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NICHILISTA AL CAFFÉ - stradebianchelibri.com anarchia e scrittura, fino alla notte dell’incendio del Reichstag a fine febbraio 1933. ... me liberali aspirano alla separazione di

May 24, 2018

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NICHILISTA AL CAFFÉ

Erich Mühsam è stato uno dei massimi anarchici dellastoria d’Europa, uomo che sognò un mondo nuovo pertutte le vittime della società.Nato nel 1878 a Berlino in una famiglia di farmacisti, furibelle fin da giovane: a diciassette anni fu già espulsoda scuola e cominciò a frequentare i circoli libertari del-la capitale, dove entrò in contatto con Gustav Landauer,grande anarchico del primo Novecento. Non abbando-nò più quella stella, convinto che l’anarchia è il momen-to che unifica rivoluzione e utopia, è libertà dalla cen-tralizzazione di Stati, Monoteismi e Ideologie: tesseratoper breve tempo al Partito Comunista Tedesco, se nescappò quando si accorse quale mega-apparato costrit-tivo fosse.Nei primi anni del nuovo secolo frequentò la comunitàdi poeti e nudisti di Monte Verità, ad Ascona. Nel 1904lo troviamo a Monaco di Baviera, dove bazzica la bohè-me letteraria dei caffè del quartiere di Schwabing, unasorta di Montmartre tedesca. Qui iniziò a scrivere inten-samente, producendo poesie, articoli e saggi. E qui nel1906 nacque Bohème, brano folgorante nel quale Müh-sam teorizza come il vero bohémien non sia il pittore dasoffitta ma chi nutre un temperamento nichilista e un

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radicale scetticismo nei confronti dei valori conven-zionali, l’anarchico insomma. In tal modo, fondeva in uncolpo due mondi che sembrano distanti.Fu la sua fase estetica giovanile: piano piano il suo im-pegno si spostò verso l’etica sociale e fu così che nel1919, alla proclamazione della Repubblica dei Consiglidi Baviera – affilato esperimento politico rivoluzionario– Mühsam era della partita e fu eletto membro del Con-siglio Centrale.Incarcerato alla caduta della Repubblica, visse ancoradi anarchia e scrittura, fino alla notte dell’incendio delReichstag a fine febbraio 1933. Arrestato dalle camiciebrune, Mühsam fu tradotto nel campo di Oranienburg equi torturato: gli spezzarono i pollici, gli fracassarono identi, e infine lo impiccarono facendo passare l’assassi-nio per un suicidio.La sua colpa? Oltre alla conquistata schiettezza anar-chica, anche quella che emerge da Bohème: credereche vagabondi, puttane e artisti siano – ancorché aimargini della società – portatori di una civiltà.

Antonio Castronuovo

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BOHÈME Possiamo definire il filisteismo come vocazione all’ap-piattimento. Con più precisione: filisteo è chi tende asollevare il proprio orizzonte morale come cordone pro-tettivo intorno all’umanità. La frase risulta chiara seportiamo la controprova. Non è per niente filisteo coluiche tiene un comportamento sociale non guidato da ri-chieste e divieti nei confronti degli altri esseri umani. Ilprincipio che sorregge il filisteismo non permette infattidi aderire strettamente ai costumi della maggioranza, alcontrario: è la sorveglianza diffidente del prossimo, af-finché nessuno superi – anche di poco – i confini dell’o-rizzonte filisteo, sottraendosi in tal modo alla valutazio-ne morale e alla possibilità di confronto con gli altri fili-stei. Dunque, il carattere sostanziale del filisteo è di es-sere intimidito dagli sbandamenti morali dei contempo-ranei, di essere impaurito dalla loro incontrollabilità psi-cologica.L’indignazione morale è l’arma che il filisteo mette incampo contro tutto ciò che gli appare inaffidabile, unaindignazione deforme, fatta di tracotanza e di paura. Daquesta indignazione sono originati i codici, i soli libri ve-ramente e intimamente immorali, a causa delle loromenzogne generalizzanti, dei benefici legali che deli-

