LIBERA UNIVERSITA’ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione MILANO MUSICA CONTESTUALE. CENTRALITA’ DEL RAPPORTO CON L’AMBIENTE NEL PROCESSO CREATIVO DEL COMPOSITORE: “FOTO-MUSICA CON FOTO-SUONI”® DI RICCARDO PIACENTINI Docente che ha assegnato l’argomento della prova finale Chiar.ma Prof.ssa Gaia VARON Prova finale di: Victor ANDRINI Matr. n. 150898 Anno Accademico 2004-2005
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LIBERA UNIVERSITA’ DI LINGUE E COMUNICAZIONE IULM
Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo
Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione
MILANO
MUSICA CONTESTUALE. CENTRALITA’ DEL
RAPPORTO CON L’AMBIENTE NEL PROCESSO
CREATIVO DEL COMPOSITORE: “FOTO-MUSICA
CON FOTO-SUONI”® DI RICCARDO PIACENTINI
Docente che ha assegnato l’argomento della prova finale
Chiar.ma Prof.ssa Gaia VARON
Prova finale di:
Victor ANDRINI
Matr. n. 150898
Anno Accademico 2004-2005
1
A mia nonna Erminia
Al M° Gianfranco Bottino
2
3 Premessa
5 Capitolo I – MUSICA DAL CONTESTO
1.1 Alla conquista dell’abbondanza 5
1.2 L’allargamento dei confini 7
1.3 Il risveglio della città: il rumore intonato 11
1.4 La musica concretamente 20
33 Capitolo II – MUSICA PER IL CONTESTO
2.1 Alla conquista dell’equilibrio 33
2.2 Organizzazione della totalità acustica 38
2.3 In equilibrio tra arte e vita 40
47 Capitolo III – MUSICA A 360°. “Foto-musica con foto-suoni”®
di Riccardo Piacentini
3.1 Musica nel contesto. Alla conquista dell’identità 47
74 Appendice I – Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”®
114 Appendice II – Riccardo Piacentini
117 Bibliografia
3
Premessa
Musica contestuale non indica un genere musicale definito: sottolinea più che
altro un approccio al materiale acustico. Da più di un secolo la musica “colta”
occidentale si è aperta con curiosità allo sviluppo delle proprie potenzialità
timbriche; la musica concreta, ad esempio, ha coinvolto in musica la complessità e il
rumore. Oggi più che mai il termine contestuale applicato in musica indica un livello
di coinvolgimento maggiore, di problematizzazione delle questioni artistiche e
musicali: la stessa percezione acustica è cambiata relativamente ai mutamenti nelle
consuetudini di ascolto musicale.
Il concetto di ascolto musicale (chiamato anche fruizione musicale) sembra
inadeguato alla contemporaneità, considerato il proliferare (spesso incontrollato)
della musica elettroacustica in molteplici contesti di vita quotidiana. La musica si
lega sempre più ai contesti reali, complice l’utilizzo “di massa” che ne fanno i media,
divenendo componente dei contesti stessi. L’esperienza musicale è quindi il nuovo
paradigma con il quale il compositore contemporaneo si trova ad avere a che fare.
Musica contestuale è innanzitutto un processo di ricerca che pone in gioco
l’identità stessa del compositore: ridefinire musicalmente i vari contesti di vita
sociale richiede una nuova sensibilità nell’accogliere gli stessi contesti acustici in
musica, nel ricercarne un’armonizzazione: alla conquista di un equilibrio.
Il compositore Riccardo Piacentini, ideatore della “foto-musica con foto-
suoni”®, si occupa da alcuni anni di sonorizzazioni d’ambiente. Il suo approccio
compositivo è inteso ad una piena reintegrazione del contesto ambientale in musica.
Piacentini organizza le sue “foto-musiche” seguendo una logica sintattica che, pur
4
avendo solide radici nella secolare cultura occidentale, pone al centro della sua
attività di compositore l’esperienza musicale stessa.
5
1. MUSICA DAL CONTESTO
1.1 Alla conquista dell’abbondanza
La ricerca della realtà che ha accompagnato la crescita della civiltà occidentale ha
svolto un ruolo importante nel processo di semplificazione del mondo. In genere la
si presenta come qualcosa di positivo, o come un’impresa capace di scoprire nuovi
oggetti, nuovi aspetti, nuove relazioni. Si dice che allarga il nostro orizzonte e rivela
i principi sottostanti ai fenomeni più comuni. Ma tale ricerca ha anche una forte
componente negativa. Non accetta i fenomeni come sono: li cambia, o nel pensiero
(astrazione) o interferendo attivamente con essi (esperimento). Entrambi questi due
cambiamenti implicano delle semplificazioni. Le astrazioni rimuovono i particolari
che distinguono un oggetto dall’altro, insieme a qualche proprietà generale come il
colore e l’odore. Gli esperimenti rimuovono, o tentano di rimuovere, i legami che
vincolano un qualsiasi processo all’ambiente circostante: ne creano uno artificiale,
in qualche modo impoverito, esplorando poi le sue peculiarità. In entrambi i casi le
cose sono estrapolate, o “bloccate”, dalla totalità che ci circonda. Ed è interessante
notare come ciò che resta sia definito “realtà”, venendo così considerato più
importante della stessa totalità. Inoltre, tale totalità viene ora descritta come se
consistesse di due parti: un mondo reale nascosto e parzialmente distorto e un velo
che lo occulta, circondandolo e deformandolo. La dicotomia non è presente solo
nella filosofia e nella scienza d’Occidente, ma anche in contesti religiosi, dove può
combinarsi con la dicotomia tra Bene e Male.1
Comporre in rapporto all’ambiente. Niente di più semplice e di più complesso
allo stesso momento: non si tratta di definire una nuova tecnica compositiva. Non si
tratta neanche di un’attività di sintesi tra le varie prospettive del “pensare la musica”.
E’ qualcosa che va oltre la dicotomia “pensare” e “fare” musica.
1 Feyerabend, Paul – Conquista dell’abbondanza. Storie dello scontro fra astrazione
e ricchezza dell’Essere – Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, pp. 5-6
6
Ambiente, nel suo significato letterale “ciò che ambisce”, ciò che sta attorno,
ha varie chiavi di lettura: contesto naturale (percepito dai nostri sensi come “realtà”),
involucro reattivo alle nostre attività, crocevia di relazioni sociali e culturali.
Questi tre rapporti, presi singolarmente, definiscono in modo schematico le
relazioni che un compositore si trova ad assecondare nella sua attività, i fili della
ragnatela che formano la sua identità come organizzatore di suoni. E’ pur vero che
frazionare questa necessità relazionale in base a qualsivoglia criterio di
classificazione significa etichettare qualcosa che si avvicina più ad un continuum
senza soluzione di continuità. Stiamo parlando di una totalità da cui estrapolare
alcune prospettive, alcune realtà.2
Se un compositore non partirà mai da categorie schematizzate nell’atto pratico
del comporre, è pur vero che la percezione del sé, della propria identità di musicista e
compositore, non può essere confinata su un pentagramma o su qualsiasi supporto
analogico o digitale che ne faccia le veci (o che lo integri). La ricerca della propria
identità è un’esigenza che qualsiasi compositore sente e cerca di risolvere.
Sintetizzare è limitante, seppur necessario nell’uso di qualsiasi linguaggio.
Rischia di consumare la spinta innovativa dei concetti che tratta in un accostamento
di oggetti spesso inaspettatamente “interdipendenti”: è un’attività implosiva. La mia
ambizione più grande sarebbe quella di suggerire un modo di intendere la propria
ricerca di compositore, andando oltre i singoli particolari. Un piccolo scatto
evolutivo, alla conquista dell’abbondanza tra il “pensare” e il “fare” musica.
2 Secondo Feyerabend la dicotomia sta ad indicare la propensione alla
semplificazione dell’abbondanza tramite i processi di astrazione ed esperimento
7
1.2 L’allargamento dei confini
Il termine “musica” non esiste, così come la cultura occidentale lo intende, in
tutto il mondo. Spesso vi sono termini affini, che coprono parte del significato; in
determinate culture si tratta invece di un concetto limitato, parziale.
L’etnomusicologia si è occupata, sopratutto negli ultimi cinquant’anni, di registrare
ed analizzare la produzione musicale dei più disparati gruppi etnici: una ricerca tra
l’antropologia e la musicologia che pone grande attenzione alla relazione con la
cultura autoctona e alle reciproche influenze che le pratiche di produzione sonora
hanno avuto entrando in contatto tra loro. Alcuni studiosi si sono spinti oltre: il
canadese R. Murray Schafer ha rivalutato la percezione musicale in rapporto al
“contesto acustico” di riferimento. A tale proposito Schafer ha coniato un
neologismo dalla fusione di “sound” (suono) e “landscape” (paesaggio):
“soundscape” (paesaggio sonoro).3
Gli eventi acustici più comunemente udibili in un determinato soundscape,
originati sia dagli eventi naturali che dalle attività umane, hanno un valore anche
simbolico: sono profondamente legati al senso di appartenenza al luogo o alla
comunità dei singoli individui che vi abitano. Schafer quindi propone di considerare,
nello studio dell’evoluzione musicale, il valore che ogni cultura ha attribuito a
determinati eventi acustici presenti nel contesto: i suoni del mare, il vento, le
campane, i suoni del traffico, le sirene…
3 Nella terminologia elaborata dal World Soundscape Project, fondato da Schafer
negli anni Settanta, “soundscape” indica “qualsiasi parte dell’ambiente dei suoni
considerata come campo di studio e di ricerca”. Vedi Schafer, R. Murray – Il
paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 372
8
Un fatto sonoro è simbolico quando suscita in noi emozioni o pensieri che
vanno oltre la meccanicità delle sensazioni o la funzione di segnale che può
esercitare, quando possiede un che di soprannaturale o di riverberante che
risuona attraverso i più profondi recessi della psiche.4
Il termine giapponese “ongaku” viene solitamente tradotto con “musica”, ma
significa più appropriatamente “gioia dei suoni”; un significato diverso da quello
elaborato dalla cultura occidentale: il nostro concetto di musica è solo una parte di un
insieme di pratiche che, nella cultura tradizionale giapponese, comprendono il teatro,
il canto, la danza e il rituale sacro. A proposito dell’ongaku Schafer parla di una
forma d’arte che “apre l’esperienza dell’ascolto tanto al mondo naturale quanto alle
invenzioni umane”.5 Considerando la diversa sensibilità della cultura orientale nel
rapporto con l’ambiente (visibile nella ritualità come nell’architettura,
globalizzazione permettendo…) l’affermazione di Schafer risulta molto appropriata:
la percezione acustica può essere ampliata al di là di ciò che noi culturalmente
chiamiamo “musicale” (John Cage ha parlato di questo “spostamento delle frontiere”
in termini di “ascolto poetico”).
Schafer riconduce l’evoluzione del concetto di musica anche alla stretta
relazione con gli ambienti fisici in cui le varie culture hanno tentato di confinare la
diffusione delle pratiche musicali.
