Università degli Studi di Milano – Bicocca Corso di Laurea Magistrale in Sociologia Nuove forme di abitare partecipato Il caso di Base Gaia Greta Scolari Matricola: 739593 A.A 2014/2015 Insegnamento: Processi di Innovazione Sociale Docente: Enzo Mingione
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Nuove forme di abitare partecipato. Il caso di Base Gaia
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Università degli Studi di Milano – Bicocca
Corso di Laurea Magistrale in Sociologia
Nuove forme di abitare partecipato Il caso di Base Gaia
Greta Scolari
Matricola: 739593
A.A 2014/2015
Insegnamento: Processi di Innovazione Sociale
Docente: Enzo Mingione
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INDICE
Introduzione
1. IL CONTESTO
1.1. Nuove prospettive
1.2. Co-abitare. Perché?
1.3. Modelli di sviluppo territoriale alternativo
1.4. Innovazione sociale. Una prima definizione
2. IL COHOUSING
2.1. Le origini
2.2.Aspetti sociali
2.3. Città e cohousing: aspetti spaziali e funzionali
2.4. La partecipazione
2.5. Costruzione e struttura giuridica
3. IL CASO DI BASE GAIA
3.1. Base Gaia. Il progetto
3.2. La storia
3.3. Aspetti sociali ed economici
3.4. Aspetti spaziali e funzionali
3.5. Partecipazione
3.6. Costruzione e struttura giuridica
3.7. Questioni aperte
4. BASE GAIA E INNOVAZIONE SOCIALE
4.1. Base Gaia. Gli aspetti innovativi
4.2. I sei momenti dell’Innovazione Sociale
Conclusioni
Bibliografia
Sitografia
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Introduzione
Da qualche tempo, in Italia, il tema dell’innovazione sociale è entrato a far parte del discorso
pubblico. Si assiste a un forte attivismo da parte dei cittadini che si mobilitano al fine di colmare i
vuoti a cui il sistema di protezione sociale non riesce a trovare una risposta. Nonostante la natura
apparentemente intuitiva del termine, forte è l’ambiguità che lo circonda. Secondo quanto proposto
da Franck Moulaert e Serena Vicari Haddock (2009), rientrano nel novero degli studi
sull’innovazione sociale i fenomeni relativi allo sviluppo di nuove dinamiche connesse a lavoro,
istruzione, salute, ambiente, casa e quartiere.
Questo elaborato ha come obiettivo quello di indagare le dinamiche relative all’innovazione sociale,
circoscrivendo l’ambito di analisi ad un caso specifico, Base Gaia, il primo cohousing di Milano
nato dal basso. L’elaborato è suddiviso in quattro capitoli.
Nel primo capitolo l’attenzione è rivolta al contesto all’interno del quale è possibile individuare la
nascita di fenomeni socialmente innovativi. La crisi del welfare state, di fatto, ha portato a una
nuova rivitalizzazione di iniziative che coinvolgono una molteplicità di attori che dal basso si
mobilitano per colmare tale vuoto. Verrà presentata, inoltre, una panoramica generale relativa al
fenomeno della co-abitazione.
Il secondo capitolo è dedicato al fenomeno del cohousing. A partire dalla sua evoluzione sono state
rintracciate le principali caratteristiche di tale pratica abitativa, gli aspetti sociali, economici,
spaziali e funzionali, il ruolo della partecipazione, la costruzione e la struttura giuridica.
Il terzo capitolo è dedicato al caso studio, il cohousing Base Gaia. Sulla base di quanto evidenziato
nel capitolo precedente, sono state analizzate le caratteristiche del progetto, all’interno del quadro
più generale relativo all’innovazione sociale. A questo scopo, si sono rivelati fondamentali i
contributi tratti dalle interviste a due cohousers, Marta e Massimo, i quali, oltre ad offrire una
panoramica completa relativa al progetto, hanno contribuito allo sviluppo nuovi sputi di riflessione.
Infine, l’ultimo paragrafo è dedicato alla problematizzazione di tale fenomeno, alla luce delle
principali differenze tra cohousing e gated communities.
Nel quarto e ultimo capitolo, l’attenzione è rivota agli aspetti innovativi di Base Gaia, con
particolare riferimento alla letteratura esistente sul fenomeno dell’innovazione sociale. In ultima
analisi, sono stati evidenziati i sei momenti dell’innovazione sociale, con particolare attenzione al
caso oggetto di studio, sulla base di quanto riportato nel Libro bianco sull’innovazione sociale.
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1. Il contesto
1.1. Nuove prospettive
La crisi economica che ha investito l’Italia a partire dal 2008, congiuntamente ai processi di
globalizzazione, di riforma del mercato del lavoro e di mutamento delle dinamiche demografiche,
hanno reso il sistema di protezione sociale dello stato sempre meno adatto a far fronte ai bisogni
della popolazione. Il modello di welfare state che si è sviluppato a partire dal secondo dopoguerra
fino agli anni Settanta sulla scia di un consistente sviluppo economico, è venuto meno e i bisogni ai
quali cercava di dare una risposta sono andati modificandosi. La necessità di ridurre la spesa
pubblica per evitare rischi di default comporta l’esigenza di trovare modi alternativi di rispondere ai
bisogni sociali che sono sempre più diversificati. In Italia il modello di welfare che si è sviluppato
durante il Trentennio Glorioso, aveva come obiettivo quello di offrire una protezione universalistica
e standardizzata ai bisogni sociali.1 A partire dagli anni Novanta, in Europa, ha preso vita un
discorso di matrice neo-liberista, che ha portato una visione più incentrata sul mercato e sul ruolo di
uno stato minimo. I paesi europei, da tempo, stanno cercando di riformare i propri modelli
sull’esempio dei paesi Nordici, che sono da sempre un punto di riferimento per quanto riguarda lo
sviluppo di politiche sociali. Le risorse a disposizione dello stato sono, tuttavia, limitate e inadatte a
far fronte a una domanda di bisogno sempre più ampia e diversificata. Si parla di secondo welfare
facendo riferimento a quell’insieme di iniziative che non nascono come sostitutive al settore
pubblico, tradizionalmente incentrato sul suo ruolo redistributivo, ma che tuttavia lo affiancano
attraverso la collaborazione dei vari soggetti presenti sulla scena. Questa nuova tendenza, incentrata
sulla dimensione locale, da luogo a una maggiore responsabilizzazione dei soggetti destinatari degli
interventi, e attribuisce un ruolo centrale ai processi di innovazione. Secondo quanto riportato nel
Primo rapporto sul secondo welfare in Italia (2012):
«L’idea che la protezione dai rischi […] sia un problema sociale, che deve pertanto trovare soluzione
collettiva e non essere lasciato al caso e alle fortune o sfortune dei singoli, non significa che tale protezione
debba essere tutta a carico dello Stato o del settore pubblico in generale. Il che si declina in almeno due
accezioni: la prima, che la protezione, per essere efficace, deve avere come obiettivo l’empowerment2, la
capacitazione dell’individuo, e dunque prevedere una sua partecipazione attiva in tutti i casi in cui ciò sia 1 Il Welfare capitalism «si basa su tre pilastri che sono il welfare state nazionale, la faglia nucleare stabile con donne adulte disponibili ad assumersi una quota elevata di responsabilità domestiche e di cura (casalinghe), la piena occupazione di maschi capifamiglia con redditi sufficienti a mantenere una famiglia (breadwinner) (Andreotti, Mingione 2013, p147) 2 L’empowerment «è quel processo che accresce la capacità degli individui o dei gruppi di prendere decisioni e di trasformare queste ultime in azioni e risultati desiderati. Centrali per questo processo sono le azioni che costruiscono sia le risorse individuali sia collettive, e migliorano l’efficienza e l’equità del contesto istituzionale e organizzativo che governa l’uso di tali risorse» (Andreotti, Mingione, p 150)
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realisticamente praticabile; la seconda, che una molteplicità di soggetti […] possano e anzi debbano essere
coinvolti e giocare un ruolo negli schemi di protezione»
