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ICHIMI ZEN un gusto, una menteVestire l'Abito del Buddha-
seconda parteLa copiatura dei sutranotizie in breveattività
dojoaltre attività
Nello Zen esiste un termine, Ichimi Zen, che significa "lo Zen
diun solo gusto, un solo sapore".Quando pratica e vita sono
perfettamente amalgamati, quandonon c'è discriminazione ma
equanimità, quello Zen è genuino,unico, originale.Al contrario,
esiste anche un Gomi zen, letteralmente "Zencorrotto", cioè lo zen
praticato per motivi diversi dal praticare il“Buddha Dharma solo
per amore del Buddha Dharma”, comescriveva Dogen Zenji in un famoso
passaggio dello ShobogenzoZuimonki.E' interessante che per
descrivere il vero Zen si usi la metaforadel gusto.
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Total Zen Beginnerteisho (*)sesshin (*) a TorinoTotal Zen
Beginnerteisho (*)teisho (*)teisho (*)teisho (*)teisho (*)sesshin
(*) a Prà del Torno
11/3 ore 19:3012/3 ore 20:0015/3 ore 7:00 - 16:3018/3 ore
19:3019/3 ore 20:0026/3 ore 20:009/4 ore 20:0016/4 ore 20:0023/4
ore 20:0024-25-26/4
newsletter marzo-aprile 2015www.ilcerchiovuoto.it
Il ciclo di teisho di quest'anno verterà su "IPatriarchi del
Buddismo Zen Soto: Eihei DogenZenji e Keizan Jokin Zenji". Il
calendario delsecondo bimestre è disponibile sul sito web.
Tutte le attività richiedono una prenotazione dainviare a
"[email protected]" o contattando lasegreteria.
(*) teisho (insegnamento formale) e sesshin (ritirointensivo)
sono aperti a tutti previo contatto con lasegreteria del
centro.
www.nipponconnection.com
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Mangiare è un atto fondamentale delvivere: insieme al tatto, il
gusto è laprima forma di conoscenza, dipercezione di esterno,
interno, diidentità e differenza.“(...) Il gusto è la radice
dell'episte-mologia fenomenologica perché è laradicale conferma
della correlazioneoriginaria di soggetto e mondo dellaconoscenza
trascendentale"1.“(...) Al contrario degli altri sensi, il
gustoesige di introdurre dentro di sé unaparticella di mondo che
diventa parte dinoi” 2.
Gusto come cibo, cibo come meta-bolizzazione del mondo: la
brillanteaffermazione del teologo e sacerdotecattolico, Roberto
Tagliaferri mette inrisalto la funzione del cibo comemediazione tra
uomo - il soggetto, e lavera realtà delle cose.Ci dice anche che
questa correlazioneè originaria, avendo origine in unambito
definito: quello della cono-scenza trascendentale, ovvero
laconoscenza di ciò che è altro da me.”Gusto e mente sono oggetto
diun'esperienza totale, che rivela la verarealtà delle cose.
Come manifestare quell'unico gusto,quindi la propria autentica
natura, cheè Natura di Buddha?Preparando e servendo il cibo
alSangha, l'armoniosa comunità deipraticanti, uno dei Gioielli
dellaTrinità buddhista, insieme al Buddha,il Grande Maestro e al
Dharma, laLegge Universale.
Nella tradizione Zen, i pasti sono unavera e propria cerimonia
che implicacorpo, parola, mente: così nellarecitazione del
Gyohatsunenju, il "Sutradei Pasti" che scandisce l'assunzionedel
cibo, si fa memoria del percorsosalvifico di Buddha Shakyamuni,
chediventa parte integrante del rito.Nel Sutra, dopo aver preso
coscienza
della provenienza del cibo, frutto diopere e fatiche, ed esserci
chiesti se nesiamo degni, recitiamo: “Questo cibo èvita che nutre
la vita.” Non la mia vitaintesa come individualità, ma vita
chenutre la vita. Ecco come il cibo sitrasforma in nutrimento
universale:“Lo mangiamo non perché nutra la famedei nostri desideri
- cioè il nostro modoegocentrato di vivere - ma la vera salutedi
mente e corpo, perché questo cibo èristoro alla fame e alla sete
del mondo.”Nutrirsi non è azione limitata alproprio sostentamento,
ma assume uncarattere universale nel momento incui prendo coscienza
della inter-dipendenza di ogni fenomeno.
