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materialeresistente
55ºliberazione
ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia - Sez. di
Voghera - Aprile 2000
Oltrepo partigiano
Il 28 aprile 1945, con lafucilazione di Mussolinie dei gerarchi
fascisti
sulle rive del lago di Como,era toccato proprio ai parti-giani
dell’Oltrepo Pavesechiudere un conto che si eraaperto 23 anni
prima, allor-quando, a Milano, le squadrelomelline di Cesare
Forniavevano preso possesso conla forza di Palazzo Marino,spianando
al fascismo la viadella definitiva conquista delpotere.Così come la
Lomellina era, appun-to, stata, anni addietro, una regionedi punta
nella geografia del fasci-smo lombardo e nazionale, era, ora,un
altro territorio pavese a sancire,con un atto di intrinseca
drammati-cità, ma di alto valore simbolico, ilproprio ruolo di
protagonista nellastoria d’Italia.Quello dell’Oltrepo Pavese è un
ter-
ritorio che si propone all’osservato-re come un area cerniera
tra regioni,culture, tradizioni assai differenzia-te tra di loro.
Proprio per le suecaratteristiche geografiche e stori-che la zona è
inserita, senza solu-zione di continuità, in un compren-sorio ben
più vasto che si sviluppaed estende intorno al sistema mon-tuoso
dell’Appennino ligure-ales-sandrino.Dalla localizzazione dei primi
grup-pi (almeno fino alla tarda primaveradel ’44) emerge prima di
tutto unelemento di grande interesse.Nel quadro della primitiva
organiz-zazione e delle prime azioni parti-giane, è fuor di dubbio
la prioritàdel Piacentino e delle aree liguri ealessandrine
sull’Oltrepo.Non solo i gruppi più numerosi e dimaggior peso si van
formando aimargini di quelli che sono i suoiconfini amministrativi,
ma sonoproprio loro i protagonisti delleprime, più clamorose azioni
e incur-sioni in territorio pavese.
Ciò non esclude, ovviamen-te, la presenza di piccolinuclei più
direttamente lega-ti al territorio - PrimulaRossa (Angelo
Ansaldi),Tundra (Tiziano Marchesi),Fusco (Cesare Pozzi) -
ocostituiti intorno a sbandati oprigionieri di guerra di
ogninazionalità che avevan tro-vato rifugio in Oltrepo. Né sivuole
sottovalutare la pre-senza, subito dopo l’8 set-tembre, di una rete
clandesti-na di appoggio e di smista-
mento per i renitenti, sbandati esfollati lungo i paesi di
pianura edella prima fascia collinare.Quel che, però, è certo, è
che tarda-no a farsi strada, nel territorio, iprimi esempi di
gruppi armati conalle spalle precisi referenti politicie/o
organizzativi. Chi si rifugia inmontagna ha un unico denominato-re
comune: il rifiuto della guerra ela volontà di sopravvivenza.
Chi,invece, ha obiettivi più ambiziosi ingenere viene dal versante
ligure eguarda, come riferimento, soprattut-to a Genova né è
sicuramente uncaso, che, nel ’44, l’Oltrepo parti-giano graviti in
buona parte sulla VIzona ligure.
Al crocevia di quattro regioni, aspetti della Resistenza
nell’Oltrepo pavese
� Pierangelo Lombardi
“Non occorre essere forti per
affrontare il fascismo nelle sue
forme pazzesche e ridicole:
occorre essere fortissimi per
affrontare il fascismo come
normalità, come codificazione,
direi allegra, mondana,
socialmente eletta, del fondo
brutalmente egoista
di una società”.
P. Paolo Pasolini - “Le belle
bandiere” - settembre 1962
All’interno:
� La fucilazione di Mussolini
� Ti ricordi quel 25 aprile?
� Revisionismo sulle stragi
� Per conoscere e approfondire
Partigiani della brigata “Crespi” a Pavia
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La prima fase è, dunque, segnata daun ribellismo immediato e da
unadisobbedienza istintiva. Talvoltaquesti atteggiamenti si
esprimonocon l’incontro tra i piccoli nucleicostituiti e i giovani
sbandati e/orenitenti del luogo; talaltra, si veri-fica il caso del
capo, solo, che cercauna banda (l’incontro del “Greco” -Andrea
Spanojannis - ad esempio,con i giovani di Costalta e diPecorara).
In qualche caso neppureè possibile una distinzione netta trale
bande, tanto frequenti sonosmembramenti, assorbimenti efusioni.I
caratteri tipici di questa fase sonouna forte disorganizzazione,
unospiccato senso giovanile dell’av-ventura, il giudizio sommario
esemplificato intorno a tutto ciò che,in qualche modo, poteva
evocare ilfascismo (e che legittimava anchepericolose
scorciatoie).
Non è senza significato che propriointorno alla banda del
“Greco” (conil suo disarmo, in luglio, e il pas-saggio dei suoi
uomini in parte alla“Crespi”, in parte alle GL) si consu-mi un
episodio decisivo ai fini delpassaggio dalla fase delle
“bande”spontanee a quella delle formazioniorganizzate.Dopo la
liberazione di Roma, ingiugno, è ormai diffusa la convin-zione che
si sia davvero alla resadei conti. La situazione è in
rapidaevoluzione; la durezza dello scontroimpone scelte di campo.
La com-parsa “ufficiale” dei partigiani nellamontagna varzese, alla
fine di mag-gio, la presenza crescente di gruppi,più o meno
organizzati, e il rifiutodei bandi di chiamata alle armi
porta man mano alsuperamento del-l’atavica
diffidenzacontadina.Il processo diespansione parti-giano va dal
Bralloverso Nord, con ilprogressivo assor-bimento dei varigruppi
locali. Sicostituiscono la 51°“Capettini” e la 87°“Crespi”
(garibal-dine). Ancora più anord, si colloca la “Matteotti”
chedefinisce il suo raggio d’azione trala valle Scuropasso e l’alta
ValVersa. A est, in collegamento direttocon il Piacentino, le
formazioni diGiustizia e Libertà.È, questa, una fase complessa
ecaratterizzata da forti tensioni,sospetti, azioni di disarmo e
colpi dimano tra le formazioni che control-lano i due versanti,
pavese e piacen-tino. Finalmente, l’11 agosto, laconferenza di
Romagnese delineaun assetto, lungo la linea spartiac-que
Penice-Romagnese, che nonsubirà modifiche sostanziali finoalla
Liberazione.Il progressivo disarmo dei presidifascisti e
l’espansione verso lamedia collina allontanano la minac-cia
fascista diretta, limitandosi, lastessa, ad occasionali - ma non
perquesto, meno pericolose - puntatebrigatiste.Dopo la battaglia
dell’Aronchio, il25 luglio - dove i contadini combat-tono a fianco
dei partigiani conarmi di fortuna - e la conquista delcastello di
Pietragavina, a metà ago-sto, tutta la montagna e l’alta colli-
na sono sotto ilcontrollo partigia-no. Ne resta esclu-sa, al
fondovalle,solo Varzi, nei con-fronti della qualeva maturando
unsentimento di rivin-cita e di resa deiconti da parte deipaesi
della monta-gna.Proprio da Varzi, il26 agosto oltre un
migliaio tra tedeschi e fascisti attac-cano le posizioni
partigiane e pun-tano su Bobbio, lungo la direttricePenice-Brallo,
nel quadro di unavasta operazione di rastrellamentoche, investendo
anchel’Alessandrino e un ampia porzionedell’Appennino
ligure-emiliano, halo scopo di ristabilire le comunica-zioni tra la
Liguria e la valle del Po.Il rastrellamento investe la monta-gna.
