o avvenuta, delle cose
sensibili (per due gradi lontana dal vero), per Aristotele il poeta
(o l’artista in genere) non imita le cose quali sono in realtà, ma
come potrebbero o dovrebbero essere. Ragion per cui la poesia si
indirizza verso il verisimile e il necessario, e attraverso queste
due catego- rie tende all’universale, muove cioè verso il vero. Non
solo si nega, così, il
26 I. Bywater (a cura di), Aristotle. On the Art of Poetry,
Clarendon Press, Oxford 1909; M. Valgimigli, Aristotele. Poetica,
Laterza, Bari 1916 (19463; nuova rist. 1997, con introd. e note di
P.L. Donini); U. Galli, La mimesi artistica secondo Aristotele, in
«Studi Italiani di Filologia Classica», 4, 1925, pp. 281-390; E.
Bignami, La Poetica di Aristotele e il concetto dell’arte presso
gli antichi, Le Monnier, Firenze 1932; A. Gudeman, Aristoteles.
Peri poieti- kes, de Gruyter, Berlin-Leipzig 1934; A. Rostagni,
Aristotele. Poetica, Loescher, Torino 1945; G.F. Else, Aristotle’s
Poetics: the Argument, Harvard Univ. Press, Cambridge (Mass.) 1957;
C. Gallavotti (a cura di), Aristotele. Dell’arte poetica, Fond. L.
Valla, Milano 1974 (19875); R. Cantarella, I ‘libri’ della Poetica
di Aristotele, in «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei», 1975, pp.
289-331; R. Dupont-Roc, J. Lallot, Aristote. La Poétique, Seuil,
Paris 1980; W. Soffing, Deskriptive und Normative Bestimmungen in
der Poetik des Aristoteles, Gieben, Amsterdam 1981; S. Halliwell,
Aristotle’s Poetics, Univ. of North Carolina Press, Chapel
Hill-London 1986; R. Janko, Aristotle. Poetics I, with the
Tractatus Coislinianus, a Hypothetical Reconstruction of Poetics
II, the Fragments of the On Poets, Indianapolis-Cambridge 1987; D.
Lanza, Aristotele. Poetica, Rizzoli, Milano 1987; A. Malo, La
mimesi e la metafora nella poetica di Aristotele, in «Acta
Philosophica», 1, 1992, pp. 316-324; A. Oksenberg Rorty (a cura
di), Essays on Aristotle’s Poetics, Princeton Univ. Press,
Princeton 1992 (pp. 73-95: P. Woodruff, Aristotle on Mimesis); J.H.
Petersen, ‘Mimesis’ versus ‘Nachahmung’: Die Poetik des
Aristoteles-nochmals neu gele-
sen, in «Arcadia», 27, 1992, pp. 3-46; O.J. Schrier, The ‘Poetics’
of Aristotle and the ‘Tractatus Coislinianus’. A Bibliography from
about 900 till 1996, Brill, Leiden-Boston-Köln 1998; C.W. Veloso,
Il problema dell’imitare in Aristotele, in «Quaderni Urbinati di
Cultura Classica», 65, 2000, pp. 63-97; M. Kelly, Aristotelian
Mimesis and Human Understanding, in Ø. Andersen e J. Haarberg (a
cura di), Making Sense of Aristotle: Essays in Poetics, Duckworth,
London 2001, pp. 87-107; D. Lanza, (a cura di), La Poetica di
Aristotele e la sua storia, ETS, Pisa 2002; C.W. Veloso,
Aristóteles mimético, Discurso Ed., São Paulo 2004; P.L. Donini,
Aristotele. Poetica, Einaudi, Torino 2008; L. Tarán-D. Goutas,
Aristotle: Poetics, editio maior of the Greek text with historical
introductions and philological commentaries, Brill, Leiden-Boston
2012; G. Vale, La rappresentazione oltre la realtà. Mimesis e
conoscenza teoretica nella teoria po-
etica aristotelica, in «Metábasis.it. Rivista semestrale di
filosofia e comunicazione», 9, 2014, pp. 89-121; F.S. Halliwell,
Diegesis – Mimesis, in P. Huehn (a cura di), Handbook of
Narratolo
gy, I, de Gruyter, Berlin 2014, pp. 129-137; P.L. Donini, Origine e
trasformazione della Poetica di Aristotele, in «Rivista di Storia
della Filosofia», 1, 2019, pp. 1-12.
16 Gian Franco Gianotti
fattore degenerativo latente nella nozione platonica di mimèsi, ma
si inverte la direzione dell’intero processo dichiarandone
esplicitamente la funzione co- noscitiva. Non meno esplicito è il
celebre confronto istituito tra poeta e storico nel IX cap.
dell’Arte poetica:
Lo storico e il poeta non differiscono per il fatto di dire le cose
in versi o meno – si potrebbe mettere in versi l’opera di Erodoto,
e tuttavia sarebbe sempre una storia –; differiscono invece in
questo: lo storico dice le cose avvenute, il poeta quali possono
avvenire. Pertanto la poesia è attività più filosofica ed elevata
della storia, perché la poesia discorre piuttosto di quanto è
universale, la storia del particolare27.
Dotata ora di base teorica e abilitata a promuovere conoscenza, la
poesia si riscatta dalla condanna platonica e acquista meriti anche
sul terreno etico. Come si ricorderà, Platone ha accusato i poeti,
soprattutto quelli drammatici che esercitano la più mimetica e
patetica delle forme poetiche, di far leva sulle parti più basse
dell’anima umana, corrompendola e asservendola alle passioni.
Ebbene, anche Aristotele ritiene le passioni perturbazioni
dell’anima contrarie all’ideale del saggio, ma anche sa che non
possono venir eliminate radicalmente (come voleva il severo suo
maestro); perciò, in sintonia con le scienze naturali e la medicina
del tempo, concede qualche spazio alle passioni, segnatamente ai
sentimenti di pietà (éleos) e paura (phóbos) generati dalla po-
esia tragica (a suo giudizio, la forma più alta di poesia), ma
nello stesso tempo introduce il concetto della loro purificazione
(kátharsis), prodotta dall’effetto tragico con procedure che
sembrano a mezza via tra rituale religioso e tecnica terapeutica.
Passioni controllate dunque e, da ultimo, intese come strumento
dotato di valore cognitivo: questo è il fine della poesia tragica
che si ricava dalla famosa formula sintetica del cap. VI, poco più
di un rigo di testo su cui si è accumulata sterminata bibliografia
e che continua a sfidare la buona volontà degli interpreti: la
tragedia, «mediante una serie di casi che suscitano pietà e
terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo di
siffatte passioni»28. Senza entrare qui nel merito di spiegazioni
moderne spesso divergenti e talora scettiche circa la congruenza
della frase in questione rispetto al contesto, si sarebbe comunque
tentati di dire che, a differenza di Platone, Aristotele abbia
colto un aspetto decisivo della storia delle rappresentazioni
drammatiche: per la città greca, per il pubblico di Atene, il
teatro è prolungamento e integrazione
27 Aristot., Poet., 1451b 1 ss. 28 Ivi, 1449b 27-28 (trad. di M.
Valgimigli).