1.2. Co-abitare. Perché?
Le questione relativa alla povertà abitativa è tornata recentemente al centro della discussione in
ambito accademico e non solo. Questo fenomeno non coinvolge in maniera esclusiva quella fascia
di popolazione economicamente più debole, ma anche coloro che, pur appartenendo alle classi
medie, hanno difficoltà nell’accesso al mercato immobiliare o che non riescono a far fronte alle
spese eccessive connesse al possesso un’abitazione. Le problematiche relative all’abitare sono aree
soggette alla tutela di welfare, tuttavia rivolte esclusivamente a coloro che rappresentano la fascia di
popolazione più svantaggiata. Il sistema di welfare familistico che caratterizza l’ Italia, si assicura la
tutela del diritto all’abitare attraverso trasferimenti intergenerazionali. Ma in un periodo di forte
crisi valoriale, in cui la famiglia tradizionale non sembra più in grado di assicurare la protezione dei
suoi componenti, risulta evidente come sia necessario lo sviluppo di una serie di interventi che
rispondano alle esigenze di una società sempre più complessa. La congiuntura economica negativa
ha agito come «detonatore di una tensione abitativa che ha, però, radici più strutturali sia sul
versante dell’offerta, sia sul lato della domanda»3 (Bronzoni, 2014 p 19). Il modello offerto dal
mercato immobiliare è tarato sulla proprietà privata ed è fondato sulla logica dell’individualità. Esso
non tiene in considerazione le trasformazioni relative alla struttura demografica e familiare che,
accanto alle trasformazioni di un mercato del lavoro sempre più flessibile, necessitano di soluzioni
più dinamiche. La fascia di popolazione che si rivela particolarmente sensibile a tali tematiche
necessita di spazi abitativi che si discostino dal modello dominante, spazi all’interno dei quali gli
aspetti di socialità, condivisione, risparmio, rappresentino un valore aggiunto. La ricerca di tali
spazi è sempre stata centrale nella scelta della dimensione abitativa degli individui e ancor di più in
un’epoca caratterizzata da un marcato individualismo. Nascono realtà volte a contrastare tali
tendenze dissolutive, caratterizzate da maggiori o minori livelli di strutturazione. Si fa qui
riferimento ad associazioni, comunità familiari, eco-villagi e cohousing, per citarne solo alcuni, i
quali si propongono di offrire un’alternativa concreta allo stile di vita metropolitano con particolare
riferimento a principi di eco-compatibilità e sostenibilità (Rossi, 2009). Queste particolari forme
abitative si strutturano sulla base di una rete di relazioni elettive e hanno come fine ultimo quello di
raggiungere un’appartenenza comunitaria attraverso la ridefinizione del luogo, dello spazio
3 Secondo quanto sostenuto da Bronzoni (2014), la domanda abitativa risulta sempre più composita; non si fa riferimento solo alle problematiche di un ceto medio impoverito ma anche alle istanze connesse alla fascia di popolazione più giovane che è in cerca i un’indipendenza abitativa, ad anziani, a coloro che escono da un rapporto di coppia e in generale quella fascia di popolazione più vulnerabile.
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dell’abitare e dei legami a esso connessi. Inoltre, rispondono in maniera innovativa a bisogni
provenienti dalla società, facendo largo uso del capitale sociale che riescono a mobilitare.
1.3. Modelli di sviluppo territoriale alternativo
In un periodo di forte instabilità, si assiste allo sviluppo di nuovi valori sociali che trovano il loro
fondamento nella creazione di nuovi rapporti e conoscenze, nel capitale sociale e umano che
riescono a mobilitare. Secondo quanto sostenuto da Amartya Sen, l’accento viene posto
sull’espansione delle capabilities delle persone (Haddock, Moulaert, 2009) e si concretizza nello
sviluppo di progettualità volte ad aprire nuovi orizzonti di sviluppo sociale ed economico. Tale
prospettiva vede l’individuo assumere un ruolo centrale, passando da una condizione passiva a una
attiva, rendendosi, di fatto, sia promotore che protagonista del cambiamento. I modelli alternativi di
sviluppo trovano terreno fertile nella dimensione locale e si concretizzano nella mobilitazione di
risorse e nella loro valorizzazione. È all’interno di questo contesto che si sviluppa la prospettiva del
cohousing, in particolar modo di Base Gaia, la quale si fa promotrice di un cambiamento
istituzionale portato dal basso attraverso un processo di ridefinizione della situazione abitativa e di
mobilitazione degli attori. Quando si parla di innovazione sociale non si fa riferimento a quelle che
sono definite le best practice, ma l’attenzione è rivolta alle buone pratiche, pratiche connotate da un
carattere innovativo, le quali assumono tale connotazione pragmatica in virtù della loro natura, in
quanto collocate in un dato contesto spazio-temporale e rivolte ai bisogni concreti evidenziati
all’interno di tali contesti (Ibidem). Emerge l’importanza della questione relativa alla governace
urbana e ai mutamenti dei rapporti tra stato economia e società civile, in cui risulta evidente la
fusione tra i vari livelli.
Secondo quanto sostenuto da Bifulco (2009) l’organizzazione è uno dei terreni principali all’interno
dei quali è possibile individuare l’innovazione sociale. Non si tratta di entità precostituite ma di
realtà emergenti che si sviluppano grazie a flussi che sfociano in pratiche. Secondo tale approccio
«l’innovazione non è il nuovo, o ciò che avviene nel mutamento puro e semplice. È
quell’incremento di forme di razionalità sociale e politica che risulta tale, alla fine, agli occhi degli
attori interessati» (Bifulco, 2009, p77). Sempre secondo l’autrice le forme organizzative che
sostengono tali iniziative assumono aspetti differenti: a) gruppi, comitati, associazioni informali; b)
progetti e programmi; c) associazioni formali, fondazioni, cooperative. Queste istituzioni, inoltre,
spesso determinano gli atti costituivi, le finalità e modalità d’azione. Come vedremo nei capitoli
successivi, Base Gaia si è costituita a cooperativa edilizia. Si tratta di una rete focalizzata su un
progetto, con finalità specifiche, della durata limitata di 5 anni. La portata innovativa di tali
organizzazioni risiede nella capacità di mobilitazione e di scambio tra i vari livelli (pubblico-
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privato) e nella capacità di mutamento della normativa all’interno della quale devono operare. Si
verifica un processo di costruzione della domanda da parte dei destinatari, i quali operano
all’interno di un contesto di mutamento e di ridefinizione dello status quo.
1.4. Innovazione sociale. Una prima definizione
Oggetto polisemico e dalle molteplici sfaccettature, quello di innovazione sociale è un concetto
difficilmente racchiudibile all’interno di un’unica definizione. Tale problematica porta a ragionare
su uno dei presupposti dell’innovazione sociale: essa non è presentabile attraverso una teoria
generale, ma attraverso la pratica. Secondo Haddock e Moulaert (2009, p 91) «Vengono definite
come socialmente innovative quelle iniziative dirette a contribuire all’inclusione sociale attraverso
cambiamenti nell’agire dei soggetti e delle istituzioni». Queste iniziative nascono dalla necessità di
dare risposta alle nuove sfide della società, contestualmente, possono essere orientate al
cambiamento di valori, atteggiamenti, politiche e servizi. In un periodo di forte ristrettezza
economica, sorge la necessità di offrire nuove risposte a quei cambiamenti che non sono affrontati
dalle istituzioni più tradizionali. Murray et al (2010) intendono l’innovazione sociale come «un
approccio pragmatico ai problemi sociali, che applica tecniche manageriali per risolvere i problemi
nel presente, senza badare molto all’orizzonte ideologico o alla correttezza politica». Sempre
secondo gli autori, l’innovazione sociale è connessa all’utilizzo di nuove tecnologie e forme
organizzative nate dal basso, accanto a una socialità di rete, all’interno della quale le relazioni
sociali sono esse stesse gli strumenti portatori di innovazione. Secondo quanto riportato nel rapporto
Tepsie (2012) l’innovazione sociale comprende:
- Trasformazione sociale: processi di cambiamento sociale centrati sul ruolo della società
civile e dell’economia sociale nel creare crescita economica e inclusione.
- Sviluppo di nuovi prodotti, servizi programmi: il termine innovazione sociale è usato per
descrivere l'imprenditorialità sociale4, ossia il ruolo degli individui nello sviluppo di modi
nuovi e innovativi volti ad affrontare sfide sociali intrattabili.
- Modello di governance, empowerment e rafforzamento delle capacità: l'innovazione sociale
è vista come uno sviluppo pratico, la realizzazione di nuovi prodotti, servizi e programmi
che rispondono a bisogni sociali.
Sempre secondo il rapporto Tepsie (2012), queste diverse declinazioni dell’innovazione sociale
sono accomunate da alcune caratteristiche:
4 L’imprenditorialità sociale fa riferimento all’insieme dei comportamenti e degli atteggiamenti degli individui coinvolti in imprese sociali, con particolare riferimento all’utilizzo di metodi creativi.
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- Intersettorialità: l’innovazione sociale è trasversale, può far riferimento a più settori
contemporaneamente (stato, società civile e mercato).
- Apertura e collaborazione: l’innovazione sociale coinvolge una vasta gamma di attori,
facilitando lo sviluppo di nuove soluzioni.