Allo scontro frontale non siregge e la difesa rigida delle
posi-zioni si rivela perdente (più accortosi rivelerà
l’atteggiamento dei gari-baldini liguri). Le antiche polemi-che tra
le formazioni trovano nuovoalimento dal cedimento giellista
sulPenice.Lo scoramento e il disorientamentodurano, però, solo
pochi giorni. Trala fine di agosto e i primi di settem-bre la
maggior parte dei repartitedeschi e fascisti abbandonano
ilterritorio conquistato. Il rastrella-mento - il primo, in grande
stile - hafatto emergere molti problemi (fratutti, la fragilità
dell’organizzazionee l’azione frammentaria e isolata),ma ha
suggerito anche preziosiinsegnamenti. Il successo fascista sirivela
più apparente che reale e nonè in grado di impedire, di li a
pochesettimane, la ripresa partigiana.Sul piano militare si assiste
a unapiù vasta espansione e riorganizza-zione delle formazioni. I
contrasti egli strascichi polemici paiono defi-nitivamente
superati. Il 2 settembreviene firmato un accordo di colla-borazione
militare tra GL e garibal-dini. I problemi organizzativi e
diinquadramento delle formazionitrovano nuova soluzione.
materiale resistente aprile 20002
“IL PRIMO SIGNIFICATO DI LIBERTÁ CHEASSUME LA SCELTA
RESISTENZIALE ÈIMPLICITO NEL SUO ESSERE UN ATTO DIDISOBBEDIENZA...
PER LA PRIMA VOLTANELLA STORIA DELL'ITALIA UNITA GLI ITA-LIANI
VISSERO IN FORME VARIE UN'ESPE-RIENZA DI DISOBBEDIENZA DI
MASSA.”
Claudio Pavone“Una guerra civile. Saggio storico
sulla moralità della Resistenza”
“FURONO ANNI IN CUI MOLTI DIVENTARONODIVERSI DA CIÒ CHE ERANO
STATI PRIMA...DIVERSI E MIGLIORI OGNUNO SENTIVA DIDOVER DARE IL
MEGLIO DI SÉ. QUESTOSPANDEVA INTORNO UNO STRAORDINARIOBENESSERE, E
QUANDO RICORDIAMOQUEGLI ANNI, RICORDIAMO IL BENESSEREINSIEME AI
DISAGI, AL FREDDO,ALLA FAME E ALLA PAURA, CHE IN QUELLEGIORNATE NON
CI LASCIAVANO MAI”.
Natalia Ginzburg
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materiale resistenteaprile 2000 3
Mentre le forze partigiane si riorga-nizzano ed accrescono la
loro effi-cacia operativa, alla fine di ottobreun vasto territorio
liberato e con-trollato dalle formazioni si spingefino alle
propaggini della bassa col-lina. Rispetto a luglio-agosto esso
èaccresciuto con la conquista diVarzi e di tutta la media/bassa
ValleStaffora, fino a Godiasco.Con la presa di Varzi,
l’OltrepoPavese acquista una dimensione eun respiro tali da
affiancarsi allealtre tre zone libere (piacentina,ligure e
alessandrina).Si viene così a creare una curiosacommistione tra la
forma della zonalibera e la repub-blica partigianavera e
propria,laddove la situa-zione di stabilitàraggiunta davaorigine
all’orga-nizzazione di unautentico gover-no sul territorio.Su
questa vastis-sima ‘zona libe-ra’ si scatena, afine novembre,
lafuria nazifascista.Il contesto gene-rale, caratterizza-to dal
proclamaAlexander e dal-l’arresto delleoperazioni sulla“linea
gotica” , èfin troppo noto.Un “inverno di sangue” promette-vano i
volantini lanciati dalle ‘cico-gne’ naziste sui territori
partigiani.Questa volta lo scopo dei nazifasci-sti era quello di
condurre un attaccodefinitivo, annientando le formazio-ni e
impartendo una dura lezionealle popolazioni di quelle valli
checollaboravano con i ‘ribelli’.Il rastrellamento, che parte
proprioa nord-est dello schieramento parti-giano (dal Pavese e dal
Piacentino)è una vicenda militare assai com-plessa, un mosaico di
fatti d’armegrandi e piccoli, una lunga serie diepisodi, di
violenze, di lutti. Ilpiano tedesco era quello di spingeresulle
cime dei monti tutte le forma-zioni con una grande manovra di
accerchiamento.Il 23 novembre i rastrellatori si muo-vono lungo
le direttrici della ValleScuropasso e della Ghiaia dei Risiverso lo
spartiacque di CostaCavalieri/Torre degli Alberi. Di quial Carmine
e a Ruino. DaZavattarello si scende a Pietragavina,da una parte; a
Romagnese e alPenice, dall’altra. La zona è sconvol-ta e messa a
ferro e a fuoco. Perl’Oltrepo son giornate di vera tre-genda: e
tanto più feroce è il com-portamento verso le popolazioniladdove i
partigiani tentano di resi-stere.Con la riconquista di Varzi,
abban-
donata dai garibaldini ai primi didicembre, le forze partigiane
si atte-stano sulle alture alla sinistra dellaStaffora, mentre a
Peli e a Coli lebrigate GL sono impegnate in furio-si
combattimenti.L’attacco e lo sfondamento avven-gono il 12 dicembre,
nella nebbia enella neve. L’affondo è diretto versol’alta Valle
Staffora. I tedeschiattuano l’ampia manovra avvolgen-te che dalla
valle, dal Tortonese edalle valli Liguri converge sui cri-nali
dell’Antola. È il momento delmassimo ripiegamento:
Giovà,Capannette, Monte Ebro, ValBorbera, Capanne di Carrega
(dovesi installa un’infermeria), CantalupoLigure sono i luoghi
della ritirata.
Tanto drammatica è ormai la situa-zione che a S. Sebastiano
Curone iresponsabili politici e militari deci-dono di procedere al
momentaneoscioglimento delle formazioni.L’ultima, non meno
drammaticafase è caratterizzata dall’epurazio-ne, dallo sfoltimento
degli organicie dall’occultamento, come condi-zione essenziale per
la sopravviven-za del movimento partigiano. Si dàcorso
all’operazione di ritorno apiccoli gruppi alle posizioni di
par-tenza attraverso le maglie delloschieramento nemico. Non che
ilnemico dia tregua alle formazioni oal gruppo tornato ai luoghi di
origi-
ne. Si tratta di con-trapporre, semmai,con quell’opera-zione, ad
una tatti-ca mobilissimauna tattica altret-tanto mobile.