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 17
della vita politica, è luogo e occasione – allo stesso modo dei
momenti as- sembleari – per un rituale collettivo che disciplina le
passioni, sottopone a controllo le tensioni emotive, promuove
conoscenza e rinsalda i vincoli so- ciali. Di un altro aspetto –
che riguarda in prospettiva la storia dell’analisi letteraria nel
tempo – si è debitori ad Aristotele: le operazioni di ordine etico
e intellettivo messe in moto dalla tragedia non dipendono
unicamente dall’ese- cuzione teatrale, ma vengono assicurate anche
dalla semplice lettura:
Il terrore e la pietà possono dunque venir suscitati dallo
spettacolo scenico, ma anche possono scaturire dalla intrinseca
composizione dei fatti; e questo naturalmente viene in prima linea
ed è segno di miglior poeta. Perché la favola (mythos), anche
indipendentemente dal vederla rappresentata sulla scena, bisogna
sia costituita in modo che pur solo chi ascolti la narrazione dei
fatti accaduti riceva dallo svolgersi di co- desti fatti un brivido
di terrore e un senso di pietà. Il che si può provare ascoltando
leggere, per esempio, la tragedia di Edipo29.
L’alternativa della lettura (dei buoni poeti) si lascia alle spalle
la galleria degli spettatori e i momenti dell’esecuzione pubblica,
per fondare una nuova catena di comunicazione che giunge fino a
noi: la catena dei lettori che, gene- razione dopo generazione,
sono chiamati alla comprensione dei testi teatrali (ma anche epici,
e dunque poetici in genere) attraverso un’attività critica che,
mentre abbandona gli spazi della rappresentazione scenica, lascia
ormai in- travvedere i più tranquilli spazi della scuola e si
forgia nuovi strumenti per procedere all’analisi di testi noti
essenzialmente mediante la pratica della lettura.
Torniamo ora alla nozione aristotelica di mimèsi, vera e propria
atti- vità poetica che non si limita a fornire copia meccanica
degli originali (le azioni umane), ma li rappresenta – abbiamo
visto – come potrebbero o do- vrebbero essere. Per Aristotele,
poiché l’uomo possiede naturalmente il gusto dell’imitare e il
gusto della musica e del ritmo, fu l’indole dei primi autori a
determinare modalità e forme dei generi poetici: da indoli elevate
è nata la poesia seria (inni, encomi), da indoli volgari la poesia
faceta (canti di biasimo, giambografia). Col tempo la poesia seria
si evolve nel poema epico e giunge a maturazione con la tragedia,
mentre la poesia faceta passa attraverso le fasi intermedie della
parodia e del poema satirico per giungere allo stadio adulto della
commedia. In entrambi i casi si concepisce la storia dei generi
poetici come sviluppo fisiologico di organismi viventi: secondo
procedimenti mentali
29 Ivi, 1453b 1-6 (trad. di M. Valgimigli, con ritocchi).
18 Gian Franco Gianotti
propri della scienza aristotelica del mondo naturale, tragedia e
commedia sono il compimento (télos) di forme precedenti e
incomplete. Assente dal trattato – come s’è detto – la commedia,
l’attenzione si concentra sulla tragedia, che è opera di mimèsi
«compiuta da attori e non tramite narrazione, di un’azione seria e
completa, avente una propria estensione ed eseguita con parole
ornate proprie delle singole forme usate in ciascuna parte»30; con
parti si intendono prologo, dialoghi, monologhi, coro, come si dirà
nel cap. XII31. Sei sono gli elementi costitutivi della tragedia:
racconto (mythos), caratteri (éthe), pensiero (diánoia), linguaggio
o elocuzione (léxis), vista o spettacolo (ópsis), musica
(melopoiía); i primi tre sono gli oggetti dell’imitazione, la vista
costituisce il modo dell’imitazione, mentre i mezzi sono
rappresentati da musica e lin- guaggio. Di tali elementi l’Arte
poetica offre trattazione diseguale: più ampia è la sezione
riservata al mythos (cap. VII-XI e XIII-XIV), racconto unitario e
ordinato di fatti terribili e compassionevoli scanditi da peripezia
(mutamento d’una situazione nel suo contrario), riconoscimento e
pathos; più contenu- ta l’analisi dei caratteri, che devono essere
nobili, appropriati, somiglianti e coerenti (cap. XV); della musica
e dello spettacolo si dice che esulano da un trattato di poesia32,
mentre per il pensiero si rimanda all’apposita trattazio- ne dei
libri di Retorica «perché oggetto specifico di quella
disciplina»33, che analizza le figure di organizzazione del
discorso in vista di scopi determi- nati (provare, confutare,
suscitare emozioni, ecc.). Resta infine il linguaggio (léxis), cui
sono dedicati parte del cap. XIX e i tre capitoli successivi (XX-
XXII), vera e propria sezione linguistica e grammaticale
dell’opera34 in cui trova posto l’esame di quegli elementi
espressivi che accomunano, sì, autori, attori e spettatori nel
circuito comunicativo della rappresentazione teatrale, ma che pure
finiranno per assicurare la comprensione dei testi a schiere di
lettori disseminati nel tempo.
L’esame delle forme dell’espressione verbale ha inizio dal più
semplice elemento significativo, cioè la singola lettera
(stoicheîon), fino all’ultimo elemento più complesso e
significativo, cioè il discorso (lógos), passando attraverso la
sillaba (syllabé), le particelle inespresse che assicurano
“collega- mento” (syndesmos), la parola espressiva o nome (ónoma),
il verbo (rhêma) e la flessione (ptôsis, sia del nome che del
verbo). Le forme delle parole
30 Ivi, 1449b 24-26. 31 Ivi, 1452b 16-17. 32 Ivi, 1450b 15-20. 33
Ivi, 1456a 34 ss. 34 Ivi, 1456b 11-1459a 16.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 19
espressive (onómata), suddivise in semplici e composte, son così
classificate: nome comune (ónoma kyrion), parola straniera
(glôtta), metafora o traslato (metaphorá), parola ornata (kósmos),
parola inventata e parola alterata (per al- lungamento o
contrazione). Nel corso della classificazione si segnalano le
figure di parola più adatte al linguaggio poetico, prima fra tutte
la metafora, definita come ricorso a nome d’altro tipo, trasferendo
il senso dal genere alla specie o dalla specie al genere o da
specie a specie, oppure stabilendo rapporti analogici;
sull’importanza della metafora in poesia si sofferma con molti
esempi il cap. XXII, aperto dalla raccomandazione di ricercare
chiarezza espressiva e stile ele- vato. A integrazione di
quest’analisi si è soliti citare un’altra opera aristotelica, il De
interpretatione, dedicata appunto alle espressioni linguistiche
significanti (dal nome al discorso), che inizia presentando duplice
serie di rapporti tra parola (proferita e scritta), soggetto
designante e oggetto designato:
I suoni della voce sono simboli (symbola) delle affezioni
(pathémata) che hanno sede nell’anima, e le lettere scritte
(graphómena) sono simbo- li dei suoni della voce. E come le lettere
non sono le medesime per tutti, così neppure i suoni sono i
medesimi; tuttavia suoni e lettere risultano segni (semeîa),
anzitutto, delle affezioni dell’anima, che sono le medesi- me per
tutti, e costituiscono le immagini di oggetti già identici per
tutti35.