4 Ibidem, p. 2375 Schafer, R. Murray – Musica / non musica, lo spostamento delle frontiere – in
Nattiez, Jean-Jacques (a cura di), Enciclopedia della Musica, Einaudi, p. 348
9
L’astrazione e sterilizzazione della musica occidentale potrebbe essere
direttamente collegata al passaggio dalla vita in spazi aperti a quella in spazi
chiusi. L’ascolto dei suoni in un ambiente protetto è diventato un’esperienza
esclusiva che richiede silenzio e concentrazione. Le pareti spesse
dell’architettura europea hanno dato forma alla musica dal canto gregoriano alla
dodecafonia, tant’è vero che sarebbe possibile scrivere l’intera storia della
musica del continente in termini di pareti, dimostrando non solo come il variare
dei materiali e dei luoghi di esecuzione abbia influito sui tempi, timbri e
armonie, ma anche come il carattere sociale del far musica e dell’ascoltarla si
sia modificato col modificarsi di questi spazi.6
Questa riflessione porta a considerare come l’evoluzione del pensiero estetico
abbia solide fondamenta in una distinzione di tipo “spaziale”: da una parte lo spazio
dell’opera d’arte, dall’altra lo spazio del suo contesto.7
Si tratta di due spazi separati solo virtualmente: una semplificazione,
un’astrazione. La percezione musicale, pur sforzandosi di “mettere a fuoco” lo spazio
acustico del testo (o dell’astanza)8, sarà infine determinata dalla realtà prospettica
dell’ascolto: una realtà ricca di sfumature più o meno intense.
6 Ibidem, p. 3497 A tale proposito Cesare Brandi ha parlato di “spazio dell’ astanza”. L’ astanza,
differenziandosi dalla flagranza, “presuppone una struttura sottostante, un darsi del
reale come insieme di relazioni e, quindi, di differenze reciproche”. La flagranza “è il
darsi della realtà come puro momento percettivo” (il testo tra virgolette è preso da
Prestinenza Puglisi, Luigi – Commento del libro di Cesare Brandi Teoria generale
della critica – http://www.prestinenza.it/scrittibrevi/articoliDomus/Brandi.htm). Vedi
Brandi, Cesare – Teoria generale della critica – Editori Riuniti, Roma 19988 Rifacendomi liberamente al pensiero di Cesare Brandi, con la locuzione spazio
acustico del testo (o dell’astanza) intendo determinare lo spazio simbolico in cui la
nostra percezione delinea il testo acustico in relazione al suo contesto (spazio
acustico del contesto)
10
L’astrazione che si fa della totalità acustica9 non deve essere implosiva, ma
funzionale allo sviluppo della propria ricerca, così come, in una suggestiva metafora,
la prospettiva dell’occhio destro sommata a quella del sinistro darà il senso di
profondità degli oggetti.
Con la nascita e lo sviluppo dell’estetica, l’opera d’arte ha guadagnato un suo
spazio “a parte”, iniziando a vivere “al di la” delle singole esecuzioni. E’ avvenuta
una sorta di sublimazione in un’“esecuzione perfetta”, che può essere ammirata di
riflesso attraverso la partitura del compositore. Una Sinfonia di Beethoven si ritrova
così a vivere in una dimensione a-contestuale: indifferentemente potrebbe essere
eseguita in un teatro, in una chiesa, in un centro commerciale, in una galleria di arte
contemporanea, in riva al mare.
Uno dei primi passi per staccarsi da un approccio acritico al contesto è stato il
tentativo futurista di inserire il “rumore in musica”.
9 Ovvero dello spazio fisico contrapposto allo spazio simbolico
11
1.3 Il risveglio della città: il rumore intonato
Noi futuristi abbiamo tutti profondamente amato e gustato le armonie dei grandi
maestri. Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti
anni. Ora ne siamo sazi e godiamo molto più nel combinare idealmente rumori
di tram, di motori a scoppio, di carrozze e di folle vocianti, che nel riudire, per
esempio, l’Eroica o la Pastorale… Ci divertiremo a orchestrare idealmente
insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio
e lo scalpiccio delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni, delle ferrovie, delle
filande, delle tipografie, delle centrali elettriche, delle ferrovie sotterranee. Non
bisogna dimenticare i rumori assolutamente nuovi della guerra moderna…10
Luigi Russolo costruì nella sua casa di via Stoppani a Milano diversi strumenti
musicali, da lui chiamati “intonarumori”. In pochi anni ideò e brevetto, con l’aiuto
dell’amico e collaboratore Ugo Piatti, un insieme di strumenti discretamente
eterogeneo, la cosiddetta ”orchestra futurista”.
Gli intonarumori sono strumenti che sfruttano principi di tipo meccanico,
azionati tramite manopole e leve: la partitura di Risveglio della città11
prevede un
organico composto da ululatori, rombatori, crepitatori, stropicciatori, scoppiatori,
ronzatori, gorgogliatori e sibilatori.
Trovato il principio meccanico che dà il rumore, si potrà mutarne il tono
regolandosi sulle stesse leggi generali dell’acustica. Si procederà per esempio
con la diminuzione e l’aumento della velocità, se lo strumento avrà un
10
Russolo, Luigi – Lettera a Balilla Pratella dell’11 marzo 1913 – in Prieberg, Fred
K. – Musica ex machina – Einaudi, Torino 1963, pp. 28-2911 Uno dei brani eseguiti al Teatro Dal Verme nel 1914, in un happening futurista che
destò grande clamore,
12
movimento rotativo, o con una varietà di grandezze e di tensione delle parti
sonore, se lo strumento non avrà un movimento rotativo.12
Gli intonarumori imitavano i caratteri salienti di un complesso sistema di
eventi acustici: la città, intesa come soundscape metropolitano. La città moderna era
il contenitore di riferimento dei suoni che, secondo l’ottica futurista, avevano la
vitalità e l’effettiva attualità per rivoluzionare la musica. Questi suoni venivano
quindi selezionati, imitati dagli intonarumori ed organizzati su partitura, come
qualsiasi strumento acustico.
Russolo, sintetizzata una casistica degli eventi acustici caratteristici
dell’ambiente metropolitano, costruiva strumenti che ne imitavano il timbro: “noi
vogliamo intonare e regolare armonicamente questi svariatissimi rumori”.13
Nell’ambiente culturale italiano (e non solo) i concerti per intonarumori destavano
grande scandalo e non di rado si risolvevano in risse tra sostenitori e “critici
conservatori”: l’atteggiamento dei futuristi era molto aggressivo, soprattutto
nell’esporre la necessità di una rottura totale con il passato.
Non si trattava di una rivoluzione così inaspettata, almeno nei contenuti:
compositori come Wagner, Musorgskij, Debussy e Mahler (solo per citarne alcuni)
avevano fatto un utilizzo delle dissonanze sempre più difficile da spiegare attraverso
le convenzioni tonali, parallelamente all’utilizzo di nuovi accostamenti d’organico e
12 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 13413 Ibidem, p. 132
13
alla ricerca di nuove soluzioni timbriche.14
In quegli stessi anni, tra il 1909 e il 1911,
Schönberg avrebbe scritto il suo celebre Manuale d’armonia15
: il primo trattato a
porre le “premesse per il superamento dell’armonia classica, demitizzandola col
mettere in luce la sua relatività storica”.16
Russolo formulò una classificazione degli eventi acustici del contesto
metropolitano determinando “6 famiglie di rumori dell’orchestra futurista”:
5. Rumori ottenuti a percussione su metalli, legni, pietre, terrecotte, ecc.
6. Voci di animali e di uomini: Gridi, Strilli, Gemiti, Urla, Ululati, Risate,
Rantoli, Singhiozzi.17
Secondo Russolo ogni evento acustico facente parte della famiglia dei “rumori”
(secondo la definizione che li contrappone alle “altezze”) poteva essere ricostruito ed
“intonato” da un intonarumori.18
14 Gli stessi concetti di “suono” e “rumore”, per certi aspetti culturalmente opposti,
perdevano la loro identità distintiva: la pratica musicale legittimava sempre più
rumori in musica, ovvero suoni complessi non ancora accettati dalle convenzioni.
Per evitare malintesi parlando delle caratteristiche “fisiche” di un evento acustico,
raggrupperò i suoni in altezze e rumori (un sistema più complesso di altezze esatte)15 Schönberg, Arnold – Manuale d’armonia – Il Saggiatore, Milano 196316 Fubini, Enrico – L’estetica musicale dal Settecento a oggi – Einaudi, Torino 1964,
p. 23317 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 13318 Nella concezione di Russolo rimane comunque la contrapposizione suono/rumore.
A mio avviso questo modo di pensare rilega inconsapevolmente il “rumore” alla
condizione paradossale di essere un “non-suono”, un evento acustico di serie B.
14
Vediamo, anzitutto, come vengono definiti, solitamente, i suoni ed i rumori. Si
chiama suono quello dovuto ad una successione regolare e periodica di
vibrazioni; rumore, invece, quello dovuto a movimenti irregolari tanto per il
era il parametro di riferimento della ricerca rumorista, piegato poi alle esigenze di
un’architettura musicale abbastanza convenzionale: gli intonarumori variavano
enarmonicamente la propria altezza con dei glissandi continui (tramite lo
spostamento di una leva), mentre la dinamica veniva impartita dallo strumentista
seguendo le indicazioni su partitura.22
Gli intonarumori si suonano impugnando con la mano sinistra la leva e con la
destra facendo girare la manovella, o premendo il bottone [alcuni intonarumori
erano alimentati da una batteria o da un accumulatore].
Regolando la leva si muta il tono come si vuole, con qualsiasi possibilità di salti
di tono, di toni e di semitoni non solo, ma si può anche ottenere il passaggio
graduale enarmonico fra un tono e l’altro. Per ottenere questo, basta muovere
gradatamente in su o in giù la leva. La rapidità di questo movimento determina
la durata del passaggio enarmonico.
Il movimento della manovella più o meno rapido, dà una maggiore o minore
intensità al rumore: così si ottengono i piani e i forti.
In alcuni strumenti esistono delle leve supplementari, o meglio dei registri, che
modificano il timbro del rumore, permettendo di ottenere delle variazioni
interessanti e curiose.23
Il linguaggio musicale di Russolo e dei rumoristi paradossalmente si rifaceva
molto alle convenzioni della tradizione per quanto riguarda l’organizzazione
sintattica. La partitura stessa era formata da tradizionali pentagrammi sui quali i
glissandi venivano annotati in “linee-note”.
22 Per il funzionamento degli intonarumori vedi i brevetti di Russolo in Maffina, G.
F. – Luigi Russolo e l’arte dei rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 178 e
seguenti23 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 167
17
Da Risveglio di una città – Luigi Russolo24
Russolo ha iniziato la poetica rumorista ad una nuova forma di ascolto del
soundscape senza abbandonare però la concezione estetica dominante: il concetto di
imitazione veniva inteso come appropriazione dei caratteri salienti di un evento
idealmente decontestualizzato. L’imitazione degli eventi acustici del contesto veniva
quindi subordinata alla concezione dualistica che contrapponeva il Compositore alla
Materia. La rigidità dialettica tra l’opera d’arte e il suo contesto ne è una
conseguenza facilmente intuibile.
