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Facoltà di Psicologia 2 Corso di laurea in Scienze Psicologiche dello sviluppo dell'educazione e del benessere Prova Finale “Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile” Relatore: Prof.ssa Concetta Pastorelli Candidato: Annamaria Orsi matr.1253580 Anno Accademico 2010-2011
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Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

Mar 23, 2023

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Page 1: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

Facoltà di Psicologia 2

Corso di laurea in Scienze Psicologiche dello sviluppo dell'educazione e del benessere

Prova Finale

“Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile”

Relatore:

Prof.ssa Concetta Pastorelli

Candidato:

Annamaria Orsimatr.1253580

Anno Accademico2010-2011

Page 2: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

A mia cugina Chiara,che come tutti i bambini vuole giocare, vivere e amare

e mi permette ogni giorno di insegnarle come tradurlo al mondo.

Page 3: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

RINGRAZIAMENTI:

Un ringraziamento particolare alla prof.ssa Pastorelli che grazie alla sua vasta esperienza mi hapermesso di approfondire questo tema importante.Ai miei genitori che mi hanno permesso di crescere.A tutti i miei amici che sono e saranno sempre al mio fianco.A Carlo e Cecilia.

Page 4: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

Indice generaleCAPITOLO 1.......................................................................................................................................2

1.1 Breve introduzione storica....................................................................................................2

1.2 Definizione e criteri diagnostici............................................................................................4

1.3 scenario attuale......................................................................................................................7

CAPITOLO 2.......................................................................................................................................8

2.1 Modelli interpretativi clinici................................................................................................8

2.3 Funzionamento psicosociale...............................................................................................13

CAPITOLO 3.....................................................................................................................................16

3.1 ABA( Applied Behavior Analysis)......................................................................................21

3.1.1TERAPIA DI LOVAAS....................................................................................................22

3.1.2 VERBAL BEHAVIOR (VB)............................................................................................24

3.2 TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related Communication handicapped

CHildren) .................................................................................................................................26

3.3 PECS (Picture Exchange Communication System)............................................................29

3.4 PROGRAMMA EARLYBIRD...........................................................................................31

3.5 MODELLO DENVER........................................................................................................33

3.6 INTERVENTI DI FACILITAZIONE DELLE INTERAZIONI SOCIALI .......................36

3.7 Risultati delle ricerche empiriche........................................................................................37

CONCLUSIONI.................................................................................................................................40

CAPITOLO 1

Page 5: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

INTRODUZIONE

1.1 Breve introduzione storica

Prima del ventesimo secolo non esisteva il concetto clinico di autismo; tra i precursori della ricerca

di merito nel XIX° secolo, vi fu anche John Langdon Down (che nel 1862 scoprì la sindrome che

porta il suo nome) che aveva approfondito alcune manifestazioni cliniche che oggi verrebbero

classificate come autismo.

Il termine autismo deriva dal greco αὐτός (significa stesso), e fu inizialmente introdotto nel 1911

dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler, uno dei fondatori della psichiatria moderna, il quale

chiamava “chiusura autistica” la difficoltà di relazione sociale delle persone colpite da schizofrenia,

un altro dei termini introdotti dallo stesso Bleuler. I primi a ipotizzare l'esistenza di una “sindrome

autistica” furono Leo Kanner (Kanner, 1943), uno psichiatra che lavorava al Johns Hopkins

University Hospital di Baltimora negli Stati Uniti, e Hans Asperger ( Asperger, 1944), anch'egli

psichiatra che lavorava a Vienna. Nello stesso anno, Kanner pubblicò il suo primo articolo

sull'autismo “Disturbo autistico del contatto affettivo”(“ Autistic disturbance of affective contact”) e

Asperger consegnò la tesi di dottorato, dove propose l'esistenza della psicopatia autistica

(autistichen Psychopathen). I due non erano a conoscenza delle scoperte fatte dall'altro e la

convergenza, persino nel nome scelto per la nuova entità nosografica, sembra attribuibile agli scritti

di Bleuler che influenzarono il pensiero e il linguaggio di entrambi. L'articolo di Kanner,

pubblicato sulla nota rivista dell'epoca Nervous Child, porta la descrizione dei casi di 11 bambini di

età compresa tra i 2 e i 10 anni “che sembravano relazionarsi meglio con gli oggetti, piuttosto che

con le persone, aveva notato inoltre che il linguaggio, qualora si sviluppava, era caratterizzato da

ecolalia, scambio di pronomi e difficoltà di astrazione”(Pizzamiglio, Piccardi, Zotti, 2008, p. 56).

Nel suo articolo il pedopsichiatra valuta i sintomi simili che accomunano gli 11 bambini e propone

un elenco di nove caratteristiche fondamentali che dovrebbero definire la sindrome autistica: 1

peculiarità nelle relazioni sociali, 2 disturbi del linguaggio, 3 buone capacità di memoria e

apprendimento, 4 disturbi dell'alimentazione, 5 reazioni emotive eccessive, 6 aderenza alle routine,

7 buone relazioni con gli oggetti fisici, 8 impaccio motorio e 9 provenienza da genitori

intellettualmente dotati (Surian, 2002, p.8). Questo articolo è stato il primo tentantivo di spiegare

l'autismo da un punto di vista teorico ed è oggi il punto di riferimento per datare l'inizio delle

ricerche su questo disturbo. Nonostante l'acutezza con la quale era riuscito a cogliere alcuni segni

clinici caratteristici, Kanner ipotizzò erroneamente, probabilmente per la ristrettezza del campione,

che l'autismo fosse diffuso prevalentemente in famiglie di buona istruzione e livello professionale,

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che i bambini autistici presentassero normalità intellettiva, identificando la causa in una relazione

madre-bambino alterata. Quest'ultima erronea intuizione ha di fatto influenzato l'opinione riguardo

alle cause e al trattamento con il quale andava affrontata tale patologia. L'autismo fu considerato per

lungo tempo una prima manifestazione della schizofreniae indicato quindi come sindrome

schizofrenica dei bambini o psicosi infantile (Pizzamiglio, Piccardi, Zotti, 2008 p. 56). L'intuizione

di Kanner sulle cause psicogene dell'autismo, influenzò sicuramente l'impostazione e

l'interpretazione di Bettelheim (1956), il quale propose la teoria in cui si affermava che l'autismo

consisteva in un “disturbo della capacità di estendersi verso il mondo” e portò ad un “ grave errore

di valutazione” che condusse “a ritenere la “cattiva” relazione del bambino con una “madre

anaffettiva”, con una “madre frigorifero”, la causa dell’insorgere dell’autismo. In mancanza di

amore e affetto da parte dei genitori, il bambino si ritirava in una forma di isolamento che lo

proteggeva dalle influenze esterne. Ipotesi che è stata smentita nel corso di questi ultimi decenni ma

che ha portato a interventi “terapeutici” del tutto privi di fondamento: dall’allontanamento del

bambino dalla famiglia alle psicoterapie coatte alle madri o ai genitori, oppure a quelle psicoterapie

indiscriminate e generalizzate ai bambini,che sono state riconosciute poi, con troppo ritardo,

inefficaci e controproducenti. Tutti elementi, cioè, che hanno fatto pagare un “prezzo”

straordinariamente alto ai bambini con autismo, alle loro madri e padri, in questi ultimi 50

anni”(Narducci, 2004). A seguito di numerose ricerche in diversi ambiti, in particolare quello

neurologico, si è potuta abbandonare l'idea psicodinamica che l'autismo fosse una forma di psicosi

infantile.

Mano a mano che le informazioni fornite dalle osservazioni di Kanner sulla natura dell' autismo si

diffondevano, questa diagnosi venne utilizzata per un numero sempre maggiore di bambinie ci si

accorse che per quanto fosse appropriata avesse anche dei limiti all'aumentare dei bambini visitati.

Nel 1979 Lorna Wing e Judith Gould condussero una ricerca presso il London Borough di

Camberwell, esaminando tutti i bambini al di sotto dei 15 anni che presentavano una qualsiasi

disabilità fisica o di apprendimento, o un disturbo del comportamento lieve o severo. Analizzando i

risultati dei loro studi, esse furono in grado di individuare con esattezza la natura sociale di questa

disabilità e identificarono ciò che descrissero come la “triade autistica” di deficit:

1. deficit nell'interazione sociale;

2. deficit nella comunicazione sociale;

3. deficit nell'attività immaginativa sociale.

(Cumine, Leach, Stevenson, 2000, p.10)

Come sindrome a sé stante compare per la prima volta nel DSM III nel 1980, che lo inserisce nei

disturbi generalizzati dello sviluppo, e ciò segna il definitivo distacco dalla classificazione di

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schizofrenia infantile. Attualmente l'autismo è considerato, sia nel DSM IV (1994) sia nell'ICD 10

(1990) , un disturbo pervasivo dello sviluppo che si manifesta entro i tre anni con deficit nelle aree

della comunicazione, dell'interazione sociale e dell'immaginazione (Moderato, 2011). Lo studio

dello spettro autistico si è rivelato prezioso per l'approfondimento della neuropsicologia dei processi

mentali, i quali hanno reso a loro volta possibile la realizzazione di programmi educativi specifici

per ogni disturbo dello spettro autistico, e individualizzati, cioè realizzati in base ai punti di forza

(isole di abilità) e ai punti di debollezza di ogni soggetto (Pizzamiglio, Piccardi e Zotti, 2008)

1.2 Definizione e criteri diagnostici

Negli ultimi settant'anni il concetto di autismo ha subito non poche modificazioni nella sua

definizione, passando da Sindrome, che poteva variare lungo un continuum di gravità, ad uno

spettro di disturbi con manifestazioni sintomatologiche molto diverse tra loro. Quest'ultima visione

dell'autismo si rifà al modello proposto da Wing e Gould alla fine degli anni '70, il quale fu la prima

ipotesi dell'esistenza di uno spettro autistico che accomunava i soggetti con disturbo generalizzato

dello sviluppo, che comprende la sindrome disintegrativa della fanciullezza (DDF), la sindrome di

Rett (SR), l'autismo, il disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato (DGS-NAS)

e la sindrome di Asperger (SA). Negli utlimi anni si preferisce utilizzare al posto di disturbi

generalizzati dello sviluppo (DGS) il termine “disturbi dello spettro autistico” (DSA) proprio per

voler privilegiare gli aspetti che accomunano queste sindromi rispetto alle differenze. Non vi è

dubbio che tra i DSA, l'autismo sia quello più rappresentativo ed la sua enigmaticità ha scatenato

scatenato l'interesse, per oltre settant'anni, di tutta la comunità scientifica e di diverse discipline

come la psichiatria, la psicologia, la neurologia, la fisiologia, la genetica.

Freeman (1997) ha riassunto in modo efficace gli assunti su cui si basa l'attuale definizione di

autismo:

è una sindrome clinica (definita su base comportamentale), poiché non è stato ancora

identificato un elemento oggettivo che accomuni tutti i casi dal punto di vista biomedico e

perchè, come altre sindromi, si caratterizza in sottotipi diversi per eziologia e trattamento;

è un disturbo a spettro, che presuppone cioè un continuum di sintomi combinati in modo

anche molto diverso fra loro e con livelli di gravità differenti;

è una diagnosi in evoluzione perchè l'espressione dei sintomi varia a seconda dell'età e del

livello di sviluppo dell'individuo affetto dal disturbo;

è una diagnosi di tipo retrospettivo perchè richiede un'attenta ricostruzione dello sviluppo

dell'individuo dato che l'età di insorgenza e il tipo di manifestazioni variano da individuo a

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individuo;

è un disturbo ubiquitano poiché diffuso in tutto il mondo, in tutte le razze e in tutti i tipi di

famiglie;

si presenta spesso in associazione con altre sindromi, disordini specifici e disabilità dello

sviluppo. ( Zanobini, 2008)

Nello schema del DSM i sintomi dell'autismo sono divisi in tre aree:

1. interazione sociale,

2. comunicazione,

3. ristrettezza del repertorio di attività e interessi.

L'aspetto deviante più caratteristico dell'autismo è la mancanza di interazione sociale adeguata

all'età. Il deficit compromette la capacità di sviluppare durevoli relazioni sociali in cui trovare

conforto nei momenti di difficoltà o dolore. I bambini autistici manifestano scarso interesse per il

gioco sociale e per il condividere le esperienze, hanno scarsa consapevolezza dei sentimenti altrui e

permanenti difficoltà nello sviluppare amicizie. Il secondo deficit riguarda la comunicazione

verbale e non verbale. L'attività comunicativa nei casi più gravi è completamente assente, mentre in

altri casi può essere frequente, ma caratterizzata da messaggi non appropriati al contesto. I

comportamenti atipici che si possono osservare includono l'ecolalia (cioè la ripetizione letterale di

parole e frasi), la sostituzione dei pronomi personali “tu” e “io” , il contorno intonazionale

monotono e piatto, le espressioni facciali improprie, lo scarso contatto oculare, le difficoltà a

iniziare e continuare una conversazione. Il gesto d'indicazione è frequente ma solo con funzione

richiestiva; in altre parole, è usato per ottenere un oggetto o un'azione. La terza area di deficit

riguarda il repertorio di attività. Gli interessi sono molto limitati e ossessivamente rivolti verso un

argomento specifico. Il cambimento di routine quotidiane o di ambienti familiari provoca un'ansia

esagerata. Vi può essere un interesse molto accentuato per parti di oggetti o del corpo, mentre è

assente il gioco di finzione spontaneo. Sono frequenti le stereotipie motorie quali lo

“sfarfallamento” delle mani: il bambino si porta ripetutamente le mani ai lati della testa e le fa

oscillare, oppure muove le dita come se stesse “grattando o facendo il solletico” all'aria.

Le manifestazione dell autismo variano molto fra individui diversi (variabilità interindividuale) e in

momenti diversi della vita della stessa persona (variabilità intraindividuale).

