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Nazione e modernità nell’opera di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid “[…] e così siamo i Faraoni d’Egitto, gli Arabi d’Egitto, i Mamelucchi d’Egitto, i Turchi … noi siamo gli Egiziani (…) il bianco, il meticcio, il biondo, il nero: sono tutti figli d’Egitto” Aḥmad Luṭfī al-Sayyid, Al-Jarīda, 1913 Le parole del giornalista liberale Aḥmad Luṭfī al-Sayyid (1872-1963), scritte alla vigilia della Rivoluzione indipendentista del Luglio 1919, anelano alla costituzione di una società egiziana cosmopolita e tracciano allo stesso tempo una visione pluralista dell’identità nazionale. Nonostante le aspirazioni di uguaglianza e di libertà sociale che accompagnano l’insurrezione antibritannica del partito Wafd, la Rivoluzione fallisce il suo intento unificatore e nell’immediato periodo del post- indipendenza riemerge il tema dell’appartenenza sub- e sovra- nazionale. Col tempo, anche l’agognata unità tra Copti e Musulmani si sgretola, l’elemento confessionale viene usato spesso in maniera strumentale e l'islam ridiventa elemento centrale dell'azione politica e della definizione dell'identità nazionale. Gli sviluppi del discorso nazionalista all’indomani dell’indipendenza palesano il divario tra l'ideale nazionale e la realtà politica del nascente Stato egiziano. L’egizianità (al-miṣriyya), veicolo trainante del progetto di società multietnica, appare tanto lampante sul piano del vissuto rivoluzionario quanto priva di appeal nella progettualità ideologica. Il problema dello Stato nazionale egiziano è anche il problema dello iato tra azione e pensiero, dell’aporia dell’eterno conflitto tra cultura nazionale e potere politico d’ispirazione coloniale che rende controversa ogni analisi del nazionalismo. 1 Si tratta in primo luogo di distinguere tra quello che i nazionalisti proclamano e la situazione reale e, successivamente, di indagare il ruolo effettivo che le forze ideologiche esercitano nel produrre identità e influenzare la storiografia nazionale. 2 Una ricostruzione storico-concettuale della nazione egiziana apre ad un problema cruciale per l’identità nazionale dei paesi arabi: il rapporto tra nazione e islam. Specificità, permanenza, unità: la peculiarità del caso egiziano. Cenni storici. Sebbene le sue radici sociopolitiche affondino nel XIX secolo, la nazione egiziana appare nelle formule dei suoi apologeti come un fatto antico, un’entità eterna e immutabile. Umm al-dunyā, la Madre del Mondo nell’immaginario tradizionale popolare: tale icona antica e materna riecheggia con insistenza nelle costruzioni implicite o latenti di una rappresentazione monolitica della permanenza egiziana (Baron, 2005: 78). Peculiarità che è innanzitutto geografica: la presenza del Nilo avrebbe determinato l'esistenza di una società contadina millenaria i cui tratti identitari divergono nettamente da quelli di ogni altra regione della “nazione araba” (AA.VV, 1977:129). Fin dall'Antichità, il fiume è stato colonna portante della cultura, ha permesso il fiorire dell’agricoltura e dei commerci determinando l'esistenza di una civiltà vigorosa, stabile e fortemente strutturata. L’Egitto, nilotico nello spazio e nel tempo, si manifesta come entità in sé, capace d’imporsi per la sola forza della natura senza che né uomo né Stato possa cambiare il corso naturale delle cose (Roussillon, 2005:23-24). 1 Cfr. Greenfeld (1992:7) sulla natura “proteiforme” e “concettualmente evasiva” del nazionalismo. Snyder (1954:9) associa la complessità del nazionalismo alle oscillazioni di senso che caratterizzano le diverse grammatiche dell’idea di nazione, che tendono ad allargare il campo semantico nazionale e a “naturalizzare e nazionalizzare” entro confini linguistici e politici. Smith (1991:79) ne consegue che il nazionalismo è un fenomeno “camaleontico”, oggetto di manipolazioni continue a seconda della natura particolare del contesto in cui esso opera. 2 L’influsso della politica statale sulla produzione letterale è un rischio che corre la storiografia egiziana. Scrive A. Gorman (1993:145) ”le interpretazioni storiche dell’Egitto nazionale si fondano su di una particolare caratterizzazione della nazione egiziana, la quale sembra aggregare elementi disparati della società e orientarli verso un valore politico comune all’interno di una narrazione nazionale”
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Nazione e modernità nell’opera di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid

Feb 26, 2023

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Page 1: Nazione e modernità nell’opera di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid

Nazione e modernità nell’opera di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid

“[…] e così siamo i Faraoni d’Egitto, gli Arabi d’Egitto, i Mamelucchi d’Egitto, i Turchi … noi siamo gli Egiziani (…) il bianco, il meticcio, il

biondo, il nero: sono tutti figli d’Egitto” Aḥmad Luṭfī al-Sayyid, Al-Jarīda, 1913

Le parole del giornalista liberale Aḥmad Luṭfī al-Sayyid (1872-1963), scritte alla vigilia della

Rivoluzione indipendentista del Luglio 1919, anelano alla costituzione di una società egiziana

cosmopolita e tracciano allo stesso tempo una visione pluralista dell’identità nazionale. Nonostante

le aspirazioni di uguaglianza e di libertà sociale che accompagnano l’insurrezione antibritannica

del partito Wafd, la Rivoluzione fallisce il suo intento unificatore e nell’immediato periodo del post-

indipendenza riemerge il tema dell’appartenenza sub- e sovra- nazionale. Col tempo, anche

l’agognata unità tra Copti e Musulmani si sgretola, l’elemento confessionale viene usato spesso in

maniera strumentale e l'islam ridiventa elemento centrale dell'azione politica e della definizione

dell'identità nazionale.

Gli sviluppi del discorso nazionalista all’indomani dell’indipendenza palesano il divario tra l'ideale

nazionale e la realtà politica del nascente Stato egiziano. L’egizianità (al-miṣriyya), veicolo

trainante del progetto di società multietnica, appare tanto lampante sul piano del vissuto

rivoluzionario quanto priva di appeal nella progettualità ideologica. Il problema dello Stato

nazionale egiziano è anche il problema dello iato tra azione e pensiero, dell’aporia dell’eterno

conflitto tra cultura nazionale e potere politico d’ispirazione coloniale che rende controversa ogni

analisi del nazionalismo.1 Si tratta in primo luogo di distinguere tra quello che i nazionalisti

proclamano e la situazione reale e, successivamente, di indagare il ruolo effettivo che le forze

ideologiche esercitano nel produrre identità e influenzare la storiografia nazionale.2 Una

ricostruzione storico-concettuale della nazione egiziana apre ad un problema cruciale per l’identità

nazionale dei paesi arabi: il rapporto tra nazione e islam.