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neano, degli interessi pubblici che difendono, e a causadi ogni altro astratto feticcio. Per la sua inclinazione ageneralizzare mediante formule codificate, il principiocentralistico dello Stato offre la possibilità all’indigna-zione morale del filisteo di tramutarsi nell’espulsionedalla società di chi naviga ai suoi bordi etici e al contem-po nella sua stessa rovina economica.E poi la Chiesa: indissolubilmente legata allo Stato, aquesta organizzazione economica e “legale” che proteg-ge e rende sicuro l’orizzonte filisteo, la Chiesa lavora allacentralizzazione delle necessità spirituali, della paura,dell’invidia, della stupidità e del grigiore. Quando le ani-me liberali aspirano alla separazione di Chiesa e Statoesprimono dunque un’assurdità: le due istituzioni sisono storicamente intrecciate e si nutrono l’una dell’al-tra. Se si intende battere la via della cultura, si deve faredi loro tomba comune.Al filisterio centralisticamente pianificato in Stato eChiesa, rafforzato sul piano economico mediante il sot-tilmente insensato ordine sociale capitalistico – detto intermini politici: l’ordine della borghesia – si oppone ladetestata minoranza dei parìa, pressoché ignari gli unidegli altri, totalmente innocui dal punto di vista mate-riale, esclusi in pratica dalla possibilità di istruirsi e diassumere una qualche funzione concorrenziale. Non

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voglio riferirmi alla massa dei lavoratori, che per la suanatura all’interno della lotta di classe è l’avamposto del-la battaglia contro la proprietà (identica al filisteismo).Premesso che il termine deriva da una menzogna tra lepiù abissali, il proletariato è stato gettato – almeno inGermania e in Austria – ai limiti della lotta di classe aopera della socialdemocrazia, esaltata dall’idea delloStato futuro. Le associazioni operaie, create sul modellostatalistico e centralistico che sbriciola il temperamentoindividuale dei singoli, hanno spento la brace rivoluzio-naria della lotta sindacale e consegnato l’operaio – na-turale protagonista della rivoluzione sociale – al ruolo diun politico che patteggia il costo della paccottiglia con isuoi nemici. Adesso, la classe lavoratrice si trova a mez-za via tra la condizione borghese e quella del ciandala.Al suo fianco lottano ormai soltanto i gruppi disorganiz-zati: criminali, vagabondi, puttane e artisti. Quando guardano ai primi tre gruppi di questi emargi-nati, i filistei fanno presto, usando l’indignazione mora-le, a spazzarli via. Spinto dai sentimenti dell’ira o delladisperazione a spezzare il cordone sanitario della for-malità economica filistea, il criminale viene subito rin-chiuso in un penitenziario. Il vagabondo, che non accet-ta di farsi schiavo della triste necessità di un salario e di-ventare l’uomo di fatica di uno sfruttatore, viene con-

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dannato ai lavori forzati. La prostituta, la cui rozza risatacontiene più genialità di quanta ne ha il borghese chel’ha pagata per una notte e anche di sua moglie (doves-sero vivere anche dieci vite), viene rinchiusa nel bordel-lo dove pratica il suo mestiere così “vergognoso”, maahimè così necessario al borghese sdegnato, e dove vie-ne attentamente registrata affinché gli allegri clientinon corrano il rischio di contrarre una qualche malattiavenerea. In altre parole: l’indignazione morale ricevedappertutto prove tangibili della propria correttezza. Con l’artista invece il borghese meschino fallisce. Credosia giusto sottolineare che col nome di “artista” intendoqui indicare soltanto chi non avvilisce la propria arte amestiere e si rifiuta quindi di produrre qualcosa in ognipossibile circostanza, anche quando l’ispirazione vienemeno. Viceversa alla famiglia degli artisti – che io consi-dero alla stregua di figure ribelli della società – appar-tengono coloro i quali, pur senza essere produttivi,sono sempre guidati da un impulso artistico. In questa definizione si raggruppano perciò uomini cherifiutano il lavoro pratico, che col loro modo di compor-tarsi infrangono ripetutamente i limiti dell’orizzonteborghese, ma che non potrebbero affatto recare danno:tra le loro fila si possono trovare poeti, pittori, scultorioppure musicisti, tutti ben riconosciuti dalle autorità,

