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ITALIANISTICA Rivista di letteratura italiana ANNO XLII · N. 1 GENNAIO/APRILE 2013 PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE MMXIII estratto issn 0391-3368 issn elettronico 1724-1677
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nuove coordinate biografiche per giovanni tarcagnota (1508-1566), italianistica, XLII, 1 gennaio/aprile 2013, pp. 25-55

Jan 25, 2023

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Gennaro Tallini
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ITALIANISTICARivista

di letteratura italiana

ANNO XLII · N. 1

GENNAIO/APRILE 2013

PISA · ROMA

FABRIZIO SERRA EDITORE

MMXIII

estratto

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ITALIANISTICARivista

di letteratura italiana

Periodico quadrimestrale diretto daAlberto Casadei, Marcello Ciccuto, Davide De Camilli

*Comitato di consulenza:

Mikhail Andreev (Moskvá), Johannes Bartuschat (Zürich),Lucia Battaglia Ricci (Pisa), Lina Bolzoni (Pisa - Scuola Normale Superiore),Maria Cristina Cabani (Pisa), Theodore J. Cachey (Notre Dame, Indiana),

Monica Fekete (Cluj-Napoca), Klaus W. Hempfer (Berlin),Susanne Kleinert (Saarbrücken), François Livi (Paris -Sorbonne),

Martin McLaughlin (Oxford), Rita Marnoto (Coimbra), Giorgio Masi (Pisa),Cristina Montagnani (Ferrara), Emilio Pasquini (Bologna),

Lino Pertile (Harvard, Massachusetts), Raffaele Pinto (Barcelona),Niccolò Scaffai (Lausanne), Hanna Serkowska (Warszawa),

H. Wayne Storey (Bloomington, Indiana), Luigi Surdich (Genova),Dirk Vanden Berghe (Bruxelles), Juan Ignacio Varela-Portas Orduna (Madrid)

*Redazione:

Giorgio Masi (coordinatore), Veronica Andreani, Sara Boezio,Ida Campeggiani, Maiko Favaro, Leyla M. G. Livraghi,

Eugenio Refini, Veronica Ribechini

*Indirizzo per le spedizioni cartacee

(corrispondenza, dattiloscritti, volumi per recensione, omaggio o cambio):Direzione di «Italianistica», c/o Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica,

Sede di Italiano, Via S. Maria 36, i 56126 Pisa, tel. **39 050 2215321Spedizioni informatiche: [email protected] oppure [email protected]

*«Italianistica» is an International Peer-Reviewed Journal

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anvur: a.

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NUOVE COORDINATE BIOGRAFICHEPER GIOVANNI TARCAGNOTA DA GAETA (1508-1566)

Gennaro Tallini

Le coordinate biografiche di Giovanni Tarcagnota (1508-1566) sono sempre state comprese tra l’ultimo decennio del Quattrocento e il 1566. Tali notizie, avvalorate da diversi studiosi a partire dalSettecento, sono state da noi completamente riscritte fissando il termine ante quem al 1508 e quellopost quem al 1566.

Giovanni Tarcagnota (1508-1566) was identified as born in Gaeta at the end of fifteenth century byF. Soria and others scholars in eighteenth and nineteenth century. These notices, confirmed without new studies in twentieth century by Angelo Borzelli (that edited his Favola d’Adone in 1898)and others local writers, are now completely deleted by our researches, based on the analytic reading of some prefatory letters and other documents on his family in Gaeta between sixteenthand seventeenth century.

1.

e coordinate biografiche di Giovanni Tarcagnota, sinora solo ipotizzate, offronospunti interessanti di analisi nel campo della storiografia rinascimentale e degli stu-

di di antiquaria romana all’epoca di Paolo iii Farnese. Avaro di notizie sulla propria vi-ta, nonostante la notorietà raggiunta con la pubblicazione delle Historie del mondo (Ve-nezia, Tramezino, 1562), della Favola d’Adone (Venezia, Tramezino, 1550) e diversi altrivolgarizzamenti da Plutarco e Galeno, la sua biografia può essere al momento desuntasolo dalla lettura di pochissime segnalazioni sparse all’interno delle sue opere e/o del-le prefazioni alle sue edizioni a stampa. Sodale degli editori veneziani Francesco e Mi-chele Tramezino il Vecchio, interno alle dinamiche letterarie attive in casa Venier (cuiafferivano anche Bembo, Dolce, Parabosco, Tiziano e Aretino)1 e ai circoli letterari ro-mani ruotanti intorno ai Farnese, allievo (a Padova o a Sessa) di Nifo (come i conterra-nei Antonio Minturno, Giovanni Andrea Gesualdo e Galeazzo Florimonte cui il Nostrodedicherà «[…] in pegno de la mia anticha servitù», la Seconda parte de le cose morali diPlutarco […], Venezia, Tramezino, 1548), l’umanista, di cui certa è la sola nascita a Gaeta,non ha lasciato epistolari e solo recentemente abbiamo rintracciato alcuni lacerti manoscritti e un atto conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze che gettano nuo-va luce sulla sua biografia e sul catalogo delle edizioni a stampa da lui pubblicate.2

Diversi commentatori convergono sul 1490 come probabile data di nascita dell’Auto-re della Favola d’Adone, consuetudine però mai avvalorata da documenti.3 A questo si

1 Gennaro Tallini, Devozioni Mariniste. Fonti cinquecentesche nell’Adone di Marino, «Rivista di studi italiani»,xxiv, 1, 2006, pp. 31-55. Sugli equilibri interni all’Accademia di Domenico Venier cfr. Ludovico Dolce, Giovan-ni Tarcagnota, Girolamo Parabosco, Stanze nella favola d’Adone, a cura di Gennaro Tallini, Roma, Aracne,2012, pp. 36-54. Sul mito adonio nella percezione cinquecentesca, invece, cfr. Carlo Caruso, Adonis. The mith ofDying God in the Italian Renaissance, London, Bloomsbury, 2013, in c.d.s.

2 Biblioteca Civica Bertoliana, Vicenza (bcbvi), ms. 383-388; asfi, Archivio Mediceo del Principato, b. 434,c. 393, lettera del 15 settembre 1554 di Metello Tarcagnota al Granduca di Toscana.

3 Per le note biografiche correnti cfr. Francescantonio Soria, Memorie storico-critiche degli scrittori napoleta-ni […], Napoli, nella Stamperia Simoniana, tomo ii, pp. 583-585; Camillo Minieri-Riccio, Memorie storiche degli

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somma la questione degli pseudonimi che Tarcagnota ha utilizzato durante la sua atti-vità; di essi, Lucio Fauno fu già individuato nel 1780 dall’erudito Bartolomeo Chiocca-rello,1 mentre gli altri due (Lucio Mauro e Andrea Palladio) solo recentemente sono sta-ti individuati (ma non ancora assegnati) dopo che sono stati resi pubblici alcunidocumenti torinesi, francesi e inglesi (Oxford, Bodleyan Library, Canon. Ital. 138, c. 16r)contenenti brani delle Antichità di Roma di Pirro Ligorio attestanti l’uso degli stessi pseu-donimi da parte di Tarcagnota (peraltro erroneamente chiamato Francesco).2

Diversi privilegi e lettere prefatorie attestano la provenienza gaetana e ne certificanola cittadinanza. È il caso del Motu proprio con cui Pio V, appena eletto, concede il privi-legio decennale per l’edizione del De situ et lodi citando l’Autore come «dilectus filius Ioannes Tarcagnota Caietan[us]». In precedenza, l’identificazione di Tarcagnota con

scrittori nati nel Regno di Napoli […], Napoli, Tipografia dell’Aquila di V. Ruzziello, 1844, p. 344; Filippo Argelati,Biblioteca de’ volgarizzatori, Milano, 1767, tomo iii, pp. 263-265. Giusto Fontanini, Biblioteca dell’eloquenza italiana,Parma, 1804, tomo i, pp. 247-248; Pietro Rossetto, Breve descrittione delle cose più notabili di Gaeta […], Napoli,Domenico Antonio Parrino & Michele Luigi Mituij, 1675, p. 27; Giovanni Battista Tafuri, Istoria degli scrittorinati nel regno di Napoli […], Napoli, tomo iii, 4, pp. 99-102. Gaetano Andrisani, Giovanni Tarcagnota, in Diario Casertano. Persone e vicende, Gaeta, Quaderni della Gazzetta di Gaeta, 1994, pp. 241-253; Angelo Borzelli, L’Ado-ne di Giovanni Tarcagnota da Gaeta, Napoli, Tipografia di Gennaro M. Priore, 1898; Antonio Cervone, GiovanniTarcagnota, Caserta, Russo, 1984; Niccolò Toppi, Biblioteca napoletana […], Napoli, Bulifon, 1678.

1 De illustribus scriptoribus […] auctore Bartholomeo Chioccarello Neapolitano […], Neapoli, ex officina Vincentii Ur-sini auctoritate publica, 1780, tomo i, pp. 350-351, ad vocem Joannes Tarchanioto.

2 Le notizie riguardanti Pirro Ligorio mi sono state gentilmente date da Carmelo Occhipinti, che ringrazio vi-vamente, nel 2007 curatore sul sito www.pico.it della Scuola Normale Superiore di Pisa dei documenti ligorianicui qui facciamo riferimento. Sulla questione dello pseudonimo pseudopalladiano cfr. pseudo-Andrea Palla-dio [alias Giovanni Tarcagnota], Delle antichità della città di Roma […], ed. critica a cura di Gennaro Tallini, te-si di dottorato di ricerca, tutors prof. Michelangelo Zaccarello (Università di Verona), prof. Giorgio Masi (Univer-sità di Pisa), Dipartimento di Lingue e Letterature straniere, Università di Verona, 2013. Diamo di seguito i treestratti relativi alla questione e vincolanti per ogni analisi sullo pseudo-Palladio e sull’opera di Tarcagnota: «[…]Pertanto gli moderni interpreti per non avere memoria o per non avere fatta diligenza nell’antichi scrittori, o pu-re parendogli mille anni di prendere i danari et andare in stampa e per essere i primi giostranti hanno rotta la lan-cia et il scudo della Fedeltà […]. Ordunque i primi che in tale errore si confusero in questa loro falsa oppenionefu Pomponio Laeto et il Blondo da Frulli, che non conoscevano i colli della città e presero il colle Quirinale per leEsquilie, con infiniti inconvenienti e di sciocchi errori. Doppo tale oppenione il dottissimo Andrea Fulvio vi cad-de, e doppo questo Bartholomaeo Marliale milanese prese ancor esso la coda per lo capo delle cose, ha errato inquesto et in molte cose principali. Dipoi questi, Francesco Tarcagnotta Gaetano, studiando in Venezia l’antichitàdi Roma, ha detto assai peggiore che l’altri, et ha egli finti tre autori che scriveno delle antichità, per fare le suemasticate antichità correre attorno per tutto, con credenza di non essere conosciuto, con fignere Lucio Fauno, di-poi Lucio Mauro, e per ultimo il Palladio, che l’uno è il maestro scioccho, l’altro il discipulo, il terzo lo innorma-tore delle antichità e non vi manca altro che ‘l resentimento che gli facci il cavallo su le spalle di Madonna Que-rela […]» (Pirro Ligorio, Antichità di Roma, asto, ms. a.ii.1, vol. 14, c. 10v). Altrove, l’architetto napoletanorincara la dose: «Sin qui Lucano ce insegna dove era l’Aerario di Saturno, sotto l’incontro della Rupe Tarpeia, enon è dove l’hanno voluto locare il Blondo, il Fulvio, il Merliano, Pomponio Leto e Lucio Fauno, el Mauro et ilPalladio, che tutte tre sono nomi finti dal Tarcagnotta Gaetano, i quali vogliono che tale tempio di Saturno sia lachiesa di Santo Adriano in Via Sacra, ch’è il Volcanale, come è detto al suo luogo, e questo di Saturno era nel Vi-co Iugario, alla sudetta chiesa di San Salvatore oltre alla Consolazione opposta alla Rupe Capitolina et alla Roccaguardiana della città, e quivi sono trovate le tabole di bronzo […]» (ivi, asto, ms. a.ii.2, vol. 15, c. 132r). «[…] Con-tra al Fauno. Della Schola Augusta. Delli scriba librarii. Deh, quanta ignoranzia è stata ancora di quelli scrittoridell’antiquità che hanno voluto scrivere essendo senza cognizione alcuna di architettura, la quale arte può in que-sto tanto quanto possono le lettere. Per tanto loro non conoscendo un tempio d’una basilica, né quello delli Deiaffeminati dagli altri, hanno presi infiniti granchi, e non conoscendo gli ordini dell’architettura né delli membrisui saputi li propri nomi, han scritto molte inezzie, e tra l’altre che hanno scritte han preso per capitello l’epistilioo vogliamo dire architrave» (Idem, Antichità di Roma, bnf, ms. it. 1129, c. 32). «E dunque fin qui basterà avendonedella Subura scritto paradossamente nelle cento paradosse mie contra Pomponio Læto, contra al Blondo e Palla-dio, et ad Andrea Fulvio, e contra al Blondo, et ancora di Onuphrio Panvinio e contra a Bartholomeo Marliano econtra a Lucio Fauno e Lucio Mauro, opere composte dal Tarcagnotta sotto tali tituli da lui ritrovati per avere del-li testimoni per confermare le sue falsità scritte e dette che in esse opere si possono leggere, tutte composte perguadagno più che per altro […]» (Idem, Antichità di Roma, vol. 16, ms. a.ii.3, c. 251r).