Specificità, permanenza, unità: la peculiarità del caso egiziano. Cenni storici. Sebbene le sue radici sociopolitiche affondino nel XIX secolo, la nazione egiziana appare nelle

formule dei suoi apologeti come un fatto antico, un’entità eterna e immutabile. Umm al-dunyā, la

Madre del Mondo nell’immaginario tradizionale popolare: tale icona antica e materna riecheggia

con insistenza nelle costruzioni implicite o latenti di una rappresentazione monolitica della

permanenza egiziana (Baron, 2005: 78). Peculiarità che è innanzitutto geografica: la presenza del

Nilo avrebbe determinato l'esistenza di una società contadina millenaria i cui tratti identitari

divergono nettamente da quelli di ogni altra regione della “nazione araba” (AA.VV, 1977:129). Fin

dall'Antichità, il fiume è stato colonna portante della cultura, ha permesso il fiorire dell’agricoltura e

dei commerci determinando l'esistenza di una civiltà vigorosa, stabile e fortemente strutturata.

L’Egitto, nilotico nello spazio e nel tempo, si manifesta come entità in sé, capace d’imporsi per la

sola forza della natura senza che né uomo né Stato possa cambiare il corso naturale delle cose

(Roussillon, 2005:23-24).

1 Cfr. Greenfeld (1992:7) sulla natura “proteiforme” e “concettualmente evasiva” del nazionalismo. Snyder (1954:9) associa la

complessità del nazionalismo alle oscillazioni di senso che caratterizzano le diverse grammatiche dell’idea di nazione, che tendono ad

allargare il campo semantico nazionale e a “naturalizzare e nazionalizzare” entro confini linguistici e politici. Smith (1991:79) ne

consegue che il nazionalismo è un fenomeno “camaleontico”, oggetto di manipolazioni continue a seconda della natura particolare del

contesto in cui esso opera.

2 L’influsso della politica statale sulla produzione letterale è un rischio che corre la storiografia egiziana. Scrive A. Gorman (1993:145)

”le interpretazioni storiche dell’Egitto nazionale si fondano su di una particolare caratterizzazione della nazione egiziana, la quale

sembra aggregare elementi disparati della società e orientarli verso un valore politico comune all’interno di una narrazione nazionale”

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Il particolarismo geografico rinvia ad un altro paradigma interpretativo particolarmente ricorrente

nelle letture dell’Egitto nazionale: l’unità antropologica dell’elemento umano egiziano, la fusione

della realtà plurale del paese in un'unica identità specifica e incontaminata, l’egizianità (al-miṣriyya). Realtà quasi mistica, la personalità egiziana (al-shakhṣiyya al-miṣriyya) si perpetua nel

corso delle ere, immutata e unica, gloriosa ed eterna come il Nilo. “Senza dubbio, il Nilo è stato

fondamentale nello sviluppo di una società omogenea e di una comunità politica con un’autorità

centrale basata su una burocrazia ben definita” (Gomaa 1981:33). Il legame naturale tra la terra e i

suoi abitanti è indice e garanzia dell’unità culturale e politica. Nel mosaico-etnico religioso del

Medio-Oriente, l’Egitto ha saputo mantenere una continuità storica e un’omogeneità culturale. “In

Egitto, il concetto di nationhood non è stato mai messo in discussione. Anche nel corso di lunghi

periodi di governo straniero, l’Egitto ha mantenuto la sua specificità di cultura e di vita, assorbendo

le influenze straniere senza esserne sommerso e senza perdere la sua identità” (Gomaa,

1981:33). La fisionomia della nazione egiziana sembrerebbe così dipendere da fattori di natura

eterogenea quali la geografia e l’etnia, mentre l’individualità storica di cui gode il paese avrebbe

permesso una concettualizzazione propriamente egiziana dell’identità nazionale (firʿūniyya).“Gli

egiziani non possono dimenticare ciò che sono stati nell’epoca faraonica, nell’epoca cristiana e

nell’islam. In ognuna di queste epoche l’Egitto è stato un’entità” (Fawzi, 1981:59-61). La nazione

egiziana è quindi un soggetto che esiste indipendentemente, un’entità compatta e indissolubile,

eterna e specifica, i cui tratti identitari sono più ampi dell’apporto della sua componente

maggioritaria musulmana e delle diverse minorità che compongono il mosaico culturale del paese.

“ Gli Egiziani sono consapevoli di formare un popolo originale, che ha un destino distinto da quello

degli altri Arabi e, a fortiori, degli altri Musulmani.(..) [tale coscienza] è estremamente radicata nella

maggioranza della popolazione e si cristallizza nella consapevolezza largamente condivisa di

avere un destino comune in quanto Egiziani” (AA.VV. 1977:129).

Le origini di questa coscienza sono controverse.3 Secondo Abdel-Malek (1969:208-211), il

persistere del tipo nazionale e l’omogeneità della nazione erano realtà evidenti già agli occhi dei

pionieri della Nahḍa, fra cui Rifāʿat al-Ṭahṭāwī (1801-1873), che nella sua imponente opera sulla

storia d'Egitto, Anwār Tawfīq al-Jalīl fī akhbār Miṣr wa tawthīq banī Ismāʿīl (1865), evoca la

tradizione storica millenaria del paese discendente dai faraoni integrandola psicologicamente e

culturalmente con una narrazione nazionale. In quest’opera emergono tutti gli elementi

caratteristici del mito fondativo: l'Egitto fu culla di civiltà, madre del mondo, faro delle virtù. La

specificità del popolo egiziano è sublimata dall’eccezionale profondità del raggio storico: il suo

carattere peculiare è stato forgiato nelle ere, ha sopravvissuto al giogo delle dinastie straniere

affondando nel presente in una continuità eterna. Sentimento che persiste nel tempo, radicato

nelle profondità della psicologia popolare e che testimonia una certa continuità nel modo di

percepire il mondo e gli esseri umani. Così scriverà Aḥmad Luṭfī al-Sayyid (1946b:68) mezzo

secolo dopo: “L’appartenenza all’Egitto non deve essere una vergogna. L’Egitto è quel paese

grande che per due volte fu culla di civiltà”.