Tradicembre e feb-braio la lotta siviene frantumandoin una serie di
epi-sodi nei quali sidistingue la ferociadella SichereitsAbteilung
e il cuiminimo denomina-tore è una cacciaall’uomo, che silascia
alle spalleuna scia di violen-za e di voglia divendetta.È l’inverno
delle
‘buche’, scavate nella neve. Non sispara se non si è attaccati,
non soloper la disparità delle forze incampo, ma anche per salvare
lapopolazione, provatissima, da sicu-re rappresaglie.La ripresa è,
però, evidente fin daiprimi di febbraio, quando il grossodelle
forze che ha operato il rastrel-lamento abbandona la zona e
ilfronte torna ad avanzare versoNord. Restano i presidi, per lo
piùfascisti, di varia entità.Anche in Oltrepo si assiste a unacauta
e lenta riorganizzazione. Il 18febbraio il Comando Divisione
dell’“Aliotta” si ricostituisce a Ca’d’Agosto, presso Torre degli
Alberi;poi torna a Zavattarello. Quattro
Capannette di Pei - “Americano” con alcuni responsabili di
distaccamento della “Aliotta” - Estate 1944
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materiale resistente aprile 20004
giorni prima la primavera era arri-vata in anticipo con lo
scontro, con-dotto in campo aperto, delle Ceneri.Ai primi di marzo,
con la difesa diZavattarello e la battaglia diCostapelata è
definitivamenterespinto l’estremo attacco concentri-co dalle valli
Scuropasso eArdivestra, che mirava a scardinareil sistema difensivo
faticosamentericostruito e imperniato suZavattarello. A metà marzo
Varzi,abbandonata dai nazifascisti, è ripre-sa. Tra la fine di
febbraio e i primi diaprile si riorganizzano le formazioni.Il 27
febbraio a Casa Marchese ècostituito il Comando operativo“Settore
Oltrepo pavese”, ancorasubordinato alle direttive delComando VI
Zona. L’accordo, riba-dito e perfezionato il 9 aprile sanci-sce
l’assetto finale delle formazioni
dipendenti dal Settore OperativoOltrepo Pavese.All’ordine del
giorno si pone, ormai,la discesa in pianura, che ha comeobiettivi i
centri maggiori postilungo la via Emilia.L’”Aliotta” discende la
ValleStaffora, puntando su Voghera; la“Gramsci” si dirige su
Casteggio; la“Masia” su Broni; la “Matteotti”
suStradella.L’insurrezione dura in provincia diPavia poco più di
quattro giorni.Attraversato il Po e occupato ilcapoluogo fin dal
pomeriggio, le for-mazioni dell’Oltrepo Pavese sono leprime ad
entrare in Milano la serastessa del 26 aprile, due giorni primadi
quelle dell’Ossola e cinque giorniprima degli americani della
VArmata. E proprio tra quei partigianidell’Oltrepo Pavese sono
scelti gliuomini per la missione di Dongo.
Partigiana dell’Aliotta a Pavia
26 aprile 1945
“Anche l’Italia ha vinto” è un CDRom prodotto e
realizzatodall’Istituto di Storia dellaResistenza e
dell’EtàContemporanea della Provincia diPavia (ISREC), con la
collabora-zione del comune di Stradella,dell’Associazione
NazionalePartigiani d’Italia provinciale edelle sezioni ANPI di
Stradella eVoghera.L’iniziativa, inserita nel progetto“Archivi del
’900”, intende ren-dere disponibile, per uso didatti-co, una parte
della documentazio-ne presente presso l’ISREC, apartire dalle
origini del fascismofino al secondo dopoguerra,offrendo occasioni
di stimolo ingrado di coinvolgere gli studentinell’uso appropriato
di materialedocumentario.Le indicazioni contenute nel CDsono una
traccia per orientare l’in-segnante nell’utilizzo di strumentie
materiali necessari ad un propriopercorso di ricerca. Una sorta
digrande magazzino a cui attingereper affrontare diversi temi di
lavo-
ro: testi, immagini e suoni - pre-senti e conservati in
originale -oppure documenti scritti, testimo-nianze, o la cartella
delle idee conle varie ipotesi storiografiche oquella di lavoro con
modelli persimulare il lavoro dello storico.Non si tratta di
cestinare i manualidi storia ma di avvicinare i ragazziai valori
etico-civili che furonoalla base di alcuni momenti fonda-mentali -
l’antifascismo e la resi-stenza in particolare -della nostrastoria
recente. La presentazione èprevista a breve.
Per informazioni: ISREC tel. 0382 - 32263
***
CD-ROM
“La Resistenza 1943-1945. L’italiadal fascismo alla
repubblica”.Laterza Multimedia
DA LEGGERE…
Tre volumi di base:
• Storia della Resistenza italiana”-R. Battaglia. Einaudi,
1964
•” Resistenza e storia d’Italia”- G.Quazza. Feltrinelli,
1976
• “Una guerra civile” - C. Pavone. Bollati Boringhieri, 1991
…SULL’OLTREPO
• “Storia della Resistenza in provin-cia di Pavia” - A. Barioli,
A. Casati,M. Cassinelli. Pavia, 1959
• “Oltrepo partigiano” (Documenti della Resistenza
armatanell’Oltrepo pavese - marzo ’44 -aprile ’45). Pavia, 1973
• “Il coraggio del no” - a cura di U.Alfassio Grimaldi. Pavia
1976
• “La resistenza e i suoi caduti tra ilLesima e il Po” - U.
Scagni.Varzi, 1995
• Il comandante “Americano” - U.Scagni. Varzi, 1998
Per conoscere e approfondire
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materiale resistenteaprile 2000 5
La lettura di un saggio inte-ressante, Il corpo del ducedi
Sergio Luzzatto (1) e il
riaffiorare di particolari falsi o pocoverosimili sulla fine di
Mussolini,mi inducono a riordinare i ricordi ea darne testimonianza
in modoorganico e non occasionale come hogià fatto in passato
(2).Non ero a Dongo il 28 aprile 1945,ma ho partecipato ai fatti
che hannopreceduto la partenza della spedi-zione di Aldo Lampredi
(Guido) eWalter Audisio e sono stato un testi-mone molto mattutino
dell’epilogodi Piazzale Loreto.Facevo parte delle formazioni
parti-giane dell’Oltrepo pavese entrateper prime nella Milano
insorta.L’Oltrepo comprendeva garibaldini- in netta maggioranza -
giellisti ematteottini. Il comandante era ItaloPietra (Edoardo il
nome di batta-glia), il commissario Mario AlbertoCavallotti
(Albero). Io ero il capo diStato maggiore.Era il 27 aprile, un
venerdì.All’alba, da Voghera, Casteggio,Broni e Stradella avevamo
preso lestrade che portano a Pavia. In pochisu automezzi e
motociclette; quasitutti a piedi.Da tempo il Comando generale
delCorpo volontari della libertà (Cvl)aveva disposto che anche i
partigia-ni dell’Oltrepo pavese dovesseroconvergere su Milano nel
momentodell’insurrezione. Ma gli Alleati -attraverso il capo della
missione para-cadutata nel cuore dell’Appenninoligure, piemontese e
lombardo - ciavevano ordinato di non superare ilPo. Non dovevamo
andare neppurea Pavia. Figuriamoci a Milano.Così la sera del 26
avevamo cercatodi nascondere al capitano ingleseBill (Basil Irwin)
la nostra decisio-ne. Andare a Milano era una que-stione di
principio per affermare lapresenza italiana nella guerra
diliberazione. Capii più tardi che le
nostre astuzie erano state superflueperché gli inglesi e gli
americanidelle missioni la pensavano un po’diversamente dai loro
generali.Avevano simpatia per i partigiani.In molti passammo il Po
su unapasserella rimasta intatta davantiall’abitato di Mezzana
Corti. Quantieravamo in cammino? Più di cin-quecento. Un terzo,
almeno, dell’in-tero Oltrepo degli ultimi mesi diguerra. C’erano le
brigate garibaldi-ne “Crespi” e “Casotti” al completoe
rappresentanti di altre brigate edelle formazioni GL e
“Matteotti”.Anche se tedeschi e fascisti eranoormai in fuga, pochi
partigiani can-tavano. A Voghera e negli altri cen-tri liberati il
26 avevamo perdutoalcuni compagni.A Pavia, il ponte moderno
sulTicino era stato salvato dalla distru-zione. Imboccammo Strada
Nuovain colonna. Facevamo bella figuraperché quasi tutti vestivamo
giacco-ni, giubbotti, camicie, pantaloni escarpe dell’esercito
americano checi aveva lanciato nelle ultime setti-
mane. In testa alle formazioni i tri-colori con una stella al
posto dellostemma sabaudo. Non mancavano ifazzoletti
rossi.Arrivammo al Castello. Il cortileera pieno di camion gialli
abbando-nati. C’erano anche alcune automo-bili e qualche
motocicletta col side-car. Così i tedeschi in fuga motoriz-zarono
l’Oltrepo.Nel primo pomeriggio imboccam-mo di nuovo la statale 35.