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Lucio Fauno e la provenienza gaetana sono ricordate da Michele Tramezino alla c. 4rdelle Historie del Biondo («[…] Havendo io appresso di me la Historia del dottissimo Bion-do da Forlì ridotta in compendio da Papa Pio et elegantissimamente tradotta in questanostra materna lingua da messer Lucio Fauno Gaetano, et volendola mettere in stam-pa, mi è parso dedicarla a V M»), dal privilegio per la stampa del Galeno delli mezzi(«L’opera di Galeno de sanitate tuenda et de curandis animi morbis, tradotta in volga-re per M. Giovanni Tarcagnota gaetano») e dal frontespizio della Favola d’Adone dove èriportato L’Adone di Giovanni Tarcagnota da Gaeta.

Il primo problema da risolvere riguarda l’età e la formazione. Finora, infatti, è sempre stata convenzionalmente fissata come data di nascita il 1490, ma tale termineante quem non è avvalorato da documenti, né è plausibile, alla luce soprattutto dellacronologia delle opere. L’unico dato certo è rappresentato, infatti, dalla sua produ-zione, in gran parte edita da dai Tramezino (ca. il 15% della produzione tipografica del-l’intera bottega), praticamente concentrate tra il 1542 e il 1554 con le sole Historie risa-lenti al 1562 per un totale di 26 titoli e 21 ristampe.1 Le nostre ricerche, invece, spostanola data di nascita intorno al 1508. Infatti, se prendiamo in considerazione quanto af-fermato dallo stesso Autore nel brano di seguito citato, abbiamo un dato di riferi-mento che opportunamente incrociato con gli altri già acquisiti, ci permette di otte-nere una prima data certa.

Fiorì in questo tempo Plutarcho Cheroneo Philosopho et Historico diligentissimo, e che fu a uncerto modo maestro della vita di Traiano. Inde, chi bene le cose morali di questo Philosopho considera, vedrà, che alla gran bontà di Traiano non poco Plutarcho giovò. Egli mi piacquero inmodo infino da li miei primi anni gli scritti di questo divino philosopho, che desideroso, che tutti lialtri agevolmente il gustassero, una buona parte de’ suoi morali, non avendo venticinque anni ancora, recai nella lingua nostra.2

Procedendo, infatti, indietro nel tempo, a partire dalla data della sua prima edizione perTramezino (1542), 25 anni di studio ci portano al 1518. Se a questo aggiungiamo che ilpensiero di Plutarco e Aristotele, semplificati e mediati in maniera adeguata, sono partedel programma di studi dei bambini di dieci anni (al punto che Nifo si sente in doveredi scrivere una Dialectica e una Rethorica ludicra «[…] quibus pueri disponuntur ad librum Aristotelis»),3 è evidente che la data di nascita non può che rimontare al massi-mo al 1508 e non oltre. Oltretutto, nel documento conservato in asfi rintracciato dalsottoscritto e che più avanti presenteremo, datato dicembre 1554, Giovanni è definitodal figlio Metello «giovane» e i trentasei anni che egli dovrebbe avere a questa data giu-stificano pienamente l’aggettivo utilizzato.

Almeno nei primi tempi della sua carriera egli ha poi utilizzato il nome dello zio Michele Marullo e le conoscenze romane del di lui fratello Teodoro con lo scopo di av-valorare la propria professionalità letteraria; ciò è confermato da un passo delle stesseHistorie dove, trattando della propria origine e formazione, ci spiega come, nell’ottica

1 Gennaro Tallini, Tradizione familiare e politiche editoriali nella produzione a stampa dei Tramezino editori a Venezia (1536-1592), «Studi Veneziani», lx, 2010, pp. 53-78; Idem, Tra studio e bottega. Coordinate bio-bibliografiche perGiovanni Tarcagnota da Gaeta (1499-1566), «Bibliologia», 6, 2011, pp. 15-42.

2 Giovanni Tarcagnota, Historie, p. iii, l. xliii, c. 221v.3 Gennaro Tallini, Cronologia degli scritti e motivazioni didattiche nelle opere di Agostino Nifo durante il periodo

pisano (1518-1523), in Umanesimo e università in Toscana (1300-1600), Atti del Convegno internazionale di Studi (Fiesole-Firenze, 25-26 maggio 2011), a cura di Stefano Ugo Baldassarri, F. Ricciardelli, Enrico Spagnesi, Firenze, Le Lettere,2012, pp. 327-348.

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di una latinizzazione che ha tutta l’aria di una personale promotion letteraria, si è giun-ti nel tempo ad adottare il cognome poi correntemente usato.

Visse nel medesimo tempo Michele Marullo che di Euphrosina Trachagnota zia di mio padre nac-que; onde egli del cognome di sua madre che era più chiaro, si ornò; benché per raddolcirne pres-so Latini la voce, di Trachagnota Tarchagnota facesse: il che seguendolo anche io fatto ho.1

In un altro passo, Tarcagnota, in un momento di particolare vivacità autobiografica, ciconsegna un’altra traccia della sua tormentata esistenza e attraverso il racconto dellaconquista di Morea da parte turca ci offre anche un quadro realistico degli eventi mostrandoci un saggio letterariamente ben scritto delle sue capacità narrative.

In questi tempi, guerriando insieme Tomaso e Demetrio, fratelli già dell’Imperatore di Costanti-nopoli sopra le ragioni della Morea; il secondo che inferiore si vedea, chiamò in suo aiuto il Moro,che tosto, sotto colore di questo soccorso, il Bascia di Romania vi mandò; e ne fu per ciò Tomasodopo una sanguinosa guerra, che ne sofferse, sforzato a fuggirsi via, et a venirne in Italia a chiede-re a Pio Pontefice aiuto, a cui portò la testa di S. Andrea Apostolo, la quale uscì il Papa fin’a PonteMamolo a riceverla con molta solennità. […] Nelle tante calamità e conflitti, che in questi infelicitempi la povera Morea sentì, essendovi per la patria e per la religione morto, valorosamente com-battendo co’ i barbari, Michele Trachagnota, che con la morte sua fe’ l’honore della sua famigliavie maggiormente chiaro, Dimetro uno de’ figliuoli suoi con sua moglie, che era Paleologina, econ tre suoi piccioli figliuoli fuggendo di Misistra in Corphù ne venne; dove essendosi per quello,che gli haveva la fortuna nelle miserie di que’ tempi lasciato, accomodato assi bene; mentre che qui-vi con la pace pensa menarne lunga e tranquilla vita, fu fra poco tempo, et esso e la moglie sua dauna insperata morte tolto dal mondo. Di che si trovarono i tre piccioli figliuoli male arrivati. Né so,se una sorella di Dimetro, che essendo in Coro vedova, ne venne tosto in Corphù a prendere di questi pupilli cura, lor più giovasse, o nocesse; perciocché vendutone quanto haveva suo fratellohavuto, che non era già poco, credendo così a tre fanciulli rimediare, due seco con tutto quel de-naio, se ne menò, disegnando di tenerne seco uno, l’altro a zio mandarne, che era Metropolitanodi Salonichi. Il terzo, che era Paolo, mio padre, a Ragugia il mandò da Manoli Marulo, che Eufro-sine Trachagnota, sorella di Dimetro, per moglie haveva. Egli ne venne Paolo in Raggia, e fu daManoli raccolto, e menato seco poco appresso in l’Italia, dove in Calabria con la Desputa dell’Artaallhora Eufrosine si trovava, e che più teneramente, che non haveva Manoli fatto, il misero nepoteaccolse. Quinci, passandone poco appresso Manoli in Napoli, trattandone alquanto aspramente ilnipote, fu cagione che egli, come è natura di fanciulli, da lui et in tal guisa fuggisse, che non curòdi vederlo più mai, benché Manoli poscia assai ne cercasse. Tentò ben due volte il misero garzone,essendone in qualche età venutone, e senza obbligo di moglie veggendosi, di ritornarsi in Corphù,o dove ritrovato alcun de’ fratelli havesse: ma perché così al Signore Dio piaceva, ne fu ogni volta,essendo già presso Sicilia giunto, risospinto con molto pericolo da venti contrarij a dietro. Il perchéa fatto ne diventò italiano, per dovere anco Italiani suoi figliuoli lasciarne […].2

Giovanni, secondogenito di Paolo, ebbe altri tre fratelli: Vincenzo (primogenito), decano del Capitolo cattedrale, Cosmo e Fabio (ultimogenito) procuratore e avvocato.Vincenzo è citato quattro volte nei Rationali dell’Universitas Civitatis Cajetae e una nella

1 Giovanni Tarcagnota, Historie, p. ii, l. xxii, c. 549. Il passo propone all’attenzione del lettore un altro pro-blema, certo secondario, ma non per questo meno importante, che interessa la corretta grafia del cognome Tar-cagnota, di volta in volta composto nelle più fantasiose varianti. Solo a partire dalle Annotazioni alla Biblioteca diGiusto Fontanini di Apostolo Zeno (Biblioteca dell’eloquenza italiana di Monsignor Giusto Fontanini […] con le anno-tazioni del signor Apostolo Zeno […], Parma, 1804, ii, pp. 247-248) esso risulta italianizzato nella forma da noi quiadottata e così si trasmette ai critici successivi. Riteniamo invece, che la questione vada risolta nel senso, non del-la forzata italianizzazione, ma del ripristino dell’antica lectio che l’Autore stesso peraltro impone e cioè «Tarcha-niota» ed è solo per facilità di lettura e brevità di scrittura che in queste pagine usiamo la versione modernizzata.

2 Giovanni Tarcagnota, Historie, parte ii, l. iii, c. 797r-v.

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raccolta delle Pergamene della città (xcvii, 24 aprile 1555), laddove, insieme con Giovanni,è indicato come «mundualdo» cura degli interessi di Angela de Torres,1 e nei Rationali,a proposito della realizzazione a stampa degli Statuta, privilegia et consuetudines civitatisCajetae commissionatagli dall’amministrazione cittadina nel 1552.2

Scipione e il cugino Metello – figlio di Giovanni, estensore della dedica della Favolad’Adone e dell’atto fiorentino prima citato – sono presenti nei Rationali a proposito di unatto da essi stipulato, mentre Raimo (Erasmo), scelta la carriera di patrocinatore comeil padre Fabio, è citato nei Rationali a proposito di una causa presso la Sommaria.3 Contemporaneo a Raimo è invece il cugino Vincenzo, anch’egli sacerdote e nominatoin atti del 1591 e del 1594.4 Per finire, sicuramente, il più noto dei fratelli Tarcagnota è Fabio «Magnifico […] Procuratore e sollecitatore della città di Gaeta a Napoli […]»,5 ilpiù citato nei documenti esaminati e attivo come Magnifico Dottore e procuratore della città fino al 1575.6

1 Repertorio delle pergamene della città di Gaeta (1187-1704), Napoli, Rinaldi e Sellitto, 1884 (ed. anast. a cura di Vin-cenzo De Meo, Marina di Minturno, Caramanica, p. 278). Altri documenti in cui Vincenzo è citato sono: Libro derationali, s. 12, b. 17, p. 77v del 14 ottobre 1566 («don V. Traccagnota [sic] dona con altri cittadini di Gaeta delle gallinea un duca»); Libro de rationali, s. 12, b. 24, p. 19, n. 206 dell’8 giugno 1567 («[…] pagato 1 ducato a don Vincentio Tar-cagnota per una cavalcatura data a Fabio Tarcagnota per andare a Napoli»); Libro de rationali, s. 12, b. 23, p. 22, n.151 del 18 maggio 1566; Libro de rationali, s. 12, b. 23, p. 11, n. 32 del 15 ottobre 1565 («[…] et a dicto dee dare carlini22 et sono havendo pagato a reverendo donno Vincenzio Tracaniota [sic] decano della maggiore ecclesia caietana,per far sonare la campanella delle dui hore ogni sera»).

2 Libro de rationali, s. 12, b. 13, c. 2, n. 19 del 20 dicembre 1552: «[…] et al dì ditto dee pagare d. 7, tarì 3 et grana10 pagati a mastro Joe Trachagniota [sic] per coregere li Statuta di ditta citta de Gaieta». Sicuramente la commis-sione gli è stata data per intercessione di uno dei notabili cittadini, quel Francesco Gattola amico e dedicatario delDi Galeno Delli mezzi […], in Venetia, Tramezino, 1549, a sua volta nipote di Carletum Gattula, nobile gaetano cuiNifo dedicò il De divinatione naturali artificiosa (et) de prophetia che chiude i Parva Naturalia (Venezia, Ottaviano Sco-to e soci, 1523). Su Francesco Gattola, nobile rampollo di una delle più antiche casate di Gaeta e capitano di un re-mo cittadino durante la conquista di Tunisi (L’amministrazione Civica di Gaeta del suo territorio, cit., p. xii), si con-servano molteplici documenti, attestanti le diverse cariche da lui ricoperte al servizio della città. Analizzandole, èpossibile anche risalire ai tempi in cui Tarcagnota potrebbe aver ideato il volgarizzamento di Galeno; infatti, nel-la prefazione, l’Autore afferma di aver scritto la traduzione memore delle discussioni comuni avute con lo stessoGattola e Francesco Manganella, medico amico di entrambi e deceduto da diverso tempo (c. Aij) che compare nel-le carte dell’Università cittadina per diversi incarichi pubblici tra il 1535 e il 1542-1543. È probabile, dunque, che ilvolgarizzamento di Galeno debba farsi risalire a quest’ultimo periodo.