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tutte persone verso cui ognuno indirizza la propria sim-patia per la cultura, magnificandone le qualità ma fa-cendoli poi morire di fame.La paura folle che il filisteo nutre per le cose singolariprende corpo al cospetto dell’artista con i tratti più spa-ventosi. La rispettosa e intimidita umiltà del filisteo difronte all’artista non è in effetti solo il segno della pre-occupazione per come questi si comporterà – se corret-tamente o meno – è anche provocata dalla percezioneistintiva di quanto l’artista sia superiore sul piano dellacritica, di come egli potrebbe svelare senza alcuno sfor-zo la nullità dei filisteo. L’ordine della società viene allora puntellato conceden-do a questo genere di artisti un salvacondotto per esibi-zioni non convenzionali e catalogandoli con una deno-minazione specifica: bohème. Due fatti concorrono albattesimo: il bravo borghese che appartiene alla classeal potere valuta indegna ogni arte in quanto attività chenon produce reddito; egli ha tuttavia piacere di trovarsial fianco di un simile singolare personaggio. La soluzio-ne allora sta in ciò: che almeno l’artista non appartengaalla sua stessa famiglia; se lo fosse sarebbe inesorabil-mente rinnegato. Ecco dunque che allo sguardo scrite-riato del bravo borghese chi si dedica ai pennelli – seanche è il rampollo di un milionario – appare bohé-

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mien.Amici esperti di scienza della lingua mi assicurano chela parola “bohémien” è scorretta: anche il bohémiendovrebbe chiamarsi “bohème”. Qui tuttavia chiameròbohémien il rappresentante della bohème, perché misembra utile porre una distinzione tra il concetto dibase e le figure che popolano quel concetto.Per circoscrivere il concetto di bohème è necessario su-bito scollare dalla parola tutte quelle scorie che l’incli-nazione al sensazionalismo e l’incapacità di riflessionedei borghesi più meschini hanno deposto sulla sua su-perficie; residui collegati soprattutto alla smania diqualche confuso filisteo di aprirsi un varco, col suo me-diocre talento, nella comunità artistica. Un bel giornoun mercante di patate scopre di avere una certa voce,studia un po’ da tenore e da quel momento si consideraun bohémien. Un commesso appena licenziato, chequando lavorava aveva scritto poesie per la domesticadel padrone, comincia a frequentare la sera il caffè let-terario e a bere assenzio: se qualcuno gli chiede cosa fa,si autodefinisce “scrittore”; la domenica però si spacciacon lo zio vasaio per “bohémien”. Uno studente srego-lato si mette alle calcagna di un artista, gli succhia ilsangue e sostiene di far parte anch’egli della bohème.Una grande confusione nel concetto di bohème l’ha

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portata Murger con il suo famoso romanzo Scene dellavita di bohème. Il libro è anche gradevole, ma gli eroiche entrano in scena non son certo bohémien: sono deipoveracci qualunque che hanno il coraggio di farsi beffedella propria miseria. Alla fine del romanzo però, quan-do arriva loro fama e danaro, vanno ad ormeggiare ap-pagati nel quieto porto del filisteismo e chiudono con labohème.Dedurre che lo spirito bohémien sorga dall’indigenza èun pensiero assai grossolano. Ancor più insensata è l’af-fermazione secondo cui il bohémien abbandonerebbela sua divisa nel momento in cui non gli sarebbe più ne-cessario condurre un’esistenza avversa ai filistei. Non ècosì: la bohème è un’indole le cui radici sono nella pro-fondità della natura umana, una qualità che non puòessere acquistata o trasfusa, né rischia di andare perdu-ta quando cambiano le vicissitudini esteriori.Per quanto mi riguarda, poiché quando mi devo con-frontare con il malcostume tedesco di schedare ogniuomo in una categoria prestabilita ho la disgrazia, ognivolta che si allude alla mia persona, di essere segnalatocome un esemplare perfetto di bohémien, voglio qui di-chiarare – con impeto e con massima decisione – chemi oppongo a una tale raffigurazione, basata soltantosu segni esteriori, sulla scriminatura dei miei capelli o