Beltempo, cielo azzurro. In testa allacolonna la moto di “Ciro” e
di“Gim” della brigata “Crespi” e laVolkswagen scoperta del
Comandodi zona. Guidava il “Moro”, con afianco Alfredo Mordini
(Riccardo,ispettore delle brigate Garibaldi);dietro “Edoardo”,
“Albero” e io inmezzo.Il comandante della divisioneGramsci, Luchino
Dal Verme, detto“Maino”, era in una Citroen neracon Beppe
Mangiarotti (Alfredo,medico e combattente) e LuigiFrattini (detto
“Celere”). Guidava laCitroen il mago Cignoli, il meccani-
Testimonianza di uno dei protagonisti
� Paolo Murialdi
Prima e dopo la fucilazione di Mussolini
Paolo Murialdi (secondo da sinistra con il braccio alzato) con
“Riccardo”
(Alfredo Mordini) leggendario ispettore delle Brigate Garibaldi
a Pavia
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materiale resistente aprile 20006
co che aveva saputo far mar-ciare le auto predate con
l’al-cool.Nella colonna di camion cen’era anche uno piccolo
escoperto che comparirà nellaspedizione di Dongo. Nonera militare;
apparteneva allasocietà elettrica Ovesticino.Lungo la strada non
incon-trammo né tedeschi né fasci-sti. Scappavano verso nordper vie
secondarie e sentieritra i pioppi. Prima di Binascofummo presi di
mira da unaaereo alleato che evidente-mente ci considerò tedeschi.
Lasventagliata uccise un partigiano ene ferì tre.Verso le 16
arrivammo al dazio diConca Fallata. In fondo al rettilineoluccicava
nel sole la Madonnina. Cifermammo inquieti. Non sapevamoche cosa
stesse avvenendo aMilano, da che parte entrare e dovedirigerci.
Dalla grande incertezza citolsero Riccardo e il telefono
delbar-trattoria sull’angolo dello slargodel dazio. Da una base
clandestinadelle Garibaldi risposero che cisarebbero venuti
incontro di corsa.Si capì che non ci aspettavano.Dopo una mezz’ora,
da unaTopolino un po’ ansimante sceseGeo Agliani, cioè
l’ispettore“Giorgio” che era salito alcunevolte nell’Oltrepo. Ci
guidò verso ilcentro attraverso le consuete stradeper chi arrivava
da Genova. Più
tardi vidi i nomi: via Conchetta,corso San Gottardo. Fu un
tragittoindimenticabile perché tra le casesemidiroccate,
incontrammo il tri-pudio della gente. Applausi, evvivae i welcome
di chi ci prendeva peramericani o inglesi. “Edoardo” e“Albero”
ebbero persino dei bacisulle gote perché la colonna proce-deva
lentamente e l’auto era scoper-ta. A me, che sedevo in mezzo,
nontoccò nessun bacio.Eravamo emozionati, frastornati,quasi
increduli che il destino ciavesse portato per primi a Milano,dove
Mussolini aveva raccoltoancora molti applausi nella sua ulti-ma
comparsa tra la folla. A PortaTicinese “Giorgio” ci fece svoltarea
destra per i vialoni. Procedemmopiù in fretta. Ci arrestammo
unavolta sola perché Alberto avevavisto suo padre in mezzo alla
genteche ci salutava.
Ci portammo apiazzale Loretodove c’era folla.Sapevamo che erala
piazza in cui itedeschi avevanofatto fucilare quin-dici
antifascistilasciandone a lungoi cadaveri per terra.Sul tetto di
uncamion salirono ilcomandante delle bri-gate Garibaldi
dellaLombardia “Fabio”(Pietro Vergani) ed“Edoardo”. Il
loroimprovvisato salutoalla libertà fu breveperché dal tetto di
una casa partirono alcunicolpi di fucile. I nostri rispo-sero
all’impazzata.Poi ci guidarono in vialeRomagna, al grande
edificiodelle scuole, vicino a piazzaleSusa, che è ancora come
allo-ra. Passando davanti allaCasa dello studente altri sparicontro
di noi. Dissero che ciavevano preso per fascisti.Comunque, quelli
della“Casotti” spararono qualchecolpo di bazooka e tutto
sicalmò.Nelle scuole non c’era nulla,
all’infuori dei banchi, degli attacca-panni e dei gabinetti.
Avevamofame e sonno. Alla fame provviderocon slancio commovente gli
abitantidelle case popolari di via BeatoAngelico che portarono nei
cortilitutto quello avevano. Per il sonnoarrivarono balle di
paglia.La stanza del portiere della scuoladiventò la sede del
Comando dizona. C’era una branda e c’era untelefono che funzionava.
Il secondodi questa irripetibile giornata.Da quel telefono, la
sera, arrivò lachiamata di “Edoardo” e di“Maino” da parte del
generaleCadorna. Cominciò così il legamedell’Oltrepo con Dongo e
con lafine di Mussolini, di ClarettaPetacci e dei gerarchi di
Salò.Andarono in via del Carmine, alpalazzo del Comando militare,
doveerano insediati da poche ore icomandanti del Cvl. Dopo
un’oraall’incirca il telefono della scuolasquillò di nuovo. Era
“Edoardo”.Mi disse che bisognava preparareun drappello di
partigiani per unaimpresa importante e delicata.Cominciassi a
scegliere una dozzinadi uomini assieme a “Ciro”, coman-dante della
brigata “Crespi”. Li sce-gliessimo di montagna perché menoemotivi.
Il resto me lo avrebbedetto al suo ritorno.Quando rientrò in viale
Romagnami rivelò che il drappello dovevaeseguire la condanna a
morte diMussolini e dei gerarchi catturatisul lago di Como.
Aggiunse che lamissione era affidata al colonnello“Valerio” del
Comando Cvl. A capodei nostri - disse - doveva esserci
Partigiani della brigata “Crespi” a Pavia
“AVEVO VENTIQUATTRO ANNI, POCO
SENNO, NESSUNA ESPERIENZA E UNA
DECISA PROPENSIONE, FAVORITA DAL
REGIME DI SEGREGAZIONE A CUI DA QUAT-
TRO ANNI LE LEGGI RAZZIALI MI
AVEVANO RIDOTTO, A VIVERE IN UN MIO
MONDO SCARSAMENTE REALE, POPOLATO
DA CIVILI FANTASMI CARTESIANI,
DA SINCERE AMICIZIE FEMMINILI ESANGUI.
COLTIVAVO UN MODERATO E ASTRATTO
SENSO DI RIBELLIONE. NON MI ERA STATO
FACILE SCEGLIERE LA VIA
DELLA MONTAGNA...”
Primo Levi”Se questo è un uomo”
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materiale resistenteaprile 2000 7
“Riccardo”, vecchio combattentedi Spagna e del maquis.
Completammo la scelta dei 12 par-tigiani. Con “Riccardo” e con
lorosarebbero andati anche il responsa-bile del Sip (Servizio
informazionie polizia), che era Orfeo Landinidetto “Piero”. Come
mezzo di tra-sporto scelsi il camion scopertodella Ovesticino. Gli
uomini ci sta-vano stretti, ma era l’automezzo piùveloce tra quelli
che avevamo tro-vato sulla nostra strada.A questo punto - saranno
state le cin-que e mezzo del 28 - accadde ungrave malinteso, frutto
della confu-sione che regnava sia al Comandodel Cvl sia nell’atrio
delle scuole diviale Romagna. Io avevo mandatogli uomini in via del
Carmine, men-tre “Valerio” veniva a incontrarli allescuole. Arrivò
su una Millecentonera con i parafanghi imbiancati.Con lui, oltre
all’autista, c’era unuomo che indossava un impermea-bile bianco.
