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132 Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.novitafiscali.supsi.ch N° 5 – maggio 2017 Politica fiscale Il “Progetto fiscale 17” sta per sbocciare! 134 Diritto tributario svizzero Procedura bagatella nei casi di recupero d’imposta e sottrazione per le persone fisiche 135 Diritto tributario italiano Legge di Stabilità 2016 e operazioni con fornitori “black list” 138 La nuova voluntary disclosure 141 Paperoni esteri benvenuti in Italia 144 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero L’imposizione confiscatoria 151 Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano In assenza di iscrizione all’Aire la residenza fiscale è in Italia 154
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Novità fiscali - SUPSIProcedura bagatella nei casi di recupero d’imposta e sottrazione per le persone fisiche 135 Diritto tributario italiano Legge di Stabilità 2016 e operazioni

Sep 29, 2020

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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento economia aziendale, sanità e socialeCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.novitafiscali.supsi.ch

N° 5 – maggio 2017

Politica fiscaleIl “Progetto fiscale 17” sta per sbocciare! 134

Diritto tributario svizzeroProcedura bagatella nei casi di recupero d’imposta e sottrazione per le persone fisiche 135

Diritto tributario italianoLegge di Stabilità 2016 e operazioni con fornitori “black list” 138

La nuova voluntary disclosure 141

Paperoni esteri benvenuti in Italia 144

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroL’imposizione confiscatoria 151

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italianoIn assenza di iscrizione all’Aire la residenza fiscale è in Italia 154

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L’aereo di NF di questo mese decolla dal Progetto fiscale 17 (che è la rinascita, dopo la bocciatura popo-lare, della Riforma III delle imprese con un nuovo nome, molto attento a non avere neppure una vaga assonanza con quello precedente – Riforma III bis avrebbe forse portato sfortuna?), assai pressante per i tempi della politica svizzera (Samuele Vorpe). Intanto, le società che dopo Brexit hanno necessità di spostarsi, non hanno modo di valutare la Svizzera per mancanza di certezza del diritto. Si rimane in volo in Svizzera con gli sforzi della DdC di essere tra-sparenti e pragmatici, confluiti nella nuova circolare per le sottrazioni bagatella (Marzio Teoldi); l’aereo sconfina poi negli aggiornamenti italiani relativi alla deducibilità dei costi black list e alla VD 2.0 (Andrea Purpura). Con Carlo ed Andrea Pessina continua lo sconfinamento con l’acchiapparicchi, la nuova misura che Governo e consulenti italiani hanno scritto per attrarre persone facoltose in Italia (chi scrive ha comunque forti dubbi sulla conformità della misura alla Costituzione italiana – si pensi ai principi della parità di trattamento e della capacità contribu-tiva – in un Paese che conosce, al contrario della Svizzera, la Corte costituzionale). Si atterra nell’aero-porto della giurisprudenza ticinese, con una sentenza che non ravvede nessuna confisca originata dall’im-posta sulla sostanza, tema sempre più attuale in considerazione di rendimenti molto bassi o addirit-tura negativi e di un’imposta sulla sostanza ticinese assai elevata rispetto ad altri Cantoni (Rocco Filip-pini). L’aereo spegne i motori (Sara Armella e Diego Zucal) con l’importanza delle formalità in Italia, dove i giudici hanno stabilito che, per determinare la resi-denza, la non iscrizione all’Aire conta più dei fatti (per fortuna in questi casi vi è la Convenzione CH-IT!). Buon…volo.

Giordano Macchi

RedazioneSUPSICentro di competenzetributariePalazzo E6928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Redattore responsabileSamuele Vorpe

Comitato redazionaleFlavio AmadòElisa AntoniniPaolo ArginelliSacha CattelanRocco FilippiniRoberto FranzèSimona GeniniMarco GreggiGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliSabina RigozziCurzio ToffoliSamuele Vorpe

Impaginazione e layoutLaboratorio cultura visiva

IntroduzioneNovità fiscali5/2017

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Politica fiscale

Il “Progetto fiscale 17” sta per sbocciare!

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI

La Riforma III sull’imposizione delle imprese ha cambiato nome! Il Dipartimento federale delle finanze (DFF), dopo la débâcle del 12 febbraio scorso, ha deciso di chiamarla “Progetto fiscale 17”. Nella sostanza non cambia nulla, anche perché l’obiettivo rimane quello di garantire l’accettazione del sistema fiscale svizzero all’estero, potenziarne la competiti-vità e assicurare le entrate fiscali di Confederazione, Cantoni e Comuni, sopprimendo le disposizioni legali che disciplinano la tassazione delle società a statuto speciale. Secondo quanto si evince da un comunicato stampa del DFF dell’aprile scorso, entro fine giugno dovrebbero essere noti i parametri del nuovo progetto fiscale.

Il commissario dell’Unione europea Moscovici, dopo un incontro con il capo del DFF Maurer, si è rallegrato della rapida reazione del Governo svizzero, il quale si è detto disposto ad abolire i regimi fiscali speciali in tempi brevi. Quali saranno allora i contenuti del “Progetto fiscale 17”, che altro non sarà che una “Riforma III light”.

Alla luce dei risultati della votazione del 12 febbraio scorso si presume che il DFF andrà a proporre un progetto finanziaria-mente sostenibile. Tre sono le strade percorribili: (i) alle misure di sgravio proposte con la Riforma III si aggiungono delle nuove entrate fiscali, che provengono dagli azionisti, ovvero dall’im-posizione dei dividendi e dell’utile in capitale; (ii) si riducono drasticamente le misure di sgravio proposte con la Riforma III, mantenendo l’abolizione delle società a statuto speciale can-tonale e lasciando ai Cantoni il compito di attuare delle misure fiscali compatibili con il diritto federale superiore, ovvero la riduzione delle aliquote applicabili all’utile e al capitale delle persone giuridiche, risp. l’aumento della percentuale di sgravio dei dividendi; (iii) si trova un mix tra le due ipotesi indicate.

È del resto poi probabile che verrà riproposto il “patent box”, ovvero la tassazione agevolata della proprietà intellettuale, anche perché quasi tutti i Paesi europei (ad eccezione della Germania e dell’Austria) conoscono questa forma particolare di imposizione. Anche l’OCSE, recentemente, ha dato il pro-prio nullaosta all’introduzione del “patent box” nei regimi fiscali

Entro la fine del mese di giugno dovrebbero essere definitii parametri della nuova riforma fiscale

nazionali, a patto che vengano rispettate alcune regole del gioco, contenute nel Piano di azione 5 del BEPS (Base Erosion and Profit Shifting). Se così non fosse, si presume comunque che altri Cantoni si unirebbero al Canton Nidvaldo, introducendo un “patent box” cantonale basato sulla riduzione delle aliquote applicabili all’utile.

Infine, la Confederazione, che dal profilo del gettito fiscale è l’ente pubblico che più di altri ha beneficiato delle entrate finanziarie provenienti dalle società a tassazione speciale poiché, ai fini dell’imposta federale diretta, non sono previ-sti sgravi fiscali per queste società, ha tutto l’interesse che quest’ultime non trasferiscano il loro domicilio in altri Paesi. Per questo motivo avrà interesse ad aiutare i Cantoni. Nella Riforma III era prevista una maggiorazione del contributo riferito alla quota-parte del gettito dell’imposta federale diretta di spettanza dei Cantoni, che sarebbe dovuto passare dal 17 al 21,2%. Tuttavia, non sarebbe meglio ridurre l’ali-quota per le persone giuridiche dell’imposta federale diretta (IFD), che oggi è dell’8,5%? Con questo modo di procedere vi sarebbero sostanzialmente due vantaggi: il primo sarebbe quello di evitare una centralizzazione delle entrate della Confederazione con successivo riversamento ai Cantoni, che avrebbe delle conseguenze negative sul federalismo fiscale; il secondo sarebbe quello di escludere il gettito delle persone fisiche dal contributo che Berna verserebbe ai Cantoni. Infatti, l’aumento della quota-parte del gettito IFD non riguarda soltanto le entrate fiscali delle persone giuridiche, ma anche quelle delle persone fisiche.

In Ticino, verso la fine di giugno, dovrebbero pure essere resi noti i contenuti delle misure di accompagnamento al “Progetto fiscale 17”. Quel che conta, ora, è ridare certezze alle numerose società a statuto speciale che, è bene dirlo, sarà fondamentale riuscire a mantenere nel nostro territorio cantonale per evitare un’importante diminuzione del gettito fiscale.

Articolo pubblicato il 09.05.2017 sul Giornale del Popolo

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Diritto tributario svizzero

Procedura bagatella nei casi di recupero d’imposta e sottrazione per le persone fisiche

Nel corso del mese di dicembre 2016 è stata pubblicata dal-la Divisione delle contribuzioni la Circolare n. 28/2016 con lo scopo di regolare una procedura semplificata in materia di recupero/sottrazione d’imposta per i casi ritenuti lievi. Un segno di trasparenza da parte dell’autorità e uno strumen-to a disposizione dei contribuenti per risolvere in modo rapido e semplice piccole evasioni fiscali. I primi mesi del 2017 hanno dato un riscontro estremamente positivo sull’utilizzo di questa prassi permettendo la regolarizzazione a diversi contribuenti.

Marzio TeoldiResponsabile dell’Ufficio Procedure Speciali della Divisione delle contribuzioni, Bellinzona

Minimi previsti per l’invio degli incarti all’Ufficio Procedure Speciali nei casi di sottrazione o tentativo di sottrazione di sostanza e/o reddito

Il Tribunale federale, già in una sentenza non pubblicata del 23 settembre 1985 (A 68/85 P 1076/85), indicava che “[…] ci si può domandare se la prassi di quest’autorità fondata su una circolare interna diretta ai funzionari, sia compatibile con l’art. 129 DIN [ndr. Decreto concernente l’imposta per la difesa nazionale, abrogato]; essa reputa di poco conto le sottrazioni inferiori a fr. 50’000 di sostanza e a fr. 4’000 di reddito negli anni in discussione, e stima che non meritano di essere punite con un prelevamento supplementare e una multa nei corrispondenti periodi fiscali. In questo modo non si rinuncia però alla riscossione dell’ imposta sottratta; con l’accordo del contribuente sul verbale di audizione si cumulano i fattori dissimulati alle altre entrate imponibili nel prossimo periodo non ancora definitivo, applicando l’aliquota del reddito così ottenuto. Questa percentuale aumentata implica un onere addizionale che compensa all’ incirca la rinuncia a una multa. Sotto l’aspetto dell’uguaglianza di trattamento pre-scritta dall’art. 4 Cost. [ndr. previgente Costituzione federale del 1874] una tale pratica, limitata alle cosiddette bagatelle e giustificata dalla semplificazione amministrativa, non può essere senz’altro riprovata”.

Lo stesso principio è stato poi ripreso in diverse sentenze della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Canton Ticino (CDT), la quale ha ribadito a più riprese sia che l’applicazione di questa procedura semplificata per i casi bagatella è possibile solo previo accordo del contribuente, sia la critica all’autorità fiscale per il fatto che la circolare relativa alle condizioni per l’applicazione della procedura semplificata per i casi bagatella fosse unicamente ad uso interno, non accessibile al pubblico[2].

Il Canton Ticino non è, comunque, l’unico Cantone in Svizzera ad avere una procedura bagatella, come ad es. il Canton Berna[3].

[2] Cfr. p. es. Sentenze CDT n. 80.2014.160 e n. 80.2007.1.[3] Cfr. Hannes Teuscher, N 33 s. ad Art. 217 LT-BE, in: Christoph Leuch/Peter Kästli/Markus Langenegger (a cura di), Praxis-Kommentar zum Berner Steuer-gesetz, 2. Artikel 126-293, Muri-Berna 2011.

I. Introduzione ...................................................................... 135II. La procedura semplificata (bagatella) ........................ 136A. Criteri di accesso.......................................................................... 136B. Autodenuncia esente da pena ............................................... 136C. Seconda autodenuncia .............................................................. 136D. Sottrazione d’imposta............................................................... 136E. Tentativo di sottrazione d’imposta ...................................... 136F. Modalità di calcolo della procedura semplificata ........... 136G. Esempio numerico ...................................................................... 136III. La procedura semplificata (bagatella) nei casi di amnistia agli eredi ........................................................... 137A. Criteri di accesso.......................................................................... 137B. Esempio numerico ...................................................................... 137IV. La frode fiscale................................................................ 137

I. IntroduzioneLa Divisione delle contribuzioni (DdC) con la nuova Circolare n. 28 – “Minimi previsti per l’invio degli incarti all’Ufficio Procedure Speciali nei casi di sottrazione o tentativo di sottrazione di sostanza e/o reddito” – non ha fatto altro che pubblicare una prassi già in vigore nel Canton Ticino da più di tre decenni, adeguando i valori e le procedure all’evoluzione del diritto fiscale e della situazione economica ticinese[1].

[1] La citata circolare è scaricabile al seguente link: http://www4.ti.ch/filead-min/DFE/DC/DOC-CIRC/circ_2016_28.pdf (consultato il 1° aprile 2017).

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Diritto tributario svizzero

II. La procedura semplificata (bagatella)A. Criteri di accessoL’obiettivo della Circolare n. 28 è quello di permettere un’e-vasione più celere e con meno dispendio amministrativo di tutti quei casi di sottrazione o tentativo di sottrazione di lieve entità ad opera di persone fisiche. Nella propria direttiva, la DdC ha stabilito i parametri per i quali è applicabile la proce-dura semplificata e, in particolare, quando redditi e sostanza non dichiarati non superano, cumulativamente, i seguenti limiti: (i) fr. 10’000 di reddito per ogni periodo fiscale, per un massimo nei periodi fiscali non prescritti di fr. 100’000; (ii) fr. 200’000 di sostanza lorda per ogni periodo fiscale, per un massimo nei periodi fiscali non prescritti di fr. 2’000’000.

Questa particolare procedura è da ritenersi per la sua stessa natura eccezionale e, quindi, non liberamente ripetibile. Infatti, il contribuente non può procedere ogni anno a denunciare elementi non dichiarati in precedenza (ad es. averi bancari per fr. 150’000 ogni anno) ed aspettarsi che sia applicata la procedura semplificata.

La Circolare n. 28 ha previsto la sua applicabilità per quat-tro procedure distinte: (i) autodenuncia esente da pena; (ii) seconda autodenuncia; (iii) sottrazione d’imposta; (iv) tenta-tivo di sottrazione. Queste fattispecie sono regolamentate tenendo conto delle norme legislative e vengono in seguito brevemente riassunte.

