I l Tg1 ha perso un milione di telespettatori in meno di un anno. Poiché Augusto Minzolini – il direttore del Tg1 con la passione degli editoriali e, soprattutto, di apparire in video ne è stato nominato direttore il 20 maggio del 2009, il conto è presto fatto: non è una improvvisa nuova agguerrita concorrenza, non è la perdita di segnale della tv pubblica, la responsabilità e tutta sua. E far crollare gli ascolti al Tg1 non è cosa da poco: è considerato il “primo” tg italiano, se non altro perché è il più vecchio, perché è sul primo pulsante del telecomando, perché da sempre è considerato quello più “ufficiale”, rispetto ai tg delle emittenti private. Il tonfo dell'Auditel, stabilmente sotto il 30% degli ascolti – e per lo più attestato al “grado” 26, febbre alta – lascia impietriti i redattori, per la perdita di credibilità del loro giornale: non c'è stato direttore, fin qui, che quando l'Auditel scendeva a sfiorare il 30% non suonasse l'allarme rosso. Il crollo degli ascolti è l'altra faccia di una politica editoriale che ha trasformato il Tg1 in un telegiornale con l'elmetto, fortemente schierato a favore del Governo, fino alle bugie (la notizia sul “caso Mills”, che coinvolge direttamente Silvio Berlusconi, fa scuola: quando l'autorevole Tg1 ha affermato che l'avvocato inglese era stato assolto, mentre si trattava di prescrizione... erano scaduti i tempi per il processo). Un telegiornale dove la censura è di casa – notizie non date o sussurrate di sfuggita tra un servizio e l'altro, tanto da passare quasi inosservate – e dove la gran parte dello spazio è dedicato a inutili e insopportabili frivolezze, mentre l'Italia va a rotoli. Un direttore che estromette dal video tutti quelli che non gli stanno a genio o, peggio ancora, che non firmano petizioni in suo favore: vere liste di proscrizione, se in meno di dieci giorni Minzolini è riuscito a far fuori lo “storico” caporedattore centrale del tg, Massimo De Strobel, ignoto al grande pubblico ma essenziale uomomacchina del giornale Rai, e a seguire a cacciare dalla conduzione Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio e Piero Damosso, per far posto a giornalisti “di fiducia” (che avevano firmato gli appelli in suo favore). Quando i telespettatori accendono la tv, sanno cosa stanno guardando: il Tg1 è, da sempre, il giornale filogovernativo, il Tg2 è passato negli anni dalle “cure” socialiste a quelle leghiste, il Tg3 punta a sinistra, quelli delle reti Mediaset sono sotto padrone (e il padrone è il premier). Che resta? Ma quando è troppo è troppo: ora quel milione di telespettatori sembra volatilizzato. Si informa altrove... Ma oggi fischia ancora il vento? Il valore della memoria L'uomo ha una formidabile memoria, cioè, tutto quell'insieme di conoscenze che gli deriva dalla capacità di utilizzare simboli di varia natura, in estrema sintesi, la memoria è frutto del linguaggio e della cultura. Nell'antichità ci si basava sulla memoria orale, poi si sviluppò la scrittura, in seguito la fotografia e il cinema. I mezzi che contribuiscono a formare il linguaggio si sono arricchiti, quindi, con l'evoluzione dell'uomo e le sua aumentate capacità e conoscenze anche scientifiche. Ma quello che manca nel nostro Paese al giorno d'oggi è la memoria storica, anche a breve termine. Questa mancanza di memoria fa si che aumentino i negazionisti dell'eccidio degli Ebrei, gay, zingari e altre categorie nel corso della seconda guerra mondiale. Quelli che potremmo chiamare ricordi vengono annullati anche quando ci si rapporta con il problema immigrazione. Purtroppo ci siamo dimenticati dei bastimenti di emigranti verso lidi lontani per trovare migliori condizioni di vita e non cogliamo appieno la portata del dramma di coloro che tentano di approdare sulle nostre sponde in cerca di fortuna. La mancanza di memoria ci porta a