3 Libro de rationali, s. 12, reg. 19, p. 39 del 9 maggio 1580. Libro de rationali, s. 12, b. 40, p. 9, n. 140 del 13 febbraio 1591(«et a dì ditto docati 6 pagati a Francesco Antoniano quali selli pagano per altre, tanto have speso lo Magn. RaimoTarcagnioto in Napoli alla Sommaria sopra lo alogiamento del Castellone»). Il Castellone di Formia, estremo pun-to di difesa a sud della fortezza di Gaeta prima di entrare nel territorio cittadino, diventa perno fondamentale delladifesa della città dopo che Carlo V, nel 1536, ordinò la costruzione della terza fila di mura; è interessante notare chetutti i progetti relativi a quest’estrema opera difensiva sono controllati dal Misso alle castella Juan de Valdés, nomi-nato da Carlo V nel 1530 e spesso a Gaeta tra il 1531 e il 1534. Sulla visita di Carlo V a Gaeta cfr. L’Amministrazione Ci-vica di Gaeta del suo territorio e distretto negli anni 1538-1553 attraverso la lettura delle deliberazioni del consiglio della sua Uni-versità, a cura di Antonio Cesarale e Carlo Magliozzi, Gaeta, Edizioni del Comune di Gaeta, 2009, i, pp. xxiii-xxv.

4 Libro de rationali, s. 12, b. 41, p. 13, n. 149 del 21 marzo 1591 («at a ditto carlini 17 pagati al Reverendo don Vin-cenzio Tarcagnota sono per altri tanti per esso pagati alla cancelleria per doi […] regie cioè una delli Capitani àguerra dell’anno passato et la altra delli giudici di questo anno […]»); Libro de rationali, s. 12, b. 40, p. 8, n. 125 del31 gennaio 1591: «[…] et a ditto ducati 5 e grana 5 pagati al signor Lopes de Oliva che tanto ne have pagato a donoV. Tarcagnioto che vi ha dispiso in Napoli. Cioè ducati 1, tarì 3, et grana 5 per la commissione al signor SpetanioVillagut commissario sopra il furto al Monte di Pietà et ducati 2 tarì 2 et grana 25 per la peritia spedita»; Libro derationali, s. 12, b. 44, p. 14, n. 107 del 27 gennaio 1594.

5 Libro de rationali, s. 12, b. 24, p. 8, n. 11 del 6 settembre 1566.6 Delibera comunale del 19 aprile 1575, s. 2, reg. 8, p. 127. Tanti furono i servigi offerti che l’Università con ap-

posito decreto stabilisce di concedere una somma suppletiva di trenta ducati all’ormai pensionato giurista (deli-bera comunale del 20 marzo 1588, s. 2, reg. 10, p. 54: «Il dottor Fabio Trachagnota […] have fatto molte buone ex-peditione per la servitù della citta appresso sua Eccellentia et del Regio Collateral Conseglio […] per le sue faticheselli diano ducati trenta»).

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Tarcagnota, dunque, grazie ai contatti che la famiglia aveva in tutta Italia, terminatol’apprendistato letterario, ben presto avvia un lavoro di traduzione dei classici decisa-mente diverso da quello compiuto dai suoi contemporanei e fortemente petrarchista.La simultaneità linguistica, infatti, gli permette di agire indifferentemente sul piano la-tino-volgare e greco-volgare con una particolarità: la capacità di individuare il vero sen-so etimologico della parola senza fraintendimenti, potendo così esprimere il concettoanche volgarizzandolo; non a caso preferisce i problemi dell’etica, della medicina e del-la storia. Paradossalmente, è proprio in poesia che invece questa dimensione linguisti-ca non può essere sfruttata, troppi sono i canoni, i legami stilistici e le regole retoricheche limitano la ricerca lessicale formalizzandole e limitandole. Non solo, ma la possibi-lità di agire in contemporanea su tre lingue (latino, greco e volgare), gli permette di applicare metodi di traduzione non usuali, lontani dalle formule adottate al tempo e le-gate alla diretta e immediata comprensione del testo in tutte le sue forme, non limi-tandolo alla resa letteraria. Non a caso, nella Seconda parte de le cose morali di Plutarco (c.6r), nella lettera prefatoria indirizzata a Galeazzo Florimonte, Tarcagnota dichiara diaver preferito tener presente il testo greco, più che il latino, perché più vicino alla suaindole letteraria e perché più consono alla sua personale visione dell’Autore e del suopensiero.

[…] non si meravigli V. S. quando vedrà, che io in alcuni luoghi mi scosti alquanto dal testo latino,per che in quello, che mi è paruto, che Plutarcho ne la sua lingua dica altamente, e meglio, mi so-no col testo greco accostato più volentieri.

Tale affermazione, travalicando l’idea di una pedissequa attenzione alla fonte e sconfi-nando nell’idea di una traduzione non letterale, compare nuovamente e con più forzain un altro passo, ben più cogente e attento alla questione linguistica al pari di altri suoicontemporanei, da Silvano da Venafro a Giovanni Andrea Gesualdo e da Antonio Min-turno a Fabrizio Luna.

E perché fosse l’utilità più comune, mi sono risoluto di farlo nella lingua nostra che è hoggimaigiunta a tanta dignità, che pare, che poco più montare possa; che già non ho io avuto pensiero didovere con questi scritti, di elegantie, né di ornamenti di dire arricchirla; anzi mi dispongo a nondovere parlare con altra lingua, che con la mia; e con quel libero modo, e piano fuori di ogni affet-tione, che la istoria a punto richiede. Che se la Toscana dà alla migliore lingua, con la quale noi par-liamo, il nome; a chi doveva io più tasto questa fatica dedicare, e drizzare, che alla Ecce. Vostra? Laquale non solamente le più belle parti della Toscana con tanto moderamento, e giustizia regge; macome colui, che ha il suo generoso cuore di infinite vaghe virtù fregiato, et è sviscerato amatoredelle belle discipline; ha reso ancho a così felice contrada i suoi antichi studij che così in ogni facoltàvi fioriscono.1

Al contrario di Venafro, però, la sua attenzione per la lingua è sostanzialmente toscananon solo per dovere di dedica a Cosimo, ma proprio per scelta operativa e semplicità,eleganza e convenienza di scrittura. Potremmo quasi dire che la sprezzatura castiglio-nesca in parte sia qui sostituita dall’attenzione all’affettazione e alla virtù della paginascritta, intesa come modello che suggerisce eleganza e utilità che la narrazione storicarichiede nella stessa maniera in cui la figura del dedicatario è proposta come modelloletterario, etico e morale insieme. Altrove, in merito, l’Autore è ben più esplicito di-

1 Giovanni Tarcagnota, Historie, p. i, l. i, c. 1v.

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chiarando addirittura di tentare la fondazione di una lingua comune («confesso haverestudiosamente seguita una lingua commune»), fatta di «purità di parole» che possa con-servare la sua necessarietà come lingua tecnica e storica, non costruita su imitazione eassimilazione di vocabolari appositamente raccolti, ma fondata sull’essenzialità dell’or-nato e dell’eleganza delle parole usate.

Sono poi di quelli, che più bella lingua, desiderano in questa mia compositione, e (come è hoggi ilmondo guasto) andranno raccogliento cinquanta, o cento parole, come meno Toscane, et altret-tante, come nuove nella lingua, o del volgo [sic]. Altri de’ troppo lunghi, o troppo brevi periodi sidorranno, e del modo del dire medesimamente; altri più elegante, e vago desiderandolo; altri, co-me troppo e numeroso e fucato, biasimandolo. Io, in quanto alle parole (come mi ricordo haverealtrove anchora detto) confesso havere studiosamente seguita una lingua commune, poi che que-sta era istoria, nella quale fuco di parole non si richiede, e non essermi voluto astringere scriverecon altra lingua, che con la ordinaria mia: e penso non essermi in ciò ingannato richiedendosi acompositione historica e così lunga, come era questa, più tosto schiettezza e purità di parole, chevaghezza, o lenocinio alcuno di dire. Quanto poi al filo, et a numeri della oratione, io mi sono lasciato portare dal mio naturale senza punto affettarlo. Non niego già di havere avuto un certogiudicio e mira allo stile historico, che servarono gli antichi nella loro lingua».1

La polemica sulla lingua, è evidente, mira a tenere la storia nell’abito della prosa, con-centrandone la funzionalità in una lingua non poetica, con ciò in aperta polemica conFabritio Luna e Giovanni Andrea Gesualdo i quali, invece, considerano la poesia fatto-re imitativo valido anche per la prosa, quasi che non si possa essere buoni narratori sen-za essere anche poeti.

Onde non pur lo debbono i rimatori imitare, ma i prosatori ancora non possono liberamente pigliarne non solamente tutte le parti del parlare, et i modi e le figure, ma le parole: perciocché nele rime di lui non è particella, che ne le prose usar non la si possi».2

L’idea Tarcagnotana è quella d’una lingua storica che compendi in sé la capacità di es-sere identificativa della disciplina storica fattasi narrazione e viceversa. La stessa identi-ficazione delle fonti passa per questa condizione della scrittura storica. Brevitas e con-cinnitas divengono formule primarie della narrazione e semplificazione per la lettura.Lo storico, attraverso il compendio universalistico, raccoglie informazioni necessarie alproprio studio e lavoro tenendo presente la fonte e rinnovando la narrazione in un con-testo letterario diverso. Lo aveva ben capito Giorgio Varisco che nella prefazione allasua edizione a stampa delle Historie (1610) sottolinea con precisione e puntualità proprioquesta novità del lavoro tarcagnotano.

Quanto sia grata sempre, Benigni Lettori, a tutti quelli che si dilettano d’haver vera notizia de i fat-ti successi al Mondo da quel punto, che egli dall’Onnipotente Iddio, fu di niente creato, la notabileHistoria di M. Giovanni Tarcagnota, ne fa chiara fede, l’esser essa tante volte stata da diversi stam-pata, e con sommo diletto de i lettori dispensata; perciocché havendo esso Autore, con singolar fe-de, e diligenza raccolto per comodità di chi di tal lettura si diletta, da tutti gli Historici, così Latinicome Greci, ch’avevano in diversi luochi, et tempi le loro historie diffusamente descritte, ha datoal Mondo un corpo d’Historia, la quale cominciando dalla creatione di esso, e continuando fino al-l’anno mille e cinquecento e tredici di nostra salute, con una non confusa brevità contenta appie-no glia animi di quelli, che si compiaceno di leggerlo, liberandoli con questo suo modo di scriveredalla lunga, e tediosa fatica, e lunghezza di tempo, per le quali sariano stati sforzati di passare, quan-

1 Giovanni Tarcagnota, Historie, p. iv, l. lxi, cc. 311v-312v.2 Il Petrarcha colla sposizione di Misser Giovanni Andrea Gesualdo, Venezia, Nicolini de Sabbio, 1533, c. Aiiv.

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do li fosse stato necessario leggere i molti Libri d’Historie, da tanti e tanti scrittori diffusamentecomposti.1

Quanto scrittura e formazione umanistica siano così importanti, è confermato da un al-tro passo in cui, dedicando la sezione dell’opera a Don Carlos d’Austria, espone la ne-cessità di tramandare le lettere cosicché sia sempre possibile trasmettere, ricordare e ag-giornare la cultura e le conoscenze di ogni epoca. In quest’operazione, fondamentale èla figura dell’uomo di lettere che proprio attraverso la scrittura (e la stampa) può e de-ve farsi portavoce di questa traditio tecnica e scientifica.