Poco più avanti il nome è definito «suono della voce significativo
per convenzione»: Aristotele, insomma, mentre punta sulla natura
mimetica dell’attività poetica, è però decisamente anti-naturalista
in fatto di linguaggio, sicuro che l’opposizione tra convezione e
natura consenta di tener distinto il linguaggio umano dai suoni
emessi dagli animali (questi, sì, «per natura», ma «inarticolati e
non combinabili» in discorso).
In chiusa della parte dedicata all’Arte poetica, è opportuno
ricordare che l’o- pera corona un’intensa attività sul terreno
didattico dell’interpretazione dei poeti. Sappiamo ad esempio che,
in qualità di precettore di Alessandro di Macedonia, il filosofo
impartisce al giovane principe educazione simile a quelle degli
adole- scenti greci di famiglia ricca, basata soprattutto sulla
lettura dei poemi omerici e delle opere dei grandi tragici
ateniesi. Forse in questo periodo (tra il 343 e 334 a.C.),
Aristotele cura una revisione del testo dell’Iliade e redige i
perduti Problemi omerici. Sulla storia delle tragedie ateniesi
compone opere erudite: Vittorie Dionisiache, lista di vincitori in
gare teatrali, e Didascalie, desunte dai verbali delle medesime
gare; restano infine pochi frammenti di un dialogo Sui
poeti. Sebbene non sia detto apertamente, da quanto si è visto è
facile inferire che
35 Aristot., De interpr. 16a 3-8.
20 Gian Franco Gianotti
teoria e riflessione linguistico-grammaticale, benché saldamente
derivate dallo spirito analitico del pensiero aristotelico, siano
nate anche o soprattutto per fornire i lettori (in primis il suo
regale discepolo, Alessandro di Macedonia) di adeguati strumenti di
comprensione per la lettura dei poeti.
4. Il ritratto di Elena, le belle statuine e lo schema eidografico,
dalla Gre- cia al mondo romano
Fin qui il discorso sull’imitazione compete soprattutto ai
filosofi. A partire da Aristotele stesso e dagli intellettuali di
età alessandrina, la discussione si è progressivamente allargata a
grammatici, retori e poeti, che hanno trasfor- mato il principio
mimetico in principio linguistico, educativo e artistico, con le
precisazioni e le aggiunte ritenute necessarie. Sulle scelte non
univoche dei modelli che competono a ogni artista vale il racconto
del ritratto di Elena, dipinto da Zeusi grazie alla combinazione
delle parti migliori di cinque bellis- sime fanciulle indicate come
parziali modelle. Di tale racconto si riportano i tratti salienti
secondo Cicerone, De inventione 2, 1-3:
Un tempo i cittadini di Crotone […] vollero arricchire con splendi-
di dipinti il tempio di Giunone che veneravano con grande
devozione. Fecero pertanto venire dietro lauto compenso Zeusi di
Eraclea che allora si riteneva che superasse decisamente gli altri
pittori. Dopo aver dipinto numerosi altri quadri, di cui una parte
è ancora presente nel nostro ricordo a causa della tradizione
religiosa legata al tempio, Zeusi disse di voler dipingere il
ritratto di Elena, affinché un’immagi- ne muta potesse racchiudere
in sé l’eccezionale bellezza di una figura femminile. Gli abitanti
di Crotone ascoltarono di buon grado il pro- posito, perché avevano
spesso sentito dire che nel dipingere un corpo femminile Zeusi era
di gran lunga superiore agli altri. Pensarono in- fatti che, se si
fosse dedicato con particolare impegno di quel genere in cui era il
più bravo, avrebbe lasciato loro in quel tempio un’opera stupenda.
Né allora quell’opinione li trasse in inganno. Zeusi infatti chiese
subito loro quali vergini di bell’aspetto avessero in città. […]
Allora i Crotoniati, per decisione pubblica, condussero le vergini
più belle in un unico luogo e concessero al pittore la facoltà di
scegliere quella che voleva. Ma egli ne scelse cinque, i cui nomi
molti poeti hanno tramandato alla memoria, perché valutate più
belle a giudizio di chi doveva avere la migliore capacità di
discernere la bellezza. Infatti Zeusi riteneva di non poter
ritrovare in un solo corpo tutto quanto cercava in vita della
bellezza, perché la natura nulla ha rifinito in modo perfetto in
ogni sua parte36.
36 Cfr. E. Di Stefano, Zeusi e la bellezza di Elena, in «Fieri.
Annali del Dipartimento di Filosofia,
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 21
Il racconto ritorna in Dionigi di Alicarnasso (Sull’imitazione.
Epitome 1. 4) e in Plinio il Vecchio (Naturalis historia 35. 36)37.
Simpatico esito narrativo dell’intera discussione sull’importanza
della mimèsi è il passo, anzi la bel- la favola, che si legge
all’inizio dell’epitome (1-3) del frammentario trattato
Sull’imitazione di Dionigi di Alicarnasso (60 a.C.-fine del I sec.
a.C.), con- centrato sui migliori modelli letterari e sui modi in
cui possono essere imitati. Ecco:
Bisogna frequentare gli scritti degli antichi, allo scopo di
ricavare da loro non soltanto la materia della composizione ma
anche il gusto di emulare le peculiarità d’espressione. L’animo del
lettore, infatti, finisce per assimilare, grazie ad applicazione
costante, il carattere dello stile, più o meno come è accaduto alla
donna del contadino di cui parla la favola (mythos). Si narra che
un uomo che lavorava la terra, d’aspetto ripugnante, avesse paura
di diventare padre di figli simili a lui. Questo stesso timore gli
insegnò l’arte di generare figli di bell’aspetto. Dopo aver
allestito immagini di persone di bella presenza, fece prendere alla
sua donna l’abitudine di guardarle in continuazione. Fatto questo,
si unì alla donna e come risultato ottenne figli dotati della
bellezza delle immagini. Nel medesimo modo in letteratura la
somiglianza si genera per imitazione (mimései), quando qualcuno di
noi sia preso da emula- zione (zelos) per ciò che ritiene migliore
presso ciascuno degli autori antichi e lo convogli nel proprio
animo, come se avessimo riunito, per così dire, numerosi ruscelli
in una sola corrente.
