MEDIACLASSICA - UN PORTALE PER LE LINGUE CLASSICHE Il declino della Grecia delle poleis: dalla presa di Melo alla sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso. Lettura in parallelo di estratti da Tucidide e Senofonte. di Stefania Adiletta CLASSE E DISCIPLINA II Liceo classico (IV anno). Lezione di letteratura greca (percorso tematico relativo alla storiografia greca di età classica). PROGRAMMAZIONE All’interno del programma di letteratura greca si ipotizza di dedicare circa otto ore ad un percorso di approfondimento relativo al confronto tra la storiografia tucididea e quella di Senofonte, al fine di illustrare, attraverso un’analisi degli aspetti linguistici, stilistici e culturali, le differenze di sensibilità e di interessi dei due storici. PREREQUISITI Conoscenza degli elementi essenziali della storiografia di Tucidide e di Senofonte: - struttura e composizione delle Storie di Tucidide; - struttura e composizione delle Elleniche di Senofonte. Conoscenza dei principali eventi della storia greca: - la guerra del Peloponneso; - la fondazione della Lega delio-attica e la politica imperialistica ateniese (fino alla sconfitta nella battaglia di Egospotami). Lettura integrale in italiano della narrazione della presa di Melo (THUC. V 84-116) e della caduta di Atene dopo Egospotami (XEN., Hell. II 2, 3-23), per avere un quadro complessivo delle vicende analizzate negli estratti proposti in lingua originale.
26
Embed
MEDIACLASSICA - UN PORTALE PER LE LINGUE CLASSICHE
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
MEDIACLASSICA - UN PORTALE PER LE LINGUE CLASSICHE
Il declino della Grecia delle poleis: dalla presa di Melo alla sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso. Lettura in parallelo di estratti da Tucidide e Senofonte.
di Stefania Adiletta
CLASSE E DISCIPLINA II Liceo classico (IV anno).
Lezione di letteratura greca (percorso tematico
relativo alla storiografia greca di età classica).
PROGRAMMAZIONE All’interno del programma di letteratura greca si
ipotizza di dedicare circa otto ore ad un percorso di
approfondimento relativo al confronto tra la
storiografia tucididea e quella di Senofonte, al fine
di illustrare, attraverso un’analisi degli aspetti
linguistici, stilistici e culturali, le differenze di
sensibilità e di interessi dei due storici.
PREREQUISITI Conoscenza degli elementi essenziali della
storiografia di Tucidide e di Senofonte:
- struttura e composizione delle Storie di Tucidide;
- struttura e composizione delle Elleniche di
Senofonte.
Conoscenza dei principali eventi della storia greca:
- la guerra del Peloponneso;
- la fondazione della Lega delio-attica e la politica
imperialistica ateniese (fino alla sconfitta nella
battaglia di Egospotami).
Lettura integrale in italiano della narrazione della
presa di Melo (THUC. V 84-116) e della caduta di
Atene dopo Egospotami (XEN., Hell. II 2, 3-23), per
avere un quadro complessivo delle vicende
analizzate negli estratti proposti in lingua originale.
La presente proposta didattica, destinata ad un secondo Liceo classico (IV
anno), si inserisce all’interno di un percorso di approfondimento sulla storiografia
di età classica: esso prevede la lettura di estratti dalle Storie di Tucidide e dalle
Elleniche di Senofonte, relativi rispettivamente all’esemplare vicenda dell’isola di
Melo e alla caduta di Atene in seguito alla battaglia navale di Egospotami, allo
scopo di evidenziare la parabola discendente della Grecia classica1.