Grande obligo è certo quello Sereniß. Principe che dovrebbono gli huomini havere alle lettere & àcolui che primieramente le ritrovò; poi che tante utili & meravigliose dottrine, che già estinte, &in potere della oblivione sepolte giacere si vedrebbono, si sono di tempo in tempo, con questo mez-zo della fortuna conservate, & comunicate à posteri; anzi se ne è per cio dato occasione di poterealle cose da varij ingegni, & in diversi tempi ritrovate, & scritte aggiungerne sempre à beneficio delmondo della altre nuove. Ma che dico io delle dottrine, & delle scientie, che ha la scrittura à chi nonle sapeva, comunicate, per che le impari e le sappia, & à dotti che le sapevano, mostre, per che leaccrescano […]».2

Le Historie tarcagnotane offrono dunque, anche in confronto a modelli, fonti e com-portamenti scrittorii genericamente adottati da altri, alcuni spunti tematici nuovi, ine-renti la costruzione di un’ambivalenza narrativa e storiografica (o storiografica e nar-rativa) biunivoca la cui verificabilità dipende dall’accettazione (o meno) del canonestoriografico come genere narrativo e della storiografia stessa come branca della lette-ratura e non della storia. Pertanto, fermo restando che non si mette in dubbio la lette-rarietà della narrazione storica, è proprio questo il punto focale e il nodo ideologico chedeve essere sciolto a proposito della corretta collocazione letteraria delle opere di Tar-cagnota. Da un lato, infatti, l’opera storica del Nostro è prodotto letterario che si avva-le di fonti storiche già accertate come vere perché autoritative. Dall’altro lato però, lanarrazione creata, diventata materiale storico ed elaborata come oggetto narrativo chesi costruisce secondo regole tutte narrative, tenendosi nel solco dei soli fatti storici, as-sume i contorni della storiografia e come tale è interpretata dal fruitore rinnovando in-terrogativi non solo sulla funzione dello storico/scrittore, ma intaccando nel profondola centralità della fase letteraria stessa. In questo modo, unitarietà linguistica, osser-vanza delle fonti e specimina narrativi danno il senso dei problemi che Tarcagnota in-tende porre in essere nella propria scrittura e sono fondanti rispetto alla genesi stessadell’opera poiché, almeno stando alle frasi disseminate lungo il corso dei quattro volu-mi originari delle Historie, lo scrittore è convinto di mettere mano a un vero e propriocapolavoro letterario, degno di nota presso i posteri e di sicuro accoglimento da partedel lettore.

Vale qui l’interrogativo mai risolto di Lefevbre: quanta storia va osservata in una fase critica che si dice letteraria e che pur tuttavia ha per soggetto la storia? E quantaparte letteraria (aggiungiamo noi per corollario) può e deve essere osservata inun’opera che si dice (e si vuole) storiografica? Un dilemma irrisolto che comporta in-vece risposte necessarie poiché, come avverte Emanuella Scarano, nessuno in teoriaesclude la storiografia dalla letteratura, ma nei fatti le problematiche attinenti l’anali-

1 Giorgio Varisco, Alli lettori, in Giovanni Tarcagnota, Delle historie del mondo […], Venezia, Varisco, 1610,c. 12r. 2 Giovanni Tarcagnota, De situ et lodi […], l. ii, c. 37r-v.

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si storica propriamente detta sono appannaggio esclusivo dello storico di professionee non del letterato.1

L’opera di Giovanni Tarcagnota è il simbolo di quest’appartenenza transgenica, diquesta proprietà non esclusiva della storia al fatto letterario e del farsi letteratura nel co-struirsi del fronte storico. Nell’opera del Gaetano, infatti, storia e letteratura si confon-dono e si costruiscono a vicenda l’una nutrendosi dell’altra e l’altra necessitando del séautoriale come esistenza latente dello scrivere. La stessa attività di poligrafo si costrui-sce come fenomeno quotidiano fatto di pratica, riflessione e interiorizzazione delle fonti e scelte poietiche che non possono prescindere da uno solo dei due sotto-generi,ma della sola loro unione. Il vero problema posto dall’opera tarcagnotana è proprioquesto: l’uso della storia e della letteratura, nel loro vicendevole farsi scrittura e operaletteraria, non sono discipline separate, ma summae, ovvero insiemi di generi che sfrut-tano al meglio le caratteristiche dell’uno e dell’altro all’interno di una complessa tramadi nozioni, riferimenti stili e forme.

Leggendo gli scritti di Tarcagnota si delineano due filoni inerenti la sua formazioneletteraria: il primo interessante la forma mentis universitaria del tempo e la seconda in-teressante invece la formazione in itinere, costruita ed elaborata durante il lavoro quo-tidiano. In particolare è possibile individuare la commistione tra cultura fiorentina, tra-dizione letteraria greco-latina (patrimonio familiare) e aristotelismo padovano, scintilleche guidano Tarcagnota verso i commenti a Ficino, Galeno, Plutarco e gli fanno da ba-gaglio documentale per la realizzazione delle Historie o delle opere di antiquaria. Se purtutte le fonti, «adstantium admirationem», non sono «aeditae, lectae, disputatae ad cuncurrentiam» come nella migliore tradizione delle dispute filosofiche, lo stesso nonsfuggono alle polemiche con Ligorio e Roseo. Insomma, non c’è l’interesse filosoficopredominante e la supremazia tra professori, ma la vena polemista è forte perché pro-gettata allo stesso modo dei polemisti e trattatisti (soprattutto teologi e averroisti, ari-stotelici o platonici) a partire dai modelli da studiare per la propria formazione e a giun-gere ai modelli di scrittura adottati, basta confrontare lo schema compositivo adottatoda Tarcagnota con quello utilizzato da de Vio e Nifo per rendersi conto di come le dif-ferenze siano minime e ininfluenti.

Mentre i due teologi solitamente propongono il pensiero dei filosofi pro sive contraThomam subito dopo l’esposizione del problema, non nella stessa maniera opera Tar-cagnota, il cui percorso propositivo salta la fase del contraddittorio e quella delle provesecundum auctoritates per concentrarsi esclusivamente su descriptio, inventio argomenta-tiva e assertiones probantes. In questo modo, la sezione centrale costringe lo scrittore adiscutere, esporre e contemporaneamente provare ciò che afferma. Anzi, in questo ca-so la prova di verità è la stessa fonte ripresa, riscritta e riproposta a un lettore che noncammina per boschi narrativi, ma in una macchina meravigliosa che si mostra attra-verso la citazione e non altro. Il lettore, per nulla modello e in barba agli zoccoli di Hei-degger, è al corrente di quanto narrato e sa riconoscere le fonti proposte dal poligrafoperché tale riconoscimento è parte del gioco letterario e della sua stessa formazioneperché ne è struttura portante all’interno di un’architettura già barocca e sensista benprima del Seicento di Marino.

1 Emanuella Scarano, Cristina Cabani, Ileana Grassini, Sette assedi di Firenze, Pisa, Nistri-Lischi, 1982,pp. 9-10.

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Tarcagnota non ammette contraddittorio, espone secondo le proprie convinzioni, de-sunte dalle verità enunciate dalle fonti autoritative e quindi vere altrettanto quanto quel-le. Ciò che colpisce è la successione delle argomentazioni, lontane dalle linee trattatistiche proprie del Rinascimento e in particolare orfane di Cicerone e dei suoi DeOratore e Orator, autentici modelli imitativi per tutta la trattatistica scientifica e critica delxvi secolo.1 Infatti, anche se lo schema di discussione non è categorico, esso comunquediventa sintomo della scrittura Tarcagnotana e questo non solo perché il tema trattatorichiede una simile impostazione, ma proprio perché la natura stessa della trattazionerichiede uguale scansione ed eguale forma di scrittura. Tale forma è imitazione e pro-dotto della scrittura didascalica, improntata a semplicità e schematicità delle proposte,delle risoluzioni e delle singole tematiche, trattate ad albero e dotate di continui riman-di mnemonici (alle fonti e alle soluzioni di altri) che devono a loro volta rimandare al-l’argomento centrale della questione come è il caso della struttura argomentativa delleHistorie: la narrazione dei fatti è sempre sottostante al vaglio imperativo delle fonti.

Non a caso il gioco dei richiami argomentativi in margine è fondamentale perché ser-ve a dimensionare in uno spazio mentale la quantità di soluzioni e la loro pratica scien-tifica e teoretica cosicché, ogni citazione e ogni risoluzione possano avere una loro ade-guata collocazione nell’esposizione, nella confutazione e nella risoluzione. In questosenso anche le citazioni e le fonti delle auctoritates e dei suoi contemporanei sono strut-turate secondo una gerarchia fissa che obbedisce sempre agli stessi equilibri e alla suc-cessione degli autori citati.

Anche nel confronto con il più diretto avversario nella bottega trameziniana, il fabrianese Mambrino Roseo, la concezione della storia si pone come specchio imitati-vo del passato. Infatti, mentre per Roseo la storia è forma del presente (lo dimostra inparticolare la scelta di far proseguire le proprie Agiunte o Suplemento alle stesse Historiedel Tarcagnota a rimontare dal 1513, addirittura riscrivendo a propria firma tutto il periodo 1513-1559), fatta di discorsività e argomentazioni quasi giornalistiche al limitedel resoconto e puntuali sul fatto e non sul merito (come è il caso dell’Assedio di Firen-ze del 1530), per Tarcagnota invece la storia ha bisogno, per la sua attualizzazione, del-la mediazione del passato letto non epicamente. Cioè, il racconto non mitizzato delpassato da fonte si fa presente in cui il lettore deve calarsi come se fosse davanti adun’opera letteraria e non a un resoconto di fatti, date ed eventi. Mentre Roseo (ma anche Cesare Campana, Dionigi da Fano e Onofrio Panvinio, tutti legati alla bottegatrameziniana, alle Historie di Tarcagnota e al fenomeno delle Agiunte) gioca con la contemporaneità, Tarcagnota se ne tiene lontano, costruendo la storia a lui vicina inuna serie di cellule chiuse che tassellano la narrazione spezzettando la continuità dell’opera e creando una serie di medaglioni narrativi che ne permettono memorizza-zione e studio. La fortuna del gaetano presso i posteri sta in questa strutturazione e nella sua voluta schematizzazione.

Tarcagnota come Roseo scrive post quem, ma con una particolarità: non ha interessea mantenere un contatto con la realtà, il suo è un metodo ancora legato al docere. La sto-ria, come scritto nella dedica a Cosimo I, è appunto «maestrevole essempio di vita»,esempio cioè d’insegnamento dilettevole che deve interessare il fruitore, non solo per

1 Sulla questione, sulle dipendenze dei trattatisti italiani (e in particolare di Antonio Minturno) da Cicerone esull’imitazione della scrittura e dei modelli ciceroniani cfr. tallini gennaro, Voluptas e docere nel pensiero criticodi Antonio Minturno, «Esperienze Letterarie», 3/2008, pp. 73-100.

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la componente didascalica, ma anche per quella erudita e letteraria conducendolo neimeandri della storia come se fosse il racconto di un mito o di un altro evento non sto-rico. Attraverso quest’operazione il fruitore viene ricondotto alla traditio sull’argomen-to narrata da altri e, dunque, ricostruisce attraverso il testo tarcagnotano l’intera storianelle diverse rese narrative.

2.

Il narrare post quem che accomuna Tarcagnota agli altri storici da Giovanni Maria Vipe-rano a Tommaso Costo e Rinaldo Corso (tutti praticanti generi storiografici in ambitoletterario, dalle generiche Storie alle antologie contra Turcas) o da Ludovico Dolce allostesso Mambrino Roseo e Bartolomeo Dionigi (praticanti invece l’altro grande filonestoriografico-letterario delle Agiunte, altrettanto conveniente per editori e autori vistoil successo di pubblico), permette, anche in date ormai tarde rispetto agli avvenimentinarrati d’individuare alcune interferenze e modi che ci permettono di definire gli am-biti cronologici dello loro fortuna nel Cinquecento e oltre.

La prima di esse interessa i recuperi ottocenteschi dell’opera Tarcagnotana, a partireda Manzoni e a giungere all’ancora oggi utilissimo commento alla Favola d’Adone di An-gelo Borzelli alla fine del secolo xix. Intendiamoci, la visione manzoniana è radical-mente diversa da quella del critico napoletano, ma lo scopo è lo stesso poiché narra-zione e stile tarcagnotani si connotano per l’attenzione dell’Autore non al fatto in sé,ma alla sua validità storica in quanto già affermata da altri in passato. La riscrittura è lavalidità stessa dello scritto e questi è tale solo perché già narrato. Manzoni e Borzellisvelano il punto focale dell’attività tarcagnotana: non la trasmissione del dato è impor-tante, quanto la sua riscrittura: il già narrato, riproposto e riscritto, diventa valido perla sua letterarietà. Nella sua opera, come in quella di Mambrino Roseo, non c’è lo studiostorico, ma la storia come operazione culturale in limine tra due generi, con la convin-zione che si ta portando a compimento una operazione letteraria e non storiografica.

Così, nelle Historie del mondo si pone innanzitutto il problema di porre in giusta lucei nodi relativi al recupero del testo antico e del suo volgarizzamento come fenomeni giàattestatisi come opera letteraria sul dato storico e ora oggetto di nuovo racconto. In po-che parole, la narrazione del Gaetano è atto storico perché già raccontato in altri testianche cronologicamente lontani che hanno compiuto, all’epoca della sua scrittura, lastessa operazione. L’opera del poligrafo, allora, non è fine a se stessa perché parte diquesto processo di traditio e fonte a sua volta di altre operazioni simili successive che di-vengono a loro volta esemplari. Si profila, dunque, un piano di rimandi narrativi che sifa citazione, modellate per cellule chiuse (come le stanze della Favola d’Adone) in cui ilprocesso narrativo è spiegato a grandi linee, proposto senza mediazioni evidenti e ma-gari riproposto come semplice plagio di altre pagine tratte da auctoritates indiscutibili.1

Tarcagnota attinge programmaticamente a una tradizione di testi storiografici (e nondocumentali e/o archivistici) che sono innanzitutto resoconti letterariamente imposta-ti in cui il dato si spalma attraverso la loro metamorfosi storica ingabbiata in schemi e re-ti formalizzanti che nulla hanno della storiografia. Tarcagnota entra in rapporto non conil fatto in sé, ma con il suo resoconto, esposto secondo le regole delle opere letterarie econ una forma fissata e collaudata entro una tradizione culturale diversa dalla sua.