- Bottom-up: non fa riferimento a un processo centralizzato e calato dall’alto. Viceversa, si
tratta di iniziative nate dal basso.
- Coproduzione: gli individui non sono più destinatari passivi dei servizi ma si mobilitano per
la loro produzione
- Mutualismo: l’innovazione sociale permette la creazione di un nuovo tipo di mutualismo
emergente dalle relazioni che si creano, le quali instaurano nuove forme collaborative.
- Creazione di nuovi ruoli e relazioni: l’innovazione non viene creata per gli utenti, ma con
gli utenti stessi. Essa, pertanto, può essere identificate dal tipo di relazioni che crea.
- Migliore utilizzo di attività e risorse: attraverso la condivisione permette di utilizzare risorse
che altrimenti non sarebbero utilizzate, sia immateriali che materiali.
- Sviluppo di mezzi e capacità: si basa sul presupposto che le persone hanno controllo della
propria vita e la capacità di trovare soluzioni.
Come si evince dalle diverse definizioni, per innovazione sociale si fa riferimento a un approccio
pragmatico, teso a risolvere problematiche concrete. Essa non si struttura sulla base di un orizzonte
ideologico definito, tuttavia la natura di tali iniziative si rifà a un impegno di natura etica. È
all’interno di questo quadro che si colloca l’iniziativa del cohousing Base Gaia.
2. Il cohousing
2.1. Le origini
I singoli cittadini possono fare ogni sforzo per esprimere nella loro casa il sentimento della propria dignità,
ma quando viene a mancare la continuità nelle strade che la legano alle altre parti più centrali e più
antiche, così orgogliosamente compatte, viene con evidenza intaccato l’uguale diritto di ciascuno al
pubblico e visibile riconoscimento della sua appartenenza morale alla civica. [Marco Romano]
Cohousing significa letteralmente co-abitare. Esso fa rifermento a una particolare forma di vicinato
elettivo strutturato sulla base di abitazioni private e spazi comuni. L’obiettivo è duplice,
salvaguardare la privacy degli abitanti e dare risposta al bisogno di socialità che motiva queste
nuove forme abitative (Lietaert, 2010).
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Le origini del fenomeno risalgono alla nascita delle prima comunità utopiche e religiose negli Stati
Uniti del XIX secolo, con l’obiettivo di ricreare lo spirito di vita comunitaria. Successivamente, nel
XX secolo, in particolar modo negli anni ’60, la nascita dei movimenti controculturali vede il
fiorire delle comuni. Bramanti (2009) individua tre tipologie dalle quali discendono le esperienze
contemporanee a) la comune familiare; b) la comune villaggio (Kibbutz); c) la comune unità
politica e amministrativa. Secondo la definizione di D. Francescato (2010) le comuni sono modelli
di socializzazione alternativi all’interno delle quali è possibile sperimentare nuove forme socio-
economiche sulla base di principi egalitari. Portatrici di uno spirito che si scontra con la società
istituzionalizzata, le comuni sono destinate ben presto alla scomparsa. Nonostante il loro declino, è
possibile individuare a partire dall’ultima decade del XX secolo esperienze che ne richiamano
alcune caratteristiche. Queste nuove forme comunitarie, attraverso principi di sostenibilità
ambientale, economica e sociale, rispondono ai bisogni di una realtà sempre più povera di legami.
Il fenomeno del cohousing si colloca all’interno di questa prospettiva. Esso nasce come tentativo di
recuperare forme di socialità tipiche della società preindustriale all’interno di un contesto
postmoderno, caratterizzato da individualismo e anonimato (Lietaert, 2010). Il primo cohousing
nasce in Danimarca, verso la fine degli anni ’60 per iniziativa dell’architetto Jan Gudmand-Høyers
per poi concretizzarsi nel 1972 con la costruzione del complesso Skraplanet (comunità vivente) nei
pressi di Copenaghen. Successivamente questo modello si diffonde in Nord Europa. Come afferma
Matthieu Lietaert (2007), fenomeni come precarietà, la flessibilità del mercato del lavoro, la
dissoluzione della famiglia tradizionale, la crescita del numero dei nuclei famigliari con un unico
genitore e due figli si sono diffusi nel Nord Europa già a partire dagli anni Settanta. Esso, pertanto,
nasce come risposta innovativa ad alcune problematiche sociali che non trovano risposta negli
istituti tradizionali di welfare. Pur collocandosi in un ottica di continuità rispetto ai movimenti nati
nel ’68 esso se ne discosta per l’importanza attribuita alla privacy degli abitanti. Negli anni ’70
iniziano i primi esperimenti anche in Svezia, orientati da motivazioni politiche e pratiche, rivolti a
una popolazione appartenente alle classi agiate alla ricerca di strutture abitative. Anche in Olanda il
fenomeno si sviluppa a partire dagli anni ’60 motivato dalla ricerca di nuovi modelli sociali. Inoltre,
in Olanda i giovani abbandonano precocemente le case parentali, e questa tendenza culturale ha
permesso lo sviluppo di cohousing per i giovani (Ibidem). Dagli anni ’80 il fenomeno ha preso
piede negli Stati Uniti per poi approdare in Europa centro-meridionale e nei paesi anglofoni negli
anni ’90 (Narne, Sfriso 2013). In Italia il fenomeno è cresciuto a partire dal 2006 accompagnato da
una forte discussione mediatica.
La maggior parte dei progetti di cohousing sottostanno a una matrice comune che assume come
centrali i concetti di sostenibilità (economica e ambientale), risparmio energetico, bioedilizia,
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condivisione. È difficile, tuttavia, individuare una teoria generale che sottostà a tale fenomeno in
quanto esso presenta forme peculiari a seconda del caso specifico considerato. Esso è pertanto
definibile come una buona pratica che si sviluppa tramite processi partecipativi che si declinano a
seconda delle aspirazioni e delle caratteristiche dei protagonisti (Ibidem).
Il primo caso di cohousing in Italia risale al 2010, con la realizzazione dell’Urban Viagge Bovisa
01, a Milano, seguito da altre esperienze avviate negli anni seguenti (Chiodelli, 2015). Si tratta,
tuttavia, di iniziative sviluppate e guidate dalle aziende costruttrici. In altri casi, viceversa, i futuri
cohousers hanno avuto un ruolo più dinamico, partecipando alla progettazione e alla realizzazione
del cohousing (Numero Zero a Torino). Una delle principali problematiche relative alla
realizzazione dei cohousing in Italia, fa riferimento alla logica speculativa che sottostà alla
maggior parte di questi progetti, oltre alla scarsa apertura nei confronti dell’ambiente esterno
(Ibidem). In questo senso, il cohousing non appare differente da un comune complesso residenziale.
La portata innovativa del fenomeno è, pertanto, messa in discussione. All’interno di tale contesto,
Base Gaia può rappresentare il primo progetto di cohousing nato dal basso, il quale si differenzia
dalle precedenti esperienze. Inoltre, la natura pragmatica e non ideologica di tale progetto permette
un’apertura al dialogo tra privati e pubbliche amministrazioni che lascia spazio a un ridefinizione
della normativa vigente.
Nonostante le peculiarità del caso italiano, il fenomeno del cohousing rappresenta una particolare
forma abitativa che si struttura sulla base di principi ben definiti. Esso è pertanto meritevole di un
inquadramento analitico più definito
2.2.Aspetti sociali
Come precedentemente illustrato, il fenomeno del cohousing nasce nelle società occidentali come
risposta innovativa a una serie di problematiche provenienti dalla società tra cui la dissoluzione
delle reti parentali, la precarietà del mondo del lavoro e la fragilità dei servizi di welfare. Esso si
pone in un’ottica di ricostruzione di uno stile di vita comunitario che non si propone esclusivamente
come un nuovo modello abitativo ma come un nuovo approccio alla vita. Il cohousing reintroduce
all’interno delle società postmoderne, caratterizzate dalla perdita di coesione sociale, relazioni
sociali tipiche delle società pre-industriali, contestualmente riattiva il senso di appartenenza e di
responsabilità nei confronti del contesto territoriale. Il desiderio di comunità trova la sua
realizzazione nella condivisione di spazi e risorse, combinando l’autonomia dell’abitazione con i
vantaggi offerti dalla presenza di spazi e servizi comuni. Nonostante le motivazioni che concorrono
a tale scelta abitativa siano differenti, esse sono accomunate dall’aspirazione a ridurre la
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complessità della vita attraverso la sperimentazione di nuove forme relazionali di aiuto reciproco e
di buon vicinato. In Italia, coloro che scelgono di vivere in un cohousing appartengono a quella
fascia di popolazione che, con la crisi economica, si trova in una situazione di deprivazione a causa
dei costi relativi all’abitare. Secondo quanto sostenuto da Bramanti (2009) le esperienze di
cohousing, pur differenziandosi notevolmente l’una dall’altra, fanno riferimento a sei caratteristiche
comuni: a) la progettazione partecipata b) il design e gli spazi per la socialità c) i benefici
economici d) la gestione locale e) la struttura non gerarchica f) l’autonomia economica dei
partecipanti.