Unità, specificità e permanenza: sono questi i topoi fondamentali che articolano le diverse

concettualizzazioni dell’identità nazionale egiziana inducendo gli studiosi a considerare come

peculiare e unico il caso egiziano rispetto a quello di ogni altra regione del mondo arabo. Tale

argomento è confortato da alcune evidenze storico-empiriche. Innanzitutto il nazionalismo egiziano

si è discostato dagli eventi salienti del XIX secolo che riguardano la restante componente araba

sotto controllo ottomano. “L'appello all'unità dei popoli arabi, il senso di fratellanza in nome della

comune lingua e civiltà non ha entusiasmato né le élite né le masse che invece hanno mantenuto

un atteggiamento di originalità, se non di superiorità, nei confronti dei vicini arabi” (Pizzo 2002:99).

Inoltre, per una serie di fattori interni ed esterni l’Egitto è stato uno dei protagonisti, se non il

protagonista assoluto, del Rinascimento del Vicino Oriente. Dotato di un prestigioso passato, più e

3 cfr. Safran (1961) sul dibattito storiografico sulla storia della comunità nazionale egiziana

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meglio di altri settori dell'Impero ottomano ha saputo svincolarsi dalla tutela dei Turchi, si è

arricchito degli influssi connessi alla breve ma determinante occupazione francese a cavallo tra il

XVIII e il XIX secolo ed ha inaugurato un' opera di riforma che si è resa necessaria a più livelli. Per

tutto l'Ottocento si intensificarono gli scambi tra mondo arabo e occidente e l'Egitto diventò modello

di paese arabo che si occidentalizza, passando bruscamente da un periodo medievale di

decadenza alla contemporaneità.4

Modernizzazione ergo nazionalizzazione.5 L’evoluzione del paese su un paradigma progressista e

autarchico grazie all’opera di riforma di Muḥammad Ali permette di dotare l’Egitto di un’economia

nazionale, statale, fortemente improntata sul modello capitalistico europeo. Lo Stato, che opera la

messa in atto dell'edificio economico, agisce simultaneamente sul profilo culturale organizzando

spedizioni di intellettuali in Europa volte a formare i nuovi quadri militari, amministrativi, scientifici e

culturali dell'Egitto. Nel frattempo, l'exploit della stampa e la creazione di un sistema pedagogico

moderno, su scala nazionale, favoriscono la formazione di nuove élite che avranno un ruolo

decisivo nel plasmare il contenuto di idee che anima la rinascita culturale. “Aiutati dall’esplosione

della letteratura e dalla popolarità del medium giornalistico, il fine ultimo dei modernisti era quello

di plasmare nelle teste degli Egiziani una coscienza nazionale basata su una visione moderna

dell’Egitto”(Suleiman 1996:26). Questa ideologia che potremmo definire “formale”, poiché assume

una forma relativamente esplicita in quanto articolata dai leader, dai partiti e dallo Stato, opera

come una forza storica di prima grandezza che provoca profondi cambiamenti nel tessuto sociale

del Paese.6

Stato-nazione e islam: una prospettiva etno-simbolica Progresso e tradizione, quindi. Ma anche Stato e società, ideologia delle élite (i khawaṣṣ) e

coscienza delle masse (i fellaḥ): la nazione egiziana che emerge tra il XIX e il XX secolo è il

connubio di istanze opposte e tensioni convergenti che la rendono costrutto e processo reale

insieme, in un senso duale. Questa distinzione chiama direttamente in causa il rapporto tra potere

sociale e cultura nazionale, ossia tra l’ideologia nazionalista che elabora, promuove e mantiene

varie concettualizzazioni dell’identità nazionale e “l’effettiva capacità di designare la nazione

putativa come soggetto unitario in grado di mobilitare le masse” (Suleiman 2003:7-8). L’anello di

congiunzione è costituito dalla concettualizzazione di un’identità nazionale propriamente egiziana,

punto di riferimento fondamentale nel processo di formazione e consolidamento delle identità

collettive. Scrive ‘Awwad (1984:279): “Il principio di un Egitto faraonico o piuttosto l’autenticità

dell’identità faraonica dell’Egitto è una condizione necessaria alla concezione di un Egitto

4 In questa prospettiva, l’evoluzione del nazionalismo egiziano si intreccia sensibilmente con la formazione e il consolidamento di una

società industriale orientata alla crescita, in ragione delle tesi di Gellner (1983) secondo cui la nazione rappresenta un fenomeno tipico

della modernità. In particolare, il concetto di nazione in senso moderno assumerebbe una specifica e necessaria accezione pol itica,

entrando direttamente in relazione con l’idea di Stato territoriale, ossia lo Stato-nazione (Hobsbawm 1990:9-10).

5 Un’ulteriore applicazione delle tesi moderniste riguarda la delimitazione degli aspetti culturali ed etnici nei processi di genesi

dell’identità nazionale. Halliday (2005:293) sostiene che la storia dei nazionalismi mediorientali, tra cui quello egiziano, “non è tanto

quella dei popoli che cercano di formare degli Stati che si conformino alla nazione, quanto quella di Stati che creano, plasmano,

inventano le nazioni intervenendo sia nella società sia nella comunità politica, senza dimenticare l'utilizzo del potere economico per

forgiare comunità definite e dipendenti dallo Stato”. Tale approccio Stato-centrico pone un distinguo rilevante tra le l’apparente

autonomia delle idee da un lato e la loro formazione sociologica e storica effettiva dall’altro, che tende a delegittimare, o perlomeno

ignorare, i contenuti stessi delle diverse ideologie. Questo perché l’ideologia nazionalista non deve essere compresa in termini a-storici,

come “emanazione di una qualche psiche collettiva” (Haliday, 2005:282) ma in rapporto solo ed esclusivamente a quello che è diventato

l’elemento organizzatore centrale della politica moderna, ossia lo Stato

6 Si pensi alla realtà plurale di convivenze etnico-religiose dell’Egitto che per secoli ha visto coabitare musulmani, ebrei, cristiani copti

ma anche ortodossi, europei ed arabi. Un variegato tessuto che si ricomponeva nei millet, secondo A. Riccardi (P.Pizzo, 2002) delle

vere e proprie “subnazioni confessionali all’interno del sistema imperiale ottomano e nel quadro confessionale dell’islam”. L’avvento dei

nazionalismi lacerò questo tessuto di convivenze ed impose ai popoli di pensarsi come nazioni

