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STUDI DI EGITTOLOGIA E DI PAPIROLOGIA Rivista internazionale
22

Papiri letterari e nuove cronologie

Feb 25, 2023

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Maurizio Virdis
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Page 1: Papiri letterari e nuove cronologie

STUDI DI EGITTOLOGIA

E DI PAPIROLOGIA

Rivista internazionale

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Rivista annuale

diretta da

Mario Capasso

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Paola Davoli · Didier Devauchelle · Nicolas Grimal · Salima IkramWolfang Luppe · Franco Maltomini · Marie Hélène Marganne

Bernadette Menu · Natascia Pellé · Fabian Reiter

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« Studi di Egittologia e Papirologia » is an International Peer-Reviewed Journal.The eContent is archived with Clockss and Portico.

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STUDI DI EGITTOLOGIA

E DI PAPIROLOGIARivista internazionale

10 · 2013

P I S A · R O M AFABRIZIO SERRA EDITORE

MMXIII

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SOMMARIO

Mario Capasso, Dieci anni di « Studi di Egittologia e di Papirologia » (« sep ») 7

Anna Angeli, Lettere di Epicuro dall’Egitto (POxy lxxvi 5077) 9Francesca Angiò, Il nuovo Posidippo (2012) (con un contributo inedito di Paolo More- no, Lisippo nell’ep. 62 AB del nuovo Posidippo) 33Nathan Carlig, Recherches sur la forme, la mise en page et le contenu des papyrus scolaires grecs et latins chrétiens d’Égypte 55Tristano Gargiulo, Papiri letterari e nuove cronologie 99Chiara Martis, L’enigma del PLouvre inv. 7733 verso : l’epigramma dell’ostrica 117Carlo Rindi Nuzzolo, An Autograph letter of Giuseppe Nizzoli and a memory of Ippolito Rosel- lini : gleanings of Egyptology in the National Central Library of Florence 151

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PAPIRI LETTERARI E NUOVE CRONOLOGIE*

Tristano Gargiulo

Abstract : In the history of papyrology, two pa-pyrus finds brought about a most striking and remarkable turnaround as to the chronology of ancient Greek works and literary genres. PBerol 6926, containing fragments of the Ninus romance, compelled to antedate the very emergence of the Greek novel, authoritatively put by E. Rohde into the second century A.D., till the beginnings of the first. This view, rightly held by the ed. pr. U. Wilck-en, has been in recent times questioned by some scholars, but is still the soundest inference we can draw from the papyrus itself according to papy-rological principles. A new argument in its favour is offered in the present paper. POxy xx 2256 fr. 3, as is well known, radically upset the chronology of Aeschylus’ Suppliants : this tragedy suddenly shifted from being confidently considered by al-most every scholar the earliest among Aeschylus’ extant plays to a significantly later position. This paper retraces the story of this philological issue and offers some suggestions, inferred from the layout of the papyrus, on the tipology of the so-called “learned hypotheseis”.Keywords : Graeco-Egyptian Papyri, Greek Lit-erature, New chronologies.

Oltre ad aver ampliato in modo sostan-ziale il nostro panorama della letteratu-

ra greca dalla lirica al dramma satiresco, dalla poesia ellenistica alla filologia alessandrina, per nominare solo gli àmbiti dove le scoperte sono state più importanti, i papiri hanno an-che riservato, in pochi ma fortunati casi, alcu-ne sorprese, a dir poco eclatanti, sotto il meno ovvio e prevedibile profilo della cronologia di singole opere o di interi generi letterari.

Ho in mente due vicende che, benché re-lative a epoche lontane fra loro e benché la testimonianza offerta dai papiri sia nei due casi di diversa natura, si possono considerare affini, se non altro perché ambedue le volte le nuove informazioni così acquisite hanno co-stretto gli studiosi a riscrivere, se non addirit-tura a ripensare, significativi capitoli della sto-ria letteraria greca. La prima “inizia” nel 1893

con la pubblicazione da parte di U. Wilcken di un papiro berlinese (PBerol 6926) contenen-te alcune colonne attribuibili a un romanzo anonimo da allora noto come il Romanzo di Nino. La seconda “esplode” nel 1952, quando E. Lobel pubblica, nel xx volume dei papiri di Ossirinco, una serie di frustuli, uno dei qua-li esibisce vestigia di una hypothesis riferibile con certezza alle Supplici di Eschilo (POxy 2256 xx fr. 3).

i.

Solo pochi anni prima del 1893, nel 1876, era uscita la prima edizione di un monumenta-le saggio sul romanzo greco, ad opera di un dottissimo studioso tedesco poco più che trentenne, Erwin Rohde (Der griechische Ro-man und seine Vorläufer). 1 Nel ripercorrere e delineare, come è noto, le tappe che avevano portato prima alla creazione e poi allo svilup-po di questo nuovo genere letterario, peraltro neanche mai codificato come tale dagli anti-chi, Rohde proponeva sia una data di nascita del genere stesso, il ii secolo d.C., il secolo della “seconda sofistica”, sia una successione cronologica dei 5 romanzieri canonici, quelli trasmessi da manoscritti medievali, cui non si era ancora aggiunto nessun papiro. Co-me ultimi della serie, dopo Senofonte Efesio, Longo Sofista e Eliodoro, Rohde assegnava Achille Tazio al v d.C. e Caritone alla fine del v-inizi del vi d.C. Gli argomenti erano tutti in-terni, visto che mancavano sicuri riferimenti, in altri scrittori, tali da ancorare o anche solo orientare le datazioni. Caritone, per esempio, era collocato all’ultimo posto, da un lato, per-ché era l’unico ad aver ambientato la sua tra-ma in una cornice storica (segno, per Rohde, di distacco dagli altri romanzi e di decadenza del genere), dall’altro, perché la sua lingua ap-pariva semplice e piuttosto aliena dai flosculi e dall’influsso atticistico dominante nella tem-perie culturale della “seconda sofistica”.

* Lezione tenuta alla vi edizione della Scuola Estiva di Papirologia dell'Università del Salento (Centro di Studi Papirologici), 10 luglio 2012.

1 Ne sono state pubblicate 4 edizioni (di cui tre postu-Ne sono state pubblicate 4 edizioni (di cui tre postu-me, essendo Rohde morto nel 1898) : Leipzig 18761, 19002, 19143, 19604.

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Nel breve volgere di pochi anni, l’imposta-zione cronologica del quadro costruito da Ro-hde fu irrimediabilmente sconvolta dalle sco-perte papiracee. Come già accennato, nel 1893 Wilcken pubblicava 2 due ampi frammenti (A e B) di un papiro (PBerol 6926), 3 che appari-vano fin dall’inizio parte di una composizione di genere romanzesco, i cui protagonisti risul-tavano essere due giovani dai sorprendente-mente altisonanti nomi storici di Nino e Se-miramide (in realtà non nominata nel papiro, ma identificabile con certezza). Il testo, la cui provenienza era ignota e non determinabile, era scritto sul recto di un rotolo, il cui verso era stato riusato per documenti contabili da-tabili al 3°-4° anno del regno di Traiano (100-101 d.C.). Wilcken definiva il testo letterario del recto un’edizione curata e calligrafica destinata al commercio, escludeva che fosse un papiro scolastico, e calcolava in 50-70 anni l’intervallo postulabile tra scrittura del recto e scrittura del verso. Osservava altresì che sa-rebbe un caso veramente singolare se questo esemplare fosse stato il primo ad essere pro-dotto, coincidendo in tal caso con l’originale. L’anonimo romanzo doveva dunque essere stato scritto, cioè composto dal suo autore, tra la fine del i sec. a.C. e l’inizio del i d.C. 4

Benché Wilcken sottolineasse elegantemen-te che il nuovo testo, presentando entrambi gli ingredienti principali che Rohde aveva ascritto alla genesi del romanzo (i racconti di viaggi con interesse etnografico e la storia d’amore tra due giovani), ne confermava la teoria, resta il fatto che il PBerol 6926, per un altro verso, confutava in un colpo solo due importanti capisaldi della costruzione elabo-rata da Rohde : che il genere romanzo fosse

apparso nel secolo della seconda sofistica, il ii d.C., e non prima, e che il romanzo a cornice storica (fino a quel momento rappresentato dal solo Caritone) fosse una tarda, terminale deviazione dalla forma canonica.

Poco dopo apparivano, 5 in rapida succes-sione, alcuni papiri proprio di Caritone che, databili al ii sec. d.C., facevano diventare pro-babile primo e più antico dei romanzieri di tra-dizione medievale quello che fino ad allora era stato considerato l’ultimo : un rovesciamento non più così strano visto che riavvicinava due romanzi, Le avventure di Cherea e Calliroe e il Romanzo di Nino, che, fin dalla pubblicazione di quest’ultimo, erano subito sembrati mol-to affini. 6 Il primo papiro di Caritone fu il PFayum 1, pubblicato nel 1900, databile, se-condo Grenfell e Hunt, alla fine del ii (al mas-simo all’inizio del iii sec. d.C.) ; ad esso seguì il POxy vii 1019, pubblicato nel 1910 (un altro pezzo del medesimo rotolo è stato pubblicato nel 1972 come POxy xli 2948), all’incirca coe-vo del precedente. Nel 1955 apparve il PMicha-elides 1, databile alla seconda metà del ii d.C. 7

Una sorte analoga toccò ad Achille Ta-zio, anch’egli retrocesso dal v (Rohde) o vi(Schmid) al ii sec. d.C., prima per effetto della pubblicazione del PMilVogl iii 124, frammen-to di codice papiraceo pubblicato nel 1938 da A. Vogliano e da lui datato (con l’approvazio-ne di W. Schubart) 8 al ii d.C. ; poi, definitiva-mente, grazie al POxy lvi 3836, pubblicato nel 1989 da P. Parsons, che lo ha datato, sem-pre su base paleografica, ma più certa, al ii d.C. 9 Quest’ultimo è oggi l’unico testimone valido su cui poggia la datazione alta di Achil-le Tazio, dopo che del PMilVogl iii 124 è stata abbassata la cronologia al iii-iv d.C. 10

2 U. Wilcken, Ein neuer griechische Roman, « Hermes » 28 (1893), pp. 161-193.

3 Un altro frammentino del medesimo rotolo è sta-Un altro frammentino del medesimo rotolo è sta-to successivamente pubblicato come PGen 85 (cf. C. Wehrli, Un fragment du roman de Ninos, « ZPE » 6, 1970, pp. 39-41).

4 Wilcken, Ein neuer cit., pp. 164, 189-193.5 Un’esaustiva rassegna generale delle pubblicazioni

dei papiri del romanzo, corredata di eccellenti osservazio-ni e di un utilissimo catalogo, è quella di Messeri 2010.

6 Si serviva di questo accostamento, già nel 1899, un an-Si serviva di questo accostamento, già nel 1899, un an-no prima della pubblicazione del PFayum 1, W. Schmid (RE iii 2, 1899, coll. 2169-2170) per suggerire di collocare Caritone nel ii-iii d.C. Questo indubbio merito è tuttavia controbilanciato dal fatto che lo stesso W. Schmid consi-derava Achille Tazio (anch’egli poi retrodatato dai papiri al ii sec. d.C., ved. infra) « das späteste Erzeugnis der Ro-manpoesie » (RE i 1, 1893, coll. 245-246).