dimenticare che una volta la scuola era per pochi e non per tutti, i poveri erano solo braccia da destinare ai lavori che avrebbero permesso al ceto superiore di vivere sulle fatiche degli altri. La negazione e la rimozione fanno si che si sia intrapreso un cammino revisionistico anche per la guerra di Liberazione. Uno dei pochi periodi storici di cui gli italiani dovrebbero essere orgogliosi. Questa è la situazione dell'Italia ai nostri giorni. Un Paese governato da coloro che tutte queste cose le hanno rimosse e che, almeno in parte, negano. Siamo governati da gente che in base ad un presunto bisogno di sicurezza pone e dispone, e vorrebbe anche di più, delle vite degli altri. Quasi sempre persone che non hanno o non possono difendere i loro diritti di esseri umani. Si agisce in disprezzo della Carta dei diritti dell'Uomo a cui tutti, almeno a parole, ci dovremmo attenere. Sarebbe lungo l'elenco delle malefatte da un po' di anni a questa parte. Il bisogno di pochi viene fatto passare per un bisogno di tutti. Un solo esempio. Quanti italiani hanno paura di essere intercettati? Solo coloro che sanno di aver fatto qualcosa di poco lecito, gli altri dovrebbero essere contenti che con questo mezzo si possono assicurare alla giustizia colpevoli che altrimenti resterebbero impuniti. Coloro che ci governano dovrebbero avere come primo e principale obiettivo il benessere del popolo, dovrebbero legiferare per salvaguardare il lavoro, la scuola e la sanità per tutti. Ma ciò non avviene e il popolo, fidandosi di false e irrealizzabili promesse di impunità per tutti, continua a premiare chi agisce nell'interesse di pochi a discapito della maggioranza. Abbiamo perso la memoria che un periodo di tal fatta l'abbiamo già passato e pagato. Sabato 24 marzo 2010 Anno II n° 3 Redazione: via Roma n° 50 00045 Genzano di Roma tel. 333 9467351 email: [email protected] Il capolavoro di Minzolini Alfio Novelli Terra Sociale in piazza IV Novembre a Genzano sabato 24 aprile Stefano Paterna P er la mia generazione il passaggio dalla guerra alla pace si rivelò, senza che ce ne fossimo resi ben conto, un enorme salto di qualità o, meglio, un balzo attraverso un baratro. “Fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte, eppur bisogna andar a conquistare la rossa primavera, dove sorge il sol dell’Avvenir”. Così cantavamo, pieni di entusiasmo. Non tutti cantavano, certo, ma noi sì. È la nostra storia. Questo era il nostro mondo, il mondo libero! Per esso avevamo combattuto, per esso erano caduti tanti nostri compagni. Questo auspicio del sole dell’avvenire dava per scontato che avremmo avuto un avvenire solo se irradiato dal sole della libertà che campeggiava e migrava a mezz’aria con la falce e il martello, i simboli del proletariato. A segnalare una seranza che era comune e condivisa, un’alba rinnovatrice per gli sfruttati, i lavoratori, gli operai e i contadini, gli intellettuali, i giovani e le donne. Allora non avremmo mai pensato che anni dopo avremmo dovuto difendere non solo la libertà, ma anche e soprattutto la memoria, e ricominciare da capo. La memoria è qualcosa di diverso dalla storiografia. La memoria è quello che c’è dietro la storia: il racconto, l’emozione, la commozione. La memoria è fatta di nozioni, ma anche di lacrime e di sgomento. La democrazia italiana è destinata a morire se, come collante di alcuni valori insostituibili, non rimane viva la memoria collettiva. *** Non tornerò mai più, lungo gli impervi sentieri della montagna, nelle vecchie postazioni partigiane. Fu un’estate calda e afosa quella del ’46, l’anno dopo la Liberazione. Con “Lupo” decidemmo di tornare su, alle basi partigiane abbandonate ormai da più di un anno. Intorno c’è silenzio. Le piccole porte sgangherate sono chiuse e cadenti. Tra le crepe del muro è cresciuta l’erba. Fuori, la neve e la pioggia