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indipendente. Essa è alla base dell’idea fondamentale dello Stato nazionale e di quella dello Stato

laico nell’Egitto moderno”.7

La questione del legame tra nazionalismo e processi sociali di identificazione e introiezione

dell’identità nazionale apre una prospettiva che, soprattutto nell’ambito degli studi postcoloniali, ha

particolarmente influenzato la ricerca sui temi della nazione e dell’idea di nazione, spesso in

riferimento ai dibattiti sull’imperialismo, sul sottosviluppo, sull’imposizione di logiche esterne. La

dialettica tra l’endogeno e l’esogeno, tra le tradizioni autoctone e le pratiche culturale importate,

costituisce la dinamica strutturale centrale di un’immensa letteratura critica.8 Ne è un esempio

l’analisi dell’ambiguità del legame tra l’ideologia della nazione moderna e il passato premoderno: in

un paese arabo-mulsulmano come l’Egitto, l’integrazione del passato preislamico alla storia

nazionale moderna presenta un problema, poiché nell’islam tutto quello che è antecedente

all’islam risale al periodo dell’ignoranza. “Il nazionalismo è incompatibile con il mondo dell’islam”

scrive Vatikiotis (1993:17) “dal momento che presuppone un tipo di particolarismo tribale, la

jāhiliyya, antecedente all'avvento dell'islam e quindi incompatibile con lo stesso”. L’idea

sdrucciolevole dello Stato-nazione, secondo cui lo spazio geografico, le frontiere, possono

coincidere con l'imposizione al loro interno di un'omogeneità culturale e religiosa entra in contrasto

con la diversità etnica caleidoscopica e con i profondi lealismi comunitari del mondo islamico.

“L'islam costituisce il supremo criterio di lealtà e di identità di gruppo. E' l'islam che fa distinguere

tra sé e l'altro, tra chi sta dentro e chi sta fuori, tra fratello e straniero. In Occidente sono altri i

criteri di classificazione: per nazione, per paese, per ulteriori suddivisioni all'interno di queste. Sia

nazione sia paese sono naturalmente fatti antichi nel mondo dell'islam, ma in quanto definizioni di

identità e di lealismo politico sono nozioni moderne e non autoctone”(Lewis, 1991:). Dal

panarabismo di fine Ottocento del colonnello ʿUrābī, passando per la risposta islamico

conservatrice scatenata dall’occupazione britannica e la fine del predominio laicista degli anni

Venti, fino al riemergere del tema dell’appartenenza confessionale, il processo di formazione

nazionale iniziato da Muḥammad ʿAlī va incontro a serie resistenze interne. Nello spirito di questi

autori, è sulla natura essenzialmente allogena, coercitiva di questo processo di nazionalizzazione

delle masse egiziane che si impernia la criticità strutturale dello Stato nazione egiziano, incapace

di modernizzare la società egiziana e di imporre la nazione come polo esclusivo delle identità

collettive. “Le correnti tradizionali non potevano accettare la dottrina nazionalistica che,

sottolineando i concetti di territorio, governo e popolo, finiva comunque per entrare in conflitto con

la tradizione islamica da sempre fondata su stirpe, genealogia e comunità, fattori strettamente

legati a società tribali e alla loro concezione religiosa”(Vatikiotis, 1993:70). La questione è quella

ampiamente dibattuta del rapporto tra nazione e islam: com’è possibile ridurre i principi

fondamentali dell’islam all'esperienza politica moderna, risultante dello choc tra l'Egitto e la

penetrazione europea, borghese e liberale, scientifica, votata alla tecnologia industriale e alla sua

ideologia? Come risolvere la contraddizione tra la teoria politica dell'islam e l'ideologia delle

7 Tale argomentazione permette di sviscerare la problematicità concettuale e pratica dello Stato-nazione: se il principio di

autodeterminazione nazionale presuppone che la nazione sia titolare della sovranità, esso implica anche che sia possibile individuare in

via preliminare, sulla base di elementi prepolitici e a prescindere dal riferimento allo Stato, i soggetti o i gruppi che in senso proprio

costituiscono la nazione stessa.

8 “Un approccio prospettico da fuori”scrive Jacques Berque (1967: 97-98) “fondato su realtà così gravi quali l'intervento straniero,

deforma la realtà di un popolo riducendola a quella dell'Altro, o perlomeno ad una realtà in cui l'Altro era egemone(…)Se c’è un popolo

che ricusa qualsiasi approccio riduttivo, sia nell’azione che nell’interpretazione, questo è l’Egitto”. Il focus in Berque è posto sulla

necessità di un’analisi degli sviluppi sociali endogeni sulla base di ricerche endogene per rendere conto del processo dialettico di

trasformazione interna di elementi esterni, teso ad equilibrare la tensione Stato-società e a far emergere una nuova struttura

organizzativa. In questa logica, l’analisi si polarizza sulla genesi e lo sviluppo di una presa di coscienza nazionale che tradurrebbe “sul

piano del discorso e dell’ideologia, ancor prima di iscriversi nelle pratiche, un riequilibrio delle relazioni tra Stato e società rese logore

dall’intrusione coloniale e dal trasferimento di modelli e di valori occidentali”(Roussillon, 2005:27).

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rivoluzioni borghesi europee? Infine, esiste una nazione egiziana, o il territorio egiziano non è che

una delle parti dell'umma muḥammadiyya? 9

E’ in relazione a questo complesso quadro concettuale che l’affermazione dell’idea di nazione in

Egitto gioca un ruolo decisivo, diventando parte costitutiva ed essenziale della storia stessa della

nazione e dell’identità nazionale egiziana.10 Se ne deduce che la formulazione stessa di un’idea di

nazione egiziana fondata sull'originalità dell'Egitto e sulla coesione del popolo, musulmano e

copto, arabo e europeo insieme è un segnale significativo del rilievo che il sentimento nazionale

inizia ad assumere nell’Egitto moderno, dapprima tra gli intellettuali della Nahḍa e poi radicandosi

con varia intensità nella coscienza collettiva. Contemporaneamente, l’elaborazione concettuale di

nazione è un atto linguistico storico11 e, in quanto tale, è indice e motore al tempo stesso di un

vasto processo di secolarizzazione e nazionalizzazione che conduce il Paese a grandi passi verso

la modernità.