Criterio diagnostico per l'autismo del DSM-IV(1994)

I. Primo punto. Per la diagnosi di autismo si prevede che una persona presenti almeno due dei

sintomi elencati nell'ambito del deficit della socializzazione, uno dei sintomi elencati

nell'area delle abilità comunicative e uno fra quelli che testimoniano un deficit nel repertorio

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di interesse o dell'immaginazione.

a. Deficit nell'interazione sociale (almeno due delle seguenti):

1) danno nei comportamenti non verbali che regolano l'interazione sociale

2) mancato sviluppo di appropriate relazioni con coetanei

3) mancanza di tentativi di condivisione di esperienze, piaceri e interessi

4) mancanza di reciprocità sociale ed emotiva

b. Deficit nella comunicazione (almeno uno dei seguenti):

1) ritardo o mancanza totale del linguaggio espressivo

2) danno nella capacità di iniziare o mantenere viva una conversazione

3) uso stereotipato e ripetitivo del linguaggio

4) mancanza di gioco di finzione e di imitazione tipico del livello evolutivo

c. Deficit negli interessi e nelle attività (almeno uno dei seguenti):

1) ambito di interessi anormale nel focus o nell'intensità

2) aderenza inflessibile a certe routine

3) manierismi motori

4) interesse persistente per parti di oggetti

II. Secondo punto. Ritardo o sviluppo anormale manifestato prima dei tre anni in almeno una

delle seguenti aree: interazione sociale, uso comunicativo del linguaggio, gioco di finzione.

III. Terzo punto. Il disturbo non soddisfa il criterio per la diagnosi di altri disturbi evolutivi quali

il disturbo di Rett o il disturbo disintegrativo.

(Surian, 2002 p.19)

1.3 scenario attuale

Secondo i dati epidemiologici del WHO (world health organization) la prevalenza dell'autismo può

variare considerevolmente a seconda di vari fattori (geografici, genetici, sociali, culturali,

diagnostici etc..). Una stima attendibile valuta un'incidenza da 1 a 6 bambini su 1000 della

popolazione. Si arriva così ad una stima dello 0,02-0,05% del disturbo autistico nella popolazione

generale, ciò rappresenta circa un terzo del totale dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. L'unico

parametro di prevalenza accertato è quello del sesso in quanto il rapporto tra bambini autistici e

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bambine autistiche è di circa 4:1. L'impatto sociale è cresciuto in modo considerevole al punto che

le Nazioni Unite hanno istituito da qualche anno la giornata mondiale dell'autismo.

Nonostante una crescente attenzione al fenomeno l'impatto in termini sociali è ancora molto alto al

punto che un'altissima percentuale di bambini autistici (dal 60 al 90%) possono diventare adulti non

autosufficienti e quindi bisognosi di cure continue per l'intera esistenza. La prognosi in generale è

molto severa; in particolare, per il disturbo autistico si stima che solo l'1-2% raggiungerà la

normalità mentre un 15-20% sarà in grado di vivere e lavorare all'interno della comunità con vari

gradi di indipendenza anche dalla famiglia. Il 25-30% mostrerà dei progressi ma avrà bisogno di

essere sostenuto e controllato, mentre gli altri rimarrano gravemente handicappati e totalmente

dipendenti. Anche se è risaputo che non esiste una cura definitiva ai fini della guarigione c'è forte

concordanza su alcuni metodi di prevenzione e cura quali: la diagnosi precoce, strumenti formativi

per i familiari e gli operatori sociali, terapie alimentari e metodologie terapeutiche alternative.

Secondo i maggiori studi sulla materia la diagnosi della patologia è praticabile entro i primi 3 anni

di vita del bambino ed avviene prevalentemente su segnalazione dei familiari o del pediatra.

Nonostante l'Italia presenti gli stessi valori di incidenza rispetto ai dati a livello mondiale, siamo

ancora molto indietro rispetto ai maggiori paesi occidentali in termini di accettazione sociale della

patologia e di sostegno terapeutico nell'ambito del servizio sanitario nazionale. Un dato che

testimonia questa forte discrepanza è l'attenzione rivolta al fenomeno da parte dei media ed in

particolare dell'industria cinematografica. Il film più famoso nonché antesignano della filmografia

mondiale sull'argomento è il celebre Rain Man girato negli stati uniti nel 1988, mentre la prima

pellicola italiana (La solitudine dei numeri primi) risale solo al 2010. lo stesso discorso si applica,

non a caso, sul fronte dei metodi terapeutici dal momento che alcune pratiche terapeutiche

consolidate in paesi come gli USA e la Gran Bretagna, sono solo agli albori nei nostri paesi.

Quest'ultima considerazione verrà affrontata in modo molto più completo all'interno del capitolo

terzo del presente documento.

CAPITOLO 2

MODELLI TEORICI E PROSPETTIVE DI RICERCA

2.1 Modelli interpretativi clinici

Negli ultimi decenni si sono fatti molti progressi nell'individuazione di anomalie cognitive e

neuropsicologiche associate con l'autismo, anche se manca ancora un modello concettuale coerente

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che metta in correlazione i vari deficit tra loro nonchè verso manifestazioni cliniche eterogenee.

Le ricerche sperimentali e i modelli teorici prevalenti concordano nel ritenere che l'autismo

implichi persistenti deficit neuropsicologici di base, cognitivi e socio-affettivi, che non sono una

mera conseguenza dello sviluppo sociale compromesso; permane tuttavia un'importante

controversia sulla loro speficità e universalità (Valeri, 2006). I tre principali modelli teorici

neuropsicologici sono:

1. Il deficit nella mentalizzazione (o nella Teoria della Mente – TdM): le più recenti teorie

hanno focalizzato l'attenzione sul deficit in una delle più importanti capacità umane, “quella

di leggere la mente dell'altro”. Nei bambini con sviluppo tipico , a partire dai quattro anni di

età, si forma la capacità di comprendere (in maniera implicita) che le altre persone sono

dotate di pensieri, convinzioni, intenzioni e desideri che guidano il loro comportamento. Nel

tentativo di spiegare cosa accade nell'autismo, la “teoria della mente” propone che proprio in

questa patologia tale capacità sia compromessa e che le persone affette da autismo non

sviluppino la facoltà di pensare la mente altrui risultando quindi svantaggiate nelle abilità

sociali, comunicative e immaginative. Questa descrizione delle difficoltà del bambino con

autismo nasce a seguito del noto esperimento di “Sally e Anne” messo a punto da Baron-

Cohen, Leslie e Frith nel 1985, utilizzando una versione semplificata nel compito di falsa

credenza ideato da Wimmer e Perner nel 1983.

2. Il deficit delle Funzioni Esecutive (FE): questa teoria nasce dall'ipotesi che i soggetti

autistici, avendo un deficit a livello dei lobi frontali, abbiano difficoltà di pianificazione,

flessibilità cognitiva e inibizione di risposte non appropriate. I lobi frontali, infatti, mediano

una serie di operazioni denominate Funzioni Esecutive che vengono definite da Ozonoff

come “la capacità di predisporre e mantenere una serie di soluzioni adeguate ed efficaci

finalizzate al raggiungimento di un obiettivo”( definizione ripresa da Luria nel 1966). Tali

funzioni includono: la pianificazione, il controllo degli impulsi, l'inibizione di risposte

preponderanti ma scorrette e inadeguate, l'apprendimento e il mantenimento in memoria di

schemi comportamentali adeguati a varie situazioni prototipiche, ricerca sistematica,

flessibilità di pensiero e di azione.

3. La Debolezza di Coerenza Centrale (DCC): coerenza centrale è un termine coniato da Uta

Frith (1989) per descrivere la capacità di integrare informazioni a differenti livelli di

percezione per determinare il significato globale di un'esperienza piuttosto che limitarsi a

memorizzare i singoli elementi. Frith propone che nell'autismo “l'elaborazione globale” del

significato sia inficiata a favore di una “elaborazione locale” che si focalizza sui singoli

dettagli. La teoria della “coerenza centrale” come spiegazione dell'autismo tenta di prendere

in considerazione e di prevedere sia i punti deboli che i punti di forza dell'autismo come

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hanno spiegato Shah e Frith nel 1993.

2.2 Basi biologiche dell'autismo ed eziopatogenesi

Esiste un insieme sempre crescente di evidenze, definito addirittura “schiacciante” da Francesca

Happè (1994), che attesta la presenza di cause organiche alla radice dell'autismo. Sebbene già

Kanner (1943) avesse accennato a un legame con il funzionamento biologico, fu solo con le

ricerche di Rutter (1978) che si esplicitò l'evidenza di una disfunzione organica del cervello nella

patologia autistica. Un quarto del campione di bambini autistici cha aveva partecipato alla ricerca

da lui condotta aveva sviluppato epilessia durante l'adolescenza e un terzo di essi presentava valori

di serotonina elevati; “un'ulteriore prova della causa organica dell'autismo si trova nell'associazione

tra ritardo mentale e autismo” (Cumine, Leach, Stevenson, 2005, p. 39). A eccezione dei bambini

con sindrome di Asperger, tre quarti dei bambini autistici presenta anche un ritardo intellettivo di

varia entità, ottenendo ai test di intelligenza prestazioni attestabili a un quoziente intellettivo uguale

o inferiore a 70. Le implicazioni di queste scoperte sono molto significative, sottolineando che, se

l'autismo è il risultato di un danno a carico di un'area o di più aree specifiche del cervello, cioè un

danno diffuso che porta anche a un generale ritardo intellettivo, probabilmente ciò può fornire

indicazioni concrete su quali aree cerebrali siano coinvolte nella genesi dell'autismo. Infatti secondo

le ricerche condotte, esiste una correlazione significativa tra ritardo mentale e autismo, espressa da

una probabilità più alta di autismo laddove esistono condizioni di ritardo cognitivo. Le attuali

conoscenze sulle determinanti biologiche del comportamento possono fornire chiarimenti fino a

poco tempo fa impensabili sulla relazione fra mente e cervello e fra disturbi dello sviluppo cerebrale

e disturbi delle funzioni psichiche. Vi è stato nel corso degli anni un interesse crescente per questa

patologia dalle caratteristiche comportamentali così peculiari e gli studi effettuati nel corso degli

ultimi vent'anni hanno cercato di individuare l'eziologia più probabile alla base di questo grave

disturbo dello sviluppo.

Lorna Wing (1981) sottolineò la presenza in molti casi di una grave sofferenza pre o perinatale,

evento che potrebbe aver causato un danno cerebrale in questi soggetti. Di contro Isabelle Rapin nel

1997 ipotizzò un cattivo funzionamento metabolico all'origine di questo disturbo. Ricerche in

ambito neurofarmacologico hanno studiato il funzionamento del sistema mesolimbico della

dopamina, dei sistemi oppioidi endogeni e della serotonina per cercare di spiegare l'evidente legame

tra autismo e disturbi dell'affettività. Studi che si sono avvalsi di una metodica di tomografia

computerizzata a emissione di singoli fotoni (SPECT), hanno evidenziato come nei pazienti affetti

da autismo vi sia un minore flusso cerebrale sanguigno durante lo svolgimento di alcuni compiti

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cognitivi, rispetto a gruppi di controllo senza alcuna patologia. La riduzione del flusso cerebrale è

stata riscontrata in varie aree cerebrali ed in particolare nel lobo temporale destro, nei lobi

occipitali, nel talamo e nei gangli della base. “Attualamente vi è un forte accordo sul fatto che la

causa dell'autismo sia da ricercare in fattori genetici. Fra le patologie neuropsichiatriche, l'autismo è

infatti il disturbo con la più alta probabilità ad essere ereditato: l'ereditarietà è stimata ad oltre il

90%. La modalità di trasmissione familiare è complessa e in molti casi non è attribuibile ad un gene

principale” (Pizzamiglio, Piccardi, Zotti, 2008, p.57). Tuttavia con l'avanzare degli anni e lo

sviluppo delle tecnologie genomiche si è potuto iniziare a dare un contributo forte sulle origini dei

disturbi dello spettro autistico. “I ricercatori hanno focalizzato i loro sforzi su specifici geni o

regioni genomiche, identificate attraverso studi di citogenetica o attraverso l'analisi dell'eziologia di

altre malattie dello sviluppo neurologico, come la sclerosi tuberosa, la sindrome di Rett, la sindrome

dell'X fragile, le quali condividono delle caratteristiche fenotipiche con l'autismo” (Pizzamiglio,

Piccardi, Zotti, 2008, p. 57). Di fondamentale importanza sono stati anche gli studi su famiglie con

figli affetti da disturbo autistico ed in particolare studi su gemelli sia omozigoti che dizigoti.

L.Surian cita, nel suo testo, le prove più convincenti riguardo il confronto tra fratelli gemelli identici

(monozigoti), i quali, derivano dalla fecondazione di un unico ovulo e condividono tutto il

patrimonio genetico, e fratelli non identici, generati dalla fecondazione di due ovuli diversi. Nei tre

studi a riguardo, riportati dall'autore, (Bailey et al., 1995; Folstein e Rutter, 1977; Steffenburg et al.,

1989) non si sono osservati casi di autismo nel gruppo dei fratelli gemelli dizigoti. Nel caso invece

dei fratelli monozigoti la situazione era radicalmente diversa. Folstein e Rutter hanno trovato il 37%

di fratelli affetti dalla stessa sindrome, Steffenburg e colleghi il 90%, Bailey e colleghi il 69%.