Il rapporto di Russolo con l’ambiente si sublima nella “lotta continua
dell’artista contro la materia”.25
Se pensiamo invece all’imitazione come ad un
24 Ibidem25 Ibidem, p. 176
18
procedimento aperto, risultato di un ascolto prospettico, possiamo immaginare una
reciproca influenza tra artista e materia; l’allargamento della materia musicale
(Piacentini parlerà di “allargamento della paratassi”) tramite l’evoluzione dei
parametri atti a definirla (ovvero a “pensarla”).
Russolo, a lungo considerato solo come esponente del Futurismo e da questo
inglobato (nonostante le divergenze che lo porteranno ad abbandonare i futuristi a
causa delle successive implicazioni politiche), lascia alcune riflessioni sull’ascolto
che testimoniano una grande sensibilità al contesto acustico ed una lungimiranza che,
considerata l’evoluzione del “far musica” nel corso del XX secolo, sembra limitata in
gran parte dall’arretratezza tecnologica della sua epoca.
[…] Talora il vento dirige, domina e dà il suo ritmo allo scrosciare dell’acqua,
sbattendola con violenza contro i muri, le finestre, i vetri, e l’acqua assume i
timbri propri ai muri, alle finestre, ai vetri. Talora invece sembra che la pioggia
per cadere tranquilla e perpendicolare, aspetti le pause del vento. Allora
predominano i timbri metallici dei tetti, delle grondaie, e quello monotono della
terra, con un ritmo che è soltanto il ritmo della pioggia, ma che ha però tutti i
crescendo e i diminuendo d’intensità per il crescere o il diminuire della quantità
d’acqua che cade.26
Alcune osservazioni anticipano di una sessantina d’anni gli studi del “World
Soundscape Project” di R. Murray Schafer sulle relazioni tra gli eventi acustici del
paesaggio sonoro.27
26 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, p. 14427 Vedi i concetti di tonica e segnale in Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro –
BMG Ricordi, Roma 1985
19
Un’osservazione generale che serve per studiare i rumori in città è questa:
generalmente nei luoghi dove si producono dei rumori continui (strade molto
frequentate, officine, ecc.) esiste sempre un rumore basso continuo,
indipendente fino a un certo punto , dai vari rumori ritmici che si producono.
Questo rumore è come un basso continuo tenuto, che fa da pedale a tutti gli altri
rumori. […] Sopra questo rumore continuo che muta, come tono, da strada a
strada (e che rappresenta in modo non dubbio il tono di ogni strada) sono poi
analizzabili i vari rumori che sono le modulazioni armoniche e ritmiche sopra
quel basso tenuto e continuo.28
28 Russolo, Luigi – L’arte dei rumori – in Maffina, G. F. – Luigi Russolo e l’arte dei
rumori – Martano Editore, Torino 1978, pp. 146-147
20
1.4 La musica concretamente
A seconda del contesto, si è parlato di “musica concreta” tanto per l’impiego di
suoni di diversa origine, compresi i rumori captati tramite un microfono, quanto
per l’atteggiamento compositivo da essa rappresentato, che si fonda
sull’osservazione delle caratteristiche concrete di un suono ancor prima che esso
venga incluso entro una composizione (contrapposto ad un atteggiamento
“astratto”, il quale definisce una struttura prima di realizzarla sotto forma
sonora).29
Per discutere di “musica concreta” senza cadere in facili malintesi è necessario
fare prima una breve premessa. Come fa giustamente notare il musicologo francese
François Delalande il termine “concreto” (coniato da Pierre Schaeffer) è invalso in
musica sia per indicare la tecnica compositiva che, grazie all’utilizzo di una
determinata tecnologia, è alla base del movimento battezzato Musique concrète, sia
per sottolineare l’atteggiamento più responsabile e consapevole dei
compositori/tecnici del suono nei confronti della materia acustica.30
La musica concreta, teorizzata da Pierre Schaeffer nel suo Traité des objets
musicaux, ha posto l’oggetto sonoro al centro della ricerca musicale. Per tentare un
approccio all’argomento vorrei citare un’osservazione di Schaeffer su Webern:
Per Webern la partitura è necessaria sul piano della costruzione, ma non è più in
grado di rendere conto dell’opera, è soltanto un mezzo per poterla realizzare.
29 Delalande, François – Il paradigma elettroacustico – in Nattiez, Jean-Jacques (a
cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 38130 “Musica concretamente” vuole proprio sottolineare questo aspetto. La locuzione è
tratta da Chion, Michel – L’arte dei suoni fissati o La Musica Concretamente –
Edizioni Interculturali, Roma 2004
21
Webern ha bisogno della sua partitura per dare delle indicazioni agli
strumentisti […]. Cosa chiede loro? Essenzialmente di realizzare degli oggetti
musicali. Infatti, ciò che conta in quelle brevi composizioni, ciò che vi si sente,
non sono più le relazioni fra altezza e durata che potrebbero leggersi nella
partitura, ma il suo straordinario affinamento nello sfruttamento del materiale
sonoro ottenuto mediante sottigliezze esecutive, trattamento dell’archetto,
strofinamenti, ecc.31
L’oggetto musicale (od oggetto sonoro), così definito, non esiste al di fuori del
momento percettivo: le relazioni interne, l’aspetto morfologico del suono, si
esplicitano nel momento della percezione, senza l’utilizzo di un’architettura astratta.
I primi esperimenti di Pierre Schaeffer con gli eventi acustici registrati
iniziarono alla fine degli anni Quaranta. Schaeffer era impiegato presso la Radio
Diffusion Française (RDF), con sede a Parigi. Fondato nel 1946 il Club d’essai,
Schaeffer divenne direttore dei Servizi artistici per la creazione radiofonica,
iniziando a sperimentare montaggi e manipolazioni con materiale preregistrato. Vi
erano intere collezioni di suoni, pronti all’utilizzo per le sonorizzazioni dei
radiodrammi. Un vero e proprio prontuario degli eventi acustici più svariati, registrati
in studio o all’aperto: passi di persone, latrati di cane, clacson di automobile,
sgocciolii d’acqua, fischi di treno, campanelli, etc.
Le prime sperimentazioni di musica concreta al Club d’essai avvennero
utilizzando dischi in vinile. Dopo i primi successi, il gruppo di Schaeffer, divenuto
GRMC (Groupe de Recherche de Musique Concrète), ottenne nel 1951 le
sovvenzioni necessarie per dotarsi di una tecnologia più avanzata dei giradischi:
31 Schaeffer, Pierre, cit. in Nattiez, Jean-Jacques – Il discorso musicale – Einaudi,
Torino 1987, p. 29
22
ottenne così “un proiettore in rilievo, un magnetofono con variatore di velocità, due
phonogène”.32
La musica concreta inizialmente era stata concepita solo per la radiodiffusione:
il musicologo tedesco Fred K. Prieberg faceva notare come essa non abbia “una sede
che le sia propria, poiché, grazie alle onde elettriche della stazione trasmittente,
raggiunge quasi tutti gli ascoltatori purché siano vicini a un altoparlante”. Il pensiero
di Prieberg era condiviso dalla maggior parte della critica dell’epoca: i primi concerti
di musica concreta venivano visti come un’occasione per “farsi pubblicità”.
L’esperienza insegna che le trasmissioni radiofoniche di musica trovano
soltanto una scarsa risonanza; la stampa non se ne interessa. Il lavoro del Club
d’Essai era esposto al costante pericolo di venir dimenticato o di passare
inosservato. I compagni di Schaeffer soffrivano di questa solitudine. Volevano
trovare risonanza, anche se non era favorevole. Non volevano più gridare nel
deserto, senza ricevere una risposta.33
Non stupisce che le avanguardie musicali europee degli anni Quaranta /
Cinquanta si siano sviluppate intorno agli enti radiofonici, dotati di una tecnologia
praticamente impossibile da adottare da coloro che non avevano un ritorno
economico considerevole. Una delle attività più vivaci degli studi radiofonici
32 “Il primo, il phonogène a tastiera, permetteva una trasposizione per intervallo di
semitono su una o due ottave, controllata dai tasti; il secondo, il phonogène a
coulisse, consentiva una trasposizione lineare (glissando) mediante un controllo
continuo della variazione di velocità”. Vedi Lasio, Beatrice – Pierre Schaeffer e gli
altri. La ricerca musicale – sito internet www.conservatorio.trieste.it/mnt/analisi.asp33 Prieberg, Fred K. – Musica ex machina – Einaudi, Torino 1963, p. 93
23
dell’epoca era la produzione di radiodrammi: le prime sperimentazioni di musica
concreta sono indissolubilmente legate a queste esperienze.
I radiodrammi godevano di ottimo successo nella programmazione radiofonica,
fatto che permise investimenti considerevoli nelle nuove tecnologie di registrazione34
da parte degli enti radiofonici. Produrre un radiodramma prevede essenzialmente tre
fasi di lavoro: la registrazione degli attori, l’editing del materiale registrato e la
sonorizzazione musicale e rumoristica (ovvero il sound-design). Questo “artigianato
acustico” fu fondamentale nella formazione dei primi compositori “concreti”. Pierre
Schaeffer iniziò a sperimentare alcuni accostamenti, sovrapposizioni e manipolazioni
di eventi acustici grazie alla facilità con cui poteva accedere agli archivi sonori:
poteva anzi registrare egli stesso tutti i suoni che desiderava.
Le prime opere di musica concreta permisero la sperimentazione di una nuova
forma di organizzazione musicale indipendente dal sistema di notazione tradizionale.
Questo infatti era del tutto inadatto ad esprimere i delicati “equilibri di timbri e
sonorità”. Nel quadro più generale della musica contemporanea, come nota
Delalande, tali parametri continuano “ad essere delegati allo strumentista ovvero al
direttore entro il quadro aleatorio delle prove”.35
34 I primi nastri in PVC furono prodotti dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
In pochi anni s’imposero come supporto standard per la registrazione professionale,
sostituendo quelli in acetato di cellulosa (inventati in Germania nel 1935) e la
registrazione a filo metallico35 Delalande, François – Il paradigma elettroacustico – in Nattiez, Jean-Jacques (a
cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 387
24
La possibilità di fissare36
il suono (e maneggiarlo agevolmente) porterà ad una
piena equiparazione tra gli eventi acustici fissati ed elaborati dal compositore sul
nastro e l’intenzionalità espressa dallo stesso tramite la tradizionale notazione su
carta. Proprio l’intenzionalità d’espressione sonora, quantizzata37
per secoli
attraverso segni convenzionali come note, pause, chiavi, legature, indicazioni
dinamiche e agogiche, sembrerà liberata dalle catene della cultura permettendo una
comunicazione non intermediata del compositore con gli ascoltatori.