Aḥmad Luṭfī al-Sayyid e l’umma egiziana: semasiologia di un concetto storico fondamentale12 Simbolo paradigmatico del cambiamento radicale del mondo di pensare e di agire è -umma-.

Questo termine, endemicamente utilizzato per designare la comunità dei fedeli musulmani, diventa

nel discorso nazionalista egiziano a cavallo tra XIX e XX secolo l’icona dello Stato nazione,

sebbene tale uso non sia esente da ambiguità.

Nella terminologia classica, la “nazione” nel senso moderno del termine è inglobata nella stessa

denominazione della comunità dei credenti, l'umma. L'accento viene quindi messo su “patria”

secondo l'impostazione nazionalista. Il waṭan, la terra natale dotata di un passato influente e

prestigioso diventa il punto focale di un nazionalismo di tipo territoriale, che raggiunge il suo acme

propagandistico nei mesi della rivolta del colonnello Aḥmad ʿUrābī. Ma la distinzione tra umma e

waṭan non viene compiuta. Anzi, l'umma della prima rinascita nazionalista egiziana integra

entrambi i significati, sia quello religioso che quello classico del termine, non riuscendo ad

elaborare “nazione” nel senso moderno e laico, momento culminante della formazione ideologica

nazionalista.

9 Più che intervenire nel dibattito sulla compatibilità tra islam e democrazia e fornire una risposta alla complessa questione identitaria

dell’Egitto contemporaneo, si intende sottolineare nelle presenti pagine il valore esplicativo di una prospettiva endogena del processo di

formazione nazionale egiziana che tenga conto dell’interazione tra sistemi valoriali interni ed esterni alla comunità. In tal senso, un

approccio etno-simbolico allo studio del nazionalismo concepisce la fase di costruzione della nazione in termini di “dinamismo attivo,

potere trasformativo” (Smith, 1991:75) risultante dall’interazione tra struttura istituzionale, cultura e interazione sociale. Diversamente

dal modernismo, la nazione non è per gli etno-simbolisti un mero epifenomeno dello sviluppo sociale, bensì un’entità sui generis, dotata

di una serie di miti, simboli, memorie collettive condivise e definita in base ad “una sfera di relazioni socioculturali in cui i membri della

comunità acquisiscono la loro identità specifica” (Ichijo; Uzelac, 2005:90). L’interesse nei confronti dei simboli e dei miti nel processo di

formazione dell’identità nazionale permette di ampliare notevolmente il campo d’indagine e di includere anche il linguaggio, in quanto

“indice culturale di differenza”, simbolo socialmente costruito che gioca “un ruolo fondamentale nel mantenimento della coesione interna

di un gruppo e nella difesa di una sua identità”(Suleiman 2003:23). Se infatti la cultura e il nazionalismo non sono necessariamente

fondati sul solo linguaggio, è vero anche, come sostiene Renée Balibar(1991), che il linguaggio ha spesso una funzione sacrale ed è di

certo espressione di autenticità culturale.

10 Poiché se la nazione è una “comunità immaginata” (Anderson, 1983); e se la selezione dei miti nazionali non è altro che un esercizio

di ingegneria sociale promosso da alcune élite che si fanno portatrici di una specifica idea di nazione, allora è proprio da questa idea

che dipende la fisionomia della nazione e la percezione che ne hanno i suoi membri in quanto comunità “reale, sostanziale e spesso

duratura” (Smith 2003:22).

11 L’idea che il linguaggio sia il luogo di espressione di un “pensiero della società” apre la prospettiva ad una riflessione di tipo linguistico

dei processi storico sociali. Reinhart Koselleck, che ha dedicato importanti studi alla semantica dei concetti storici, ritiene che i concetti

agiscano come “indicatori” del mutamento storico e, allo stesso tempo, come concreti “fattori” dello stesso, contribuendo di fatto alla

“formazione della coscienza” e al “controllo dei comportamenti” degli attori sociali (Koselleck, 1977:396)

12 I concetti di onomasiologia/semasiologia sono mutuati dalle teorie di Koselleck (1977; 1979) sulla semantica dei concetti storici e

sull’intreccio tra storia sociale e storia dei concetti. Oggetto dello studio di Koselleck è l’analisi dei concetti del lessico politico e le loro

variazioni di significato in relazione al mutamento delle strutture semantiche in cui essi vengono storicamente impiegati. Particolare

attenzione è posta sulla tensione che si viene a produrre tra il termine e la sua entità corrispondente, ossia il fenomeno politico, sociale,

ideologico che è dietro la parola. Sul metodo dell’analisi storico-concettuale Cfr. Koselleck (1979) e Chignola, Duso (2005)

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La semasiologia di nazione, complementare all’onomasiologia di umma, segue una parabola

complessa che si interseca con il processo di modernizzazione e di sintesi dell’Egitto che conduce

il Paese a grandi passi verso la costruzione di uno Stato laico e moderno. L'arco di tempo

considerato si estende dalla spedizione di Napoleone in Egitto fino all'emergere del nazionalismo

laico di inizio novecento e l'entrata in politica del liberalismo di stampo costituzionalista.13 In questo

contesto storico e politico, l’analisi diacronica di umma è doppiamente significativa. Da un lato

rende conto della graduale formazione di un’ideologia nazionale egiziana e dell’affermazione dello

Stato-nazione come polo esclusivo delle identità collettive; dall’altro, permette di individuare il

processo con cui si è preso gradualmente coscienza dei fattori religiosi e laici connessi con

l’identità nazionale, sottolineando in questo modo i legami che intercorrono tra ideologia nazionale

e fattore confessionale.

L’origine di umma risale infatti all’epoca preislamica, in cui la parola veniva utilizzata per definire

vari gruppi sulla base di criteri linguistici, etnici, culturali. Con l’avvento dell’islam, il termine prese

ad avere una connotazione sempre più religiosa, riferendosi ad un solo gruppo, quello dei

musulmani (Lewis 1991:38). Tuttavia, il ruolo di umma in quanto vincolo associativo e la sua

potenzialità ad essere usato come simbolo della solidarietà di gruppo nazionale distinto da altri

gruppi etnici culturali diversi fu ampiamente apprezzato da Napoleone nella pianificazione

dell’invasione d’Egitto (Suleiman 1996:26).