hanno dilavato le pietre del focolare, una parte è crollata e il rimanente è destinato a fare la stessa fine nel prossimo inverno. Dappertutto la vegetazione è uno splendore. Intorno c’è sole, tanto sole e tanto azzurro nel cielo. E silenzio. Per questo non sarei dovuto più ritornare nelle vecchie postazioni partigiane, anche se tutto è quasi come prima. Mi avvolge l’amaro sottile della solitudine. C’è troppo silenzio, troppo senso di cose morte e abbandonate. Per terra c’è anche un vecchio caricatore di Sten, mezzo fracassato e ricoperto di ruggine. Vicino al piccolo melo l’acqua della fontanina mormora, regolare e sempre uguale. E il cielo è azzurro e le lucertole sono immobili sui muri di pietra. Più in là, a ridosso del cespuglio sempreverde del pungitopo, una mano ignota ha inciso su una tavoletta di legno queste poche righe: ”Passate piano o paesani, passate piano o genti di tutte le contrade, qui aleggia lo spirito del dolore e della gloria di tutti i nostri morti.” … No, non sono mai più tornato nelle vecchie basi partigiane. Onoriamo i valori della Resistenza al Nazifascismo, lottando contro il razzismo e il carovita Il 25 aprile di ieri e di oggi H a ancora un senso, un valore, oggi, “il fiore del partigiano, morto per la libertà”? La nostra risposta, la risposta di Terra Sociale è sì, certamente sì. Perché? Perche 67 anni fa, in un momento cruciale della storia italiana e del mondo si è dovuto scegliere tra l’orrore, la follia razzista e la sete selvaggia di dominio del nazifascismo e la volontà indomita di vita, di libertà e di futuro, non dei governi alleati, ma dei popoli, di tutti i popoli uniti nell’antifascismo. Sono questi i motivi che spinsero sulle montagne migliaia di giovani italiani, disgustati dalla retorica, dall’impotenza e dalla cattiveria del regime capeggiato da Mussolini. Si trattava di ragazzi formati da due decenni di propaganda totalitaria e di scuola fascista: eppure seppero fare ciò che era giusto per ridare dignità a un paese piegato su stesso dalla sconfitta militare e morale. . Oggi viviamo in tempi difficili. Le classi popolari sono esposte a una crisi economica galoppante che viene negata dal Governo Berlusconi. Quelli che perdono il posto di lavoro si aggrappano disperatamente alla cassa integrazione, ma ci sono ormai ben due generazioni di precari che non hanno diritto neanche a quella. In questo contesto, è facile per tutte le Destre (dalla Lega Nord a Casapound) indicare nel migrante, nello straniero povero, il nemico che ti “ruba pane e lavoro”. Non è così: il pane e il lavoro ce lo rubano i grandi gruppi imprenditoriali che come la Fiat dopo aver fatto profitti per anni chiudono le fabbriche e le aprono dove i costi sono più bassi; ce lo tolgono di bocca quelli che hanno privatizzato la gestione del servizio idrico facendo aumentare vertiginosamente le bollette dell’acqua; quelli che buttano soldi pubblici per costruire un inceneritore inutile e nocivo ad Albano; la grande distribuzione commerciale che paga pochissimo i coltivatori, ma che ci rivende a prezzi salati patate e pomodori. Questi sono gli avversari da sconfiggere, quelli contro i quali avviare una nuova resistenza democratica. Per questi motivi, sabato 24 aprile dalle 10 alle 13, Terra Sociale sarà in piazza IV Novembre a Genzano. Offriremo ai cittadini la possibilità di festeggiare la Liberazione in modo diverso. Distribuiremo infatti ai soci i prodotti del nostro GAP, il Gruppo di Acquisto Popolare, a prezzo di costo. Sarà possibile aderire al GAP venendo semplicemente al nostro banchetto in piazza. Lì troverete anche i piccoli produttori locali di verdure e di altri prodotti che hanno deciso di collaborare con noi. La lotta di oggi al carovita e al razzismo è figlia della Resistenza. Viva il 25 aprile, viva la Resistenza, viva la libertà! Silvia Garambois