7 Così E. G. Turner, apud R. Petri, Über den Roman des Chariton, Meisenheim am Glan 1963, pp. 47-48.

8 Direi che è interessante, dal punto di vista del me-Direi che è interessante, dal punto di vista del me-todo, il modo di procedere che Vogliano racconta di aver seguito nel consultare Schubart : gli nascose « la paternità dello scritto, per non vincolare il suo giudizio » (Un papiro di Achille Tazio, « SIFC » 15, 1938, p. 125). Ripubblicato in Pa-piri della Università degli Studi di Milano (P.Mil.Vogliano), iii, Milano-Varese 1965, pp. 50 ss., W. H. Willis, The Robin-son-Cologne Papyrus of Achilles Tatius, « GRBS » 31 (1990), p. 75, propende invece, data l’inclinazione verso destra della scrittura e per il formato codice, per una data di poco più avanzata, intorno al 200 d.C.

9 Alla prima metà del ii secolo secondo Cavallo 1996, p. 36 (= Cavallo 2005, pp. 225-226).

10 Così A. F. Moretti, Revisione di alcuni papiri greci letterari editi tra i Mil. Vogl., « APapyrol » 7 (1995), pp. 29-30, con cui concorda Cavallo 1996, pp. 37-38 e n. 61 (= Ca-

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La datazione del Romanzo di Nino proposta da Wilcken, benché sia rimasta largamente condivisa nelle sue linee essenziali, è tuttavia, di tanto in tanto, rimessa in discussione. Si cerca di abbassarla di quei decenni sufficienti a creare meno disturbo in un quadro che vuo-le continuare a vedere il genere romanzo in-teramente immerso, fin dagli inizi, nell’epoca imperiale. 11

Eppure, oltre agli argomenti squisitamente papirologici, che, come vedremo, rendono il giudizio di Wilcken – anche se la certezza è inattingibile – metodologicamente impecca-bile, a corroborare il nuovo quadro letterario che il PBerol 6926 sembrava imporre fu avan-zato da R. Heinze, 12 nel 1899, un significativo (decisivo, nella mia opinione) argomento di carattere letterario che ancor oggi, per quel che mi consta, non può dirsi confutato (ma spesso semplicemente trascurato o sottovalu-tato). 13 Heinze osservò acutamente che non è possibile spiegare l’intreccio del Satyricon pe-troniano senza presupporre l’esistenza, e anzi la popolarità, di un genere di componimento letterario simile ai romanzi greci conservati, di cui esso è strutturalmente una parodia, sosti-tuendo alla coppia di giovani innamorati casti e fedeli una originale coppia gay alquanto dis-

soluta (Encolpio-Gitone), con tanto di rivale (Ascilto), la quale, allo stesso modo di quelli, viaggia, si insegue, affronta pericoli e peripe-zie. Questa interpretazione non vuole natural-mente privilegiare, del romanzo petroniano, l’aspetto parodico sui più alti obiettivi lettera-ri che esso persegue. Ma come si può crede-re che gli elementi formali costitutivi di tanti romanzi greci di epoca successiva fossero già presenti, quindi anticipati, in modo raffinato e serio-comico, cioè letterariamente “di secon-do grado”, in una sia pur geniale opera latina ? Una intuizione che pare corroborata da nuovi frammenti trovati in tempi più recenti, i quali hanno rivelato anche altre, diverse, forme di af-finità tra i romanzi greci e il Satyricon latino. 14

Una posizione a mio avviso paradigmatica per come si vale, con un certo arbitrio, dei dati papirologici, nell’intento di svalutare la datazione proposta da Wilcken, si può con-siderare quella espressa da E. Bowie, pur ec-cellente specialista di letteratura imperiale e del romanzo in particolare, in un articolo apparso nel 2002. 15 Egli tende a ridurre al mi-nimo l’intervallo tra datazione assegnata ad un papiro e data di composizione dell’opera che vi è scritta. Per il Romanzo di Nino egli po-stula gli anni 90 per la copiatura di tale testo 16

vallo 2005, p. 227 e n. 71). La storia delle scoperte dei pa-piri di Achille Tazio e del progressivo arretramento della cronologia di questo romanziere è nitidamente ripercorsa da Henrichs 2011, pp. 306-308.

11 A volte sembra anche di cogliere una vera e propria reviviscenza della tesi di Rohde : « the novel is second so-phistic » (S. Swain, A Century and More of the Greek Novel, in Id., ed., Oxford Readings in The Greek Novel, Oxford 1999, p. 25 ; corsivo dell’autore).

12 R. Heinze, Petron und der griechische Roman, « Her-mes » 34 (1899), pp. 494-519.

13 Per un recente, autorevole e ragionato avallo dell’ipo-Per un recente, autorevole e ragionato avallo dell’ipo-tesi di Heinze, cf. E. Courtney, A Companion to Petronius, Oxford 2001, pp. 22-29 ; cf. anche la nota seguente.

14 POxy 3010 (Iolao), cf. P. J. Parsons, A Greek Satyri-con ?, « BICS » 18 (1971), pp. 53-68 (i frammenti sono ripub-blicati in Stephens-Winkler 1995, pp. 358-74) ; si veda ora la buona sintesi di M. Carmignani, El Satyricon como no-vela : la sátira menipea y los nuevos descubrimientos papiráce-os, « Circe » 13 (2009), pp. 75-91.

15 Bowie 2002, pp. 47-63. L’articolo presenta due insi-diosi errori di stampa che rischiano di creare una certa confusione in chi legge : a p. 47 (penultimo rigo) bisogna leggere non « the Chariton text », ma « the Ninus text » ; a p. 48 (rigo 7) « … of the last half of the first century B.C. » va inteso come « … of the last half of the first century A.D. ». Le conclusioni avanzate da Bowie meritano di essere di-scusse perché esercitano ancora una certa influenza, cf. Henrichs 2011, p. 305 n. 11 : « The date of the actual novel

[scil. il Romanzo di Nino] is controversial ; Bowie … makes a strong case for composition in the 1st c. AD rather than the 1st BC ». Esse inoltre coincidono molto da vicino con il quadro delineato recentissimamente da Tilg 2010, che fa nascere il romanzo con Caritone, gli attribuisce anche i perduti Metioco e Partenope e Chione e lo colloca nei de-cenni subito precedenti il 62 d.C., giacché anch’egli con-sidera la citazione di Persio un sicuro terminus ante quem (pp. 69-78).

16 Non è del tutto esatto dire, come fa Bowie 2002 (p. 48, probabilmente sulla scorta di Stephens-Winkler 1995, p. 31 ; si esprime negli stessi termini anche Tilg 2010, pp. 110-111), che secondo C. H. Roberts, Greek Literary Hands, Oxford 1956, tav. 11a e b, « the hand is comparable to others dated to A.D. 60-90 ». È vero che Roberts conclu-de che « the hand may be referred to the later part of the first century », ma l’unico confronto che propone, benché lo dichiari « an earlier specimen of the type », è PSI 1176 (frammento di commedia nuova), il cui terminus ante quem è il 60 d.C. (G. Vitelli, in PSI x, p. 148 ; M. Norsa, La scrittura letteraria greca dal secolo iv a.C. all’viii d.C., Firen-ze 1939, p. 23 n. 2). Può essere interessante notare che M. Norsa ha richiamato il PSI 1176 come parallelo paleogra-fico anche per la datazione dell’altro importante papiro finora scoperto del Romanzo di Nino, il PSI 1305 (ved. infra, p. 104), la cui scrittura non è troppo dissimile dal PBerol 6926. G. Cavallo ha oscillato tra una datazione del PBerol 6926 alla fine del i d.C. (La scrittura greca libraria tra i secoli i a.C.-i d.C. Materiali, tipologie, momenti, in D. Harlfin-ger-G. Prato, edd., Paleografia e codicologia greca. Atti del

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sul PBerol 6926 e gli anni 60 come epoca di composizione dell’opera (Bowie, che mira a raggruppare intorno a questa data tutti i pri-mi autori a noi noti di romanzi, azzarda ad-dirittura l’ipotesi che il Romanzo di Nino sia posteriore a Caritone, per il quale egli accetta come terminus ante quem la controversa te-stimonianza di Pers. i 134 « post prandia Cal-lirhoen do », quindi il 62 d.C. 17).

Entrambe le affermazioni, da un punto di vista papirologico, sono discutibili. La prima ammette un divario di un decennio soltanto tra la vergatura del testo letterario sul recto e quella dei documenti sul verso. Noi non sia-mo in grado di mettere a punto statistiche suf-ficientemente ampie e precise per stabilire la durata in uso del recto di un rotolo letterario, poiché, anche laddove sul verso siano scritti documenti datati, alla scrittura del recto è pressoché sempre assegnata una data su base paleografica, quindi, per quanto attendibile, solo presunta. In linea generale, E. G. Turner ha affermato, con prudente generalizzazio-

ne, che, nel caso di papiri che rechino sia sul recto che sul verso documenti, dove cioè sta-tistiche sono state effettivamente fatte su date conosciute, sia possibile un intervallo medio di 5-10 anni, che può arrivare a mezzo secolo e oltre qualora il documento sul recto atte-sti la titolarità di un diritto legale importante per il possessore ; nel caso, invece, di un testo letterario sul recto e documentario sul verso, « there is a probability, which may differ from example to example, that a longish life should be assigned to the literary text, perhaps 50, perhaps even 100 years ». 18 Un elemento che può concorrere a orientare la valutazione cir-ca una più o meno lunga vita del manufatto papiraceo, prima di diventare inutile e soggia-cere al riuso, è quello della qualità : qualità del papiro originariamente scelto per vergarvi sopra il testo letterario ; qualità dei caratte-ri grafici e dell’organizzazione interna degli spazi (posatezza, leggibilità ed eleganza della scrittura, ampiezza dei margini) ; qualità del testo (correttezza, eventuali segni critici). 19

ii Colloquio internazionale, Berlino-Wolfenbüttel 17-21 ottobre 1983, Alessandria 1991, p. 24 = Cavallo 2005, p. 118), una al tardo i / inizio ii d.C. (Conservazione e perdita dei testi greci : fattori materiali, sociali, culturali, in A. Giardina, ed., Società romana e impero tardoantico, iv. Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura, Roma-Bari 1986, p. 147 = Cavallo 2002, p. 141), mentre, più recentemente, si mostra orientato, sia per il PBerol 6926 sia per il PSI 1305, per la « metà o poco oltre del i d.C. » (Cavallo 1996, p. 31 = Cavallo 2005, p. 220). Recentemente Del Corso 2010, p. 253), a seguito di un’attenta analisi grafica, conclude : « si potrebbe ipotizzare che il rotolo di Berlino e Ginevra sia precedente rispetto a quello di Firenze, e assegnarlo agli inizi del ip, anche se gli argomenti che puntano in questa direzione non sono incontestabili ».

17 Bowie 2002, pp. 54-56. Che Persio si riferisca proprio al romanzo di Caritone (e non, per es., ad un mimo la-tino) è ipotesi possibile (è strano che si sia finora poco sfruttata, come elemento a favore non insignificante, la contemporaneità di Persio e Petronio, per il discorso fatto sopra ; Henrichs 2011, p. 311, che crede all’identificazione, segnala anche la coincidenza di titolo tra Callirhoen di Per-sio e tw`n peri; Kallirovhn dihghmavtwn dato dal PMichae-lidis 1), ma tutt’altro che sicura (cf. E. P. Cueva, The Date of Chariton’s Chaereas and Callirhoe revisited, « C&M » 51, 2000, pp. 201-203, per una rassegna di opinioni). Tuttavia si può essere d’accordo con chi arguisce che il romanzo di Caritone dovesse probabilmente precedere questa even-tuale opera latina disdegnata da Persio ed esserne l’ispira-tore (per es. B. P. Reardon, Chariton, in G. Schmeling, ed., The Novel in the Ancient World, Leiden-New York-Köln 1996, p. 316). Gli studi sulla lingua di Caritone (lessico, atti-cismi) sembrano aver condotto a risultati contrastanti : A. D. Papanikolau (Chariton-Studien, Göttingen 1973) ne de-duce una datazione alla seconda metà del i sec. a.C., men-tre C. Ruiz-Montero (Aspects of the vocabulary of Chariton

of Aphrodisias, « CQ » 41, 1991, pp. 484-489) e C. Hernández Lara (Estudios sobre el Aticismo de Caritón de Afrodisias, Am-sterdam 1994) si schierano per la fine i-inizio ii d.C.