Si ipotizza di riservare alla presentazione di questo percorso tematico un totale
di otto ore, articolate in quattro lezioni (ciascuna di due ore). Il percorso è
presentato alla classe in parallelo con lo studio della storiografia greca, al fine di
far cogliere le relazioni di ogni testo con il contesto storico, culturale e letterario di
riferimento. La scelta del tema è caduta sul declino della polis alla fine del V secolo
a.C.: la narrazione della presa di Melo permette di rilevare la centralità del punto di
vista statale nella storiografia di Tucidide (la cui storia è primariamente storia
politico-militare2) mentre nel racconto della capitolazione di Atene offerto da
Senofonte emerge la nuova tendenza individualista e cosmopolita caratteristica
dell’età ellenistica (evidente nell’attenzione riservata alle singole personalità che si
alternano sulla scena politica3); la lettura integrale in italiano dei capitoli relativi
alla presa di Melo (Thuc. V 84-116) e della caduta di Atene dopo Egospotami (Xen.,
Hell. II 2, 3-23) – oltre ad offrire un quadro complessivo delle vicende analizzate
negli estratti proposti in lingua originale – mira ad evidenziare, al contempo, le
1 L’esasperazione della politica imperialistica ateniese porta la polis alla rovina; dopo la disfatta
di Atene, né Sparta né Tebe sono in grado di mantenere l’egemonia del mondo greco: dal 404 a.C. emergono prepotentemente quelle “terze forze” (Corinto, Argo e Tebe), che avevano già rivendicato un loro spazio nel corso della guerra del Peloponneso; è, infatti, proprio Tebe ad essere protagonista dell’ultimo tentativo, da parte di una polis, di ottenere l’egemonia panellenica. Dal IV secolo a.C. si assiste al risveglio e alla progressiva affermazione degli Stati federali, che – grazie alla maggiore estensione territoriale e alle maggiori risorse economiche e demografiche – accrescono la loro importanza rispetto al mondo delle poleis. Il mondo greco del IV secolo non è più un mondo bipolare – caratterizzato dal dualismo tra Atene e Sparta come dall’opposizione tra Greci e Persiani – ma è un mondo policentrico, caratterizzato dalla «ricerca fallita di un equilibrio» (M. Sordi). Cfr. C. BEARZOT, Manuale di storia greca, Bologna 2005, pp. 147-148.
2 Per Tucidide la forza viva che anima tutta la storia è l’uomo: lo storico ateniese vede le grandi personalità (Temistocle, Pericle, Cleone, ecc.) nella loro azione politica, escludendo tutti gli altri aspetti della vita individuale. Sulla scorta del principio aristotelico secondo il quale l’uomo è un “essere vivente per natura politico” (ζῷον πολιτικόν), al centro dell’interesse tucidideo più dei singoli individui c’è lo Stato, inteso come collettività politica: in tal senso, egli percepisce la lotta tra Atene e Sparta – che costituiscono due entità statali ben distinte – come la lotta tra due individualità. Per Tucidide sono fondamentali le ὀργαί (“passioni”) dell’uomo: poiché la più importante gli appare il desiderio di predominio sugli altri, egli conclude che l’imperialismo nasce da una necessità intrinseca dello spirito umano, vale a dire quella di dominare sugli altri.
3 In primo piano Senofonte mette i condottieri e li descrive minutamente con le loro virtù e i loro vizi: egli si serve dei discorsi allo scopo di caratterizzare meglio le singole personalità (in particolare, si diffonde su persone con cui era in amicizia stretta, ad esempio Agesilao) mentre manca uno sguardo di sintesi sugli avvenimenti più importanti sia della storia greca sia della storia persiana.