B. Autodenuncia esente da penaSono recuperate le imposte dovute e nessun supplemento è calcolato. Il contribuente riceverà in seguito una decisione d’impunità da parte dell’Ufficio Procedure Speciali. Anche con una procedura bagatella, il contribuente ha effettuato la prima autodenuncia, unica ad avere il beneficio dell’esenzione della pena[4]. Ne consegue che successive denunce non saranno più trattate come se fosse la prima volta.

C. Seconda autodenunciaSono recuperate le imposte dovute ed è applicato un supple-mento forfettario del 20 per cento delle imposte sottratte, a titolo di multa penale fiscale a carico del contribuente (art. 175 cpv. 4 della Legge federale sull’imposta federale diretta [LIFD]; art. 258 cpv. 4 della Legge tributaria ticinese [LT]).

D. Sottrazione d’impostaSono recuperate le imposte dovute (art. 151 LIFD; art. 236 LT) ed è applicato, di regola, un supplemento forfettario del 33,33 per cento delle imposte sottratte, a titolo di multa penale fiscale a carico del contribuente (art. 175 cpv. 2 LIFD; art. 258 cpv. 2 LT).

E. Tentativo di sottrazione d’impostaLa tassazione è emessa aggiungendo, a quanto dichiarato, gli elementi emersi in seguito ed è applicato un supplemento

[4] Cfr. Franco Casella/Marzio Teoldi, Autodenuncia esente da pena e pro-cedura semplificata degli eredi, in: Samuele Vorpe (a cura di), Contravvenzioni e delitti fiscali nell’era dello scambio internazionale d’informazioni, Manno 2015, p. 301 ss.

forfettario del 22,22 per cento delle imposte che si è tentato di sottrarre (ovvero due terzi della multa inflitta nel caso di sottrazione intenzionale e consumata d’imposta, a titolo di multa penale fiscale a carico del contribuente, pari, di regola, ad un terzo) (art. 176 LIFD; art. 259 LT).

F. Modalità di calcolo della procedura semplificataIn concreto, il competente Ufficio circondariale di tassazione propone al contribuente di aggiungere all’ultima tassazione ancora aperta un reddito che tenga conto delle imposte dovute nei diversi anni e dell’eventuale penalità. In altre parole, il dovuto d’imposta (recupero delle imposte sottratte e le eventuali penalità) è convertito, per il tramite di un ricalcolo forfettario, in reddito che andrà ad aggiungersi agli elementi dichiarati.

La procedura bagatella è possibile unicamente con l’accordo del contribuente; nel caso che questi non dovesse accettare, la procedura sarà trasmessa all’Ufficio Procedure Speciali.

G. Esempio numericoQui di seguito riportiamo un esempio esplicativo.

Un contribuente, celibe (aliquota B), è domiciliato in un Comune con moltiplicatore a quota 85 per cento. Dall’ultima notifica di tassazione intimata (2014) risultano i seguenti elementi imponibili: (i) reddito di fr. 100’000; e (ii) sostanza di fr. 525’000.

Il contribuente possiede un conto bancario mai dichiarato e denunciato spontaneamente, per la prima volta, con la dichia-razione 2015 (dati riassuntivi):

Periodo fiscaleValore sostanza (in fr.)

Redditi prodotti (in fr.)

2006 175’729,20 1’748,40

2007 164’548,35 727,75

2008 160’580,10 1’353,10

2009 177’572,85 704,20

2010 174’136,35 844,65

2011 167’687,70 1’676,70

2012 165’723,00 521,05

2013 160’543,50 410,60

2014 155’030,00 147,00

Totale 1’501’551,05 8’133,45

Il dovuto d’imposta non pagato dal contribuente negli anni interessati ammonta a complessivi fr. 10’500. La procedura prevede pertanto il ricalcolo forfettario di questo importo in imponibile da aggiungersi agli elementi dichiarati nel 2015. Nel caso di specie, gli importi dichiarati comportano un reddito imponibile così definito: (i) reddito imponibile ai fini dell’imposta cantonale di fr. 100’000; (ii) reddito imponibile ai fini dell’imposta federale di fr. 100’000.

L’autorità proporrà al contribuente una ripresa, al fine di recu-perare le imposte dovute, così definibile: (i) reddito imponibile

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Diritto tributario svizzero

ai fini dell’imposta cantonale di fr. 139’100; (ii) reddito imponi-bile ai fini dell’imposta federale di fr. 111’100.

III. La procedura semplificata (bagatella) nei casi di amni-stia agli erediA. Criteri di accessoGli stessi criteri sono applicabili ai casi di procedura semplifi-cata di recupero d’imposta per gli eredi. Anche per questi casi, il competente Ufficio di tassazione propone al contribuente una soluzione forfettaria che tenga conto delle disposizioni particolari date dagli artt. 153a LIFD e 238a LT.

B. Esempio numericoQui di seguito riportiamo un esempio esplicativo.

Un contribuente, celibe (aliquota B, art. 36 cpv. 1 LIFD; art. 35 cpv. 1 LT), deceduto il 31 dicembre 2015, è stato domici-liato in un Comune con moltiplicatore a quota 85 per cento. Dall’ultima notifica di tassazione intimata (2014) risultano i seguenti elementi imponibili: (i) reddito di fr. 100’000; (ii) sostanza di fr. 525’000.

Il contribuente ha posseduto un conto bancario mai dichiarato e denunciato spontaneamente nell’ambito della procedura di successione da parte dei suoi eredi:

Periodo fiscaleValore sostanza (in fr.)

Redditi prodotti (in fr.)

2012 165’723,00 521,05

2013 160’543,50 410,60

2014 155’030,00 147,00

Totale 481’296,50 1’078,65

Il dovuto d’imposta non pagato dal contribuente negli anni interessati ammonta a complessivi fr. 3’000. La procedura prevede, pertanto, il ricalcolo forfettario di questo importo in imponibile da aggiungersi agli elementi dichiarati nel 2015. Nel caso di specie, gli importi dichiarati comportano un reddito imponibile così definito: (i) reddito imponibile ai fini dell’imposta cantonale di fr. 100’000; (ii) reddito imponibile ai fini dell’imposta federale di fr. 100’000.

L’autorità proporrà al contribuente una ripresa, al fine di recuperare le imposte dovute, così definibile: (i) reddito imponibile ai fini dell’imposta cantonale di fr. 112’000; (ii) reddito imponibile ai fini dell’imposta federale di fr. 102’400.

IV. La frode fiscaleCompie frode fiscale chiunque per commettere una sot-trazione d’imposta fa uso, a scopo d’inganno, di documenti falsi, alterati o nel contenuto inesatti, quali libri contabili, bilanci, conti economici o certificati di salario e altre atte-stazioni di terzi ed è punito con la pena detentiva fino a tre anni o con la pena pecuniaria (art. 186 cpv. 1 LIFD; art. 269 cpv. 1 LT).

In tutti i casi in cui il competente Ufficio di tassazione riscon-trasse l’uso di documenti falsi, alterati o contenutisticamente inesatti (frode fiscale) deve sempre trasmettere il caso all’Uf-ficio Procedure Speciali, indipendentemente dall’ammontare degli elementi di reddito e di sostanza non dichiarati.

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Diritto tributario italiano

Legge di Stabilità 2016 e operazioni con fornitori “black list”

La Legge Finanziaria 2016 (L. n. 208/2015) ha abrogato l’art. 110 commi 10, 11, 12 e 12-bis del TUIR e, così facendo, ha confermato l’iter intrapreso negli ultimi anni dal legislatore ita-liano in materia di deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con fornitori black list. Ripercorrendo l’evoluzione normativa in materia, si evidenzieranno le peculiarità della recente Legge Finanziaria facendo riferimento tanto agli aspetti nuovi, e positivi, da questa introdotti quanto alle potenziali criti-cità che la stessa potrebbe presentare in sede applicativa.

Andrea PurpuraL.M. in Giurisprudenza presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano,Trainee Lawyer presso MF Studio Legale Tributario in Milano,[email protected]

La totale deducibilità delle componenti negative di reddito alla luce della recente novella legislativa

II. Evoluzione normativa in materia di deducibilità dei componenti negativi da operazioni con fornitori black listA. La normativa sino al 2014Com’è noto, e come dettagliatamente specificato dalla Circolare n. 39/E del 26 settembre 2016[1], la disciplina vigente fino all’anno 2014, si caratterizzava anzitutto per la previsione di una presunzione relativa di indeducibilità totale delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con fornitori black list; le esimenti atte ad inibire la presunzione erano quelle espressamente previste dall’art. 110 comma 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Il divieto di indeducibilità dei costi derivanti da siffatte operazioni realizzate con fornitori black list, pertanto, sarebbe venuto meno nel caso in cui l’impresa residente fosse stata in grado di fornire la prova che “le imprese estere svolges-sero prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”[2].

Dall’articolo richiamato emerge come le prove fossero alter-native in relazione al superamento della presunzione relativa di indeducibilità delle spese o di altri componenti negativi. La prima riguardava l’effettività dell’attività commerciale svolta dalla società estera; la seconda, invece, concerneva l’effettività dell’interesse economico al quale dette operazioni avrebbero risposto e la cui sussistenza avrebbe consentito al contribuente intrattenente rapporti commerciali con fornitori black list di dedurre i costi prodotti a seguito della concreta realizzazione della operazione, o delle operazioni nel caso di rapporti continuativi e ripetuti nel tempo.

Secondo elemento caratterizzante il regime normativo ante-cedente il 2014 era dato dall’obbligo di “separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi”; si trattava di un

[1] Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 39/E, del 26 settembre 2016, Modi-fiche normative in materia di deducibilità dei costi sostenuti in Paesi a fiscalità privilegiata – Chiarimenti.[2] Art. 110 comma 10 TUIR, rubricato “Norme generali sulle valutazioni”, oggi abrogato dalla L. n. 208/2015.

I. Cenni IntroduttiviLa Legge di Stabilità 2016 (detta anche Legge Finanziaria 2016, L. n. 208/2015) ha apportato significative modifiche alla normativa disciplinante la deducibilità dei costi per forniture di beni e servizi provenienti da imprese aventi sede in Paesi inseriti nella cd. black list, lista di Paesi, annualmente aggior-nata dall’Agenzia delle Entrate, caratterizzati da un regime fiscale considerato così favorevole da poter, potenzialmente, alimentare rapporti finalizzati al distorcimento dei corretti criteri di determinazione del reddito di impresa riconducibile ai clienti residenti all’estero.

La norma ha fatto seguito a precedenti interventi legislativi, del 2014 e del 2015, che avevano a loro volta modificato, su più aspetti, la disciplina giuridica della materia.

I. Cenni Introduttivi ............................................................ 138II. Evoluzione normativa in materia di deducibilità dei componenti negativi da operazioni con fornitori black list ................................................................................ 138A. La normativa sino al 2014 ....................................................... 138B. Il cambiamento avvenuto nel 2015 ..................................... 139C. Le novità del 2016 ....................................................................... 139D. Considerazioni sulle novità apportate dalla LeggeFinanziaria 2016 ................................................................................ 139III. Conclusioni ......................................................................140

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Diritto tributario italiano

obbligo gravante sul contribuente, la cui violazione, tuttavia, non avrebbe comportato, di per sé, l'indeducibilità dei costi, bensì “l’applicazione della sola sanzione di cui al comma 3-bis dell’articolo 8 del d.lgs. n. 471 del 1997, per violazione dell’obbligo dichiarativo”[3] e, più precisamente, “una sanzione amministrativa pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei com-ponenti negativi non indicati nella dichiarazione dei redditi, con un minimo di euro 500 ed un massimo di euro 50’000”[4].

Infine, per la concreta individuazione dei Paesi black list, si sarebbe dovuto fare riferimento, in conformità alla disciplina allora in vigore, al Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 29 del 23 gennaio 2002, nel quale è riportato un elenco – cd. “lista nera” (meglio conosciuta come la sopra riportata black list) – di Paesi accomunati dal loro “livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia”[5]; e tra questi figurava anche la Svizzera.

B. Il cambiamento avvenuto nel 2015Prima dell’ultima, importante, modifica introdotta con la Legge Finanziaria 2016, il legislatore nazionale, già nel 2015, aveva compiuto un significativo passo in avanti abbando-nando la presunzione relativa di indeducibilità totale delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con fornitori black list e, approdando ad una regola, certamente di maggiore buon senso rispetto alla precedente, di deducibilità dei costi entro i limiti del loro valore normale[6]. Si venivano, così, a configurare quelli che la stessa Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 39/E, aveva provveduto a definire “due regimi paralleli”[7]:

◆ stando al primo, si sarebbe potuto procedere alla dedu-zione dei costi derivanti da operazioni intercorse con fornitori black list nei limiti del “valore normale” della transazione ovvero, sulla base dell’art. 9 TUIR, il prezzo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione;

◆ il secondo regime, invece, limitava la deducibilità dei costi black list ai casi in cui il livello di questi ultimi avesse oltre-passato il limite del valore normale; in tale caso sarebbe stato necessario provare la seconda esimente prevista dall’art. 110 comma 11 TUIR, “ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione”. La seconda esimente, dunque, sopravviveva alla riforma si pure nel più ristretto ambito dei casi in cui l’ammontare dei costi da dedurre avesse oltrepassato il “valore normale” della transazione.

[3] Circolare dell’Agenzia delle Entrate (nota 1).[4] Art. 8-bis D.Lgs. n. 471, del 18 dicembre 1997, Riforma delle sanzioni tribu-tarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi.[5] Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 29, del 23 gennaio 2002, Indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati o territori aventi regime fiscale privilegiato.[6] Art. 9 comma 3 TUIR, rubricato “Determinazione dei redditi e delle perdite”.[7] Circolare dell’Agenzia delle Entrate (nota 1).

C. Le novità del 2016La Legge di Stabilità 2016 (art. 1 comma 142)[8], ha definiti-vamente segnato un’ulteriore ed importantissima evoluzione della disciplina della materia della quale ci si sta occupando superando sia la presunzione relativa di indeducibilità intro-dotta nel 2014 sia quella successiva del 2015 che prevedeva, come detto, un doppio regime di deducibilità dei costi a seconda che questi fossero superiori, pari o inferiori rispetto al limite fissato dal legislatore coincidente con il “valore normale”. Il legislatore ha, infatti, optato, per una integrale deducibilità dei costi black list, ancorandone il trattamento a quello proprio dei requisiti ordinari di deducibilità previsti dall’ordinamento (art. 109 TUIR)[9] e, quindi, al rispetto dei criteri di coerenza, in relazione al tempo, certezza, quanto all’esistenza, determinabilità, con riferimento all’ammontare e, infine, inerenza riguardo all’attività svolta dall’impresa[10]; criteri che costituiscono, lo si ribadisce, quelli generali di dedu-cibilità dei costi senza alcuna distinzione in base alla natura dei rapporti commerciali intercorrenti tra società nazionali e fornitori black list.

