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AzI muT stalinismo e Grande terrore Saggi di E. Dundovich, I. Flige M. Talalay, P. Cioni A. Salomoni, B. Mantelli T. Kosynova, M.Clementi, V. Lomellini prefazione e cura di Marco Clementi
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Memorializzazione negli anni Settanta: i processi quarant'anni dopo

Feb 04, 2023

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Tommaso Sitzia
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Page 1: Memorializzazione negli anni Settanta: i processi quarant'anni dopo

AzImuT

stalinismo

e Grande terrore

Saggi di E. Dundovich, I. Flige M. Talalay, P. Cioni

A. Salomoni, B. MantelliT. Kosynova, M.Clementi, V. Lomellini

prefazione e cura di Marco Clementi

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© 2008 ODRADEK edizioni s. r. l. via san Quintino 35 - 00185 Roma

tel. /fax 06 70451413

e mail: [email protected] - sito Internet: www. odradek.it

ISBN 88-86973-94-2

Questo volume è stato stampato con il contributo della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università della Calabria.

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Il dibattito su Rinascita

Il Partito comunista italiano cominciò a confrontarsi con lo sta-linismo come fenomeno storico e politico fin dalla fine deglianni Cinquanta e, in particolare nel 1961 il dibattito all’internodel Comitato centrale fu molto importante. Una volta uscitodalle mura di Botteghe oscure, esso si spostò sui fogli di riferi-mento del partito; il settimanale ideologico del partito,«Rinascita», svolse in questo senso un ruolo di primo piano.

Dall’analisi delle sue pagine, a distanza di più di trent’anni,non è possibile individuare una prospettiva unica sullo stalini-smo. È plausibile, tuttavia, analizzare almeno due rilevanti puntidi contatto tra le analisi proposte: il primo era costituito da unamalcelata insofferenza nei confronti degli storici che muoveva-no da un rifiuto di natura etica verso lo stalinismo, per cui Stalinera presentato molto semplicemente per colui che aveva messoin ordine e industrializzato un Paese arretrato, ma che però haucciso troppi intellettuali, e poi ha rovinato l’agricoltura

1.

Riportare lo stalinismo alla categoria del dispotismo, impedivala «conoscenza reale del fenomeno»

2, mentre era necessario, al

contrario, un approccio più critico e approfondito. Nel dibattito,il Pci rivendicava a sé il ruolo di “studioso critico” del fenome-no, condannando le semplificazioni in chiave anticomunista eantisovietica e le facili soluzioni in chiave pro-sovietica: secon-do Adalberto Minucci la formula del culto della personalità

1 Si sarebbero resi colpevoli di tale approccio Althusser, Martinet, Kanapa perparte francese e Salvadori, Cafagna e Bocca per quella italiana; cfr. Rita Di Leo R.,Alcuni temi del dibattito sullo stalinismo, «Rinascita», 6, 1977.

2 Pietro Ingrao, Democrazia borghese o stalinismo? No: democrazia di massa,«Rinascita», 6, 1976.

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i processi quarant’anni dopo

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introduceva un elemento di mistificazione perché sottraeva «aStalin anche i suoi meriti»

3.

Fabio Bettanin scriveva che la storia sovietica «dev’essereinnanzi tutto un laboratorio», in quanto era una storia di contraddi-zioni, che non doveva essere liquidata per «concludere che la pagi-na è definitivamente girata»: al contrario, la necessità di approfon-dire criticamente quel periodo veniva sentita come impellente,anche perchè «il problema del rapporto tra democrazia politica esocialismo non ha più i confini di una particolarità nazionale»

4.

L’approccio critico e complessivo veniva così evidenziato:non solo analisi dei crimini di Stalin e della classe dirigente deglianni ’30, certamente esecrabili, ma studio delle cause che porta-rono a tali crimini e valutazione complessiva del problema dellostalinismo,

5anche per i risultati economici e sociali raggiunti.

Il secondo aspetto che veniva affrontato dalla maggior partedegli studiosi comunisti che si occupavano degli anni Trenta eral’ipotesi di predeterminazione dello stalinismo. Il fatto che il pro-cesso storico fosse «fondato su una catena così rigida di cause edeffetti da impedire di scorgere in ogni momento la viva presenza diuna alternativa»

6era respinto dagli studiosi e dai dirigenti del

Partito comunista italiano. L’idea di «non leggere la storia delPartito sovietico con gli occhi del senno di poi», per citare AdrianoGuerra, era ben presente nel gruppo di studiosi che, nei primi anniSettanta, si erano formati a Firenze attorno a Giuliano Procacci.

7

L’analisi proposta da Bettanin, ad esempio, stabiliva unostretto legame tra la genesi dello stalinismo e i «modi storici incui vennero effettuate l’industrializzazione e la collettivizzazio-ne» dell’URSS: la necessità di una «continua e tempestiva attua-

3 Adalberto Minucci, Stalin e noi, «Rinascita», 10, 1978.4 Paolo Spriano, Lo stalinismo, «Rinascita», 2, 1976.5 «La lotta per la trasformazione radicale dell’economia e della società, condot-

ta in prima persona da Stalin, è lo sfondo necessario in cui collocare il periodo dellepurghe e dei processi degli anni ’30»; in Per capire l’URSS, «Rinascita», 42, 1978.

6 Adriano Guerra, Alle origini dello stalinismo, «Rinascita», 21, 1978.7 Erano parte del gruppo di ricerca di Procacci, tra gli altri, Sergio Bertolissi,

Francesco Benvenuti, Lapo Sestan e Rita Di Biagio. Cfr. Adriano Guerra, cit.