2.3. Città e cohousing: aspetti spaziali e funzionali
Oggetto polisemico e dalle molteplici sfaccettature, la città assume significati differenti a seconda
dell’angolatura dalla quale la si osserva. Essa non può essere definita sulla base dei suoi confini
amministrativi come in passato, estendendo oltre la sua influenza. Si parla di città diffusa mettendo
in luce la contrapposizione tra la città compatta (tradizionale) alle forme urbane contemporanee.
Può essere definita come un sistema sociale “un sistema tutto intero, completo in ogni sua parte […]
includendo al proprio interno diversi sottoinsiemi specializzati” (Mela, 2012). Nonostante la città
non sia l’unico luogo significativo per lo studio dei fenomeni sociali, è certamente vero che la
maggior parte di questi prendono vita proprio al suo interno. Essa non costituisce il frame
all’interno del quale si sviluppano tali relazioni, ma la sua configurazione è uno dei fattori principali
che concorrono alla loro definizione (Vicari Haddock, 2013). La città costituisce, di fatto, un nodo
di vitale importanza di una rete globale, che attira una gran quantità di risorse (materiali e non) di
flussi e di conoscenze. Nonostante la tendenza più recente degli individui a lasciare i centri cittadini
per spostarsi verso gli anelli più esterni della città, i flussi in entrata non si sono ridotti e le
principali funzioni amministrative e i servizi sono concentrati al centro. La dispersione (o sprawl
urbano) non è priva di conseguenze. Il decentramento di residenze e attività comporta la crescita di
flussi di persone che ogni giorno si muovono per fini diversi, e che, in mancanza di servizi di
trasporto pubblico locale, si affidano al mezzo di trasporto privato con conseguente inquinamento
atmosferico. Si pone pertanto un problema, quello relativo alla sostenibilità urbana dove per
sostenibilità si intende «la capacità di un sistema di mantenere un determinato assetto relazionale tra
le sue parti per un tempo indefinito» (Osti, 2013 p 69). Densità abitativa, sprawl, erosione del suolo,
inquinamento sono problematiche strettamente connesse alla questione della sostenibilità,
comportando un deterioramento delle risorse naturali. Accanto ad esse anche i rapporti sociali
tendono ad assumere connotazioni differenti. La città diffusa, anonima, rischia di diventare un
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luogo dove i legami sociali tendono ad affievolirsi, dove il senso di comunità e le relazioni
interpersonali svaniscono.
Come è ampiamente documentato da studi di psicologia ambientale l’ambiente fisico e la
percezione dello stesso assumono un ruolo rilevante nella definizione della qualità della vita di un
individuo. Non si fa qui riferimento esclusivo al quartiere e alla collocazione geografica
dell’abitazione, ma anche all’abitazione stessa, poiché una particolare strutturazione architettonica
può favorire, o meno, la creazione di rapporti sociali5.
Le esperienze di cohousing sono costituite da interventi di piccole dimensioni. Il range va da un
massimo di 90- 100 persone ad un minimo di 15-20 poiché tale è il livello ottimale che permette la
costituzione di una comunità coesa, la formazione di relazioni interpersonali e lo sviluppo di attività
comuni. Tali progetti si collocano, nella maggior parte dei casi, in aree periferiche che permettono
di conciliare i vantaggi della vita cittadina con una maggiore qualità ambientale e disponibilità di
spazi verdi. Allo stesso modo, questa scelta permette un contenimento dei costi relativi sia
all’abitazione sia al mantenimento di un tenore di vita che nei centri cittadini non sarebbe possibile.
Il progetto si deve porre in un ottica di riqualificazione della parte urbana ove è collocato e di
scambio con il quartiere.
2.4. La partecipazione
«Per progettazione partecipata si intende un approccio alla elaborazione di interventi rivolti alle
persone che rechi implicita la diretta partecipazione delle stesse quali attori e decisori strategici»
(Lietaert 2010). Di fatto i progetti di cohousing possono nascere dalla volontà di ridare vita ad aree
dismesse ed abbandonate ma la maggior parte di questi nascono ex novo. Il ruolo della
partecipazione assume rilevanza in particolare nelle prime fasi di strutturazione del cohousing,
tuttavia, rimane un elemento costante durante l’intera vita dello stesso6. Nonostante le differenti
forme assunte dai vari processi partecipativi, possiamo rilevare elementi comuni a tutte le
esperienze. A tal proposito, Lietaert (2010) individua quattro caratteristiche comuni:
- Diretto e attivo coinvolgimento dei beneficiari;
- Adozione della procedura partecipativa dalle prime fasi;
- Attenzione agli attori locali;
5 Secondo quanto riportato da Meltzer (2000) all’interno di ogni struttura di cohousing si va delineando quello che è definito come il cuore della comunità, che prescinde dal livello di strutturazione degli spazi comuni stessi. 6 «Chi aderisce ad un progetto di cohousing partecipa al processo decisionale della costruzione di comunità fin dalla progettazione architettonica dell’insediamento, con il vantaggio di un dialogo attivo con i vari attori del processo, avendo così modo di progettare la propria casa e il proprio habitat su misura» (www.cohousing.it)
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- Sentimento di appartenenza e reciprocità.
I gradi e le modalità relative alla partecipazione sono differenti, da totali a parziali, con peculiarità
che variano di caso in caso. Lietaert (2010) individua tre modelli partecipativi dominanti:
- Partecipazione totale: i residenti si fanno carico dell’intero progetto, dalla scelta del terreno
alla costruzione, ai materiali, alla scelta degli spazi comuni, servendosi talvolta dell’ausilio
di consulenti specializzati per le diverse materie secondo un percorso bottom-up. Questo
permette una riduzione dei costi economici ma aumenta il lasso di tempo utile per lo
sviluppo del progetto7.
- Partnership: è previsto il coinvolgimento diretto dei developers (facilitatori) al fine di
ridurre i costi in termini temporali.
- Developer-led: l’intero processo di realizzazione e composizione del gruppo risulta a carico
di un facilitatore immobiliare il quale si assume il rischio d’impresa.
2.5. Costruzione e struttura giuridica
È possibile individuare due modalità che concorrono alla fase di costruzione dell’insediamento: la
costruzione in cooperativa o l’acquisto dal costruttore. In questa sede l’attenzione sarà focalizzata
esclusivamente sulla prima modalità. Secondo quanto riferito da Zucchini (2010) i cohousers
possono costituirsi in cooperativa edilizia senza l’ausilio di una società immobiliare, operando in
autocostruzione. Questo comporta una diminuzione dei costi di costruzione, contestualmente un
aumento dei tempi utili alla realizzazione del progetto. Una cooperativa edilizia è una «società di
capitali alla quale aderiscono dei soci allo scopo di realizzare un intervento costruttivo attraverso
l’edificazione, il recupero o l’acquisizione di un immobile» (Ivi, p.212). I cohousers si mobilitano al
fine di trovare un’area edificabile e la cooperativa ricerca i finanziamenti necessari alla sua
realizzazione. Successivamente viene individuata la struttura giuridica del cohousing: l’attribuzione
di proprietà sulle singole unità e un diritto di comproprietà sugli spazi comuni o la costruzione di un
soggetto giuridico di tali spazi e la creazione di un soggetto giuridico collettivo proprietario
dell’intera struttura, il quale assegna un titolo di godimento ai singoli cohousers (cooperativa
edilizia indivisa). Questo permette una tutela da logiche speculative.