“Valerio”, invece,aveva una giacca a vento grigia -certamente preda
bellica - sullaquale spiccavano i gradi (un rettan-golo rosso con
due stelle dorate) eimbracciava un mitra.Il contrattempo fece
andare inbestia “Valerio”. Non riuscimmo achiarirlo perché
“Edoardo” era
andato con Fabio ad aspettareMoscatelli e i garibaldini della
vald’Ossola che arrivarono a Milanonella notte del 28 aprile.Nel
frattempo, il drappello tornò inviale Romagna. Quando vide ilcamion
“Valerio” mi investì confoga dicendo che era piccolo. Glirisposi
con altrettanta decisione chebastava ed era veloce. A questopunto
l’uomo dell’impermeabilebianco lo sollecitò a partire. Per
ilcompito che dovevano affrontare eper le prevedibili difficoltà
del tra-gitto attraverso contrade dove lesparatorie si sprecavano,
era pro-prio il caso che si muovessero.Partirono. Saranno state le
sette opoco prima. A Milano il tempo eraancora al bello.Per tutta
la giornata e la sera del 28fummo privi di notizie. “Edoardo“mi
confidò alcuni particolari del-l’incontro con Cadorna. Disse diaver
dato un calcio in uno stinco a“Maino” perché temeva che
rispon-desse a Cadorna che sarebbe andatolui stesso a Dongo. Non
era proprioil caso perché l’uomo destinato aguidare la missione era
uno delComando generale ed era lì a dispo-sizione di Cadorna e di
LuigiLongo. Un altro particolare che micolpì fu l’importanza del
telefono
nella vicenda. La notizia della cat-tura di Mussolini e dei
gerarchi eraarrivata a Milano per telefono, siadalla casermetta
della Guardia diFinanza di Germasino sia più tardida una centrale
elettrica. Era natura-le chiedersi che cosa sarebbe suc-cesso se la
notizia non fosse arriva-ta subito. Si sapeva che gli Alleati,in
particolare gli inglesi, volevanoMussolini vivo.Capimmo, inoltre,
chi era l’uomoche accompagnava “Valerio”. Era ilvice di Longo al
Comando genera-le. Ne avemmo conferma il 6 mag-gio, alla sfilata
dei partigiani nellevie centrali di Milano. Era in secon-da fila
alle spalle di Longo. Avevacombattuto in Spagna e poi nelmaquis
nella zona di Marsiglia.Contava più lui del
colonnello“Valerio”.Vivemmo in grande ansia una gior-nata frenetica
e una notte incerta.La prima notizia la ricevemmoall’alba del 29
aprile, domenica. Efu una bomba. Per telefono uno deinostri mi
disse con voce rotta cheerano in piazzale Loreto con i cada-veri
dei fucilati.“Edoardo”, io e il “Moro” saltam-mo nell’auto gialla e
riuscimmo atrovare rapidamente la piazza doveavevamo sostato il
giorno del
Foto di gruppo di garibaldini a Pavia
-
materiale resistente aprile 20008
nostro arrivo. C’era gia parecchiagente, altra ne arrivava dalle
grandistrade, ma il “Moro” riuscì a tocca-re con le ruote anteriori
la cordona-tura del marciapiede, proprio difronte al punto in cui
giacevano icorpi di Mussolini e di ClarettaPetacci.Bastò alzarci in
piedi per vederetutto intero lo sconvolgente spettaco-lo: il
dittatore, la sua favorita e igerarchi nella polvere. Sul
marcia-piede in lieve curva, dove i tedeschiavevano lasciato per
ore i corpi degliantifascisti fucilati, Mussolini e laPetacci erano
al centro; a destra e asinistra i gerarchi e i loro seguaci.Le
immagini fotografiche e filmi-che sono conosciute e la scena èstata
descritta molte volte. I signifi-cati che ha avuto quella giornata
apiazzale Loreto sono stati analizzatida alcuni studiosi, al di la
delleinterpretazioni ideologiche e politi-che di parte (3). Per
questo cito sol-tanto alcuni particolari che mi col-pirono.
Mussolini aveva gli occhisemiaperti, come se guardasse lon-tano.
L’asta che era stata infilatanella sua mano era lucente e
termi-nava con l’insegna dorata del fasci-smo di Salò. La folla non
era ancorastraripante ma cresceva di momentoin momento. Sui corpi
collocati suquel marciapiede che oggi non c’èpiù, si vedevano i
segni dell’ira edegli oltraggi - i calci, gli sputi e icolpi di
rivoltella - che di lì a pocoriprenderanno gli operatori ameri-cani
di Combat Film.“Edoardo” ordinò ai nostri di spara-re in aria; poi
arrivarono dei vigilidel fuoco con l’autopompa, ma négli spari né
il getto d’acqua bastaro-no a tenere la gente a distanza.I ragazzi
dell’Oltrepo apparivanostralunati, inebetiti per le emozionie le
paure vissute durante il ritornoa Milano - come sapemmo più tardi-
e per la stanchezza.Ritirammo i nostri. Ne prese ilposto un reparto
di Moscatelli; per-ciò non seppi chi decise di appende-re i corpi
di Mussolini, della Petaccie di altri due fucilati al traliccio
deldistributore di benzina. Si disse cheera stato fatto per
mostrarli allafolla; ma il risultato fu più racca-pricciante.
Dai nostri raccolsi notizie su quel-l’evento tragico e
ineluttabile; masoltanto su come si erano svolti ifatti prima di
Como, col cambio delcamion, e poi a Dongo. Era statauna corsa
drammatica per timoreche arrivassero americani e inglesi.Il cambio
del camion era avvenutoa Como e ora quello del trasportodei
cadaveri era ben visibile a piaz-zale Loreto. Era un vecchio Fiat
datraslochi, ma senza scritte. Sulledue pareti erano state aperte
delleferitoie orizzontali. Doveva esserestato trasformato così
dalle Brigatenere per i rastrellamenti.I nostri partigiani sapevano
poco onulla della fucilazione di Mussolinie della Petacci. Il
plotone e“Riccardo” erano rimasti sempre aDongo. Sulle colline dove
si trova-no Bonzanigio e Giulino diMezzegra, dei nostri forse era
salito“Piero”, ma né lui né altri lo disseroallora. E il suo nome
di battaglianon figura nella relazione che AldoLampredi si decise a
scrivere nel1972 correggendo vari particolaridel racconto del
colonnello Valerio.La relazione è stata pubblicata il 23gennaio
1996 (4). Se dagli archividel Pci non usciranno altri docu-menti
penso che la relazione diLampredi sia quella attendibilesulla morte
di Mussolini e dellaPetacci.Drammatico fu il racconto del ritor-no
a Milano nella notte tra il 28 e29 aprile, racconto che venne
fattoanche dai nostri. Cominciò con lasosta del camion ad Azzano
percaricare i cadaveri di Mussolini e diClaretta e si concluse con
il bloccoavvenuto allo stabilimento dellaPirelli, gia in città, da
parte di parti-giani che credettero di trovarsi difronte dei
fascisti che trafugavano ilcorpo del dittatore. Su questi fatti
levarie versioni concordano.Sulla base della conoscenza direttadi
questi e di altri particolari colle-gati ai fatti di Dongo e di
piazzaleLoreto e dalle notizie che mi diede-ro “Edoardo” e “Maino”
sul collo-quio con Cadorna, e “Riccardo”sulla spedizione nell’Alto
lago,trassi alcune conclusioni che riten-go valide e alcune
deduzioni affida-bili. La frequente comparsa di ver-
sioni diverse sulla fine diMussolini, comparsa che si
ripeteràancora nonostante siano passatiquasi 55 anni, non ha
modificato lasostanza delle mie conclusioni edelle mie deduzioni.