Nel Fukushuanpo, uno dei testi checompongono l'Eihei Shingi, le
regole diEiheiji3, Dogen Zenji descrive neldettaglio i modi con cui
si serve e siriceve ritualmente il cibo.L'esordio non lascia dubbi
sulleintenzioni dello scritto: non si trattatanto o semplicemente
di regole dibuona condotta, ma occasione di unapresa di coscienza
della nostraautentica natura, che fin dall'originenon manca di
nulla.
“(...) Quando i pasti sono assoluti, tuttele cose sono anch'esse
assolute; quandotutte le cose sono assolute, i pasti sonoanch'essi
assoluti. Perciò, nell'assolutodelle due cose non c'è
discontinuità.Così, quando tutte le cose sono nellanatura del
Dharma, anche i pasti sono lanatura del Dharma, e quando ogni cosa
èverità, anche i pasti sono verità; quandoogni cosa è la mente del
Buddha, anche ipasti sono la mente del Buddha: quandotutte le cose
sono il Bodhi, cioè il Risveglioalla verità, i pasti sono anch'essi
il Bodhi.Nome e realtà sono uguali, perciòchiamiamo tutto ciò
assoluto" 4.
Ecco spiegato il sapore unico dello Zencome mente unica: si
tratta di unprincipio di uguaglianza, "(…) per cui
tutte le cose sono verità manifesta.Quando i pasti si
identificano con tutte lecose, allora vi sono la funzione,
l'azione,la causa, la relazione, l'effetto e larealizzazione della
verità - tutto ciò è lamanifestazione non mascherata dellaverità.
Così, tutte le cose sono i pasti, e ipasti sono tutte le cose.
Tutte le cose sonostate trasmesse da Buddha a Buddha:attraverso
l'insegnamento e la praticadello zen, i pasti diventano per noi la
veragioia" 5.
Condicio sine qua non per cui il nutrirsidiventa atto assoluto è
l'unità di praticae realizzazione, manifestazionedell'identità
universale che tuttoabbraccia, una volta che abbiamo concoraggio
lasciato cadere la prospettivaegoica del nostro vivere, come ha
benespresso un maestro Zencontemporaneo, Kosho UchiyamaRoshi,
laddove dice che: “(...) Perdefinire la nostra identità
universale,posso dire che proprio perché io esisto,tutte le cose
esistono in me”.
(1) Roberto Tagliaferri, La Tazza Rotta,edizioni Messaggero
Padova.(2) ibidem(3) Daihonzan Eihei-ji, monastero “padre”della
Tradizione Zen Soto, insieme aDaihonzan Soji-ji , fondato
dall'altro Patriarcadello Zen Soto, Keizan Yochin Zenji,monastero
”madre”.(4) Fukushuanpo, dallo Shobogenzo di DogenZenji, traduzione
a cura dell'Istituto ItalianoZen Soto Shobozan Fudenji.(5)
ibidem
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Prosegue la pubblicazione della lezionesul Kesa tenuta dal rev.
Kojun KishigamiOsho presso il dojo di Rouen nelnovembre 2006, sugli
aspetti simbolici edi pratica dell'Abito del Buddha:
Ci sono Kesa di cinque, nove, undici,tredici, quindici,
diciassette, fino aventicinque bande. Questo perché piùsi
progredisce nella pratica, piùnumerose sono le bande. Più ilBuddha
cresce in me, più aumenta ilnumero delle bande.In India, i
discepoli del Buddhaindossavano Kesa di cinque, sette enove bande.