18 GMAW, p. 22 ; cf. anche E. G. Turner, Recto and Ver-so, « JEA » 40 (1954), pp. 102-106. Per il caso contrario (testo documentario sul recto e letterario sul verso) qualche sta-tistica, che però non conduce a norme o tendenze d’uso accertabili, si trova in M. Lama, Aspetti di tecnica libraria ad Ossirinco copie letterarie su rotoli documentari, « Aegyp-tus » 71 (1991), pp. 55-120.

19 È un criterio non raramente invocato dai papirologi, anche se con prudenza. Per fare qualche esempio, nell’edi-tio princeps di PRyl i 16 (testo di commedia nuova in ele-gante maiuscola biblica sul recto, con documenti del 256 d.C. sul verso) A. S. Hunt scrive (p. 26) : « A manuscript so elaborate would probably not be quickly destroyed, and hence the text on the recto can hardly be later than about the year 215 and may well belong … to the latter part of the second century » ; anche se avesse ragione G. Caval-lo (Ricerche sulla maiuscola biblica, Roma 1967, i, pp. 46-7) a datare PRyl i 16 al 220-225 ca. (« in quanto rappresenta il momento conclusivo nella formazione del canone e nel contempo si colloca prima di esempi che mostrano for-me più mature e di conseguenza più tarde »), avremmo sempre un divario di 30-40 anni. Ulteriori considerazioni sul tema, in relazione al PRyl i 16, si possono vedere in E. W. Handley, Some new fragments of Greek Comedy, in Pro-ceedings of the XIV International Congress of Papyrologists, Oxford 24-31 July 1974, London 1975, pp. 133-147, e E. G. Tur-ner, Writing Materials for Businessmen, « BASP » 15 (1978), pp. 163-169. L. Del Corso, a proposito di POxy i 23 (che reca sul verso un documento del 295 d.C.), scrive : « L’imposta-zione calligrafica del recto e la buona qualità del papiro lasciano intendere che il volumen originario doveva essere concepito come vera e propria edizione di lusso : è senz’al-tro possibile, di conseguenza, che l’intervallo di tempo prima del suo riutilizzo sia stato relativamente consisten-

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Dati, questi, che possono rivelare il vero fat-tore dirimente, a noi purtroppo sempre igno-to, cioè l’interesse del committente o del pos-sessore per quel manoscritto e per il testo che conteneva. Sotto questi aspetti, la descrizione del PBerol 6926 fatta da Wilcken (ved. supra, pp. 100 s.) è confermata da quella che danno S. A. Stephens e J. J. Winkler : 20 « P. Berol. 6926 consists of two fragments from a well-made book roll … The papyrus is light brown and of good quality … The columns of writing themselves average only 21 cm in height : the other 9.0 cm belong to the generous upper and lower margins … The condition of the text is excellent … There appears to be on-ly one uncorrected error … Iota adscript is always written … In general, the papyrus gi-ves the appearance of a carefully made and well-maintained book roll ». 21 Così anche G. Cavallo : « Sotto l’aspetto più specificamente tecnico-librario, P. Berol. 6926 … si dimostra di buona qualità sia per quanto concerne l’accurata lavorazione del papiro, sia nell’al-lestimento e nell’impaginazione ». 22 Sotto questo aspetto, dunque, il giudizio offerto da Wilcken appare valido, mentre il singolo de-cennio di distanza fra uso letterario del recto e riuso documentario del verso ipotizzato da Bowie appare troppo ridotto.

Quanto al secondo punto dell’argomenta-zione di Bowie, ritengo si possano produrre argomentazioni ancora più forti concernenti l’improbabilità di postulare una composizio-

ne del Romanzo di Nino agli anni 60 del i sec. d.C. Bowie anticipa alcune obiezioni che pos-sono essere mosse alla sua proposta : « I think that the widespread inclination to date it sub-stantially earlier has little objective basis, and I do not see how we can exclude a date as late as the 60s A.D. It has been suggested that the lapse of some twenty years between postula-ted composition of Ninus in the 60s and appa-rent copying of our papyrus no later than ca. A.D. 90 is too short a span for a text compo-sed (most probably …) in Aphrodisias to re-ach the place it was copied ». 23 Per avallare la sua ipotesi, Bowie cita il caso del PQasr Ibrim di Cornelio Gallo, di cui sappiamo come sia molto probabile la vicinanza temporale fra la data del papiro e l’epoca di composizione del-le elegie del poeta latino. Bowie riconosce che si tratta di « a special case », ma deduce ugual-mente da esso che « it would be unwise to in-sist on a lapse of (e.g.) four or more decades before a text composed elsewhere might be found on an Egyptian papyrus ». 24 Il caso scel-to è tuttavia, a mio avviso, infelice, giacché il fatto che Cornelio Gallo fosse stato praefectus Aegypti fino a pochi anni prima che i Roma-ni si insediassero in quel remoto avamposto militare dell’Alto Egitto dove è stato trovato il papiro, fuori da ogni contesto culturale se non quello di soldati e ufficiali giunti lì con i loro effetti personali negli zaini, configura una situazione di eccezionalità quasi unica, che rende molto più facilmente spiegabile la

te. La datazione al iii in. proposta dai primi editori (POxy i, p. 50) appare, così, senz’altro plausibile » (Lo ‘stile severo’ nei P.Oxy. : una lista, « Aegyptus » 86, 2006, p. 96). La stessa opinione è, più in generale, espressa da G. Messeri : « Se l’opera letteraria è scritta in una scrittura ben leggibile ma poco formale e dal tracciato rapido, può darsi si sia trattato di un’edizione economica o di medio costo che può aver avuto una vita sullo scaffale non molto lunga ; diversamente, libri di eccelsa qualità, costosi, molto belli, saranno stati conservati con cura molto più a lungo prima di esser considerati del tutto fuori uso e di essere fatti a pezzi per scriverci dietro » (Relazioni fra papiri documentari e papiri letterari, « Nea Rome » 2, 2005, p. 22).

20 Stephens-Winkler 1995, p. 31.21 Quanto alla scarsità di errori rimasti non corretti

(nel nostro caso uno soltanto), può essere interessante domandarsi se ciò si possa considerare indice di più stret-ta vicinanza alla prima redazione dell’opera (meno errori, meno copiature).

22 Cavallo 1996, p. 31 (= Cavallo 2005, p. 220).23 Bowie 2002, p. 51. Il riferimento alla distanza tra luo-

go di produzione e luogo di diffusione si deve all’ipotesi, oggi tenuta molto in considerazione (e propugnata, tra

gli altri, dallo stesso Bowie 2002, pp. 55-58), di una collo-cazione della fase più antica del romanzo in Asia Minore e precisamente nell’area di Afrodisia, città natale di Cari-tone (e, secondo lo stesso Bowie e Tilg 2010, pp. 118-124, probabilmente anche dell’autore del Romanzo di Nino), non distante da Efeso, patria di un altro romanziere del ii d.C., Senofonte Efesio. Se non ad Afrodisia, tuttavia, si tendeva già prima a vedere la regione di provenienza del Romanzo di Nino nella Siria, per via dei mosaici, che rap-presentano probabilmente scene di quel romanzo, sco-perti vicino ad Antiochia (cf. E. Bowie, The Readership of Greek Novels in the Ancient World, in J. Tatum, ed., The Se-arch for the Ancient Novel, Baltimore-London 1994, pp. 448-51). Ciò rappresenta tuttavia una reale difficoltà aggiunti-va per la tesi di Bowie (e di Tilg 2010, che la condivide). Si deve ritenere un caso che il numero maggiore di papiri di romanzo ritrovati in Egitto (9, tra cui il PSchubart 30, a lungo considerato perduto fino a che non fu ritrovato da G. Poethke, Der Achilleus-Tatios-Papyrus P. Schubart 30 identifiziert, « APF » 48, 2002, pp. 1-5) appartenga all’unico autore che la tradizione (Suda) qualifica come egiziano, Achille Tazio ?

24 Bowie 2002, p. 52.

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quasi contemporaneità fra papiro e autore del testo. Anche alcuni tra i papiri greci più vicini all’epoca in cui l’autore del testo era ancora in vita – il PLille 76d+78a-c+79+82+84 (com-mentario a Callimaco) e il PMilVogl viii 309 (il nuovo Posidippo), datati l’uno tra la fine del iii e l’inizio del ii sec. a.C., l’altro alla fine del iii a.C., e quindi posteriori solo di alcuni decenni (meno di mezzo secolo, se si accetta la datazione più alta) 25 alla morte degli au-tori – rappresentano di nuovo un caso non precisamente comparabile, poiché il luogo di ritrovamento si colloca proprio nell’area in cui la sfera d’influenza culturale dei poeti, entrambi attivi in posizione di primo piano ad Alessandria alla corte del Filadelfo, deve essere stata fin da subito molto grande. Si può tuttavia procedere oltre nei rilievi alla tesi di Bowie e tentare di proporre un nuovo argomento. Nel 1949 M. Norsa pubblicò il PSI 1305, rinvenuto ad Ossirinco, contenente una

colonna del medesimo Romanzo di Nino (il frammento C). Il verso è bianco. La studiosa datò la scrittura al i sec. d.C. ; L. Del Corso si pronuncia più precisamente per la metà del-lo stesso secolo. 26 Il papiro offre un dettaglio che può rivelarsi significativo ai nostri fini. Alcune linee (35, 41, 45) mostrano dei segni finali di riempimento (nella forma di una di-ple : >) : la lunghezza delle linee, però, dove sia possibile verificarlo (nella parte inferiore della colonna), si presenta notevolmente di-suguale e dimostra che lo scriba non scriveva tali segni mirando allo scopo cui essi servi-vano, 27 quello di pareggiare l’allineamento a destra. Ciò ha fatto giustamente pensare che essi « may have belonged to an exemplar and may have been copied along with the letters ». 28 Se questa supposizione è corretta, dobbiamo assumere l’importante conseguen-za che tra la (prima) metà 29 e la fine del i sec. d.C. esistessero sul mercato librario egizia-

25 Per il papiro callimacheo, P. J. Parsons, Callimachus : Victoria Berenices, « ZPE » 25 (1977), p. 5, e E. G. Turner-P. J. Parsons, GMAW2, p. 126, difendono la fine del iii a.C. ; per l’inizio del ii a.C. sono, invece, G. Cavallo-H. Ma-ehler, Hellenistic Bookhands, Berlin 2008, pp. 10, 84. La datazione del papiro milanese di Posidippo non è altret-tanto controversa, cf. G. Bastianini-C. Gallazzi (edd.), Posidippo di Pella. Epigrammi (P.Mil.Vogl. VIII 309), con la collaborazione di C. Austin, Milano 2001, p. 17. È interes-sante notare che sul verso del PMilVogl 309 sono delinea-te quattro colonne di un testo che gli editori definiscono « letterario di contenuto mitologico » (p. 13), la cui grafia, « prossima a quella documentaria », essi confrontano con papiri databili nell’arco del primo trentennio del iii a.C. (p. 17). Questo potrebbe essere un caso di distanza parti-colarmente ravvicinata tra la vergatura del recto e quella del verso : si deve considerare tuttavia, a mio avviso, la possibilità, vista la natura non documentaria del verso e dato che le ampie colonne scritte sul verso occupano una buona metà della parte di rotolo conservata (cm 72,5 su cm 152,8 totali) e non prevedevano lo smembramento del rotolo, che un simile riuso del papiro non coincidesse con la definitiva dismissione del recto e che i due testi abbia-no potuto convivere nell’interesse del possessore fino alla destinazione a cartonnage, avvenuta probabilmente « già prima della metà del ii secolo a.C. » (p. 4).