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zione» delle direttive aveva indotto un duplice processo di con-centrazione politica, per cui «l’autoritarismo staliniano si collo-ca, pur nella sua unicità, nell’ambito di quel più vasto processo diaccrescimento dei poteri dello Stato». Le epurazioni e i processi,quindi, altro non furono che «un aspetto di (...) un generale pro-cesso di trasformazione della società sovietica» che vedeva «lacreazione di grandi energie poi prontamente represse non appenaesprimono una domanda più specificatamente politica».

8

“Memorie” di un passato che voleva tornare?

Dalla ricostruzione dei dibattiti su «Rinascita» emergeva chel’attenzione rispetto ai temi della “memorializzazione” del pas-sato del movimento operaio internazionale crebbe significativa-mente a partire dal 1977. Da quell’anno, i comunisti italiani siconcentrarono maggiormente sull’analisi critica della politicadel Pci nei confronti del’Unione Sovietica dell’epoca staliniana.Lo sviluppo della “memorializzazione” e la parziale modifica-zione del soggetto analizzato furono determinati da una serie difattori: da un lato, la necessità di consolidare la base teorica infunzione di una presa di distanza rispetto all’Unione Sovietica.Dall’altro, quell’anno vide accadere una serie di eventi di diver-sa natura e importanza, e tutti in novembre: il discorso diBerlinguer pronunciato a Mosca in occasione del Sessantesimoanniversario della Rivoluzione d’Ottobre

9, l’apertura della

8 Fabio Bettanin, Un laboratorio di esperienze, di sconfitte e di successi,«Rinascita», 5, 1979.

9 Il passaggio chiave pronunciato da Berlinguer fu la definizione di «democra-zia come un valore storicamente universale sul quale fondare un’originale societàsocialista», «l’Unità», 3 novembre 1977. Durante i colloqui privati con Brežnev, fuevidente che i rapporti tra Pci e Pcus erano giunti a un momento di massima tensio-ne. Vale la pena di ricordare che, proprio nello stesso mese, il Pci partecipò al votoparlamentare – tra le altre cose, riguardante la collocazione internazionale dell’Italiae il suo legame con la Cee e con la Nato. Secondo Silvio Pons questo fu il momen-to «di maggiore coesione dei partiti della solidarietà nazionale»; cfr. Silvio Pons,Berlinguer e la fine del comunismo, Torino, Einaudi, 2006. Si veda anche EnricoBerlinguer, Le vie dell’Occidente, «Rinascita», 43, 4 novembre 1977.

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Biennale del Dissenso10, organizzata da Carlo Ripa di Meana, e

del Convegno Potere e opposizione nelle società post-rivoluzio-

narie. Una discussione nella sinistra,11

per iniziativa del gruppode «il manifesto». Al di là dell’Atlantico, infine, l’elezione diJimmy Carter a presidente degli Stati Uniti ridiede centralitàinternazionale al tema dei diritti civili.

Secondo il Pci, che di fronte a queste iniziative non seppecontrapporre altro, se non perplessità, la minaccia della strumen-talizzazione incombeva: la preoccupazione che attanagliava icomunisti italiani era sull’uso del proprio passato e «del dissen-so ai fini di una piccola, congiunturale, battaglia politica». Intale ottica la Biennale di Venezia era stata additata come unamanifestazione intrisa «del revival dell’anticomunismo e del-l’antisovietismo degli anni ’50»

12. Un approccio diverso ai ses-

sant’anni di storia sovietica era necessario anche per compren-dere il fenomeno del dissenso: un obiettivo, quello dell’analisicritica, per il quale gli studiosi comunisti si erano spesi da sem-pre, come veniva sottolineato per enfatizzare l’assenza di stru-

10 La Biennale venne organizzata dall’esponente socialista Carlo Ripa diMeana: l’iniziativa incontrò la pregiudiziale opposizione dell’Unione Sovietica, chetentò di impedire la realizzazione della manifestazione. Solo in seguito alla solida-rietà manifestata al Presidente della Biennale da larga parte del mondo politico, larassegna del dissenso potè aver luogo. Intervista dell’autrice con Carlo Ripa diMeana, 18 giugno 2007, Roma. Si veda ora soprattutto Carlo Ripa di Meana eGabriella Mecucci, L’ordine di Mosca. Fermate la Biennale del Dissenso, Roma,Liberal Edizioni, 2007.

11 Potere e opposizione nelle società post-rivoluzionarie. Una discussione

nella sinistra, Atti del Convegno del Manifesto sul dissenso, «il Manifesto», quader-no n.8, Roma, Alfani Editore, 1978.

12 Adriano Guerra, Cosa vuol dire fare i conti col socialismo sovietico. URSS

e dissenso: l’errore della Biennale, «Rinascita», 46, 25 novembre 1977. Guerra,inviato di «Rinascita» alla Biennale, spiegherà poi in seguito l’atteggiamento del Pcinei confronti della manifestazione come frutto di una triplice pressione da parte delleforze politiche italiane, dal Pcus e dal gruppo de «il manifesto». Secondo il giorna-lista, la «prova (della Biennale) è stata superata dai comunisti italiani, in modosostanzialmente positivo, seppur con qualche difficoltà». A. Guerra, Comunismi e

comunisti. Dalle “svolte” di Togliatti e Stalin del 1944 al crollo del comunismo

democratico, Bari, Dedalo, 2005.