Erano consentiti tre Kesa,e questi erano i loro unici abiti.
Ineffetti, anche i monaci di oggidovrebbero avere solo tre
Kesa;d'inverno, se necessario, è possibileindossarli l'uno
sull'altro. [...].In India, il Kesa a cinque bande vieneindossato
quando la persona è da sola,sta facendo samu [la pratica del
lavorocomunitario N.d.R.] o sta viaggiando.In Giappone usiamo il
Rakusu [il Kesaa cinque bande, di dimensioni ridottea un decimo del
grande Kesa N.d.R.] inviaggio e per il samu.Il Kesa a sette bande è
usato per lapratica quotidiana – in altre parole,per lo zazen e per
la recitazione deisutra –. Durante i teisho [lezioni di
Dharma N.d.R.], sia chi insegna checoloro che ascoltano
indossano il Kesaa sette bande: questo è il modoformale di
presentarsi in quelleoccasioni.I Kesa di nove o più bande
sonoriservati alle cerimonie. Durante leordinazioni, il monaco
officianteindossa il Kesa a nove bande, perché inquell'occasione è
considerato rappre-sentante del Buddha: il godo considerail
discepolo come discepolo delBuddha, e non suo proprio discepolo.Io
metto la massima enfasi su questopunto!Lo stesso avviene per la
questua, lapratica del takuhatsu. Indossando ilKesa a nove e più
bande [dai-e],vogliamo significare che le offerte civengono fatte
in quanto discepoli delBuddha. Da una parte, le offerteottenute
attraverso la fatica dei do-natori è di incoraggiamento allapratica
della Via; dall'altra, vieneofferto del cibo per
esprimeregratitudine per l'Insegnamento. Inquesto senso, non è la
persona aricevere le offerte, ma il Kesa stesso.Recentemente,
durante il mio sog-giorno alla Gendronnière, al terminedello zazen
del mattino, ho notato chealcuni indossavano il Kesa a novebande; e
lo stesso è capitato al Dojo di
Parigi. Questo particolare non èsfuggito alla mia attenzione: è
un po'come quando due samurai siosservano con “occhi di aquila”.
Misono detto: “Forse Deshimaru hadimenticato di insegnare la
differenzatra il Kesa a sette bande e il Kesa anove bande?”.
Ovviamente non hointenzione di parlare male dell'inse-gnamento del
maestro Deshimaru;magari un giorno avrò l'opportunità
diperfezionarlo.Non ho ancora parlato del Funzo-e,l'“Abito di
stracci”. È un Kesa rea-lizzato cucendo insieme pezzi di stoffadi
scarto, lavati e tinti. Quando questiscarti vengono riutilizzati,
èimportante tingerli con un coloreneutro. Insisto molto su questo
punto.Alcuni si divertono a cucire insiemepezzi di stoffa come se
stesserofacendo una sorta di patchwork. Mene è stato mostrato uno
allaGendronnière: qualcuno ha messoinsieme stoffe dai quattro
angoli delmondo per realizzare un Kesa.Purtroppo mancava un'unica
cosa: ilvero spirito del Kesa.Non mi fraintendete, il Kesa non è
néun oggetto d'arte, né un oggettoqualsiasi! Alcuni responsabili
adoranole decorazioni dorate, o i coloriestremi, come il nero o il
bianco. È unpeccato, specialmente se si tratta dipersone che
praticano zazen in modocorretto. Così, per favore, cerchiamodi
essere umili e facciamo in modo cheil gusto personale non
contravvengaalle regole.Dobbiamo rispettare lo spirito delKesa. In
linea generale posso dire che[nel sangha di Deshimaru N.d.R.]
iRakusu e i Kesa a sette bande sono fattimolto bene.