1 Roberto Gigliucci, Furto e plagio nella letteratura del Classicismo, «Studi (e testi) Italiani», i, gennaio-giugno, 1998.

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I testi usati come modelli divengono per forza di cose termini di confronto attraver-so cui lo scrittore decontestualizza e ricontestualizza una tradizione già eterogenea chelo stesso Autore s’illude di far rivivere attraverso la sua mediazione. L’Autore, insom-ma, riscrive una storia che nella sua verità originaria si trasforma in canone che tende aomologarsi negli schemi di una vicenda già raccontata. E tutto ciò vale, almeno per lui,una sorta di radicalizzazione di generi e contenuti, ma non dello stile.

I riscontri da noi effettuati sul testo del Compendio di Roma antica ci spingono a codi-ficare un modello operativo rigidamente diviso per generi (l’antiquaria da un lato, lamedicina dall’altro), e contenuti (la storia antica, la topografia romana antica e la storiadell’arte romana da un lato, il buon vivere moralmente inteso e la sua presenza nellatradizione antica e a lui contemporanea da Galeno a Nifo dall’altro), ma sostanzial-mente simili nel vocabolario estetico usato e nel modo di analizzare, commentare, ci-tare, utilizzare e riproporre i concetti posti in essere dalle fonti utilizzate. Al di là dellapolemica contro Pirro Ligorio, ciò che interessa davvero non è tanto la questione dellacorretta posizione del Foro romano, quanto la riflessione, interpretazione e adatta-mento del modello. Anche nei confronti di Roseo e della polemica sotterranea sulle ag-giunte del fabrianese, il soggetto del vero contendere consiste proprio nel più idoneo eduttile adattamento delle fonti, dei modelli narrativi e delle forme linguistiche.

Tutto ciò ci costringe a definire sul piano specifico dell’analisi letteraria temi e formenarrative della tradizione storiografica che si fa letteratura, così da non ulteriormentemarginalizzare (o escludere) la stessa storiografia come genere dal contesto della lette-ratura (cui peraltro, e nessuno lo nega, appartiene di diritto). Tarcagnota trasforma lastoria in letteratura compiendo due operazioni: da un lato limita l’inventio ai fatti e aglieventi narrati, dall’altro compone una commistione tra due versioni (favole), quella giàattestata come vera narrazione e quella che lui scrive per avvalorare ulteriormente laprima. Insomma, parimenti al modello formale adottato per la Favola d’Adone, dove iltermine favola sta a significare la riscrittura di una sezione di mito (quello adonio) estra-polato da Ovidio, Metamorfosi, x, e proposta secondo modelli linguistici e formali tipi-camente ariosteschi, anche nella narrazione storica o nella trattatistica antiquaria, Tar-cagnota utilizza lo stesso metodo compositivo riducendo il nucleo narrativo a una faseletteraria libera e pienamente inventata, pur nei limiti dell’asserita verità del pre-testoutilizzato come modello.1 Così, si comprende anche meglio perché le Historie si inter-rompono quasi bruscamente al 1513 e solo nel Del situ et lodi de la città di Napoli sono fi-nalmente portate a compimento fermandosi all’elezione al soglio di Pio V (7 gennaio1566). Porre un termine post quem significa costruire una patina artefatta di antichità aifatti narrati per renderli verità storica indiscutibile che gli permetterà di divenire essostesso pre-testo nel momento in cui altri compiranno la stessa sua operazione o quan-do, considerando le Agiunte di Roseo, ulteriormente le fasi già scritte assumeranno va-

1 Ciò che affascinò Marino dell’opera di Tarcagnota è proprio questo senso di pompa e magnificenza della ci-tazione e della riscrittura che contraddistingue il Gaetano, non a caso citatissimo nel Seicento e nel Settecento eappositamente scelto da Manzoni per ricreare quel senso di grandezza artificiosa necessario ad anticare la biblio-teca di don Ferrante, altrimenti oggetto inutile all’interno di quel verisimile necessario ai Promessi Sposi. GiovanBattista Marino ricorre per il proprio Adone a diversi luoghi della Favola d’Adone tarcagnotana, proprio perché nericonosce il carico valoriale a livello di immagini poetiche e di riscrittura del mito adonio e ne percepisce le va-rianti utilizzabili per la scrittura poetica che ha in mente di adottare. Non a caso, ancora, il poemetto tarcagnota-no è con le coeve scritture adonie di Dolce e Parabosco il modello adottato da Tiziano per rappresentare pittori-camente lo stesso passo ovidiano di Metamorfosi, x (Dolce, Tarcagnota, Parabosco, Stanze nella favola d’Adone,cit., pp. 36-63).

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lore di verità. Per questo siamo convinti che le Historie nascano non solo come operaautonoma di Tarcagnota, ma anche come progetto editoriale interno alla bottega tra-meziniana e la stessa divisione delle epoche nelle diverse stesure dimostra che i compi-ti erano rigidamente divisi e gestiti proprio in funzione di una progettualità organizza-ta a tavolino.

3.

Riprendendo lo scorrere della sua vita, intorno ai vent’anni (1538 ca.), entra al serviziodi Galeazzo Florimonte quando il vescovo risiede a Sessa portando al suo seguito nien-temeno che Marcantonio Flaminio, suo antico collaboratore nel tentativo di riformadella chiesa veronese all’epoca del datario Giberti e ora prossimo ad abbracciare le teo-rie valdesiane.

I collegamenti con Florimonte sono il tramite che permette a Tarcagnota, tra 1538 e1548, di seguire a Roma il vescovo di Aquino ed entrare nel giro d’interessi culturali chegravitano intorno ai Farnese e in particolare intorno ad Alessandro che ama circondar-si di letterati, architetti e studiosi di antichità romane. È in questo momento che Tar-cagnota comincia a interessarsi all’antiquaria romana frequentando alcuni circoli ro-mani in cui questo genere d’interessi è coltivato unitamente al grande progetto diricostruzione della città e del Vaticano che da Giulio II in poi aveva trovato in Raffael-lo, Bramante e Michelangelo i migliori interpreti e i più raffinati esecutori. Non solo,ma i contatti con l’allievo di Nifo portano direttamente a Paolo III, ad Antonio Agustin,forse il più interessato a questi studi e all’Accademia dei Virtuosi, nucleo di architetti,letterati e umanisti che come primo obiettivo si ponevano la ricostruzione dell’anticasede dei monumenti romano-antichi. All’interno di tali rapporti, lo studio di Plutarcoera considerato fondante, al punto che papa Farnese più volte fu associato alla figura diAlessandro Magno.1

La stessa famiglia Farnese è importantissima per i destini di Tarcagnota e per quellodei Tramezino: alcuni dei suoi appartenenti, infatti, compaiono ben 19 volte tra i dedi-catari delle opere stampate dai Tramezino: Paolo III 5, un cardinal Farnese 1, VittoriaFarnese signora d’Urbino 9 e Ranuccio Farnese e Ottavio rispettivamente con 3 e 1. Peri privilegi, invece, quelli rilasciati da Paolo III ai due tipografi sono 76 su 94 edizionistampate tra 1536 e 1549 (80,85%); per il Gaetano in particolare è proprio la figura del pa-pa a rappresentare un punto di riferimento forte per la sua carriera.2

A tale girandola di studi, analisi e progetti, a partire dal 1535-1536 la tipografia dei Tra-mezino dà un impulso fortissimo, soprattutto per opera di Francesco stabilitosi nuova-mente e definitivamente a Roma dal 1536. Nella bottega vige un rigido codice operati-

1 Roberto Guerini, Dal testo all’immagine. La pittura dii storia nel Rinascimento, in Memoria dell’antico nell’arteitaliana. Tomo ii: i generi e i temi ritrovati, in Biblioteca di Storia dell’Arte, Torino, Einaudi, 1985, pp. 83-95; GisellaCantino Wataghin, Il rapporto con l’antico tra mito, arte e ricerca, in Memoria dell’antico […], a cura di SalvatoreSettis, Torino, Einaudi, 1984, pp. 201-211.

2 Degno di nota è il ricordo della morte del papa Farnese nel De situ: «[…] non molto poi, essendo vecchissi-mo, di puro dispiacere si infermò, et fra pochi giorni il Novembre del 49. morì; Pontefice, che per le sue eccellen-ti sue qualità fu raro. Egli fu così grande amatore di virtu, & delle lettere che ne empì quel collegio di persone vir-tuosissime, & letteratissime come furono Pietro Bembo, Giacomo Sadoleto, Reginaldo Polo, Gaspar Contareni,Marcello Cervino, Giovan Pietro Carafa, il Cortese, il Maphei & tanti altri […]» (Giovanni Tarcagnota, Del sitoet lodi de la città di Napoli […], Napoli, Giovanni Maria Scotto, 1566, l. iii, c. 158v). Naturalmente, non manca il riferimento ad Alessandro Magno come principe cui è mancato un degno scrittore che cantasse le sue gesta, in-serito all’inizio del libro ii della stessa opera (c. 37v).

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vo e alle scelte editoriali dei due fratelli non fu estraneo neppure Roseo, più tardi auto-re per gli stessi editori della fortunatissima serie di volgarizzamenti dell’Amadis de Gau-la e delle imitazioni a esso collegate e in precedenza impiegato nella bottega di Girola-ma de Cartolari, spesso in affari proprio con i Tramezino romani.1

Dal 1542 al 1549 si sviluppa la migliore stagione di Tarcagnota, ricca di pubblicazioni,studi e volta anche alla formazione dei rampolli di casa Tramezino. Prova ne sia la fi-gura di Giuseppe, figlio di Francesco, amico di Paolo Manuzio, esperto traduttore dallatino e conoscitore del greco, del turco e dell’arabo e ambasciatore per la Serenissimapresso il re di Persia in compagnia del cipriota Michele Membre.2

Dei letterati che frequentano il circolo trameziniano, invece, oltre naturalmente Pao-lo Manutio, Giovanni Tarcagnota e Michele Membre, possiamo ricordare, come docu-mentati, Onofrio Panvinio, Antonio Massa, Bartolomeo Dionigi da Fano, MambrinoRoseo (tutti fanno parte dello staff editoriale), Donato Giannotti e Francesco Venturi,autore di Dionisio Halicarnasseo delle cose antiche della città di Roma. Tradotto in toscano permesser Francesco Venturi fiorentino, Venezia, 1545, stampato per i tipi del veneziano Nico-lò Bascarini «à istantia de Miser Michel Tramezino». A c. 2r, nella dedica a Ottavio Far-nese datata Roma 22 dicembre 1545, si legge: «Hauendomi […] la comune utilitade sfor-zatomi à far Toscana l’opera di Dionisio d’Alessandro Halicarnasseo Historico Grecodelle cose antiche della città di Roma […] Et douendo (pregato dalli miei amici messerMichele, & Francesco Tramezini librari servitori suoi) lasciarla stampare: sconueneuo-le ho giudicato mostrarmi di cotanta mia fatica (la quale nel uero è stata grandissima,

1 Tallini, Politiche editoriali e tradizione familiare, cit., pp. 75-78.2 Sul viaggio diplomatico in Persia si legga il rendiconto a firma dei due ambasciatori e con postille del solo