I problemi delle scale temperate e non temperate, le nozioni di verticale e di
orizzontale non hanno più alcun senso: si giunge alla figura sonora, l’oggetto
più generale che possa presentarsi all’immagine del compositore; figura sonora
– o anche, con le nuove tecniche compositive – oggetto sonoro.38
Se inizialmente ci si doveva limitare ad alcuni accostamenti e giustapposizioni,
grazie alle nuove tecnologie (e soprattutto alla malleabilità del nastro magnetico
rispetto al vinile) la composizione del materiale registrato poteva spingersi sempre
più in profondità, manipolando l’evento fissato fino alla possibilità di renderne
irriconoscibile la fonte originaria.39
36 Riprendo la terminologia utilizzata da Chion, che usa spesso il concetto di
fonofissaggio per intendere la registrazione acustica. Vedi Chion, Michel – L’arte dei
suoni fissati o La Musica Concretamente – Edizioni Interculturali, Roma 2004, p. 1737 Il termine quantizzazione è preso a prestito dal mondo dei sequencer MIDI.
Quantizzare significa riallineare per approssimazione gli impulsi MIDI in una griglia
ritmica “più o meno fitta”. In questo caso indica il livello di approssimazione che
ogni segno convenzionale mantiene nei confronti della relativa espressione sonora38 Boulez, Pierre, cit. in Delalande, François – Il paradigma elettroacustico – in
Nattiez, Jean-Jacques (a cura di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 39639 Invertendo ad esempio un segmento di nastro su cui inizialmente è stato registrato
il suono di un campanello, si può giungere alla percezione di un lentissimo crescendo
culminante con una sorta di risucchio improvviso. L’evento acustico viene ri-
25
Con l’avanzamento delle tecnologie che permettevano la registrazione e la
manipolazione del suono vi fu anche un’evoluzione del concetto di musica: un nuovo
modo di pensare la musica, un nuovo modo di percepire l’evento acustico. La
situazione di “ascolto acusmatico”40
invitava l’ascoltatore a concentrarsi sul suono in
quanto tale, sulle caratteristiche timbriche, sulla consistenza morfologica. Pierre
Schaeffer ha definito tale modalità di percezione “ascolto ridotto”41
:
Pierre Schaeffer ha battezzato “ascolto ridotto” l’ascolto rivolto alle qualità e
alle forme proprie del suono, indipendentemente dalla sua causa e dal suo
senso; e che considera il suono – verbale, strumentale, aneddotico o qualunque
– come oggetto di osservazione, invece di attraversarlo mirando ad altro
(l’aggettivo “ridotto” è tratto dalla nozione fenomenologica di riduzione in
Husserl).42
Uno degli errori commessi dai primi compositori “concreti”, frutto anche di
un’interpretazione critica spesso troppo superficiale, è stato quello di attribuire la
possibilità di ascolto ridotto solo alla situazione acusmatica (e quindi alla musica
concreta). Questo malinteso (che Schaeffer stesso successivamente cercherà di
chiarire) va interpretato nel panorama musicale degli anni Cinquanta: il tentativo di
plasmato in uno nuovo, separato dalla sua causa e non più facilmente riconducibile
ad essa40 Acusmatico è un parola di derivazione greca: si riferisce ad un evento acustico del
quale non si può vederne la fonte (il termine si riconduce a Pitagora: si racconta
infatti che tenesse le sue lezioni nascosto dietro a una tenda). Il vocabolo, recuperato
da Jerôme Peignot e teorizzato da Pierre Schaeffer, è particolarmente adatto a
definire la musica registrata e diffusa da altoparlanti (per approfondire il concetto di
acusmatico vedi Chion, Michel – L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema –
Lindau, Torino 2001, p. 65 e seguenti)41 La definizione è stata ripresa e completata da Michel Chion42 Chion, Michel – L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema – Lindau, Torino
2001, p. 32
26
essere rivoluzionari, se portato all’eccesso, diviene sterile appartenenza a posizioni
radicali.
Nella tradizione colta occidentale, prima dell’avvento del fonofissaggio,
l’evento acustico era percepito esclusivamente in relazione alla relativa fonte sonora.
Questo tipo di ascolto viene classificato da Chion come “ascolto causale”.43
Ascoltare un suono di violino, ad esempio, è un’operazione che rimanda alla fisicità
della sua fonte: il violino. Ciò non significa assolutamente che prima di Schaeffer
non si ponesse attenzione all’evento acustico in sé (ascolto ridotto): l’identità di un
suono si sovrapponeva però ad un concetto che comprendeva l’emissione fisica dello
strumento e l’interpretazione dell’esecutore.44
Chion identifica un ulteriore
disposizione di ascolto: l’“ascolto semantico”: un suono può essere ascoltato tramite
un “sistema di opposizioni e differenze”. Contrapporre in musica, ad esempio, un
pianissimo ad un fortissimo è un’operazione portatrice di significato.
L’ascolto causale e l’ascolto semantico, naturalmente, possono esercitarsi
parallelamente e indipendentemente in una stessa catena sonora. Sentiamo al
tempo stesso ciò che qualcuno ci dice e il modo in cui lo dice.45
Questo tipo di classificazione delle tipologie d’ascolto va interpretata come
“sintesi” di alcune peculiarità della percezione acustica: è necessario ricercare
sempre l’interdipendenza di questi concetti perché l’ascolto musicale non sia mai
un’attività implosiva.
43 Ibidem, p. 2944 Ciò portava ad analizzare le qualità “ridotte” del suono unicamente come risultato
di una “buona o mediocre”, “corretta o scorretta” emissione da parte dell’interprete45 Ibidem, p. 31
27
La manipolazione di un suono fissato ha dato per la prima volta la possibilità di
nascondere la fonte originaria alla percezione, rendendo un qualsiasi evento acustico
“opaco” all’“ascolto causale” (o meglio, deviando l’“ascolto causale” ad un referente
virtuale). Schaeffer ha posto molta attenzione alla purezza dell’oggetto sonoro,
descrivendo tale stato in due diverse accezioni: purezza antropologica, ovvero
l’oggetto sonoro non deve richiamare nessuna sovrastruttura culturale; purezza “in
relazione alla fonte che lo emette”.46
Quest’ultima osservazione è stata a lungo interpretata come necessità di una
denaturazione dell’evento acustico originale. In quest’ottica vi è il rifiuto
dell’oggetto sonoro come portatore di significato: nascondere la causa di un suono
tramite una consistente manipolazione è stato visto come la soluzione per favorire
l’ascolto ridotto dell’oggetto sonoro. Prieberg a tale proposito ha affermato: “il
ricordo è la morte della musica assoluta, libera da immagini”.47
Paradossalmente
potrei affermare che, ascoltando un pianoforte in una situazione acusmatica (sia esso
registrato o semplicemente “non visibile”), l’immagine mentale dello stesso è
dannosa alla percezione musicale.
Questa contraddizione nasce da un malinteso, alimentato dallo stessa etichetta
“musica concreta”: una questione di status. L’aggettivo “concreto” è stato a lungo
inteso esclusivamente in riferimento all’origine dei suoni, e non al loro trattamento.
Così la musica concreta è stata considerata da gran parte della critica e dell’opinione
pubblica come rumori di casseruole, “motori, picchiate aeree, tappi di champagne,
46 Santarcangelo, Enzo – Oggetti ed attenzione estetica: il caso della “ Musique
Concrete” – sito internet http://www.filosofico.net/musiqueconcreteenzo.htm47 Prieberg, Fred K. – Musica ex machina – Einaudi, Torino 1963, p. 86
28
martelli pneumatici ecc…”.48
Lo stesso Schaeffer, interrogato da Chion
sull’argomento nel 1975, tenne a chiarire questa ambiguità di fondo:
La parola “concreta” non designava una fonte. Voleva dire che si prendeva il
suono nella totalità dei suoi caratteri. Così un suono concreto è per esempio un
suono di violino, ma considerato in tutte le sue qualità sensibili e non soltanto
nelle sue qualità astratte che sono notate sulla partitura. Riconosco che il
termine “concreto” è stato velocemente associato all’idea di “rumori di
casseruole”, ma nella mia mente questo termine voleva dire prima di tutto che
erano presi in considerazione tutti i suoni, non riferendosi alle note della
partitura, ma in rapporto a tutte le qualità che contenevano.49
Molti musicisti e critici sono stati bloccati da una sorta di “imbarazzo” per
degli eventi acustici ricavati da oggetti di “serie B” (e non dagli strumenti blasonati
della tradizione): da qui il malinteso che la musica concreta necessiti di non avere
elementi riconducibili a una fonte per essere “arte”. Molto appropriata a questo
riguardo è un’osservazione di Chion:
Nell’ascolto acusmatico tutto inizia, in effetti, con il rinvio alla questione di una
fonte, reale o immaginaria. Un suono di violino che nessuno, nella situazione
classica del concerto, troverebbe aneddotico diviene, attraverso l’altoparlante,
iconico… di un violino. Ci si può accanire a nascondere la fonte tramite
manipolazioni ma queste non faranno che creare altri suoni, a loro volta
evocatori di nuove fonti, così affascinanti benché immaginarie. Più ispirati sono
i compositori i quali, come ha giustamente rilevato il critico David Rissin,
48 Rostand, Claude – Dizionario della musica contemporanea (1970) – cit. in Chion,
Michel – L’arte dei suoni fissati o La Musica Concretamente – Edizioni
Interculturali, Roma 2004, p. 2649 Chion, Michel – L’arte dei suoni fissati o La Musica Concretamente – Edizioni
Interculturali, Roma 2004, p. 27
29
hanno compreso che, invece di lasciarsi ossessionare dalla fonte sonora da
nascondere, si può “attraversare lo specchio che ci riflette l’immagine causale di
un suono” – da intendere: lasciando eventualmente riconoscibile una causa,
reale o no, mettere in evidenza la forma, la dinamica, la materialità del
fenomeno sonoro.50
Un suono può essere veramente percepito senza che l’ascoltatore ne ricerchi la
causa, comunque? La referenzialità di un suono alla fonte (il suo essere indice di
qualcosa) a mio avviso dovrebbe essere considerato come un ulteriore parametro
nelle mani del compositore, un parametro simbolico.
La possibilità di fissare un evento acustico su supporto deve portare
innanzitutto a una riflessione da estendere oltre la musica concreta.51
L’immagine
acustica di un violino, separata dal violino stesso e dalle capacità tecnico/espressive
dell’esecutore, ci racconta di sé molte cose: la realtà prospettica di quel suono,
determinata dal compositore alla ricerca di un suo equilibrio tra lo spazio acustico
del testo (o dell’astanza) e lo spazio acustico del contesto.
L’ascolto musicale è sempre relativo all’ascolto prospettico. Uno stesso evento
acustico potrebbe essere ascoltato in prospettive diverse a seconda della posizione
dell’ascoltatore e della reciproca influenza con l’ambiente, alla cui determinazione
l’ascoltatore partecipa attivamente. Un approccio concretamente musicale dovrebbe
tener conto del valore simbolico di un suono colto in un contesto.