Come sottolinea Surian il peso di queste percentuali sottolineano il ruolo centrale del patrimonio

genetico nell'insorgere dell'autismo (Surian, 2002). “La maggior parte degli studi non è riuscita ad

identificare in modo inequivocabile dei loci specifici, anche se le regioni cromosomiche che

sembrano essere maggiormente implicate nell'autismo sono il braccio lungo dei cromosoma 7 , 2 e

15 . Vi è comunque un consenso generale sul fatto che la sindrome autistica sia determinata da

un'aberrazione genetica associata a disfunzioni cerebrali. Tra i disturbi dello sviluppo, sia di origine

genetica che neurologica o dismetabolica, l'autismo si differenzia nettamente. Infatti esso

compromette in modo prevalente l'aspetto relazionale- emotivo-sociale, rendendo molto peculiare il

comportamento di questi individui. La precocità del malfunzionamento cerebrale nei soggetti

autistici precluderebbe il meccanismo di innesco tra la dotazione genetica e le esperienze ambientali

le quali, non venendo analizzate come avviene nella normalità, compromettono in modo persistente

e duraturo la capacità di adattamento dell'individuo” (Pizzamiglio, Piccardi, Zotti, 2008, p. 58).

“Nello sviluppo normale la crescita del cervello procede dalle aree primarie senso-motorie, a quelle

parietali, frontali e temporali. Queste aree sono responsabili dell'organizzazione dell'orientamento

Page 14: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

spaziale, del linguaggio, dell'attenzione e fondamentali per l'organizzazione delle funzioni

esecutive. La maturazione della materia grigia, che avviene tramite apoptosi, si realizza prima nelle

aree ontogeneticamente più antiche per concludersi in quelle più recenti. La sequenza attraverso la

quale la corteccia matura, concorda con le pietre miliari rilevanti nello sviluppo cognitivo e

funzionale”(Pizzamiglio, Piccardi, Zotti, 2008, p.60).

Nel caso dell'autismo: come avviene la maturazione cerebrale?

“Studi post-mortem e misure della circonferenza della testa indicano chiaramente un aumento nel

volume corticale nell'autismo; in questa patologia tale incremento sembrerebbe seguire delle

modalità specifiche. Tra i 2 e i 3 anni il 90% dei bambini autistici presentano il volume della

sostanza grigia e bianca cerebrale, quello della sostanza bianca cerebellare anormalmente più

grande. Tra i 3 e i 4 anni è addirittura più grande del normale il volume dell'intero cervello e

sembrano esserci anomalie nello sviluppo cerebellare”(Pizzamiglio, Piccardi, Zotti, 2008, p.60).

Alcuni autori sostengono che l'aumento del volume della sostanza grigia potrebbe essere imputabile

ad anomalie nel normale processo di sviluppo, associate ai processi di apoptosi che prevedono la

morte programmata delle cellule e ai processi di mielinizzazione in diversi circuiti cerebrali. Si

discosta leggermente da queste conclusioni lo studio di Aylward et al. (2002) dove si era osservato

che la grandezza del cervello nei soggetti autistici di età compresa tra i 5 e i 12 anni non risultava

significativamente maggiore rispetto a quella dei normali, mettendo così in evidenza il seguente

modello: “il periodo della prima infanzia è caratterizzato da un eccessiva crescita, risultato di

anomalie nei processi di apoptosi e di mielinizzazione, seguita successivamente nella seconda

infanzia e adolescenza da un periodo in cui la crescita diventa più lenta in tutto il cervello”

(Pizzamiglio, Piccardi, Zotti, 2008, p. 61). Quello che risulta interessante indagare, nell'ambito di

questa patologia, è il legame che intercorre tra uno sviluppo anomalo del cervello e le

manifestazioni comportamentali caratteristiche presenti nei pazienti con autismo, ed è questo che

cercano di chiarire i numerosi studi neuropsicologici degli ultimi anni.

Le anomalie che si possono riscontrare in una patologia come quella autistica coinvolgono strutture

importanti del nostro encefalo come:

“l'amigdala, responsabile del modellamento di risposte comportamentali appropriate ad ogni

situazione (Sparks et al.,2002; Shumann et al.,2004);

l'ippocampo responsabile del trasferimento delle tracce mnestiche dalla memoria a breve

termine alla memoria a lungo temine (Shumann et al.,2004);

il corpo calloso (ginocchio, rostro e splenio) responsabile della connettività interemisferica.

Tra tutti gli studi fatti specificatamente su ognuna di queste strutture, è interessante soffermarsi sulla

Page 15: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

riflessione di Siegel et al. (1995) nella quale gli autori “hanno considerato responsabili dei

gravissimi problemi attentivi e percettivi di questi pazienti la ritardata maturazione metabolica della

corteccia prefrontale e delle regioni parietali e il ridotto metabolismo del cingolo prefrontale

anteriore. I pazienti con autismo infatti, mostrano un comportamento caratterizzato da un' anomala

eccitabilità di fronte a stimoli rilevanti e irrilevanti; da una scarsa capacità di selezionare lo stimolo

con un sistema di “filtraggio” che funziona con una modalità “o tutto o niente”; da disturbi delle

funzioni esecutive e nell'elaborazione di informazioni complesse; da comportamenti ristretti e

ripetitivi, che fungono da modalità compensatoria di fronte alla difficoltà di percepire le

caratteristiche salienti degli stimoli e quindi di adattarsi all'ambiente. Questa sitomatologia è stata

successivamente interpretata da Belmonte et al. (2004) e da Baron- Choen e Belomonte (2005)

come un deficit nello sviluppo della connettività cerebrale. Un altro contributo importante è stato

quello di McAlonan et al. (2004) per ciò che riguarda i deficit nella funzione esecutiva, così come

l'attuazione di comportamenti ossessivo-ripetitivi-ritualistici. I ricercatori hanno utilizzato la tecnica

della risonanza magnetica su 17 soggetti autistici con un QI>80 e li hanno confrontati con un

gruppo di coetanei normali. “ È stato così individuato che i ragazzi affetti da autismo presentavano

un ipermetabolismo del lobo frontale. Tali alterazioni erano correlate sia con le prestazioni verbali e

i deficit delle funzioni esecutive che con i comportamenti stereotipati, ossessivi e ritualistici. In uno

studio precedente, McAlonan et al. (2002) ricollegavano le problematiche riguardanti la ricezione e

l'elaborazione dell'informazione, e di conseguenza la difficoltà ad esprimere reazioni emozionali

nell'interazione sociale e nella comunicazione interpersonale, alla riduzione delle fibre di

connessione del solco temporale superiore con le aree limbiche e paralimbiche”(Pizzamiglio,

Piccardi, Zotti, 2008, p.63).

Waiter et al. (2004) misero in realazione i deficit nella cognizione sociale, la relativa capacità di

attenzione condivisa, di imitazione, di riconoscimento di volti e quindi di comprensione degli stati

mentali degli altri, con le anomalie di maturazione della sostanza grigia nell'emisfero cerebrale

anteriore di sinistra e nell'emisfero cerebrale posteriore di destra, così come alle anomalie nel

sistema limbico e nel circuito cerebello-talamico-corticale. I disturbi nella capacità di empatizzare

con le altre persone furono collegati da Baron-Cohen (2006) alle anomalie dell'amigdala e alle sue

alterate connessioni con il solco temporale superiore e la corteccia orbito frontale mediale,

considerate il complesso sistema della capacità di empatizzare. Attraverso altri studi di anomalie nel

solco temporale superiore che si sono osservate in soggetti autistici si è confermato il fatto che “ il

giro temporale superiore è un'area multimodale che raccoglie afferenze provenienti dalle aree di

associazione secondarie ed altre aree polimodali (corteccia parietale, prefrontale limbica e regioni

paralimbiche), ed è ritenuta un'area strategica del “cervello sociale”.

Page 16: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

2.3 Funzionamento psicosociale

“ Da parte sua non c'era alcun legame affettivo con le persone. Si comportava come se le persone in

quanto tali non esistessero. Non faceva nessuna differenza il fatto di rivolgersi a lui in modo

amichevole oppure aspro. Non guardava mai la gente in faccia. Quando doveva avere qualche

rapporto con le persone, le trattava, o meglio trattava parti di esse, come se fossero degli oggetti”

(descrizione di Paul, 5 anni, effettuata da Kanner e ripresa in Tustin, 1990; p.2 della tr.it.).

Questo esempio di un caso rende chiaro come l'autismo sia probabilmente una delle manifestazioni

più gravi che colpisce il bambino nella sua capacità di comunicare, di interagire e di creare relazioni

con il mondo esterno. In passato la chiusura che caratterizzava i comportamenti di molti bambini

autistici, per il suo carattere enigmatico, veniva interpretata in maniera errata, come un isolamento

volontario e “l'assenza del linguaggio come un rifiuto dello stesso, piuttosto che come un disordine

derivante dal mancato sviluppo o dalla devianza di una linea evolutiva”. Tra le maggiori limitazioni

relative alla sindrome autistica, la comunicazione costituisce di sicuro un forte impedimento o, in

casi meno gravi, una riduzione della capacità di socializzazione e di integrazione dei normali

processi di vita (la scuola, il lavoro, lo sport, ecc...)”(Zanobini, 1995, p.15).

Berti e Bombi (2005)espongono in maniera esaustiva lo sviluppo sociale tipico dei bambini,

sostenendo che “i bambini sono orientati sin dalla nascita all'interazione con gli altri esseri umani”

e che, seguendo la teoria più celebre sullo sviluppo dei legami affettivi dello psichiatra britannico

John Bowlby (1907-1990), “ gli esseri umani, assieme agli altri mammiferi e diverse specie di

uccelli, hanno una tendenza innata a cercare la vicinanza e il contatto di uno o più individui”. Nel

primo anno di vita i rapporti con i coetanei restano “ infruttuosi” perchè è più facile che un infante

interagisca con un adulto piuttosto che con un altro infante. Già dal secondo anno invece, si

presentano più occasioni per un'”apertura sociale” e la competenza interattiva inizia a crescere

rapidamente: “ a questa età due bambini sono capaci di imitarsi l'un l'altro ed effettuano con

successo crescente interazioni complementari”(Camaioni, Baumgartner e Pascucci 1988). Questo è

uno dei processi che, secondo due noti autori come Meltzoff e Gopnik (1993), risulta compromesso

nell autismo, cioè l'imitazione e in particolare l'imitazione delle espressioni del volto. Dalle

descrizioni retrospettive di alcuni genitori, riportate da autori come Tustin (1990), scopriamo che i

bambini autistici già molto piccoli amano stare da soli per ore, quasi in controtendenza a quello che

dovrebbe essere la tendenza naturale ad aprirsi verso l'altro. Si può ipotizzare che i primi problemi

si verificherebbero sin dalle primissime forme di relazione, in particolare nella diade madre-

bambino come è stato ipotizzato da numerosi autori (Kanner, 1943; Bettelheim, 1956). Ma questa

evidenza non deve essere però confusa con la spiegazione di questa patologia come sostengono

Page 17: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

Sauvage, Hameury, Lenoir, Adrien, Perrot Beaugerie e Barthelemy (1989). “ Le attuali tendenze in

psicologia dello sviluppo infatti (Camaioni, 1993) mettono in risalto il ruolo attivo del bambino fin

dalle prime forme di interazione sociale. Trevarthen, basandosi sulle sue osservazioni sui bambini

molto piccoli, ritiene che l'autismo sia una disfunzione degli scambi emotivi fra madre e bambino,

ma mette l'accento sulla complessità dell'organizzazione emotiva dei bambini piccoli e sulla sua

fragilità come possibile punto di partenza di relazioni autistiche. Secondo l'autore, l'interazione è

reciprocamente condizionata e la patologia della comunicazione coinvolge entrambi i componenti

della diade. Bruner e Feldman (1993) parlano di un “ disturbo affettivo primario che interessa la

comprensione intuitiva e sintonica che il lattante ha dei sentimenti materni” (Zanobini, 1995, pp.88-

89). Un'ulteriore proposta fatta da altri autori (Hobson,1991) ispirati a Kanner (1943) , che descrive

l'autismo come “ un disturbo del contatto affettivo”, sostiene invece che le teorie cognitive prese in

esame fin ora, in particolare la compromissione della teoria della mente non tengano

sufficientemente in considerazione il ruolo delle emozioni (Cumine, Leach, Stevenson, 2005). Tra

gli autori di spicco che sostengono questo tipo di prospettiva chiamata anche “Teoria della relazione

Interpersonale o Intersoggettività” troviamo Hobson (1993) il quale sostiene che in generale “ i

bambini apprendano sviluppando non solo una propria teoria della mente, ma che acquisiscano la

conoscenza dei processi mentali altrui attraverso le loro esperienze intersoggettive. Secondo

Hobson i neonati nascono con la innata predisposizione a mettersi in relazione attraverso

l'espressione di emozioni, una capacità di rispondere in modo spontaneo con il loro vissuto

sentimentale ai sentimenti, alle espressioni, ai gesti, e alle azioni delle persone attorno a loro.

Queste capacità sono biologicamente “pre-costituite” e determinano la percezione diretta delle

emozioni e degli atteggiamenti altrui consentendo di iniziare a sviluppare la consapevolezza che gli

altri sono esseri separati dal soggetto, dotati di sentimenti, pensieri, convinzioni e atteggiamenti

propri. Lo sviluppo dei concetti di “ se stesso” e “altro”, la capacità di condividere e/o differenziarsi

nei sentimenti, pensieri, credenze e atteggiamenti è un presupposto indispensabile per uno sviluppo

e un funzionamento efficaci della teoria della mente. Secondo Hobson “capire la mente significa

anche capire la natura dei sé dotati di mente”(Cumine, Leach, Stevenson, 2005, p.47). Mancando ai

soggetti autistici un contatto intersoggettivo, appunto, essi sono impossibilitati a conoscere le

persone e i loro stati psicologici. I problemi relazionali, essendo al centro nell'elencazione dei criteri

diagnostici, rimane centrale anche durante tutta la vita delle persone con autismo a tal punto che si

parla a volte di una totale indifferenza verso la presenza di persone anche molto familiari. Da

ricerche sull'attaccamento è emerso come i bambini autistici non mostrino preferenze per la persona

che li accudisce rispetto a una persona estranea.