Giuseppe Tramezino conservato in asve, Senato, deliberazioni Costantinopoli, fz. 1, 26 ottobre 1559, e Relazione diPersia (1542): manoscritto inedito dell’Archivio di Stato di Venezia, a cura di Giorgio Raimondo Cardona, Napoli, Isti-tuto Universitario Orientale, 1969; altrove – Renato Almagià, Carte geografiche a stampa di particolare pregio o ra-rità dei secoli xvi e xvii esistenti nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1948 («Monumenta Carto-graphica Vaticana», vol. ii), p. 34, nota 1, ma citando uno studio preesistente di Enrico Spagni, Una sultanaVeneziana, «Nuovo Archivio Veneto», xix, 1900, pp. 264-275 –, i due, confuso il nome di Giuseppe con Giovanni,sono indicati non come ambasciatori, bensì come interpreti al servizio dei Savi veneziani; ciò ancor di più, dimo-stra la padronanza e la conoscenza delle lingue citate, fondamentali per gli interessi politici ed economici della cit-tà lagunare. Per altri rimandi sulla figura di Michele Membre si veda Thomas Conley, The speech of Ibrahim at thecoronation of Maximilian ii, «Rhetorica», 20, 3, summer 2002, pp. 263-273; Alessio Bombaci, Una lettera turca in ca-ratteri latini del dragomanno ottomano Ibrahim a veneziano Michele Membre (1567), «Rozczinik Orientalistyczny», s. 15,1939-1949; Victor L. Menage, The map of Hajji Ahmed’ and its makers, «Bulletin of the School of Oriental and Afri-can Studies», 21, 1-3. 1958, pp. 291-314. I documenti Turchi dell’archivio di stato di Venezia, con l’edizione dei regesti diAlessio Bombaci, a cura di Maria Pia Pedani Fabris, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, UfficioCentrale per i Beni Archivistici, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato-Libreria dello Stato, 1994, docc. nn. 733, 736,743, 745 (Tramezino); 650, 659 (Volterra); 608-1108 (Membré); Mehemd ii and the Conqueror and the Fall of the Franco-Byzantine Levant to the Ottoman Turks: Some Western views and testimonies, Tempe (az), Arizona Center for Medie-val and Renaissance Studies, 2007. La figura di questo dragomanno non va sottovalutata, per due motivi: primo,perché è il secondo personaggio fuoriuscito, con Tarcagnota, dai disastri successivi alla caduta dell’Impero con-stantipolitano e segnalato nella stessa bottega e quasi sicuramente con le stesse mansioni di traduttore e curato-re; secondo, perché la sua presenza nella bottega e nella vita quotidiana della famiglia Tramezino, nonché l’inse-gnamento rivolto a Giuseppe, ci inducono a pensare che entrambi siano stati precettori anche di Michele ilGiovane. Altresì, l’interesse per la Persia contraddistingue proprio la bottega di Tramezino, dato che nel 1557 pro-prio lo stampatore veneziano pubblica il Peregrinaggio di tre giovani figlioli del Re di Serendippo, per opra di M. Chri-stoforo Armeno dalla persiana lingua rapportato; nell’opera, Cristoforo Armeno dichiara di aver raccolto in un unicotesto diversi racconti di origine orientale «coll’aiuto d’un carissimo amico mio», probabilmente proprio MicheleMembre o Giuseppe Tramezino, peraltro ottimo traduttore, lui stesso, delle Verrine di Cicerone (sull’importan-za della traduzione ciceroniana delle Verrine compiuta da Giuseppe, edite dai Tramezino nel 1554, cfr. la lettera daBologna che Paolo Manuzio gli invia il 30 settembre 1555 in Paolo Manuzio, Lettere volgari […] divise in quattro libri, in Venezia, Aldo, 1560, cc. 128r-129v).

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hauendo hauto il testo Greco scritto à penna, & malageuolissimo à esser letto, & il latino pieno di errori), à altri che à S. eccellentia liberale».

La frequentazione della casa dei Tramezino permette a Tarcagnota di frequentare anche le accademie veneziane e in particolare quella che si teneva in casa di DomenicoVenier (cui Michele Tramezino dedica il Di Galeno delli mezzi […] recato in questa linguanostra da M. Giovanni Tarcagnota, 1549); alle serate musicali e letterarie che qui si svol-gevano afferivano anche Aretino, Parabosco, Dolce, Bembo, Franco, Spira, Tiziano.1 Èin questo fervore culturale che nasce l’idea di comporre una Favola d’Adone che i Sessasumptibus Tramezino pubblicheranno nel 1550 e che quasi sicuramente è stata ideata al-meno un quinquennio prima, più o meno contemporaneamente alla prima traduzionedolciana dello stesso passo di Metamorfosi, x risalente al 1544-1545 e poi edito nello stes-so 1545.2

Fino al 1545-1548 Tarcagnota lavora nella fabrica trameziniana e partecipa alla vita cul-turale di Venezia. Di colpo però, il rapporto con la città e la sua produzione culturale,s’interrompe senza un perché. Le sue opere, a parte le Historie, non escono più da Tra-mezino, ma sono pubblicate presso altri editori. Qualcosa nella perfetta organizzazio-ne del lavoro in bottega e nei rapporti con la famiglia di editori si è rotto e non può es-sere ricostruito. È probabile ch’egli non abbia accettato il ruolo sempre più ampio cheMambrino Roseo ha intanto acquisito nel campo delle traduzioni dei romanzi di caval-leria spagnoli, autentici best-sellers del tempo e fonte sicura di guadagno. Probabilmen-te mal sopporterà anche le Aggiunte che lo stesso Roseo scriverà, proprio per i Trame-zino, alle Historie, al punto da passare ora molto più tempo tra Gaeta e Napoli che nona Venezia.

1 Tallini, Devozioni Mariniste, cit., pp. 49-55. Nel Catalogo Tramezino, le dediche a Domenico Venier sonocinque, l’Aviso de favoriti […] di Antonio Guevara (1548), il Marsilio Ficino […] delle tre vite […] proprio del Tarcagnota (1548), l’Opera utilissima di Arnaldo di Villanova nuova di conservare la sanità […] (1549), il Galenus dellimezzi ancora del Tarcagnota (1549) e la ristampa dell’Aviso de favoriti […] di Antonio Guevara (1549). Faccia-mo notare che tutte le dediche si concentrano nel biennio 1548-1549, momento in cui l’attività di casa Venier è almassimo dello splendore e della pratica letteraria. Per l’amicizia tra Tarcagnota e Michele e Francesco Tramezi-no si guardi alla dedica che Tarcagnota scrive per Bernardo Tramezino, fratello dei due e pievano della chiesa veneziana di Sant’Eustachio (Giovanni Tarcagnota, Avisi di coloro che hanno cura d’anime […], Venezia, Trame-zino, 1551, cc. 5r-6v).

2 Il Capitano, comedia di m. Lodouico Dolce […] con alcune stanze del medesimo nella fauola d’Adone, in Vinegia, ap-presso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1545. L’attribuzione ai Sessa della stampa della Favola d’Adone era stata propostagià da Borzelli (Angelo Borzelli, L’Adone di Giovanni Tarcagnota da Gaeta, Napoli, Tipografia di Gennaro M.Priore, 1898, pp. xi-xii), che d’altro canto escludeva la paternità aldina cancellando così alcune illazioni su di un’edi-zione firmata dai Manuzio che tuttora è possibile rintracciare in diversi repertori bibliografici antichi e moderni.Oggi, sulla base del raffronto dei caratteri di stampa usati dai Tramezino e dai Sessa e confrontando gli stili inci-sori utilizzati per le marche editoriali delle due famiglie di tipografi, le misure e il disegno dei caratteri impiegati,siamo in grado di attribuire con certezza ai Sessa l’edizione della Favola Tarcagnotana: Gennaro Tallini, La “Fa-vola d’Adone” di Giovanni Tarcagnota da Gaeta (1508-1566): un caso editoriale per due botteghe tipografiche (Venezia, Sessasumptibus Tramezino, 1550), «Tipofilologia», 6, in c.d.s. È possibile anche ipotizzare il percorso che l’impressioneha compiuto verso Napoli. Infatti, assodata la paternità sessana della stampa, il volumetto (16 cc. Ai-Biiij, tutti qua-derni) potrebbe essere arrivato a Napoli attraverso la rete di distribuzione libraria che i Sessa avevano a Lanciano,Campobasso, Roma e Napoli, tanto che una copia di tutte e tre le Favole d’Adone di Dolce, Parabosco e Tarcagno-ta erano presenti nella biblioteca dei principi di Conca, mecenati di Marino e involontari tramiti tra le tre scrittu-re cinquecentesche e il poema marinista (Borzelli, L’Adone di Giovanni Tarcagnota da Gaeta, cit., p. xiii; Tallini,Devozioni Mariniste, cit., pp. 50-53). Delle copie stampate dell’Adone oggi esiste un solo esemplare conservato allaBiblioteca Alessandrina di Roma (Misc. Cerroti, xiii, a 57/1), mentre della copia conservata nella Biblioteca Cen-trale di Napoli (b Branc 33 i 3(2)), allegata in coda al De situ et lodi, non vi era traccia già nel 1990 (cfr. Carlo Ma-gliozzi, Contributo alla bibliografia della Provincia di Latina. Due eruditi del xvi secolo: Giovanni Tarcagnota da Gaetae Giovanni Andrea Gesualdo da Tratetto, Napoli, Tipolitografia De Frede, 1999, p. 47).

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4.

Tutte le fonti, concordemente, lo danno in laguna fino al 1553 sulla base delle edizionitrameziniane e dell’edizione a stampa degli Statuta dell’università di Gaeta a lui affida-ta l’anno precedente. Invece, secondo le nostre ricerche, Tarcagnota già all’indomanidel 1548 è nuovamente a Roma, dove i contatti sono rimasti più o meno intatti e qui,grazie alla collaborazione di Francesco Tramezino e ai rapporti stretti con diversi altrieditori veneziani e romani (Valgrisi, Zilletti, Cavalcalupo, Comin da Trino, Varisco,Scotto, Blado, Lorenzini da Turino, Bonadio), comincia a studiare le antichità di Romacui dedica il Delle antichità di Roma, completa di versione latina, un Compendio di Romaantica e una serie di opere sotto pseudonimo che hanno fatto la fortuna dei suoi edito-ri soprattutto dopo la sua morte complice l’anno santo del 1575. Lo dimostrano due fat-ti: la pubblicazione, già nel 1548, del Delle antichità della città di Roma, quasi interamen-te scritto seguendo il (suo) volgarizzamento de Le Historie del Biondo […] tradotte perLucio Fauno in buona lingua volgare, Venezia, Michele Tramezino, 1543 e la pubblicazionedella Roma Ristaurata et Italia illustrata di Biondo da Forlì. Tradotte in buona lingua volgareper Lucio Fauno, in Venezia, Michele Tramezino, 1548 e la Roma trionfante di Biondo daForlì tradotta pur hora per Lucio Fauno di latino in buona lingua volgare, in Venezia, per Mi-chele Tramezino dello stesso anno. In esse, la descrizione dei luoghi, della topografia ela citazione di alcune scoperte archeologiche avvenute proprio in quegli anni testimo-niano per certa la sua presenza nella città; in più, in quello stesso anno anche GaleazzoFlorimonte è a Roma, fatto che non esclude un nuovo riavvicinamento tra i due.

Nell’anno successivo Tarcagnota pubblica sei titoli, due originali, tre ristampe e la tra-duzione latina delle Antichità. Di essi, i due volgarizzamenti galenici (Di Galeno Delli mez-zi, che si possono tenere per conservarci la sanità […], Venezia, Tramezino e Di Galeno a cheguisa si possano e conoscere e curare le infermità dell’animo […], Venezia, Tramezino) sonofondamentali perché si segnalano per il radicale cambio d’interessi di studio. Non piùsolo storia e antiquaria, ma anche medicina, ora osservata dal punto di vista del pen-siero di Agostino Nifo che propugnava, sulla scorta della riflessione averroista e aristo-telica, un forte legame tra la condizione del malato, cura e posizione etica e morale ri-spetto ai propri comportamenti e alla propria liberalità e compostezza morale. In codaal Delli mezzi è collocata la traduzione, sempre di Tarcaniota, di Cornelio Celso, Comesi debba governare chi è sano (c. 157r-v) piccolo ma interessante cammeo in cui si ripren-dono diversi temi trattati nella traduzione di Galeno e li si rapportano, nella medesimamaniera, alle sole condizioni morali ed etiche di una vita morigerata, progettata se-condo un’esistenza che è molto vicina a quella vera vivendi libertate che proprio Agosti-no Nifo, quindici anni prima, suggeriva a Vittoria Colonna.1

È in questo periodo che il Gaetano comincia anche a lavorare per conto della città na-tale ridisegnando gli Statuta. A maggior ragione, dunque, è impossibile che egli fossecontemporaneamente a Venezia (come vorrebbero tutte le fonti), a Roma e nello stes-so tempo a Gaeta, anche perché, l’attività di «mundualdo» p. es., svolta in collaborazio-ne con il fratello sacerdote, è sicuramente iniziata ben prima dell’unica testimonianza

1 Agostino Nifo, De vera vivendi libertate, in Prima pars Opusculorum […], Venezia, Ottaviano Scoto, 1535, pp.5-135. Sulle influenze nifane sulla poesia e sul pensiero di Vittoria Colonna e i seguaci napoletani di Valdés cfr. Gennaro Tallini, Agostino Nifo e la sua influenza sulle idee religiose di Vittoria Colonna, Girolamo Seripando, Galeaz-zo Florimonte e dei gruppi riformatori napoletani (1531-1536/7), «Nuova Rivista Storica», xcv, i, 2011, pp. 265-293.

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esistente. Oltretutto, altri segni lo danno in questo periodo a Gaeta: infatti, oltre tali in-carichi, una pagina delle Historie ci conferma la sua presenza in città narrando con do-vizia di particolari il saccheggio di Minturno e dintorni da parte del saraceno Dragut.1

Al 1552 risale anche l’ultima opera originale composta prima delle Historie, quel Com-pendio delle antiquità di Roma che esce in contemporanea con un’edizione del Platina del-le vite de’ papi infino a Paolo IIII, che Tarcagnota aveva già pubblicato per Tramezino eche ora esce per i tipi di Bonelli. Quest’edizione è perfettamente uguale a quella tra-meziniana ed è dunque probabile che sia uscita dai torchi trameziniani (perché coinci-dono lo specchio di stampa, i caratteri e perfino le silografie) nonostante la marca del-l’altro tipografo. Il Compendio è un riassunto della versione in volgare del Delle antiquitàdi Roma cui era allegato ed è sin troppo preciso nella topografia di Roma per essere scrit-to a tavolino, lontano da una diretta visione dei luoghi descritti. È per questo evidenteche il Gaetano deve essere per forza a Roma e non a Venezia.