26 Del Corso 2010, p. 253. Così anche Cavallo 1996, p. 31 (= Cavallo 2005, p. 220) : « Metà o poco oltre del i sec. d.C. ».

27 Sui segni di riempimento nei papiri letterari, ved. R. Barbis Lupi, Uso e forma dei segni di riempimento nei papiri letterari greci, in A. H. S. El-Mosallamy (ed.), Proceedings of the xixth International Congress of Papyrology, Cairo. 2-9 September 1989, i, Cairo 1992, pp. 503-510 ; T. Di Matteo, Segni di riempimento nei papiri ercolanesi, in J. Frösén-T. Purola-E. Salmenkivi (eds.), Proceedings of the 24th Inter-national Congress of Papyrology, Helsinki, 1-7 August 2004, i, Helsinki 2007, pp. 259-265. Per un esemplare dove è pos-sibile osservarli usati in modo regolare e sistematico, se-

condo la loro funzione, vd. POxy xiii 1606 (Lisia), in B. P. Grenfell-A. S. Hunt (eds.), The Oxyrhynchus Papyri. xiii, London 1919, Plate ii.

28 Stephens-Winkler 1995, p. 63. Opinione che Del Corso 2010, p. 254, sembra avallare. Una simile ipotesi di-scende da un principio enunciato con sintetica chiarezza da G. Cavallo (Un’aggiunta al ‘decalogo’ di Giorgio Pasqua-li, « RFIC » 112, 1984, p. 377) : « I caratteri materiali conno-tanti i vettori del testo possono indicare in determinati ca-si fatti, modi, fasi della sua storia (e talora della sua stessa scrittura) », che in filologia trova anche più larga applica-zione, soprattutto quando si tratta di stabilire rapporti di dipendenza non solo materiali tra manoscritti (su questo punto offrono interessanti osservazioni codicologiche J. Irigoin, Accidents matériels et critique des textes, « RHT » 16, 1986, pp. 1-36, e lo stesso G. Cavallo, Caratteri ma-teriali del manoscritto e storia della tradizione, in Cavallo 2002, pp. 15-23), ma anche tematici o stilistici tra autori. Se un medesimo elemento, presente in due diversi con-testi tra cui è istituibile una relazione, risulta funzionale o essenziale in un caso e allotrio o accessorio nell’altro, si può rivendicare verosimilmente la dipendenza (dovu-ta ad assunzione meccanica o a ripresa o imitazione) del secondo dal primo. Nel nostro caso manca fisicamente il termine di confronto (l’antigrafo), ma lo si può recupera-re induttivamente dall’inappropriatezza dei segni presen-ti nell’apografo. Vedremo più avanti un caso analogo di copiatura meccanica : nel fr. 3 del POxy xx 2256 lo scriba non si è astenuto dal copiare una porzione di testo che nell’originale era stata espunta mediante parentesi tonde e che quindi egli avrebbe dovuto logicamente tralasciare : cf. infra, p. 109. Si possono inoltre addurre due soscrizioni in papiri ercolanesi riconosciute da M. Capasso (PHerc 1479/1417 e PHerc 1151) come copiate dal « testo-esempla-re », cui la data che esse contengono va riferita (M. Capas-so, Alcuni aspetti e problemi della Papirologia Ercolanese oggi, « PLup » 4, 1995, p. 183).

29 Il PSI xiii 1305 costituirebbe un terminus ante per l’an-tigrafo che di esso abbiamo ipotizzato.

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no 30 almeno 3 esemplari del Romanzo di Nino (PSI xiii 1305, il suo antigrafo, PBerol 6926). La combinazione dei fattori fin qui rilevati : la qualità elevata del PBerol 6926 e quindi una sua vita presumibilmente più lunga prima del riuso ; le deduzioni ricavabili dalla parodia pe-troniana ; la presumibile presenza di almeno tre esemplari “librari” in Egitto (lontano dal luogo di produzione dell’opera ipotizzato ab-bastanza concordemente dagli studiosi, l’Asia Minore) tra la metà e la fine del i sec. d.C., offre il peso di dati convergenti, ancorché non assolutamente certi, a conferma delle conclu-sioni tratte da Wilcken sulla data di compo-sizione dell’opera (fine i a.C.-inizio i d.C. e non oltre).

Un analogo procedimento, metodologi-camente poco motivato, Bowie applica a un ostrakon bodleiano (OBodl 2175), che rappre-senta forse, ma difficilmente, un brano episto-lare di un altro dei romanzi greci ritrovati nei papiri, Metioco e Partenope, oppure, più proba-bilmente, un esercizio declamatorio ispirato a tale romanzo. 31 G. Cavallo ha proposto per tale reperto una datazione paleografica tra il i a.C. e il 66 d.C. (quest’ultimo termine si deve al confronto con POxy ii 246). 32 Dopo aver giustamente arguito che « on any inter-pretation the ostracon seems to imply the existence of a Metiochos and Parthenope narra-tive » e aver esplicitamente fatto riferimento alla datazione propugnata da Cavallo, Bowie sorprendentemente conclude : « even suppo-sing that this text is from the novel, it seems clear that a date in the 60 A.D. would do no violence to the evidence », 33 senza tenere in considerazione che già solo il supporto scrit-torio, l’ostrakon, che non può essere quello originario, obbliga a postulare alcuni passag-gi di copia che avranno richiesto un tempo non computabile in così pochi anni.

Ancora una volta sembra confermato il principio, enunciato icasticamente da A. Henrichs, che « our knowledge of the earliest

history of the Greek novel turns on missing pages ». 34

ii.

Poche volte la filologia ha assistito a un sov-vertimento così brutale, clamoroso e inaspet-tato delle sue nozioni apparentemente più consolidate come quando, nel 1952, furono pubblicati, nel xx volume dei Papiri di Ossi-rinco, i frammenti di due didascalie di hypothe-seis eschilee (POxy xx 2256, frr. 2 e 3), relative l’una (fr. 2) alla tetralogia cui appartenevano i Sette e l’altra (fr. 3) a quella cui apparteneva-no le Danaidi, e quindi con ogni probabilità le Supplici. Se la didascalia dei Sette ci restituiva un testo già noto dalla tradizione medievale e confermava quanto già sapevamo, quella contenuta nel fr. 3, pur gravemente lacuno-sa, costringeva, a seguito di deduzioni più o meno forzate, a collocare negli anni ’60 del v sec. a.C. la data di rappresentazione delle Supplici, tragedia che era sempre stata ritenu-ta, per ragioni di struttura e stile, la più antica fra quelle eschilee pervenuteci, e assegnata dagli studiosi, quasi unanimemente, agli anni ’80, se non ’90, di quel secolo.

Lo sconcerto creato da questa scoperta è reso bene dalla reazione di F. R. Earp, uno studioso che aveva fatto oggetto delle proprie ricerche lo stile di Eschilo e che, come altri, riponeva fiducia nella validità dell’analisi stili-stica, anche come efficace strumento di data-zione (relativa). 35 Egli scrisse : « Scholars have hitherto regarded the Supplices as the earliest extant play of Aeschylus ; if we now consent to put it late it makes all attempts to study literature futile ». 36 Una simile assolutistica dichiarazione sembrava quasi voler dire che, se non si fosse riusciti a confutare il nuovo dato concreto offerto dal papiro, ciò avrebbe significato la morte della filologia e dei suoi metodi.

I filologi, tuttavia, non considerarono que-sta sfida così decisiva e capitale per le sorti del-

30 La qualità “commerciale” di questi papiri del Roman-zo di Nino è sottolineata sia da J. R. Morgan, On the Frin-ges of the Canon : Work on the Fragments of Ancient Greek Fic-tion 1936-1994, in ANRW, ii, 34.4, Berlin-New York 1998, p. 3331 : « The fine quality of the surviving copies … suggests an up-market product », sia da Cavallo 1996, p. 32 (= Ca-vallo 2005, p. 221) : « I più antichi esemplari di romanzo si rivelano … libri di una qualità editoriale tra la discreta e l’assai alta : libri scritti in massima parte da mani professio-nali per un mercato sostenuto da lettori abituali ».

31 Cf. Stramaglia 1996, pp. 122-124.32 Apud Stramaglia 1996, p. 123 n. 129. 33 Bowie 2002, p. 54 (corsivo dell’autore).34 Henrichs 2011, p. 311.35 Solo di pochi anni prima è il suo libro The Style of

Aeschylus (1948).36 The Date of the Supplices of Aeschylus, « G&R » 66

(1953), p. 119.

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la loro disciplina. Qualcuno certamente mise in atto molti sforzi, a volte ingegnosi, a volte ostinati, per dimostrare che la notizia del pa-piro poteva essere interpretata anche diversa-mente : la didascalia si sarebbe riferita ad una ripresa postuma della tragedia (sappiamo che gli Ateniesi concessero ad Eschilo questo pri-vilegio), o ad un concorso drammatico in cui il figlio Euforione portò in scena tragedie del padre morto (anche questo ci è noto) ; mol-to più inverosimile che lo stesso Eschilo ab-bia solo più tardi rappresentato una tragedia composta anni prima e a lungo tenuta, per così dire, nel cassetto. Il “partito” di coloro che resistettero alla testimonianza del papiro, tuttavia, fu largamente minoritario e nessuna voce più si levò in tal senso fino ad un recente articolo di S. Scullion, 37 che si pronuncia in favore di una datazione delle Supplici agli anni ’70. Nel complesso, la comunità degli studio-si accolse, con favore o con rassegnazione, la nuova ‘verità’ del papiro e fu fatto osservare che qualche antesignano di questa datazione c’era pur stato anche tra i filologi (W. Nestle, per esempio). Particolarmente importante fu poi un meditato libro di A. F. Garvie, 38 che di-mostrò come anche i dati di struttura, lingua, stile e metrica, ad un esame più approfondito, non siano realmente così contrastanti con la nuova data.