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mentalità nella ricerca del Pci13. I comunisti italiani si trovarono

a fronteggiare – a loro dire – «la proliferazione di una vera e pro-pria letteratura del terrore e della guerra fredda» che aveva ten-tato di «accreditare presso il pubblico occidentale l’immagine diun potere unicamente terroristico, degno continuatore dellenefandezze di Ivan il Terribile»

14.

Nel gennaio 1978, quasi contemporaneamente alla pubblica-zione della dichiarazione del Dipartimento di Stato americanonella quale si ribadiva la contrarietà degli Stati Uniti alla parte-cipazione dei Partiti Comunisti ai Governi dell’EuropaOccidentale

15, sulle colonne di «Rinascita» veniva promosso un

confronto con lo stalinismo dai toni particolarmente accesi. Giorgio Amendola aprì la tavola rotonda con una dichiara-

zione sferzante, che vale la pena di riproporre:

Noi siamo corresponsabili della repressione staliniana. E comepotremmo non esserlo, considerato ciò che l’Unione Sovietica harappresentato per lunghi anni per il movimento operaio? Quandoparlo di corresponsabilità non escludo i momenti dei grandi pro-cessi, fra il ’36 e il ’38, né quegli altri momenti assai gravi chehanno inizio nel ’48. Quando accettammo il principio dell’ina-sprimento della lotte di classe (...) praticamente accettammo (...)anche certe conseguenze.

13 La pubblicazione degli scritti di Giuseppe Boffa e di Giuliano Procacci,assieme alla attività editorialistica degli Editori Riuniti, che comprendeva la pubbli-cazione di alcuni autori “dissidenti”, come Roj Medvedev, costituivano la linea ideo-logica del Partito comunista italiano. Fabio Bettanin e Lapo Sestan, Bibliografia.

Che cosa leggere per capire l’URSS, «Rinascita», 43, cit.14 Tra gli storici accusati di parzialità troviamo Conquest, Ulam ed Erickson.

F. Bettanin e L. Sestan, Bibliografia…, cit. Tra l’altro, a loro dire si dimostrava unascarsa conoscenza della storia russa (e non solo), volendo anche solo lontanamenteparagonare Ivan il Terribile (Groznyj) e la sua epoca allo stalinismo.

15 Silvio Pons, Berlinguer e la fine del comunismo, cit. Si veda, però, ancheMarco Clementi, La pazzia di Aldo Moro, Milano, Rizzoli, 2006, dove la dichiara-zione è contestualizzata negli incontri cominciati nel mese di febbraio pressol’Ambasciata americana a Roma tra il rappresentante statunitense e tre importantifunzionari del Pci: Emanuele Macaluso, Giorgio Napolitano e Ugo Pecchioli: tema– l’attitudine del Pci nei confronti della Nato.

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Se questa era la posizione di Amendola, che valore avevaavuto, allora, la via italiana al socialismo?

Afferma[ndo] che era necessaria una via autonoma al socialismo,noi comunisti italiani non negavamo valore storico a un’esperien-za, come quella sovietica, che si era espressa anche nella formavoluta da Stalin. Il processo reale aperto col XX Congresso (...) nonfu facile: la convinzione della funzione di Stalin non era una cami-cia sporca da buttar via, era un abito dal quale riuscimmo a liberar-ci a stento. (...) Fu Togliatti a sollecitare un chiarimento degli aspet-ti più superficiali e rozzi della denuncia chruscioviana16.

La denuncia impietosa di Amendola trovava la propria notapositiva nel ruolo svolto da Togliatti dopo «l’indimenticabile’56»

17. Gli altri partecipanti alla tavola rotonda colsero il testi-

mone, enfatizzando la diversità della base del Pci, «settaria, sta-linista quanto vuoi» ma che, tuttavia, accettava «alcuni elemen-ti pratici che contraddicevano il suo stesso stalinismo», come, adesempio, la politica unitaria coi socialisti

18.

Ma qual’era il grado di conoscenza del terrore, da parte deicomunisti italiani? Paolo Bufalini sostenne, rispetto ai fattidenunciati al XX Congresso, che non ve n’era consapevolezza:«Certo – affermò – conoscevamo e davamo una certa giustifica-zione dei grandi processi. Anche se ne avevamo una coscienzacritica». La memoria correva a discussioni a Roma: gli eccessi

16 Tavola rotonda: Giorgio Amendola, Paolo Bufalini, Gianni Cervetti, CelsoGhini, Non aspettammo il rapporto segreto di Krusciov, «Rinascita», 8, 24 febbraio1978. Si veda anche Paolo Spriano, Discutendo su Amendola e la storia del Pci,«Rinascita», 37, 22 settembre 1978. A. Minucci definì l’elaborazione di Amendola“discutibile e dura” ma affermò anche che andava “accettata”. A. Minucci, Stalin e

noi, «Rinascita», 10, 10 marzo 1978. 17 Sul rielaborazione del ’56 si vedano anche G. Procacci, XX Congresso. Un

grande evento della storia mondiale, «Rinascita», 8, 20 febbraio 1976; A. Minucci,XX Congresso. Che cosa ha impedito di andare più avanti, ibidem, e GiorgioNapolitano, Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Bari,Edizioni Laterza, 2005, p. 133.

18 Intervento di Celso Ghini alla tavola rotonda, «Rinascita», 8, 24 febbraio1978.

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venivano ricondotti alle «durezze della lotta politica [...] pensa-vamo che una rivoluzione va avanti anche attraverso drammi eche, comunque, l’Unione Sovietica rimaneva il grande punto diancoraggio decisivo nella lotta contro il fascismo»

19.