Che in questo periodo Tarcagnota non sia a Venezia, è dimostrato anche da un altrodocumento, recentemente da noi ritrovato, che attesta i rapporti esistenti con la Firen-ze granducale e certifica la conoscenza, da parte dello stesso Cosimo I, del lavoro di ste-sura delle Historie ben prima della loro definitiva edizione a stampa.

Illustrissimo signore mio, Vostra Signoria Illustrissima saprà, come Giovanni Tarcagnota qui diGaeta ha preso a scrivere una historia nella lingua nostra di tutte le cose che fu del mondo, e la de-dica, anzi la scrive a vostro signore illustrissimo per una certa affettione particolare, che ha alle in-finte virtù di lei: e ne ha già fatta una parte fino al nascimento di Christo, la quale è già in Vinegiaalla stampa. Ponendo hor mano alla seconda parte, che è dalle cose di Christo in poi, così come delflagello, che manda il cielo questo anno di penuria ai poveri (per ciò che è anch’egli un di coloro, aiquali è stato molto la fortuna scarsa dei beni suoi, caricandolo all’ìncontro di molta famiglia) chesta in pensiero di non dovere in questa seconda parte quella diligentia usare, che ha nella prima usa-ta; ma di dovere correrla più tosto, e restringerla come in un breve compendio, per giungerne pre-sto al fine. Il che non sarebbe altro che stroppiare una così bella fatica. Egli si suole spesso, Signoremio, quando si vede male riuscita una cosa, alla quale si poteva prima rimediare, dire di colui, chepoteva darci rimedio: Oh s’io l’havessi saputo, ò perché non me ne fu detto nulla, che io havrei fat-to, io havrei detto. Perché questo non avvenga, a me che so, che questo negotio andrà nel modoche io dico, ha paruto di fare sì che ancho vostra signoria illustrissima il sappia. Il signor conte d’Al-tamira che è qui (per ciò che ragionevolmente può vostra signoria illustrissima dubitare, che que-

1 «Veggendo io ora […] laddove questi con tanta crudeltà non solamente fanno le genti prigione, e quasi cian-ciando spargono il sangue humano, che anche co’ luoghi stessi, e co’ tempij sacri la loro fierezza mostrano ab-battendo, e bruciando il tutto. Onde per gran tempo con non poco lor dispiacere queste belle riviere dell’Agostodel lii si ricorderanno. Bene è stata nostra grande aventura l’havere qui in questo tempo per Capitamo di Guer-ra e Governatore il Signor d’Altamira, per la cui molta prudentia, et havedimento, non abbiamo noi in Gaeta pu-re un minimo disagio, non che danno sentito» (Historie, p. i, vol. ii, p. 171). Anche nel Del sito et lodi […] Tarcagnotaregistra la presenza di Dragut nelle acque di Gaeta già nell’estate del 1551: «[…] Dragut che era à chiama di re Hen-rico di Francia venuto con l’armata del Turco à danni del regno, in Ponza si ritrovasse; pensando così di schivarlopaßò di notte sopra quell’isola alquante miglia. Ma l’astuto barbaro che havea della venuta del Principe havutanuova, & l’aspettava, come al paßo, in quel luogo, havendo per tutte le sue guardie poste, quando fu il principescoverto, gli andò di un subito sopra. Et ben che i nostri che si vedean inferiori, fuggissero, perdirono nodimenosette galere, che in potere del nemico restarono. Il quale poste a fuoco le castelle, & le ville, che nel golfo di Gae-ta si veggono, per che era l’agosto, senza fare in questi nostri mari più indugio se ne ritornò con la preda à guisadi triomphante in Costantinopoli» (Giovanni Tarcagnota, Del sito et lodi […], Napoli, Scotto, 1566, cc. 160v-161r).In un altro passo del De situ et lodi […] Tarcagnota racconta lo sbarco di Ariadeno Barbarossa a Sperlonga e Fondie poi proprio davanti a Gaeta con una flotta di più di cento navi: «[…]. Nel medesimo tempo Hariadeno Barbarossa[…] costeggiò queste marine con la roina di alcuni luoghi in Calabria, & di Spelonga, & Fundi preßo Gaeta; & connon poco spavento di questa citta, che l’agosto del 34 lo si vide in questo golfo con una armata di più 100 legnigrossi» (cc. 147v-148r).

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sta non sia qualche opra goffa, e nata da qualche ingegno ignorante), potrebbe darle qualche noti-tia di questo giovane: anchor che vada a stampa la seconda parte delle cose morali di Plutarcho,che egli, son parecchi anni, recò in questa lingua, per vedere come si potevano le cose di philoso-phia dire bene con queste nostre voci. E nostro signore perseveri in felicitate vostra signoria illu-strissima nella guisa che fa, e con le vittorie e con le prosperità che le dà di continuo. E me le rac-comando umilmente. Di Gaeta al xv di settembre 1554. Di vostra signoria illustrissima [servitore]Metello Tarcagnota.1

Sorvolando sul fatto che perfino il figlio Metello lo dice di Gaeta, dalla lettera di sup-plica, emersa nel corso di un nostro approfondito sondaggio delle carte medicee, è pos-sibile segnalare alcune novità che confermano quanto sinora detto sulla biografia Tar-cagnotana e ne introducono di nuovi: prima tra tutti la conferma della sua presenza inGaeta in quello stesso 1554.

Nell’atto il figlio Metello, parlando di affettazioni, non fa che confermare quanto luistesso aveva anticipato nella dedica a Giuseppe Abocino (Abocchino) nella Favola d’Ado-ne,2 quindi definisce il padre «giovane», con ciò avallando un’età molto più bassa di quel-la che Soria e compagni vorrebbero assegnargli e l’opera stessa e considerata un capo-lavoro ancora in progress («goffa»). Il documento, ben al di là della semplice supplica, cidimostra in maniera inconfutabile che Tarcagnota non si è mai mosso da Gaeta, né hamia avuto intenzione di farlo, vista la situazione economica personale e della famiglia.

Già nel 1554 le Historie sono completate nella loro prima parte e inviate a Venezia perla stampa ai Tramezino. Tutto ciò, unito al dato economico (la povertà di Tarcagnota eil carico familiare da sopportare) ci induce a pensare che l’opera sia stata pubblicata nel1562 solo per mancanza di fondi e che probabilmente sia stato proprio un concorso diamici altolocati (non ultimo lo stesso granduca) a permetterne la pubblicazione pa-gando le spese. Il riferimento all’Altamira avalla tale ipotesi poiché lo spagnolo, gover-natore di Gaeta e amico del nostro Autore, è cognato di Cosimo e ciò sicuramente hafavorito i rapporti di Tarcagnota con le corti napoletana e fiorentina.3 Sull’argomentoun altro dato va sottolineato: se non si riesce a finire, sembra dire Metello, allora se nefarà un compendio con tutto ciò che ne consegue per la perdita di una tal opera d’artee la colpa, sembra poterlo leggere tra le righe, sarà di coloro che non ne hanno permessola pubblicazione integrale.4

1 asfi, Archivio Mediceo del Principato, b. 434, c. 393, cit.2 «Poi che tanto desiderate M. Gioseppe mio, di leggere, anzi di porvi a memoria il pianto, che fece Venere su

la morte del suo caro Adone; ecco che io vi mando tutto l’Adone istesso, perche vediate ancho lui piangere; e mu-tarsi il suo sangue nel fiore del papavero, e i capelli della dolorosa Venere ne l’herba, che da lei tolse il nome: E velmando iscritto di mia mano, accioche dobbiate con maggior affettione leggerlo, perche son certo, che voi mi ama-te. Vi ricordo bene, che stiate in cervello, che con lo leggere di questa ciancia, non vi trasformiate anchor voi, inqualche vivo fonte, volendo forse accompagnar Venere nel pianto suo. A Dio» (La Favola d’Adone di Giovanni Tar-cagnota da Gaeta, Venezia, Tramezino, 1550, c. Aij).

3 Magliozzi, Contributo alla bibliografia della Provincia di Latina, cit., p. 13, nota 31; L’Amministrazione Civica diGaeta del suo territorio, cit., ii, docc. 949, 950, 951, 957, 961.

4 Sul versante biografico un altro documento più tardo (1559) segnala senza ombra di dubbio la sua presenzaa Gaeta, questa volta in merito a un lavoro svolto per conto della città sull’imposta dei fuochi; in questo caso, però,il compenso è girato a favore del figlio su richiesta dello stesso Giovanni (Antonio Cervone, Giovanni Tarcagnota,Napoli, Russo, 1984, p. 20). Parimenti, ancora per smentire l’inesistente presenza del Nostro a Venezia dopo il 1547,segnaliamo la descrizione dei restauri fatti alla cappella di San Gennaro tra 1556 e 1558 nel duomo di Napoli e dalui descritti con così tanti particolari da non poter negare una sua presenza quasi quotidiana sul luogo (GiovanniTarcagnota, Del sito et lodi […], Napoli, Scotto, 1566, cc. 26v-27r).

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5.

Riprendendo le fila del discorso, dunque, Tarcagnota tra 1547 e 1559 si muove con disin-voltura tra Roma, Napoli e la città natale. Gli interessi editoriali, infatti, non possonoprescindere dal rapporto con i Tramezino e nemmeno possono essere sottovalutati icontatti napoletani e le consulenze che Gaeta gli offre. In particolare a Roma la stampadelle proprie pubblicazioni antiquarie trova terreno fertile proprio per il connubio traanalisi dei testi, fonti e narrazione storica ed è in questo contesto che s’inserisce il rap-porto con Pirro Ligorio. Entrambi regnicoli, infatti, si conoscono da tempo avendo col-laborato con i Tramezino nella realizzazione delle carte geografiche che la ditta pub-blica tra 1548 e 1553, non ultima la famosissima carta di Roma antica che Ligorio disegnaproprio tendendo conto delle sue osservazioni sul campo e non derivandole dai testi an-tichi. Questo, oltre che provare che entrambi nel periodo tra 1554 e 1556 erano a Romae non a Venezia, dimostra anche che la bottega romana dei Tramezino reggeva le filadi un mercato a soggetto antiquario stampando direttamente a Roma, anche se poi visi applicava lo stesso come luogo di stampa Venezia, quasi sicuramente per motivi eco-nomici o di privilegio.

Comunque, tra 1552 e 1558, allo pseudonimo di Lucio Fauno si aggiunge quello di Lu-cio Mauro e di Andrea Palladio, secondo Pirro Ligorio l’uno «[…] il maestro scioccho,l’altro il discipulo, il terzo lo innormatore delle antichità […]».1 In questi lavori Tarca-gnota propone un vero e proprio progetto di ricostruzione e descrizione della Roma an-tica esclusivamente basandosi sui testi antichi e sulle fonti disponibili fino al secolo pre-cedente, tanto che Zilletti, nuovo editore cui Tarcagnota si rivolge per pubblicare illavoro, comprendendone l’ampiezza e la validità, vi aggiunge il trattato di Ulisse Aldo-vrandi sulle statue di Roma.2

Medesima situazione si verifica, non sappiamo se per diretto intervento dell’editoreo per precisa volontà dell’Autore, con la stampa del Delle antichità di Roma raccolte e scrit-te da M. Lucio Fauno […] E con un compendio di Roma antica nel fine […], in Venezia, perMichele Tramezino, 1552. Anche qui, rileggendo o riprendendo interi brani del volga-rizzamento della Roma Trionfante e Italia Illustrata di Biondo da Forlì che lui stesso ave-va tradotto sei anni prima, si disegna un quadro di Roma antica molto interessante, tan-to da avere una nuova ristampa già l’anno successivo.3

Nel 1554 comincia a usare lo pseudonimo di Andrea Palladio, probabilmente perchéin quello stesso anno anche l’architetto vicentino è a Roma proprio per terminare lostudio delle architetture di Roma antica che confluiranno nel suo trattato dell’architet-tura.4 Una rapidissima lettura dei titoli di ognuno dei Quattro libri e della dedicatoria a

1 Ligorio, Antichità di Roma, cit., c. 10v.2 Le antichita della citta di Roma breuissimamente raccolte da chiunque ha scritto, o antico, o moderno; per Lucio Mau-

ro […] Et insieme anco di tutte le statue antiche, […] raccolte e descritte, per M. Vlisse Aldroandi; opera non fatta piu maida scrittor alcuno, in Venetia, appresso Giordano Ziletti, 1556. Sulla questione dell’identità tra Lucio Mauro, LucioFauno e Giovanni Tarcagnota cfr. Anna Bognolo, Nel labirinto della Selva. La traduzione italiana della Silva de varialección di Mambrino Roseo da Fabriano, in Il prisma di Proteo. Riscritture, ricodificazioni, traduzioni fra Italia e Spagna(secc. xvi-xviii), a cura di Valentina Nider, Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Filologici, 2012, pp. 14-23, e Gennaro Tallini, Lucio Fauno/Lucio Mauro writes Rome. A comparativeapproach to the “Antiquities of Rome” (1552-1556) as literaty vision of the ancient city space in Renaissance Rome, paper tothe Renaissance Society of America Annual Conference (New York, 4-6 giugno 2014).