In epoca mamelucca, il Turco era lingua ufficiale della classe dominante egiziana mentre l’arabo,

specie nella sua variante regionale, era considerato lingua dei ceti subalterni, soggiogati. La lingua

fuṣḥa era domino degli ulama e veniva insegnata oramai essenzialmente nelle scuole coraniche di

stampo medievale, attraverso metodi arretrati e pedagogicamente coercitivi, assimilata

meccanicamente in quanto lingua sacra, della liturgia, ma distante dai reali bisogni comunicativi e

dalle preoccupazioni quotidiane. Prendendo atto di questa situazione linguistica, Napoleone decise

di pubblicare la sua prima proclamazione egiziana in arabo.

“ (…) Tous les Egyptiens remercieront Dieu de la destruction du gouvernement des Mamelouks; ils

diront à haute voix : “Que Dieu conserve la gloire du sultan ottoman ! Que Dieu conserve la gloire

de l'armée française ! Que Dieu maudisse les Mamelouks et rende heureux le sort de la nation

égyptienne !”14

Questo testo viene divulgato in lingua araba con la traduzione di Al-Jabartī15 che rende “la nazione

egiziana” con al-umma al-Miṣriyya, determinando una certa ambiguità semantica. Come è noto, la

strategia diplomatica di Napoleone consisteva nell’ingraziarsi la popolazione elevandola al rango di

nazione, cioè a gruppo etnicamente e culturalmente distinto dalla classe egemone turca.

Parallelamente egli tentava di appoggiare gli ulama, la classe intellettuale fedele all’islam che

venne cooptata in diversi consigli al fine di controbilanciare il potere della classe militare, non

egiziana, composta da Turchi. Tale politica diede i suoi frutti, come testimonia l’impatto notevole

che ha prodotto la campagna d’Egitto nell’immaginario collettivo e nella produzione storiografica in

quanto episodio emblematico, altamente valorizzato della vicenda nazionale egiziana. Secondo al-

Rāfʾʿaī (1955:87), Napoleone attraverso questo manifesto rende omaggio all'Egitto e alla sua

grandezza, dal momento che rivolge il suo discorso agli Egiziani in quanto cittadini della terra

d'Egitto, padroni del loro destino, come nessun altro conquistatore aveva fatto.

13 Tale prospettiva cronologica s’inscrive nel solco degli studi sul nazionalismo egiziano (Hourani, 1983; Abdel-Malek,1969, Delanoue,

1977) che, nel considerare l'Egitto come porzione particolarmente rappresentativa del mondo musulmano, assumono la rinascita del

modello egiziano avvenuta nell'Ottocento grazie a Muḥammad ʿAlī come paradigma del decadimento dell'antico ideale del Dār al-Islām

e del fallimento della sua concezione dello Stato. Emerge proprio in Egitto, quasi per contrappeso, un nazionalismo fondato su fattori

storici, linguistici e geografici sulle cui basi le nazioni europee andavano definendo il loro credo.

14 Cit. in Abdel-Malek (1969 : 213)

15 Cit. in al-Rāfʾʿaī (1955 : 87)

Page 7: Nazione e modernità nell’opera di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid

Le conquiste politiche dell'Egitto moderno, intese anche nella loro dimensione culturale, ruotano

intorno ad un altro concetto centrale del lessico politico: quello di patria, waṭan. L'Egitto è una patria, afferma solennemente Ṭahṭāwī (AA.VV. 1977 : 13). Affermazione nuova, poiché bisogna

intendere patria nel senso francese dell'epoca, scostato dall'accezione arcaico-letteraria caricata di

connotazioni sentimentali tipiche dell'epoca beduina, del paese in cui si è nati e vissuti, in cui si è

trascorsa la gioventù e i primi amori. Per lo scrittore egiziano, il waṭan assume significati nuovi,

ispirati dai movimenti romantici e nazionalisti europei alla ricerca di un passato nazionale glorioso.

Realtà quasi mistica, luogo idealizzato le cui tracce e opere sono evidenti e persistono dall'epoca

dei Faraoni fino ai nostri giorni, in una continuità ininterrotta che sopravvive al giogo delle dinastie

straniere.

Con Ṭahṭāwī, la nazione transita semasiologicamente da umma muḥammadiyya a waṭan,

perseverando nell’ambiguità semantica. “Tutte le virtù di cui il credente deve dar prova verso il suo

fratello sono ugualmente obbligatorie per tutti i membri della patria nei diritti reciproci che hanno gli

uni verso gli altri, a causa della fratellanza patriottica che li unisce, per non parlare della fratellanza

religiosa. Tutti coloro che hanno in comune una stessa patria hanno l'obbligo morale di cooperare

per migliorare la condizione della loro patria e di perfezionarne l'ordine per quanto riguarda l'onore

della patria, la sua grandezza, la sua ricchezza, la sua prosperità.”16 Condividere lo stesso suolo

vuol dire appartenere alla comunità egiziana a pieno titolo e quindi prendersi carico della sua sorte,

assumendo i diritti e i doveri che derivano dalla vita in comune. Ma la distinzione tra umma e waṭan non viene compiuta. Ṭahṭāwī non rinnega la visione islamica del mondo, diviso in credenti e non

musulmani. In breve, la patria deve essere musulmana e araba, per soddisfare una tradizione

religiosa e culturale la cui portata è macroscopica, ma allo stesso tempo deve essere egiziana,

cioè deve affermare la sua personalità e le sue particolarità forgiate dalla storia millenaria del

Paese.17

L'evoluzione dell’idea di nazione va di pari passo con un processo di secolarizzazione per il quale i

fattori laici e religiosi connessi con l'identità nazionale cominciano a presentarsi come distinti.