Dalla discussione tra dirigenti emergeva un dato costante: ilrinnovamento della politica del Pci non nasceva con la morte diStalin, ma dai comunisti italiani stessi, che avevano «colto certiprocessi di trasformazione della società italiana, seppure conritardo». L’attenzione si focalizzava quindi, non solo sull’auto-critica, ma anche sul ruolo positivo che il Pci aveva svolto, intro-ducendo nel proprio contesto nazionale elementi estranei allostalinismo. All’ammissione del perdurare dell’ambiguità nel-l’analisi del ruolo dei comunisti italiani rispetto a ciò che eraaccaduto negli anni ’30 in Unione Sovietica, corrispose una pre-tesa diversità del comunismo italiano, intesa come una «dicoto-mia profonda fra lo sviluppo» del pensiero del partito «e la real-tà dello stalinismo in Urss». Una diversità anche ideologicarispetto allo stalinismo, tale che «il pensiero buchariniano dellaseconda metà degli anni Venti [...] ebbe un’importanza notevoleper Togliatti e precedentemente anche per Gramsci»

20.

Se ciò ha un fondamento, come riuscirono a gestire unasimile contraddizione i comunisti italiani degli anni Trenta? Lacosa più semplice da fare «era rimuoverla; credere che la logica

della lotta fosse talmente spietata che dall’opposizione si cade-va nel tradimento»

21. Ecco la ragione per cui, spiegava

Lombardo Radice, «tanti esponenti dell’eurocomunismo di oggigiustificarono i processi di Stalin degli anni Trenta».

In linea con tale tendenza nel giugno 1978 il Pci diede ampiospazio alla richiesta di riabilitazione per Nikolaj Bucharin, l’ex

19 Intervento di Paolo Bufalini alla tavola rotonda, ivi.20 Così Giuseppe Boffa a una nuova tavola rotonda organizzata da «Rinascita»

assieme a Paolo Bufalini e Luciano Barca. M. Ferrara (a cura di), Stalin e lo stalini-

smo, «Rinascita», 49-50, 21 dicembre 1979. Si veda anche A. Adler, Ma non fu una

semplice deviazione, ivi.21 L. Lombardo Radice, Comunisti degli anni ’30, «Rinascita», 18, 11 maggio

1979

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segretario generale del Comintern processato e condannato amorte nel 1938. L’articolo con cui si aderì a tale domanda, avan-zata dal figlio di Bucharin, fu intitolato significativamente: I

conti con tutto il nostro passato22. Nel testo si sottolineava come

«gli studiosi comunisti non hanno certo atteso questa occasioneper dissociarsi dagli aberranti giudizi del Breve corso del 1938 eper avvicinarsi alla figura di Bucharin con spirito di oggettivitàstorica»

23. I conti con quello scottante passato reclamavano la ria-

bilitazione di Bucharin, che, in termini più generali, significavala richiesta di «un processo inteso a ristabilire la verità storica»,stimato come una «necessità del nostro movimento».

La Storia dell’Unione Sovietica di Giuseppe Boffa: un caso

letterario e politico

Accanto alle discussioni di cui si è detto, un altro evento inciseprofondamente nel processo di “memorializzazione” del Pcidurante gli anni Settanta. Si tratta del volume La storia

dell’Unione Sovietica di Giuseppe Boffa, che fu considerato uncaso letterario e politico sin dalla sua prima edizione e valseall’autore, giornalista de «l’Unità», l’assegnazione del PremioViareggio per la saggistica nel 1979. Il lungo studio fu pubblica-to in due parti, la prima nel 1976 e la seconda del 1979 e per laprima volta una storia dell’Unione Sovietica, scritta da un auto-re straniero, veniva pubblicata in lingua russa anche a Mosca.

Giuseppe Boffa era certamente uno dei giornalisti più affer-mati de «l’Unità» e per la sua attività non si era attirato solodelle simpatie da parte dei dirigenti dei Paesi socialisti. Nei pri-missimi anni Settanta, per esempio, Boffa era stato accusato dai

22 G. Procacci, I conti con tutto il nostro passato. La richiesta di riabilitazione

di Nikolaj Bucharin, «Rinascita», 26, 30 giugno 197823 Il Breve corso è il libro di Stalin sul leninismo. Per quanto riguarda gli stu-

diosi, ci si riferiva ai lavori di Ernesto Ragionieri e di Giuseppe Boffa, nonché alruolo determinante svolto dagli Editori Riuniti nella pubblicazione delle opere diBucharin; ivi. Si veda anche G. Procacci, Coraggio e limiti politici dell’opposizione

di Trockij a Stalin, «Rinascita», 43, 1979.

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dirigenti cecoslovacchi di essere implicato nel caso del giornali-sta Valerio Ochetto, inviato della Rai, arrestato nel gennaio del1972. Ochetto era accusato di violazione delle leggi cecoslovac-che perché trovato in possesso di manoscritti antisocialisti. Lostesso Boffa, secondo quanto riferiva Armando Cossutta in unanota a Segre e Berlinguer, era stato accusato di essere tra gliorganizzatori in Italia del trasporto dei materiali clandestini pere verso la Cecoslovacchia

24.