Eccole: 1. Chiedendo che l’Oltrepo mettes-se a disposizione del
Comandogenerale (del quale “Valerio” facevaparte) il plotone per
eseguire le con-danne a morte, Cadorna non parlòdel trasporto dei
fucilati a Milanoné citò la presenza della Petacciaccanto a
Mussolini. Presenza chele costò la vita.2. Chi fece la scelta di
esporre icadaveri a piazzale Loreto nellostesso posto dove erano
stati fucilatiquindici antifascisti? Secondo unadichiarazione di
“Albero”,Commissario dell’Oltrepo pavese, erastato Luigi Longo (5).
SecondoLampredi - e lo ha scritto nella suarelazione gia ricordata
- la scelta dipiazzale Loreto la fecero lui e ilcolonnello
“Valerio” quando eranogia arrivati a Milano in piena notte.Lampredi
aggiunge che Longo nonapprovò questa scelta. La mia con-vinzione è
che la decisione di porta-re i cadaveri a Milano era già statapresa
da Longo e da Pietro Secchia.Lo prova l’alterco fra “Valerio” e
ilsottoscritto - il camion è piccolo;no, il camion basta - e
l’affannosaricerca a Como di un camion gran-de e coperto. Restava
l’incognitasulle possibilità di farlo contro ilvolere degli
americani e degli ingle-si che avevano ordinato al governoitaliano
di consegnare a loro il ditta-tore per processarlo e che,
nellagiornata del 28 aprile arrivarono,con robuste avanguardie, a
Como.3. A proposito di Luigi Longo,ritengo infondata la tesi,
sostenutadagli autori di due libri sulla fine diMussolini, che
sarebbe andato luiad eseguire la condanna a morte deldittatore. Per
la semplice ragioneche il viaggio Milano - Dongo eritorno
richiedeva, in quel momentomolte ore e presentava rischi che
ilcomandante generale del Corpovolontari della libertà e numero
unodel Partito comunista nel nord, nonpoteva correre.4. Concludo
citando una voce che èstata nuovamente diffusa di recente,
-
materiale resistenteaprile 2000 9
Al volante della macchinarichiamata da Murialdi,nelle pagine
precedenti,
c’era Moro, nome di battaglia diPiero Merlini, presidente
dell’ANPIdi Voghera, che ha ricordato con noialcuni episodi della
sua esperienzapartigiana.Come inizia la tua esperienza partigiana?A
piazzale Loreto come c’eri arrivato? Dopo l’8 settembre lascio
l’esercito -ero sottufficiale autocentro a Zara, inJugoslavia - e
ritorno a casa, nascon-dendomi con altri giovani. Dal 1941sono
iscritto al Pci e tutta la mia fami-glia ha una lunga tradizione
antifasci-sta. Abitavo in frazione Sgarbina diMontebello e con una
serie di compa-gni - Ciro (Carlo Marchesi), Losa,Marchetti, Rinaldi
e altri si discutevaanimatamente sul “che fare”. Dopoalcuni
incontri ai quali ricordo inter-venne anche Beniamino
Zucchella(combattente in Spagna e nel maquisfrancese, esponente di
spicco del Pciclandestino) la svolta è nelmarzo/aprile 1944 quando
conDomenico Mezzadra (Americano),Carlo Lombardi (Remo),
CarloAllegra (Tom) si decide di avviare lacostituzione di gruppi
partigianiUna scelta non scontata...Certo, perché il CLN di Voghera
rite-neva non ci fossero le condizioni perla nascita della
guerriglia in Oltrepo.Nonostante questo, Americano, Remoe Tom fanno
una prima puntata esplo-rativa verso Capanne di Cosola. Alloro
rientro la decisione è presa eparte un gruppo di cinque persone.
Iosono salito dopo una ventina di gior-ni, a fine maggio, e ricordo
ancora ildialogo con Americano che mi parla-va di una
organizzazione perfetta, didecine di uomini... invece a Capannedi
Cosola non c’era nessuno ed aPian dell’Armà ci accampiamo sottouna
tenda di rami e paglia! IntantoRemo saggiava il terreno,contattava
icontadini, anche con piccoli comizivolanti, ed otteneva lentamente
lafiducia di quella gente, oltre a pane,
lardo, quel poco che c’era... ho anco-ra in mente quel
minestrone di erbeche non finiva mai. Ma poi il grupposi allarga ed
arriva anche PrimulaRossa (Angelo Ansaldi) con una doz-zina di
ragazzi varzesi e si forma la“Capettini”, con circa 150 uomini,
instragrande maggioranza del posto. Laguiderà Americano, passando
poi alvice Primula Rossa il comando.Questa la situazione fino al
rastrella-mento dell’agosto 44.E le armi, ad esempio, come
arri-vavano?All’inizio non c’erano quasi: unmitra, qualche
moschetto… ma poicominciano i colpi lungo la viaEmilia, anche se
prima c’erano statigli attacchi alle sedi del Fascio.Scendevamo in
macchina, una 1100nera di un noleggiatore di Broni,tenuta a
Pianostano, passavamo perNegruzzo e attraversavamo loStaffora. La
benzina era fornita daPiazzardi. Ricordo a Broni, nell’estate
nonostante le smentite dell’interes-sato (6). Dice che il
comandante“Maino” (Luchino dal Verme) abbiatentato di inseguire la
spedizione di“Valerio” e Lampredi per evitare lafucilazione di
Mussolini e portarlo,invece, prigioniero a Milano conse-gnandolo al
generale Cadorna. Perscrupolo ho interpellato nuovamen-te Luchino
dal Verme il quale mi harisposto, il 12 gennaio 1999, conqueste
parole: “Non è la prima voltache viene fuori questa
storia.Inventata di sana pianta, non sopensare da chi e a che
scopo”.Temo sia il frutto di un settari-smo politico-ideologico
duro ascomparire.
Bibliografia
(1) Sergio Luzzatto “Il corpo del duce.
Un cadavere tra immaginazione, storia
e memoria” Torino, Einaudi 1998
(2) Cfr. Richard Collier “Duce! Duce!
Ascesa e caduta di Benito Mussolini”
Milano, Mursia 1983 (la ediz. 1971):
Paolo Murialdi “Così incontrai il par-
tigiano rimasto in ombra” l’Unità
26/1/1996
(3) Si vedano S. Luzzatto “Il corpo del
duce” cit. e Mirco Dondi “Piazzale
Loreto 29 aprile: aspetti di una pubbli-
ca esposizione” Rivista di storia con-
temporanea 1990 n. 2
(4) Aldo Lampredi “Ci disse: mirate al
cuore” L‘Unità 26/1/1996. Una docu-
mentazione interessante si trova nei
verbali della Guardia di finanza, pub-
blicati a cura e con una introduzione di
Marino Viganò “Arresto ed esecuzione
di Mussolini nei rapporti della Guardia
di finanza” Italia contemporanea 1996
pp. 113-138
(5) Giulio Guderzo “Missione Dongo”
Annali di storia pavese 8-9 1993 pp.
177-184
(6) Cfr. F. Bernini “Così uccidemmo il
Duce. Da Varzi a Dongo con i fucila-
tori dell’Oltrepo” sl. Cdl ed. 1998 p.
73
Tratto da “Italia contemporanea”n.215 - giugno 1999 - Carocci
edi-tore - Roma
Si ringrazia la redazione di “Italiacontemporanea” e la Carocci
edi-tore per aver consentito la pubbli-cazione del documento
Ti ricordi quel 25 aprile?