A conferma dell’intervento riformatore radicale del legislatore nazionale, con la Legge Finanziaria 2016, è venuto meno anche l’obbligo – che era stato uno dei punti fermi della disci-plina vigente fino al 2014 e mantenuto anche con le riforme del 2014 e del 2015 – della separata indicazione in dichia-razione dei costi black list e della conseguente inapplicabilità della relativa sanzione in caso di violazione del sopraddetto obbligo fino ad allora ricadente sul contribuente[11].

D. Considerazioni sulle novità apportate dalla Legge Finanziaria 2016L’appena citata semplificazione procedurale merita qualche considerazione; non si può omettere d’affermare che l’inter-vento normativo al quale si è fin qui fatto riferimento abbia, senza dubbio, prodotto un significativo snellimento degli oneri procedurali a carico del contribuente. Tuttavia, in un sistema così delineato nel quale, più precisamente, sia venuto meno l’obbligo di annotazioni separate dei flussi documentali relativi alle operazioni di che trattasi, potrebbe rendere potenzial-mente più difficile e meno efficace il controllo sulla coerenza, certezza, determinabilità ed inerenza dei costi riportati in dichiarazione dal contribuente e, da questo, detratti.

Alla luce di ciò, in una logica di sistema fondata su pesi e con-trappesi, la soluzione probabilmente più equilibrata sarebbe stata il mantenimento dell’obbligo di doppia indicazione con conseguente applicazione, nel caso di inadempimento di questo, delle sanzioni nei regimi e termini precedentemente richiamati e già delineati dalla disciplina vigente fino all’en-trata in vigore della Legge Finanziaria 2016.

[8] Art. 1 comma 142 L. n. 208/2015.[9] Benedetto Santacroce, Black list, via ordinaria per la deducibilità, in: Il Sole 24 Ore, del 27 settembre 2016.[10] Art. 109 TUIR, rubricato “Norme generali sui componenti del reddito di impresa (ex artt. 75 e 98)”.[11] Circolare dell’Agenzia delle Entrate (nota 1).

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Diritto tributario italiano

Non v’è dubbio sul fatto che, al netto delle conseguenze sull’efficacia ed efficienza del sistema di controllo, la riforma del 2016 abbia fornito adeguata risposta ad esigenze, e problemi, di vita economica ed imprenditoriale quotidiana; essa pone rimedio, infatti, a problemi attuativi che erano insiti nella disciplina preesistente in materia di superamento della presunzione relativa di indeducibilità.

Procedendo con ordine, si pensi, tra le due, alla prima esimente delineata dall’art. 110 comma 10 TUIR (articolo abrogato per intero, comprendendo, dunque, oltre al comma 10, i commi 11, 12 e 12-bis, dalla stessa Legge Finanziaria) richiedente all’impresa residente la prova che “l’ impresa estera svolgesse un’attività commerciale effettiva”[12]; in che modo la citata “impresa residente” avrebbe potuto fornire la prova dell’effet-tività dell’attività commerciale svolta dal fornitore black list? Di quali elementi si sarebbe potuto, e dovuto, avvalere?

Le Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate n. 46/E del 16 marzo 2004[13] e n. 127/E del 6 giugno 2003[14], nonché la Circolare n. 51/E del 6 ottobre 2010[15] forniscono un quadro preciso e dettagliato di tipi documentali che l’impresa residente avrebbe dovuto presentare al fine di provare la concreta effettività dell’attività commerciale del fornitore black list; tra questi figuravano: (i) dati conti correnti bancari, (ii) estratti conto che evidenziassero l’effettività delle operazioni svolte, ovvero (iii) contratti di assicurazione relativi agli uffici e dipendenti, (iv) le autorizzazioni sanitarie ed amministrative relative all’uso dei locali e ancora, (v) la normativa e le delibere disciplinanti gli organi sociali e le loro attività, la nomina di amministratori e l’attribuzione dei relativi poteri[16]. Se si dovesse rintracciare un elemento comune ai tipi documentali riportati, coincide-rebbe senza dubbio con la natura e provenienza di questi; si tratta, infatti, di documenti che avrebbero potuto essere rilasciati soltanto dalla società fornitrice black list su eventuale richiesta dell’impresa residente chiamata a provare l’effetti-vità dell’attività commerciale svolta dalla prima.

Alla luce di ciò, trattandosi di documenti non direttamente riproducibili dall’impresa nazionale, la conseguente presenta-zione di questi all’Amministrazione finanziaria, in conformità con la normativa prevista fino al 2014 prima, e 2015 poi, sep-pur, con riferimento a quest’ultima, limitatamente ai casi di deduzione di costi per un valore eccedente il “valore normale”,

[12] Si veda nota 2.[13] Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 46/E, del 16 marzo 2004, Istanza di interpello ai sensi dell’art. 11, comma 13, della legge 31 dicembre 1991, n. 413. Art. 110, comma 11 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – Deducibilità di costi derivanti da operazioni con società avente sede in Mauritius.[14] Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 127/E, del 6 giugno 2003, IRPEG. Art. 76, comma 7-bis, del T.U.I.R. Spese derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori a fiscalità privilegiata.[15] Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 51/E, del 6 ottobre 2010, Disciplina relativa alle controlled foreign companies (CFC) – Dividendi provenienti e costi sostenuti con Stati o territori a fiscalità privilegiata – Chiarimenti.[16] Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esper-ti contabili, Studio su Operazioni con soggetti residenti in Paesi Black List: procedura operativa, a cura della Commissione “Imposte dirette e Reddito d’Impresa”, marzo 2012.

era, de facto, subordinata ad una “personalissima” disponibilità della società estera, la quale avrebbe potuto rifiutare di con-dividere i documenti richiesti con l’impresa residente ovvero ancora, potrebbe aver cessato la propria attività venendo, presumibilmente, cancellata dal registro delle società.

Quest’ultima eventualità sarebbe stata certamente la più difficile da fronteggiare perché, muovendo dall’assunto per il quale l’attività di accertamento condotta dall’Ammini-strazione finanziaria venga posta in essere in un momento successivo rispetto all’anno di imposta sottoposto a verifica, sarebbe risultato ancor più complicato, rispetto a quanto non lo fosse già in condizioni di normalità, reperire i documenti necessari a provare l’effettività dell’attività commerciale svolta dalla impresa estera; pertanto, nel presente, e non raro, caso, l’alternativa prova di due esimenti si sarebbe ridotta alla necessità di affidamento soltanto alla seconda, ed anche in tal senso l’abrogazione dell’art. 110 comma 11 TUIR rappresenta un grande passo in avanti rispetto alla previgente normativa.

III. ConclusioniLa via percorsa dal legislatore, seppur non esente da qualche considerazione critica, sembra essere corretta. Eliminata definitivamente la presunzione relativa di indeducibilità totale delle spese ed altri componenti negativi derivanti da opera-zioni intercorse con fornitori black list, si è fornita risposta ad esigenze di vita economica ed imprenditoriale dei contribuenti, spesso trascurate dal legislatore, e dall’Amministrazione finanziaria, preferendo soddisfare “esigenze di cassa”.

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Diritto tributario italiano

La nuova voluntary disclosure

L’art. 7 del Decreto Legge n. 193 del 22 ottobre 2016, colle-gato alla Legge di Bilancio 2017, ha sancito la riapertura dei termini per l’adesione alla seconda procedura di collaborazione volontaria. La voluntary disclosure bis si presenta al pubbli-co come una grande opportunità tanto per i contribuenti che vorranno regolarizzare la propria posizione, quanto per l’Am-ministrazione finanziaria, la quale ha prospettato ingenti entrate. Malgrado si mostri, dunque, come una grande occa-sione, la nuova voluntary non è esente da criticità e perplessità che, di contro, a questa si accompagnano, rendendola, poten-zialmente, impervia e di non immediata accessibilità.

Andrea PurpuraL.M. in Giurisprudenza presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano,Trainee Lawyer presso MF Studio Legale Tributario in Milano,[email protected]

Novità e criticità della nuova procedura di collaborazione volontaria a cinque mesi dalla riapertura dei termini

zazione, meglio definita collaborazione volontaria, tra Fisco e contribuente, rivolta a persone fisiche, società semplici e soggetti equiparati nonché enti non commerciali residenti in Italia che detenevano investimenti patrimoniali o attività finanziarie all’estero, in violazione degli obblighi di monito-raggio fiscale di cui al Decreto Legge (D.L.) n. 167/1990[3], e dunque senza averli indicati nel quadro RW del Modello Unico.

L’accesso alla voluntary si presentava, già nella sua prima for-mulazione, chiaro e sufficientemente lineare; il contribuente avrebbe dovuto dapprima inviare un’istanza per via telematica e procedere, poi, nel termine di 30 giorni, alla presentazione di una relazione di accompagnamento mediante la quale avrebbe dovuto elencare, in modo preciso e dettagliato, gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero, nel caso di attività extranazionale, ovvero in Italia, nel caso di cd. disclosure domestica, nonché le modalità di determinazione degli imponibili a questi connessi e, in alcuni casi, anche di quelli non connessi[4].

La chiusura della prima voluntary disclosure fu prevista per il 30 novembre 2015, e il 9 dicembre del medesimo anno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze dichiarò d’aver rice-vuto 129’565 istanze, riportando 3,8 miliardi di euro nelle casse dello Stato.

Con riferimento, invece, alla provenienza delle attività estere dichiarate, emerse come queste fossero riconducibili per-lopiù a territori europei; tra tutti spiccò la Svizzera (69,6%) e, a seguire, Principato di Monaco (7,7%), Bahamas (3,7%), Singapore (2,3%), Lussemburgo (2,2%) e San Marino (1,9%)[5].

[3] D.L. n. 167, del 28 giugno 1990, Rilevazione ai fini fiscali di taluni trasferi-menti da e per l’estero di denaro, titoli e valori.[4] Carlotta Benigni/Antonio Tomassini, Una procedura in stile Ocse per chiamare alla regolarità, in: Il Sole 24 Ore, Instant e-book, Il rientro dei capitali, del 2 aprile 2015, http://st.formazione.ilsole24ore.com/a/mps/ebook/Rientro -capitali.pdf (consultato il 16 aprile 2017), p. 6 ss.[5] Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comunicato Stampa N° 242 del 9 dicembre 2015.

I. Dal primo modello di “collaborazione volontaria” alla voluntary disclosure bisSe si dovesse fornire una definizione di voluntary disclosure si potrebbe dire, semplicemente, e senza timore di sbagliare, che questa rappresenti una procedura di collaborazione volontaria atta a consentire ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni (in Italia o all’estero), di regolarizzare la propria posizione denunciando all’Amministrazione finan-ziaria la violazione degli obblighi di monitoraggio[1].

Già la prima voluntary disclosure, introdotta dalla Legge (L.) n. 186/2014[2], entrata in vigore il successivo 1° gennaio 2015, aveva provveduto a delineare una procedura di regolariz-

[1] Il Sole 24 Ore, Argomenti e Parole Chiave: Voluntary Disclosure.[2] L. n. 186, del 15 dicembre 2014, Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio.

I. Dal primo modello di “collaborazione volontaria” alla voluntary disclosure bis .............................................. 141II. Gli elementi di novità ..................................................... 142III. Le potenziali criticità ..................................................... 142IV. Conclusioni ...................................................................... 143

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La prima voluntary disclosure ha, senza dubbio, rappresentato un valido tentativo per mezzo del quale far rientrate in Italia redditi e ricchezze inizialmente sottratti al Fisco, e, cosa ancor più importante in ragione del tema di che trattasi, ha funto da apripista per l’avvio della più recente, ed attualmente in via di svolgimento, voluntary disclosure bis.

II. Gli elementi di novitàL’art. 7 del D.L. n. 193/2016, collegato alla Legge di Bilancio 2017, ha sancito la riapertura dei termini per l’adesione alla seconda procedura di collaborazione volontaria. Più preci-samente, l’articolo sopra citato ha provveduto a delineare un sistema dettagliato in cui sia sì possibile avvalersi della procedura di voluntary disclosure, ma a condizione che il richie-dente non abbia già presentato istanza in precedenza, anche per interposta persona, lasciando allo stesso tempo ferme tutte quelle cause ostative previste dall’art. 5-quater, comma 2, in virtù del quale, ed è bene precisarlo, “non si dovrà con-siderare ammissibile l’accesso a collaborazione volontaria nel caso in cui la richiesta di adesione venga presentata dopo che l’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria e ciò anche qualora la formale conoscenza delle circostanze sopra riportate sia stata acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o da soggetti concorrenti nella commissione del reato”.

Procedendo con ordine, il D.L. n. 193/2016 ha, dunque, introdotto un sistema di collaborazione volontaria le cui caratteristiche principali, e novità rispetto alla precedente edizione, sono, essenzialmente, quelle che seguono:

a) in primis, rispetto alla prima versione, come logica richiede, varia l’arco temporale della nuova disclosure, sviluppan-dosi, oggi, dal 24 ottobre 2016 al 31 luglio 2017; sebbene rimanga la possibilità di “integrazione” della domanda (mediante documenti o altre informazioni ritenute utili), da effettuarsi entro, e non oltre, il 30 settembre 2017;

b) con riferimento alla sanabilità delle violazioni commesse dal contribuente, il nuovo testo ha previsto che lo siano soltanto quelle compiute fino al 30 settembre 2016;

c) a differenza della prima voluntary disclosure, la nuova impostazione data al regime di collaborazione volontaria prevede che spetti al contribuente procedere in modo spontaneo a liquidare, e versare, le somme dovute, siano queste da rendersi a titolo di imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi, sia in un’unica soluzione, sia in tre rate mensili di pari importo, versando la prima rata comunque entro il 30 settembre 2017;

d) nel caso in cui si sia optato per un pagamento rateizzato, il mancato versamento di una sola delle rate fa venir meno gli effetti della procedura;

e) la voluntary disclosure bis si caratterizza, inoltre, per l’in-troduzione di una nuova ipotesi di reato concretizzantesi nell’utilizzo fraudolento della procedura di collaborazione volontaria finalizzato all’emersione di attività finanziarie e patrimoniali, ovvero contanti, provenienti da reati diversi

da quelli per cui la voluntary preclude la punibilità. Al veri-ficarsi delle sopradette ipotesi si applicherà la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni;

f) è prevista la non punibilità per il reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter del Codice penale);

g) la nuova collaborazione volontaria è aperta anche ad altri soggetti, diversi da quelli tenuti agli obblighi di monito-raggio (persone fisiche, enti non commerciali e società semplici ed equiparate) per le violazioni dichiarative per attività detenute in Italia.