Surian e Frith (1993) sottolineano come i disturbi di socializzazione siano globali e investano sfere

come la capacità di fare amicizie e di cercare conforto nelle persone familiari. Hobson (1993)

Page 18: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

descrive efficacemente il caso di un giovane con sindrome di Asperger, con ottime abilità cognitive

in alcuni settori, il quale non riusciva, pur con sforzi notevoli propri e altrui, a capire il significato

della parola “amico”. L'autore spiega tale fenomeno proprio a partire dal modo in cui normalmente

si formano concetti di tale natura: non c'è infatti nessun tipo di spiegazione esterna del fenomeno o

di osservazione del comportamento altrui che possa compensare la mancanza dell'esperienza

personale di sentirsi amico con qualcuno e di vivere direttamente l'esperienza di amicizia (Zanobini,

1995).

CAPITOLO 3

L'INTERVENTO

Come accennato nel capitolo introduttivo, l'eziologia della sindrome autistica e le manifestazioni

fenotipiche sono molto eterogenee rispetto a quelle di altri disturbi e le cause dei DSA non sono

univocamente determinabili, pertanto anche le forme di intervento risentono di questa eterogeneità.

Per tale ragione nella letteratura corrente costituita da decine di studi di ricerca ufficiali, la

classificazione degli effetti delle diverse terapie risente di un relativismo che oscilla tra una

Page 19: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

ragionevole certezza sull'efficacia di un trattamento fino ad una evidente assenza di effetti di un

altro trattamento. Più in particolare diversi studi citano testualmente classificazioni come

“probabilmente utili” piuttosto che “di utilità discutibile”. Diversa invece è la questione inerente la

combinazione dei diversi trattamenti, dal momento che si va a incidere su discipline molto diverse

fra loro quali la dietologia, la farmacologia, la psicoterapia e la psicopedagogia.

Nel momento in cui ad una coppia di genitori viene confermata la diagnosi di un disturbo pervasivo

dello sviluppo del proprio figlio, si manifestano diversi stati o emozioni come come dolore, paura,

impotenza, smarrimento, incertezza, ansia e altri forti interrogativi riguardanti il futuro del proprio

bambino. Quando poi occorre comprendere come interagire piuttosto che come scegliere il

trattamento da applicare, tutta questa incertezza aumenta ulteriormente. Ci sono alcuni principi-

guida che secondo Vivanti sono fondamentali per creare un legame con un bambino autistico. In

primo luogo è fondamentale imparare a leggere la realtà del bambino dal suo punto di vista senza

pensare egocentricamente che lui dovrà adeguarsi alla nostra visione; in secondo luogo occorrerà

individuare il programma di intervento specifico per ogni bambino evitando banali generalizzazioni

che porterebbe risultati di dubbia efficacia. Riguardo al primo punto, sappiamo bene quanto sia

stato scritto riguardo le difficoltà che i bambini con autismo hanno nel comprendere i pensieri, le

emozioni, le intenzioni e il punto di vista degli altri ma niente, o quasi, si sa sulla stessa cecità

mentale che potrebbe avere un operatore che interagisce con quel bambino. Diventa quindi

fondamentale in questo contesto che colui che vuole aiutare un bambino con tali difficoltà, si

prepari a documentarsi, ad osservare e a cercare umilmente di capire il mondo di quel bambino,

grazie anche ai numerosi studi e alle testimonianze dirette di persone affette da questa sindrome.

Infatti l'autore si chiede cosa renda una persona disabile, i sintomi che presenta o il fatto che noi non

riusciamo a interagire con lui perchè non ne siamo in grado? Questo per dire che un intervento

efficace dovrà prendere in considerazione ed eventualmente modificare le variabili ambientali che

concorrono a scatenare o a mantenere comportamenti maladattivi e disfunzionali. Bisogna quindi

abbandonare l'attenzione sulla “modificazione del soggetto” ma “dobbiamo sforzarci di modificare

l'ambiente in cui si trova il soggetto rendendolo più accessibile e fruibile”. Nell'autismo una

modificazione mirata dell'ambiente in cui si trova il soggetto è una delle chiavi per massimizzare le

sue potenzialità” (Vivanti, 2006).

“ Un mondo in cui la gente ci parla continuamente come se capissimo e invece non capiamo, in cui

non sappiamo mai cosa sta per succedere, in cui le cose accadono in modo caotico, senza un ordine,

senza prevedibilità, in cui la nostra attenzione è catturata e assorbita da oggetti che ruotano,

dall'acqua che scorre, da un ventilatore anziché dallo sguardo delle persone, dove la voce di chi ci

parla si trasforma in un rumore assordante e la consistenza dei vestiti è una tortura per la pelle, dove

Page 20: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

gli altri giocano un ruolo dalle regole incomprensibili e dove niente è chiaro, e vogliono a tutti i

costi che partecipiamo anche noi al gioco, anche se non sappiamo dove guardare, come muoverci,

qual'è la cosa giusta da dire o da fare; un mondo dove, se il nostro oggetto preferito è messo su uno

scaffale alto, non siamo in grado di chiedere a un adulto di prendercelo e possiamo solo provare ad

arrampicarci senza riuscire a raggiungerlo, un mondo dove, se abbiamo il mal di denti, non

possiamo comunicarlo e ci teniamo il mal di denti soffrendo terribilmente fino a quando qualcuno

lo capisce... un mondo in cui le cose sono frammentate e non riusciamo ad integrarle in un

significato coerente...” (Vivanti, 2006, p.2). Questi secondo l'autore sono solo alcune delle vaghe

informazioni su come le persone con autismo esperiscano il mondo ma bisogna tenerne conto per

un aiuto che sia realmente valido.

Il secondo principio-guida riguarda l'individualizzazione del programma di intervento, che è

fondamentale per qualsiasi programma cognitivo-comportamentale. L'aspetto fondamentale deve

rimanere il fatto che non si può delineare un piano sulla diagnosi di autismo in generale perchè,

come sappiamo, andremmo a riunire persone con sintomatologie molto diverse ma bisogna

intervenire sui singoli soggetti ognuno nel suo quadro, nei suoi punti deboli e punti di forza. Non a

caso l'autismo è definito come un disturbo pervasivo, cioè che compromette il funzionamento

globale del soggetto, e non a caso la stessa “pervasività” dovrà caratterizzare l'intervento che

andremo a proporre. Deve essere chiaro inoltre che non esistono “ricette universali”,

consapevolezza ancora non diffusa in Italia, nè “scorciatoie” nella formazione di un piano di

intervento specifico (Vivanti, 2006).

Premessa necessaria per l'intervento è il processo di valutazione multidimensionale ossia, a seguito

della conferma diagnostica di un disturbo pervasivo dello sviluppo, deve esserci una valutazione

dimensionale altrettanto “pervasiva” per fornire un quadro chiaro del funzionamento del soggetto in

molteplici aree di sviluppo. Detto che “è necessario costruire l'intervento intorno al bambino, e non

intorno alla sua diagnosi”, non si può pertanto “predisporre un intervento senza basarsi sul profilo

emerso da una valutazione che indaghi tutte le aree chiave di funzionamento del soggetto” (Vivanti,

2006, p.3). Come spiegano Klin e coll. (1997) e Siegel (2003) l'obiettivo principale del processo di

valutazione è quello di fornire un profilo individuale dello sviluppo del soggetto che definisca con

precisione i suoi punti di forza e i suoi punti deboli nelle differenti aree. Affinchè venga perseguito

il fine ultimo, cioè la predisposizione di un intervento individualizzato per il singolo soggetto, è

necessario che il processo di valutazione risponda ad alcuni requisiti fondamentali:

è necessario un approccio omnicomprensivo e olistico per indagare le diverse aree e le

interrelazioni tra queste;

è necessario fare riferimento ad una prospettiva evolutiva che ci aiuti a valutare quale sia la

Page 21: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

devianza o il ritardo nelle prestazioni che distingue il bambino con autismo da un coetaneo

con sviluppo tipico. “il riferimento alle tappe dello sviluppo tipico rappresenta la cornice in

cui inquadrare le anomalie qualitative e quantitative dello sviluppo dei soggetti con

autismo”;

è necessario tenere in considerazione il profilo di sviluppo disarmonico che tipicamente

caratterizza i soggetti con autismo. Questa eterogeneità clinica che caratterizza i soggetti con

DGS e che può essere data da una sintomatologia più o meno grave, da un diverso livello di

compromissione cognitiva o del linguaggio, o dalla comorbilità con altri disturbi psichici, è

una forte limitazione per una giusta valutazione e per disegnare una “mappa” di intervento

precoce (Valeri, 2007). “Data la presenza di tali disarmonie, è fondamentale non

generalizzare le competenze del soggetto a partire da singole prestazioni in una determinata

area;

è necessario considerare la funzionalità del processo di valutazione perchè da esso deve

emergere una delineazione precisa delle sue risorse e dei suoi punti deboli e come essi si

riflettono nei diversi contesti della sua quotidianità;

è necessario non sottovalutare le caratteristiche delle persone con autismo in diverse

circostanze come nelle somministrazioni di test che a loro potrebbero risultare di non facile

comprensione;

è importante valutare le abilità del soggetto in diversi settings che siano essi più o meno

strutturati, perchè questo potrà influire sulla prestazione del soggetto. “Il principio della

variabilità del setting ci consente di valutare l'impatto che i deficit di base dell'autismo

hanno nei diversi contesti. E di comprendere sia le potenzilità (…) sia i punti deboli che

possono non emergere nelle situazioni artificiose e strutturate tipiche dei test” (Vivanti,

2006, p.4). Non si può tralasciare inoltre il ruolo di primo piano che i genitori hanno

nell'assessment, nel riferire comportamenti che potrebbero non emergere durante la

valutazione e la storia evolutiva del soggetto e della sua patologia.

Il panorama degli interventi che vengono proposti oggi alle famiglie che si trovano ad affrontare

questa grave diagnosi è molto ampio ed estremamente confuso; le informazioni che si hanno a

riguardo sono ancora scarse e non tutti i metodi hanno valide evidenze scientifiche. Diventa però

necessario potersi orientare nella sempre più vasta “offerta” di metodi terapeutici.“negli ultimi anni,

insieme all'emergere di una gamma sempre più vasta di teorie che cercano di spiegare l'autismo, si

assiste a un importante incremento nella quantità e nella serie di metodiche d'intervento

precoce”(Cumine, Leach, Stevenson, 2005, p. 55).Ci si trova davanti ad una vera e propria

“giungla” di interventi che vanno da diete alimentari, a interventi di comunicazione facilitata,

interventi in camera iperbarica fino ai metodi fondati sulla pet terapy. Non tutte queste metodiche

Page 22: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

sono state concepite specificatamente per l'autismo alcune sono degli adattamenti di interventi

rivolti a soggetti con problematiche differenti. “nelle linee guida redatte nel 2005 dalla SINPIA

(Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile e dell'Adolescenza) si sottolinea l'importanza di

realizzare interventi intensivi e precoci di tipo psicoeducativo”(Moderato, 2011 p.57). Un progetto

terapeutico dovrà necessariamente nei prossimi anni essere multimodale, individualizzato e a lungo

termine. I dati epidemiologici evidenziano l'elevata prevalenza dei DGS (DGS, traduzione italiana

dell'espressione inglese Pervasive Developmental Disorders), e le ricerche più recenti, ispirate dalle

neuroscienze dello sviluppo, sembrano indicare la possibilità che un intervento precoce e mirato

possa avere un valore preventivo, interrompedno il processo patologico, neurobiologico e

psicologico che altrimenti conduce all'organizzazione mentale atipica che chiamiamo

autismo”(Valeri, 2010, p.267). Gli approcci più seguiti si rifanno principalmente a due premesse

fondamentali : una in cui l'autismo viene considerato una difficoltà a base biologica dove i fattori

responsabili sono le disfunzioni organiche cerebrali, l'epilessia, problemi di vista o di udito e in

seguito a ciò viene proposto un intervento farmacologico o di modificazione della dieta (ne è un

esempio l'”Opiod Excess Theory”; secondo altri approcci, invece, la premessa fondamentale è

quella comportamentale “secondo cui ogni comportamento è appreso e perciò può essere modificato

prima plasmando e poi premiando i comportamenti ritenuti desiderabili in associazione all'uso di

rinforzi negativi per i comportamenti problematici (ne è esempio l'Applied Behavioural Analysis di

Lovaas)” (Cumine, Leach, Stevenson, 2005, p.55). Bisogna tener presente che nessuno degli

approcci insiti in queste premesse si è distinto per la sua efficacia e , seppur apportino notevoli

miglioramenti nella funzionalità del bambino, nessuna di esse può essere considerato ancora una

cura vera e propria (Cumine, Leach, Stevenson, 2005)

Rassegna dei metodi di intervento

Può risultare utile per orientarsi meglio o per avere anche solo un'idea riassuntiva dei metodi di

intervento consultare la mappa, riportata da Valeri, tratta dall'edizione italiana di Clinical Evidence

(2006;riportato online, in italiano sul sito del ministero della Salute, nel luglio 2008) che prende in

considerazione l'efficacia di diversi trattamenti (va considerato inoltre che in media una persona con

autismo effettua contemporaneamente tra i 4 e i 7 interventi).

Gli interventi sono stati distinti in:

1. interventi multidisciplinari intensivi precoci;

Page 23: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

2. trattamenti farmacologici;

3. interventi dietetici;

4. trattamenti non farmacologici.

Ciascun intervento terapeutico è valutato come “Utile”, “Probabilmente utile”, “Di utilità non

determinata”, “Da valutare caso per caso”, “Di utilità discutibile”, in base alla significatività degli

studi sulla efficacia.