L'esperienza riformista di Muḥammad ʿAbduh, come la descrive Hourani (1991), introduce una

distinzione de facto tra le due sfere. L'intero pensiero di ʿAbduh oscilla tra due elementi in eterno

conflitto tra loro. Da un lato c'è l'islam, che sostiene di esprimere la volontà di Dio circa la maniera

secondo cui gli uomini devono vivere in società; dall'altro c'è il movimento irreversibile della società

moderna, che obbliga gli uomini a vivere in un certo modo. ʿAbduh vuole provare, spiegando il vero

islam, che queste due esigenze non sono incompatibili. Ma mai afferma che esiste una totale

armonia tra loro, che l'islam permette tutto ciò che il mondo moderno approva. Quando il conflitto

tra questi due elementi appare irrisolvibile, ʿAbduh sostiene chiaramente che bisogna seguire i

precetti morali dell'islam, poiché essi sono eterni e irriducibili. La tensione fra al-qadīm e al-jadīd,

dai labili confini, viene talvolta minimizzata con l'identificazione dell'islam come referente massimo

per le questioni dell'etica. Sebbene ʿAbduh preservi questa tensione, provando nel dettaglio la

compatibilità tra islam e mondo moderno, alcuni dei suoi discepoli operano un graduale

spostamento verso uno dei due termini dialettici, cancellando di fatto la relazione di equilibrio da lui

stabilita.18 Negli scritti dei cosiddetti pensatori progressisti (Qāsim Amīn, ʿAbd al-Rāziq, Aḥmad

Luṭfī al-Sayyid), l'islam non costituisce un elemento cardine del loro pensiero, esso non viene né

difeso, né, seguendo l'esempio di ʿAbduh, riabilitato nel suo ruolo di guida morale della società. La

religione, islamica e non, è semplicemente uno dei fattori costituenti della società. La distinzione

16 Cit. in Abdel-Malek (1973:4-7)

17 La nozione di patria egiziana dominerà l'ideologia del movimento nazionale fino a quando il nazionalismo si differenzierà tra

modernismo liberale e fondamentalismo islamico. Questa differenziazione risale all'ultimo terzo del XIX secolo, cioè alla fase di

formazione del pensiero arabo contemporaneo, e determina uno spartiacque speculare alla progressiva distinzione dei due poteri,

spirituale e temporale.

18 Sul contributo di ‘Abduh alla formazione di un’ideologia nazionale cfr. Ghali (1969 : 13-40); Pizzo (2002 : 90-94) ; Hourani (1991)

Page 8: Nazione e modernità nell’opera di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid

de facto che si andava delineando tra le due sfere di influenze, sempre esistita nel mondo

occidentale, rappresentava nel mondo arabo una novità rivoluzionaria. Scrive Lewis (1991:5):

“Nell'islam dei tempi precedenti l'occidentalizzazione non vi erano due poteri, bensì un potere solo

e la questione di una loro separazione non poteva neppure porsi. La distinzione tra Chiesa e Stato,

così profondamente radicata nella cristianità, non esisteva nell'islam, e così in arabo classico,

come in altre lingue che da esso fanno derivare il loro lessico intellettuale e politico, non vi era

coppia di termini omologa a spirituale e temporale, ecclesiastico e laico, religioso e secolare.” Se

nel contesto dell'islam un termine come “laico” è vuoto di significato, appare evidente che l'identità

politica e il lealismo si definiscono unicamente in base alla fede religiosa. Ma l’unità della umma

islamica invocata da Abduh non è altro che una questione morale che non impedisce la divisione

del mondo islamico in stati nazionali.

In breve, l'apporto epistemologico di Abduh consiste nell'aver situato l'islam in un quadro

conoscitivo più ampio, non autoreferenziale ma dialettico, che ammette in un certo qual modo il

dibattito e la critica. Tra i suoi allievi, alcuni insistono sull'aspetto invariabile della natura dell'islam,

dando vita ad un fondamentalismo che ammette un ritorno critico su se stessi; altri mettono

l'accento sulla legittimità del cambiamento sociale, sviluppando un’idea di comunità basata sul

elemento territoriale, in cui l'elemento confessionale è circoscritto, delimitato, diversamente

codificato e infine separato da quello sociale. Aḥmad Luṭfī al-Sayyid (1946a:118-119), che

appartiene a quest’ultima corrente, analizza il rapporto che intercorre tra etica e islam,

concludendo che una società islamica non è aprioristicamente superiore ad una società non

islamica, poiché ogni nazione è libera di insegnare le proprie teorie sul bene e sul male.

Nella sua breve benché feconda carriera da giornalista (1907-1914), Luṭfī elabora un nuovo

concetto di nazione che rinnega la visione stantia del mondo dell’islam e ne sfida l’autorità storica

e divinamente sancita. Egli definisce la natura e i limiti naturali della umma egiziana, entità

politicamente e culturalmente distinta dalle altre nazioni del mondo, arabo e non, con radice nel

passato faraonico (1946b:61) e vittima da sempre di un despota ingiusto (1963:45). Con audacia

iconoclasta, egli svuota l'umma del suo contenuto semantico tradizionale riconducendola al suo

senso primario, preislamico e quindi laico.

Pensatore eclettico, fine pedagogo, il caporedattore di Al-Jarīda tratta nei suoi articoli, esempi di

arte saggistico-giornalistica, 19 un'ampia gamma di argomenti che vanno dalla storia alla politica,

dall'etica ai costumi, dalla lingua alla cultura, senza mai perdere di vista una preoccupazione

essenziale: le sorti della nazione egiziana, la umma al-miṣriyya.20 Una nazione eterna e

giusnaturalisticamente libera (1946a: 43-44) dove tutti gli individui, identici e liberi, perseguono

utilitaristicamente gli interessi generali nella convinzione che il benessere collettivo preceda

l'interesse privato e le differenze tra i singoli, siano esse di razza, di lingua o di credo, non

costituiscono un discrimine.