La nuova versione della voluntary contenuta all’interno dell’art. 7 del D.L. n. 193/2016 intende, altresì, conseguire un ulteriore obiettivo, ad oggi oggetto di intensa discussione, ovvero con-sentire al contribuente di far rientrare e, conseguentemente, riemergere, denaro contante sfuggito a tassazione.

In tal caso, come la dottrina ha prontamente, e corret-tamente, evidenziato, il contribuente dovrà anzitutto presentare, contestualmente alla presentazione dell’istanza, una dichiarazione attestante che l’origine dei valori non derivi da condotte costituenti reati differenti rispetto a quelli previsti per la voluntary[6].

Nel caso in cui i valori soggetti a collaborazione volontaria siano custoditi all’interno di una, o più, cassette di sicurezza, il contribuente dovrà provvedere ad effettuare l’apertura (e l’inventario) dei beni di cui sopra alla presenza di un notaio che accerti il contenuto e lo riporti in un apposito verbale, entro il termine di presentazione di relazione e documenti allegati, nonché provvedere al versamento di contanti e al deposito dei valori al portatore presso intermediari finanziari che siano abilitati a far ciò, entro la data di presentazione della relazione e dei documenti allegati, su relazione vincolata fino alla conclusione della procedura[7].

III. Le potenziali criticitàPur dovendosi necessariamente considerare una grande opportunità tanto per i contribuenti, i quali potranno prov-vedere a sanare la propria posizione dinnanzi al Fisco, quanto per l’erario, che avrà possibilità di “far cassa”, la voluntary disclosure bis non risulta essere esente da criticità e perplessità.

Queste emergono in modo particolare nel momento in cui si provi semplicemente a constatare la complessità dell’iter che il contribuente deve percorrere al fine di accedere prima, e portare correttamente a compimento poi, la procedura di voluntary disclosure.

In altre parole, come già evidenziato da numerosi profes-sionisti del settore, “la procedura necessaria per ottenere lo stesso regime sanzionatorio della prima tornata di rientro dei capitali, è particolarmente complessa, con un’ampia probabilità di mancato riconoscimento da parte dell’Agenzia delle Entrate. Il che

[6] Saverio Cinieri, Il Decreto fiscale diventa legge: le novità in sintesi, in: Pra-tica Fiscale e Professionale, 1/2017.[7] Ministero dell’Economia e delle Finanze (nota 5).

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comporterebbe, per il soggetto interessato al rimpatrio dei capitali, un incremento delle sanzioni. Inoltre, un disincentivo all’accesso alla nuova procedura potrebbe essere rappresentato dalla tassazione prevista per la regolarizzazione dei contanti e dei valori al portatore, insieme alla mancata valorizzazione della dichiarazione sostitutiva del contribuente come controprova”[8].

Il rischio maggiore derivante dalla versione di voluntary disclosure 2.0, dunque, potrebbe risiedere nella difficoltà dell’Amministrazione finanziaria di procedere ad un corretto, e profondo, apprezzamento delle situazioni patrimoniali pro-spettate; data la riconosciuta complessità dell’iter di voluntary disclosure e non dimenticando la contestuale importanza che la sopracitata procedura riveste per il contribuente, spetterà proprio a quest’ultimo fornire quante più informazioni e det-tagli in modo tale da porre l’Amministrazione finanziaria nelle condizioni di valutare correttamente la richiesta poiché, come già rilevato, a fronte di pratiche ben istruite e già “liquidate”, l’Amministrazione finanziaria avrebbe tutto l’interesse ad archiviare rapidamente la pratica in argomento[9].

Un ulteriore aspetto potenzialmente critico potrebbe risiedere nel meccanismo scelto dal legislatore affinché il contribuente possa autonomamente e liberamente provvedere al versa-mento di quanto dovuto all’erario, ovvero la cd., sopracitata, autoliquidazione. Questo aspetto, infatti, se da un lato confe-risce al contribuente grande libertà, dall’altro, come rilevato, potrebbe dimostrarsi una lama a doppio taglio nel caso in cui si sottoponesse all’Amministrazione finanziaria una situazione patrimoniale non corrispondente a quella reale, e ciò non va sottovalutato soprattutto se visto tanto da un punto di vista strettamente sanzionatorio quanto in relazione agli interessi che si dovranno, eventualmente, corrispondere (dal 3 al 10%)[10].

IV. ConclusioniAd oggi, non si è ancora in grado di fornire alcun tipo di dato certo in merito al successo e all’attenzione che la voluntary disclosure, nella sua nuova edizione, sta ricevendo; tuttavia non parrebbe riscuotere il medesimo interesse e la stessa consi-derazione che, soltanto due anni addietro, aveva ricevuto il primo modello di collaborazione volontaria.

In tal senso, pur essendo fiduciosi che gli ultimi tre mesi possano riservare un boom di adesioni, cosa che, d’altra parte, accadde già nel 2015, la colpa, se di questa si tratta, di un eventuale insuccesso della misura sarebbe difficile da imputarsi all’una, l’Amministrazione finanziaria, o all’altra parte, i contribuenti. Forse sarebbe più corretto parlare di equa ripartizione delle responsabilità: da una parte l’erario avrebbe dovuto, e potrebbe ancora adesso, essendo la misura, ad oggi, ancora accessibile, portare avanti una campagna

[8] Gabriele Ventura, Voluntary disclosure atto II, autoliquidazione a ostacoli, in: ItaliaOggi, del 27 dicembre 2016.[9] Cinieri (nota 6).[10] Alessandro Galimberti, Rientro capitali: voluntary in affanno, in: Il Sole 24 Ore, del 1° aprile 2017, http://www.ilsole24ore.com/art/nor-me-e-tributi/2017-04-01/rientro-capitali-voluntary-affanno-212956.shtml?uuid=AEUPVqx (consultato il 16 aprile 2017).

di sensibilizzazione più pervasiva; dall’altra il contribuente dovrebbe sempre affidarsi ad un professionista capace ed in grado di sciogliere dubbi e perplessità che una procedura complessa ed importante come la voluntary disclosure porta, inevitabilmente, con sé.

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Diritto tributario italiano

Paperoni esteri benvenuti in Italia

Il Governo italiano ha introdotto, con la Legge di Bilancio 2017, un’agevolazione rivolta ai contribuenti persone fisiche neo-trasferiti in Italia, i quali, già a decorrere dall’anno 2017, possono optare per il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF che i media hanno battezzato come “flat tax per i Paperoni”, dell’ammontare di euro 100’000 annui, sui redditi dagli stessi prodotti all’estero. L’opzione ha una durata di 15 anni e può anche comprendere i redditi prodotti all’estero dai familiari del neo-contribuente italiano, per i quali l’importo annuo è fissato in euro 25’000 per ciascuno di loro.

Carlo PessinaDottore commercialista,Studio Pessina Bajardi Bollo, Casale Monferrato/Milano

Introduzione, con la Legge di Bilancio 2017, di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF per i contribuenti persone fisiche neo-trasferiti in Italia

Andrea PessinaDottore commercialista,Studio Pessina Bajardi Bollo, Casale Monferrato/Milano

I. PremessaLa Legge di Bilancio per l’anno 2017[1], con i commi da 152 a 154 e da 157 a 159, ha introdotto nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR)[2] l’art. 24-bis titolato “Opzione per

[1] Legge (L.) n. 232, dell’11 dicembre 2016, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019.[2] Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 917, del 22 dicembre 1986.

l’ imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero realizzati da per-sone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia”. Lo scopo della norma è quello di incentivare, attraverso il pagamento di un’imposta forfettaria, il trasferimento della residenza in Italia da parte di soggetti persone fisiche attualmente residenti all’estero, con l’obiettivo di vedere incrementati i consumi e gli investimenti in Italia effettuati da quest’ultimi, aiutando così la crescita economica e l’occupazione.

Il comma 157 dell’art. 1 della detta Legge demanda ad un Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate[3] l’individuazione delle modalità applicative per l’esercizio, la modifica o la revoca dell’opzione prevista al comma 1 dell’art. 24-bis TUIR; opzione necessaria per accedere al beneficio del regime dell’imposta sostitutiva che verrà illustrata nel prosie-guo, nonché per il versamento dell’imposta stessa, dovuta ai sensi del comma 2 del medesimo articolo.

Questo Provvedimento, che, per quanto previsto dal comma 152, art. 1, della Legge di Bilancio, doveva essere adottato entro novanta giorni dall’entrata in vigore della detta Legge, è stato emanato in data 8 marzo u.s., quindi ben prima del termine ultimo fissato dalla Legge stessa. L’analisi della nuova disposizione normativa che ci proponiamo di fare è dunque svolta con riferimento congiunto al contenuto del neo intro-dotto art. 24-bis e di quello del citato Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

II. Il campo d’applicazione dell’art. 24-bis TUIRIl comma 1 dell’art. 24-bis acconsente solo alle persone fisiche attualmente residenti all’estero, che intendano trasferire la propria residenza in Italia, di optare, verificandosi determinate e particolari condizioni di cui si dirà, per l’assoggettamento ad un’imposta forfetaria sostitutiva dell’imposta sul reddito

[3] Agenzia Delle Entrate, Modalità applicative per l’esercizio, la modifica o la revoca dell’opzione di cui al comma 1 dell’articolo 24-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicem-bre 1986, n. 917 (TUIR), e per il versamento dell’imposta sostitutiva di cui al comma 2 del medesimo articolo 24-bis, Roma, 8 marzo 2017.

I. Premessa ............................................................................144II. Il campo d’applicazione dell’art. 24-bis TUIR.............144III. Le modalità applicative ................................................ 145A. Le tempistiche per l’esercizio dell’opzione .........................145B. L’ammontare dell’imposta sostitutiva ................................ 146C. La presentazione dell’istanza di interpello ....................... 146D. L’esclusione di taluni Paesi dal regime di tassazione sostitutiva .............................................................................................147E. Gli elementi da far figurare nell’interpello ..........................147F. L’estensione del regime forfetario ai familiari del contribuente .................................................................................147G. Il mancato obbligo alla presentazione della dichiarazione dei redditi ................................................................ 148IV. L’uscita dal regime forfetario....................................... 149V. Conclusione ...................................................................... 150

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(IRPEF) per tutti i redditi prodotti all’estero, ovviamente per-cepiti dopo il trasferimento in Italia della loro residenza.

Innanzitutto, con riferimento all’ambito soggettivo di appli-cazione della nuova norma, è opportuno precisare che, stante l’espressa disposizione della medesima, i contribuenti interessati sono solo le persone fisiche, con esclusione per-tanto di ogni altro soggetto rientrante nel panorama fiscale italiano, quali, ad esempio, le società di persone e di capitali, le associazioni, le fondazioni, i trusts, ecc. Esse, poi, non devono essere state residenti in Italia per un periodo di tempo di almeno nove dei dieci periodi d’imposta precedenti quello di inizio del periodo di validità dell’opzione. Poiché il testo lette-rale della nuova disposizione non lo richiede espressamente, si ritiene che, non necessariamente, i nove esercizi fiscali debbano essere continuativi, ben potendo, invece, essere spaccati da uno (il decimo) che ne ha interrotto la continuità. Così ad esempio: un soggetto estero che diventa residente in Italia dal 2017 (quindi, come si dirà, con opzione da esercitarsi nella dichiarazione dei redditi di tale periodo, cioè entro il 30 settembre 2018) dovrà non essere stato residente in Italia in nove dei dieci esercizi precedenti (quindi quelli dal 2007 al 2016), non obbligatoriamente continuativi; pertanto egli potrà accedere al regime sostitutivo in esame se, per esem-pio, non è stato residente dal 2007 compreso sino al 2010 compreso, residente in Italia nel solo 2011 e nuovamente non residente dal 2012 al 2016 compreso.

Riguardo, invece, all’ambito oggettivo è solo il caso di pre-cisare che, stante l’applicabilità della medesima alle sole persone fisiche, l’imposta forfetaria è, ovviamente, sostitutiva dell’IRPEF nonché, pur non essendo espressamente previsto, delle relative addizionali comunali e regionali. Non è infatti ammissibile che, in assenza dell’obbligo di versamento dell’imposta principale, cioè l’IRPEF, si debbano versare le addizionali; anche se, per altre circostanze, la stessa Legge ha espressamente confermato che l’imposta sostitutiva è assorbente anche delle eventuali addizionali[4].

Per espressa disposizione della nuova norma, l’imposta sostitutiva non si applica alle plusvalenze realizzate, nei primi cinque anni di validità dell’opzione, mediante la cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate di cui all’art. 67 comma 1 lett. c) TUIR. In tal caso le dette plusvalenze riman-gono soggette al regime impositivo ordinario previsto dall’art. 68 comma 3 TUIR e cioè concorrono alla formazione del reddito imponibile per un importo determinato al netto delle correlative minusvalenze, nella misura del 49,72% per quanto disposto dal Decreto ministeriale (D.M.) del 2 aprile 2008. Se, invece, le plusvalenze sono realizzate dopo il decorso di cinque periodi d’imposta di validità dell’opzione, la loro tassazione resta assorbita nell’ammontare dell’imposta sostitutiva previ-sta dal comma 2 dell’art. 24-bis e null’altro è dovuto per l’IRPEF dal soggetto estero diventato, ormai, contribuente italiano.

[4] Ad esempio: per la rivalutazione dei beni d’impresa (art. 1 comma 558 L. n. 232/2016) e per la rivalutazione del costo dei terreni e delle partecipazioni (art. 1 comma 554 L. n. 232/2016 che richiama l’art. 2 comma 2 Decreto Legge [D.L.]n. 282/2002).