3 Giovanni Tarcagnota, Compendio di Roma antica, ed. critica a cura di Gennaro Tallini, Firenze, Cesati, 2013,in c.d.s. 4 I quattro libri de l’architettura di Andrea Palladio, in Venetia, Domenico de Franceschi, 1570.

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Giacomo Anghirano già ci fa capire che il vero Palladio non ha mai avuto interesse neldescrivere le antichità di Roma e soprattutto non si è mai sognato di pensare esclusiva-mente ai monumenti senza dare, neppure una volta, coordinate architettoniche più precise e vicine agli interessi veri di un architetto.1 Lo pseudonimo, comunque, è il piùfortunato, poiché del volumetto nello stesso anno si hanno altre tre ristampe e la seriecontinuerà fino alla fine del secolo e oltre.

Nel 1556, intanto, è assunto dal nuovo secretario di Stato del Viceregno napoletanoJuan Soto – già segretario a Milano e Torino nel 1540 e poi dal 1555 con il duca d’Alba –con il rango di segretario di mandamento, una di quelle cariche che saranno fonda-mentali per il processo che nel 1559 il commissario reale Gaspar Quiroga intenterà proprio contro Soto, accusato di inadeguatezza ai compiti affidatigli allontanandolo nel1554 per tre da ogni incarico pubblico.2

Nei dieci anni alle sue dipendenze, oltre la pubblicazione delle Historie, Tarcagnotasvolge compiti di ambasceria a Firenze e Venezia e comincia a raccogliere quella moledi dati e notizie che saranno il nucleo centrale del De situ et lodi sua ultima fatica.

Quest’opera è ben più importante delle stesse Historie, prima di tutto perché com-pleta il ciclo inaugurato delle Historie rimontando dal 1468 (stessa data in cui terminail Compendio delle Historie del regno di Napoli di Pandolfo Collenuccio, Venezia, Trame-zino, 1539) al 1565 (mentre le Historie si fermano al 1513) e poi perché è un vero e pro-prio atto d’accusa contro lo sventramento della città messo in atto da Pedro de Tole-do intorno agli anni Trenta del Cinquecento. Un manifesto memoriale, per una cittàche tale non è più perché ha perso ogni dimensione antica ed è diventata altro rispet-to alle memorie di un vecchio letterato. Infatti, il De situ è un’autentica summa di tut-te le opere e dei generi trattati in precedenza; è la sola, vera Opus unica: un insieme digeneri che raccontano un luogo attraverso i non-luoghi della memoria. Napoli perTarcagnota è come Adone; come lui, anche la città subisce la metamorfosi senza rea-gire (proprio nel senso di Ovidio) così cancellando volutamente una memoria pluri-secolare. Nella stessa maniera, Adone va incontro alla morte coscientemente suben-dola, non come martirio, ma come naturale conseguenza del suo essere oggettosacrificale involontario.

Dall’opera possiamo anche desumere la data di morte dell’Autore, poiché la dedicaa Don Carlo d’Austria, scritta di suo pugno, riporta la data del 20 aprile 1566 mentre ilprivilegio (contrariamente a quanto scrive Soria) è di un mese prima («[…] datum Romæ apud s. Petrum 4 idus martij anno primo»). Ora, se consideriamo i tempi di stampa di una bottega dell’epoca, all’incirca sei mesi dalla consegna del manoscritto al-la realizzazione dei fascicoli, Tarcagnota potrebbe essere deceduto intorno all’estate,stagione ideale per navigare da Ancona a Venezia o per attraversare l’Appennino an-dando verso Gaeta nel viaggio di ritorno dalla città lagunare.

1 Ivi, cc. 5-6 e poi, per tutti, si veda il Libro iii, cc. aaa2-aaa3 dove è evidente che l’Autore non sta parlando diopere scritte in precedenza, ma dei libri i e ii dello stesso trattato.

2 Quasi sicuramente Tarcagnota è assunto soprattutto per la conoscenza del latino che Soto non conosceva,non a caso una delle accuse rivolte al segretario di stato riguardava proprio la scarsa conoscenza di quella lingua(sulla questione delle cariche nel vicereame napoletano cfr. Roberto Mantelli, Burocrazia e finanze pubbliche nelRegno di Napoli a metà cinquecento, Napoli, Pironti, 1981; Idem, Il pubblico impiego nell’economia del Regno di Napoli:retribuzioni, reclutamento e ricambio sociali nell’epoca spagnola (secc. xvi-xvii), Napoli, Istituto Italiano per gli StudiFilosofici, 1986; Imma Ascione, Il segretario del regno. Note su una magistratura napoletana fra xvi e xviii secolo, «Ras-segna degli Archivi di Stato», lii, 3, 1992, pp. 569-536.

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Questa è per lo meno la vulgata, sinora pedissequamente seguita da tutti e propostain prima istanza ancora da Soria. Infatti, la notizia della morte ad Ancona risale a quan-to Francesco Scotto scrisse nel suo Itinerario d’Italia: «[…] a s. Domenico un mirabilecrocifisso di Tiziano, e i sepolcri del poeta Marullo e dello istorico Tarcagnotto».1 Suquesta base, Soria senza prove e rimandando solo al passo appena citato, rilancia senzapatemi: «Morì in Ancona e fu seppellito nella chiesa de’ Dominicani secondo la notiziache ce ne ha lasciata lo Scotti nel Viaggio per l’Italia quando parla di Ancona».2

Inutile dire che anche a proposito di Ancona nutriamo seri dubbi, soprattutto se col-leghiamo la morte del Nostro a quella dello zio Michele Marullo, del quale troviamoben strano che, morto in alta Val d’Era tra Pontedera e Volterra annegando nell’omo-nimo fiume, sia stato poi traslato (almeno stando al passo citato dello Scotti) addirittu-ra ad Ancona. È vero che in questa città diversi erano i rifugiati da Ragusa e molti era-no i Tarcagnota ivi residenti alla metà del Cinquecento, ma è altrettanto vero cherimane alquanto inspiegabile un trasferimento così strano mentre tutti i parenti dellasua famiglia sono distribuiti tra Roma, Napoli e Gaeta. Lo stesso dicasi per Tarcagnota,la cui famiglia, interessi e beni erano ormai stabilmente a Gaeta. È probabile invece cheTarcagnota sia morto a Napoli o Gaeta e che la targa apposta nella chiesa anconitana diSan Domenico sia solo un’epigrafe commemorativa e non una lapide funebre, né piùné meno diversamente da quella marulliana.

Un’indagine approfondita da noi condotta negli archivi gaetani non ha prodotto fi-nora risultati interessanti, tanto meno abbiamo avuto notizie dallo scavo nei libri delleparrocchie soppresse, anzi, sulla scorta della lettera dell’asfi qui citata, è probabile chele sorprese migliori debbano venire proprio da quell’archivio e dai documenti in essoconservati. Per ora, Giovanni Tarcagnota, appartenente a una delle famiglie più im-portanti di Gaeta, con uno stuolo di discendenti al servizio della città e alle spalle unanotorietà abbastanza solida a livello letterario, rimane un’ombra che le notizie qui rac-colte hanno appena iniziato a lambire.

([email protected])

1 Itinerario d’Italia di Francesco Scotto […], in Roma, a spese di Fausto Amidei mercante di libri al Corso, nellastamperia del Bernabò e Lazzarini, con licenza de’ Superiori, mdccxlvii, p. 309. Sulla questione si veda anche Ma-gliozzi, Contributo, cit., p. 16-17.

2 Francescantonio Soria, Memorie storico-critiche…, Napoli, nella Stamperia Simoniana, tomo ii, p. 583. Tut-to ciò dà ancora una volta il giusto senso della credibilità di Soria e dei commentatori sette-ottocenteschi cui pe-raltro, acriticamente, si ricollega anche Croce quando cita la lapide marulliana di cui sopra (Benedetto Croce,Michele Marullo Tarcagnota. Le elegie per la patria perduta ed altri suoi carmi. Biografia, testi e traduzioni con due ritrattidi Marullo, Bari, Giuseppe Laterza e figli, 1938, pp. 33-34, nota 4).

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SOMMARIO

saggi

Andrea Lazzarini, Materiali per Elegia di Pico Farnese. Fonti, modelli, incroci 11Giusi Baldissone, Il nome degli elementi nel sistema narrativo di Primo Levi 35

onomastica e letteratura

Giorgio Sale, Dalla ripresa del modello letterario italiano al riferimento all’attualitàfrancese: il repertorio antroponimico di filosofi ed eruditi pedanti nell’opera di Molière 55

note

Leyla M. G. Livraghi, Attardati, epigoni, ‘liquidatori’: passaggi di testi fra Cino daPistoia, Dino Frescobaldi e Sennuccio del Bene 69

Veronica Copello, Le similitudini geografiche dell’Orlando Furioso 89Gennaro Tallini, Nuove coordinate biografiche per Giovanni Tarcagnota da Gaeta

(1508-1566) 105Andrea Bocchi, Angelo De Gubernatis internazionalista. Come trovare una sposa e

perdere un’idea 127Ida Duretto, La paga del sabato e Steinbeck 141Tiziano Toracca, La favola nella narrativa di Paolo Volponi: una filigrana ideologica 145

critica e metodologia

Fiammetta Papi, Prospettive linguistico-cognitive nell’interpretazione del testo paro-dico 167

Arianna Marelli, Gehirn und gedicht di Raoul Schrott e Arthur Jacobs: la poesiaal vaglio delle scienze cognitive 191

Alberto Godioli, Narrazione, contingenza, destino. Su Teoria del romanzo diGuido Mazzoni 205

bibliografiaSaggistica

Fabian Alfie, Dante’s tenzone with Forese Donati: the reprehension of vice (B. Bel-landi) 217

Lucano, Pharsalia, Volgarizzamento toscano trecentesco, a cura di Maria CarlaMarinoni (M. Berisso) 218

Reliquiarum servator. Il manoscritto Parigino latino 5690 e la storia di Roma nel Livio deiColonna e di Francesco Petrarca, a cura di Marcello Ciccuto, Giuliana Crevatin,Enrico Fenzi, presentazione di Francisco Rico (V. Pacca) 224

Francesco Petrarca, Rerum vulgarium fragmenta, ed. critica di Giuseppe Savoca;Giuseppe Savoca, Il Canzoniere di Petrarca tra codicologia ed ecdotica (P. Baioni) 226

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Coluccio Salutati, De verecundia. Tractatus ex Epistola ad Lucilium prima a curadi Teresa De Robertis et alii (M. Mazzetti) 229

Cristiana Anna Addesso, Teatro e Festività nella Napoli aragonese (A. Castellitti) 231Alessandro Polcri, Luigi Pulci e la Chimera. Studi sull’allegoria nel Morgante (L.

Bellomo) 232De Sphaera. Commentario all’edizione in facsimile del codice miniato a. x. 2. 14 = lat.

209 della Biblioteca Estense Universitaria di Modena (M. Ciccuto) 236Francesco Bausi, Umanesimo a Firenze nell’età di Lorenzo e Poliziano. Jacopo Brac-

ciolini, Bartolomeo Fonzio, Francesco da Castiglione (M. Mazzetti) 238Kristin Phillips-Court, The Perfect Genre. Drama and Painting in Renaissance

Italy (M. Ciccuto) 240Ruzante, Moschetta, ed. critica e commento a cura di Luca D’Onghia (S. Deotti) 242Gabriele Bucchi, «Meraviglioso diletto». La traduzione poetica del Cinquecento e le

Metamorfosi d’Ovidio di Giovanni Andrea dell’Anguillara (M. Favaro) 244Pietro Gibellini, Parini. L’Officina del “Giorno” (C. Toscani) 247I colori della narrativa. Studi offerti a Roberto Bigazzi, a cura di Andrea Matucci e

Simona Micali (F. Romboli) 249Alberto Godioli, «La scemenza del mondo». Riso e romanzo nel primo Gadda (V.

Baldi) 252Caterina Verbaro, I margini del sogno. La poesia di Lorenzo Calogero (A. Casadei) 253Italia/Spagna: cultura e ideologia dal 1939 alla transizione. Nuovi studi dedicati a Giu-

seppe Dessì, a cura di María de Las Nieves Muñiz Muñiz, Jordi Gracia (M. Lan-zillotta) 255

Alessandro Iovinelli, Il salto oltraggioso del grillo. Saggi di narrativa e cinema (S.Lazzarin) 257

Dennis Looney, Freedom Readers. The African American Reception of Dante Alighie-ri and the Divine Comedy (N. Leporini) 259

Fabio Danelon, Il giogo delle parti. Narrazioni letterarie matrimoniali nel primo No-vecento italiano (F. Romboli) 260

Giovanni Pascoli, Pensieri e cose varie, a cura di Renato Aymone e Aida Aposto-lico (F. Romboli) 262

Accademia dei Filomartani, L’acqua e i suoi simboli, a cura di Giancarlo Rati (N. M. Fracasso) 264

Mario Marti et alii, Emilio Bigi e gli studi di stilistica storica, a cura di C. Zampese(F. Romboli) 271

Notiziario 277