1. Interventi multidisciplinari precoci

a) Probabilmente utili:

- analisi comportamentale applicata (Applied Behavioral Analysis, ABA)

- Child's Talk;

- PECS (Picture Exchange Communication System);

- programma di Hanen (More than Words);

- programma prescolare (Autism Pre-school Programme)

- TEACCH (Treatment and Education of Autistic and related Communication handicapped

Children).

b) Di utilità non determinata:

- Early Bird Programme;

- Floor Time;

- Relationship Development Intervention (RDI);

- metodo Portage;

- Social Skills Training;

- storie sociali;

- metodo Son-Rise.

2. Trattamenti farmacologici

a) Probabilmente utili:

- metilfenidato ( per l'iperattività).

b) Di utilità non determinata:

- immunoglobuline;

- memantina.

c) Da valutare caso per caso:

- risperidone;

- SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina.

d) Di utilità discutibile:

- secretine.

3. Interventi dietetici

Page 24: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

a) Di utilità non determinata:

- dieta priva di glutine e caseina;

- enzimi digestivi;

- omega 3 (olio di pesce);

- probiotici;

- vitamina A;

- vitamina B6 più magnesio;

- vitamina C.

4. Trattamenti non farmacologici

a) Di utilità non determinata:

- Auditory Integration Training (AIT);

- Sensory Integration Training (SIT);

- terapia chelante.

Dando anche solo un'occhiata veloce a questo schema appare subito chiaro come non ci sia ancora ,

come ho annunciato in precedenza, un metodo la cui efficacia prevalga sugli altri, ossia non esiste

ancora un trattamento “Utile” per eccellenza ma molti “Probabilmente utili”.

3.1 ABA( Applied Behavior Analysis)

Con questa sigla si fa rimento all'approccio comportamentale più conosciuto nell'ambito

dell'educazione di persone con autismo. Le due tecniche considerate oggi più efficaci che fanno

riferimento a questa linea teorica sono: il modello Lovaas o Early Intensive Behavioural

Intervention (EIBI) e il Verbal Behavior.

3.1.1TERAPIA DI LOVAAS

Rifacendosi a qualche nozione storica, negli anni '70-80, all'interno del Young Autism Project,

realizzato negli USA, Lovaas e i suoi colleghi applicarono tecniche comportamentali su un gruppo

di 59 bambini affetti da autismo, in un primo tempo solo in un contesto scolastico e in seguito a

casa in un programma intensivo di trattamenti con il coinvolgimento anche dei genitori. Lovaas

evidenzia quanto sia fondamentale che i trattamenti inizino il più presto possibile e riferisce che il

periodo ideale si situa entro il compimento del quarantaduesimo mese di età. Gli autori che si sono

Page 25: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

adoperati per lo sviluppo di questo metodo (Lovaas,Calouri, Jada1989;Maurice, Green, Luce 1996)

partivano dal presupposto che nelle forme gravi di sviluppo atipico, come l'autismo, la capacità che

viene alterata maggiormente è quella di apprendimento.

Obiettivi

Il metodo si pone, a partire dall'insegnamento di abilità fondamentali come il sedersi e il rispondere

a semplici comandi, di sviluppare il linguaggio, incrementare il comportamento sociale,

promuovere il gioco cooperativo, diminuire i rituali, gli scoppi di rabbia e i comportamenti

aggressivi.

Ruolo dei genitori

Il ruolo dei genitori è considerato fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi in stretta

collaborazione con i terapisti e gli educatori.

Struttura

L'approccio comportamentale è basato sul principio secondo cui ogni comportamento è appreso e

influenzato nella sua frequenza di emissione dagli antecedenti e dalle sue conseguenze, con

riferimento alla teoria di Skinner del condizionamento operante proposta negli anni '60. Il

fondamento di questa teoria si colloca nella definizione dell'apprendimento come una ripetizione di

risposte la cui emissione aumenta se il comportamento viene premiato perchè adeguato al contesto

desiderato.

Partendo da ciò, si può quindi analizzare il compito da apprendere scomponendolo in singole e

semplici fasi da utilizzare quali “step” del programma di insegnamento individualizzato per il

bambino, plasmando poi ogni fase con rinforzi positivi per sedimentare l'apprendimento.

Per essere qualificato come programma comportamentale un trattamento deve comprendere e

presentare i seguenti criteri:

una valutazione periodica e oggettiva;

vari rinforzi efficaci per i comportamenti adeguati;

uno staff di operatori con adeguate capacità di formazione.

Tra gli interventi multidisciplinari precoci “probabilmente utili” troviamo uno dei metodi che negli

ultimi tempi è divenuto molto diffuso, l'Applied Behavior Analysis- ABA ( in italiano analisi

comportamentale applicata) anche nota come intervento comportamentale intensivo precoce (Early

Intensive Behavioural Intervention, EIBI) o terapia di Lovaas, sebbene tutte queste definizioni non

siano completamente sovrapponibili. Nel 1938, Skinner pubblicò “Il comportamento degli

organismi” (The Behavior of Organisms), nel quale descriveva il condizionamento operante, o il

Page 26: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

processo attraverso il quale l'apprendimento avveniva come risultato di scelta delle conseguenze del

comportamento.Skinner discuteva anche di come gli stimoli antecedenti, quando correlati con la

funzione di alterare gli effetti delle conseguenze, alterano anche gli avvenimenti futuri del

comportamento, ed era la prima descrizione dalla prova distinta (discrete trial-lavoro strutturato). In

seguito all'esposizione dettagliata dell'analisi sperimentale del comportamento (EAB), le

applicazioni di questa scienza all'educazione e al comportamento sociale portarono a quella che

oggi è conosciuta come analisi comportamentale applicata. . Cooper, Heron e Hedward (1987)

definiscono l' “ Applied Behavior Analysis” come “ la scienza in cui procedure derivate dai principi

del comportamento sono applicati sistematicamente per migliorare comportamenti socialmente

importanti ad un livello significativo e dimostrare sperimentalmente che le procedure utilizzate sono

state responsabili del miglioramento del comportamento”

L'ABA è un intervento a carattere intensivo che prevede 40 ore settimanali di attività per un periodo

di circa 2 anni. Affinchè sia efficace, deve essere condiviso da tutte le persone che hanno un ruolo

educativo significativo per il bambino, anche se esiste una gerarchia di operatori quali un

consulente, un supervisore, un certo numero di educatori o terapisti, genitori e coetanei.

Lovass proponeva il seguente format per l'intervento:

1. stabilire un rapporto

2. ampliare il linguaggio recettivo del bambino, usando un linguaggio altamente strutturato

3. sviluppare le capacità imitative attraverso schemi corporei di imitazione non verbale

4. sviluppare comportamenti di imitazione nel gioco con giocattoli

5. sviluppare l'imitazione verbale.

Durante la consulenza iniziale vengono identificate le capacità di base del bambino e si elabora un

programma che prevede una serie di singole attività attraverso le quali rinforzare le risposte

adeguate.

Questo tipo di trattamento cerca di rinforzare il più possibile i comportamenti positivi (come l'uso

del linguaggio appropriato o la socializzazione) e scoraggia quelli negativi ( come interessi ripetitivi

e comportamenti aggressivi o autolesivi). Dagli ultimi studi metodologicamente meglio condotti si

evince che l'ABA “può migliorare il quoziente intellettivo e il linguaggio più di quanto non possa

fare un trattamento eclettico, ma non “guarisce” dall'autismo, come era stato affermato nei primi

lavori di Lovaas, e come ancora troppo spesso si sente ripetere”(Valeri 2010).

Efficacia

Secondo i rapporti di Lovaas del 1987, nel Young Autism Project, i cui risultati si basavano su una

classifica scolastica si rilevò che su 19 bambini che avevano ricevuto 40 ore settimanali di input, 9

Page 27: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

di essi a circa 7 anni di età avevano raggiunto un livello funzionale nella norma, mentre nei gruppi

che avevano ricevuto un minore numero di ore di input solo uno su 40 dimostrava un livello

funzionale normale. Inoltre al secondo controllo di follow-up otto dei nove bambini che avevano

raggiunto un livello funzionale nella norma “non si potevano distinguere dal gruppo di controllo dei

bambini normodotati”.

Gli approcci comportamentali sono stati spesso criticati per la loro limitatezza riguardo all'ambito e

alla focalizzazione. È opinione diffusa che l'elemento sociale dell'interazione comunicativa e gli

aspetti pragmatici del linguaggio ci distinguono dai piccioni degli esperimenti di Skinner ma,

nonostante questi limiti, i genitori dei bambini affetti da autismo indicano che seguendo il metodo

ABA hanno riscontrato miglioramenti significativi nelle capacità dei bambini di accedere al mondo

circostante.

Bisogna inoltre ricordare che “l'analisi del comportamento consta di molte procedure di intervento,

non c'è una ricetta uguale per tutti (...) il modello ABA , in quanto basato sulla ricerca, è un sistema

aperto, quindi in costante evoluzione sia dal punto di vista teorico che applicativo”(Moderato, 2011,

pp. 57). Ai primi interventi di Lovaas citati in precedenza, che prendono il nome di Discrete Trial

Teaching (DTT)e che rappresentano la componente procedurale tradizionale dell'ABA, si sono

aggiunti negli anni approcci di nuova generazione, meno strutturati e più naturalistici (Verbal

Behavior Teaching, VBT; Natural Language Paradigm, NPL; Natural Environmental Teaching,

NET; Incidental Teaching, ITT) (Moderato, 2011).

3.1.2 VERBAL BEHAVIOR (VB)

Parallelamente all'intervento di Lovaas, negli ultimi anni si sta facendo strada, anche in Italia, una

forma di intervento basata sui principi del Verabal Behavior (VB). Nel 1957, come l'analisi

comportamentale applicata venne studiata e sviluppata, Skinner pubblicò “Verbal Behavior”

(comportamento verbale), che descriveva un'analisi funzionale del comportamento verbale. Questo

lavoro di Skinner fece si che il condizionamento operante venisse esteso al comportamento verbale

per rendere conto pienamente della sfera del comportamento umano. Sin dalla pubblicazione di

questo testo , molti analisti comportamentali, incluso Jack Michael, Mark Sundberg, Jim Partington

e Vice Carbone, hanno condotto e pubblicato studi sul comportamento verbale molti dei quali

pubblicati sulla nota rivista “The Analysis of Verbal Behavior”( fondata nel 1982 da Mark

Sundberg). È un metodo di intervento ancora agli albori che necessita di uno studio su grandi gruppi

Page 28: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

per valutarne l'efficacia a paragone dei programmi basati sul tradizionale stile Lovaas. Questo si sta

verificando pian piano in diverse sedi, ma serve ancora del tempo per terminare questo tipo di studi

e pubblicarli. Per adesso si conoscono le testimonianze e i successi che questi programmi hanno

riscosso in posti come la clinica del Dr. Carbone a New York, il Behavior Analysts inc. in

California, i programmi della scuola di Sundberg a San Francisco, il progetto della Pennsylvania

Verbal Behavior, le consulenze dell'EO inc. e le dozzine di scuole Verbal Behavior che sono nate

negli Stati Uniti (come la Mariposa School) per l'efficacia e il gradimento dei bambini

dell'approccio VB. In Italia, gli interventi basati su programmi VB avvengono esclusivamente in

forma privata per cui ogni famiglia paga personalmente il supervisor che imposta il lavoro

individualizzato sul bambino a seguito del profilo dell'ABBLS e i terapisti che portano avanti gli

obiettivi di questo programma.

Obiettivi

Rispetto all'approccio ABA di Lovaas ci si concentra maggiormente sugli aspetti motivazionali

dell'apprendimento ed in particolare stimolando l'attivazione vebale e motoria per interagire col

mondo circostante. Il target a cui si rivolge questo programma prevede in particolar modo bambini

di età scolare e pre-scolare anche se non esistono prove documentate di successi/insuccessi per

range di età diversi.

Ruolo dei genitori

I genitori sono parte integrante di questo programma poiché si occupano del bambino nella

quotidianità e , una volta conosciuti i programmi e gli obiettivi da raggiungere, possono impegnarsi

nella generalizzazione in ambiente naturale delle nozioni acquisite dal figlio.

Struttura

La struttura di un intervento VB rispecchia esattamente quella utilizzata nei programmi Lovaas. È

un intervento intensivo che prevede 40 ore settimanali di attività per un periodo non definito a

priori.

Come detto in precedenza, l'obiettivo che viene spesso ignorato nei programmi Lovaas, e che inve-

ce è alla base di un programma VB, è la ricerca della motivazione del bambino per sviluppare un

legame tra il valore di una parola e la parola stessa. L'approccio Lovaas usa l'ABA per insegnare le

abilità linguistiche basandosi sulla premessa che il linguaggio ricettivo dovrebbe essere sviluppato

prima di quello espressivo. L'approccio Verbal Behavior si concentra sull'insegnamento, in primo

luogo, di specifiche componenti del linguaggio espressivo (richieste, etichette, intraverbali, tra le al-

Page 29: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

tre cose). Questo approccio inizia con quello che è definito “insegnamento alle richieste”, ovvero un

metodo di insegnamento per richiedere gli oggetti, le attività e le informazioni che lui desidera. Per-

tanto si insegna al bambino che le parole hanno un valore e che esse servono ad ottenere ciò che lui

vuole e di cui ha bisogno. Un'altra differenza sta nell'enfasi sulla “funzione” (Verbal Behavior) del

linguaggio piuttosto che sulla forma (metodo Lovaas). Una delle idee principali dietro l'approccio

VB è che il significato di una parola è da ricercare nella funzione e non nella parola stessa. Se non

si prende in considerazione la funzione del linguaggio, ci si trova con un bambino che sa etichettare

o identificare 100 oggetti, ma non li usa mai in modo funzionale o non li richiede spontaneamente

nell'ambiente naturale. Se si usa l'approccio VB, si insegna ogni parola o oggetto in tutte le relazioni

funzionali a quella parola o a quell'oggetto.