Al di là delle cospirazioni – vere o presunte – Boffa era invi-so a una parte della dirigenza sovietica proprio per la sua attivi-tà giornalistica: nel 1977 si guadagnò persino una critica perso-nale dal cosiddetto ideologo del Pcus, Michail Suslov, il qualedurante un incontro con i comunisti italiani affermò che nonsarebbero state tollerati altre critiche pubbliche nei confrontidell’Unione Sovietica. Il dirigente di Mosca affermava che lastampa del Pci – un partito fratello – deformava l’immaginedell’Urss, come facevano, ad esempio «gli articoli di Boffa e diColajanni sulla Costituzione»

25.

La pubblicazione del volume di Boffa, per quanto si ricavadalle carte dell’Archivio del Pci, non incontrò le proteste deisovietici. L’opera venne considerata «di impronta critica e origi-

24 Nota riservata di Armando Cossutta, 20 gennaio 1972, destinata ai compa-gni Segre e Berlinguer, Fondazione Istituto Gramsci, Archivio Centrale del PartitoComunista Italiano, (in seguito FIG APCI), Partiti Esteri – Cecoslovacchia, 1972 (IIparte), f. 1200.

25 Appunti di Macaluso sugli interventi di Suslov e di Ponomariov durante gliincontri con le delegazioni del Pci, riservato, protocollato il 1 settembre 1977. FIGAPCI, Note a Segreteria, 1977, IV bimestre, MF 299, ff. 0235 – 0240. I documenticonservati presso la FIG APCI rivelano un interessamento di Boffa circa la possibi-lità di organizzare un incontro tra l’ex dirigente del Partito comunista cecoslovaccoZdeněk Mlynář e un dirigente del Pci. Si veda l’appunto di Giuseppe Boffa perSergio Segre, 1 luglio 1977, FIG APCI, Note a segreteria, 1977, IV bimestre, f. 149.Nuovamente nel 1981, i sovietici non gradirono l’iniziativa che lo stesso Boffa,assieme ad altri studiosi di rilievo internazionale come Spriano e Strada, avevanopreso circa il caso di Andrej Sacharov, all’epoca in domicilio coatto a Gor’kij; siveda l’appunto di Renzo Imbeni circa il suo incontro con Černjaev, Zuev e Smirnovil 2 giugno 1981 a Mosca, FIG APCI, 3 giugno 1981, Estero – URSS, MF 504, fasci-colo 8108, ff. 56/57.

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nale» dal principale esponente dell’ala migliorista del Pci, GiorgioNapolitano: il lavoro di Boffa, a suo parere, si inseriva nel meritodi «uno sforzo di studio non convenzionale nei paesi socialisti»

26.

Il punto centrale dello studio di Boffa, che avrebbe potutocreare degli attriti con i sovietici, era la critica puntuale sulla sta-gione dei grandi processi del 1936-38. Boffa utilizzava parole dicondanna per l’assassinio di Kirov, a suo dire utilizzato da Stalin«per orientare a proprio favore gli sviluppi della lotta politicasotterranea» e per abolire «qualsiasi garanzia legale per i crimi-ni politici»

27. In mancanza assoluta di qualsiasi garanzia legali-

taria, dunque, i primi processi, in particolare quello controZinov’ev e Kamenev, sancirono «l’identificazione, ormai espli-cita, della semplice lotta politica col delitto»

28.

La critica si soffermava anche sulla realizzazione del sociali-smo, proclamata da Stalin durante l’VIII Congresso straordinariodei Soviet: «Sebbene avesse non pochi tratti socialisti, la societàsovietica corrispondeva poco alle immagini che del socialismoavevano avuto i suoi precursori». Stalin accompagnava al suoproclama anche «un’analisi della realtà sociale molto sommaria»e una valutazione positiva delle contraddizioni economiche che«andavano scomparendo». Con tale Congresso, affermava Boffa,«venivano poste le basi per una concezione “monolitica” non piùdel partito soltanto, ma dell’intera società»

29.

Introducendo il tema del «terrore di massa», però, l’autoreprendeva le distanze dall’analisi condotta da AleksandrSolženicyn nel suo Arcipelago GULag: «Al di là della repulsio-ne morale che la tragedia del ’37 provoca, occorre cercare dicogliere il significato politico nell’evoluzione dell’UnioneSovietica»

30. Anche Boffa, quindi, riaffermava la necessità di

evitare l’impropria definizione di stalinismo come totalitarismo.

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26 Si veda Giorgio Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo, cit., p. 113.27 G. Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, 1928-1941, Roma, l’Unità, 1995, p.

189.28 Ivi, pp. 191 e 201.29 Ivi, pp. 208.30 Ivi, p. 247.

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Come doveva esser inteso, allora, quel periodo? L’analisi pro-posta da Boffa verteva sull’impreparazione del partito, che «nonaveva le armi ideali», per combattere l’ondata oppressiva. Dallostupore derivò, quindi, «uno smarrimento totale»: molte vittime«rimasero convinte che la responsabilità della loro persecuzionenon fosse di Stalin». Inoltre, i dirigenti erano divenuti troppo debo-li: avevano perso consenso perchè il Segretario del Pcus «conosce-va le debolezze dei comitati di partito e le sfruttò ampiamente conle tesi del sabotaggio». Non solo ci fu un uso indiscriminato dellapolizia politica (NKVD), ma anche creazione di «un movimentocieco di opinione pubblica» contro la classe dirigente della vecchiaguardia bolscevica che venne, in tal modo, screditata

31.