Altra attestazione della favola non è trasmessa, ma la nozione che
i figli possano somigliare alle statue e ai ritratti ammirati dalle
madri sembra risalire al filosofo presocratico Empedocle di
Agrigento (V secolo a.C.), autore di 2 po- emi (Sulla natura,
Purificazioni)38. Si aggiunga che nel frammento 2 del I libro
Dionigi di Alicarnasso definisce l’imitazione e l’emulazione in
questo modo:
L’imitazione (mimesis) è l’azione di riprodurre il modello (pará-
deigma) secondo le regole. L’emulazione (zelos) è attività
dell’anima commossa per l’ammirazione di ciò che appare
bello39.
Storia e Critica dei Saperi», 4, 2004, pp. 77-86; B. Poulle, De
Crotone à Rome: itinéraire et interprétations d’un tableau,
l’Hélène de Zeuxis, in «Latomus», 66, 2007, pp. 26-40. 37 Cfr.
anche Val. Max. 3, 7 ext. 3; Ael. Var. hist. 14, 12. 38 Così si
legge nei Placita di Aezio, 5, 12, 2: «Empedocle dice: [...] i feti
si conformano secon- do l’immaginazione della donna durante il
concepimento; talora è successo che una donna sia attratta da
figure o da statue e generi figli simili a quelle». 39 Testi di
riferimento: D.G. Battisti, Dionigi di Alicarnasso.
Sull’imitazione, Istituti Editoriali
22 Gian Franco Gianotti
Con Dionigi di Alicarnasso, maestro di retorica a Roma in età
cesariana e augustea, possiamo passare al mondo romano e osservare
come a Roma la letteratura greca giunga già inventariata e
suddivisa per generi (eide) letterari in base alle classificazioni
d’età ellenistica, secondo una prospettiva ordinatri- ce che sembra
moltiplicare nel tempo il sigillo della riflessione aristotelica40.
Disciplinati via via secondo la dottrina degli stili, i generi
della poesia sono epica, elegia, giambo, lirica, tragedia e
commedia, satira; i generi della prosa sono oratoria, storiografia
e biografia, trattato filosofico e scientifico, episto- lografia,
grammatica, commento letterario e filologico. Fuori codificazione
o, meglio, ricondotti, al grande contenitore delle historiae o
delle fabulae sono i testi d’intrattenimento che ricadono sotto le
definizioni moderne di ‘novella’ e ‘romanzo’. La presenza di codici
identificabili accanto a situazioni mal de- finite o aperte a
contaminazioni assicura al sistema letterario, prima greco e poi
romano, ampi margini di flessibilità, senza costituire un freno
effettivo alla libertà compositiva degli autori. I generi (e col
tempo i rispettivi sotto-generi) entrano nella catena della
trasmissione scolastica e si dispongono nei Pinakes («Quadri»),
tavole di autori scelti (enkrithéntes) come migliori rappresentanti
di ciascun genere. Si tratta di tradizione che decolla grazie al
lessico introdotto da Callimaco e dà vita a inventari redatti
secondo giudizi di valore che passa- no a Roma sotto la
designazione di ordines del lessico quintilianeo; la critica
moderna è solita designarli come «canoni», termine greco indicante
strumento di misurazione e invalso in questa accezione dal
Settecento in poi, da quando David Ruhnken (1723-1798) l’ha
introdotto nel lessico letterario, su sugge- stione della critica
testamentaria41.
e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 1997; S. Fornaro, Dionisio
di Alicarnasso. Epistola a Pompeo Gemino, Teubner,
Stuttgart-Leipzig 1997. Più tardi, sul finire del I sec. a.C.,
l’anonimo autore del trattato Del sublime individua nella mimesis
una delle cinque fonti del ‘sublime’: «esiste un’altra via che
tende al sublime. Quale? L’imitazione e l’emulazione dei grandi
scrit- tori e poeti del passato. Molti scrittori sono ispirati
dallo spirito altrui […] Non è furto l’imita- zione di cui si
tratta, ma per così dire un calco tratto da un bel carattere, da
una bella opera di scultura, da un bel lavoro di artigianato […] E
certo buona e degnissima d’esser vinta è questa gara e corona di
gloria, in cui anche l’esser superati dagli antichi non è senza
onore» (Del su-
blime, 13, 2-4; trad. it. di F. Donadi). 40 Cfr. J.J. Donohue, The
Theory of Literary Kinds: Ancient Classifications of Literature,
Loras College Press, Dubuque, Iowa 1943; L.E. Rossi, I generi
letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature
classiche, in «Bull. of Institute of Classical Studies», 18, 1971,
pp. 69-94. 41 Cfr. G. Rippl e S. Winko (a cura di), Handbuck, Kanon
und Wertung. Theorien, Instanzen, Geschichte, Metzler,
Stuttgart-Weimar 2013; I. Matijaši, Shaping the Canons of Ancient
Greek Historiography. Imitation, Classicism, and Literary
Criticism, de Gruyter, Berlin-Boston 2018.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 23
è noto che nei confronti del mondo greco i Romani non hanno avuto
sem- pre atteggiamenti uniformi (ai pensi ai Graeculi di Plauto o
di Catone), ma è altrettanto noto che il riconoscimento di
subalternità rispetto ai modelli greco- ellenistici, già segnalato
sul finire del II sec. a.C. da Porcio Licino (Poenico
bello secundo Musa pinnato gradu / intulit se bellicosam in Romuli
gentem feram)42, è ribadito nelle generazioni di Cesare e di
Augusto, quando con Cicerone prima e con Virgilio e Orazio poi si è
ripensato globalmente il patri- monio culturale di Roma. Un buon
esempio è offerto dalle battute iniziali del De legibus ciceroniano
(1, 5-7): constatato che abest historia litteris nostris e invitato
Cicerone a colmare tale lacuna, Attico dà un giudizio impietoso
sulla qualità degli storici romani precedenti («exile, sine nitore
ac palaestra, languor et inscitia, loquacitas, puerile quiddam» e
sulla distanza che li tiene lontani ex illa erudita Graecorum
copia43. Interessante è il caso di Virgilio: ai critici antichi non
sfuggiva la costellazione di autori greci presi a modello, imitati
in modo pedissequo secondo gli obtrectatores, selezionati con arte
e cura particolare secondo gli estimatori, come si ricava da Aulo
Gellio:
Con sapienza e attenta considerazione Virgilio, quando riprendeva
passi di Omero, di Esiodo, di Apollonio, di Partenio, di Callimaco,
di Teocrito o di qualche altro poeta, ne ha tralasciato alcuni e ha
tradotto altri44.
Come es. si possono citare i contributi raccolti a cura di B.