(seconda parte) 1
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Riguardo, invece, ai Kesa a novebande e ai Funzo-e, ci sono
diversierrori. Forse non avete mai ricevutoinsegnamenti sui Kesa ad
altonumero di bande, ma, per favore,attenetevi alle regole!Non vi
ho ancora detto che,diversamente dal Rakusu, il Kesa asette bande
non è foderato [mentreil nove bande sì N.d.R.]. Una voltaho visto
un grande Kesa a novebande non doppiato, ma era un'ec-cezione.Tra
le scuole buddhiste in Giappone,possiamo distinguere quelle per
lequali il Kesa è importante, da quelleper le quali non lo è. Una
volta hovisto un Kesa realizzato con latradizionale seta di Kyoto:
la lu-
centezza della stoffa conferiva unaspetto non in linea con lo
spirito deitesti. (C.G.)
[continua]
(1) Traduzione dall'inglese della trascrizionepubblicata sul
sito web: www.zen-road.org(2) Kojun Kishigami: ultimo dei
cinquediscepoli di Kodo Sawaki Roshi (ShuyuNarita, Kosho Uchiyama,
Sodo Yokoyama,Sato Myoshin); ricevette la Trasmissione delDharma da
Sawaki Roshi un mese primadella sua morte. Dopo aver praticato
adEihei-ji, Hokyo-ji, Daie-ji e Seisui-ji, si èinsediato a Jinkoan
nella prefettura di Mie,dove pratica e insegna zazen e la pratica
dellacucitura dell'O-Kesa.
rev. Kojun Kishigami
Continua il ciclo "Aprire le mani del pensiero", una serie di
conferenze per offrireuna panoramica sull'incontro fra Scienze
Cognitive, Esperienza e Pratica Zen.
La terza e la quarta conferenza si terranno
rispettivamente:Lunedì 16/3 "L'Abidharma e la ricerca del Sé"Lunedì
13/4 "Il Connessionismo e l'Emergenza"
Gli incontri sono aperti al pubblico e si svolgono presso la
Biblioteca "NataliaGinzburg" in via Lombroso 16 alle ore 20:45
Continuano anche le conferenze di Fabrizio Bonanomi sulla
Medicina TradizionaleCinese.Dopo i primi due incontri, sugli
elementi e sui 5 sentimenti, le prossime date sono:Martedì 24/3 e
Martedì 28/4
Gli incontri si svolgono presso la sede del Cerchio Vuoto, in
via Massena 17 alle ore 20:30
Segnatevi in agenda
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Issue 1 Page 5Page 5
Copiare e tradurre i Sutra è stato unodei principali metodi per
la diffusionedel Buddha-Dharma nei secoli.In questa attività, lo
sforzo e ladifficoltà della traduzione sono statienormi, perché
tradurre in Cinese, epoi in Giapponese, ad esempio, iconcetti
espressi in Pali o in Sanscrito,significava soprattutto comprendere
einterpretare gli insegnamenti delBuddha secondo una forma mentale
euna cultura già consolidate e diverse.Spesso, quindi, la
traduzione hacomportato il sorgere di intere nuovescuole e
tradizioni.Un esempio clamoroso si può vederein Tibet, dove la
forma scritta vennearricchita e formalizzata espres-samente per
poter tradurre e scrivere isutra e gli insegnamenti buddhistinella
lingua del posto.Secondo una tradizione consolidata,anche se non
certa, infatti fu ThonmiSambhota, ministro del re SongtsenGanpo , a
recarsi in India nel 7° secoloper raccogliere informazioni e
"in-ventare" una scrittura adatta atrascrivere in lingua tibetana
gliinsegnamenti del Buddha contenutiin alcuni testi che erano stati
portati inTibet secoli prima e conservatigelosamente.In Cina
invece, dove la scrittura eraconsolidata da diversi secoli, il
lavoro èstato soprattutto di traduzione ditermini e concetti in
Cinese.