Prendiamo in considerazione uno dei contesti più ovvi di interazione acustica
nella musica colta occidentale: la sala da concerto. L’evento acustico prodotto da un
violino non esiste se non nella riverberazione in un determinato contesto, ricco di
50 Ibidem, p. 3051 Parafrasando Chion, una riflessione concretamente musicale…
30
elementi acustici che interagiscono tra loro. L’ascolto di un brano per violino in una
determinata sala da concerto, oppure in riva al mare, oppure in alta montagna, oppure
ancora in una piazza affollata non equivalgono affatto: è innegabile che le nostre
orecchie percepiscano quattro realtà prospettiche diverse. Questo avviene non solo
nel caso di un evento strumentale dal vivo: una realtà prospettica fissata su supporto
e diffusa dallo stesso sistema di amplificazione è percepita in maniera diversa
relativamente al contesto di implementazione.52
Il piano della realtà prospettica accoglie in sé sia l’esperienza dell’ascoltatore,
sia il processo creativo del compositore: entrambi interagiscono tramite le loro
“prospettive sul mondo”.53
L’ascolto prospettico del compositore prevede una riformulazione del concetto
di “imitazione”: appropriazione della materia acustica secondo un punto di vista
variabile. La registrazione comporta un’appropriazione (fissazione) della totalità
acustica tramite l’ascolto prospettico determinato dai microfoni e dalle scelte del
compositore/tecnico di ripresa (ovvero la sua “influenza reciproca con la materia”).
La selezione del materiale acustico è un momento creativo; tale selezione, scelta dal
compositore a seconda delle sue possibilità di azione, determina una certa realtà
prospettica. Il compositore deve essere innanzitutto un attento ascoltatore, non
esclusivamente un ideatore di strutture astratte.
Il processo di fissazione comporta innanzitutto la scelta dei microfoni: uno o
più microfoni, mono, stereo, dinamici, a condensatore, cardioidi, etc. Poi vi è il
52 Diviene, a sua volta, parte della totalità acustica (parte dell’ambiente fisico).
L’ascoltatore la percepirà in una nuova realtà prospettica.53 Per dirla alla Feyerabend, tramite il loro ascolto prospettico dell’ abbondanza
acustica.
31
posizionamento, l’altezza e l’angolazione. Poi ancora la scelta del tipo di supporto:
nastro, DAT, minidisc, etc. Sono tutte variabili che il tecnico di ripresa, o il
compositore stesso, tiene in considerazione nel procurarsi il materiale acustico delle
sue composizioni. Il compositore sceglie e determina una prospettiva di ascolto, o
meglio, di fissazione. In questo egli partecipa attivamente e creativamente nel trovare
un “suo” equilibrio (non è detto che sia il “migliore”54
) tra spazio acustico del testo
(o dell’astanza) e spazio acustico del contesto. Considerando quindi la fissazione
acustica come evoluzione del concetto di imitazione, poiché pone in stretta relazione
la totalità acustica con la “visione del mondo” del compositore, possiamo
considerare legittimamente coinvolte in questo processo anche le successive
manipolazioni.55
La realtà prospettica è quindi materiale plasmabile dal
compositore, un blocco di marmo nelle mani di uno scultore: ciò che ne consegue, la
composizione, rimane pur sempre una realtà prospettica (rifacendomi alla metafora
dello scultore, la statua scolpita è pur sempre di marmo).
Vi è una grande affinità tra “oggetto sonoro” e realtà prospettica, ma anche
una grande differenza: l’oggetto sonoro si pone come un frammento acustico
analizzabile in sé; la realtà prospettica esplicita anche la relazione percettiva (e
quindi simbolica) tra testo e contesto, poiché qualsiasi evento idealmente isolabile si
manifesta solo nel rapporto con l’ambiente in cui è stato colto. Nella fissazione
54 Il tecnico di ripresa, se non istruito diversamente, tende generalmente ad una ideale
decontestualizzazione del suono, concepita come la condizione migliore di ascolto.
In realtà questa situazione estrema non è quasi mai raggiunta, poiché provocherebbe
un senso di alienazione nell’ascoltatore: il tecnico pone quindi, nel migliore dei casi,
un microfono più distante dalla fonte acustica per coglierne la riverberazione; oppure
userà successivamente un effetto che ricrei una spazialità, e quindi un contesto
virtuale.55 L’equalizzazione, ad esempio, esalta alcune frequenze riducendone altre. Seleziona
e mette in evidenza alcuni aspetti della totalità acustica.
32
questo rapporto diviene una nuova unità: “non si combinano più delle unità, ma si fa
svolgere un’unità”.56
Avremo una prospettiva sulla totalità acustica che metterà “a
fuoco” un determinato elemento lasciando, a seconda delle scelte del compositore,
più o meno “sfocato” il contesto: la realtà prospettica fissata dal compositore o, nella
poetica di Riccardo Piacentini, il “foto-suono”.
56 L’osservazione di François Delalande si riferisce alla ricerca del “suono unico”: “la
musica come organismo, formata non di atomi classificabili mediante parametri, ma
che nasce dall’evoluzione vivente di un suono” (Wilson, P. N.) cit. in Delalande,
François – Il paradigma elettroacustico – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura di) –
Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 398
33
2. MUSICA PER IL CONTESTO
2.1 Alla conquista dell’equilibrio
Se la musica è in grado di accettare i suoni dell’ambiente senza venirne per
questo interrotta, allora abbiamo un pezzo di musica moderna. Ma se, come nel
casso di una composizione di Beethoven, un bambino piange, o qualcuno tra il
pubblico tossisce e interrompe la musica, allora sappiamo che non è moderna.
Penso che il modo attuale per decidere se qualcosa è utile in quanto arte è quello
di chiedersi se viene interrotta dalle azioni altrui, oppure se le è possibile invece
armonizzarsi con quelle azioni. Ho poi esteso questi concetti al di fuori del
campo dei materiali dell’arte, applicandoli anche a ciò che si potrebbe chiamare
“il materiale della società”. Se, ad esempio, creassimo una struttura sociale
suscettibile di essere interrotta dalle azioni delle persone che non ne fanno parte,
sapremmo che questa non sarebbe una struttura adeguata.57
Comporre musica per un ambiente significa innanzitutto ricercarne l’identità.
Ogni ambiente è caratterizzato da specifici suoni e una sua acustica: un suo profumo
sonoro.58
Questi elementi sono tutti influenzabili dall’uomo che, se non ricerca una
situazione di equilibrio, rischia di far degenerare l’ambiente in un contesto
acusticamente alienante e potenzialmente dannoso. L’orecchio musicale dovrebbe
aiutare a progettare un ambiente, non per coprire il tutto con un tappeto di musica
continua, ma per trovare un equilibrio acustico armonizzato.
Progettare acusticamente, comporre un soundscape, non significa solo
immettere suoni nell’ambiente: significa anche toglierli (o attutirli), progettare un
57 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 29058 John Cage, ricordando il regista Oscar Fischinger: “Mi disse che ogni cosa
esistente al mondo possiede uno spirito che viene sprigionato attraverso il suo suono,
e questo, per così dire, mi accese una lampadina”, Ibidem, p. 36
34
determinato “silenzio”. Un ambiente potrebbe essere isolato tramite l’utilizzo di
materiali fonoassorbenti posti alle pareti; oppure, disponendo alcuni pannelli, sarebbe
possibile modificare la rifrazione acustica.
Questa “sensibilità” potrebbe essere sviluppata su più livelli: una buona
amministrazione locale, ad esempio, dovrebbe ridurre il disequilibrio acustico nei
centri storici delle città limitando l’accesso delle autovetture; in secondo luogo
dovrebbe preservare i suoni tipici di un determinato luogo, ciò che R. Murray
Schafer definisce impronte sonore: “il termine impronta sonora indica un suono
comunitario che possieda caratteristiche di unicità oppure qualità tali da fargli
attribuire, da parte di una determinata comunità, valore e considerazione
particolari”.59
Se la musica fosse considerata come organizzazione di una sintassi da far
interagire con la totalità acustica di un determinato ambiente non parleremmo più di
fruizione musicale, ma più appropriatamente di esperienza musicale.
Uno degli ambienti più ricettivi all’idea di esperienza sono i musei e le gallerie
d’arte. Si tratta infatti di “luoghi di pubblica frequentazione che, in più, hanno un
loro proprio coefficiente culturale che li configura come crocevia di messaggi
continuamente rinnovabili”.60
La letteratura disponibile sull’organizzazione degli spazi museali è molto
ampia ed eterogenea, poiché molteplici sono gli approcci attuati in ogni singolo
59 Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 2260 Piacentini, Riccardo – “Foto-musiche” per l’ambiente – “Rassegna Musicale
Curci”, settembre 2003, Milano, in Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-
spazio espositivo. Vi sono però alcune considerazioni che, a mio avviso, sono
fondamentali per intendere il significato che la cultura occidentale ha attribuito a
questi spazi.
Il concetto di museo nasce tra Quattrocento e Cinquecento, è quindi un
prodotto della modernità. L’esigenza di conservare ed esporre manufatti d’interesse
artistico, storico o scientifico nasce con il Rinascimento, affermandosi pienamente
con la fine del Settecento: per la prima volta veniva organizzato uno spazio adibito a
“raccogliere le reliquie laiche da consegnare al futuro”.
Il pubblico viene posto per la prima volta al centro dell’attenzione, a differenza
delle collezioni d’arte antica delle famiglie aristocratiche. Il museo è quindi uno
spazio pubblico sottratto all’appropriazione privata, che tuttavia non si uniforma
pienamente allo spazio urbano: entrare in un museo è come varcare un confine.
[…] Gli oggetti vivono in una dimensione sospesa tra ciò che non sono più e ciò
che rischiavano di divenire. […] Il museo è uno spazio laicizzato in cui non
cessa di esistere un’aura di sacralità.61
L’interazione tra musica e arte visiva all’interno di uno spazio museale
introdurrebbe un ampio discorso: cosa aggiunge la percezione acustica alla
percezione visiva di un’opera d’arte?
John Cage parlava della modernità in arte definendola in base al grado di
interazione col contesto, anche per quanto riguarda l’arte visiva:
La prima volta che mi venne chiesto, lo feci in riferimento alla pittura. Dissi che
un dipinto era moderno se non era interrotto dall’effetto dell’ambiente che lo
61 Il sociologo Marco Revelli, in un recente convegno tenutosi a Torino. Trascrizione
e adattamento a cura dello scrivente.
36
circondava, così se ci sono delle ombre o dei riflessi che cadono sulla superficie
del dipinto e che ne possono disturbare la visione, non si tratterà di un dipinto
moderno, ma se ci cadono e sono, per così dire, in sintonia con esso e ne
diventano parte integrante, allora si tratterà davvero di un dipinto moderno.62
Il rapporto di un qualsiasi oggetto con la sfera acustica è un rapporto obbligato,
poiché non vi può essere esperienza di un ambiente senza che vi sia anche una
componente di percezione acustica. Le variabili contestuali a tale riguardo sono
innumerevoli: la presenza di pubblico, la riverberazione prodotta dall’ambiente, gli
eventi atmosferici, la vicinanza a strade trafficate, eventi acustici più o meno
caratteristici del luogo, etc. Alcuni eventi, più costanti, potrebbero essere ricondotti
al concetto di tonica63
proposto da Schafer: ad esempio il brusio di una strada
trafficata, o il continuum emesso dai condizionatori d’aria.64
L’esperienza di un qualsiasi ambiente non può essere astratta in un tipo di
percezione idealmente decontestualizzata (ad esempio unicamente la “percezione
visiva”), ma può essere ricondotta solo alle molteplici esperienze “concrete”,
ricercando un equilibrio nell’esperienza prospettica65
di ogni visitatore. Separare
62 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 28763 […] “Le toniche non vengono necessariamente percepite in modo cosciente; esse
sono sovrascoltate. Ma non per questo debbono venire trascurate, perché tali suoni
diventano, nonostante la loro caratteristica, delle abitudini di ascolto”. Vedi Schafer,
R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, pp. 21-2264 Piacentini prende spunto dai suoni di condizionatori d’aria a Palazzo Bricherasio
(Torino) per Arie Condizionate, sonorizzazione della IX Biennale Internazionale di
Fotografia, Palazzo Bricherasio, Torino 200165 L’ esperienza prospettica non è altro che una realtà prospettica della totalità,
mediata dai nostri sensi.