Il comma 1 del nuovo art. 24-bis TUIR pone come vincolo, per esercitare l’opzione per il pagamento dell’imposta sostitutiva prevista dal comma 2, che il trasferimento della residenza in Italia da parte del soggetto estero avvenga ai sensi di quanto stabilito dall’art. 2 comma 2 TUIR[5], in base al quale sono considerati residenti ai fini fiscali i soggetti che per la maggior parte del periodo d’imposta, alternativamente[6]:

◆ risultano iscritti nelle Anagrafi della Popolazione Residente (Apr);

◆ hanno nel territorio italiano il domicilio ai sensi del Codice civile (c.c.);

◆ hanno nel territorio italiano la residenza ai sensi del c.c.

Per quanto riguarda il periodo di tempo per il quale è richiesta la presenza nel territorio dello Stato per acquisire la residenza fiscale, la norma lo definisce nella “maggior parte del periodo d’imposta”, il che non lascia dubbi che lo stesso debba essere inteso come la presenza fisica in Italia per almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili), anche non continuativi.

Circa il primo requisito richiesto per individuare la residenza o meno in Italia del soggetto – persona fisica, e cioè l’iscrizione nelle Apr – occorre fare riferimento alla disciplina stabilita dalla L. n. 1228/1954[7] e al relativo regolamento di attuazione[8], in base ai quali è previsto che, per ottenere l’iscrizione all’anagrafe, è necessario avere la propria dimora abituale in un Comune del territorio italiano ovvero di avere stabilito nel detto Comune il proprio domicilio.

Se quindi la mera iscrizione nell'Apr attribuisce alla persona fisica lo status di soggetto all’IRPEF, in assenza di questo pre-supposto, le altre condizioni che conferiscono lo status sono, sempre alternativamente, l’avere stabilito il proprio domicilio o la propria residenza in Italia per la maggior parte dell’anno. Posto che la norma (art. 2 comma 2 TUIR) fa riferimento ai detti concetti di domicilio e di residenza al c.c., è pertanto all’art. 43 del detto Codice che occorre ricollegarsi per com-prenderne il significato e la portata[9].

III. Le modalità applicativeA. Le tempistiche per l’esercizio dell’opzioneIl Provvedimento recante le modalità applicative per l’eserci-zio dell’opzione per l’imposta sostitutiva prevista dal comma 1 dell’art. 24-bis TUIR chiarisce innanzitutto che la suddetta opzione si perfeziona semplicemente nella dichiarazione

[5] L’art. 2 comma 2 TUIR, testualmente recita: “[a]i fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.[6] La conclusione che le ipotesi di cui all’art. 2 comma 2 TUIR, siano da con-siderarsi alla stregua di ipotesi alternative e non concorrenti, si desume dall’utilizzo della congiunzione “o” fatta dal legislatore nel testo normativo.[7] L. n. 1228, del 24 dicembre 1954, Ordinamento delle anagrafi della popola-zione residente.[8] D.P.R. n. 223, del 30 maggio 1989.[9] L’art. 43 c.c. recita: "(1) il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha sta-bilito la sede principale dei suoi affari e interessi; (2) la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale".

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dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale i soggetti (persone fisiche estere) hanno trasferito, nel rispetto delle disposizioni previste dall’art. 2 comma 2 TUIR, la residenza in Italia oppure con la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo immediatamente successivo. Questi termini devono considerarsi ovviamente perentori per potere beneficiare del regime opzionale in esame, pertanto, se un soggetto estero trasferisce la propria residenza in Italia nel 2018, potrà esercitare l’opzione con la dichiarazione del Modello Unico 2019 o al massimo, con il Modello Unico 2020; in caso contrario non potrà beneficiare del regime sostitutivo, ma sarà sottoposto a tassazione in Italia per tutti i redditi prodotti all’estero individuati secondo i criteri di cui all’art. 165 TUIR, che a sua volta rimanda all’art. 23.

Il Provvedimento di cui sopra chiarisce due aspetti importanti: il primo che l’istanza di interpello di cui si parlerà più avanti può essere presentata anche se non sono ancora trascorsi i termini (183 giorni) per considerare perfezionato l’iter richie-sto dal citato art. 2 comma 2 TUIR per il trasferimento della residenza in Italia; il secondo che non è necessario attendere la risposta dell’Agenzia delle Entrate (120 giorni) nel caso di presentazione dell’istanza di interpello, purché l’opzione sia esercitata entro i termini sopra illustrati di presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte del soggetto estero. Si deduce, quindi, che le persone fisiche estere possono optare per il nuovo regime già a decorrere dal 2016, a condizione che esercitino l’opzione del Modello Unico 2017 e che per nove su dieci anni antecedenti il 2016 abbiano mantenuto la residenza fuori dal territorio italiano oltre, ovviamente, ad effettuare il versamento dell’imposta sostitutiva richiesta dalla norma in un’unica soluzione entro il termine previsto per il versamento del saldo delle imposte sui redditi (30 giu-gno 2017, per quanto stabilito dall’art. 7-quater comma 19 D.L. n. 193/2016)[10].

B. L’ammontare dell’imposta sostitutivaPer potere usufruire del regime sostitutivo previsto dall’art. 24-bis TUIR, le persone fisiche estere che abbiano trasferito la propria residenza in Italia nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 2 comma 2 TUIR devono versare, relativamente ai redditi di fonte estera da qualunque Stato provengano, un’im-posta sostitutiva dell’IRPEF (e, per quanto già sopra detto, delle relative addizionali comunali e regionali), determinata in via forfetaria nella misura di euro 100’000 per ciascun anno fiscale di validità dell’opzione. Il versamento dell’imposta deve avvenire in un’unica soluzione entro la data prevista per il ver-samento del saldo delle imposte sui redditi. Il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate chiarisce che l’imposta è versata con le modalità di cui agli artt. 17 ss. del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 241/1997[11] e che, con successiva risoluzione, verrà istituito il codice tributo da utilizzare per il versamento

[10] D.L. n. 193, del 22 ottobre 2016, Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili.[11] D.Lgs. n. 241, del 9 luglio 1997, Norme di semplificazione degli adempi-menti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni.

stesso, nonché saranno impartite le istruzioni per la compila-zione del relativo Modello F24.

Da quanto sopra esposto è possibile trarre le seguenti conclusioni:

◆ l’imposta forfetaria di euro 100’000 deve intendersi sostitutiva dell’IRPEF dovuta esclusivamente su tutti i redditi prodotti all’estero (con la precisazione di cui infra), mentre per i redditi prodotti in Italia dall’ex soggetto estero saranno dovute le normali imposte stabilite dal TUIR per le singole categorie di reddito;

◆ i redditi prodotti all’estero per i quali è valida la copertura fornita dal versamento dell’imposta sostitutiva sono quelli facenti capo al soggetto inteso come persona fisica, cioè quelli che, se dichiarati in Italia, sconterebbero l’IRPEF; dunque sono da escludere dal regime forfetario i redditi che il soggetto neo residente in Italia produce all’estero per il tramite di società o enti, mentre vi rientrano i dividendi percepiti su tali redditi;

◆ essendo previsto che il versamento dell’imposta sostitutiva avviene in un'unica soluzione, non sono dovuti versamenti in acconto riguardo la detta imposta;

◆ poiché il Provvedimento precisa che l’imposta sostitutiva è versata con le modalità di cui agli artt. 17 ss. del D.Lgs. n. 241/1997[12], non dovrebbero esservi dubbi sulla possibi-lità di compensazione della medesima con eventuali altri crediti per imposte, IVA, contributi previdenziali, risultanti dalle dichiarazioni presentate.

C. La presentazione dell’istanza di interpelloUna precisazione importantissima rilevabile dal Provvedi-mento dell’Agenzia delle Entrate è che, contrariamente a quanto risulta dal testo normativo (art. 24-bis comma 3 TUIR), secondo il quale l’opzione per il regime dell’imposta sostitu-tiva “deve essere esercitata dopo avere ottenuto risposta favorevole a specifica istanza di interpello presentata ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera b) della legge 212/2000” (i.e. lo Statuto del con-tribuente), la presentazione della detta istanza è meramente facoltativa, essendo sufficiente, come già detto, che l’opzione per il regime forfetario sia perfezionata con la presentazione della dichiarazione dei redditi, da parte dei soggetti (persone fisiche) che hanno trasferito la residenza in Italia, relativa ai periodi d’imposta sopra indicati (cioè quello del trasferimento della residenza o quello immediatamente successivo). Viene dunque precisato che non è un obbligo, ma una facoltà quella di presentare l’istanza di interpello e ottenere il parere favore-vole dell’Agenzia delle Entrate con riguardo alla sussistenza o meno, in capo al soggetto estero che intende trasferire la pro-pria residenza in Italia, delle condizioni e dei requisiti necessari per accedere all’opzione.

In sostanza, l’interpello è finalizzato a verificare che il soggetto estero non abbia avuto la residenza in Italia in almeno nove dei dieci periodi d’imposta precedenti l’inizio della validità dell’op-zione. Appare immediatamente ovvio che la presentazione

[12] Norme recanti le disposizioni in materia di versamento unitario e di com-pensazioni dei crediti tributari e previdenziali.

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dell’istanza di interpello, prima di manifestare l’opzione per il regime forfetario, è quanto meno utile ed opportuna, proprio per ottenere, in maniera inequivoca, la risposta favorevole da parte dell’Amministrazione finanziaria circa la sussistenza dei requisiti richiesti per potere accedere al regime sostitutivo. In caso contrario, il soggetto che ritiene di trovarsi nelle condi-zioni di cui all’art. 24-bis comma 1 TUIR eserciterà l’opzione a suo rischio e pericolo, cioè con l’alea che il Fisco, in caso di accertamento e controllo, possa avere strumenti validi per disconoscere gli effetti dell’opzione esercitata e pretendere conseguentemente il pagamento dell’IRPEF sui redditi prodotti all’estero dal soggetto medesimo secondo le regole ordinarie stabilite dal TUIR. In tal caso, pur nel silenzio della norma e del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, è da ritenersi che l’imposta sostitutiva versata dall’interessato debba detrarsi dall’IRPEF determinata annualmente secondo il regime di tassazione ordinaria. Non solo, nell’ipotesi in cui l’importo dell’imposta sostitutiva (euro 100’000) fosse superiore all’IR-PEF dovuta in base alla tassazione ordinaria, la differenza si accumulerà nei conteggi degli anni successivi, potendo altresì verificarsi che, alla fine dei periodi fiscali interessati dall’op-zione, risulti un credito a favore del contribuente che ne terrà conto per gli esercizi seguenti o ne potrà chiedere il rimborso.

D. L’esclusione di taluni Paesi dal regime di tassazione sostitutivaSi è detto che il versamento dell’imposta sostitutiva fornisce la copertura ai fini IRPEF di tutti i redditi tassabili in Italia prodotti in qualunque Paese estero, anche quelli rientranti nella black list di cui all’art. 167 comma 4 TUIR, individuati dal D.M. del 21 novembre 2001[13] (cioè quelli a cd. “fiscalità privilegiata”)[14]. Tuttavia, il comma 5 dell’art. 24-bis TUIR con-cede espressamente alle persone fisiche interessate la facoltà di escludere taluni Paesi dal regime di tassazione sostitutiva, indicandoli specificatamente insieme all’esercizio dell’opzione, oppure anche in qualunque degli esercizi successivi. A questo proposito, il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate precisa che in una delle dichiarazioni dei redditi dei periodi successivi a quello di esercizio dell’opzione, l’interessato può integrare l’elencazione degli Stati esteri che, da quello stesso periodo d’imposta, saranno esclusi dalla tassazione forfetaria. In tali casi i redditi conseguiti negli Stati esclusi saranno tassati secondo le ordinarie disposizioni previste dal TUIR, con attri-buzione del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero di cui all’art. 165 TUIR.

È ovvio che la facoltà di esclusione o meno di taluni Stati esteri dal regime sostitutivo dipende da valutazioni fatte dal contribuente, il quale dovrà decidere se gli conviene mantenere la tassazione ordinaria in funzione dei redditi previsti e del relativo credito d’imposta, posto che l’importo dell’imposta sostitutiva è sempre uguale indipendentemente dal numero

[13] Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del 21 novembre 2001, Individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui all’art. 127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi (cd. “black list”).[14] A tale conclusione si perviene per il fatto che i detti Paesi non sono espres-samente esclusi dalla disposizione normativa, pertanto i redditi ivi prodotti devono considerarsi sicuramente rientranti nel concetto generale dei “redditi prodotti all’estero” utilizzato dal legislatore nell’art. 24-bis.

degli Stati esclusi. Dal tenore letterale della norma (art. 24-bis TUIR, comma 5) e dalla precisazione fornita dal Provvedimento (punto 1.11), sembra potersi desumere che l’elenco degli Stati esclusi possa solo essere integrato con l’indicazione di ulteriori Stati, mentre non può essere modificato espungendo gli Stati che, in sede di esercizio dell’opzione o nelle dichiarazioni dei redditi dei periodi successivi, erano stati indicati fra quelli espressamente esclusi. Il che significa che, una volta fatta la scelta di escludere taluno degli Stati esteri, questa è vincolante per tutti i periodi d’imposta successivi. Stante l’importanza della questione, è opportuno che la circolare, di cui è prevista l’emanazione in tempi brevi, fornisca definitive precisazioni sulla medesima.

E. Gli elementi da far figurare nell’interpelloNel caso in cui il contribuente intenda presentare l’istanza di interpello prevista dalla norma, la stessa deve indicare gli ele-menti elencati nel Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate e precisamente:

a) i dati anagrafici e, se già attribuito, il codice fiscale nonché, se già residente, il relativo indirizzo di residenza in Italia;

b) lo status di non residente in Italia per un tempo almeno pari a nove periodi di imposta nel corso dei dieci precedenti l’inizio di validità dell’opzione;

c) la giurisdizione o le giurisdizioni in cui ha avuto l’ultima residenza fiscale prima dell’esercizio di validità dell’opzione;

d) gli Stati o Territori esteri per i quali intende esercitare la facoltà di non avvalersi dell’applicazione dell’imposta sosti-tutiva ai sensi del comma 5 dell’art. 24-bis TUIR.