In sintesi, il tradizionale programma Lovaas ed i Verbal Behavior sono due approcci distinti che

adoperano i principi ABA per migliorare la vita dei bambini affetti da autismo.

Efficacia

Sebbene il Lovaas si è affermato già da molti anni ed è anche più conosciuto, sempre più persone

intraprendono oggi un programma ABA con l'enfasi sul VB poiché esso lascia intravedere la possi-

bilità di colmare i vuoti lasciati nei programma ABA tradizionali.

Nel 2002 è stata condotta negli Stati Uniti un'indagine via internet per vedere quali interventi fosse-

ro più efficaci nell'aiutare i bambini con spettro autistico o con disordini ad esso correlati; basan-

dosi su di una lista di 72 terapie come l'integrazione sensoriale, la terapia occupazionale, la logo-

pedia, le diete speciali come la GFCF o la FEINGOLD, ecc. è emerso che l'ABA/VB è stato di gran

lunga l'approccio più efficace.

Nessun'altra terapia è mai riuscita ad avvicinarsi minimamente agli stessi risultati.

3.2 TEACCH (Treatment and Education of Autistic and relatedCommunication handicapped CHildren)

Tra gli altri interventi multidisciplinari precoci “probabilmente utili” troviamo uno dei più classici

interventi di “apprendimento strutturato”, il TEACCH (Treatment and Education of Autistic and

related Communication handicapped CHildren). Il TEACCH è propriamente un'organizzazione

statale di servizi creata dal prof.Schopler e dai suoi collaboratori nello stato del North Carolina

(USA) nel 1966; essa nacque come progetto di ricerca finanziato dal governo statale statunitense.

La sua evoluzione partì da un'esperienza clinica della University of North Carolina fino a diventare

nel 1972 il programma ufficialmente adottato per l'autismo nell'intero Stato. Dalla sua nascita, la

Divisione TEACCH ha lavorato con 4.000 persone affette da autismo nel North Carolina e nel corso

degli anni il programma è stato adottato e sviluppato in molte altre parti del mondo.

Page 30: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

Obiettivi

Questo approccio accompagna i bambini autistici in ogni ambito della loro quotidianità e ha lo

scopo di fornire loro gli strumenti adatti a condurre una vita integrata e produttiva all'interno della

comunità di appartenenza nel modo più indipendente possibile; si propone di fornire informazioni

visive, strutturazione e prevedibilità dell'ambiente e delle attività, in quanto è comprovato che per i

bambini autistici il canale visivo è quello da privilegiare per favorire l'apprendimento.

Ruolo dei genitori

Shopler e Reicher hanno lavorato sempre con i bambini autistici in collaborazione con le loro

famiglie d'origine e queste esperienze li portarono a concludere che l'autismo deriva da una qualche

anomalia cerebrale e non da genitori “frigorifero”, come riteneva la vecchia concezione

psicodinamica. Questi studiosi ritenevano che il modo migliore di procedere fosse attraverso la

collaborazione con i genitori aiutandoli ad aumentare la comprensione dei loro bambini e a

sviluppare gli strumenti necessari per interagire efficacemente con loro, così da diventare co-

terapisti.

La North Carolina University continua ad essere il riferimento principale dell'esperienza, offrendo

servizi, opportunità di formazione e di ricerca rendendo facilmente accessibili gli ultimi sviluppi

della ricerca sia ai clinici che alle famiglie. La Divisione TEACCH offre un servizio integrato e

completo alle famiglie, agevolando così l'accesso alla valutazione e agli interventi.

Struttura

Il programma esige che si operino adattamenti nei tre principali contesti di vita del bambino: la

casa, la scuola e il territorio. Shopler e Reichler erano consapevoli del fatto che i bambini autistici

vivono il mondo come caotico, imprevedibile e a volte spaventoso, ma erano anche consapevoli del

fatto che questi bambini sono relativamente capaci nell'apprendimento attraverso il canale visivo;

ciò li portò quindi a sviluppare strategie di insegnamento e strutturazioni visive che aiutassero i

bambini autistici a comprendere il mondo circostante e le richieste del mondo nei loro confronti.

Nell'ambito di questo insegnamento strutturato troviamo delle componenti fondamentali quali:

la strutturazione dell'ambiente: l'ambiente viene suddiviso in diverse zone (lavoro, gioco..)

facilmente riconoscibili al bambino, ognuna distinta dalle altre;

il calendario visivo delle attività: attraverso immagini, numeri, parole ecc... viene fatta una

scaletta sequenziale della giornata in cui il bambino può tenere sotto controllo il susseguirsi

delle attività;

la strutturazione delle attività: chiarifica al bambino i dubbi riguardo un'attività dandogli un

Page 31: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

programma specifico del lavoro o del gioco che andrà a svolgere;

i compiti visivamente espliciti: per aumentare il più possibile la prevedibilità, i compiti

vengono presentati con modalità visivamente esplicite.

Il TEACCH offre quello che si potrebbe chiamare un “ambiente protesico” in cui diventa possibile

aggirare le difficoltà e consentire alle persone autistiche di vivere e apprendere senza essere

sottoposti a stress e ansie non necessarie.

Al centro del TEACCH si trova un sistema di insegnamento strutturato che si avvale quanto più

possibile della presentazione visiva riducendo al minimo le istruzioni verbali. Con la strutturazione

si cerca di utilizzare i punti di forza del bambino affetto da autismo, le sue capacità visive e la sua

adesione alle routine, per aiutarlo a minimizzare le proprie difficoltà.

L'insegnamento strutturato ha come obiettivo principale di aiutare i bambini e i giovani affetti da

autismo a dare un senso a ciò che li circonda e capire quali siano le aspettative e le richieste degli

altri nei loro riguardi. Così facendo si riducono la frustrazione e l'ansia che, in situazioni meno

strutturate, determinano spesso problemi comportamentali. Ciò aiuta quindi la persona autistica ad

aumentare la propria autonomia, anche in vista di un futuro inserimento lavorativo e permette di

considerare questo approccio adeguato alle diverse età della vita e ai diversi livelli di capacità.

L'accesso al programma TEACCH inizia con una valutazione diagnostica seguita dall'elaborazione

di tecniche per la gestione del comportamento e dalla pianificazione di un programma

individualizzato di insegnamento a casa. Seguendo il bambino attraverso le varie fasi della sua

esperienza scolastica, viene effettuato un monitoraggio continuo utilizzando il Psycho-Educational

Profile- Revised (PEP-R) che individua il livello di sviluppo funzionale nelle diverse aree,

indicando le fasi successive di apprendimento necessarie per impostare l'intervento. Viene quindi

elaborato un programma individualizzato che prevede la figura di un insegnante di sostegno per

seguire il bambino in un percorso scolastico finalizzato allo sviluppo di abilità cognitive e

comunicative, al consolidamento di competenze già acquisite, e alla sperimentazione di situazioni

positive e costruttive di interazione sociale attraverso le attività di gruppo.

I servizi indirizzati invece a persone autistiche in fase adolescenziale o adulta prevedono la

formazione finalizzata all'inserimento nel mondo del lavoro e il sostegno nella ricerca di lavoro,

training per l'implementazione di competenze sociali in situazioni di gruppo e l'integrazione nei vari

ambienti di vita.

La formazione degli operatori è considerato uno degli elementi più importanti e ogni operatore è

tenuto a seguire da 5 a 10 attività formative all'anno. Attraverso questo sistema si potenziano le

capacità individuali dell'operatore, si aumenta la competenza e si riducono lo stress e il burnout.

Efficacia

Page 32: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

I principali vantaggi riscontrati nell'utilizzo di questa metodica consistono in un miglioramento

significativo del comportamento e delle capacità di comunicazione; infatti, grazie a questo

approccio strutturato, i bambini sono in grado di concentrarsi senza apprensione e quindi in maniera

più efficace sui compiti da seguire, il che a sua volta facilita l'accesso ai percorsi di apprendimento

stessi.

Secondo alcuni studiosi il TEACCH tende a strutturare troppo la quotidianità dei bambini limitando

la loro capacità di prendere decisioni e di essere creativi. È importante però ricordare che si

incoraggia ugualmente la flessibilità del bambino, ma all'interno di un modello strutturato, in

particolare per sviluppare la loro capacità di problem solving. Il TEACCH si concentra infatti sul

bambino come individuo e sui suoi punti di forza e la prevedibilità dell'ambiente minimizza l'ansia e

aumenta al massimo l'attenzione sul compito da eseguire.

Sono stati pubblicati studi sia su componenti specifiche del programma, sia sulla soddisfazione dei

genitori coinvolti. Per quanto riguarda la prima tipologia, uno studio di Shopler e al. (1971) ha

dimostrato la maggiore efficacia dell'educazione strutturata rispetto a quella non strutturata. Tale

risultato è stato poi confermato da uno studio successivo (Bartak, Rutter, 1973) variando il grado di

struttura in un programma di insegnamento per studenti con autismo. Per quanto riguarda la

seconda tipologia, uno studio del 1981 (Schopler et al.) ha evidenziato come un programma basato

sulla comunità come il TEACCH, può ridurre notevolmente la necessità di istituzionalizzare adulti

con autismo.

3.3 PECS (Picture Exchange Communication System)

Il metodo PECS, l'acronimo di Picture Exchange Communication System ovvero “Sistema di

Comunicazione mediante Scambio per Immagini”, nasce intorno agli anni '90 negli Stati Uniti da

Andrew Bondy e Lory Frost nell'ambito del Delaware Autistic Programme, un programma

scolastico nazionale statunitense.

Obiettivi

Il metodo PECS ha come scopo l'acquisizione delle capacità comunicative di base quale

prerequisito dell'articolazione e della comprensione delle parole. Tale sistema punta allo sviluppo

della comunicazione funzionale e della comunicazione come scambio sociale, è un metodo facile e

poco dispendioso adatto a diversi contesti come casa, scuola ecc.

Page 33: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

Osservando i bambini in età prescolare frequentanti il Delaware Programme si ricontrò che l'80%

dei bambini affetti da autismo di età inferiore o uguale a cinque anni non era in grado di articolare il

linguaggio con un'adeguata finalità comunicativa (Bondy e Frost, 1995). Questi autori riscontrarono

che alcuni dei metodi finalizzati all'insegnamento e all'implementazione della comunicazione

possono richiedere tempi lunghi per l'acquisizione e a sua volta possono non portare affatto allo

sviluppo di una comunicazione funzionale. Utilizzando vari rinforzi, ai quali i soggetti autistici sono

particolarmente sensibili, per facilitare la comunicazione si è scoperto che il metodo PECS offre

l'opportunità di sviluppare velocemente una “reale” comunicazione spontanea.

Struttura

Il metodo prevede sei fasi di apprendimento (Frost, Bondy, 1994):

La fase iniziale (fase 1-2) prevede l'identificazione dell'elemento di motivazione più efficace per il

bambino, ad esempio cibo, bibite, giocattoli o attività particolari e di ognuno si prepara una carta

simbolo per rappresentarli. In questa fase è prevista la presenza di due operatori uno dei quali

mostra l'oggetto utilizzato come rinforzo al bambino e, mentre il bambino allunga la mano per

prendere l'oggetto, il secondo operatore lo aiuta a prendere anche la carta simbolo e a metterla nella

mano del primo adulto. Questa prima fase di apprendimento viene facilitata attraverso la guida

fisica del bambino e una volta che il bambino ha consegnato la carta viene ampiamente elogiato

verbalmente e gli viene consegnato il rinforzo.(fase 3-4-5-6-) Dopo una sufficiente ripetizione di

queste sequenze il bambino è in grado di prendere iniziativa dando autonomamente il via

all'interazione.

Quando il bambino ha acquisito una relativa sicurezza nell'utilizzo di questo sistema vengono

aggiunti altri simboli, compresi verbi come “voglio” e il secondo operatore diminuisce la guida

fisica, così che il bambino esegua sempre in autonomia le sequenze per ottenere ciò che vuole.

Questo metodo è stato predisposto tenendo conto delle specifiche esigenze dei bambini affetti da

autismo e del presupposto che, per sviluppare il linguaggio e le capacità sociali di base alla

comunicazione, questi bambini necessitano di interventi altamente strutturati.

Ruolo dei genitori

I genitori sono incoraggiati a usare questo metodo in ogni situazione in cui il bambino desidera

comunicare anche se il programma è prettamente scolastico.

Efficacia

Gli studi condotti (Bondy, Frost, 1994) hanno evidenziato dei miglioramenti sia nelle abilità

comunicative dei bambini e sia nello sviluppo del linguaggio.Nelle scuole e nei centri che utilizzano

Page 34: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

il metodo PECS all'interno di un ambiente di apprendimento strutturato si è evidenziato un

miglioramento delle competenze di comunicazione. Sembrerebbe infatti che l'utilizzo delle carte-

simbolo prima dell'utilizzo delle parole stesse abbia come risultato una maggiore accessibilità al

livello linguistico e determini un'evoluzione verso il linguaggio spontaneo in molti bambini.

Parallelamente alla crescita della fiducia nella comunicazione si è riscontrata in aggiunta una

notevole riduzione del senso di frustrazione nei bambini stessi.

3.4 PROGRAMMA EARLYBIRD

Nel 1997 la National Autistic Society (NAS) iniziò il Progetto EarlyBird con lo scopo di sviluppare

e valutare un modello d'intervento precoce specifico per l'autismo, con un programma indirizzato ai

genitori, per aiutarli a capire cosa fosse l'autismo e le implicazione che potesse avere sui bambini.