37
nettamente la percezione visiva da quella acustica sarebbe come voler disgiungere
gusto e olfatto (e vista) nell’attività di un sommelier.66
Accettare che un’esperienza come quella museale metta in relazione opere
d’arte e manufatti (spesso pensati per tutt’altri contesti) ad un contesto organizzato
sia visivamente (disposizione delle opere, dimensione degli spazi espositivi,
illuminazione, etc.) sia acusticamente, porterà ad una sorta di interpenetrazione
equilibrata di queste “unità”: una fruizione consapevole e stimolante non solo delle
singole opere esposte, ma dell’intera esperienza museale.
Il nostro atteggiamento nei confronti dell’arte e l’uso che ne facciamo ci sono
stati tramandati. Adesso c’è stato un arricchimento della nostra esperienza, ma
non a spese del vecchio, poiché il nuovo non prende mai il posto del vecchio.
Stiamo scoprendo un altro uso dell’arte e delle cose che precedentemente non
consideravamo arte. Ciò che sta avvenendo in questo secolo, che lo si accetti o
meno, è che la distanza tra arte e vita sta diminuendo sempre di più. Penso che
la storia dell’arte sia semplicemente una storia della liberazione dal brutto, e
questo avviene entrando in esso e usandolo. Dopo tutto, il concetto in base al
quale giudichiamo brutto ciò che è esterno a noi, non è al fuori di noi, ma è
dentro di noi. Ed è proprio questa la ragione per cui continuo a dire che stiamo
lavorando con le nostre menti. Ciò che stiamo cercando di fare è aprirle in modo
tale da non vedere più le cose come brutte o belle, ma di vederle esattamente
come sono.67
66 L’esempio del sommelier mi è stato suggerito dal musicologo Franco Fabbri, in un
recente convegno tenutosi a Torino.67 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 291
38
2.2 Organizzazione della totalità acustica
Comporre per un ambiente significa sviluppare una composizione
contestualmente all’ambiente stesso: alla sua acustica, alla distribuzione degli spazi,
agli eventi acustici caratteristici, agli elementi che vi si trovano all’interno. Il
contesto acustico “di partenza” non va considerato come qualcosa da coprire, da
edulcorare. Spesso coloro che si occupano di sonorizzazioni d’ambiente tendono a
“mascherare” i suoni di quest’ultimo, ponendosi in modo antagonistico ad essi: la
musica viene letteralmente sovrapposta al contesto di implementazione.
Frequentemente si tratta di composizioni preesistenti che niente hanno a che fare con
il contesto, se non per un esplicito rimando culturale. Tiziana Scandaletti, a proposito
della sonorizzazione per l’VIII Biennale Internazionale di Fotografia di Torino,
Musiche dell’aurora, ha fatto notare:
L’operazione voleva andare oltre il semplice accostamento: non si tratta di
diffondere musica cubana nella sezione cubana, o musica francese nella sezione
francese. Contestualizzare l’ambiente non significa pensare al significato delle
fotografie in sé, ma ricostruire un percorso molto più sottile in cui la fotografia
acquisti un senso. […] Ci sono diversi livelli che andrebbero fatti rientrare in
una sonorizzazione, oltre alla pura evocazione culturale della provenienza della
fotografia. Si tiene conto del rumore dell’ambiente stesso, della fotografia come
fatto fisico, come materiale cartaceo, della fotografia come messaggio
Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15 settembre 2004,
trascrizione e adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I, p. 86
39
Alcune sonorizzazioni d’ambiente ricercano unicamente un effetto di
spettacolarizzazione, operando prevalentemente sulla dimensione emotiva della
percezione acustica. Questo atteggiamento, a mio avviso, non considera la
sonorizzazione parte integrante dell’esperienza museale: la considera ornamentale.
Penso che quest’uso della musica che intende sopraffare il pubblico, e lo fa in
modo così esplicito, sia esattamente l’opposto di quello che a me sembrerebbe
un autentico approccio rivoluzionario, perché accetta lo status quo e ci si
adegua, e quindi non assolve alla funzione che secondo me è propria della
musica: rendere la gente più forte, e cambiarla.69
Una composizione sviluppata indipendentemente dal contesto di
implementazione risulterebbe decontestualizzata all’ambiente. Ciò non significa che
sovrapporre una musica preesistente ad un contesto non determini alcun significato: è
importante però essere consapevoli che questa musica determinerebbe un significato
“altro” da quello per cui era stata composta.
Per quale motivo un dipinto di Friedrich dovrebbe essere commentato da una
musica di Schubert? Una dialettica del genere allontana il visitatore dalla realtà del
museo, obbliga a decontestualizzare le due opere per porle in uno spazio astratto,
all’interno della nostra mente. Tutto il resto, il contesto, sarebbe percepito come
disturbo, come rumore.
69 Cage, John, in Kostelanetz, Richard (a cura di) – John Cage. Lettera a uno
sconosciuto – Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 315. La considerazione di Cage è,
più genericamente, da riferirsi a qualsiasi composizione che ricerchi in musica
unicamente la dimensione emozionale. La domanda dell’intervistatore era: <<Ma
non è possibile che una musica così forte – una musica così “toccante” come si suol
dire – abbia una sua giustificazione religiosa o politica?>>
40
2.3 In equilibrio tra arte e vita
Quando una società manipola i suoni in modo maldestro o non rispetta i principi
della moderazione e dell’equilibrio nella loro produzione, quando si ignora che
esiste un tempo per la produzione e un tempo per il silenzio, allora il paesaggio
sonoro scivola da una condizione hi-fi a una condizione lo-fi e finisce con
l’autoconsumarsi nella sua cacofonia.70
Il concetto di equilibrio nell’organizzazione/composizione di un ambiente
deriva dallo sviluppo di una particolare sensibilità in termini di sviluppo sostenibile.
L’ecologia acustica è stata materia d’attenzione di alcuni gruppi di ricercatori che, da
una trentina d’anni a oggi, hanno posto i paesaggi sonori e la loro evoluzione al
centro dei loro studi. Uno dei più famosi gruppi di ricerca si è sviluppato attorno a R.
Murray Schafer alla Simon Fraser University di Vancouver, il World Soundscape
Project.71
L’attività di questi ricercatori può essere sintetizzata in vari studi sulla
percezione acustica dei paesaggi sonori legata allo sviluppo del senso d’identità e di
appartenenza al territorio delle persone che vi abitano. Queste ricerche consistono
principalmente in registrazioni, descrizioni verbali, interviste agli abitanti dei luoghi
studiati e nello sviluppo di una teoria relativamente alla percezione del contesto
acustico72
.
70 Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 32771 Dall’esempio del WSP sono nati gruppi di ricerca come l’ Acoustic Environments
in Change (AEC), il Centre de Recherche sur l’Environment Sonore (CRESSON) e il
World Forum for Acoustic Ecology (WFAE); quest’ultimo raccoglie diversi gruppi
di ricerca a livello nazionale.72 Per approfondire si veda il testo di riferimento fondamentale: Schafer, R. Murray –
Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985
41
Da questo approccio nasce la volontà di determinare una disciplina che
permetta di lavorare attivamente per un miglioramento dei paesaggi sonori:
l’acoustic design.
Rifacendosi alla psicologia della Gestalt, Schafer parla del rapporto
figura/sfondo73
, introducendo poi il concetto di campo per designare il “luogo”
dell’osservazione. Il concetto di spazio acustico del testo (o dell’astanza) potrebbe
essere ricondotto al termine figura. Vi è però una sottile ambiguità in questo termine,
che non credo di aver risolto ma semplicemente messo sotto un’altra luce: la figura,
nel significato che si è venuto a formare nella cultura occidentale, intende
determinare ciò che “si impone” alla percezione principalmente per delle
caratteristiche fisiche rilevanti che lasciano lo sfondo in secondo piano.
Sempre applicando questo rapporto figura/sfondo alla percezione uditiva,
occorrerà stabilire l’istante (o gli istanti) in cui una figura acustica si dissolve
fino a trasformarsi in uno sfondo impercettibile o quando uno sfondo emerge
all’improvviso e diventa figura, o impronta sonora, facendosi evento sonoro
[…].74
Il concetto di spazio acustico del testo (o dell’astanza), a mio avviso,
restituisce all’ascoltatore la facoltà di determinare cosa sia testo e cosa non lo sia:
non solo condizionato dalle caratteristiche fisiche che una determinata cultura
73 “[…] la figura è il punto focale dell’interesse, mentre lo sfondo è il contesto,
l’inquadramento generale”. Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG
Ricordi, Roma 1985, p. 21274 Ibidem, pp. 212-213
42
considera rilevanti nell’ascolto, ma anche relativamente al tipo d’ascolto che si ha
(ascolto prospettico), all’interesse e alla sensibilità particolare dell’ascoltatore.75
La selezione degli stimoli e delle informazioni si effettua sulla base dei modelli
mentali dell’ambiente che ci circonda; hanno un’importanza fondamentale sul
nostro processo decisionale. Affrontare una situazione ed applicare il modello
mentale competente, tramite il centramento, sono eventi istantanei ed
avvengono inconsciamente.
L’applicazione di schemi alla percezione è un fatto inconsapevole che ci
inganna sulla nostra obiettività; infatti la perdiamo nel momento in cui abbiamo
inconsciamente applicato i nostri modelli mentali. Il mondo lo vediamo da un
punto di vista parziale e difficilmente riusciamo a superare la frammentazione, a
vedere l’intera globalità.76
L’ascolto prospettico, per certi versi simile al concetto di campo, si differenzia
da questo principalmente per non voler essere un concetto statico, ma dinamico.
Vorrei quindi esplicitare fin dal termine ascolto prospettico un “processo
esperienziale di percezione acustica” che determina la realtà prospettica, definendola
di volta in volta dal punto di vista dell’ascoltatore attraverso la sua “reciproca
influenza con l’ambiente”.
75 Pur non sviluppando una nuova terminologia, Schafer aveva posto attenzione al
fatto che culture diverse da quella occidentale tendono a vivere il rapporto
testo/contesto in maniera diversa dalla nostra, sia per quanto riguarda la percezione
visiva che quella acustica. Vedi Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG
Ricordi, Roma 1985, p. 22076 Zanardi, Anna – Il coaching automotivazionale – FrancoAngeli, Milano 2000, p.