Gentili e C. Catenacci, I poeti del
canone lirico nella Grecia antica, Feltrinelli, Milano 2010. 42
Porc. Licin. fr. 1 Morel. Cfr. V. Lomanto, Il canone di Volcacio
Sedigito e gli esordi della letteratura latina, in «Paideia», 57,
2002, pp. 216-251. 43 Cfr. K.-E. Petzold, Cicero und Historie, in
«Chiron», 2, 1972, pp. 253-276; P. Desideri, Cicerone e
l’ellenizzazione della storiografia romana, F. Gasco e E. Falque (a
cura di), Graecia
capta. De la conquista de la Grecia a la helenización de Roma,
Universidad de Huelva, Sevilla- Huelva 1996, pp. 29-43. Posizioni
analoghe circolavano a proposito delle opere filosofiche: cfr.
Cic., De fin. 1, 1, 2; Acad. 1, 2, 4. 44 Gell., 9, 9, 3: scite ergo
et considerate Vergilius, cum aut Homeri aut Hesiodi aut Apollonii
aut Parthenii aut Callimachi aut Theocriti aut quorundam aliorum
locos effingeret, partem reliquit, alia expressit. La discussione
antica più ampia sui rapporti tra Omero e Virgilio si legge nel V
libro dei Saturnalia di Macrobio: cfr. S. Sheppard, Scaliger on
Homer and Virgil, in «Emerita», 29, 1961, pp. 313-340; G.N. Knauer,
Die Aeneis und Homer. Studien zur poe-
tischen Technik Vergils mit Listen der Homerzitate in der Aeneis,
Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1964; A. Barchiesi, La
traccia del modello: effetti omerici nella narrazione virgi- liana,
Giardini, Pisa 1984; W. Clausen, Virgil’s Aeneid and the Tradition
of Hellenistic Poetry, Univ. of California Press, Berkeley-Los
Angeles-London 1987; G.B. Conte, Dell’imitazione. Furto e
originalità, Edizioni della Normale, Pisa 2014.
24 Gian Franco Gianotti
Con la formula oraziana «Graecia capta ferum victorem cepit et
artes / intulit agresti Latio» (Serm. 2, 1, 156-157) si è finito
per ammettere il ritardo della nascita della letteratura latina e
l’apporto decisivo degli esemplari gre- ci45 al suo sviluppo. Per
l’auctoritas di chi l’ha formulata, è ammissione mai revocata
davvero in dubbio: consegnata al mondo delle scuole, si è trasmessa
alla cultura europea e in più occasioni si è trasformata in
esplicita svalutazione dell’attività letteraria di Roma, vero e
proprio paradosso su cui si è costruita la moderna storiografia
delle lettere di Roma46.
Prima di concludere, è opportuno ricordare le considerazioni in
proposito raccolte, nell’ultimo decennio del I sec. a.C., da
Quintiliano nel X libro dell’In-
stitutio oratoria. Dopo la rassegna della biblioteca dell’oratore
ideale, vale a dire dei principali autori della letteratura greca e
della letteratura latina – ripar- titi secondo i generi letterari e
ordinati (per ordines, appunto) secondo giudizi di valore (10, 1,
27-131) – al fine di ricavarne copia verborum, l’autore dedica
un’intera sezione all’importanza dell’imitazione per un buon
oratore (De imi-
tatione: 10, 2, 1, 28)47. Se ne riportano l’incipit e le
considerazioni conclusive:
Nessuno, infatti, potrebbe mettere in dubbio che gran parte
dell’arte consista nell’imitazione. Perché, se l’invenzione fu il
primo e rimane il più importante requisito, è altrettanto utile
imitare le scoperte migliori. Appunto in questo consiste la legge
generale della vita, cioè che noi stessi vogliamo fare quanto di
buono approviamo negli altri (10, 2, 1-2).
L’autore che deve essere imitato di preferenza non deve essere l’u-
nico da imitare. […] Dato che in pratica è impossibile a un singolo
riprodurre integralmente il modello che si è scelto, poniamoci
davanti
45 Hor., Ars Poet., 268-269: Vos exemplaria Graeca / nocturna
versate manu, versate diurna. 46 Cfr. J.E.G. Zetzel, Re-creating
the Canon: Augustan Poetry and Alexandrian Past, in «Critical
Inquiry», 10, 1983, pp. 83-105; A.J.S. Spawforth, Greece and the
Augustan Cultural Revolution. Greek Culture in the Roman World,
Cambridge Univ. Press, Cambridge-New York 2012. 47 Cfr. P.
Steinmetz, Gattungen und Epochen der griechischen Literatur in der
Sicht Quintilians, in «Hermes», 92, 1964, pp. 454-466; B.
Schneider, Die Stellung des zehnten Buches im Gesamtplan der
Institutio oratoria des Quintilian, in «Wiener Studien», 96, 1983,
pp. 107-125; M. Citroni, Quintiliano e l’ordinamento per canoni
della tradizione letteraria, in F. Ficca (a cura di), Il passato
degli antichi, Ist. It. per gli Studi Filosofici, Napoli 2004,
185-2002; Id., Finalità e struttura della rassegna degli scrittori
greci e latini in Quintiliano, in G. Mazzoli (a cura di), Modelli
letterari e ideologia nell’età flavia, Ibis, Como-Pavia 2005, pp.
15-38; Id., Antiqui, Veteres, Novi: Images of the Literary Past and
the Impulse to Progress in the Cultural Program of Quintilian, in
F. Bessone e M. Fucecchi (a cura di), The Literary Genres in the
Flavian Age, de Gruyter, Berlin-Boston, 2017, pp. 19-45; T. Baier,
Quintilian’s Approach to Literary History via imitatio and
utilitas, ibid., pp. 47-64.
Imitazione e cultura letteraria nel mondo antico 25
agli occhi le qualità di più autori, in modo che ci resti attaccato
un pre- gio dell’uno e un altro pregio dell’altro e poi ci sia
possibile adattare ciascuno al luogo appropriato. Ma l’imitazione
[…] non deve essere limitata al lessico. La mente deve essere
rivolta a questo, a considerare cioè quanto quegli uomini abbiano
saputo rispettare la convenienza nelle azioni e nei personaggi,
quale sia il loro programma, quale sia la disposizione e come siano
pertinenti al successo anche quegli ele- menti che sembrano
concessioni fatte al piacere: che cosa sia trattato nell’esordio,
quale sia metodo e varietà della narrazione, quale forza si metta
in campo nelle dimostrazioni e nelle confutazioni, quanta abilità
nella mozione degli affetti d’ogni genere, quanto il consenso
popolare sia sfruttato a vantaggio della causa […]. Se riusciremo a
fare atten- zione a tutto questo, allora la nostra sarà vera
imitazione. Inoltre, chi a queste buone qualità avrà aggiunto anche
le proprie, in modo da sup- plire a ciò che manca e togliere quanto
è ridondante, ecco: costui sarà quell’oratore ideale che stiamo
cercando, quello che deve raggiungere la perfezione soprattutto
oggi, in cui vi sono tanto più numerosi model- li di buona
eloquenza di quanti toccarono in sorte agli oratori che ancor oggi
sono i più grandi. Essi avranno, infatti, anche questo come motivo
di vanto, cioè che si dirà che hanno superato i predecessori e sono
stati maestri per i successori (10, 2, 24-28).