Nel capitolo che segue verranno evidenziati gli aspetti sopra esposti in relazione a un caso concreto,
il cohousing Base Gaia. Successivamente, dopo un’analisi critica sul tema del cohousing, si
cercherà appurare se si tratti di un vero e proprio caso di innovazione sociale. 7Nonostante sia enfatizzata la necessità di questo tipo di approccio, esso rappresenta dei limiti. Guidare il processo senza essere specialisti in materia risulta oneroso dal punto di vista temporale e rischioso dal punto di vista economico. (Chiodelli 2009)
14
3. Il caso di Base Gaia
3.1. Base Gaia. Il progetto.
Base Gaia è un progetto di abitare partecipato che nasce dal desiderio di alcune famiglie di porre
rimedio a una situazione cittadina di disgregazione. L’assenza di legami familiari, il desiderio di
vivere la città con tempi diversi, in un posto sereno all’interno del quale far crescere i propri figli,
porta queste famiglie a intraprendere un percorso di abitare condiviso. Nasce l’idea di cohousing
che si è sommata con l’idea di altre persone incrociate durante questo percorso. Base Gaia perché
tenta di costruire dalla base l’abitare partecipato, all’interno di un contesto più complesso quale può
essere quello di mondo, di pianeta. Il progetto prevede la partecipazione di dieci famiglie che non
sono accomunate solo dalla ricerca di una nuova dimensione abitativa ma più in generale dal
desiderio di intraprendere un percorso di partecipazione alla vita cittadina attraverso un processo di
osmosi con il territorio. Gli obiettivi sono:
- Prevenzione dell’isolamento;
- Senso di appartenenza alla comunità;
- Socializzazione e cooperazione;
- Miglioramento della qualità della vita;
- Stile di vita sostenibile;
- Abbattimento del caro vita e costruzione di gruppi d’acquisto interni.
«Per noi, cohousing significa progettare una forma di abitazione collaborativa. Non solo al proprio
interno: fa da sfondo ideale al nostro stare insieme un abitare aperto alla strada, al quartiere, alla
città e al villaggio globale. Si può contribuire al benessere comune attraverso le tante piccole
grandi azioni di prossimità e di buon vicinato immaginabili, anche traendo forza da esperienze già
realizzate». (Base Gaia)
3.2. La storia
Il progetto ha origini lontane, nel 2010 a Milano, quando due famiglie hanno deciso di realizzare il
proprio desiderio di vivere all’interno di un contesto più adatto alle proprie esigenze, che riflettesse
uno stile di vita diverso, distaccato rispetto a quello frenetico della città. Le due famiglie fondatrici
hanno iniziato la propria impresa cercando altre famiglie con le quali condividere la propria
esperienze e un terreno dove sarebbe dovuto sorgere il cohousing Base Gaia.
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Il gruppo cuore, come lo chiama Marta, una delle fondatrici, si è unito totalmente nel 2013 attorno a
un terreno. Fallita una prima trattativa in via Columella si disgrega un gruppo di trenta persone.
Inizia una fase di sospensione del progetto che viene successivamente ripreso nel 2015, dalle
quattro famiglie fondatrici, le quali, con il supporto di altre due famiglie, si pongono come obiettivo
la ricerca di un terreno più piccolo e accessibile economicamente. In termini di impatto ambientale,
l’idea originaria prevedeva il recupero di una struttura dismessa (vecchi capannoni industriali,
situazioni abitative, parti di costruzioni in divenire) ma i costi relativi alla ristrutturazione si sono
rivelati troppo elevati. L’obiettivo era quello di raggiungere un equilibrio tra sostenibilità
economica e ambientale, con il fine ultimo di garantire una casa dignitosa ad un prezzo
economicamente accessibile.
3.3. Aspetti sociali ed economici
Il progetto coinvolge un gruppo di famiglie che faticano ad accedere al mercato immobiliare
milanese rigido e standardizzato.
«Nasce dall’esigenza di famiglie che non hanno stipendi esagerati, non hanno aspettative di carriera che
porteranno a stipendi maggiori. Ha influito l’essere allergici a che cosa significhi immettersi nel mercato
immobiliare milanese» (Marta, cohouser)
Base Gaia si propone di offrire una soluzione abitativa che concili le esigenze di sostenibilità
economica, ambientale e di spazio, secondo i seguenti principi:
- Socialità: intende ricreare lo spirito di comunità in una grande città;
- Sostenibilità: declinata in tutte le sue forme sociale, economica, ambientale con particolare
attenzione agli aspetti economici. Una volta soddisfatto tale criterio l’obiettivo è quello di
procedere alla costruzione di una casa ecologica (secondo i principi del Transition Towns8);
rientrano in questa sede la sharing economy9 e le banche del tempo10, cui il cohousing si
propone di fare ampio utilizzo così come la creazione di gruppi di acquisto solidali (GAS11);
- Economicità: come anticipato è uno degli elementi centrali che sottostanno alla
realizzazione del progetto. La somma versata dai cohousers è di 2900 euro al metro
8 Il movimento della Transizione (Transition Towns) è un movimento ambientalista nato in Irlanda, nel 2005 dalle idee di Rob Hopkins con l’obiettivo di preparare la comunità ad affrontare le sfide del riscaldamento globale e del picco del petrolio. 9 Per sharing economy si intende un modello economico alternativo al consumismo basato sullo scambio e sulla condivisione di materiali, servizi e conoscenze, con il fine di ridurre l’impatto sull’ambiente. 10 Per banca del tempo si fa riferimento a un particolare tipo di associazione che si basa su uno scambio gratuito di tempo. 11 I gruppi di Acquisto Solidale (GAS) sono gruppi di acquisto spontanei caratterizzati da una forte componente etica che si discosta dallo stile consumistico dominante e che si basano sui principi di sostenibilità solidarietà ed equità.
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quadro12. Al di fuori di tale contesto, il mercato immobiliare milanese offrirebbe situazioni
abitative il cui prezzo oscillerebbe tra i 3200 e i 3600 euro, spazi comuni esclusi;
- Solidarietà: attraverso una prospettiva di welfare attivo e prevenzione del disagio sociale;
- Mutuo aiuto e condivisione.
3.4. Aspetti spaziali e funzionali
Il progetto, avviato nel 2010, si concluderà nel 2017. Il terreno su cui sorgerà Base Gaia si trova in
via Crescenzago, a Milano, in una zona ricca di verde vicino a Parco Lambro.
Figura 1. Base Gaia, collocazione rispetto al quartiere
Fonte: http://cohousingbasegaia.wix.com/basegaia#
La collocazione della struttura sarà fronte strada con un ampio giardino nella parte posteriore della
casa, restando ad uso esclusivo dei cohousers. Gli spazi comuni interni, saranno potenzialmente
adibiti ad associazioni e a progetti aperti alla collettività. La struttura, la gestione e l’organizzazione
degli spazi comuni sarà stabilita quando il gruppo delle dieci famiglie si sarà unito definitivamente.
Ad ora sono otto le famiglie che abiteranno Base Gaia. Anche in questo caso, viene ribadita la
centralità dei principi di sostenibilità economica. «È più importante la partecipazione di una
12 Questa cifra comprende l’appartamento, l’acquisto del terreno, il giardino e gli spazi comuni (250 m² suddivisi per le 10 famiglie)
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famiglia della creazione di un’officina» ricorda Massimo, cohouser di Base Gaia. La struttura,
inoltre, si modificherà con il passare del tempo, sulla base delle esigenze che si manifesteranno.
«Tra i cohousers vi è una profonda intenzione di essere aperti al quartiere. Richiede tempo saremo nuovi.
Vorremmo arrivare delicatamente, attraverso una fase di ascolto e conoscenza del quartiere. Una delle idee
è quella di avere un GAS e organizzare eventi a Parco Labro che coinvolgano gli abitanti del quartiere.
Come punto di riferimento avremo degli spazi comuni all’interno dei quali organizzeremo attività e
offriremo spazi ad associazioni di quartiere» (Marta)
Base Gaia svolgerà una funzione di presidio del quartiere, considerato pericoloso e insicuro. La sua
presenza sarà dunque utile al fine di rigenerare una parte della città e dare nuova vita al parco.
Inoltre, l’aspirazione è quella di essere un modello per altri progetti di cohousing.
3.5. Partecipazione
Il progetto di Base Gaia prevede la partecipazione di dieci famiglie. Queste non sono state
selezionate sulla base di criteri rigidi, ma vi è stata un’autoselezione dei componenti su base
economica e sulla compatibilità rispetto alle tematiche su cui si è fondata Base Gaia.
«È una questione fisiologica» sostiene Massimo, cohouser che ha aderito al progetto in un momento
successivo. «Quattro nuclei promotori disponibili all'apertura e sei nuclei disposti all'accettazione di ciò che
era stato fatto. Il successo è stato raggiunto grazie all'apertura e l'accettazione. Si le idee, ma serve
qualcosa di concreto, un terreno da rogitare entro una data».
Il progetto ha acquisito forza sulla base dei principi fondativi ma è stato ampliato e migliorato
grazie alle visioni diverse dei nuclei che gradualmente sono entrati a fare parte di Base Gaia. Le
scelte non sono state prese in maniera democratica ma attraverso il metodo del consenso. Questo ha
permesso un avvicinamento dei componenti ma ha anche influito sul rallentamento del processo
decisionale. Non c'è una fine e l'inizio non è uno. È una storia a capitoli.