Un accenno interessante, seppur limitato, riguardava il perio-do chruscioviano, ed in particolare la riabilitazione delle vittime, dicui si denunciava la parzialità, perché «pronunciata tuttavia soloper le figure minori e non per i principali condannati». Fu ricono-sciuto, in definitiva, «il carattere arbitrario dei processi», ma «nes-suno parlò più dei presunti delitti degli imputati»

32. Pungente, seb-

bene confinato allo spazio di una battuta, il commento dello statodella “memorializzazione” in Unione Sovietica negli anni Settanta:Boffa ironizzava sulle opinione degli autori sovietici a lui contem-poranei, «tutt’altro che malevoli nei confronti di Stalin»

33.

Momenti e problemi della Storia dell’URSS: un seminario

per riflettere

Il volume di Boffa non fu l’unica iniziativa in direzione di unapproccio critico al proprio passato. Nel gennaio del 1978, a duemesi dalla contestatissima Biennale del dissenso, il Pci organiz-zò alla scuola di partito di Frattocchie un seminario intitolatoMomenti e problemi della storia dell’Urss. L’intento era quellodi impedire al Partito socialista di egemonizzare la riflessione

31 Ivi, p. 267.32 Ivi, p. 265.33 Ivi, p. 269.

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sulla storia e sulle contraddizioni del movimento operaio inter-nazionale. L’iniziativa, ideata come un seminario di studi e diricerche, testimoniava la volontà dei comunisti italiani di rifiuta-re la logica della «scomunica dell’Unione Sovietica al posto delgiudizio politico»

34.

Il seminario confermava l’impegno di «una nuova generazio-ne di studiosi, di diverse discipline, sulla realtà del socialismo nelmondo». Veniva sostanzialmente riproposta la versione della sto-ria dell’Unione Sovietica come «grande laboratorio sperimenta-le», mentre si respingeva l’esclusività dell’impegno accademicoe, al contrario, si sosteneva che i problemi sovietici erano proble-mi anche del Pci, in quanto «coinvolgono la sostanza stessa delmarxismo», sebbene «il problema della lotta per la democrazianei paesi socialisti [...] non si esaurisce certo nella rivendicazio-ne delle libertà politiche, individuali e collettive»

35.

Il seminario, in definitiva, ben si collocava nell’ambito delripensamento critico della storia del Pci in atto già da diversianni, e che la congiuntura nazionale ed internazionale avevaportato ad enfatizzare, e i relatori affrontarono dei temi di gran-de rilevanza. Boffa aprì con una relazione sulla componentenazionale e socialista nella rivoluzione russa e nell’esperienzasovietica; Procacci prese la parola affrontando i problemi dipolitica estera sovietica tra il 1930 e il 1956; Cerroni trattò iltema della politica e della legalità nell’esperienza sovietica eGuerra concluse sullo stato degli studi e dei dibattiti sull’UnioneSovietica. Folto e nutrito fu il gruppo degli studiosi che inter-vennero, seppur brevemente, al seminario

36.

34 A. Guerra, Come abbiamo affrontato i problemi dell’URSS, «Rinascita», 4,27 gennaio 1978.

35 M. Boffa, Storia e modello dell’Unione Sovietica. Il seminario all’Istituto

Gramsci, «Rinascita», 3, 20 gennaio 1978. Si segnala, inoltre, come il momento diriflessione fosse più esteso che alla sola storia dell’Urss perché coinvolse anche ilproblema cecoslovacco, come testimonia, a solo titolo esemplificativo l’articolo diBoffa, Il ’68 cecoslovacco, «Rinascita», 3, 20 gennaio 1978; M. Hübl, Da Praga

dieci anni dopo, «Rinascita», 3, cit.36 Tra gli altri: Carlo Boffito, Vittorio Strada, Sergio Bertolissi, Fabio Bettanin,

Lapo Sestan, Luciano Gruppi, Gian Carlo Pajetta, Guido Ortona, Aldo Agosti,

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Trattare nel particolare ogni intervento esula dallo scopo diquesto studio: la scelta ricadrà, quindi, su quei passi che si riten-gono maggiormente significativi ed innovativi, che si articolaro-no su alcuni definiti temi d’indagine.

Risaliti, durante il suo intervento intitolato Aspetti del feno-

meno stalinista, propose un’interpretazione delle repressioni del1936-1938 come di «un colpo inflitto all’intelligentsija ebrai-ca»

37. Ben diversa l’interpretazione proposta da Bettanin,

Bertolissi e Sestan: la promozione di centinaia di migliaia dimembri del partito impreparati, resa necessaria dalla evoluzionedel partito a partito-Stato, originò continue tensioni che portaro-no ad un clima «da caccia alle streghe». Tale processo fu anchefavorito dalla settorializzazione, che rese «inevitabile» l’amplia-mento dei poteri della polizia politica. La settorializzazionesarebbe stata una spiegazione anche dei processi degli anni1936-38: il gruppo dirigente, che si sentiva minacciato dai qua-dri tecnici di alto livello, evitò, grazie alla repressione, chepotessero diventare una reale alternativa di potere.

Nella relazione di Guerra si enfatizzava la fallacia di unaimpostazione manichea, caratteristica di molti studi sull’UnioneSovietica: «Non si tratta tanto o soltanto di dire “no” a unmodello di socialismo», affermava; lo scopo degli studi comuni-sti sull’Urss doveva essere quello di «restaurare valori socialistiche nell’esperienza sovietica non hanno potuto manifestarsi osono andati perduti»

38.