In conclusione, va ribadito che tra gli ingredienti che secondo gli
anti- chi assicurano continuità e durata alle pratiche letterarie,
la categoria della mimèsi (imitatio) nel mondo romano assesta il
proprio ventaglio semantico e promuove una costante gara di
emulazione (aemulatio) nei confronti dei modelli paradigmatici,
greci dapprima, poi greci e latini insieme48. Sottesa alla
48 Cfr. A. Reiff, Interpretatio, imitatio, aemulatio. Begriff und
Vorstellung literarischen Abhangigkeit bei den Römern, Diss. Köln
1959; D.A. Russell, De imitatione, in D. West e T. Woodman, (a cura
di), Creative Imitation and Latin Literature, Cambridge Univ.
Press, Cambridge 1979, pp. 1-16 e 201-202; H. Flashar, Die
klassizistische Theorie der Mimesis, in Id. (a cura di), Le
classicisme à Rome, Fondation Hardt, Genève 1979, pp. 79-111; A.
Thill, Alter ab
illo: Recherches sur l’imitation dans la poésie personnelle à
l’époque augustéenne, Les Belles Lettres, Paris 1979; J.C.
McDonald, Imitation of Models in the History of Rhetoric, Diss.
Austin 1987; A.N. Cizek, Imitatio et Tractatio. Die
literarisch-rethorischen Grunlagen der Nachahmung in Antike und
Mittelalter, Niemeyer, Tübingen 1994; G.F. Gianotti,
Atene-Roma-Europa: gene-
si e sviluppo dei modelli letterari, in E. Delle Piane (a cura di),
Letteratura, Europa, scuola. Esperienze e riflessioni, I, Armando,
Roma 2006, pp. 82-105; M. Gioseffi (a cura di), Uso, riuso e abuso
dei testi classici, Led, Milano 2010; A. Rhoby e E. Schiffer (a
cura di), Imitatio, Aemulatio, Variatio, Verlag der
Osterreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien 2010; R.R.
Marchese e M. Formisano (a cura di), In gara col modello. Studi
sull’idea di competizione nella letteratura latina, Palermo Univ.
Press, Palermo 2017. Quadro generale: A. La Penna, I generi
ellenistici nel- la tarda repubblica romana, in «Maia», 34, 1982,
pp. 111-130; R. Martin e J. Gaillard, Les genres littéraires à
Rome, Nathan, Paris 1990; G.B. Conte, Generi e lettori, Mondadori,
Milano 1991.
26 Gian Franco Gianotti
scelta dei modelli è la libera ripresa di verba et iuncturae, di
temi e motivi che possono migrare dai testi d’origine ai nuovi
testi ospitanti secondo esigenze espressive e intendimenti
d’autore. Per dirla in sintesi, là dove compare la descrizione di
ogni sistema letterario, antico o moderno49, attraverso la suddi-
visione nei generi della poesia e della prosa, si è certi che
dall’orizzonte del discorso critico non sia possibile eliminare del
tutto la coppia mimesis/zelos, imitatio/aemulatio. Per esempio,
nella prassi educativa attivata nel monastero di Vivarium in pieno
VI secolo d.C., Cassiodoro sa cogliere bene lo snodo tra passato e
presente: introduce la nozione di modernità – e il neologismo
mo-
dernus – che si alimenta dell’esempio degli antichi, nel passo in
cui la figura dell’intellettuale si descrive come antiquorum
diligentissimus imitator e mo-
dernorum nobilissimus institutor50.
A ragione si può sostenere che «la mimesis, in tutte le sue
varianti, dimostra di essere la più duratura, la più resistente e
intellettualmente la più flessibile fra tutte le teorie artistiche
della cultura occidentale»51. Come sintesi icastica dello stretto
legame tra passato e presente in età medievale (e oltre), tutti
hanno in mente la formula attribuita da Giovanni di Salisbury a
Bernardo di Chartres: «Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi
nanos gigantium humeris insidentes»52.
Nani sulle spalle dei giganti: si riconosce in tal modo la
grandezza dei modelli antichi, ma non si compromettono le
potenzialità moderne e i risultati dei successori.
49 Cfr. per es. Ph. Lacoue-Labarthe, L’imitazione dei moderni,
trad. it., Palomar, Bari 1995; G. Gebauer e Chr. Wulf, Mimesis:
Culture, Art, Society, trad. ingl., Univ. of California Press,
Berkeley 1996; M. Ranta, Mimesis as the Representation of Types.
The Historical and Psychological Basis of an Aesthetic Idea,
Elanders Cotab AB, Stockholm 2000; F. Pappalardo, Genericità. Il
discorso sui generi letterari nella cultura europea, Progedit, Bari
2013; C. Forberg e P.W. Stockhammer (a cura di), The Transformative
Power of the Copy. A Transcultural and Interdisciplinary Approach,
University Publishing, Heidelberg 2017. 50 Cassiod. Variae 4, 51,
2. Cfr. G. Ludwig, Cassiodorus. Über den Ursprung der
abendlan-
dischen Schule, Lang, Frankfurt a. M. 1966; J.J. O’ Donnel,
Cassiodorus, Univ. of California Press, Berkeley-Los Angeles-London
1979. 51 Così si legge in S. Halliwell, L’estetica della mimesis,
cit., p. 16. 52 Ioann. Saresber. Metalogicon 3, 4. Cfr. P. Riché e
J. Verger, Des nains sur des epaules de géants. Maîtres et élèves
au Moyen Age, Tallandier, Paris 2006; U. Eco, Sulle spalle dei
giganti, La nave di Teseo, Milano 2017.