Inoltre, unitamente all’istanza di interpello, il soggetto deve compilare un’apposita check list, secondo le indicazioni richie-ste dall’allegato al Provvedimento, corredata, ove ritenuta rilevante dal contribuente, dalla documentazione di supporto, al fine di consentire una valutazione da parte dell’Amministra-zione finanziaria sulla sussistenza o meno delle già illustrate condizioni per l’accesso al regime sostitutivo previste dall’art. 24-bis comma 1 TUIR; con la precisazione che le mancate indicazioni dei requisiti di cui alle lett. a) e b) sopra riportate, così come la mancata o incompleta compilazione della check list o dei documenti di supporto, rendono inammissibile l’in-terpello, mentre la mancata indicazione del requisito di cui alla lett. c) è regolarizzabile ai sensi dell’art. 3 comma 3 D.Lgs. n. 156/2015[15]. La mancata indicazione prevista dalla lett. d), significa solo che il contribuente non intende escludere alcun Stato estero dal regime sostitutivo. Invece, qualora il neo-contribuente italiano non presenti l’istanza di interpello, dovrà indicare tutti gli elementi suddetti nella dichiarazione dei redditi nella quale intende perfezionare l’esercizio dell’op-zione per il regime dell’imposta sostitutiva.

F. L’estensione del regime forfetario ai familiari del contri-buenteL’art. 24-bis comma 6 TUIR disciplina l’estensione del regime

[15] Ai sensi del quale l’Amministrazione finanziaria invita il contribuente alla regolarizzazione entro il termine di 30 giorni.

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forfetario ai familiari della persona fisica che, in possesso dei requisiti di legge, esercita l’opzione per tale regime, prevedendo espressamente la possibilità, per quest’ultimo, di estendere, per tutto il periodo di validità consentito dalla legge (quindi 15 anni), l’opzione stessa a uno o più dei fami-liari di cui all’art. 433 c.c.[16], sempre che anche per costoro sussistano le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 24-bis, cioè la non residenza in Italia per nove dei dieci anni precedenti l’inizio del periodo di validità dell’opzione stessa.

Anche per i suoi familiari, individuati dal citato art. 433 c.c., il neo-contribuente italiano può presentare o meno l’istanza di interpello di cui al comma 3 dell’art. 24-bis, con gli stessi effetti prodotti a suo carico dall’analoga istanza presentata personalmente. Poiché la norma non vincola la presentazione dell’interpello dei familiari a quello presentato dal contribuente per suo conto, è da ritenersi che sia possibile, per quest’ultimo, presentare l’istanza per sé stesso e non per i familiari, o solo per taluni di essi, e viceversa, con le conseguenze che si illu-streranno nel caso di revoca dell’opzione o di decadenza del regime sostitutivo.

Nell’ipotesi in cui il contribuente non presenti l’istanza di inter-pello, il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate precisa che l’opzione per il detto regime si perfeziona con l’indicazione dei familiari estesi nella dichiarazione dei redditi del contribuente medesimo riferita all’anno fiscale nel quale il familiare trasfe-risce la propria residenza in Italia ai sensi dell’art. 2 comma 2 TUIR, ovvero in quella riferita al periodo d’imposta imme-diatamente successivo. In questa dichiarazione dei redditi, il contribuente deve indicare tutti i dati richiesti dal punto 1.4 del Provvedimento – già sopra illustrati – per ciascuno dei familiari estesi. La manifestazione dell’intenzione di avvalersi del regime opzionale deve anche essere espressa, dal familiare interessato, nella dichiarazione dei redditi di quest’ultimo riferita al primo periodo d’imposta di efficacia dell’estensione stessa (non anche, quindi, nel periodo immediatamente successivo, come invece è concesso al contribuente diretto). Il Provvedimento stabilisce anche che, nella suddetta dichia-razione dei redditi presentata dai familiari, questi devono indicare tutti gli elementi identificativi, compreso il codice fiscale, del soggetto – persona fisica che ha esercitato l’op-zione per conto dei familiari medesimi – nonché gli elementi indicati ai punti 1.4 e 1.5 del Provvedimento.

Qualora invece il neo-contribuente italiano presenti l’i-stanza di interpello, nella medesima dovrà indicare, per ciascun familiare esteso, gli elementi indicati al punto 1.4 del Provvedimento. L’istanza deve essere sottoscritta sia dal contribuente che dai familiari, i quali devono indicare nell’i-stanza stessa gli elementi richiesti dai punti 1.4 e 1.5, con il che dovranno considerarsi esonerati dall’indicazione dei detti elementi nella propria dichiarazione dei redditi.

Analogamente a quanto previsto per il contribuente, il

[16] I familiari indicati nell’art. 433 c.c. sono: il coniuge, i figli legittimi o legitti-mati o naturali o adottivi, i genitori, i generi e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli e le sorelle germani o unilaterali.

Provvedimento chiarisce che quest’ultimo può, anche per conto dei suoi familiari estesi, integrare in una delle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta successivi a quello su cui è stata esercitata la facoltà, l’elenco degli Stati esteri per i quali ha esercitato la facoltà di non avvalersi del regime sostitutivo. Sia per il diretto interessato che per i suoi familiari – per cui lo stesso ne ha chiesto l’estensione – l’opzione è tacitamente rinnovata di anno in anno sino al verificarsi eventuale di una delle cause, illustrate nel prosieguo, di cessazione, di revoca o di decadenza dal regime forfetario dell’imposta sostitutiva.

G. Il mancato obbligo alla presentazione della dichiarazione dei redditiPrima di proseguire è opportuno porsi una domanda: che succede nel caso in cui il neo-contribuente italiano, o i suoi familiari per i quali è stata chiesta l’estensione del regime opzionale sostitutivo, non siano obbligati a presentare, per taluno dei periodi d’imposta di validità dell’opzione, la dichia-razione dei redditi? Se questa evenienza è disciplinata per l’ipotesi di revoca dell’opzione, nel qual caso il Provvedimento espressamente prevede che il soggetto interessato (contri-buente o suoi familiari) effettui apposita comunicazione di revoca indirizzata alla Direzione Centrale Accertamento entro la data di scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi con le modalità indicate nel punto 1.7[17]; analoga disposizione non è prevista qualora la suddetta ipotesi (non obbligatorietà dell’invio della dichiarazione dei redditi) si veri-fichi durante il periodo di validità dell’opzione (ad es. perché gli interessati sono titolari in Italia di soli redditi da dividendi societari che non sono stati distribuiti quindi non percepiti in misura alcuna).

Nulla quaestio se l’ipotesi suddetta si verifica in uno dei periodi d’imposta successivi a quelli nei quali gli interessati (contri-buente o suoi familiari) devono esprimere l’opzione in quanto, il versamento dell’imposta sostitutiva non è vincolato alla presentazione della dichiarazione dei redditi, ma soltanto deve avvenire entro il termine di presentazione della stessa.

Qualora invece l’ipotesi (cioè il non obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi) si verifichi negli esercizi in cui è obbligatorio, tanto per il contribuente quanto per i suoi fami-liari, esercitare l’opzione per il regime sostitutivo e per i quali costoro non intendono presentare istanza di interpello (come già detto meramente facoltativa), si ritiene al momento – in attesa delle precisazioni che opportunamente dovranno essere fornite dalla emananda Circolare illustrativa – che la

[17] Il testo al punto 1.7 del Provvedimento testualmente precisa: “[l]’istanza di interpello è presentata dal contribuente alla Direzione Centrale Accertamento mediante consegna a mano, spedizione a mezzo plico raccomandato con avviso di rice-vimento ovvero presentazione per via telematica attraverso l’impiego della casella di posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 feb-braio 2005, n. 68. In tale ultimo caso l’istanza è inviata alla casella di posta elettronica certificata [email protected]. Per i soggetti non residenti senza domiciliatario nel territorio dello Stato, l’istanza di interpello di cui al punto 1.3 può essere trasmessa alla casella di posta elettronica ordinaria [email protected]. L’istanza deve essere sottoscritta con firma autografa, ovvero, nei casi in cui il documento è trasmesso via posta elettronica certificata, con firma digitale o con le modalità di cui all’art. 38, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.

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soluzione più logica sia quella di comportarsi come nel caso della revoca, e cioè che ciascuno degli interessati comunichi, con le modalità indicate al punto 1.7 del Provvedimento, alla Direzione Centrale Accertamento, ed entro la data di scadenza della presentazione della dichiarazione, tutte le informazioni richieste dalla nuova normativa e dal Provvedimento dell’A-genzia delle Entrate.

IV. L’uscita dal regime forfetarioL’ammontare dell’imposta sostitutiva, il cui regime dura, al massimo, quindici anni a decorrere dal primo periodo d’im-posta per il quale è stata esercitata l’opzione, è pari ad euro 100’000, per ogni anno, a carico del contribuente e di euro 25’000, sempre per ogni anno, a carico dei suoi familiari estesi. Se il periodo di quindici anni è quello massimo di durata del regime sostitutivo (nel senso che, decorso tale termine, non è più ripetibile), sia il contribuente che i familiari per i quali è stata estesa l’opzione possono revocarla a decorrere da qua-lunque degli esercizi successivi a quello in cui è stata esercitata, con apposita manifestazione nella relativa dichiarazione dei redditi; la revoca può avvenire anche disgiuntamente tra il contribuente e taluno dei familiari.

Si è già detto che, nel caso in cui per tale periodo d’imposta il contribuente o i suoi familiari, che intendano revocare l’op-zione, non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi, il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate prevede che il soggetto interessato debba inoltrare apposita comunicazione alla Direzione Centrale Accertamento, entro il termine di pre-sentazione della dichiarazione, in genere, quindi, entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello a decorrere dal quale si intende revocare l’opzione. Il comma 6 dell’art. 24-bis TUIR stabilisce, e di ciò se ne rileva conferma nel Provvedimento, che il soggetto che ha esteso l’opzione per taluno dei suoi familiari può revocarla manifestando tale intenzione nella dichiarazione dei redditi riferita all’anno fiscale dal quale si vuole dare efficacia alla revoca stessa oppure, nel caso in cui egli non sia tenuto, per tale anno, a presentare la dichiara-zione, con la detta comunicazione da inoltrare alla Direzione Centrale Accertamento.

Se la revoca è dunque una possibilità, riservata al contribuente e ai suoi familiari, da esercitare, la decadenza dal regime forfetario si manifesta, tanto per il contribuente quanto per i familiari estesi, al verificarsi delle seguenti ipotesi precisate dal Provvedimento:

a) omesso o parziale versamento dell’imposta sostitutiva entro la data prevista per il pagamento del saldo delle imposte sui redditi, con effetto dal periodo d’imposta rispetto al quale doveva essere eseguito il versamento;

b) trasferimento della residenza fiscale in altro Stato o Ter-ritorio, con effetto dal periodo d’imposta in cui perdono la residenza in Italia ai fini fiscali.

Tanto la nuova norma (art. 24-bis TUIR, comma 4) quanto il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate (punto 3.5) espres-samente prevedono che, per il contribuente, la revoca e la decadenza dal regime precludono la possibilità di esercitare

una nuova opzione, quindi, per il detto soggetto, la comuni-cazione di revocare l’opzione, così come l’intervenuta causa di decadenza della stessa, comportano che il medesimo non potrà proseguire nel regime dell’imposta sostitutiva per i redditi prodotti all’estero a decorrere dal periodo d’imposta in cui i detti eventi si verificano e, quindi, da tale esercizio dovrà sottoporre i redditi esteri alla tassazione ordinaria, evidente-mente beneficiando del relativo credito d’imposta.

La norma suddetta stabilisce anche che la decadenza dal regime forfetario di taluno dei familiari per omesso o insuf-ficiente versamento dell’imposta sostitutiva non costituisce causa automatica di decadenza dal regime per il contribuente, il quale può invece continuare a beneficiare del regime opzionale fino alla scadenza o fino a quando egli stesso non intenderà revocarlo o ne decadrà secondo le disposizioni sopra illustrate. Quindi, ad esempio, si ipotizzi il caso di un contri-buente neo italiano che abbia in corso il regime sostitutivo per sé e per un suo familiare dal 2017 e dal quale il familiare decada a decorrere dal 2022. Ciò non provoca la decadenza anche per il dominus, il quale, invece, può continuare, senza alcun adempimento ulteriore, a permanere nel regime for-fetario per i restanti nove anni e quindi sino al 2031; salvo verificarsi di cause di revoca o di decadenza per egli stesso che gli facciano interrompere prima il rimanente periodo utile per il regime sostitutivo.

Per contro, la norma stessa stabilisce poi che “la revoca dell’opzione o la decadenza dal regime del soggetto che esercita l’opzione si estendano anche ai familiari”, ma, a questo proposito, il Provvedimento chiarisce che, nelle dette ipotesi, i familiari così esclusi possono esercitare autonoma opzione per il regime sostitutivo che avrà efficacia per i residui successivi periodi d’imposta sino al totale di quindici[18]; conglobando nel conteggio degli esercizi residui anche il numero di quelli in cui costoro hanno goduto del regime sostitutivo come familiari del contribuente principale. Ad esempio, contribuente neo italiano dal 2016 che nel 2020 comunica la revoca dal regime sostitu-tivo e che tale regime sia in corso anche per un suo familiare dal 2016: per il contribuente il regime forfetario cessa, senza possibilità di rinnovo, a decorrere dal 2020, mentre il familiare può esercitare, sempre dal 2020, l’opzione per la continua-zione nel regime sostitutivo, che durerà per i residui undici periodi d’imposta (dal 2020 sino al 2030 compresi), avendone già beneficiato per quattro (dal 2016 al 2019 compresi).

Il Provvedimento non precisa quale sia il periodo d’imposta nel quale i familiari devono esercitare la loro eventuale autonoma opzione, tuttavia si ritiene, in analogia a quanto previsto in circostanze similare nel Provvedimento stesso, che l’esercizio suddetto sia quello a decorrere dal quale il loro dominus ha richiesto la revoca ovvero è decaduto dall’opzione, quindi, i familiari dovranno manifestare la loro nuova intenzione nella dichiarazione dei redditi relativa a tale periodo o, in assenza dell’obbligo di presentazione della medesima, con apposita

[18] Numero massimo previsto dall’art. 24-bis comma 4 TUIR per beneficiare del regime sostitutivo.

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comunicazione inoltrata alla Direzione Centrale Accertamento, entro il termine di presentazione della dichiarazione. Anche sotto questo profilo sarebbe opportuna una conferma della emananda Circolare.

Il Provvedimento precisa infine che, nei casi suddetti, ogni familiare che manifesti una propria opzione autonoma può chiedere l’estensione ai propri familiari, sempre individuati secondo le indicazioni di cui all’art. 433 c.c. Tuttavia, costoro potranno usufruire del regime forfetario al massimo per quindici anni complessivi, computando, anche in tale ipotesi, i periodi d’imposta per i quali hanno già goduto del regime a seguito dell’estensione fatta per loro da altro soggetto.