Il POxy xx 2256 consta di 89 frammenti, 39 in uno dei quali un emistichio è sicuramente identificabile come eschileo perché coinci-de con un frammento di tradizione indiret-ta (POxy xx 2256 fr. 9a 28 = TrGF 281a 28). Siccome sono tutti scritti dalla stessa mano e siccome anche le due hypotheseis dei frr. 2 e 3 si riferiscono a tetralogie eschilee, è legitti-mo ipotizzare che siamo di fronte a una edi-zione, se non completa, almeno ampia della produzione teatrale di Eschilo. Del resto, a Ossirinco sono testimoniate (in particolare per il ii sec. d.C.) edizioni su larga scala sia di Eschilo sia di Sofocle. POxy x 1249, xviii 2159-64, 2178-9, xx 2245-55, PSI xi 1208-10, tutti opera di un solo scriba, 40 sono per R. Can-

tarella reliquie di un’edizione completa di Eschilo ; 41 POxy ix 1174 e 1175, entrambi so-foclei (rispettivamente Ichneutae e Euripylus), « found intermingled together and the work of a single copyist, lend support to the view that there existed at Oxyrhynchus collected editions which may have been written by a single scribe ». 42 Un discorso analogo è sta-to possibile fare per uno scriba ossirinchita che ha vergato numerosi testi lirici diversi (Saffo, Alceo, Pindaro), dando vita « ad una collana editorialmente omogenea delle ope-re dei maggiori poeti della lirica arcaica ». 43 Da notare che tutti i papiri menzionati, sia quelli eschilei sia quelli sofoclei sia quelli liri-ci, sono corredati di segni critici, marginalia, correzioni : elementi che indicano una copia filologicamente sorvegliata. Anche questo ha la sua importanza per stabilire l’attendibilità del testo che il papiro ci fornisce. A Ossirinco esistevano dunque scribi più esperti dell’or-dinario, come esistevano lettori curiosi, colti e anche animati da interessi specificamente filologici.

I tipi di testo testimoniati nel POxy xx 2256 rientrano nei prodotti “inventati” dai filologi alessandrini per rispondere alle esigenze di catalogare, pubblicare e interpretare la lette-ratura greca, che per la prima volta diventava oggetto di studio fine a sé stesso. Le hypothe-seis vengono attribuite ad Aristofane di Bisan-zio.

Bisogna propriamente distinguere tra hypo-thesis e didascalia.

Didascalia è solo la notizia relativa all’ago-ne tragico, di cui fornisce la data, doppiamen-te indicata secondo il nome dell’arconte e il numero dell’olimpiade e l’anno (all’interno del quadriennio olimpico), i nomi dei poe-ti in gara e la posizione in cui ciascun poeta si classificò. I titoli della tetralogia completa vengono dati, di norma, per il tragediografo autore del dramma che la didascalia correda ; solo occasionalmente, anche per gli altri tra-gediografi che concorrevano in quell’agone. Le didascalie alessandrine derivano dalla rac-

37 Scullion 2002, pp. 87-101. I suoi argomenti sono di-scussi da Garvie 2006. 38 Garvie 1969.

39 I frammenti sono quasi tutti di piccole dimensioni, il che fa pensare che, come altre volte, i rotoli siano stati fatti deliberatamente a pezzi nel momento di essere get-tati via.

40 E. G. Turner, Scribes and Scholars of Oxyrhynchus,

in Akten des viii. Internationalen Kongresses für Papyrologie, Wien 1955. (29 August-3 September), Wien 1956, p. 146.

41 R. Cantarella, Nuovi frammenti papiracei di Eschilo, « Dioniso » 9 (1942), pp. 78-79.

42 E. G. Turner, « CR » 68 (1954), p. 21.43 M. S.Funghi-G. Messeri Savorelli, Lo ‘scriba di Pin-

daro’ e le biblioteche di Ossirinco, « SCO » 38 (1988), pp. 43-62.

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colta fatta da Aristotele delle registrazioni uf-ficiali ateniesi relative agli agoni drammatici dionisiaci.

La hypothesis consta invece di un riassunto della trama, 44 breve in origine, poi diventa-to inutilmente prolisso in epoca bizantina, e di altre informazioni di cui le seguenti sono le più significative e ricorrenti : dove si svolge l’azione, da chi è composto il coro, chi reci-ta il prologo ; quali altri tragediografi hanno trattato lo stesso mito ; un giudizio valutativo sul dramma ; l’elenco dei personaggi.

Nei codici medievali che recano le tragedie dei tre grandi tragici (e anche in quelli delle commedie di Aristofane) troviamo, davanti ai drammi (ma qualcuno ne è privo), una o più hypotheseis, che possono presentare dif-formità anche notevoli fra di loro, nell’avere o tutti o solo alcuni, variamente combinati, degli elementi informativi di cui abbiamo detto ; un dato importante è che la didasca-lia non è a sé stante, ma è incorporata nella hypothesis.

Gli studiosi hanno cercato di individuare quali elementi di origine genuinamente ari-stofanea si conservino nelle hypotheseis me-dievali e quali siano da ascrivere a redattori più tardi, verosimilmente bizantini. Gli studi di Achelis e di Zuntz sono fondamentali al ri-guardo. 45

Dei più importanti frammenti del POxy xx 2256, il fr. 2 contiene la didascalia (e non la hypothesis, come spesso si dice) di una trage-dia della tetralogia eschilea di cui facevano parte i Sette, il fr. 3 quella di una tragedia della tetralogia di cui sono conservate le Supplici, il

fr. 4 una parte di hypothesis di cui non è possi-bile dire a quale tragedia si riferisse.

Fr. 2

Il fr. 2 contiene una didascalia che corrispon-de, con qualche piccola differenza, alla dida-scalia presente nella hypothesis medievale dei Sette.

Il frammento consta di due frustuli che non hanno nessuna porzione combaciante ; che siano però sicuramente posizionabili l’uno di seguito all’altro, come parti della medesima colonna, dimostra la continuità del testo : tra i due frammenti vi è interruzione corrispon-dente allo spazio di una sola lettera. Il fr. 2 è pubblicato così da E. Lobel nell’editio prin-ceps :

O i d i p o ºuª~º º ªejdidavcqh ejpi; Qeagºenivdou ∆Olªuºmpiavdo~ ªohV ejnivkºa Aijscuvlºo~ Lai>vwi Oijdªivºpodi ÔEpta; ejpi; Qhv-

ba~ 46Sfiggi; saturikh`i.º deuvtero~ ∆Aristiva~ tai`~

tou ̀pa<tro;~ aujtoºu ̀tragwidªivºai~, trivªtºo~ ªPoºlu<fravdmwnº Lukourgeªivaiº tªetrºalogivai.

Al di sopra dei 5 righi di testo, a una distan-za doppia rispetto al consueto spazio interli-neare, si vede la lettera finale 47 di un titolo (U), che doveva essere scritto con maggiore spaziatura tra le lettere. Sopra questo titolo è rimasto abbastanza papiro bianco, non scrit-to, da offrirci la virtuale certezza che siamo in prossimità del margine superiore della colon-

44 Particolarmente frequente nei papiri è un altro tipo di hypotheseis (denominate da G. Zuntz Tales from Euripi-des, da Rossum-Steenbeek Narrative hypotheses), che deve essere tenuto distinto da quelle medievali e dalle altre pa-piracee che costituiscono l’oggetto del nostro studio. Si tratta di brevi sintesi dell’intreccio mitico di tragedie, so-prattutto euripidee, che iniziano tutte con una fraseologia introduttiva pressoché fissa : titolo della tragedia, formula ou|Éh|~ ajrchv, primo verso per intero seguito dalla formula hJ de; uJpovqesi~, cui segue la parte narrativa, desunta libe-ramente dalla tragedia in questione, giacché può accade-re che vengano trascurati elementi presenti nel dramma e inclusi altri tratti più in generale dallo stesso mito. La documentazione papiracea (si possono citare, a titolo di esempio, POxy xxvii 2455, 2457 ; POxy lii 3652 ; PSI xii 1286) ci mostra che tali testi erano raccolti insieme, in or-dine approssimativamente alfabetico (secondo la prima lettera del titolo), e costituivano opere a sé stanti, senza mai avere la funzione di corredare edizioni di tragedie. Cf. Rossum-Steenbeek 1998, pp. 1-32 (Narrative hypothe-

ses), con i testi raccolti alle pp. 185-231 ; J. Rusten, Dicae-archus and the Tales from Euripides, « GRBS » 23 (1982), pp. 357-367.

45 Per una sintesi utile e aggiornata, cf. ora Rossum-Steenbeek 1998, pp. 32-36 (Learned hypotheses).

46 Se si volesse, opportunamente, rispettare l’intenzio-Se si volesse, opportunamente, rispettare l’intenzio-ne dello scriba, sarebbe più preciso scrivere Qhvbai~ (an-che se, nella tradizione dei Sette, è variante deteriore del titolo), giacché nel papiro si vede chiaramente che l’accu-sativo è stato corretto nel dativo con l’inserzione di un i soprascritto.

47 Lobel pensava vi fosse spazio, nella piccola lacuna che segue, per un’altra lettera e integrava OIDIPOºUªS. Ma giustamente altri studiosi hanno evidenziato che di una lettera dopo U si sarebbe vista qualche traccia. L’in-tegrazione oggi comunemente accolta è quella proposta da Snell :

LAIOSºAISCULOºU

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na, o almeno che sopra la didascalia non vi era altro testo tranne il titolo. 48 Si può senz’altro scartare l’ipotesi che una tragedia, precedu-ta dal suo corredo didascalico, cominciasse a metà di una colonna dopo un altro testo che la precedesse (la didascalia ci dice che il te-sto trascritto era di una tragedia completa e non faceva parte di una selezione antologica, e il rapporto che si ritiene standard era di un dramma per ogni rotolo, vd. infra).

La didascalia che leggiamo nel fr. 2 era a noi già nota perché presente nel codice M di Eschilo. Se le mettiamo a confronto, notiamo che vi sono alcune differenze, soprattutto di fraseologia, nessuna delle quali sostanzia-le : benché non identiche, quella papiracea e quella medievale rappresentano la stessa di-dascalia.

Una considerazione che mi sembra impor-tante è, invece, che, nei due casi in cui la sorte ce le ha conservate, non le troviamo apposte alla medesima tragedia. In M, infatti, è pre-messa ai Sette ; nel POxy xx 2256, fr. 2, pos-siamo presumere per esclusione, dall’unica lettera conservata del titolo soprastante, che fosse apposta al Laio (meno verosimilmente all’Edipo) : sicuramente non ai Sette, che, se fosse stato scritto sul rigo sopra al probabi-le AISCULOºU, sarebbe stato ben visibile, essendo titolo più lungo del nome del poeta, a meno di un improbabile disallineamento a sinistra. La circostanza che la stessa didascalia fosse riservata a due tragedie della medesima tetralogia dovrebbe intendersi come indizio del fatto che essa veniva composta per esse-re ripetuta con ogni dramma. Questo sareb-be congruente con l’ipotesi, generalmente accettata, che, in epoca greco-romana, ogni dramma fosse scritto su un rotolo a sé stan-te 49 e che quindi le informazioni riguardanti la tetralogia andassero ripetute su ognuno dei

quattro rotoli. L’unica trilogia conservata per intero, l’Orestea, però, offre : hypothesis + di-dascalia davanti all’Agamennone ; delle Coefore non si può sapere essendo mutile dell’inizio ; la sola hypothesis davanti alle Eumenidi. Benché questa difformità possa non essere significati-va per trarne delle conclusioni, data la scarsi-tà della documentazione in nostro possesso, si può cautamente ipotizzare che, quando le trilogie furono trasportate dal singolo rotolo al più capiente codice, si sia smesso di ripete-re l’elemento comune, la didascalia, davanti a ogni tragedia della medesima trilogia, e si sia lasciato invece ciò che differiva dall’una all’altra (la hypothesis con le informazioni sul singolo dramma : scena, coro e prologo ; mu-qopoiiva ; lista dei personaggi). 50

Fr. 3

È pubblicato così da E. Lobel nell’ed. pr. :ejnivka ªAijºscuvloª~ Danªaiüvºsi ∆Amuªmwvnhi deuvtªeºrªoº~ Sofoklh`~ mevsato~ ·N.ª.º.ª ·Bavkcai~ Kwfoi`ª~ Poiºmevsin Kuvklªwpi satu(rikw`i)

I righi 1-3 sono quelli veramente importanti del frammento : sono loro che hanno provo-cato il sovvertimento cronologico delle Sup-plici eschilee, legando al medesimo agone drammatico (questa è la novità della notizia) la rappresentazione della tetralogia che le conteneva e la presenza di Sofocle, il quale, secondo le fonti in nostro possesso, ha parte-cipato per la prima volta ai concorsi cittadini o nel 468 (se si attribuisce maggior valore alla testimonianza di Plutarco), ottenendovi an-che la sua prima vittoria (Plutarco e Marmor Parium), o nel 470 (se si considera invece più attendibile quella di Eusebio) : 51 date che evi-

48 È abbastanza curioso che talvolta si parli di questi frammenti come se si trattasse di annotazioni marginali : così Rossum-Steenbeek 1998, pp. 35-36 ; McNamee 2007, p. 132. Ma sia le didascalie sia le hypotheseis del POxy xx 2256 appaiono un paratesto che doveva far parte integran-te del testo principale, non dell’apparato scoliografico.