Riprendendo quanto sostenuto da Lieteaert (2010), Base Gaia rivela una struttura a partecipazione
totale. I residenti si sono fatti carico dell’intero progetto, dalla ricerca del terreno, alla scelta dei
materiali e delle famiglie, attraverso la collaborazione di esperti e consulenti quali l’Officina di
Architettura Urbanistica e associati ed esperti in materia giuridica ed economica (avvocato e
commercialista) e Housing Lab. Questo percorso totalmente bottom-up ha permesso una riduzione
dei costi (sostenibilità economica) ma ha aumentato il lasso di tempo necessario per la realizzazione
del progetto.
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3.6. Costruzione e struttura giuridica
Come è stato precedentemente evidenziato, sono due le modalità in cui si declina la fase di
costruzione dell’insediamento. La costruzione in cooperativa o l’acquisto dal costruttore. I
cohousers di Base Gaia si sono costituiti in cooperativa edilizia senza l’ausilio di una società
immobiliare, operando in autocostruzione. Si tratta di una Cooperativa edilizia a base indivisa (un
soggetto giuridico collettivo proprietario dell’intera struttura il quale assegna un titolo di godimento
ai singoli cohousers) che vivrà per un tempo determinato (cinque anni) che si pone come obiettivo
l’edificazione del cohousing. Passato questo lasso di tempo, ogni famiglia diverrà legalmente
proprietaria della propria abitazione. Fino a quel momento, ogni cohousers sarà in possesso di una
quota che potrebbe essere restituita nel momento in cui una famiglia decidesse di interrompere il
percorso. L’obiettivo è quello di disincentivare speculazioni edilizie, di tutelare il progetto e
l’investimento delle famiglie. Come racconta Massimo «Noi costruendo in convenzione, per 25 30
anni, non possiamo rivendere l’appartamento a prezzo di mercato ma al costo di acquisto calmierato
su base dell’inflazione».
Non è presente, in Italia, una normativa che regoli la costruzione dei cohousing. Base Gaia è, di
fatto, il primo esempio di cohousing a Milano nato dal basso. L’amministrazione comunale, si è
mostrata interessata a tale progetto, pertanto, è stato possibile aprire un dialogo tra le due parti. È
stata aperta una trattativa riguardante gli oneri di urbanizzazione, in particolare, l’amministrazione
ha lasciato un margine di edificazione maggiore rispetto al potere edificante del terreno. Inoltre gli
spazi comuni, in un edificio civile, devono sottostare a parametri rigidi, non potendo superare il
10% della struttura. «Non bisogna creare una regolamentazione ad hoc» dice Massimo, «si cerca di
capire quale sia la giusta regolamentazione per coloro che verranno dopo». Base Gaia, inoltre,
potrebbe diventare la sede di uno sportello cohousing del comune di Milano, affiancando nelle
scelte coloro che vogliono avvicinarsi a questo tipo di attività. Secondo gli stessi cohousers di Base
Gaia, questa è una soluzione che le amministrazioni pubbliche dovrebbero promuovere poiché
vantaggiosa non solo dal punto di vista degli utenti ma anche delle amministrazioni locali stesse.
«Dove non arrivano le famiglie arriva il pubblico. Se non arriva il welfare arrivano i privati». Il
cohousing potrebbe risolvere problematiche relative alla sicurezza di quartiere, rigenerando parti di
città ad ora pericolose, senza investimenti gravosi ma semplicemente agevolando gruppi di famiglie
in un ottica di scambio. Il progetto, inoltre, costituisce una base di fiducia per banche e costruttori,
che si concretizza in un accesso facilitato ai finanziamenti.
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3.7. Questioni aperte
Secondo quanto sostenuto da Chiodelli (2009) cohousing e gated communities presentano
caratteristiche comuni che rendono problematica la definizione della portata innovativa del
fenomeno stesso. Si cercheranno ora di evidenziare tali caratteristiche per poi individuare il
carattere che differenzia questi due fenomeni all’apparenza simili.
Selettività: consiste nella possibilità di selezionare l’accesso ai servizi dal punto di vista
comunitario ma anche l’accesso dei residenti in virtù del carattere privato della struttura.
Entrambi, di fatto, si caratterizzano per determinati aspetti fondativi quale il “vicinato
elettivo” che ne fa una forma di insediamento esclusiva. Si basano pertanto sul diritto
all’esclusione.
Componente valoriale: essa non costituisce uno degli aspetti caratteristici dell’insediamento
e gli aspetti ideologici non sono determinanti. Viene posta enfasi sulla condivisione di un
progetto di vita, su una visione comune che diventa il collante della comunità con centralità
posta agli aspetti funzionali.
Multifunzionalità comunitaria: accanto alla funzione residenziale, vi è la presenza di servizi
fruibili dalla comunità di residenti, con gradi più o meno ampi di apertura all’esterno.
Regole costituzionali ed operative del diritto privato: si caratterizzano come forme di
governo del territorio alternative alle tradizionali modalità pubbliche, introducendo forme di
regolamentazione che sottostanno alle regole del diritto privato.
La domanda che sorge spontanea è in che modo il cohousing si differenzi da tali comunità e dove
esso possa mostrare la propria componente innovativa.
Il cohousing, pur essendo una forma di insediamento privata mostra un grado di apertura alla
comunità superiore. Esso si rivolge principalmente, a differenza delle gated communities, a fasce di
popolazione che non possono sostenere i costi di abitazioni offerte dal mercato immobiliare. Non
risponde esclusivamente a un bisogno di sicurezza, ma a un bisogno di comunità e socialità,
recuperando una sorta di capitale relazionale che permette di fronteggiare le problematiche
quotidiane attraverso il supporto e la condivisione. Il cohousing «è visto come un modo nuovo di
abitare che privilegia le relazioni, promette di compiere scelte virtuose dal punto di vista ambientale
e sociale – dal car sharing, all’orto condiviso, alla costituzione di gruppi di acquisto solidali e
energie rinnovabili – e, non ultimo, di conseguire un risparmio su un bene essenziale come
l’abitazione» (Narne, Sfriso p 40). Non si pone dal punto di vista di una nuova teoria dell’abitare,
ma come una buona pratica, che si costituisce attraverso percorsi partecipativi, capace di produrre
20
nuove risposte sul piano sociale. Si pone, pertanto, come risposta a alla crisi, in contrapposizione ai
caratteri di preservazione identitaria e di centralità della sicurezza caratteristici delle gated
communities. Come racconta Marta, cohouser di Base Gaia, il rischio di segregazione rispetto
all’ambiente circostante esiste «ma Base Gaia sarà in grado di trovare spunti nel sociale. I nuclei
sono contraddistinti da una particolare sensibilità rispetto a questo tema. È una strada faticosa che
porterà i suoi frutti. Dalle diverse idee vi è l'incontro degli obiettivi».
4. Base Gaia e Innovazione Sociale
4.1. Base Gaia. Gli aspetti innovativi
Riprendendo la definizione della Commissione Europea (2010), Pirone definisce l’innovazione
sociale come «un processo sociale di cambiamento in grado di produrre esiti desiderabili in termini
di miglioramento della competitività economica, della sostenibilità ambientale e della solidarietà
sociale» (Pirone, 2010 p 137). Tale concetto assume un carattere centrale negli ultimi anni, e
sembra in grado di unificare strategicamente le diverse aree di azione delle politiche sociali
(Ibidem). Come è stato osservato nel primo capitolo, la polisemia del termine non permette una
definizione univoca del tema in questione, tuttavia è possibile delimitare il raggio di analisi a quelle
iniziative volte a colmare vuoti derivanti dai cambiamenti del welfare relativi alle politiche sociali.
Dal punto di vista sociologico, prevale un approccio sistemico all’innovazione sociale. Secondo la
definizione di Frances e Nino, essa fa riferimento ad un processo volto all’introduzione di un
cambiamento che modifica la routine, i flussi e le credenze all’interno del quale si realizza,
attraverso un’azione ampia e duratura (Ibidem). Secondo l’autore, sono quattro le dimensioni che
caratterizzano l’Innovazione sociale:
a) La distinzione tra innovazione sociale e profitto economico: le innovazioni sociali non sono
orientate al profitto privato ma al miglioramento della qualità della vita.
b) Le finalità sociali: le innovazioni sociali tendono a soddisfare bisogni sociali che non
trovano risposta.
c) Produzione di un bene pubblico: le innovazioni sociali non fanno riferimento
esclusivamente alle persone e al sociale ma più in generale al pianeta e all’ecosistema.
d) Mutamenti delle istituzioni sociali: le quali comprendono un aumento della capacità di
azione da parte degli individui con il fine di includerli all’interno dei processi decisionali.