V. ConclusioneL’obiettivo della disposizione introdotta dal nuovo art. 24-bis TUIR è evidentemente quello di ottenere interessanti risultati, in termini di gettito, dal regime dell’imposta forfetaria ivi previsto, tanto che, per promuovere i contenuti del regime medesimo, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pro-grammato una serie di incontri nelle principali capitali europee con l’obiettivo di illustrare i vantaggi per le persone fisiche straniere di trasferire la residenza in Italia. Il primo di questi incontri si è tenuto presso l’Ambasciata italiana a Londra in occasione del seminario annuale di aggiornamento in materia fiscale, durante il quale il Direttore Generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, ha sottolineato che “il regime attuativo è molto semplice, anche in tema di funzionamento amministrativo” e che l’imposta “è competitiva anche rispetto ad altre esperienze straniere”, e arriva in un momento in cui nel Paese ci sono le condizioni per investire grazie a “riforme fiscali che aiutano anche la crescita e l’occupazione”. Non vi è che restare in attesa degli eventi per fare un bilancio dell’iniziativa nel suo complesso.

Certo è che non solo il regime disciplinato dal nuovo art. 24-bis TUIR è allettante per i super-ricchi che dispongono all’estero di ingenti redditi finanziari o patrimoniali, ma, visto da parte dell’erario italiano, il regime porterà nuovi investimenti, quindi nuove opportunità di lavoro e consumi nonché iniziative imprenditoriali che, in Italia, saranno soggette all’ordinario sistema di tassazione.

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Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

L’imposizione confiscatoria

Sentenze CDT n. 80.2015.67 e n. 80.2015.68 del 7 febbra-io 2017. Violazione della garanzia della proprietà privata – la natura confiscatoria di un’imposizione presuppone un’erosio-ne progressiva della sostanza oppure che venga impedita la formazione di un nuovo patrimonio (art. 26 Cost.).

Rocco FilippiniCapoufficio del servizio giuridico della Divisione delle contribuzioni, Bellinzona

Il divieto di un’imposizione confiscatoria non impedisce di intaccare direttamente la fonte dei redditi

È innegabile che tale imposta complementare possa rappre-sentare, in taluni casi, un onere fiscale considerevole, in modo particolare per quei contribuenti che ritraggono dalla loro sostanza un provento nullo o comunque trascurabile. Non stupisce, quindi, che alcuni Cantoni abbiano adottato specifi-che disposizioni volte a limitare il carico fiscale massimo, con lo scopo di evitare che il patrimonio di un contribuente venga decurtato dall’imposta sulla sostanza qualora i relativi pro-venti siano inferiori all’imposta stessa[2]. Ma, come più volte ammesso dalla giurisprudenza federale, simili situazioni non rappresentano ancora necessariamente un’imposizione con-fiscatoria, contraria al principio della garanzia della proprietà previsto dall’art. 26 della Costituzione federale (Cost.).

In una recente sentenza del 7 febbraio 2017[3], anche la Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Canton Ticino (CDT) ha avuto modo di approfondire il tema. Chiamata a giudicare la natura confiscatoria dell’imposta complessiva (federale, cantonale e comunale) dovuta da una coppia di coniugi residenti nel Canton Ticino, la CDT l’ha negata, nonostante la stessa fosse superiore al reddito imponibile conseguito dai contribuenti nel medesimo periodo fiscale.

II. La fattispecie litigiosaI coniugi X, illimitatamente imponibili nel Canton Ticino, sono proprietari di un patrimonio milionario. Notificando loro la tassazione IC/IFD 2011, l’autorità di tassazione ha commisu-rato il reddito imponibile in fr. 1’512’800 (quello determinante per l’aliquota in fr. 2’218’100). L’imposta complessiva dovuta, comprensiva dell’imposta complementare sulla sostanza milionaria, ammontava invece a fr. 1’662’745.55, oltrepassando, quindi, il reddito imponibile nel medesimo periodo fiscale.

I contribuenti hanno contestato la tassazione dinanzi alla CDT, lamentando il carattere confiscatorio dell’imposta globale

25 ottobre 2000, in: FF 2000 5241, p. 5263.[2] Cfr., sul tema, Samuele Vorpe, Il freno all’imposta sulla sostanza, in: RtiD II-2010 p. 513 ss.[3] Sentenza CDT n. 80.2015.67-58.

I. IntroduzioneA norma dell’art. 2 cpv. 1 lett. a della Legge federale sull’ar-monizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (LAID), tutti i Cantoni prelevano un’imposta sulla sostanza netta delle persone fisiche. Tale imposta, caratteristica del sistema fiscale svizzero, costituisce un onere complementare, destinato ad integrare l’imposta sul reddito. Con particolare riferimento alla sostanza mobiliare, essa rappresenta una sorta di “compensazione” nei confronti della scelta politica di esentare gli utili in capitale, per contro tassati nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE. Grazie alla (leggera) progressività dell’aliquota, l’imposta sulla sostanza permette ai Cantoni di prendere in considerazione l’aumento del patrimonio, che non è soggetto all’imposta sul reddito in quanto utile in capitale realizzato sulla sostanza privata. Consente, inoltre, alle autorità di tassazione di esercitare un controllo, attraverso il confronto della sua evolu-zione con i redditi dichiarati dal contribuente[1].

[1] Messaggio sull’iniziativa popolare “per un’imposta sugli utili da capitale” del

I. Introduzione ...................................................................... 151II. La fattispecie litigiosa .................................................... 151III. Il divieto di un’imposizione confiscatoria nella giurisprudenza federale ..................................................... 152A. L’esame del carattere confiscatorio di un’imposizione va esteso su più periodi .................................................................. 152B. La tesaurizzazione del rendimento del proprio patrimonio ........................................................................................... 152IV. La sentenza della CDT del 7 febbraio 2017 ............... 152V. Conclusione ...................................................................... 153

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dovuta. Hanno dapprima posto l’accento sulla natura degli investimenti scelti (obbligazioni e fondi di investimento a reddito fisso), che dovrebbero in teoria garantire reddito costante, sot-tolineando, poi, la natura ricorrente e periodica dell’imposizione sui redditi e sulla sostanza. I ricorrenti hanno, infine, chiesto che la decisione dell’autorità di tassazione fosse annullata e conte-stualmente ordinata una riduzione dell’imposta sulla sostanza, in maniera tale da ricondurre l’imposizione totale ad una per-centuale che non li avrebbe costretti ad intaccare direttamente la fonte dei loro redditi.

III. Il divieto di un’imposizione confiscatoria nella giuri-sprudenza federaleLa CDT ha, in primo luogo, ricordato la giurisprudenza fede-rale, secondo cui il principio della garanzia della proprietà non va oltre al divieto di un’imposizione confiscatoria. Spetta al legislatore preservare la sostanza del patrimonio del contri-buente e lasciare a quest’ultimo la possibilità di formarne uno nuovo. Per determinare se un’imposizione abbia o meno un effetto confiscatorio, la sola aliquota d’imposta espressa in percentuale non è, tuttavia, decisiva. Occorre, piuttosto, esa-minare il carico che rappresenta l’imposizione su un periodo sufficientemente lungo, facendo in particolare astrazione dalle circostanze straordinarie. A tal fine, bisogna prendere in considerazione l’insieme delle circostanze concrete, la durata e la gravità del pregiudizio, così come il cumulo con altre tasse o tributi e la possibilità di trasferire l’onere contributivo su altre persone[4]. In un unico caso, la giurisprudenza federale ha riconosciuto un’imposizione confiscatoria contraria al princi-pio costituzionale della garanzia della proprietà, ammettendo che l’imposizione di una rendita vitalizia di fr. 2’200 mensili destinata al mantenimento di un contribuente, colpita sia dall’imposta di successione sia da quella sul reddito, fosse da ritenersi confiscatoria poiché raggiungeva il 55 per cento delle rendite mensili e in ragione della condizione economica modesta del contribuente[5].

Con particolare riferimento all’imposta sulla sostanza, il Tribunale federale ha sempre mantenuto un orientamento particolarmente restrittivo, verosimilmente condizionato dall’esenzione degli utili in capitale conseguiti su elementi della sostanza mobiliare privata. I giudici federali ritengono, infatti, che una pretesa fiscale eccessiva non leda il principio della garanzia della proprietà qualora il contribuente possa, in un secondo momento, ricavare dalla vendita del suo patrimonio un utile in capitale esente da imposte. Gli sforzi del contribuente, anche se considerevoli, sono in altri termini compensati da una totale esenzione nel momento in cui dovesse realizzare il patrimonio privato[6].

La stessa linea è stata confermata in una recente sentenza del 5 gennaio 2017[7]. Chiamata a giudicare la natura confiscato-

[4] Sentenza TF 2C_277/2008 del 26 settembre 2008, consid. 4.1.[5] Sentenza TF P.1704/1984 del 10 maggio 1985, consid. 2e, in: ASA 56 p. 439; cfr. anche Vorpe (nota 2), p. 520.[6] Vorpe (nota 2), p. 521.[7] Sentenza TF 2C_826/2015 del 5 gennaio 2017, destinata a pubblicazione nella raccolta ufficiale.

ria dell’imposta cantonale e comunale dovuta da una coppia di coniugi ginevrini, l’Alta Corte l’ha negata, nonostante la stessa sorpassasse del 200 per cento il reddito imponibile dei contribuenti per il medesimo periodo fiscale. I giudici federali hanno sottolineato come l’onere fiscale fosse costituito in gran parte dall’imposta sulla sostanza, prelevata sulla base del valore delle loro azioni, giungendo a due conclusioni.

A. L’esame del carattere confiscatorio di un’imposizione va esteso su più periodiLa logica del sistema fiscale svizzero, che prevede un’imposta sulla sostanza complementare a quella principale sul reddito, impone di verificare il carattere confiscatorio dell’imposta glo-bale su più periodi fiscali. Siccome l’imposta sulla sostanza ha per oggetto la sostanza in quanto tale e in funzione dell’am-montare di quest’ultima si stabilisce la capacità contributiva, unicamente nel caso in cui i redditi della sostanza non siano più sufficienti – nella durata – per far fronte al carico fiscale, l’imposizione deve essere considerata confiscatoria. Non si può, quindi, ritenere che la garanzia costituzionale della proprietà sia violata quando, in un unico periodo fiscale, l’onere fiscale supera il reddito della sostanza, poiché ciò significherebbe trasformare l’imposta sulla sostanza in un’imposta sul reddito.

B. La tesaurizzazione del rendimento del proprio patrimonioQuando la sostanza aumenta, in virtù di una congiuntura economica favorevole oppure di buoni affari, e l’imposta risulta essere al di sotto di tale progressione, si può, di primo acchito, negare il carattere confiscatorio dell’imposizione. Lo stesso accade per l’imposizione del valore di azioni, se questo valore aumenta poiché gli utili della società vengono tesaurizzati anziché essere distribuiti. In tal caso, il loro valore intrinseco progredisce senza alcuna imposizione del loro rendimento, di modo che un onere fiscale, anche importante, ma che resta al di sotto dei rendimenti tesaurizzati, non può essere qualificato come confiscatorio[8].

Nello stesso senso si era peraltro già espressa la Corte fiscale del Tribunale cantonale del Canton Friborgo, con sentenza del 15 giugno 2012. Il fatto, p. es., che le imposte sul reddito e sulla sostanza superino a lungo termine il reddito dei titoli non permette ancora di concludere che tale investimento abbia intaccato la sostanza del contribuente. Decisiva è piuttosto la relazione tra l’utile disponibile e la distribuzione dei dividendi decisa dalla società. Se, malgrado un utile netto elevato, il dividendo distribuito resta modesto al punto da non coprire le imposte sul reddito e sulla sostanza, non si può concludere che la sostanza è toccata nella sua essenza, poiché il valore intrinseco della società, e quindi il valore delle sue azioni, sono migliorati parallelamente[9].

IV. La sentenza della CDT del 7 febbraio 2017Tornando al caso dei coniugi residenti nel Canton Ticino, la CDT ha negato il carattere confiscatorio dell’imposta complessiva da loro dovuta, sulla base di tre ordini di idee.

[8] Sentenza TF 2C_826/2015 del 5 gennaio 2017, consid. 5.2.[9] RDAF 2013 II 160, consid. 4a.

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In primo luogo, il reddito determinante per l’aliquota (fr. 2’218’100) superava l’imposta globale dovuta (1’662’745.55), sicché non per forza i contribuenti devono intaccare la loro sostanza per far fronte all’intero carico fiscale elvetico. In secondo luogo, quand’anche si volesse prendere in consi-derazione unicamente il reddito imponibile conseguito (fr. 1’512’800), non sarebbe comunque dato il carattere confi-scatorio dell’imposizione, giacché si tratta del primo periodo fiscale in cui viene sollevata tale problematica: non essendo dato il presupposto della durata, secondo la giurisprudenza dell’Alta Corte, non si può dedurre che la sostanza venga intaccata in maniera durevole dal prelievo delle imposte. Da ultimo, il patrimonio dei contribuenti non era investito unica-mente in obbligazioni e fondi di investimento a reddito fisso, che dovrebbero in teoria garantire reddito costante, ma gli stessi detenevano pure il pacchetto azionario di una società, che non aveva distribuito alcun dividendo nel periodo fiscale litigioso. In una certa misura valeva anche per i contribuenti l’argomento secondo cui l’aumento del valore della sostanza dipende pure dalla tesaurizzazione degli utili della società. Come già ricordato sopra, se il contribuente rinuncia volonta-riamente ad un rendimento sufficiente del proprio patrimonio, per ragioni familiari oppure nella speranza di realizzare ulte-riormente un utile in capitale che supera largamente il reddito della sostanza, non si può parlare di natura confiscatoria dell’imposizione. Tale è p. es. il caso del possesso di oro oppure di altri metalli preziosi, ma anche di una speculazione immo-biliare. Se il contribuente non ha la possibilità di trasformare la sua sostanza in attivi che producono un rendimento medio, un’imposizione confiscatoria non può essere ammessa se un carico fiscale, di per sé eccessivo, è limitato nel tempo. In questi casi, anche se il reddito disponibile non permette di far fronte al carico fiscale globale senza intaccare la sostanza, la garanzia della proprietà non è violata.

V. ConclusionePer riprendere la giurisprudenza del Tribunale federale, si può pertanto parlare di natura confiscatoria dell’imposizione unicamente nel caso in cui l’onere fiscale complessivo eroda progressivamente la sostanza oppure impedisca la forma-zione di un nuovo patrimonio.