33
43
La “reciproca influenza con l’ambiente” è alla base dell’acoustic design: è una
“possibilità compositiva che coinvolge tutti, non solo i compositori”.77
Volendo definire alcuni aspetti essenziali di quest’approccio al paesaggio
sonoro, Schafer descrive alcuni brevi principi:
1. Rispetto per l’orecchio e per la voce: quando l’orecchio soffre d’uno
spostamento di soglia e quando la voce non riesce più a farsi sentire,
l’ambiente è nocivo.
2. Consapevolezza del valore simbolico del suono: un suono è sempre
qualcosa di più di un segnale funzionale.
3. Conoscenza dei ritmi e dei tempi del paesaggio sonoro naturale.
4. Comprensione dei meccanismi di equilibrio grazie ai quali è possibile
correggere un paesaggio sonoro compromesso.78
Schafer affronta l’importante questione che concerne la diffusione acustica
della musica registrata: l’immissione indiscriminata nell’ambiente di eventi acustici
registrati può condurre l’ascoltatore a un senso di alienazione dalla realtà. Si tratta di
un’aperta critica alla moozak79
e a tutta la musica composta per sovrapporsi (per
imporsi) ad un ambiente sonoro, coprendone le peculiarità distintive.
77 Barry Truax, parlando dell’approccio di R. Murray Schafer. Vedi Truax, Barry –
Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and Outer World – in
Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge, London 1992,
p. 376. Traduzione a cura dello scrivente.78 Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 1985, p. 32879 La moozak (o muzak) è una tipologia di musica organizzata per un ascolto di
sottofondo nei luoghi di lavoro e nei negozi, centri commerciali, ristoranti, etc.
Le caratteristiche dei brani, il loro arrangiamento e la loro successione temporale
(uno dei parametri adottati è lo stimulus progression, che consiste nel far succedere
brani ai quali sono stati attribuiti “valori” sempre maggiori di “vivacità”) sono criteri
organizzati per ottenere sottofondi sonori efficaci alla massimizzazione degli acquisti
e della produttività dei dipendenti. Per approfondire si veda Marconi, Luca – Muzak,
44
Questo utilizzo indiscriminato della musica “da sottofondo” fu ricondotto da
Schafer al termine schizofonia80
: la moozak non è altro che un edulcorante acustico, o
come direbbe Schafer, un “audioanalgesico”.
Barry Truax definisce la moozak ed ogni forma di costipazione musicale in
termini di assuefazione ad un “ambiente surrogato” (surrogate environment81
).
Volendo perseguire un approccio più operativo, Truax approfondisce a sua
volta il concetto di schizofonia, cercando di chiarirne il significato. Individua
anzitutto come negli eventi registrati vi sia sempre un significato, un valore
simbolico, che riproposto tramite gli amplificatori in un altro ambiente entra in
contraddizione con esso. Questa contraddizione, che in Schafer costituiva l’elemento
alienante della schizofonia, viene anzitutto posta da Truax in relazione ai mutamenti
della sfera sociale.
Oggi la continua esposizione al suono elettroacustico […] ha diminuito il senso
di magia rendendo le contraddizioni convenzionali, se non addirittura banali.
[…] Quando i suoni conosciuti vengono riprodotti diventano convenzionali
piuttosto velocemente; i nuovi suoni elettronici sembrano strani quando sono
introdotti per la prima volta (ad esempio le suonerie che sostituiscono il
campanello del telefono), ma anche essi vengono velocemente accettati
jingle, videoclips – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura di) – Enciclopedia della Musica
– Einaudi, Torino 2001, p. 675 e seguenti80 “Termine derivato dal greco schizo, separazione e phoné, voce, suono”. Il termine
sta ad indicare “la frattura esistente tra un suono originale e la sua riproduzione
elettroacustica. […] Mi servo di questo vocabolo, mediato dalla terminologia
“clinica”, per sottolineare l’effetto aberrante di questo sviluppo, proprio del nostro
secolo”. Vedi Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma
1985, p. 37481 Vedi Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and
Outer World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1,
Routledge, London 1992, p. 379
45
presumibilmente perché il loro significato viene presto condiviso. Tuttavia la
musica elettroacustica non-derivativa viene accettata molto più lentamente
poiché richiede lo sviluppo di una nuova cornice di referenza, un nuovo
linguaggio, in breve, un nuovo sistema di comunicazione.
Ciò che è stato accettato con notevole facilità è il suono elettroacustico come
ambiente della vita quotidiana.82
Il termine schizofonia resta comunque ad indicare l’uso indiscriminato (spesso
a fini commerciali) di “ambienti surrogati”: questi “non alleviano il problema reale,
creano dipendenza psicologica al loro antidoto”.83
L’accettazione di una nuova complessità acustica porterà inevitabilmente ad
un’evoluzione della musica stessa e della sua sintassi.
La musica di una nuova complessità che io auspico trova radici nei contesti
unici del mondo reale. Questi ultimi comprendono gli attributi fisici (spazio e
tempo, acustica, ambiente), le situazioni sociali (gli individui, le istituzioni e le
eredità culturali) e le realtà psicologiche (emozioni, archetipi, immaginario,
metafore, miti e simboli). La composizione e l’esecuzione di una musica di una
nuova complessità non può esistere senza un suo radicamento in tutti questi
aspetti della realtà. In gran parte della musica d’oggi, i riferimenti al mondo
reale sembrano superficiali, aneddotici o dovuti a una moda passeggera. Il
nostro primo compito è di riconoscere la legittimità che il processo compositivo
sia profondamente influenzato da questi rapporti, in modo che potrebbero
mutare la nostra concezione stessa di cos’è la musica e come funziona.
L’insegnamento accademico della composizione e dell’esecuzione dovrà
cambiare mentalità perché ciò accada. L’altra sfida è quella di equilibrare la
complessità esterna con quella dei rapporti interni. Tracciare una sull’altra è
insufficiente, come lo è subordinare una all’altra. Il particolare deve riflettere il
generale e viceversa. Questo movimento simultaneo verso l’interno e verso
82 Ibidem, p. 381. Traduzione a cura dello scrivente83 Ibidem, p. 382. Traduzione a cura dello scrivente
46
l’esterno offre la possibilità di integrare suono e struttura ove siano inscindibili,
ma può anche portare alla reintegrazione di musica e contesto, di compositore e
fruitore.84
84 Truax, Barry – La complessità interna ed esterna della musica – in Musica/Realtà,
1994 15 43, p. 153
47
3. MUSICA A 360°. “Foto-musica con foto-suoni”® di Riccardo Piacentini
3.1 Musica nel contesto. Alla conquista dell’identità
John Cage ha introdotto un termine interessante per definire l’influenza del
compositore sulla sua opera artistica: “musica della contingenza”85
. Il compositore,
secondo Cage, è necessario allo sviluppo della composizione poiché è lui stesso a
scegliere quali elementi utilizzare. Questi elementi esistono già nell’ambiente, sono
elementi indipendenti dal suo intervento: il ruolo del compositore sta nell’ascoltarli,
nel selezionarli e nel dare ad essi una forma (in Cage si risolve in una “forma
aperta”).
Il problema della forma, nel definire l’influenza del compositore sul materiale,
era molto sentito anche da Pierre Boulez:
Boulez parla allora di “assorbire il caso” all’interno dei “campi di incontro”
[…]. Si tratta […] di ricorrere “ad una nuova nozione di sviluppo che sarebbe
sostanzialmente discontinua; ma di una discontinuità comunque prevedibile e
prevista”.86
Riccardo Piacentini, discutendo su quale atteggiamento un compositore
dovrebbe tenere nei confronti del materiale acustico, mi ha raccontato un breve
aneddoto a titolo esemplificativo: <<Comporre è come colpire una biglia, assestarle
85 vedi Kostelanetz, Richard, a cura di – John Cage. Lettera a uno sconosciuto –
Edizioni Socrates, Roma 1996, p. 6586 Albèra, Philippe – Modernità: la forma musicale – in Nattiez, Jean-Jacques (a cura
di) – Enciclopedia della Musica – Einaudi, p. 143
48
un colpetto e stare a vedere dove va a finire>>. In questa metafora è racchiuso, a mio
avviso, il fulcro dell’approccio contestuale alla musica: una semplice biglia sarà
influenzata nel suo moto dalla morfologia del terreno, dalla sua pendenza e dagli
ostacoli che incontrerà. Il compositore quindi determina una “direzionalità”,
applicando una sintassi al materiale acustico a sua disposizione (qualunque esso sia),
ma non può prevedere l’esito musicale della sua operazione fino a quando non si
porrà egli stesso come ascoltatore.
I “foto-suoni” (Piacentini li definisce metaforicamente come “fotografie dei
suoni d’ambiente quotidiani”, o anche “fotografie dei suoni trasmessi dall’aria che
respiriamo e che ascoltiamo”87
) non sono musica in sé: sono elementi paratattici che
il compositore ha a sua disposizione per comporre. Si tratta di moduli non più
riconducibili direttamente ai suoni di cui sono formati, determinati da altezze, durate,
dinamiche e timbri. Il “foto-suono” coinvolge modularmente una certa parte della
totalità acustica che viene selezionata dal compositore tramite una vera e propria
interazione (ascolto prospettico), mentre il concetto di suono (nella tradizione colta
occidentale) tende a perdere questa valenza modulare, poiché nell’organizzarlo il
compositore lo sintetizza ai minimi termini: questo tipo di astrazione fa parte di un
processo culturale legato alla società occidentale.
La stessa idea di silenzio, contrapposta all’idea di suono, ha radici molto
profonde nella nostra cultura. Potrebbe essere ricondotta ad una struttura mentale che
tende a ragionare dualisticamente: bianco o nero, giusto o sbagliato, Bene o Male.
87 Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
Il silenzio nella nostra cultura è assenza di suoni, una condizione che in realtà
non esiste, non può essere “ascoltata” da nessun essere vivente. L’astrazione che la
cultura ci porta a fare della totalità tende a separarci dall’abbondanza dell’ascolto e
dall’esperienza. La nostra natura assertiva ci rende spesso sordi all’ambiente: non ci
rendiamo conto che non esiste un “silenzio” uguale ad un altro. Il “silenzio” è il
respiro percettivo dell’ambiente, ovvero del contesto. In altre culture vi è molta più
sensibilità al contesto, anche in ambiti extramusicali: la Muraglia Cinese, una delle
opere più imponenti costruite dall’Uomo, rispecchia nel suo andamento la
conformazione del territorio, vi si adegua, vi si adatta.
I “foto-suoni” di Piacentini sono innanzitutto realtà prospettiche fissate,
elementi paratattici che il compositore organizza in una sintassi musicale. Questa
sintassi dispone le sue “unità” in una duplice relazione: relazione interna agli
elementi della paratassi, relazione esterna con gli eventi acustici del contesto di
implementazione. In questa seconda relazione sta l’aspetto più innovativo della
“foto-musica con foto-suoni”® di Piacentini. Diffondere in un ambiente una realtà
prospettica fissata porta l’ascoltatore ad avere un coinvolgimento maggiore nel
contesto d’implementazione del quale fa parte. Non si tratta solo di diffondere suoni
nell’ambiente: le “foto-musiche” utilizzano suoni colti a loro volta in un determinato
ambiente acustico. L’interazione tra lo spazio acustico del contesto, determinato dal
compositore nella fissazione della realtà prospettica, e lo spazio acustico del
contesto percepito dall’ascoltatore nell’ambiente di implementazione, determina
un’interpretazione di tipo intercontestuale.88
88 Con il termine intercontestualità mi rifaccio liberamente all’ intertestualità
descritta da Gérard Genette come “relazione di compresenza fra due o più testi”,
50
Denis Smalley, trattando l’ascolto musicale dei suoni registrati dei quali sia
possibile riconoscere il contesto originario (suoni aneddotici, secondo la
terminologia sviluppata in Francia da Luc Ferrari), aveva avanzato l’ipotesi di
un’interpretazione transcontestuale della musica.