Ruolo dei genitori

Il Programma EarlyBird della NAS ha una durata di tre mesi, durante i quali i genitori frequentano

una serie di interventi educativi di gruppo, abbinata a visite domiciliari che prevedono l'ausilio di

feedback, sotto forma di video registrazioni, per aiutare i genitori ad applicare ciò che hanno

imparato mentre lavorano con il bambino nell'ambiente familiare. Per la durata del Programma, i

genitori hanno un impegno settimanale che comprende, oltre al lavoro da eseguire con il bambino a

casa, un intervento educativo di gruppo di tre ore oppure una visita domiciliare.

Obiettivi

Il Programma EarlyBird della NAS ha i seguenti obiettivi: sostenere i genitori nel periodo tra la

diagnosi e l'inserimento scolastico, rendere i genitori agenti attivi e autorevoli e aiutarli a facilitare

nel bambino la comunicazione sociale e il comportamento adeguato all'interno del suo ambiente

naturale, aiutare i genitori a stabilire, verso il bambino, fin dalla prima infanzia, un approccio

informato da buone pratiche in modo da prevenire lo sviluppo di comportamenti inadeguati.

Durante lo sviluppo del Programma EarlyBird, dal progetto iniziale alla disseminazione su largo

scalo, si eseguivano controlli di validità e il monitoraggio della qualità. Gli esiti dello studio pilota

furono replicati in una ricerca che coinvolse 119 famiglie partecipanti al Programma in strutture

abilitate, nel Regno Unito e altrove. I risultati della ricerca evidenziarono, nei genitori che hanno

partecipato al Programma, una riduzione significativa dello stress, un cambiamento nel modo di

Page 35: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

comunicare, e percezioni più positive nei confronti del figlio.

Questi stessi effetti erano ancora manifesti durante i follow-up, a sei mesi dalla conclusione del

Programma e i risultati della ricerca sostengono il contenuto più che positivo dei dati sulla

soddisfazione del cliente, raccolti da tutte le famiglie con accesso al Programma.

Dal gennaio 1998, quando le prime sei famiglie si iscrissero al Programma pilota, il Centro

EarlyBird di Barnsley ha lavorato con 66 famiglie locali. Nel giugno 1999, un gruppo pilota di otto

professionisti hanno completato un corso di abilitazione per svolgere il Programma su licenza dalla

NAS. Sistematicamente, dal gennaio 2000, il Centro EarlyBird organizza corsi di abilitazione per

team di professionisti provenienti da tutto il Regno Unito e dall'estero perché possano svolgere il

Programma localmente. All'ottobre 2002, si contavano 146 team abilitati per più di 530 utenti

individuali abilitati che hanno svolto il Programma insieme a oltre 1100 famiglie.

Il Centro EarlyBird della NAS è situato nel South Yorkshire (il distretto meridionale della Contea di

York, Regno Unito) e ora il Programma viene offerto localmente per famiglie in diverse zone dello

stato.

Il Programma EarlyBird della NAS lavora con sei famiglie per volta, e si accettano le domande di

iscrizione al Programma da parte di genitori di bambini in età pre-scolare (al di sotto dell'età

scolastica fissata dalla legge), con una diagnosi di disturbo dello spettro autistico. Di ogni famiglia,

possono frequentare due genitori (o chi ha la presa in carico).

Struttura

La struttura su cui si basa il Programma EarlyBird della NAS, lavorare insieme ai genitori e

l'utilizzo combinato di interventi educativi di gruppo con visite domiciliari con feedback in video,

deriva dal Programma Hanen. Il Programma Hanen offre corsi, in tutto il mondo, per genitori,

educatori specialisti della prima infanzia e per formatori Hanen, e aiuta i genitori di bambini affetti

da una varietà di disturbi dello sviluppo a favorire lo sviluppo della comunicazione nel bambino.

Il Programma EarlyBird della NAS è specifico per l'autismo e, nei contenuti, opera su tre linee,

aiutando i genitori a:

1. capire il disturbo autistico di cui è affetto il figlio

2. strutturare le interazioni all'interno delle quali si possono sviluppare la comunicazione

3. Prevenire i comportamenti problematici e agire positivamente su quelli che si manifestano

I contenuti del Programma EarlyBird della NAS si basano su pratiche ben stabilite nel campo

dell'autismo. Gli approcci utilizzati comprendono:

Page 36: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

* L'approccio SPELL della NAS

* Tecniche dell'approccio TEACCH

* Picture Exchange Communication System (PECS)

L'approccio EarlyBird si basa sui seguenti principi:

capire l'autismo: apprezzare il modo in cui il bambino percepisce il mondo e le cause

sottostanti il comportamento e lo sviluppo.

entrare nel mondo del bambino: stabilire un contatto; trovare dei modi per migliorare

l'interazione e la comunicazione.

imparare come analizzare e capire i comportamenti del bambino; altrettanto come utilizzare

la strutturazione per prevenire e agire positivamente sui comportamenti problematici.

3.5 MODELLO DENVER

Il Modello Denver (DV) è un metodo focalizzato sullo sviluppo, diversamente da quelli

comportamentali analizzati fino a questo punto. È un modello che tiene conto dell'importanza

della relazione e degli affetti positivi per la promozione dello sviluppo del bambino. È stato

proposto agli inizi degli anni Ottanta da Sally Rogers e coll. all'interno dei programmi per le

Disabilità dello sviluppo dell'Università del Colorado Health Sciences Center (UCHSC). Il

modello è stato sviluppato principalmente per i bambini con disturbo dello spettro autistico di età

prescolare dai 3 ai 5 anni ma è applicabile anche ad altre forme di disabilità. Si tratta di un

modello basato sull' “approccio evolutivo” in cui l'intervento è centrato sul bambino per favorire

la sua iniziativa, la sua motivazione e la sua partecipazione. Il nucleo del DM deriva da un

modello evolutivo dell'autismo proposto da Rogers e Pennington (1991) ed elaborato

successivamente da Rogers, Benedetto, McEvoy e Pennington (1996) che considera un ipotetico

deficit nell'abilità imitativa dovuto ad un sottostante disturbo prassico o della capacità di

programmare le sequenze di movimento che impedirebbe il precoce stabilirsi della sincronia e

della coordinazione a livello del corpo così da dare inizio alle difficoltà progressive nell'area

dell'intersoggettività. L'assunto teorico alla base è che tutti i bambini inclusi quelli con DSA

apprendono in ogni momento di veglia e molto più facilemente nelle situazioni di

coinvolgimento sociale reciproco. Pertanto fulcro dell'intervento è la famiglia e obiettivo

principale del trattamento è la promozione nel bambino delle capacità di partecipazione alla

relazione sociale.

Da questa concettualizzazione di autismo precoce derivano i cardini del trattamento:

a) inserimento del bambino in relazioni sociali coordinate e interattive per la maggior parte delle

Page 37: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

ore di veglia, in modo da poter stabilire sia l'imitazione che una comunicazione simbolica e

interpersonale (non verbale, affettiva, pragmatica), e così che può avvenire la trasmissione di

conoscenze ed esperienze sociali.

b) insegnamento intensivo per “colmare” i deficit di apprendimento che derivano dalla passata

incapacità di accedere al mondo della socializzazione, dovuta agli effetti dell'autismo.

I mezzi principali per raggiungere questi due obiettivi terapeutici comprendono l'insegnamento

dell'imitazione, lo sviluppo della consapevolezza delle interazioni sociali e della reciprocità,

l'insegnamento del potere della comunicazione, l'insegnamento di un sistema di comunicazione

simbolica; il cercare di rendere il mondo delle interazioni sociali comprensibile come quello

degli oggetti per portare il bambino nel ricco ambiente degli scambi sociali. Dal momento che le

compromissioni nei disturbi pervasivi dello sviluppo coinvolgono aree evolutive differenti, gli

autori ritengono che il raggiungimento di tale obiettivo è realizzabile solo attraverso

l'applicazione di tecniche diverse. Pertanto propongono un modello interdisciplinare che ai

proprio principi integra quelli del Pivotal Responsive Teaching (PRT) e dell'ABA. Per questo

l'intervento deve avvenire in ambienti strutturati che forniscano una sorta di regolazione esterna;

vengono utilizzate strategie di educazione strutturata di tipo cognitivo-comportamentale.

Obiettivi

Obiettivi specifici del DM sono la promozione delle seguenti abilità: orientamento sociale,

condivisione e sincronia affetiva, imitazione, attenzione congiunta, linguaggio, gioco simbolico e

funzionale.

Struttura

Il trattamento è intensivo e viene modificato in maniera sistematica in base ai cambiamenti

evolutivi del bambino. Il bambino riceve complessivamente almeno 20 ore di trattamento

settimanale che si realizza in tre contesti: familiare, scolastico e terapeutico con un lavoro

individuale.

Ruolo dei genitori

Nei primi anni di vita l'intervento si svolge nell'ambiente domestico dove il genitore osserva un

esperto applicare le strategie di insegnamento durante le routine del bambino come la colazione,

le autonomie, il gioco, per poi utilizzarle autonomamente in maniera sistematica. Punto cruciale

del trattamento per i bambini che hanno compiuto tre anni è la realizzazione di questo a scuola

(Rogers,2000). Questo intervento risulta essenziale al fine di garantire la possibilità di

Page 38: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

apprendere in maniera naturale dai pari le modalità interattive e di generalizzare gli

apprendimenti acquisiti in ambito familiare e riabilitativo.

L'intervento, per la sua multidisciplinarietà, coinvolge diverse figure professionali come

psicologi dello sviluppo, logopedisti, terapisti occupazionali ma anche i genitori che hanno

appreso il metodo dopo un intervento domicialiare. Il modello Denver prevede, da un punto di

vista tecnico, la presenza di un curriculum specifico altamente individualizzato e una serie di

tecniche di insegnamento finalizzate al raggiungimento di obiettivi evolutivi specifici all'interno

di una cornice relazionale (Rogers et al.,2006). Proprio perchè il curriculo di ogni bambino è

individualizzato e basato sulle sue capacità e necessità di sviluppo attuali, è fondamentale

un'attenta valutazione dello sviluppo; la valutazione è attuata in due modi: valutazione annuale o

biennale standardizzata (valutazione della comunicazione; valutazione psicologica; valutazione

motoria; valutazione educativa), e valutazione trimestrale del curriculo per determinare il

progresso in base agli obiettivi (Osaki et al.,1997).Gli obiettivi inseriti nel progetto dal

coordinatore sono basati sulle conoscenze dello sviluppo precoce del bambino, della

comunicazione e dell'analisi comportamentale, e sono da raggiungere nell'arco di 12 settimane. Il

curriculum include sei aree dello sviluppo: comunicazione (linguaggio recettivo ed espressivo),

interazione sociale (attenzione congiunta), gioco, abilità fino e grosso motorie, sviluppo

cognitivo, autonomie personali e partecipazione alle routine familiari. Ogni obiettico è diviso in

4-6 fasi, la prima rappresenta le baseline, le fasi centrali costituiscono l'applicazione delle

tecniche di insegnamento, mentre l'ultimo è il raggiungimento dell'obiettivo. Il raggiungimento

di un obiettivo fissato avviene in un contesto relazionale, pertanto si prevede che entrambi i

partner (genitore o educatore o riabilitatore e il bambino) siano coinvolti nelle attività alternando

il turno e agendo in parallelo, partendo dal comportamento spontaneo del bambino con lo scopo

di espanderlo. Il lavoro di svolge in un contesto naturale ed è concentrato su più obiettivi, per

ognuno dei quali sono definite il set di attività finalizzate al loro raggiungimento. Affinchè il

comportamento desiderato venga raggiunto e mantenuto, l'adulto affianca al rinforzo sociale

anche altri tipi di rinforzo (naturale, alimentare, gioco sociale, giocattolo).

Efficacia

I primi studi sull'efficacia di questo modello risalgono al 1989, quando valutarono gli effetti di

tale trattamento su un gruppo di 31 bambini con diagnosi DSA. Nel 53-73% dei bambini, dopo il

trattamento, si erano raddoppiate l'età di sviluppo linguistico, sviluppo motorio e di autonomie

personali e un incremento significativo del gioco simbolico, della comunicazione sociale,

dell'affetto positivo, delle risposte al genitore e una riduzione dell'affetto negativo. Questi studi

Page 39: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

furono replicati in seguito.

3.6 INTERVENTI DI FACILITAZIONE DELLE INTERAZIONI SOCIALI

I diversi studi che si sono succeduti nel periodo di maggiore attenzione al fenomeno dell'autismo,

ossia tra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio, portano in modo naturale al quesito se

esiste una evidenza empirica che i disagi sociali dei bambini autistici possano essere effettivamente

migliorati. I ricercatori hanno rivolto uno sforzo sostanziale a descrivere il corso dello sviluppo

delle interazioni e delle relazioni sociali tra bambini con autismo e similmente hanno rivolto un

grande sforzo alla progettazione e alla valutazione di interventi per facilitare lo sviluppo di queste

competenze.

Nelle diverse definizioni del termine “autismo” si cita esplicitamente un elevato livello di disagio

sociale e relazionale, visto in molti casi come la “caratteristica fondamentale” di questa sindrome.

Viene accettata, in molti casi, come una logica verità e un fatto empirico che bambini e adulti con

autismo manifestino alcuni ritardi, deficit o caratteristiche atipiche nella frequenza, nella tipologia e

nella qualità delle interazioni sociali e delle relazioni sociali con altri individui.

Cercando parole chiave come “interazione, relazione, abilità, sviluppo, competenza, isolamento,

ecc” associate al termine “sociale” , troveremo centinaia di documenti, studi, rapporti e altro che

riportano risultati ben chiari sull'esito di diversi interventi.