L’attore pubblico, pertanto, non agisce direttamente nella creazione dell’innovazione, tuttavia
favorisce le condizioni attraverso le quali i privati possano agire. La prospettiva europea
21
all’innovazione si fonda sullo sviluppo delle capabilities degli individui, i quali possono agire in
prima persona attraverso nuovi assetti di governance che prevedono la collaborazione di attori su
più livelli. L’innovazione sociale, di fatto, fa riferimento a pratiche di auto-organizzazione e di
auto-produzione di beni e servizi, utili allo sviluppo di nuove relazioni sociali e di «forme
alternative o complementari di sostentamento e di protezione sociale» (Mingione E. Haddock S. p
98).
Con riferimento alla questione abitativa e al tema del cohousing, l’innovazione sociale vede come
protagonisti quei soggetti che sperimentano problematiche relative all’abitare. Housing sociale,
cooperative edilizie sono accomunati dall’obiettivo di favorire l’accesso alla casa a prezzi inferiori
rispetto a quelli offerti dal mercato immobiliare (Vicari Haddock, 2009). Tali progetti sono
caratterizzati da un grado più o meno elevato di istituzionalizzazione e hanno ricadute positive più
in generale sul quartiere, poiché si fanno promotrici di processi di rigenerazione di parti di città
caratterizzate da diversi gradi di esclusione. Secondo tale definizione, Base Gaia rientra a pieno
titolo all’interno del novero delle innovazioni sociali. Cooperativa edilizia a base indivisa agisce in
un duplice senso: l’accesso alla casa a prezzi inferiori, la rigenerazione di una parte di città
attraverso lo sviluppo di nuovi legami sociali. Tale mutamento di prospettiva, secondo quanto
sostenuto da Serena Vicari Haddock (2009) si realizza in due momenti distinti:
l’istituzionalizzazione, che permette un riconoscimento reciproco tra società civile e stato e un
mutamento dell’orientamento valoriale verso il progresso che consente a tali iniziative di non
rimanere esclusivamente nell’ambito privato ma di entrare a far parte del discorso pubblico, agendo
come promotrici di servizi che identificano i nuovi bisogni sociali. Contestualmente, possono
operare cambiamenti all’interno della governance locale attraverso il mutamento di orientamenti
valoriali e normativi. È definito upscaling13 il processo attraverso il quale tali iniziative salgono di
scala, consentendo un ampliamento in senso universalista delle richieste e i dei riconoscimenti
(Ibidem).
Per essere tale, l’innovazione sociale necessita di essere legittimata. Tommaso Vitale (2009),
riprendendo la definizione di Shumpeter (1952) sottolinea la differenza tra invenzione e
innovazione.
«Un’innovazione non è una semplice invenzione, ma un’invenzione compresa, identificata, resa discutibile,
comunicabile e per ciò socialmente accettabile, appropriabile, diffondibile e imitabile: un’invenzione
riconosciuta socialmente a cui viene attribuita legittimità» (Vitale, 2009, p. 123). 13 Upscaling è un termine introdotto da Novy nel 2008 con riferimento al «processo attraverso il quale le iniziative risalgono di scala, ad esempio quando, pur nascendo dalla società civile, ottengono qualche garanzia legale o finanziaria dall’alto cioè dal livello istituzionale» (Vicari Haddock, 2009 pp 218, 219)
22
Tale legittimazione si realizza quando l’innovazione comporta delle modifiche pratiche a quello che
è il costume e che Weber definisce razionalità rispetto allo scopo (Ibidem). L’autore identifica tre
modalità attraverso le quali si attua il processo di legittimazione dell’innovazione sociale:
- Pratiche del conflitto: che permettono di attirare i media, utili alla diffusione delle
informazioni relative all’innovazione e di utilizzarli come arene in cui prende vita il discorso
pubblico.
- Pratica dell’obiettivo: fa riferimento al coinvolgimento di attori differenti attraverso la
pratica.
- Produzione di iniziative culturali: con l’obiettivo di produrre riflessività (ad esempio
convegni)
Nel caso di Base Gaia, come avviene più in generale nei processi di legittimazione di innovazione
sociale, questi tre momenti si intrecciano, con l’obiettivo di cambiare il discorso pubblico sulla
tematica dell’abitare condiviso. Nel concreto, Base Gaia si organizza sulla base di un piccolo
gruppo con un obiettivo comune, la costruzione del cohousing. Tale progetto non prende vita a
partire da alcun fondamento ideologico ma si basa su specifiche competenze pratiche e su un
ragionamento di tipo etico. Prevede la collaborazione di attori su più livelli, pubblico
(amministrazione comunale), i protagonisti dell’innovazione stessa (dieci cohousers) e un gruppo di
esperti in varie materie (avvocati, architetti, commercialista). Attraverso convegni e incontri sul
tema avviene il riconoscimento del progetto su vasta scala. Base Gaia a questo proposito, partecipa
a Experiment Day e Segnali dal Futuro i quali portano visibilità al progetto e ne consentono la
legittimazione al pubblico. I percorsi di legittimazione sono caratterizzati da una processualità lenta
e agiscono su due piani distinti: quello legale e quello della tradizione attraverso mutamenti del
discorso pubblico (Ibidem). Come è stato più volte ricordato, Base Gaia agisce in questi duplice
senso. Un mutamento del tradizionale significato dell’abitare attraverso un’azione diretta sulla
normativa vigente. Si modifica, pertanto, il discorso pubblico attraverso la ripresa di varie
tematiche. Queste ultime non si limitano al fenomeno del cohousing ma comprendono una gamma
di valori più complessi che coinvolgono l’ambiente, la prospettiva economica e la coesione sociale.
4.2. I sei momenti dell’Innovazione Sociale
Murray, Caulier Grice e Mulgan ne Il libro bianco sull’innovazione sociale individuano i sei
momenti che accompagnano l’innovazione dall’idea allo sviluppo effettivo. «Tali momenti non
sono sempre sequenziali […]. Essi possono anche essere pensati come fossero degli spazi
coincidenti, con culture e abilità differenti» (Ibidem, p.12). Rappresentano il frame all’interno del
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quale l’innovazione si sviluppa e forniscono un modello interpretativo utile per un’analisi concreta
su ciò che di fatto si intende per innovazione sociale.
In questo paragrafo si cercherà di definire l’effettiva portata innovativa del progetto di Base Gaia
declinandolo secondo lo schema fornito dagli autori.
Suggerimenti, ispirazioni e diagnosi è il primo di questi sei momenti. Al suo interno sono inclusi
tutti quei fattori che sottolineano il successivo sviluppo dell’innovazione. «Le sollecitazioni sono
sempre la minaccia per l’azione» (Ibidem, p. 14). In concreto si tratta di individuare le cause che
hanno portato alla nascita del cohousing in Italia, con particolare riferimento a Base Gaia. Come è
stato illustrato nei paragrafi precedenti, il mercato immobiliare non è in grado di rispondere
elasticamente alla domanda abitativa poiché centrato su una mera logica speculativa. (Narne, Sfriso,
2013). La nascita di nuovi nuclei familiari che si discostano per forma e sostanza da quelli
tradizionali, la lontananza dalla famiglia d’origine e la carenza di reti relazionali di supporto
accanto a un diffuso bisogno di socialità, portano persone dotate di una particolare sensibilità nei
confronti di tali tematiche ad unirsi in complessi residenziali in cui la logica della condivisione,
della solidarietà e della sostenibilità fanno da sfondo alla vita quotidiana. Base Gaia si colloca
all’interno di questo contesto più generale di bisogno.
Proposte e idee rappresenta il secondo momento individuato dagli autori. “Farsi la giusta domanda
è il primo passo per trovare la giusta soluzione” (Murray, Caulier Grice, Mulgan, p. 30). È questo il
momento in cui viene generata l’idea e viene valutata sulla base di ciò che è concretamente fattibile.
Base Gaia nasce dalla necessità di vivere all’interno di un contesto adatto alle proprie esigenze,
discostandosi dallo stile di vita frenetico della città. Una presa di posizione attiva nei confronti delle
modalità con cui affrontare la vita.
La natura di Open Innovation assunta da Base Gaia «si sviluppa su una serie di principi quali la
collaborazione, la decentralizzazione, la trasparenza dei processi e la pluralità dei partecipanti»
(Ibidem, p. 38). Questo permette lo sviluppo di nuove soluzioni a problemi sociali, all’interno di un
contesto di continuo scambio e condivisone. “Nasce l’idea di cohousing che si è sommata con
l’idea di altre persone incrociate durante questo percorso”.