Acc. Sc. Torino
La mimesi in Winckelmann
Mario Torelli
1. Profilo di un concetto nel pensiero del fondatore della Storia
dell’Arte moderna
Forse non tutti, ad eccezione degli addetti ai lavori, sanno che
fino a pochi anni fa Johann Joachim Winckelmann era oggetto, da
parte non so- lo dei classicisti, ma dell’intera intellettualità
del mondo germanico, di un vero e proprio culto come quello
tributato dagli antichi Greci ai loro eroi1: basti dire che a
Winckelmann è intitolato lo stesso istituto di archeologia della
prestigiosissima Humboldt universität di Berlino. era consuetudi-
ne che nella ricorrenza del genetliaco di Winckelmann molte
università o società a lui intitolate organizzassero una solenne
conferenza, tenuta in genere da un archeologo o da uno storico
dell’arte di spicco, che, opportu- namente ampliata e annotata,
veniva pubblicata in una collana denominata Winckelmannsprogramm,
con l’indicazione della sede in cui la manifesta- zione aveva avuto
luogo. l’usanza, avviata già nell’ottocento, è ormai in forte
declino, così come mi sembra che, rispetto al passato, siano stati
com- plessivamente poco celebrati i 250 anni della sua morte,
avvenuta nel 1768 a trieste2, dove è stato addirittura eretto un
cenotafio che possiamo conside- rare un vero e proprio heroon
dell’era moderna, naturalmente di concezione interamente
neoclassica. addirittura al momento non mi risulta – ma potrei
sbagliarmi – che sia stata anche solo annunciata la solenne
conferenza or- ganizzata dalla Winckelmannsgesellschaft, la società
a lui intitolata, nata in collegamento con il Winckelmann museum,
realizzato nella sua città natale, stendal nell’antica regione
dell’altmark, nell’attuale land della
I riferimenti bibliografici in nota sono presentati con le
abbreviazioni dell’«Archäologische Bibliographie»; le citazioni di
J.J. Winkelmann, storia dell’arte dell’antichità, sono tratte
dall’edizione italiana, con testo tedesco a fronte, a cura di F.
Cicero, Bompiani, Milano 2003.
1 Un recente esempio di trattamento “eroico” della figura di
Winckelmann si deve a K.W. Haupt, Johann Winckelmann. Begründer der
klassischen Archäologie und modernen Kunstwisseschaft, Weimarer
Verlagsgesellschaft, Weimar 2018. 2 F. Farina, Winckelmann a
Trieste, in «archeogrtriest», 70, 2010, pp. 27-41.
28 Mario Torelli
sassonia-anhalt, che preferisce occuparsi di temi collaterali,
anche se non del tutto pertinenti al nostro, come omero nel
settecento3.
non credo sia casuale la circostanza che da oltre dieci anni non
sono pubblicati atti della Winckelmannsgesellschaft, ma solo opere
stravaganti. La cosa tuttavia non finisce qui. Lo stesso museo, per
rendere appetibile al pubblico le sue collezioni, basate su
documenti della vita e dell’attività del fondatore della storia
dell’arte antica e su una raccolta di gessi di scul- ture antiche
famose e di riproduzioni pittoriche, ha sentito il bisogno nel 2003
di realizzare un orrendo cavallo ispirato a quello di troia, alto
15,60 m, lungo 13 m e dal peso di 45 tonnellate, orgogliosamente
reclamizzato per la vista straordinaria che offrirebbe della
cittadina. La buona riuscita di due recentissime mostre,
organizzate a Weimar e a Berlino, possono contare come un assai
modesto e parziale riscatto per questo evidente oblio del- la natia
Germania: quella di Weimar, dal titolo: «Winckelmann. moderne
antike», ha avuto luogo nel neues museum di Weimar dal 7 aprile al
2 lu- glio 20174, mentre quella di Berlino, dal titolo
«Winckelmann. Das göttliche Geschlecht», è stata organizzata allo
schwule museum dal 16 giugno al 9 ottobre 20175. tuttavia non
possiamo passare sotto silenzio il fatto che il database on line
contenente la Winckelmanns Bibliography (questo il nome del
database), che inizia dall’anno 1755, data di pubblicazione della
prima opera di Winckelmann, e che comprende più di trentamila voci
riferite a circa milleduecento autori, risulta arrestato al 1998.
Ho ricordato tutto que- sto, perché ai miei occhi queste vicende
parlano dell’impressionante declino degli studi classici,
conseguente all’abbandono del ruolo che l’antichità gre- co-romana
ha avuto fino a pochi anni fa nella cultura europea e in
particolare in quello che potrebbe esserne considerata la terra
d’elezione, la Germania: sono perciò molto lieto che l’accademia
delle scienze di torino abbia vo- luto con questa giornata di studi
ricordare colui che è ritenuto il fondatore della moderna storia
dell’arte dell’antichità e in tal modo implicitamente riaffermare
che le radici della nostra cultura sono ben piantate nel mondo
classico.
3 m. Kunze (a cura di), Homer in 18. Jahrhundert. Ein Kolloquium
der Winckelmann- Gesellschaft, Winckelmann-Gesellschaft, stendal
2012. 4 e. Décultot et alii, Winckelmann. Moderne Antike, Catalogo
della Mostra, Weimar, 7 apri- le-2 luglio 2017, Hirmer, münchen
2017. 5 W. Cortjaens, Winckelmann. Das göttliche Geschlecht,
Catalogo della Mostra, Berlin Schwule Museum, 16 giugno-9 ottobre
2017, michael imhof Verlag, Berlin 2017.
La mimesi in Winckelmann 29
Non intendo dilungarmi su particolari della biografia del
personaggio6, sul- le difficoltà da lui incontrate e sui trionfali
riconoscimenti ricevuti in Europa, a partire dalla stessa “capitale
dell’arte”, roma7, dove è stato soprintendente alle antichità e,
come protégé del potentissimo e ricchissimo cardinale albani, ha
ordinato la collezione antica di quel gioiello che è Villa albani8.
la Villa, affrescata dal pittore preferito di Winckelmann Raphael
Mengs, ospitò le scul- ture antiche acquistate dal cardinale e
catalogate dallo stesso Winckelmann: proprietari attuali, i
principi torlonia, purtroppo non solo hanno reso di fatto
inaccessibile la collezione, ma l’hanno deturpata per soddisfare la
loro avi- dità, in seguito allo spostamento nella Villa delle opere
ammassate da questi ricchissimi banchieri del morente Stato
Pontificio nel Museo torlonia alla lungara9, cancellato per far
posto a una speculazione edilizia consistente in un certo numero di
miniappartamenti.
Come a più riprese Winckelmann ricorda, la sua concezione del
classico e del bello si è fondata soprattutto sull’esperienza
romana e sulla conoscen- za delle collezioni di arte della città,
sia di scultura classica che di arte del rinascimento. in questo
senso è tuttavia importante ricordare un parallelo evento per
riaffermare, contro un’opinione un tempo largamente diffusa, che il
pensiero di Winckelmann è lungi dall’essere isolato: proprio negli
anni in cui Winckelmann svolgeva le sue ricerche a roma, due membri
della society inglese detta dei Dilettanti10, James stuart e
nicholas revett, che già nel 1742
6 per inquadrare l’attività di Winckelmann resta comunque
fondamentale la monumentale ope- ra di C. Justi, Winckelmann und
seine Zeitgenossen, 3 voll., Vogel, leipzig 1866-1872; una buona
sintesi relativamente recente sulla figura di Winckelmann si deve a
E. Décultot, Johann Joachim Winckelmann: enquête sur la genèse de
l’histoire de l’art, presses universitaires de France, paris 2000.
7 una bella mostra del 2016-17 e un ricco catalogo ha valorizzato
anche il ruolo di Firenze negli interessi del nostro: Winckelmann,
Firenze e la Toscana. Il padre dell’archeologia in Toscana.