49 Cf. B. Snell, Zwei Töpfe mit Eurypides-Papyri, « Her-mes » 70 (1935), pp. 119-120.

50 Il codice Bodmer di Menandro sembra documen-Il codice Bodmer di Menandro sembra documen-tare (in epoca però notevolmente più tarda) una diversa tipologia editoriale con varie peculiarità : davanti al Dy-skolos (delle altre commedie del codice, la Samia è mutila dell’inizio, l’Aspis manca di ogni paratesto iniziale) trovia-

mo infatti una hypothesis in versi, attribuita ad Aristofane di Bisanzio (come lo sono altre hypotheseis metriche che troviamo non raramente nei codici medievali, tramandate insieme a quelle in prosa), una didascalia di forma insolita (ejdivdaxen ... kai; ejnivka hanno entrambi come soggetto sot-tinteso Mevnandro~, che però si legge solo dopo la fine del testo della commedia : indizio che originariamente questa didascalia era preceduta da nome dell’autore e titolo ?), una lista di personaggi dove ciascun nome è accompa-gnato dall’indicazione del rispettivo ruolo ; il titolo (ME-NANDROU É DUSKOLOS) è alla fine della commedia.

51 Per questa alternativa, cf. Scullion 2002, pp. 87-89 ; Garvie 2006, p. 33. Plutarco colloca nel 468, insieme, pri-

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papiri letterari e nuove cronologie 109

dentemente vengono a costituire un (prima ignoto) terminus post quem.

I righi 4-7 suscitano problemi esegetici a tutt’oggi irrisolti, ma che non influiscono sulla notizia concernente la nuova datazione delle Supplici, se non gettando un’ombra di discredito, secondo alcuni, sull’attendibilità dell’intera didascalia. La prima questione ri-guarda la parola MESATOS. Vi è oggi accor-do che, come già dubitativamente suggerito dallo stesso Lobel, si debba scrivere Mevsato~ e che sia il nome di un oscuro, ma non del tut-to ignoto, tragediografo del v sec. 52 La secon-da questione concerne il significato da dare alle due parentesi tonde “aperte” che si vedo-no sul papiro sia dopo MESATOS sia all’ini-zio del rigo successivo. Nei papiri le parentesi tonde sono usate per espungere porzioni di testo di una certa ampiezza : se per poche let-tere si impiegano segni apposti ad ogni singo-la lettera (punti o trattini sovrapposti o sot-toposti, cancellature con un frego di calamo orizzontale o obliquo), si ricorre alle parente-si tonde per secludere gruppi di parole o inte-ri righi (se sono righi successivi, come qui, le parentesi vengono aperte e chiuse ad inizio e fine di ognuno di essi). 53 Può essere interes-sante notare che in più di un caso, rispetto ad una documentazione che non può certo dirsi copiosa, gli studiosi hanno ipotizzato che tali parentesi siano state delineate in scribendo : 54 questo vorrebbe dire che esse, con ogni pro-babilità, sono state riprodotte tali e quali da un antigrafo che già le recava. Siccome una correzione dovrebbe avere tra i suoi scopi

quello di suggerire al successivo copista co-me scrivere correttamente il testo da copiare, eseguendo quanto indicato nella correzione stessa e facendo sparire l’errore, il fatto che il secondo copista conservi errore e correzione insieme può far sorgere il dubbio se casi simili siano dovuti a copiatura meccanica “inintel-ligente”, o se rispondano invece a un diffuso atteggiamento di più deliberata “fedeltà” al testo che lo scriba aveva davanti. 55 Nel POxy xx 2256, fr. 3, le parentesi tonde espungono alcuni titoli di drammi che seguono al no-me Mevsato~. Poiché tra il nome di Sofocle e quello di Mevsato~ non c’è sufficiente spazio per ospitare i titoli di una tetralogia di Sofo-cle, come dovrebbe essere, mentre al nome di Mevsato~ seguono “troppi” titoli (almeno 5), alcuni dei quali attestati per Sofocle (Kwfoiv, Poimevne~), gli studiosi hanno per lo più ipo-tizzato che lo scriba avesse dimenticato i ti-toli sofoclei, li avesse erroneamente trascritti dopo il nome di Mevsato~, per poi cancellarli tramite le parentesi, e avesse di seguito ripor-tato quelli propriamente di Mevsato~. 56 For-se però anche questa supposizione, benché plausibile, non basta a spiegare la corruttela. Se così fosse, infatti, sarebbe stato più econo-mico espungere il nome di Mevsato~ che in-terferiva tra Sofocle e i suoi titoli. Inoltre, es-sendo i Kwfoiv noto come dramma satiresco e chiudendo pertanto la tetralogia di Sofocle, i Poimevne~ che ad esso seguono non sareb-bero più quelli sofoclei, bensì di Mevsato~.

Sia il fr. 2 che il fr. 4 del POxy xx 2256 pre-sentano un margine bianco sul lato superiore.

ma partecipazione e prima vittoria ; Eusebio le distingue assegnando l’una al 470 e l’altra al 468 ; il Marmor Parium parla solo di prima vittoria nel 468.

52 Ciò è stato convincentemente, anche se non co-Ciò è stato convincentemente, anche se non co-gentemente, arguito da J. A. Davison, Ox. Pap. 2256, fr. 3, « CR » N.S. 3 (1953), p. 144 ; A. Lesky, Die Datierung der Hiketiden und der Tragiker Mesatos, « Hermes » 82 (1954), pp. 1-13 ; E. C. Yorke, Mesatus tragicus, « CQ » N.S. 4 (1954), pp. 183-184.

53 Cf. R. Barbis Lupi, La correzione degli errori ortogra-fici nei papiri letterari greci, in B. Kramer-W. Luppe-H. Maehler-G. Poethke (Hrsg.), Akten des 21. Internationa-len Papyrologenkongresses (Berlin 13.-19.8.1995), Stuttgart-Lei-pzig 1997, i, pp. 57-58 ; F. Montanari, Un papiro di Eschine con correzioni (P.Oxy. 2404). Considerazioni sull’ekdosis ales-sandrina, « APF » 55 (2009), pp. 401-411.

54 F. Montanari, Correcting a Copy, Editing a Text. Ale-xandrian Ekdosis and Papyri, in F. Montanari-L. Pagani (eds.), From Scholars to Scholia. Chapters in the History of Ancient Greek Scholarship, Berlin-New York 2011, p. 7. Ciò

ha almeno un parallelo in un papiro ercolanese, PHerc 1497, dove un intero rigo, ripetuto per dittografia, viene espunto mediante parentesi ; ma, come osserva G. Rispoli (Correzioni, Varianti, Glosse e Scolî nei Papiri Ercolanesi, in B. Mandilaras, ed., Proceedings of the xviii Internatio-nal Congress of Papyrology, Athens 25-31 May 1986, Athens 1988, i, p. 318), « appare chiaramente che non si tratta di un intervento di correzione e che la linea era già espunta nell’esemplare da cui copiava il nostro scriba ; infatti l’in-tera linea è posta in ei[sqesi~ di almeno due lettere re-lativamente allo scritto, di una lettera relativamente alla parentesi di sinistra ».

55 Si può ricordare che, in un papiro di Alcmane(POxy xxiv 2387, fr. 1 = GMAW, nr. 15), un’annotazione nel margine superiore della colonna informa che qualcosa (l’intero partenio trascritto nel papiro ?) periegevgra(pto) nell’edizione di Aristonico, ma ajperivgra(pto~) h\n in quella di Tolemeo.

56 Cf., p. es., E. G. Turner, « CR » 68 (1954), p. 22 ;CLGP, p. 48.

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tristano gargiulo110

Ciò fa pensare che siamo in entrambi i casi ad inizio di colonna. La stessa disposizione do-vremmo aspettarci di trovare, secondo ogni verosimiglianza, nel caso del fr. 3, che ha la stessa tipologia di testo del fr. 2, essendo en-trambi una didascalia : anche il fr. 3 dovrebbe essere, possibilmente, sormontato da un tito-lo come il fr. 2.

Poco prima di mandare in stampa il vol. xx degli Oxyrhynchus Papyri, Lobel si accorse che era possibile, e invitante, attaccare al margine superiore sinistro del fr. 3, quindi subito sopra al r. 1, un frammentino contenente le lettere EPIA.ª, e lo indicò in un Addendum alla tra-scrizione del fr. 3. Questa combinazione è sta-ta poi assunta come sicura, e ogni successiva edizione del frammento si presenta così nella parte iniziale :

ejpi; a.ªejnivka ªAijºscuvloª~Danªaivºsi ∆Amuªmwvnhi

Il nuovo rigo 1 offrirebbe l’opportunità di es-sere integrato con la formula ejpi; a[rconto~ (+ nome proprio) o, secondo una congettura molto suggestiva, con il nome dell’arconte dell’anno 464/3 : ejpi; ∆Arcedhmivdou (seguito o no da a[rconto~). 57 In questo secondo caso avremmo addirittura l’anno preciso di rap-presentazione delle Supplici (il 463).

Questo frustulo aggiunto mostra anche un margine bianco superiore e sarebbe quindi apparentemente congruente con la supposi-zione (vd. supra) che anche questa seconda di-dascalia fosse disposta ad inizio di colonna. 58 Ma tale congruenza presenta delle difficoltà. Innanzitutto non si vede traccia di titolo. So-pra EPIA.ª vi è spazio non scritto dell’am-piezza di 5 lettere prima della lacuna, ed è probabile che un titolo si sarebbe dovuto vedere. Si può infatti calcolare che il titolo in testa al fr. 2, in considerazione del punto dove finisce,

del modulo leggermente più grande delle let-tere e della maggiore spaziatura tra l’una e l’altra, fosse più o meno allineato a sinistra con il testo della didascalia. Ma, soprattutto, la giunzione operata all’ultimo momento da Lobel sembra urtare contro una difficoltà di ordine interno, cui finora non è stata data im-portanza. Proprio perché il rigo iniziante con EPIA.ª diventa così primo rigo della colon-na, non resta più lo spazio per un elemento formulare che nelle altre didascalie note si osserva con notevole costanza e sempre nella stessa posizione iniziale : il verbo ejdidavcqh. Come pensare, infatti, qualora la presenza di ejdidavcqh si giudichi necessaria – come ten-terò di dimostrare –, che esso si trovi relega-to alla fine di un ipotetico rigo superiore la cui prima metà appare non scritta ? 59 Oppure pensare che la didascalia cominciasse alla fine della colonna precedente, con una impagi-nazione così improbabile ? L’aggiunta di tale frustulo, data la porzione minima di papiro interessata dalla giunzione, pur se oggi comu-nemente accettata senza discussione, è stata giudicata, in tempi più vicini alla pubblicazio-ne del papiro, non sicura da vari studiosi. 60 È dunque legittimo chiedersi se, nonostante la grandissima perizia di Lobel, essa si debba considerare certa, probabile o semplicemen-te possibile. Peter Parsons e Daniela Colomo, cui sono enormemente grato, hanno ispezio-nato accuratamente sia il recto sia il verso del papiro per rispondere a questa domanda, e le parole di Peter Parsons per litteras, che qui ri-porto, sintetizzano i risultati del loro esame : « We can see nothing in the recto fibres that would confirm, or refute, Lobel’s placing. Dr Colomo has now dismantled the frame, and made a scan of the verso. The scan highlights a darker vertical fibre, which appears both on the main fragment and, in the same position,

57 Per la scelta fra queste due possibilità, cf. Garvie 1969, pp. 1-2 ; Garvie 2006, p. 32 ; un’altra proposta che ha ricevuto una certa attenzione è ejpi; a[rªconto~ Kovnwno~ (462/1) di E. Luppino, L’intervento ateniese in Egitto nelle tragedie eschilee, « Aegyptus » 47 (1967), pp. 209-211.