Prototipi ed esperimenti è il terzo momento. «È attraverso l’interazione, il processo conoscitivo per
prova ed errore che le coalizioni si rinforzano […] e i conflitti trovano una soluzione» (Ibidem p.
12). Si tratta di superare le sfide che il progetto incontra e testarne la fattibilità. In questa fase
possono aprirsi opportunità di finanziamenti e sostegni dall’esterno. Il progetto di Base Gaia è nato
e si è sviluppato grazie all’appoggio di HousingLab, un’associazione nata con l’obiettivo di
diffondere le buone pratiche dell’abitare attraverso la condivisone delle competenze e della
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sperimentazione partecipativa nell’ambito dell’abitare sociale e collaborativo. Grazie a questo
primo supporto il progetto ha avuto modo di emanciparsi, trovando la propria dimensione in
perenne evoluzione. Base Gaia è costituita da un gruppo di persone che si è mobilitato attorno a
un’idea e che la costruisce passo per passo. La portata innovativa del progetto, ha permesso di
aprire una trattativa con l’amministrazione comunale per andare in deroga ai regolamenti «Non
bisogna creare una regolamentazione ad hoc. Si cerca di capire qual è la giusta regolamentazione
per coloro che verranno dopo». [Massimo]
Il quarto momento è quello delle Conferme, «la fase in cui l’idea iniziale entra a far parte dell’uso
comune. Ciò implica la raffinazione […] e l’identificazione del flusso di entrate per assicurare la
sostenibilità finanziaria a lungo termine» (Ivi, p. 12). Nel settore pubblico questo momento consiste
nel ricevere finanziamenti economici e/o in una revisione dei servizi. Nel caso di Base Gaia si tratta
del primo passo verso la realizzazione concreta del progetto. Attraverso il principio della
sostenibilità economica alla base dell’iniziativa stessa, quest’ultima può concretizzarsi. Anche in
questo caso, tuttavia, il ruolo dei finanziamenti è fondamentale per la realizzazione della struttura
concreta. Le banche e le aziende costruttrici, hanno mostrato una certa sensibilità alla causa,
agevolandone la realizzazione. È in questa fase che il progetto inizia ad assumere una forma più
concreta la quale porta visibilità. L’individuazione del terreno e l’acquisto dello stesso hanno svolto
un ruolo significativo nella conferma di quella che fino al momento precedente restava un’idea.
Il quinto momento è quello dell’organizzazione e diffusione. «L’emulazione e l’ispirazione giocano
[…] un ruolo fondamentale per diffondere un’idea e una pratica […] fondamentale per divulgare un
nuovo modello di successo» (Ibidem p.12). La condivisione dell’innovazione permette la
formazione di reti collaborative che sono utili al processo di «diffusione generativa» (ibidem p.81)
che non consiste nella mera replicazione del progetto, ma nello sviluppo di forme diverse sulla base
nelle necessità degli attori coinvolti. Il rapporto instaurato con i vari attori sulla scena, in particolare
con l’amministrazione comunale, ha fatto si che Base Gaia, primo progetto di cohousing nato dal
basso a Milano, potesse diventare uno sportello cohousing per i progetti futuri, nell’ottica del
sostegno e facilitazione per la diffusione.
Il sesto momento è quello del Cambiamento del sistema di riferimento. Esso rappresenta il punto
d’arrivo dell’innovazione sociale. “Il cambiamento di paradigma implica generalmente nuove
cornici e strutture messe insieme da molte innovazioni più piccole. Molto spesso le innovazioni
sociali emergono per far fronte alle ostili barriere di un ordinamento precedente […] la possibilità di
crescita dipende dalla creazione di nuove condizioni per rendere le innovazioni economicamente
fattibili» (Ibidem p 13). Base Gaia in questo senso è riuscita ad instaurare un dialogo tra pubblici
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privati, attraverso uno scambio reciproco che apre nuovi spazi al futuro. Un mutamento delle
norme, dei modi di vedere le nuove modalità abitative come un vantaggio per la società, eliminando
le barriere tra i gli attori sulla scena. Un processo che non è ancora terminato, ma che è in continuo
divenire. La rigenerazione di un tratto di quartiere ritenuto insicuro, la risoluzione di problemi
derivanti dalla carenza di servizi, uno stile di vita sostenibile nel senso più ampio del termine
dovrebbero portare le amministrazioni comunali a promuovere su largo spettro queste iniziative.
Conclusioni
Quando si parla di cohousing, non si fa solo riferimento a una soluzione abitativa alternativa. Esso
rappresenta una risposta alle recenti problematiche che coinvolgono la popolazione e che si realizza
attraverso i principi di socialità, condivisione e rapporto con l’ambiante circostante.
Affrontare il tema del cohousing dal punto di vista dell’innovazione sociale significa descriverne le
caratteristiche principali e individuare gli aspetti innovativi. La scelta del caso di studio, Base Gaia,
si è rivelata fondamentale in questo senso. Il caso concreto ha permesso di individuare gli aspetti
virtuosi e le principali problematiche relativamente alla portata innovativa del fenomeno della co-
abitazione.
La crisi del welfare, accanto alla trasformazione dei rapporti tra i soggetti, porta allo sviluppo di
nuove iniziative, nate dal basso, che non si pongono in un’ottica di sostituzione al welfare
tradizionale ma di complementarietà.
Il modello abitativo offerto dal mercato è fondato sulla proprietà privata e sulla logica
dell’individualità. Gli aspetti di socialità, condivisione, risparmio rappresentano un valore aggiunto
per la ricerca di un’abitazione. Si assiste, di fatto, alla creazione di nuovi valori sociali che si
concretizzano nella nascita di nuove pratiche. Il cohousing è, in questo senso, una buona pratica tesa
alla risoluzione di una serie di problematiche che coinvolgono una fascia di popolazione sensibile ai
nuovi problemi che coinvolgono, in particolare, le grandi città.
La dissoluzione delle reti parentali, la precarietà del mondo del lavoro e la fragilità dei servizi di
welfare sono i principali problemi a cui il cohousing tenta di dare una risposta. Il desiderio di
comunità si realizza nella condivisione di risorse, nella sperimentazione di nuove forme relazionali
di aiuto reciproco e buon vicinato. Coloro che decidono di vivere in un cohousing fanno parte di
quella fascia di popolazione che, con la crisi, non è in grado di affrontare i costi relativi ad una
abitazione di tipo tradizionale. Gli aspetti peculiari di questa pratica abitativa sono la progettazione
partecipata, il design e gli spazi per la socialità, i benefici economici, la gestione locale, la struttura
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non gerarchica e l’autonomia economica dei partecipanti. Collocati in aree periferiche riescono a
conciliare i vantaggi della città con il verde della periferia. Il ruolo della partecipazione risulta
centrale in particolare nelle prime fasi di costruzione per poi accompagnare il progetto in tutto il suo
percorso.
Base Gaia è un progetto di abitare partecipato nato a Milano, che cerca di affrontare le
problematiche derivanti da una situazione cittadina di disgregazione. Progetto nato nel 2010,
coinvolge un gruppo di dieci famiglie e ha come obiettivo quello di conciliare esigenze di
sostenibilità economica, ambientale e di spazio. Non essendo presente in Italia una normativa che
regoli la costruzione di tali spazi, il progetto si è posto in un ottica di dialogo con l’amministrazione
e questo ha consentito aprire una trattativa riguardante gli oneri di urbanizzazione.
L’evidente somiglianza tra cohousing e gated communities rende problematica la definizione della
portata innovativa del fenomeno stesso. Molte sono le caratteristiche che li accomunano, tra cui il
pericolo di segregazione. Tuttavia, il cohousing si caratterizza per un grado di apertura superiore
alla comunità. Esso non si rivolge esclusivamente alla popolazione che vi risiede ma si pone in un
ottica di osmosi con il quartiere. La possibilità di segregazione rimane aperta. Il rischio relativo alla
formazione di un’enclave, un’isola felice, all’interno della quale i membri non siano stimolati a
comunicare con l’ambiente circostante poiché autosufficienti è alta. In tal caso verrebbero meno i
principi fondativi del cohousing stesso, in particolare di Base Gaia. È la composizione degli
abitanti, le caratteristiche e gli obiettivi nelle loro peculiarità che trasformano il cohousing in un
fenomeno innovativo. Per Base Gaia rimane una questione aperta ma le intenzioni sono buone.
Nonostante le difficoltà, è potenzialmente in grado di adempiere ai suoi obiettivi e di rappresentare,
a mio avviso, un vero e proprio caso di innovazione sociale.
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