Moro con un partigiano a Voghera
-
materiale resistente aprile 200010
del ’44, con noi sulla macchina sco-perta a sparare in aria per
aprirci lastrada e la gente che scappava daitavolini dei bar, ad
Arena Po, dovec’è un cruento scontro a fuoco con ifascisti. Un
episodio particolare èquello accaduto rientrando dall’attac-co a
Broni. Blocchiamo un camionci-no dei repubblichini e scopriamo
chetrasporta ben 120 paia di scarponcinigialli diretti da Piacenza
a Genova. Lisequestrammo insieme ai due militi discorta. Uno,
malato, rimarrà con noimentre l’altro lo lasciamo andare.Tu rimani
con Americano, sei in prati-ca il suo uomo di fiducia, anche
nellefasi successive al rastrellamento del-l’estate 1944...Si,
anche dopo la nascita della Crespicon Ciro al comando, resto con
Tom eAmericano fino alla liberazione diVoghera, poi proseguo per
Pavia eMilano... ci sarebbe molto da raccon-tare sulle fasi
successive ed anche suirapporti tra le diverse formazioni
par-tigiane. Ma torniamo ai giorni del 25aprile. A Rivanazzano,
nella nostradiscesa verso Voghera, incappiamo inun battaglione di
Alpenjager tedeschiasserragliati nella Villa Mezzacane.Oltre un
centinalo di uomini benarmati, ma ormai privi di collegamen-to e
informazioni con il loro comando.Chiediamo di trattare e
l’incontroavviene in una trattoria chiamata“Americana“.Si
presentano un colonnello e duecapitani con altri uomini.
Vogliono
passare, con armi e mezzi, in attesa diarrendersi agli alleati.
Americanosorride e il invita ad arrendersi,saranno nostri
prigionieri fino all’ar-rivo degli alleati, l’onore delle armisolo
agli ufficiali. C’è uno scontroverbale violento tra il colonnello
edun capitano che vuole ancora com-battere, lo stesso che tenterà
anche ilsuicidio, bloccato però da un parti-giano. Poi la resa.
Quello che mi col-pisce è il senso di stanchezza e rasse-gnazione
dei soldati, pochi lasciano learmi con dispiacere, quasi tutti le
get-tano con sollievo, molti calpestando i
fucili, prima di incolonnarsi verso laprigionia a Varzi.Quindi
l’arrivo a Milano...Dopo Voghera è la volta di Pavia conil raduno
al Castello, dove la Crespidi Ciro riceve l’ordine di avanzare
suMilano con 7/8 camion, autoblindo,macchine e moto, credo circa
300/350uomini. Io sono al volante della mac-china richiamata da
Murialdi e ricor-do l’ingresso a Milano, l’arrivo inviale Romagna
con i cecchini fascistiche ancora ci sparavano contro. Ilgiorno
seguente veniamo chiamati apiazzale Loreto. La scritta “Comandozona
Oltrepo” sulla fiancata ci con-sentiva di avanzare tra la folla
cheapplaudiva, urlava e nella quale c’e-rano anche strani
personaggi carichidi stelle, gradi e nastrini che si atteg-giavano
a partigiani, con grandi risa-te da parte dei nostri compagni.
Lascena di piazzale Loreto era dramma-tica, troppa gente cercava di
avvici-narsi per infierire sui cadaveri, furonomomenti di grande
tensione.Di certo, però, quello che rimanenella memoria di quei
giorni è ungrande senso di “liberazione”: uomi-ni e donne che
inneggiavano allalibertà, ti salutavano, volevano cono-scerti e
sapere, offrivano quello cheavevano.Momenti indimenticabili che
ancoraoggi, nonostante le amarezze perquello che è successo dopo,
mi riem-piono di orgoglio per quello cheabbiamo fatto.
Contro l’Austria chedimentica e rivaluta il
fascismo ricordiamo lemigliaia di antifascistiaustriaci
deportati, torturati,nelle carceri e nei lager,caduti vittime del
terrorehitleriano: “… non ho com-messo alcun delitto controlo
Stato. E non sono nem-meno un eroe, un martire,sono soltanto ciò
che sonosempre stato, un uomo sem-plice, semplicissimo, cheha
dovuto morire perché
non era adatto per questitempi terribili, come molte,molte
migliaia prima e dopodi me. Ho dovuto morireperché la solidarietà
umanami era filtrata nel sangue,perché stimavo superiorealla mia
salvezza personaleil rispetto verso il mio pros-simo, verso i miei
compagnidi lavoro. Provengo daun’epoca in cui la solida-rietà aveva
un significato,era una questione d’onoreper ogni lavoratore che
si
rispetti, e costituiva ilprimo, il più importantepresupposto
della lotta edella vittoria per un mondomigliore, più felice.
Speroche questa solidarietà, que-sto amore per il prossimo,non
importa con qualenome si voglia chiamarequesto unico,
meravigliososentimento, divenga profi-cuo anche per voi e
possiateprogredire nel grembo dellafamiglia e della più
vastacomunità…”.
(Franz Mager, 47 anni,
falegname, militante di
sinistra, sindacalista, atti-
vista clandestino, arresta-
to nel 1935 e poi nel 1941,
processato nel 1942 e tra-
dotto nel Landersgericht
di Vienna dove viene ucci-
so il 26 febbraio 1943.
“Lettere di condannati a
morte della Resistenza
europea” - a cura di P.
Malvezzi e G. Pirelli).
WIDERSTAND - RESISTENZA
L’Austr ia che dimentica…
SIAMO STATI INSIEME
Siamo stati insieme diventando insieme uomini:se il mondo era
diviso erano uniti i nostri cuori aperte le nostre porte.
Brillava su tutti i visi una speranza comune una raggiunta
esistenza giovane in mezzo ai dolori:ci siamo riconosciuti.
Un popolo nuovo, immune dai limiti ripetuti nasceva con nuovi
nomi sicuro dalla morte.
Era la Resistenza Carlo Levi
-
materiale resistenteaprile 2000 11
La recente sentenza pronun-ciata per la strage allaQuestura di
Milano del 12
maggio del 1973, che attribuisce auna complessa rete tra
neofascisti,servizi segreti italiani e apparatimilitari e di
controllo atlantici laresponsabilità su quell’evento, siproietta
positivamente anche sulprocesso in corso per la bomba diPiazza
Fontana del 1969. Quelleche sono state per anni le prese
diposizione di una parte consistentedella società civile, possono
diven-tare oggi delle realtà processuali,affermate da sentenze e
condanneche peseranno certo più sul pianostorico che su quello
strettamentegiudiziario.Eppure, malgrado la verità sullaStrategia
della Tensione affiori pianpiano dopo tanti anni, presso ladestra
radicale, il cui ambiente èstato più volte coinvolto anche
inpassato nelle indagini sullo stragi-smo, la realtà storica
continua aessere negata. Al punto che versoquesto fenomeno si
potrebbe parla-re a destra di un vero e proprio ten-tativo di
“revisionismo storico” che,anche quando arriva ad ammettereil ruolo
avuto dai neofascisti nellestragi, finisce però per stravolgere
ilquadro storico in cui i fatti sonoaccaduti.Così, una delle
principali novitàemerse negli ultimi anni negliambienti della
destra estremariguarda l’ammissione che i neo-fascisti presero
effettivamenteparte a quella strategia, ma questoin un contesto che
attribuisce adaltri le vere responsabilità. È delmarzo del 1997 ad
esempio lacelebre intervista al Corriere dellaSera in cui
Gianfranco Finidichiarava: “Che quel terrorismostragista abbia
usato anche unamanovalanza arruolata nell’estre-ma destra è vero.
Ma resta il gran-de mistero su chi erano gli arruo-latori”. Il
leader di An precisavacosì la sua dichiarazione: “l’ever-sione
neofascista cos’era?
Spontaneismo armato, reazione,nichilismo ideologico frutto di
allu-cinazione culturale. Non c’era unprogetto”.Se la destra
radicale non avessecontemplato, dall’immediato dopo-guerra fino
alla fine degli anni set-tanta, tra le sue opzioni politichequelle
del colpo di mano militarepiuttosto che dell’atto violento taleda
suscitare una reazione d’ordine,è chiaro che il ragionamento di
Finiavrebbe senso. A smentirlo ci sono però qualcosacome trenta
anni di cultura e propa-ganda missina e di tutto il neofasci-smo.