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su come mi vesto – non certo con una eleganza singola-re.Ciò che davvero costituisce le fondamenta del bohé-mien è il radicale scetticismo nei confronti della realtà,il totale rifiuto dei valori convenzionali, il temperamen-to nichilista, così come viene dipinto in Padri e figli diTurgenev e come lo descrive Kropotkin nelle sue Me-morie di un rivoluzionario in quanto caratteristica deinichilisti russi.Una cosa è certa: questo temperamento, che con furiadetesta ogni adesione al monotono stile di vita filisteo,si svela nel metodo che il bohémien sceglie per poten-ziare il proprio io contro l’impulso massificante della so-cietà. Il bohémien continuerà a cercare la solitudine, eper questa sola ragione sarebbe cosa goffa tentare diimpostare uno schema di vita a lui adeguato.In termini generali, ho poco da aggiungere sulla conce-zione di vita dei bohémien rispetto a quanto ho giàscritto nell’opuscolo Ascona (Locarno, 1905), dove hodetto che il bohémien è colui che “disperando al massi-mo grado di poter mai raggiungere una comunione disentimenti con la massa degli altri uomini – e la sua di-sperazione è ciò che propriamente si definisce ispirazio-ne artistica – si lancia a capofitto nella vita, conduceesperimenti col destino, gioca la sua partita con l’attimo

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fuggente e diventa fratello dell’eternità contenuta inogni atomo del presente”.La tragica sensazione che a separare il suo essere dallamassa ci sia un baratro invalicabile, la collera contro lestupide e brutali convenzioni della società: tutto ciò,per ovvie ragioni, può spesso incitare il bohémien a in-terpretare il ruolo di colui che trasgredisce le norme inmodo consapevole, sottolineando la propria diversitàcon tratti che, al primo sguardo, possono sembrare bru-tali. Le conclusioni cui perviene Julius Bab nel suo lavo-ro La bohème berlinese [1904], secondo le quali biso-gnerebbe considerare il bohémien un “asociale”, sonosecondo me sbagliate. È vero il contrario: il fermo rifiu-to della realtà esistente e di tutte le sue forme espressi-ve è collegato quasi sempre a un’ambizione molto so-ciale: quella di poter instaurare una più ideale civiltàumana.È invece degno di nota il parallelo tracciato da Bab frabohème e anarchia. Il disprezzo per ogni genere distrutturazione centralistica che vige nel nucleo del pen-siero anarchico e il postulato altrettanto anarchico del-l’autodifesa sociale sono peculiarità costitutive della na-tura del bohémien. Dal medesimo nucleo sorge anchel’intenso sentimento di solidarietà del cosiddetto Quin-to Stato verso il proletariato, sentimento comune a

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quasi tutti i bohémien.Gli emarginati dalla società – siano essi respinti dalla di-sumana malvagità del filisteo o segregati per propria at-titudine e volontà – sono uniti dallo stesso ideale. Gli al-tri – quelli che col sorriso sulla bocca e col cuore chepiange popolano bettole e bordelli, locande di periferiae salette scaldate metropolitane, la canaglia e marma-glia a cui nemmeno si addice la definizione di “proleta-riato” – sono loro le anime più vicine agli artisti derisicon indulgenza, sopportati beffardamente come fonda-le scenografico della vanagloria filistea, gli artisti che,nel loro disperato isolamento, rendono fertile la realtàmediante il sogno di un più nobile futuro ideale.Delinquenti, vagabondi, puttane e artisti – questa è labohème che indica la strada di una nuova civiltà.

Erich Mühsam (1906)

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