58 Nella trascrizione di Snell, TrGF 1 DID C 6, p. 44 :. . .ejpi; ajrªejnivka ªAijºscuvlo~

i puntini soprascritti al r. 1 sono equivoci, giacché ripro-ducono quelli posti da Lobel sopra il r. 1 della sua ed. pr., che però era ancora ejnivka ªAijºscuvlo~. Dopo l’aggiunta di EPIA.ª, il margine bianco soprastante rende impossibi-

le presupporre altra scrittura. Evita questa imprecisione Radt, TrGF 3, T 70, p. 55.

59 Insostenibile, pertanto, la possibilità ventilata da H. Friis Johansen, quando, pur mosso da una corretta intu-izione, scrive (Aeschylus The Suppliants i, København 1970, p. 51) : « 1 supra lineam fort. supplendum ejdidavcqh ».

60 Cf., per es., Garvie 1969, p. 1 n. 3 ; L. Ferrari, I drammi perduti di Eschilo, Palermo 19822, pp. 36-41 ; D. Del Corno, POx. 2256,3 e le rappresentazioni postume di Eschilo, « Dioniso » N.S. 19 (1956), p. 278 ; R. Cantarella, Aristoph. Plut. 422-425 e le riprese eschilee, « Rend. Acc. Lincei » S. 8a xx (1965), p. 371 n. 28.

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on the ‘frammentino’ as placed by Lobel. Of course there are other such fibres on the verso, so that this is not decisive ; it just shows that Lobel’s placing has some physical evidence in its favour. On the other hand, we now have a double coincidence : if the ‘frammentino’ is placed so that on the recto the first letter aligns with the first letter of the first line in the main fragment, then the darker fibre on the verso aligns with the darker fibre below ; if it is placed so that on the verso the darker fibre aligns with the darker fibre below, then the first letter on its recto aligns with that of the first line in the main fragment. Again, not decisive ; but it seems to me that this coinci-dence of two physical features makes Lobel’s placing probable, not just possible ». Si può quindi considerare plausibile, e anche pro-babile (la fibra più scura è un indizio di peso non trascurabile), la ricostruzione operata da Lobel ; tuttavia, la mancanza di una sicurezza documentaria permette altresì di formulare ipotesi di lavoro che evidenzino i punti deboli che tale ricostruzione comporta. 61

L’unica soluzione possibile, per salvare la ricostruzione materiale del fr. 3 proposta da Lobel, facendo a meno di ejdidavcqh, sarebbe quella adottata sia da Snell, TrGF 1, DID C 4, p. 43, sia da Radt, TrGF 3, T 58 b, p. 51, i quali anche nel fr. 2, 1 danno concordemente un te-sto privo di ejdidavcqh, evidentemente suppo-nendo che esso manchi del tutto in entrambe le didascalie :

ªejpi; a[rcont(o~) Qeagºenivdou ∆Olumpiavdo~ ªohV e[teiº aV.

Questa sistemazione del r. 1 del fr. 2 senza ejdidavcqh ha prevalso ed è quella comune-mente accettata nelle recenti riedizioni del frammento. 62 Recentemente S. Scullion 63 ne

ha offerto la seguente giustificazione : « The second line of fr. 2, like that of fr. 3, began ejnivka Aijscuºvlo~ ; since the beginning of the second line will have be aligned with that of the first in fr. 2 as in fr. 3, this establishes the space available for supplementing the first li-ne, and ejdidavcqh ejpi; Qeagºenivdou is clearly just too long … Snell’s supplement not only fits the space, but is also recommended by the analogy of ejpi; a[rª at the beginning of fr. 3 ». Ciò si basa su due presupposti : che il numero delle lettere in lacuna sia esattamente calcola-bile, al punto da far escludere una congettura di 15 lettere a vantaggio di una di 13, e che il congiungimento del frustulo come r. 1 del fr. 3 sia assolutamente certo, tanto da fornire a sua volta il modello su cui basarsi per integra-re la lacunosa formula iniziale della didascalia del fr. 2. 64 Ma entrambi i presupposti non so-no del tutto sicuri. Del congiungimento del frustulo abbiamo già detto. Sul numero delle lettere in lacuna nel margine sinistro del fr. 2, si può osservare che, in questo papiro, al contrario che in altri, fare calcoli così precisi come quelli che fa Scullion difficilmente por-ta a criteri sicuri per l’entità delle integrazioni (la differenza tra ejdidavcqh ejpi; Qeagºenivdou e ejpi; a[rcont(o~) Qeagºenivdou è di sole 2 lette-re, e solo se si presuppone l’abbreviazione), giacché : i. la scrittura, proprio nel fr. 2 (ma anche nel fr. 4 e, con dimensioni ridotte, nel fr. 3), presenta spazi bianchi larghi da 1 a 3 let-tere (non prevedibili, perché non appaiono usati univocamente : nel fr. 2, 2 c’è tra Laiv-wi e Oijdivpodi, ma non tra Oijdivpodi e ÔEptav ; c’è nel fr. 2 tra deuvtero~ e ∆Aristiva~, ma non nel fr. 3 tra deuvtero~ e Sofoklh`~) ; ii. il fr. 3 mostra, al di sotto del r. 1, una sia pur leggera (1-2 lettere) indentazione che poteva ricorrere anche altrove, e interessare qualche inizio di

61 Come mi fa giustamente notare A. Garvie per litte-ras, se ammettessimo che il frustulo con EPIA.ª non fa-cesse parte del fr. 3, ma di un’altra didascalia, il problema della mancanza di ejdidavcqh si ripresenterebbe. Tuttavia, se non avessimo più un contesto, come quello che abbia-mo nel fr. 3, forse verrebbe meno anche la sicurezza che le poche lettere che vi si leggono siano da interpretare necessariamente come la formula cronologica dell’arcon-te. La lettera dopo A, benché compatibile con R, è assai incerta ; secondo alcuni EPI risulterebbe da correzione di un precedente ETH (cf. app. crit. di Radt, TrGF 3, p. 55 ; CLGP, p. 39).

62 Rossum-Steenbeek 1998, p. 234 ; CLGP, p. 38 ; McNa-mee 2007, p. 133 (abbastanza stranamente, però, rinuncian-do a ejpiv iniziale, per ragioni di spazio).

63 Scullion 2002, p. 87 n. 24.64 L’argomento secondo cui la formula del fr. 3, col

nome dell’arconte preceduto da a[rconto~, raccoman-derebbe la presenza di a[rconto~ davanti a Qeagºenivdou, presenta un certo grado di circolarità : siccome dipende dall’integrazione che si reputa preferibile, è stato anche usato esattamente al contrario : cf. A. Lesky, Die Datie-rung der Hiketiden und der Tragiker Mesatos, « Hermes » 82 (1954), p. 5. E in effetti lo stesso Snell sembra piuttosto fon-dare il suo supplemento del fr. 3 su quello del fr. 2 e non viceversa, se scrive in apparato a DID C 4, 3, p. 43 : « prop-ter spatium a[rconto~ (vel potius a[rcont) supplendum, v. ad DID C 6,1 », e in apparato a DID C 6,1, p. 44 : « a[rconto~ praefero propter DID C 4,3 ».

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rigo in lacuna ; iii. è difficile sapere se e do-ve erano presenti abbreviazioni, visto che nel fr. 2 non ne appaiono nella parte conservata, nel fr. 3 ne vediamo una nell’ultimo rigo (SA-TU), nel fr. 4 una al r. 3 (CO), e nel fr. 5 dello stesso POxy xx 2256 tre (una probabile forma verbale, LHMFQH, e alcuni nomi di perso-naggi come NEOºPTOLEMO e FILOKTH). Inoltre, le più plausibili integrazioni dei rr. 3-5 del fr. 2 danno numeri di lettere oscillanti a seconda dell’integrazione scelta, che non è possibile precisare con sicurezza : r. 3 Sfiggi; saturikh`iº (= 15 lettere), ovvero Sfiggi; satuº (= 10 lettere) ; r. 4 (pa<)⁄tro;~ Prativnoºu (= 11 lettere), ovvero (pa<)⁄tro;~ aujtou ̀Prativnoºu (= 16 lettere) ; e soprattutto il r. 5, dove non è per nulla chiaro da quale altra parola (o paro-le) possa essere accompagnato il troppo breve completamento ªfrasmwnº del nome Polu-fravsmwn.

Tuttavia, se proprio si vuole, anche in una restituzione del testo 65 diversa da quella pro-pugnata da Snell (TrGF 1) e Scullion, è possibi-le ottenere una certa omogeneità :ejdidavcqh ejpi; Qeagºenivdou ∆Olªuºmpiavdo~ ªohV

e[teiº aVejnivka Aijscuvlºo~ Lai>vwi Oijdªiºvpodi ÔEpta; ejpi;

Qhvbai~ 66Sfiggi; saturikh`i,º deuvtero~ ∆Aristiva~ tai`~

tou ̀pa<tro;~ aujtou ̀ Prativnoºu tragwidivai~, trivªtºo~

ªPoºlu<fravsmwnº Lukourgeªivaiº tªetrºalogivai.

Con il testo sopra proposto otteniamo : r. 1 = 38 lettere ; r. 2 = 38 lettere ; r. 3 = 40 lettere ; r. 4 = 38 lettere ; r. 5 = 29 lettere. Se poi, per verifica, prendiamo, a metà rigo, un punto di incolonnamento ben visibile sul papiro, evi-denziando la lettera scelta con il maiuscoletto sottolineato :ejdidavcqh ejpi; Qeagºenivdou ∆Olªuºmpiavdo~ ªohV

e[teiº aVejnivka Aijscuvlºo~ Lai>vwi Oijdªiºvpodi ÔEpta; ejpi;

Qhvbai~

Sfiggi; saturikh`i,º deuvtero~ ∆Aristiva~ tai`~tou ̀pa<

tro;~ aujtou ̀Prativnoºu tragwidivai~, trivªtºo~ªPoºlu<

fravsmwnº Lukourgeªivaiº tªetrºalogivai

arriviamo a dividere ogni rigo in due parti, che danno questi risultati : r. 1 = 16 + 22 ; r. 2 = 14 + 24 ; r. 3 = 16 + 23 ; r. 4 = 17 + 22 ; r. 5 = 8 + 21. A parte la prima metà dell’ultimo rigo, per la quale si dovrà cercare una soluzione appropriata, gli altri righi mostrano una ac-cettabile uniformità, che rende ugualmente plausibile la ricostruzione che abbiamo sopra riportato. Qualunque sistemazione del fram-mento si accolga, resta sempre la difficoltà di ammettere un r. 5 così corto o di trovare un supplemento convincente dopo il nome Po-lufravsmwn, 67 ma è un’aporia che non influi-sce sulle possibili ricostruzioni del r. 1. Forse non è da escludere che, se è vero che l’ultimo rigo del fr. 3 è scritto in pronunciata ei[sqesi~, come sembrerebbe e come tutti ammettono (nessuno pone lacuna prima di satu), lo scri-ba abbia adottato la medesima soluzione gra-fica anche per il rigo conclusivo del fr. 2.