Procacci, nelle sue conclusioni, pose l’accento sulla parzia-lità dell’analisi delle società socialiste: «un elemento di euforiadeterminato da una serie di congiunture anche molto limitate,molto databili [mentre] c’è invece una sottovalutazione dellecontraddizioni e dei problemi politici che esistono». Procaccidenunciò duramente «l’incompletezza di applicazione» sia «per

Francesco Benvenuti e Aldo Tortorella. Le relazioni sono pubblicate in IstitutoGramsci, Momenti e problemi della storia dell’URSS, Roma, Editori Riuniti, 1978.

37 R. Risaliti, Aspetti del fenomeno stalinista, ivi, p. 137.38 A. Guerra Lo stato degli studi e dei dibattiti sull’Unione Sovietica. Proposte

per un programma di ricerche, ivi.

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quanto concerne i rapporti tra gli Stati socialisti», sia «per quan-to concerne i problemi della destalinizzazione e della democra-tizzazione della società sovietica»

39.

L’intervento di maggior interesse circa la storia dell’Urss edel Partito comunista sovietico fu tenuto da Vittorio Strada che,dopo un’analisi del fenomeno totalitario, affermò che «il regimestaliniano resta un ottimo esempio» di totalitarismo, preceduto eseguito da forme politiche affini»

40. Su un piano opposto verte-

va l’intervento di Bertolissi, Bettanin e Sestan che continuavanoa negare la «sterile visione che fa dello stalinismo una sempliceforma di totalitarismo». Tale approccio, infatti, aveva il difettodi perdere di vista il significato di «quegli elementi dinamici eavanzati indubbiamente presenti» negli anni Trenta, che aveva-no fatto dell’esperienza sovietica qualcosa di diverso dal feno-meno totalitario [sic]

41.

Particolarmente vivace fu la discussione sugli anni Settanta.Strada presentò nuovamente una posizione molto netta: la man-canza di libertà e l’assenza conseguente del fenomeno di autoe-ducazione, privava l’Unione Sovietica della possibilità di esseresocialista: «il socialismo reale si avrà solo quando vi si avrà unademocrazia reale». Strada rifiutava così l’antidogmatismo cheimperava in molti interventi, basato sull’obiezione che il socia-lismo è una complessa realtà che va vista nel suo divenire.Nell’ottica di Strada, chi affermava che la società sovietica,anche se con gravi carenze, era socialista, dimostrava «di avereancora un’idea di socialismo non molto lontana da quella domi-nante nel periodo stalianiano» o «di avere un atteggiamentoopportunistico verso l’Urss»

42.

Completamente differente, ancora una volta, fu l’approcciodi Bertolissi, Bettanin e Sestan: l’uso improprio dei termini comestalinismo e neostalinismo non consentiva di comprendere appie-

39 G. Procacci, Conclusioni, ivi, pp. 378-379.40 V. Strada, Politica e cultura dell’URSS, ivi, p. 156.41 S. Bertolissi, F. Bettanin e L. Sestan, Stalinismo e continuità nello sviluppo

storico sovietico, ivi. 42 V. Strada, Politica e cultura dell’URSS, cit.

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no la società sovietica degli anni Settanta. Se esisteva una conti-nuità con lo stalinismo per alcune evidenze (l’esistenza di un par-tito unico, l’atrofia delle istituzioni e la persistenza di un’ideolo-gia ufficiale), d’altro lato molte caratteristiche dell’UnioneSovietica segnavano un forte discrimine col passato (primo fratutti, la politica di coesistenza pacifica).

43L’Urss degli anni

Settanta non era quella degli anni Trenta. Tuttavia, puntualizzavaAdriano Guerra, l’Unione Sovietica stava affrontando la «crisidella linea del XX Congresso», come la risposta ai problemi postidallo stalinismo: da tale crisi «ha preso il via una linea caratteriz-zata» da «aspetti involutivi che arriva sino ai giorni nostri». Ildissenso e le risposte date al dissenso dall’establishment sovieti-co altro non erano che parte di questa crisi in atto

44.

Parlando della peculiarità italiana e del nesso tra democraziae socialismo, toccò nuovamente a Strada a sottolineare, perprimo, il rapporto inscindibile tra i due concetti: «Il socialismoè necessariamente democratico in quanto è [un] processo diautoeducazione della società […] neppure pensabile senza la piùampia libertà di informazione e di discussione»

45. Riprendendo

il discorso, anche Gian Carlo Pajetta affermava che la questioneinvestiva il Pci in quanto «i problemi sovietici e dei paesi socia-listi ci riguardano direttamente». Proprio dai sessant’anni di sto-ria sovietica nasceva l’esigenza di un nuovo internazionalismo:«ognuno deve saper rivendicare insieme l’internazionalismo el’autonomia nazionale». Di fronte a tale necessità, la politicadell’Unione Sovietica era comprensibile solo se si conferiva lanecessaria attenzione alla primogenitura rivoluzionaria, che «dàal nazionalismo una concezione quasi messianica». Questavisione spiegava le ingerenze e anche un certo paternalismo,«che talvolta può essere rappresentato dai carri armati»

46.

43 S. Bertolissi, F. Bettanin, L. Sestan, Stalinismo e continuità nello sviluppo

storico sovietico, ivi, p. 174.44 A. Guerra, Conclusioni, ivi, p. 39145 V. Strada, Politica e cultura dell’URSS, cit. 46 G. C. Pajetta, Una ricerca che continua, ivi, p. 194. Lo stesso Pajetto affer-

mò nel suo intervento che non bastava avere il socialismo reale «per rifiutare delleosservazioni critiche».