Nel momento in cui i suoni raccolti dalle attività culturali o dalla natura sono
utilizzati come originariamente registrati, o quando le manipolazioni non
distruggono l’identità del contesto originario, l’ascoltatore può essere coinvolto
in un processo di interpretazione transcontestuale. Dovremmo quindi includervi
ogni evento acustico registrato in cui possiamo simultaneamente riconoscere
due (o più) contesti. […] Nei transcontesti [transcontexts] il compositore
presume che l’ascoltatore sia consapevole del doppio significato di una fonte. Il
primo significato deriva dal contesto originario dell’evento, naturale o culturale;
il secondo significato deriva dal nuovo contesto musicale, creato dal
compositore.89
Ciò che differenzia l’intercontestualità dalla transcontestualità descritta da
Smalley è la relazione con l’ambiente d’implementazione. Un’interpretazione
intercontestuale conduce l’ascoltatore a considerare lo stesso contesto
d’implementazione come parte integrante dell’esperienza musicale: il contesto, come
portatore di significato, assume la stessa dignità del testo. Spesso nelle
sonorizzazioni museali di Riccardo Piacentini vengono utilizzati “foto-suoni”
ovvero “la presenza effettiva di un testo in un altro”. Vedi Genette, Gérard –
Palinsesti. La letteratura al secondo grado – Einaudi, Torino 1997, p. 489 Smalley, Denis – The listening imagination: listening in the electroacustic era – in
Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge, London 1992,
p. 542. Traduzione a cura dello scrivente
51
prelevati dallo stesso museo per cui le sonorizzazioni sono state composte, siano esse
toniche, segnali o impronte sonore.90
Questo lavoro [la registrazione dei “foto-suoni”] ci permette di selezionare un
suono “contestualizzato” nell’istante in cui viene registrato nel suo ambiente,
ma “decontestualizzato” nel momento in cui a Torino viene sbobinato e inserito
nel computer, divenendo materiale sonoro che può essere utilizzato in musica. Il
primo aspetto della foto-musica è quindi la registrazione. Il secondo elemento è
sempre legato al concetto di ambiente, ma in modo diverso, perché il tipo di
composizione che viene fatto è concepito per tornare in un ambiente.
L’ambiente ritorna tramite un’altra strada, poiché tutto il materiale che viene
scelto da Riccardo [Piacentini] in collaborazione con Sandro [Cappelletto]
viene riutilizzato per costruire un altro ambiente…91
La definizione di musica fatta da Varèse, un sistema di “suoni organizzati”,
acquista nuovo significato quando si è disposti ad uscire da una determinata ottica
per osservare l’evoluzione dell’identità compositiva, evitando schemi mentali troppo
definiti. Ogni epoca musicale trova la sua chiave di lettura in una determinata
“prospettiva”, che mette di volta in volta il compositore in relazione con diverse
variabili: una tra le più importanti è determinata dal rapporto del compositore con la
tecnologia.
Sospetto che la nostra antica ammirazione per la tecnologia (“age-old
fascination with technology”) abbia molto a che vedere con l’interazione tra il
90 Vedi Schafer, R. Murray – Il paesaggio sonoro – BMG Ricordi, Roma 198591 Scandaletti, Tiziana; in Cappelletto, Sandro; Piacentini, Riccardo; Scandaletti,
Tiziana – Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15
settembre 2004, trascrizione e adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I,
p. 85
52
mondo interno ed esterno che essa rappresenta. La tecnologia è l’incarnazione
del sapere […], lo specchio della conoscenza umana. Siamo simultaneamente
portati ad essa e spaventati da cosa potremmo trovare; non sorprende che il
computer oggi provochi una così forte reazione ambivalente.
Il computer è un potente strumento di controllo della complessità. […] Il
problema del controllo riflette verosimilmente i nostri preconcetti, insieme alle
implicazioni psicologiche. Abbiamo bisogno del computer per controllare la
complessità, ma ci dispiace perdere il controllo su di essa.92
Questo rapporto, insieme alle condizioni socio-economiche e alle influenze
extra-musicali (letterarie, religiose, scientifiche, ecc.), è determinante nello sviluppo
di una identità compositiva, poiché tende ad esplicitare la strettissima sinergia tra il
pensare e il fare musica. L’identità compositiva si forma nello stretto rapporto del
compositore con l’ambiente, termine inteso nella sua accezione più vasta di “ciò che
sta attorno”.
La musica contestuale pone al centro della sua attenzione l’esperienza
dell’ambiente acustico nella sua complessità, aiutando il compositore a pensare la
propria attività come ad un moto bidirezionale, “centrifugo verso la società e
centripeto verso noi stessi”.93
92 Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and Outer
World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge,
London 1992, pp. 386-387. Traduzione a cura dello scrivente93 Piacentini, Riccardo – Musica contestuale – in “NC News”, gennaio 2002, Roma.
In Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
Seminario sulla “foto-musica con foto-suoni”® – Vigliano Biellese, 15 settembre 2004,
trascrizione ed adattamento a cura dello scrivente. Vedi Appendice I, pp. 78-79
54
La poetica della foto-musica ha radici ben salde nell’attitudine artigianale che
un artista dovrebbe sempre tenere presente. A tale proposito Piacentini mi ha
raccontato un curioso aneddoto su Stravinskij. Vedendo che sua moglie non
dipingeva da un po’ di tempo (era sposato con una pittrice), il compositore chiese per
quale motivo non riuscisse a lavorare: lei rispose che avrebbe ripreso a lavorare non
appena le fosse venuta l’ispirazione. Sembra che lui le abbia risposto: “Strano,
cara…a me l’ispirazione viene quando lavoro”. Questa semplice storiella,
raccontatami come un divertente pettegolezzo sulla vita privata di Stravinskij, porta
con sé una riflessione tutt’altro che banale sull’identità dell’artista. Per prima cosa
problematizza la stessa dimensione artistica: il contesto nel quale un compositore si
trova ad operare non è meta-sociale96
, ma è pragmaticamente legato alle relazioni
sociali, alle committenze, agli organici a disposizione, alla tecnologia, al materiale
acustico, alla finalità delle sue opere, alle influenze culturali, ecc. In secondo luogo,
ironizzando sul concetto d’ispirazione, mette in luce l’inattualità (e l’inutilità) della
concezione di artista come “essere illuminato da una forza soprannaturale”.
Piacentini utilizza la parola poetica nel dichiarare l’identità della foto-musica:
egli auspica in musica, contrapponendosi al concetto di musica pura, una
“concezione di servizio, applicazione, funzionalità”97
:
96 “ Che trascende la società” : vorrei sottolineare come la deificazione della figura
del compositore e, più in generale, dell’artista possa essere nociva agli artisti stessi97 Piacentini, Riccardo – Musica contestuale – in “NC News”, gennaio 2002, Roma.
In Piacentini, Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet
La “foto-musica con foto-suoni”® è legata indissolubilmente ad un certo
bagaglio tecnologico, dal quale si evidenzia il computer per la sua centralità. Il
computer, secondo il compositore canadese Barry Truax, permette di “cambiare il
processo di pensare con i suoni. Diviene un nuovo strumento per il pensiero
musicale, non soltanto per (creare) suoni nuovi”.104
La tecnologia attraversa
trasversalmente l’intero processo compositivo, in tutta la sua eterogeneità:
dall’appropriazione dei suoni, alla diffusione nell’ambiente per il quale la
composizione è stata pensata.
Un registratore e un microfono sono strumenti indispensabili per appropriarsi
dei suoni dell’ambiente. Considerato che il supporto sul quale andranno riversati è
digitale, i registratori DAT o i più economici minidisk (meno sensibili poiché hanno
un diverso sistema di compressione del suono) sono quanto di meglio il mercato
offra attualmente. A tale riguardo bisogna tener presente che le condizioni nelle quali
ci si trova ad operare non sono sempre le più agevoli: i “foto-suoni” registrati nel
mercato popolare di Tashkent,105
in Uzbekistan, o quelli prelevati nei pressi delle
Cascate del Niagara106
, in Canada, impongono l’utilizzo di una tecnologia portatile,
on the road; i suoni dei condizionatori d’aria di Palazzo Bricherasio107
, a Torino,
104Truax, Barry – Electroacustic Music and the Soundscape: The Inner and Outer
World – in Companion to Contemporary Musical Thought, volume 1, Routledge,
London 1992, p. 387. Traduzione a cura dello scrivente105 Utilizzati in Musiche dell’aurora , sonorizzazione dell’VIII Biennale
Internazionale di Fotografia106 Utilizzati in XXIV, opera commissionata dal Conservatorio di Rovigo107 Utilizzati in Arie Condizionate, sonorizzazione dell’IX Biennale Internazionale di
Fotografia
60
sono stati invece incisi con l’ausilio di un tecnico e di strumentazione
professionale.108
Il microfono varia, come il registratore, a seconda del contesto. Piacentini
preferisce, quando possibile, registrare senza farsi notare.
Tiziana Scandaletti: L’idea da cui parte la foto-musica è in realtà molto
semplice. Noi viaggiamo parecchio e come Duo Alterno è dal 1997 che
lavoriamo insieme studiando ed eseguendo in giro per il mondo il repertorio da
camera del Novecento italiano. Durante i viaggi Riccardo [Piacentini] continua
a registrare suoni: i suoni delle persone che camminano, i suoni dei treni, degli
autobus, i suoni dei risciò… Ci piace molto andare nei mercati popolari,
soprattutto nei paesi dove non esiste il concetto di supermercato, dove il
mercato è soprattutto un luogo di incontro…
Riccardo Piacentini: In queste situazioni registro con un DAT camuffato da
macchina fotografica… Vado con un microfono “a cimice”, di quelli che si
mimetizzano senza dare troppo nell’occhio, e l'apparenza è proprio quella di un
apparecchio fotografico, per cui la gente crede che io sia un turista o qualcosa
del genere… come quella volta in India in cui siamo entrati in una moschea e ci
hanno chiesto “Cameras?”…“Yes, two cameras!” ho risposto senza esitare. E
avrei potuto aggiungere: una con obiettivo, l’altra con microfono.
Tiziana Scandaletti: Le persone non si accorgono quasi mai di essere registrate.
Ci piace questa “clandestinità” nel cogliere furtivamente i suoni…109
108 L’elenco dei foto-suoni archiviati da Piacentini è disponibile in Piacentini,
Riccardo – “Foto-musica con foto-suoni”® – sito internet