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In assenza di iscrizione all’Aire la residenza fiscale è in Italia

Comm. trib. reg. Brescia, sez. LXV, 12 maggio 2016, n. 2860. Nella sentenza in commento i giudici di merito hanno stabilito che, in assenza di iscrizione all’Aire, il cittadino ita-liano deve essere considerato fiscalmente residente in Italia a prescindere dal suo effettivo trasferimento all’estero. In particolare, la residenza del soggetto è stata localizzata nel territorio dello Stato sulla base di un mero inadempimen-to formale (mancata cancellazione dall’Apr), nonostante i numerosi elementi di prova, addotti in giudizio, attestanti la sua effettiva residenza nella Confederazione svizzera.

Sara ArmellaAvvocato in Milano e Genova,Armella & Associati, Studio legale

I giudici di merito tornano a pronunciarsi su uno dei temi più controversi in materia di imposte sul reddito

Tale interpretazione è stata recepita dalla sentenza in com-mento, la quale, accogliendo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, ha stabilito che il cittadino italiano mantiene lo status di residente fiscale in Italia, qualora non risulti iscritto all’Aire[2].

Nel caso in questione, pertanto, la residenza del soggetto è stata individuata nel territorio dello Stato sulla base di un mero inadempimento formale, nonostante i numerosi elementi di prova, addotti in giudizio, attestanti l’effettiva residenza nella Confederazione svizzera.

II. Il concetto di residenza fiscaleA. La normativa italianaIl Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR)[3] prevede che si considerino residenti in Italia le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni nel corso dell’anno): (i) siano iscritte nelle Apr; (ii) abbiano la residenza nel territorio dello Stato; (iii) abbiano il domicilio nel territorio dello Stato.

Tale norma ricollega la residenza fiscale di un soggetto alla presenza – alternativa – di uno dei requisiti sopra elencati che, pertanto, non devono ricorrere congiuntamente.

L’art. 2 comma 2-bis TUIR[4] prevede, inoltre, che si conside-rino residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle Apr e trasferiti in Stati o Territori a fiscalità privilegiata.In tali ipotesi, sussiste una presunzione relativa di residenza in Italia; ne consegue l’inversione dell’onere della prova[5].

L’Agenzia delle Entrate, di conseguenza, non è tenuta a provare la residenza in Italia del soggetto passivo, bensì è

[2] Comm. trib. reg. Brescia, sez. LXV, 12 maggio 2016, n. 2860.[3] Art. 2 D.P.R. n. 917, del 22 dicembre 1986.[4] Introdotto dall’art. 10 della Legge del 23 dicembre 1998, n. 448. Gli Stati e i territori con un regime fiscale privilegiato sono stati individuati con il decreto ministeriale del 4 maggio 1999: fra essi, come noto, è inserita la Confederazio-ne svizzera.[5] Da ultimo, sul punto, si veda Cass., sez. V, 30 settembre 2016, n. 19484.

I. PremessaTra i temi più controversi, in materia di imposte sul reddito, si segnala la problematica inerente l’individuazione della residenza fiscale del cittadino italiano, nelle ipotesi in cui si trasferisca all’estero.

L’Amministrazione finanziaria, infatti, contesta di frequente la fittizietà di tale trasferimento, basando il proprio accertamento sulla mancata cancellazione del contribuente dall’Anagrafe della Popolazione Residente (Apr) e sul conseguente difetto di iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (Aire).

Al riguardo, una recente sentenza della Corte di Cassazione italiana ha ritenuto che, in assenza di iscrizione all’Aire, il contribuente deve essere considerato fiscalmente residente in Italia a prescindere dal suo effettivo trasferimento all’estero[1].

[1] Cass., sez. V, 28 ottobre 2015, n. 21970.

Diego ZucalAvvocato in Genova,Armella & Associati, Studio legale

I. Premessa ............................................................................154II. Il concetto di residenza fiscale .....................................154A. La normativa italiana ................................................................. 154B. La giurisprudenza della CGUE .................................................155III. L‘iscrizione all’Aire .......................................................... 155IV. La fattispecie esaminata dalla Cassazione ............... 156

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quest’ultimo a dovere provare l’effettività del proprio trasferi-mento, attraverso la dimostrazione dell’elezione di un nuovo territorio quale “sede principale dei suoi affari e interessi”[6].

A tale riguardo, la giurisprudenza e l’Agenzia delle Entrate hanno chiarito il significato della locuzione “affari e interessi”, la quale deve essere intesa, a prescindere dalla presenza fisica del soggetto nello Stato, “in senso ampio, comprensivo non solo dei rap-porti di natura patrimoniale ed economica, ma anche morali, sociali e familiari”[7]. Tali rapporti devono essere valutati secondo criteri quantitativi per gli interessi economici, e qualitativi per quelli di natura non economica. In altri termini, la determinazione del domicilio si ricava da tutti gli elementi o le situazioni concrete, da cui emerge uno stabile legame con il territorio.

Secondo un orientamento della Corte di Cassazione italiana, il criterio predominante al fine di stabilire il domicilio deve essere ravvisato nelle relazioni familiari o affettive del sog-getto passivo[8]. E invero, se tali relazioni sono individuate nel territorio dello Stato, esse determinano la qualifica di residente fiscale, a prescindere dall’iscrizione all’Aire e dallo svolgimento, all’estero, di un’attività produttiva di reddito.

Secondo un'altra parte della giurisprudenza, tuttavia, le relazioni affettive e familiari non hanno rilevanza prioritaria ai fini della determinazione della residenza, venendo in rilievo solo unitamente ad altri criteri, quali gli interessi economico-patrimoniali del soggetto passivo[9].

Tale contrasto giurisprudenziale comporta un elevato grado di incertezza in relazione all’individuazione della residenza fiscale del contribuente, laddove i suoi interessi personali non coincidano con quelli economici[10].

B. La giurisprudenza della CGUEPosto l’obbligo degli Stati membri di uniformarsi al diritto euro-unitario anche per la soluzione di questioni “puramente nazionali”, occorre, altresì, considerare quanto stabilito dalla giurisprudenza euro-unitaria[11], secondo cui la residenza di un soggetto deve essere stabilita solamente a seguito di una complessa valutazione degli elementi fattuali che caratteriz-zano la fattispecie concreta. La Corte di Giustizia dell'Unione

[6] Tale nozione è individuata dall’art. 43 del Codice civile italiano, che identi-fica, appunto, il domicilio di una persona nel luogo in cui questa ha stabilito “la sede principale dei suoi affari e interessi”.[7] Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 304/E, del 2 dicembre 1997, Attività di controllo nei confronti di cittadini italiani fittiziamente emigrati all'estero – Accertamento dei requisiti per la qualificazione di soggetto "fiscal-mente residente" in Italia.[8] Cass., sez. V, 16 gennaio 2015, n. 677; Cass. sez. V, 29 dicembre 2011, n. 29576; Cass. sez. V, 15 giugno 2010, n. 14434.[9] Cass., sez. V, 31 marzo 2015, n. 6501.[10] Sul punto, si veda Giuseppe Marino, La geometria variabile della residen-za fiscale alla luce della più recente giurisprudenza italiana e europea, in: Diritto e pratica tributaria, vol. 87, No 1, 2016, pp. 257-278.[11] CGUE, 17 luglio 1997, C-28/95, Leur-Bloem, in: racc. 1997 I-04161. Al punto 33 i giudici affermano che “esiste un interesse comunitario certo a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni o le nozioni riprese dal dirit-to comunitario ricevano un’interpretazione uniforme a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate”. Sul punto, si veda Marino (nota 10).

europea (CGUE) individua come criteri della presenza fisica della persona in un determinato Stato “quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo dove i figli frequentano effettivamente la scuola, il luogo d’esercizio delle attività personali, il luogo in cui vi siano interessi patrimoniali, quello dei legami ammi-nistrativi con le Autorità pubbliche e gli organismi sociali”[12].

La giurisprudenza dell’UE, pertanto, individua il luogo di residenza facendo esclusivo rilievo alla volontà del soggetto e alle circostanze inerenti la sua situazione familiare, nonché ai “motivi che lo hanno indotto a trasferirsi, la durata e la continuità della residenza, il fatto di disporre eventualmente di un posto di lavoro stabile”[13].

Ciò che prevale, secondo i giudici europei, sono gli elementi oggettivi (effettiva permanenza in un luogo) e soggettivi (intenzione di dimora abituale), mentre nessuna rilevanza è attribuita al collegamento “cartolare” del soggetto con il territorio dello Stato[14].

III. L‘iscrizione all’AireCome noto, l’iscrizione all’Aire è obbligatoria per tutti i cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza all’e-stero per un periodo di tempo superiore a dodici mesi[15]. Contestualmente, tali soggetti devono cancellarsi dall’Apr.

In caso contrario, la giurisprudenza di legittimità ha affer-mato che “ai fini delle imposte dirette, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano […] in ogni caso residenti”[16], con ciò ribadendo l’esistenza di una presunzione legale assoluta di residenza, insuscettibile di prova contraria.

Tale principio è alla base della sentenza in commento: secondo i giudici della Commissione tributaria regionale (Comm. trib. reg.) di Brescia, infatti, in caso di mutamento della residenza all’estero, occorre necessariamente “provvedere alla cancel-lazione dall'anagrafe tributaria e contestualmente all'iscrizione all'anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire)”[17].

In assenza di tale formale presupposto, sussiste una presun-zione di residenza fiscale in Italia, che non può essere superata dal contribuente attraverso nessuna prova documentale che attesti la sua reale residenza all’estero.

[12] CGUE, 12 luglio 2001, C-262/99, Louloudakis, in: racc. 2001 I-05547.[13] CGUE, 25 febbraio 1999, C-90/97, Robin Swaddling, in: racc. 1999 I-01075.[14] La Corte di Cassazione, in sede civilistica, è del medesimo orientamento, giacché ha interpretato l’istituto giuridico della residenza come consistente di un elemento oggettivo, rappresentato dalla permanenza in un luogo, e di uno soggettivo, rappresentato dall’intenzione di dimorarvi abitualmente (ex multis, Cass., sez. I, 1° dicembre 2011, n. 25726; Cass., sez. I, 5 agosto 2005, n. 16525; Cass., 14 marzo 1986, n. 1738, tutte in: Bancadati Fisconline).[15] Art. 1 Legge del 27 ottobre 1988, n. 470.[16] Cass., sez. V, 28 ottobre 2015, n. 21970. Del medesimo tenore, inoltre: Cass., sez. V, 30 settembre 2016, n. 19484; Cass., sez. V, 15 giugno 2016, n. 12311; Cass., sez. V, 13 maggio 2015, n. 9723; Cass., sez. trib., 15 giugno 2010, n. 14434; Cass., sez. V, 5 febbraio 1985, n. 791.[17] Di uguale tenore Comm. trib. reg. Lombardia, sez. 38, 10 settembre 2014, n. 4515.

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IV. La fattispecie esaminata dalla CassazioneNel caso di specie, pertanto, il contribuente, già sottoposto a tassazione presso la Confederazione svizzera (giacché ivi resi-dente) è stato ulteriormente assoggettato ad imposta in Italia, unicamente sulla base della mancata cancellazione dall’Apr.

Tale interpretazione, tuttavia, contrasta con quanto stabilito all’art. 4 della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera per evitare le doppie imposizioni[18]. Dalla lettura di tale norma, infatti, emerge in maniera chiara che, nelle ipotesi di doppia residenza (cd. dual residence), il criterio dirimente è considerato il luogo nel quale la persona ha un’abitazione permanente ovvero, in caso di duplice abitazione, il territorio nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette.

Nella fattispecie, invece, i giudici si sono limitati a rilevare l’as-senza di iscrizione all’Aire, omettendo qualsiasi accertamento in merito alla pluralità di elementi fattuali (fra i quali, un con-tratto di locazione di immobile a uso abitativo) e situazioni concrete dalle quali emergeva, con chiarezza, il legame del soggetto con il territorio elvetico[19].

La pronuncia in esame appare, altresì, disomogenea rispetto ai criteri di determinazione della residenza elaborati a livello europeo, allontanandosi da quel quadro “unitario” di interpre-tazione conforme dell’istituto auspicato dalla CGUE.

Alla luce di quanto sopra esposto ne consegue che (secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza) il criterio di collegamento formale con il territorio dello Stato (iscrizione all’Aire) prevale sull’effettiva residenza o sul domicilio del soggetto passivo di imposta.

Pertanto, l’eventuale inadempimento formale da parte del cittadino italiano, il quale non provveda alla cancellazione del proprio nominativo dall’Apr e, contestualmente, all’iscri-zione all’Aire, determina un automatico assoggettamento all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) in Italia, a prescindere da qualsiasi ulteriore considerazione in merito al suo reale trasferimento all’estero.

Si segnala, tuttavia, un recentissimo e contrario orientamento da parte della giurisprudenza di merito, secondo il quale la presunzione di residenza nel territorio dello Stato non può essere applicata “in maniera asettica e automatica dovendo essa, per converso, avere riguardo necessariamente alla reale capacità contributiva ex art. 53 Cost., nonché evitare una inammissibile duplicazione d'imposta”[20].

[18] Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, del 9 marzo 1976, RS 0.672.945.41.[19] Nella fattispecie, in particolare, il contribuente ha prodotto in giudi-zio il contratto di locazione di un immobile ad uso abitativo, il pagamento delle fatture dell’energia elettrica e del canone tv, il certificato di proprietà di un’autovettura immatricolata in Svizzera, dichiarazioni di terzi attestanti la partecipazione del soggetto alle attività sociali svolte sul territorio, nonché il permesso di domicilio rilasciato dalle competenti autorità.[20] Comm. trib. reg. Puglia, sez. VII, 16 gennaio 2017, n. 64.

Nella fattispecie, i giudici hanno stabilito che la tardiva iscrizione all’Aire non è, di per sé, elemento sufficiente “a far ritenere fiscalmente residente nel territorio italiano" il soggetto accertato, poiché l’applicazione di una presunzione legale non può - senza una preventiva analisi degli elementi fattuali che caratterizzano il caso concreto - comportare una doppia imposizione internazionale del medesimo. La pronuncia de qua appare maggiormente rispettosa dei criteri di determinazione della residenza previsti a livello comunitario e internazionale, poiché (se ne deduce) stabilisce che un soggetto debba essere sottoposto a tassazione solamente nel luogo ove egli abbia la sua effettiva residenza o domicilio, intesa nell’accezione di “centro dei propri interessi vitali”[21].

[21] Vedi nota 20.

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