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Conclusioni

Ripercorrendo quello che ho chiamato il processo di memoria-

lizzazione all’interno del Pci negli anni tra il 1976 ed il 1979, sideve dire che esso fu incompleto. Accanto alle analisi, talvoltaimpietose (si pensi a quella della “corresponsabilità” di GiorgioAmendola), si osserva un ridimensionamento dei problemi attra-verso la denuncia dell’identificazione strumentale di stalinismoe totalitarismo. Un altro elemento concorreva, poi, a ridurrel’impatto della denuncia di “corresponsabilità”, ossia l’interio-rizzazione della propria immagine come quella dei compagni

buoni che, pur conoscendo la realtà sovietica, non avrebberoaccettato e introdotto la prassi dei grandi processi in casa loro. Aprescindere dalla convinzione, che nella pratica era tutta dadimostrare, tale immagine veniva applicata in modo arbitrario

47.

Se è pur vero, infatti, che il Pci pronunciò delle severe condan-ne sulla repressione del dissenso in Urss, ciò non impedì al par-tito di Berlinguer di mantenere delle ottime relazioni con il Pcus,dal quale continuava a essere anche finanziato.

Tale considerazione ci porta al secondo punto, ossia a cerca-re di capire quanto incise il processo di memorializzazione sulladefinizione della politica del Pci e sul suo rapporto con l’UnioneSovietica ed i Paesi del socialismo reale.

Ritengo non azzardato affermare che il processo di memoria-

lizzazione era tacitamente accettato da parte dei dirigenti sovieti-ci. Nonostante le critiche, talvolta veementi, nei confronti degliitaliani – si pensi, ad esempio, a quelle mosse a Boffa – taleaspetto veniva considerato parte dell’applicazione del principiodi autonomia dei partiti comunisti. E tale principio veniva accet-tato dal Pcus. Questa tesi mi pare supportata anche dall’opinione

47 In questo senso può essere letta la dichiarazione di Pajetta a Cecchi, nelvolume intervista del 1977: «Mi sai dire quanti compagni – e ce ne sono [...] – chenon vogliono saperne dell’eurocomunismo o che non ammetterebbero una criticaall’Unione Sovietica, accetterebbero poi di sentirsi dire che non si può discutere unadecisione del Comitato centrale del nostro partito?» O. Cecchi (a cura di), La lunga

marcia dell’internazionalismo, intervista a Giancarlo Pajetta, Roma, Editori Riuniti,1978, p. 111.

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espressa da Procacci: il problema non era solamente l’incomple-

tezza dell’analisi che il Pci proponeva rispetto ai momenti e pro-blemi della storia dell’Urss. La contraddizione maggiore era«l’incompletezza di applicazione» sia per quanto concerneva «irapporti tra gli Stati socialisti», sia per quanto riguardava «i pro-blemi della destalinizzazione e della democratizzazione dellasocietà sovietica»

48. Insomma, per dirlo con altre parole, quanto

valeva la condanna dei metodi stalinisti di repressione, se poi sicontinuavano a mantenere ottimi contatti con l’Urss di LeonidBrežnev che perseguitava i dissidenti politici?

Qui era conservata la distinzione tra studi critici e loro appli-cabilità: se le critiche “accademiche” venivano tollerate, la que-stione del dissenso in Urss rischiava, al contrario, di esasperarele contraddizioni irrisolte tra i partiti fratelli, generando nuovetensioni e inducendo il Pci a superare quella linea di confine cheavrebbe portato alla rottura. Un salto che gli stessi comunisti ita-liani non desideravano compiere.

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48 G. Procacci, Conclusioni, cit.

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Gli autori

Elena Dundovich è professoressa associata di Storiadell’europa orientale.

Irina Flige è direttrice del Centro di ricerca scientificaMemorial di San Pietroburgo.

Michail Talalay, dottore di ricerca, è membro dell’istituto diStoria moderna e contemporanea dell’accademica delle Scienzedi mosca.

Paola Cioni, dottore di ricerca, collabora con l’istituto di Storiamoderna e contemporanea dell’accademia delle Scienze dimosca. È direttrice dell’istituto italiano di cultura di Francofortesul meno.

Antonella Salomoni è professoressa ordinaria di StoriaContemporanea all’Università della Calabria.

Brunello Mantelli è professore associato di StoriaContemporanea all’Università di torino.

Tat’jana Kosynova è ricercatrice del Centro di ricerca scienti-fica Memorial di San Pietroburgo.

Marco Clementi è ricercatore di Storia dell’europa orientaleall’Università della Calabria. da anni collabora con il Centro diricerca scientifica Memorial di San Pietroburgo

Valentine Lomellini è dottoranda all’imt, institute foradvanced Studies di lucca.

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Indice

Prefazione di marco Clementi 5

Elena Dundovich Le vittime italiane del Grande terrore 17

Irina Flige Gli oggetti della memoria sul Grande terrore 51

Michail Talalay Il caso Gnesin, spia italiana 71

Paola Cioni Le sette morti di Gor’kij 79

Antonella Salomoni Lo stalinismo e il diritto di cittadinanza:

il caso ebraico 91

Brunello Mantelli La storia poteva ripetersi? Il patto

Molotov-Ribbentrop del 1939 e il quadro baltico del 1919 115

Tat’jana Kosynova All’ombra di Katyn’. Mednoe 131

Marco Clementi Le Ceneri di Gramsci 143

Valentine Lomellini Memorializzazione negli anni Settanta:

i processi quarant’anni dopo 167

Gli autori 185