A questo punto, ai fini di stabilire la più plausibile e corretta integrazione del rigo 1 sia del fr. 2 sia del fr. 3, mi sembra importante il concreto dato che il verbo ejdidavcqh è pre-sente in tutte le didascalie tragiche conservate dai codici medievali : Aesch., Sept. – che ripro-duce in M, molto da vicino, quella del fr. 2 del POxy xx 2256, e che quindi dimostra come, almeno nella più antica tradizione medieva-le, rappresentata da M, ejdidavcqh ne facesse parte –, Ag. ; Soph., Phil. ; Eur., Alc. ii, Med., Hipp. ii. Fanno eccezione, in apparenza, solo due di esse : una però è abbastanza anomala nella sua formulazione (Aesch., Pers.) ; l’altra è gravemente corrotta (Eur., Phoen.), e infat-ti ejdidavcqh vi viene normalmente integrato come fosse semplicemente caduto. 68 Se poi prendiamo in considerazione, per questo ele-mento, anche le didascalie dei manoscritti

65 È fondamentalmente (rr. 1, 3, 4) la prima che diede Snell in « Gnomon » 25 (1953), p. 438, con l’unica rettifica costituita dall’opportuno spostamento (T. Kakridis, « Hellenika » 13, 1954, p. 171) all’inizio del r. 2 di ejnivka, che Lobel aveva posto alla fine del r. 1 :

ejdidavcqh ejpi; Qeagºenivdou ∆Olumpiavdo~ ªohV ejnivkºa.

Ho inoltre eliminato dal r. 5 il dubbio Frunivcou, cui lo stesso Snell ha poi rinunciato (ved. infra, n. 67).

66 Ved. supra, n. 46.67 ªPoºlu<⁄ªfravsmwn Frunivcouº, proposto in un primo

tempo da Snell, poi abbandonato nella sua nuova ricostru-zione, è insoddisfacente, così come credo lo sia un even-tuale ªPoºlu<⁄ªfravsmwn th`i eJautou`º (in contrapposizione all’indicazione data subito prima per Aristias ?).

68 Così anche D. J. Mastronarde, Leipzig 1988, e Snell, DID C 16 (a).

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di Aristofane, la percentuale aumenta : delle 9 commedie per cui è presente una didasca-lia, ejdidavcqh è presente in tutte (Ach. i, Eq. ii, Nub. v, Vesp. i, Av. i, Lys. i, Ran. i e iii, Pl. iii) tranne una (Pax iii). In ultima analisi, ejdi-davcqh appare un ingrediente immancabile di un’espressione quasi fissa. 69

Benché dunque la ricostruzione di Lobel non si possa dire confutata, resta una forte perplessità, sulla quale non è, a mio avviso, inutile continuare a interrogarsi. Rinuncian-do (come sembra imporre la mancanza dello spazio necessario) a integrare il r. 1 del fr. 2 con i più regolari supplementi che aveva già fornito Lobel (e che erano stati in un primo tempo accolti dallo stesso Snell, « Gnomon » 25, 1953, p. 438, salvo poi rinunciarvi in TrGF 1) : ªejdidavcqh ejpi; Qeagºenivdou, si è costretti a supporre che entrambe le didascalie dei frr. 2 e 3 concordino fra loro nell’offrire, con l’as-senza di ejdidavcqh, quella che appare una ano-malia aliena dalla documentazione in nostro possesso (resa ancora più vistosa dal confron-to tra POxy xx 2256, fr. 2 e la corrisponden-te hypothesis medievale). È bene aggiungere che, in ogni caso, da questa discussione non può scaturire nessun elemento in più per la datazione delle Supplici né viene in alcun mo-do intaccata la possibilità che esse siano da as-segnare al 463 sotto l’arconte Archedemide.

Fr. 4

È il frammento meglio ricostruibile. Il rigo di scrittura era notevolmente più corto dei frr. 2 e 3 : tra le 14 e le 16 lettere, ottenute accurata-mente mediante andate a capo :

hJ me;nº skhnh; tou ̀drav<matoº~ uJpovkeitai ejnº oJ de; co(ro;~) sunevsth<ken ejºk politw`n ge< ºn. oJ prologivzw(n)

Le tre informazioni che qui si susseguono (luogo dell’azione, composizione del coro, personaggio che recita il prologo) si trovano per lo più associate insieme, nel medesimo ordine, anche nelle hypotheseis medievali.

Il fatto che sia il fr. 2 sia il fr. 4 (e anche il fr. 3, nella ricostruzione di Lobel prima discussa ; il fr. 5a sembra contenere un breve riassunto, forse di tipo aristofaneo, ma non ne cono-sciamo la collocazione rispetto alla colonna né se contenesse altri elementi di hypothesis : è dunque difficile formulare ipotesi sulla sua funzione) del POxy xx 2256 mostrino papiro bianco, non scritto, al di sopra delle prime tracce di scrittura, induce a pensare che fos-sero entrambi ad inizio di colonna e quindi non uno dopo l’altro, ma separati. Che la colonna del fr. 4 sia notevolmente più stret-ta di quelle dei frr. 3 e 4, è un altro chiaro elemento dal quale si può dedurre che il fr. 4 non sarebbe mai combinabile in un unico testo né col fr. 2 né col fr. 3 (per es. il fr. 4 ad inizio di colonna, seguito dal fr. 3). 70 Sembra cioè osservabile, per quel che gli scarni dati ci consentono di fare, che le didascalie aves-sero un tipo di mise en page diverso da quello della hypothesis, 71 il che favorisce l’idea che, nei volumina, didascalia e hypothesis si trovas-sero ancora separate e non ancora inglobate l’una dentro l’altra. Si potrebbe allora cau-tamente immaginare, come pura ipotesi di lavoro, che i frr. 2 e 3 (le didascalie) si trovas-sero o prima del testo della tragedia (in testa alla colonna) o, ancor meglio, alla fine di essa (nello spazio in cui spesso venivano scritti i titoli, cioè nella colonna bianca che seguiva alla fine del testo poetico), dunque proprio sotto il titolo, che nel caso del fr. 2 si sarebbe presentato come

ªLAIOSAISCULOºU

69 Quella delle hypotheseis appare una riformulazione dello schema usato nelle didascalie ufficiali epigrafiche (IG ii2 2318), dove, su righi diversi, troviamo : ejpiv + nome dell’arconte (senza a[rconto~) ; nome del corego + ejcorhv-gei ; nome del tragediografo + ejdivdaske. La didascalia che si trova sotto l’hypothesis metrica nel PBodmer iv del Dyskolos di Menandro recita : ejdivdaxen (scil. Mevnandro~) eij~ Lhvnaia ejpi; †didumogenh~† (Dhmogevnou~ V. Martin) a[rconto~ (cf. supra, n. 50).

70 Disporre i frr. 2 + 4 + 1 in un’unica colonna, come fa H. J. Mette, Die Fragmente der Tragödien des Aischylos, Berlin 1959, p, 58, è semplicemente impossibile.

71 Vi è anche un indizio interno che esclude l’associa-Vi è anche un indizio interno che esclude l’associa-

zione tra fr. 3 e fr. 4 come riferiti allo stesso dramma : il fr. 4 afferma che il coro era composto « di vecchi citta-dini » (a cavallo dei rr. 4 e 5 non ci può essere altro che ge<⁄ªrovntwºn di Lobel o, meglio per lo spazio, ge<⁄ªraiw`ºn di Snell), ma nella trilogia eschilea delle Danaidi il coro era sempre composto, a quanto sembra, dalle figlie di Da-nao o dagli Egizi. Quindi il fr. 4 si riferirà o a una tragedia della tetralogia cui si riferisce il fr. 2 (Laio, Edipo, Sette), se si ammette che la lacuna del r. 3 possa ospitare ªQhvbai~º (magari in forma abbreviata), oppure ad una diversa anco-ra (in tal caso ª“Argeiº viene in grande considerazione) : su entrambi i supplementi cf. Snell, « Gnomon » 25 (1953), p. 438 ; Radt, TrGF 3 (Aeschylus), F **451v, p. 496.

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tristano gargiulo114

oppure su due righiªLAIOSºªAISCULOºU

Il fr. 4 cominciava con il primo rigo conser-vato

ªhJ me;nº skhnh; ktl.

ma il suo ultimo rigo terminava con oJ pro-logivzwn : il testo doveva dunque continuare e poteva ben contenere altri “piccoli blocchi” di hypothesis, come ta; tou ̀dravmato~ provswpa. Si può pensare che questo frammento, con le sue notizie, nell’impaginazione originaria, si trovasse davanti al testo della tragedia (se la didascalia stava alla fine, come abbiamo ipo-tizzato prima). Non è da trascurare, per la posizione iniziale di colonna che questo “pic-colo blocco” occupa nel papiro, come in un buon numero di hypotheseis il complesso sce-na-coro-prologo (completo, o qualche volta mancante di uno o due elementi) stia proprio all’inizio (Aesch., Sept. ; Eur., Hipp. ii, Andr., Hec. ii, Suppl.), oppure subito dopo l’argumen-tum o una qualche digressione (Aesch., Pers. ; Soph., El., Phil. ; Eur., Iph., Rhes. iii), o anco-ra dopo argumentum + muqopoiiva (Aesch., Prom. ; Soph., Ant. ; Eur., Med. ii, Or. ii), o dopo argumentum + digressione (Soph., Oed. Col.). Solo raramente il medesimo complesso sta in una diversa, più avanzata collocazione (Eur., Alc. ii, Ion, Phoen. vii), cioè dopo la didascalia. L’elemento in posizione pressoché fissa è solo ta; tou ̀dravmato~ provswpa, che, dove è pre-sente, viene quasi sempre per ultimo.

Grazie ai già ricordati studi di Achelis e Zuntz, si è giunti a capire come le hypotheseis medievali siano degli agglomerati di elementi non omogenei, costituiti da : “piccoli blocchi” informativi attribuibili al grammatico Aristo-fane di Bisanzio (i più importanti dei quali so-no : 1. breve argumentum ; 2. indicazione della scena, della composizione del coro e del per-sonaggio che recita il prologo ; 3. quale altro tragico ha trattato la stessa muqopoiiva ; 4. di-dascalia ; 5. ta; tou ̀dravmato~ provswpa) ; lunghi e verbosi riassunti delle trame (vd. Zuntz), di origine bizantina ; materiale che non è agevole definire (talune digressioni). Tali ingredienti, e soprattutto quelli che ho chiamato “piccoli blocchi”, si ripetono in quasi tutte le hypothe-seis ma senza essere sempre tutti presenti e senza ricorrere sempre nello stesso ordine. Si

può pensare che ciò derivi, almeno in parte, da una originaria separazione della hypothesis dalla didascalia e che tali perturbazioni possa-no essersi generate al momento in cui dida-scalia e hypothesis sono state aggregate in un unico insieme ?

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