19 Non è noto chi fu a coniare il soprannome divenuto celebre di “Maestro della generazione” (Ustādh al-Jīl). Certo, il pensiero e lo stile

di Luṭfī influenzeranno un'intera classe di scrittori che si riconoscerà nei suoi insegnamenti e sosterrà i suoi ideali. Ṭahā Ḥusayn

(1960:50) era solito rivolgersi a lui con l'epiteto di Maestro. Egli sosteneva che la dottrina filosofica di Luṭfī è una filosofia della

rigenerazione, e non del rifiuto, del vecchio; è una filosofia della libertà e della sincerità nel senso più ampio possibile di questi termini,

una filosofia della dignità e dei diritti umani. Ṭāhā Ḥusayn esalta lo stile di Luṭfī, lo considera raffinato ed allo stesso tempo efficace nel

lesinare le espressioni. Salvo la parsimonia espressiva, questa sintesi del pensiero di Luṭfī concorda significativamente con i principi e

gli ideali di Ṭaha Ḥusayn (Cachia 1956: 53)

20 Attraverso le pagine di Al-Jarīda, Lutfi tenta di modellare la coscienza morale e nazionale egiziana assolvendo ad una doppia

funzione politico-paideutica. Quest'idea rivoluzionaria è alla base della concezione luṭfīana che vede lo scrittore come guida morale e

culturale del suo popolo ed era in gran parte condivisa e perseguita dai pionieri del giornalismo egiziano, come Taqlā o Shiblī

Shumayyil. I giornali rappresentavano i media ideali per disseminare e instillare le idee che creassero la prospettiva di un'ideale

nazionale comune, formando tanto il pubblico quanto la lingua della nazione d'Egitto, ossia una versione semplificata dell'arabo classico

corrispondente all'odierno arabo standard moderno. Cfr. E. H. Elias (1993) per una ricostruzione del ruolo che ha esercitato la stampa,

specialmente quella siriana, nell'introdurre le idee di nazione e di cittadinanza paritetica nella vita intellettuale egiziana.

Page 9: Nazione e modernità nell’opera di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid

Una caratteristica del pensiero di Luṭfī è la quasi totale assenza di riferimento all'islam, notevole in

un discepolo di ʿAbduh e di al-Afghānī. Nel pensiero liberale del circolo dell’Umma l’islam, sebbene

rispettato, non è più fonte della legge e della politica. La separazione tra chiesa e Stato è asserita

in maniera inequivocabile in diversi articoli (1937: 309) specie nella sua critica all'ideale

panislamico (al-jāmiʿa al-islāmiyya) in quanto base dell'azione politica secolare (asāsu li al-ʿamali fī al-siyāsa al-dunyawiyya).

Nel panislamismo, sebbene egli stenti a riconoscerne l'esistenza,21 Luṭfī vede la rinascita non

dell'età d'oro dell'islam, quanto del più vasto periodo di tirannia e decadenza che vi succedette.

Era uno strenuo sostenitore dell'idea che accettare la visione politica del dār al-Islām equivalesse

a professare l'imperialismo (1946b: 68). Coloro che sostengono che la terra dell'islam (arḍ al-Islām) sia una patria (waṭan) di tutti i musulmani adottano un principio imperialista (qāʿida istiʿmāriyya) proprio di ogni nazione desiderosa di allargare i propri confini ed estendere la propria

influenza nei territori che la circondano. La conquista in nome della religione esige l'acquisizione

della totalità dei diritti nazionali (kull al-ḥuqūq al-waṭaniyya) vigenti in ognuno dei territori

conquistati, conformando le diversità esistenti tra i vari paesi e impedendo a questi di ritornare

sulla loro promessa. La peculiarità dell'Egitto sfumerebbe nel calderone etnico-linguistico

mediorientale così come la sua aspirazione all’autodeterminazione.

Gli Stati sono fondati su di un interesse comune e non su di un sentimento comune (lā shay’ yajmaʿu bayna al-nāsi illa al-manāfiʿi), ecco perché il nazionalismo di stampo religioso è destinato a

fallire (1946a:99-100).22 Su tale assunto si attesta il netto distacco ideologico di Luṭfī con i suoi

predecessori. Sebbene seguisse ʿAbduh nel suo metodo gradualista circa l'educazione, Luṭfī

prende le distanze dal maestro rigettando la visione panislamica del mondo e relegando l’umma muḥammadiyya in quanto concreto sistema sociopolitico ad un remoto passato (1946b:69). Il

panislamismo non può durare, poiché non è al passo con la situazione delle nazioni islamiche (al-umam al-islāmiyya), né con le loro ambizioni. Questo principio deve essere sostituito dall'unico

credo (maḍhab) in accordo con le istanze indipendentiste di ogni nazione orientale che possiede

una specifica terra natale (waṭan mahdūd) ossia il credo nazionalista (maḍhab al-waṭaniyya).

La nazione è una e indivisibile e il suo corpo sociale si è costituito con la presa di possesso dello

specifico waṭan egiziano (1946b:62). Il nazionalismo lutfiano non prevede differenze di razza o di

credo, poiché la nazione si definisce innanzitutto in termini di territorio. Egli è fermamente convinto

che ciò che unisce chi vive in Egitto è talmente forte da controbilanciare le differenze di razza, di

lingua e di religione. Fattori quali il clima, la vicinanza, i legami sociali e la comune partecipazione

alla vita del paese hanno creato un'unica massa (ʿajīna wāḥida) di individui che costituisce il

focolaio delle odierni genti egiziane. L'unità tra le varie componenti della nazione è l'aspirazione

massima di Aḥmad Luṭfī al-Sayyid che, intervenendo sulla questione delle difficili relazioni tra Copti

e Musulmani, proclama l'uguaglianza fra le diversi parti del corpo nazionale egiziano (1946a:33-

34). Egli utilizza l’immagine del corpo per descrivere la comunità egiziana, traendo spunto da

quella visione organicista della realtà che interpreta il mondo e la società in analogia ad un

organismo vivente (1946a:43-44,120).23 In quanto organismo naturale, la nazione ha lo stesso

diritto alla vita e alla libertà di cui gode ogni organismo vivente. Se la società vive, vivono i suoi

organi ma se l'organismo muore non vivranno più né piedi né mani. La scissione voluta da alcune

21 (cfr. 1946a:101) Il diniego di Sayyid nei confronti dell'esistenza di un'unità musulmana è categorico e lo porta a considerare l'ideale

panislamico come una mera astrazione. Sostiene, icastico, l'esistenza di una “disunione islamica” (firqa al-islāmiyya).

22 Poiché sono gli interessi dei singoli e non i sentimenti a legare assieme una comunità, l'utilità diventa il perno del ragionamento etico.

Secondo Hourani (1991: 179-180) è evidente in Sayyid l'influenza di pensatori occidentali quali Comte, Spencer, Renan e in particolare

il liberalismo utilitarista di Mill.

23 C. Wendell (1972: 268) vi intravede l'influenza diretta dell’organicismo di Herbert Spencer

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frange sia copte che musulmane rappresenterebbe uno snodo esiziale per le basi della struttura

organica della umma.

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