Senza contare le centinaia diprocessi che hanno indicato
neineofascisti non solo gli esecutori,ma anche i sostenitori del
progettosociale che con le bombe si volevacostruire.Non è un caso
che uno dei maggioristudiosi dello stragismo, FrancoFerraresi,
abbia parlato di un “climaomogeneo di opinione e di intenti”a
proposito della genesi della strate-gia degli attentati
indiscriminatinelle piazze e sui treni.Ma a destra sembra si voglia
rimuo-vere completamente questa realtà,facendo ricorso a qualunque
altrainterpretazione della storia.Salvatore Francia, un militante
di
“Ordine Nuovo” di Torino più volteindagato dalla magistratura
neglianni settanta, rilegge quelle vicenderigettando qualunque
ruolo dei neo-fascisti organizzati nelle stragi. Nelsuo libro
“Radici storiche e ragionidella Strategia della
Tensione”,pubblicato nel 1996 dalla SocietàEditrice Barbarossa di
estremadestra, Francia ripercorre le vicendeitaliane alla luce di
un esclusivoscontro tra est e ovest, senza coin-volgimento alcuno
da parte deigruppi della destra estrema, chesarebbero state
piuttosto le vittimedi una sorta di caccia alle streghe.Del resto
tra le premesse del suolibro c’è una frase che non potrebbeessere
più chiara quanto alle inten-zioni dell’autore: “La legittimazio-ne
forzata del terrorismo praticatodalla Resistenza europea ha
creatogravi precedenti, poiché in essapossono trovare a loro volta
legitti-mazione tutte le forme di terrorismoche nel secondo
dopoguerra abbia-mo conosciuto, come tutte le formedi terrorismo
che verranno”.Ma il punto più alto di questo “revi-sionismo”
applicato alla storia dellestragi italiane lo si è toccato
direcente sulle pagine del mensile diAlleanza Nazionale, Area. In
un lungo dossier dedicato al
“ritorno delle piste nere”, pubbli-cato in concomitanza con la
ripre-sa del processo per PiazzaFontana, si poteva leggere
cometutte le inchieste sulle stragi sipossano riassumere in
un’unicagrande “strategia della mistifica-zione” contro la
destra.“Che cosa accadrebbe infatti, ci sichiedeva in quel numero
di Area,se si finisse per ammettere che ifascisti sono stati
accusati ingiu-stamente di tutte le stragi?”. I veri responsabili,
suggerisce larivista di An, dovrebbero esserecercati altrove:
magari tra glianarchici. Peccato che agli uominidi Fini sfugga che
questa pistaqualcuno la aveva già indicatadavvero, oltre trenta
anni fa.
25 APRILE
La chiusa angoscia delle notti, il pianto delle mamme annerite
sulla neve accanto ai figli uccisi, l'ululato nel vento, nelle
tenebre, dei lupi assediati con la propria strage, la speranza che
dentro ci svegliava oltre l'orrore le parole udite dalla bocca
fermissima dei morti "liberate l'Italia, Curiel vuole essere
avvolto nella sua bandiera":tutto quel giorno ruppe nella vita con
la piena del sangue, nell'azzurro il rosso palpitò come una gola. E
fummo vivi, insorti con il taglio ridente della bocca, pieni gli
occhi piena la mano nel suo pugno: il cuored'improvviso ci apparve
in mezzo al petto.
Alfonso Gatto
Per non cancellare la lunga rete di complicità tra neofascisti,
apparati dello Stato e organismi atlantici
� Guido Caldiron
Revisionismo sulle stragi
-
“Vedi - dice Kim - a quest’orai distaccamenti cominciano asalire
verso le postazioni, in
silenzio. Domani ci saranno deimorti, dei feriti. Loro lo
sanno.Cosa li spinge a questa vita, cosa lispinge a combattere,
dimmi? Vedi,ci sono i contadini, gli abitanti diqueste montagne,
per loro e già piùfacile. I tedeschi bruciano i paesi,portano via
le mucche. È la primaguerra umana la loro, la difesa dellapatria, i
contadini hanno una patria,cosi li vedi con noialtri, vecchi
egiovani, con i loro fucilacci e lecacciatore di fustagno, paesi
interiprendono le armi; noi difendiamola loro patria, loro sono con
noi.E la patria diventa un ideale sulserio per loro, li trascende,
diventala stessa cosa della lotta: loro sacri-ficano anche le case,
anche le muc-che pur di continuare a combattere.Per altri contadini
invece la patriarimane una cosa egoistica: casa,mucche, raccolto: e
per conservaretutto diventano spie, fascisti, interipaesi nostri
nemici (...).E basta un nulla, un passo falso, unimpennamento
dell’anima e ci sitrova dall’altra parte, come Pelle,
dalla brigata nera, a sparare con lostesso furore, con lo stesso
odio,contro gli uni o contro gli altri, falo stesso.Ferriera mugola
nella barba: -Quindi, lo spirito dei nostri… equello della brigata
nera… la stessacosa?- La stessa cosa, intendi cosa vogliodire, la
stessa cosa… - Kim s’è fer-mato e indica con un dito come setenesse
il segno leggendo; - La
stessa cosa ma tutto il contrario:perché qui si e nel giusto, la
nellosbagliato. Qua si risolve qualcosa,là ci si ribadisce la
catena.Quel peso di male che grava sugliuomini del Dritto, quel
peso chegrava su tutti noi, su me, su te, quelfurore antico che è
in tutti noi, eche si sfoga in spari, in nemiciuccisi, e lo stesso
che fa sparare ifascisti, che li porta a uccidere conla stessa
speranza di purificazione,di riscatto. Ma allora c’è la storia.C’è
che in noi, nella storia, siamodalla parte del riscatto, loro
dall’al-tra. Da noi, niente va perduto, nes-sun gesto, nessun
sparo, pur ugualeal loro, m’intendi? Tutto servirà senon a liberare
noi a liberare i nostrifigli, a costruire un’umanità senzapiù
rabbia, serena, in cui si possanon essere cattivi.L’altra e la
parte dei gesti perduti,degli inutili furori, perduti e
inutilianche se vincessero, perché nonfanno storia, non servono a
liberarema a ripetere e perpetuare quelfurore e quell’odio, finche
dopoaltri venti o cento o mille anni sitornerebbe così, noi e loro
a com-battere con lo stesso odio anonimonegli occhi e pur sempre,
forsesenza saperlo, noi a redimercene,loro a restarne
schiavi.Questo e il significato della lotta, ilsignificato vero,
totale, al di là deivari significati ufficiali. Una spintadi
riscatto umano, elementare, ano-nimo, da tutte le nostre
umiliazioni:per l’operaio dal suo sfruttamento,per il contadino
dalla sua ignoran-za, per il piccolo borghese dalle sueinibizioni,
per il paria dalla sua cor-ruzione. Io credo che il nostro lavo-ro
politico sia questo, utilizzareanche la nostra stessa miseriaumana,
utilizzarla contro se stessa,per la nostra redenzione, cosi comei
fascisti utilizzano la miseria perperpetuare la miseria e l’uomo
con-tro l’uomo” (…).
Italo Calvino
“Il sentiero dei nidi di ragno”
Dalla parte del riscattoLe vetrine di Auschwitzsono giustamente
mute
a chi non le investe di una partecipazione presente.
Non solo quelle vittime ma tutto il passato può parlare
solo a condizione che noi gli diamo da bere il nostro
sangue,
come avviene nell'oltretomba dei miti antichi.
E per questo è necessariala pressione di passioni e
desideri.
Possiamo imparare qualcosadallo ieri solo nell'esatta
misura in cui desideriamo un domani.
Franco Fortini
Partigiani in piazza Duomo a Voghera