Catalogo della Mostra, Firenze, 26 maggio 2016-30 gennaio 2017,
edizioni ets, pisa 2016; il rapporto con la Campania è stato
esplorato da s. Ferrari, I viaggi in Campania di Winckelmann
(1758-1767) con particolari inediti alla luce di un nuovo
documento, in La
Campania e il Grand Tour. Immagini, luoghi e racconti di viaggio
tra Settecento e Ottocento, l’erma di Bretschneider, roma 2015, pp.
249-260. 8 Il catalogo ufficiale è stato redatto da s. morcelli, C.
Fea ed e.Q. Visconti (La Villa Albani
descritta, salviucci, roma 1869); cfr. anche Forschungen zur Villa
Albani. Katalog der antiken Bildwerke, 4 voll., Gebr. mann Verlag,
Berlin 1989-2003. 9 su questa collezione smontata cfr. da ultimo C.
Gasparri, Das “Museo Torlonia” von Pietro Ercole e Carlo Ludovico
Visconti, in Pseudoantike Skulptur. 1. Fallstudien zu antiken
Skulpturen und ihren Imitationen, s. Kansteiner, Berlin 2016, pp.
91-105. 10 sul mondo in cui è nata la società dei Dilettanti ancora
utile è il libro di m.l. Clarke, Greek
30 Mario Torelli
avevano visitato roma, tra il 1751 e il 1755 (immediatamente prima
cioè del- la venuta di Winckelmann in italia) si sono recati in
Grecia per conto della società, per raccogliere un’ampia
documentazione della grande architettura greca con l’obiettivo di
riprodurne l’essenza nel trionfante classicismo delle architetture
del neoclassicismo anglosassone. era questo un capitolo dell’e-
sperienza classica che interessava relativamente meno Winckelmann,
il quale non ha deliberatamente incluso l’architettura fra le arti
da lui esplorate e de- scritte11, perché, come egli stesso afferma,
non è stata animata dal culto degli dei, ma soltanto dalle
proporzioni (la bellezza secondo il nostro era ineren- te alla
natura): erano tuttavia sicuramente maturi i tempi, perché la
cultura europea si accostasse all’antichità con uno spirito del
tutto nuovo, quello che anima l’Illuminismo, prefigurando
l’imminente, strepitoso successo del neoclassicismo.
in ogni caso per lo sviluppo del pensiero di Winckelmann è stato
senz’altro fondamentale il contatto diretto con le opere d’arte
antica che egli ha realizzato nei suoi numerosi viaggi e nei
conseguenti lunghi soggiorni in italia, a roma e a Napoli,
cominciati nel 1755 e favoriti dalla sua sofferta conversione al
catto- licesimo. egli stesso ammette che il debito della sua
scienza nei confronti dei suoi soggiorni in italia. alla p. XXi
della Prefazione dell’opera sua principe Storia dell’arte
dell’antichità (Geschichte der Kunst des Altertums), pubbli- cata a
Dresda nel 176412, egli testualmente afferma: «tutto ciò che ho
citato come prova ho potuto vederlo personalmente e osservarlo
molte volte, tanto i dipinti e le statue, quanto le gemme e le
monete», un interessante «rappel» per gli uomini di oggi
letteralmente sommersi dalle immagini, che, prima dell’av- vento
della fotografia, le fonti primarie della cultura figurativa antica
un posto d’onore spettava a monete, medaglie e gemme, tutte
testimonianze dirette e indirette dell’arte antica di grande
circolazione. tutto ciò comunque non si- gnifica che Winckelmann
non avesse già una linea di pensiero: qualche mese
Studies in England 1700-1830, Cambridge university press 1945; per
una parallela esperienza di impronta germanica, cfr. l.e. Baumer,
La Grèce de Winckelmann et la Grèce réelle. Le voyage du baron
Johann Hermann von Riedesel de 1768, in m. toyo et alii (a cura
di), Du
voyage savant aux territoires de l’archéologie. Voyageurs, amateurs
et savants à l’origine de l’archéologie moderne, Boccard, paris
2011. 11 Cfr. J. Bisky, Poesie der Baukunst. Architekturästhetik
von Winckelmann bis Boisserée, Böhlaus, Weimar 2000, e F. testa, Le
fonti iconografiche per la conoscenza dell’architettura antica
nelle Anmerkungen über die Baukunst der Alten di J.J. Winckelmann,
in H. Bruns et al. (a cura di), Saggi di letteratura architettonica
da Vitruvio a Winckelmann, iii, olschki, milano 2010, pp. 339-361.
12 J.J. Winckelmann, Geschichte der Kunst des Alterthums, Walther,
Dresden 1764.
La mimesi in Winckelmann 31
prima della sua partenza per l’italia, egli pubblica a Dresda il
suo primo opu- scolo a stampa, dal titolo Gedanken über die
Nachahmung der griechischen Werke in der Malerey und
Bildhauerkunst13, ossia Pensieri sull’imitazione delle opere greche
nella pittura e nella scultura, un saggio che presenta un approccio
teorico a uno dei temi centrali della visione antica dell’arte
figurati- va, il problema della mimesi, che, mutuata da una vasta
letteratura in materia, dopo l’esperienza classica maturatasi tra
aristotele e l’anonimo del Sublime, sin dal rinascimento è tornato
ad animare la speculazione sul rapporto tra natura e opera d’arte,
come vedremo più avanti.
Tuttavia, nella sua riflessione il concetto centrale era la
bellezza, per lui essenza stessa dell’espressione dell’arte
figurativa, principalmente della scultura. occorre ricordare che ai
suoi tempi si avevano ancora poche e fram- mentarie testimonianze
della pittura antica, un corpus poverissimo, rispetto a quello
attuale: negli anni in cui componeva le sue opere, la scoperta del-
le città vesuviane, ercolano nel 1738, di pompei nel 1748, stabia
nel 1749, veniva rivelando sotto i suoi occhi i primi documenti
della pittura parietale, come più volte egli ricorda nelle sue
opere. la sua ricostruzione dello svilup- po dell’arte antica egli
segue uno schema ben preciso, che in qualche modo ricalca lo schema
classicistico sviluppato dalla critica d’arte ellenistica, che ha
teorizzato l’evoluzione della forma artistica nello schema di una
parabola di sapore biologico, ma che egli preferisce mettere in
relazione con la rico- struzione teorica dello sviluppo della
poesia greca, elaborata nel XVi secolo dal grande filologo Giuseppe
Giusto scaligero. Winckelmann descrive que- sto sviluppo prima come
culmine di una successione di culture figurative, da quella
egiziana con le sue appendici fenicie e persiane a quella etrusca
con cenni alle appendici di questa, le espressioni sannitiche e
campane (sulle quali ovviamente ha informazioni assai vaghe),
quindi come il succedersi delle fasi della c