Analogamente in Giappone, dove lascrittura cinese è stata
adattata allalingua parlata locale, nella trascrizionedei sutra è
stata adottata una tecnicamista di adattamento, traduzione
etrasformazione per assonanze fone-tiche di termini derivati dal
Cinese odal Sanscrito.Un esempio famoso si trova nel Sutradel
Cuore, Prajnaparamita Sutra in
sanscrito, Hannya Shingyo in Giap-ponese.Il mantra finale "gate
gate, paragate,parasangate, bodhi svaha" diventa (inuna
trascrizione fonetica della pro-nuncia giapponese) "gyatei,
gyatei,hara gyatei, haraso gyatei, boji sowaka".Si tratta quindi di
assonanza e non ditraduzione effettiva in linguagiapponese.
La copiatura dei sutra nel tempo haacquisito però anche un altro
aspetto,meno "utilitaristico".L'atto della copiatura si è
infattiintegrato con la pratica e la Via dellacalligrafia, lo
shodo.Copiare e trascrivere non un testoqualsiasi, ma un sutra,
combina infattila pratica della scrittura con la praticadella
recitazione e della meditazione:trascrivendo i caratteri, anche il
si-gnificato viene ripetuto, assorbitonella mente attraverso il
gesto delpennello, ripetendo quella pratica diunione fra corpo e
mente tipica ditutte le tradizioni e di tutti gliinsegnamenti
Buddhisti.Nel tempo, la copiatura ha acquisitoquindi un significato
profondamentereligioso, in alcuni casi simile allapreghiera, in
altri alla meditazione.In alcune tradizioni, in particolare
Shingon e Tendai, questa pratica è piùfrequente e segue un
rituale benpreciso: accensione dell'incenso, reci-tazione del Sutra
del Cuore,recitazione di versi specifici comeofferta e dedica della
pratica stessa,pratica di copiatura, chiusura dellasessione con
l'offerta finale dei meriti.Attualmente, in Giappone, viene
pra-ticata anche da laici in diversi templiBuddhisti.La pratica
dello shakyo (letteralmentecopiare un sutra) può essere
fattascegliendo diversi stili di scrittura; ipiù utilizzati sono
però il kaisho, lostile regolare, il gyosho, semi-corsivo, elo
shoten, lo stile dei sigilli.Nell'immagine, un esempio di partedel
testo del Sutra del Cuore in stilekaisho, scritto da Kim Chong-Hui,
unfamoso calligrafo coreano del 19°secolo. (D.P.)
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lunedì 16/3 e lunedì 13/4 presso la Biblioteca "Natalia
Ginzburg" in viaLombroso 16 alle ore 20:45, terza e quarta
conferenza del ciclo "Aprire le manidel pensiero" con Mario
Sartori.
martedì 24/3 presso la sede dell'associazione Il Cerchio Vuoto
alle ore 20:30,terzo incontro del ciclo "Le cinque volontà e i
sette sentimenti" con FabrizioBonanomi; l'incontro successivo sarà
martedì 28/4.
Cucitura dell'Abito
Shodo (*)14 e 29/3, 12 e 18/4 ore 14:00 con la maestra Kazuko
Hiraoka e la sua allievaDariella Gallo
22/3 ore 9:30 - 1819/4 ore 9:30 - 18
En Ku dojoAssociazione Il Cerchio Vuoto
associazione religiosa per la pratica e lostudio del Buddhismo
di scuola Zen Sotomembro dell'Unione Buddhista Italiana(ente
religioso d.p.r. 3-1-91)
Via Massena 17 - 10128 TorinoTel: 011-19858750
333-5218111
[email protected]
7:00-8:00
19:00-21:00
Orari di pratica
martedì,mercoledì,giovedì,venerdìzazen e recitazione dei
sutra
martedì,giovedìzazen, kin hin e recitazione deisutra
(*) Le lezioni di Shodo (calligrafiagiapponese) sono riservate a
gruppispecifici: una lezione di prova può essererichiesta in
segreteria.Maggiori informazioni sul sito alla pagina"altre
attività", o contattando la segreteria.
tutti i martedì dalle 16:30 alle 19
Giornate di Cucitura con la monaca Anna DendoAvagnina, esperta
della Cucitura tradizionaledell'Abito