Ovviamente parliamo di studi di ricerca empirici opportunamente referenziati da analisti del

comportamento, basati su campioni significativi, rapportati ad adeguati gruppi di controllo e

caratterizzati da un'elevata validità interna che si basa su presupposti concreti :

valutazioni ripetute e continue sulla variabile dipendente attraverso diverse fasi sperimentali

con almeno 3 o più “data-points” per fase;

riferimenti specifici a trattamenti di contrasto/controllo;

ripetizioni dirette degli effetti dei trattamenti su 3 o più soggetti, settings o comportamenti

differenziati;

evidenza di controllo sperimentale di variabili indipendenti e di altre caratteristiche rilevanti

all'interno e attraverso i settings

Esistono ulteriori condizioni generali che caratterizzano tali studi e che ne evidenziano da un lato

Page 40: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

l'affidabilità in contesti specifici, dall'altro la relatività in contesti più generalizzati :

presenza di metodi differenti nella definizione e classificazione della patologia nel corso

dello sviluppo evolutivo del bambino;

impossibilità di rilevare ulteriori paramentri comportamentali nell'arco di vita che precede la

prima diagnosi ossia il periodo che va dalla nascita ai 2-3 anni;

gli ambiti sociali e i loro attributi (normative, programmi, protocolli, ecc.) variano

velocemente nel corso degli anni e quindi costituiscono una variabile fondamentale

rapportata al contesto di riferimento ma non in altri contesti temporali.

3.7 Risultati delle ricerche empiriche

Ad una prima analisi dei diversi studi effettuati presi per classi omogenee, appaiono evidenti alcuni

risultati talmente indiscutibili da costituire la base di ricerca per ulteriori studi di approfondimento :

i bambini autistici mostrano un elevato livello di deficit di abilità ed interazione sociali

rispetto alla norma sia in termini qualitativi che quantitativi;

l'isolamento tipico del fenomeno autistico deriva principalmente dalla mancanza di

iniziativa del bambino verso il gruppo anche se non pregiudica a priori la partecipazione al

gioco se opportunamente coinvolto;

le interazioni sociali vengono inibite dai tipici movimenti non-funzionali come i

comportamenti stereotipati o auto-lesivi o di non vicinanza ai pari con isolamento presenti

nel bambino autistico. Ognuna di queste classi di risposta diminuisce le opportunità per un

apprendimento sociale e in tal modo possono influire sullo sviluppo di abilità sociali per un

lungo periodo di tempo

Sulla base di questi presupposti sono stati analizzati 55 rapporti divisi in 5 categorie generali basate

su specifiche metodologie nell'ambito degli interventi di interazione sociale :

modifiche ecologiche : si intendono quelle variazioni al setting, alle strutture e alle regole

ambientali che facilitano l'interazione tra bambini ; alla luce dei dati di sintesi si sono

dimostrate utili come condizioni facilitanti ma non sufficienti a produrre effetti significativi

in termini di comportamenti acquisiti;

interventi su abilità collaterali : si tratta di interventi su alcune capacità del bambino che, se

Page 41: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

opportunamente manipolate, creano una maggiore tendenza all'interazione sociale (gioco

ossessivo, ripetizioni, comportamenti stereotipati,ecc.); come nel caso precedente sono

interventi che possono facilitare ma non produrre risultati significativi;

procedure di intervento specifiche per il bambino: si tratta di metodologie sia di tipo

istruttivo che motivazionale per aumentare la capacità, la frequenza o la qualità di

comportamenti sociali per bambini con autismo; esse includono la formazione sul problem

solving sociale, la formazione sulle abilità sociali, il suggerimento e il rinforzo da parte di

adulti e l'automonitoraggio; questi interventi possono aumentare il livello di interazione tra

bambini autistici sia in modo diretto che indiretto; nei casi in cui si interviene su particolari

elementi di interazione sociale (es. social iniziation) si può registrare un aumento della

durata dell'interazione sociale.

procedure di intervento regolate da pari: queste procedure riguardano la maggioranza dei

55 rapporti citati in quanto rappresetano di gran lunga le metodologie più utilizzate e più

efficaci in termini di risultati. Lo stimolo fornito dai comportamenti sociali utilizzati da

bambini coetanei a quelli del campione in esame, rappresenta uno strumento di indubbia

efficacia ai fini dell'aumento dell'interazione sociale; l'unica limitazione consiste nella

necessità di formazione continua ed adeguata verso il gruppo di pari dedicato alla terapia.

Interventi globali : si tratta della combinazione di due o più elementi appartenenti alle

categorie sopra citate; i migliori risultati sono stati registrati nella combinazione tra il

training sulle abilità sociali e gli interventi regolati dai pari.

Alla fine di questa disamina relativa alle procedure di intervento sono state poste tre domande

fondamentali in merito agli interventi finalizzati alle interazioni sociali tra bambini autistici.

1. Esiste un rimedio alle irregolarità sociali dei bambini autistici? Le evidenze riscontrate

nella letteratura empirica indicano riscontri positivi a seguito di interventi formativi sulle

interazioni sociali;

2. Quali abilità sociali sono risultate più sensibili agli interventi? I ricercatori hanno

dimostrato effetti positivi a seguito di interventi di introduzione sociale, reazioni a stimoli e

incontri di interazione tra bambini autistici;

3. Quali sono i limiti delle procedure attuali? Fondamentalmente sono stai riscontrati tre

tipologie di limiti oggettivi:

a) esistono solo pochi esempi di interventi o protocolli intatti ben descritti e replicabili.

b) esistono poche testimonianze empiriche da parte di pari che avallano l'efficacia degli interventi

Page 42: Modelli teorici e programmi di intervento nell'autismo infantile

di interazione sociale

c) la maggior parte degli interventi sono avvenuti in setting dedicati e presidiati da formatori o

terapisti mentre l'ambiente ideale sarebbe quello di casa o di comunità sociale.

(McConnell, 2002)

In conclusione possiamo affermare che nonostante numerosi studi effettuati negli ultimi vent'anni,

esistono ancora diverse aree di ricerca non esplorate che potrebbero riservare ulteriori elementi di

conferma piuttosto che di contrasto alle tesi iniziali.

Per questo vengono suggerite alcune pratiche educative da utilizzare nei programmi di intervento

per i bambini autistici:

1. Valutazione di interazione sociale in ambiente “naturale” (casa, scuola,etc.) tra bambini e

adulti come partner interattivi; sono state riscontrate notevoli variazioni nello sviluppo di

abilità sociali tra il livello individuale e il livello di gruppo;

2. Preparare l’ambiente ad accogliere e sostenere l’interazione sociale; esistono dei veri e

propri ambienti terapeutici che posso stimolare fortemente l’interazione tra bambini

autistici; le configurazioni ambientali dovrebbero includere varie caratteristiche quali la

pianificazione e la struttura delle attività previste per l’interazione sociale, come pure il

coinvolgimento di bambini a sviluppo tipico dedicati a sviluppare l’interazione sociale

3. Insegnare specifiche abilità sociali a bambini autistici e a bambini con sviluppo tipico

per fornire interventi in loco di stimolo all’interazione sociale;

4. Abbandonare interventi diretti trasferendo il controllo per suggerire interazioni sociali a

strumenti trasferibili che si verificano in modo naturale;

5. Estendere il trattamento lungo tutto l’arco della giornate e ad altre attività;

6. Misurare gli effetti dell’intervento e lo sviluppo di interazioni sociali per periodi molto

estesi.

In conclusione le ricerche empiriche degli ultimi trent’anni riguardo gli interventi di interazione

sociale dimostrano la validità di alcune linee di ricerca a scapito di altre che ancora stentano ad

emergere. Quindi l’obiettivo della ricerca è quello di rafforzare le tesi più probabili e ricercare

nuove tesi che opportunamente studiate possano dare nuovi contributi.

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CONCLUSIONI

Come accennato nell’introduzione del presente documento, l’autismo rappresenta un argomento

relativamente giovane nello scenario psico-patologico a livello mondiale sia per quanto riguarda le

cause (predisponenti e scatenanti), sia per quanto riguarda i trattamenti che ne conseguono.

Trattandosi di un fenomeno ad alta pervasività sociale che impatta, anche se in modi differenti, i

diversi strati sociali (singolo, famiglia, scuola, comunità, ecc.), l’attenzione si focalizza

necessariamente su un approccio integrativo e trasversale rispetto alle maggiori scuole di pensiero.

Obiettivo degli studi più recenti è stato quello di accantonare le prospettive dogmatiche relative a

questa patologia, che per decenni hanno influenzato il panorama della ricerca in questo campo, e di

costruire modelli integrati di intervento multidisciplinare e multimodale.

Infatti, pur non potendo escludere a priori la cointeressenza di cause genetiche, biologiche,

ambientali e sociali, è altrettanto discutibile la documentata utilità o meno di un singolo metodo di

intervento. Se da una parte, infatti, si cerca di trovare spiegazioni di varia natura per comprendere

un fenomeno di tale complessità in tutte le sue manifestazioni, dall’altra queste stesse devono

necessariamente coniugarsi con la ricerca e la sperimentazione di strategie di intervento sempre più

efficaci.

Trattandosi di una sindrome che emette i suoi segnali già nel secondo anno di vita e che

accompagna (con intensità più o meno mitigata) il soggetto per l’intera sua esistenza, diventa molto

complesso definire delle teorie forti che identificano in maniera univoca un percorso evolutivo

rispetto ad un altro.

Nel ciclo di vita di ogni persona, lo sviluppo della mente viene determinato da diversi fattori tra cui

emergono “in primis” quelli genetici e biologici senza che però possano minimamente escludere o

banalizzare altrettanti fattori come quelli ambientali e sociali.

Il presente elaborato ha voluto fornire una breve analisi delle strategie di intervento che modificano

proprio questi due aspetti quello ambientale e quello sociale attraverso un’attenta revisione

bibliografica. Tale riflessione nasce dall’intuizione di un autore fondamentale in questo ambito

come Simon Baron-Choen il quale, considerando le manifestazioni sintomatologiche, dice che

queste “implicano disagio solo quando il bambino che le presenta è immerso in un mondo in cui ci

si aspetta che tutti siano più attenti al mondo sociale invece che ai fenomeni fisici, ai sistemi astratti

e ai dettagli ‹irrilevanti› . Il giudizio di disabilità, insomma non è intrinseco alle caratteristiche

cognitive, ma è funzione della relazione fra queste caratteristiche e le aspettative della

società”(Surian L., 2002).

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Di questa le ricerche più autorevoli hanno fatto la “bussola” per orientare gli sforzi e le

sperimentazioni terapeutiche. Dalla difficoltà legata agli stati d’ansia che colpiscono i soggetti

autistici in situazioni sconosciute, si è cercato di compensare con la strutturazione dell’ambiente

circostante e con la prevedibilità delle attività di gioco e di socializzazione. Queste strategie hanno

fatto si che si sviluppasse una maggiore competenza e prestazione nell'ambito delle interazioni

sociali.

Dalle autobiografie di persone affette da autismo, cito Temple Grandin come esempio eclatante, si è

cercato di “sbirciare” nel mondo che si nasconde dietro questa patologia e ci si è accorti di come in

molti casi si possa parlare di una diversità di “convenzioni”sociali rispetto ad una totale assenza di

abilità o ad un deficit sociale. La Grandin, nelle confessioni a Sacks, confessa di come si sia

“istruita” per comprendere i comportamenti delle persone in diverse circostanze in modo da essere

poi in grado di prevederne i comportamenti. Era in grado di comprendere le emozioni semplici, forti

universali, ma era sconcertata da quelle più complesse e simulate al punto da sentirsi come un’

“antropologa su Marte”. Molte di queste persone non sono persino in grado di capire la parola

“amico” nè tutto l’insieme di atteggiamenti ed emozioni che accompagnano questa parola. (Sacks,

1995)

Da questa considerazione ritengo che sia necessario documentarsi su questa patologia in maniera

“pervasiva”, soffermandosi non solo sulla ricerca scientifica ma anche su una conoscenza più

approfondita e più attenta al mondo del bambino con autismo. Oliver Sacks nella sua visita al Camp

Winston, centro estivo per bambini con autismo, era rimasto colpito dalla normalità che

caratterizzava i bambini autistici fisicamente ma di come la loro lontananza, la loro inaccessibilità

fosse invece così misteriosa; questa è la caratteristica che può disorientare l’interazione con un

soggetto del genere. La conoscenza e l'esplorazione di questo, a mio parere, potrà fare la differenza

tra un operatore e un bravo operatore che vuole lavorare con questo tipo di patologia.

Ricevere una diagnosi di autismo può essere devastante per molti genitori ma, nello stesso tempo,

può essere un sollievo “etichettare” i sintomi incomprensibili del proprio figlio. Molti genitori

possono venire sopraffatti dalla paura e da un grande dolore per la perdita del futuro che avevano

sperato per il proprio bambino. Nessuno spera infatti di avere un bambino con un ritardo dello

sviluppo. Una diagnosi di autismo può essere veramente sconvolgente e portare i genitori ad unirsi a

gruppi di supporto o a cercare un aiuto efficace per i propri bambini. La diagnosi, in particolar

modo quella precoce, può aprire le porte a molti servizi e può aiutare i genitori a conoscere i

trattamenti da cui si può trarre un maggior beneficio. Il punto fondamentale è che gli individui

autistici hanno il potenziale per crescere e migliorare. Contrariamente a quanto si può sentir dire,

l'autismo è trattabile e quanto prima questi bambini ricevono un trattamento adeguato, tanto

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migliore sarà la loro prognosi.

Ritengo che siamo ancora lontani dal poter mettere un punto fermo a questa corsa verso la “cura”,

ma già costruendo un intervento “su misura” che scopra punti deboli e, soprattutto, punti di forza

del bambino, si possa cambiare la sua vita e quella di chi vive intorno a lui. In termini di intervento

è importante quindi valorizzare ogni singola capacità o abilità diversa dalle altre per far sì che

diventi una risora e una vera “chiave” per fa uscire, o far entrare, il potenziale di queste persone e,

perchè no, il potenziale di ognuno di noi.