delegazione ateniese interpreta il fatto che il dibattito non avvenga al cospetto del
popolo come un segno del timore dei Melii che la massa (πλῆθος) possa lasciarsi
convincere dalle argomentazioni avversarie8; vengono discusse subito le modalità
della discussione tra le due delegazioni: anziché una ξυνεχὴς ῥῆσις (“discorso
continuato”), gli Ateniesi suggeriscono di articolare il confronto in brevi unità
5 THUC. III 91. 6 L’informazione temporale permette un approfondimento sul sistema di riferimenti cronologici
elaborato da Tucidide: dopo aver stabilito l’inizio della guerra, egli data gli eventi successivi contando il numero di anni trascorsi dall’inizio del conflitto e, poi, dividendo ogni anno in inverno ed estate. Cfr. TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, I (M.I. FINLEY - F. FERRARI - G. DAVERIO ROCCHI curr.), Milano 1984, p. 23. La ricostruzione cronologica è un’operazione complessa in quanto le città greche avevano calendari diversi: Tucidide – piuttosto che servirsi del calendario attico (con il rischio di essere compreso solo dai lettori attici) – sceglie di raccontare i fatti anno per anno, indicando se erano avvenuti nel primo, nel secondo o in un altro anno di guerra e se erano avvenuti d’inverno o d’estate (specificando se il grano in erba era maturo, se si stava formando la spiga e se era la fine della buona stagione). L’anno di inizio, da cui dipende l’individuazione di quelli successivi, è fissato con cura, non attraverso il riferimento all’Olimpiade (usata per il computo cronologico solo dall’età ellenistica, per iniziativa di Eratostene), ma specificando sia il nome dell’eforo spartano, sia quello della sacerdotessa argiva di Era, sia dell’arconte eponimo ateniese. Cfr. G.A. PRIVITERA - R. PRETAGOSTINI, Storia e forme della letteratura greca. Età arcaica e classica, I, Milano 1997, p. 390.
7 Al plurale ἀρχαί indica le “autorità statali”, al singolare il termine ἀρχή è comunemente adoperato in riferimento all’impero ateniese; gli ὀλίγοι erano i pochi cittadini aventi diritto di voto, in quanto Melo, essendo colonia spartana, aveva verosimilmente un ordinamento oligarchico. Cfr. M. PINTACUDA - R. TROMBINO, Hellenes. Percorsi tematici nei testi greci, II 1. Antologia di storici, Firenze 1998, p. 253.
8 Il timore di un ἀπάτη (“inganno”), operato dagli Ateniesi nei confronti del popolo, va ricollegato alla valenza psicagogica del λόγος: come mostrato dai sofisti, la parola ha il potere di educare la mente umana, di orientare e modificare il pensiero del singolo. Cfr. THUC. V 85, 1: (…) μὴ ξυνεχεῖ ῥήσει οἱ πολλοὶ ἐπαγωγὰ καὶ ἀνέλεγκτα ἐσάπαξ ἀκούσαντες ἡμῶν ἀπατηθῶσιν (…). Il vocabolo πλῆθος significa propriamente “massa”, “quantità” e si ricollega alla radice πλα-/πλη-(θ) comune al verbo πίμπλημι (“riempire”) e ai vocaboli πλέως e πλήρης (“pieno”); in latino derivano i termini plenus, impleo e plebs.
contrapposte, opponendo risposte puntuali ai singoli argomenti (καθ' ἕκαστον)9. I
Melii, sebbene scettici sulla reale utilità delle trattative diplomatiche (consci dei
preparativi di guerra dei loro avversari e del fatto che, indipendentemente
dall’esito del dibattito, saranno costretti a scegliere tra la guerra e la schiavitù)
accettano comunque di intavolare le trattative, perfino secondo le modalità
proposte dai legati di Atene.
Nella prima parte del dialogo, gli Ateniesi esplicitano la loro visione fredda e
spietata della realtà, giustificando la loro egemonia non più alla luce dell’apporto
offerto nelle guerre persiane ma facendo appello alla legge del più forte (sostenuta
in quegli anni dai sofisti, ed in particolare da Crizia); rifiutando uno dei temi
tradizionali della propaganda politica ateniese, essi ribadiscono che il mondo non è
retto dalla giustizia (τὸ δίκαιον) ma dalla forza (δύναμις)10: gli Stati sono destinati
a prevalere o a soccombere, in quanto è legge di natura che sia il più forte a
dominare; pertanto mostrare ed esercitare la propria forza da parte del potente
non solo è lecito ma anche politicamente vantaggioso11. I Melii – appellandosi
dapprima al concetto di utile (τὸ ξυμφέρον) e, poi, alle ragioni dell’onore e della
morale – tentano di convincere Atene ad assumere una posizione più moderata (V
100) e, nella fase conclusiva del dialogo, esprimono la loro speranza
nell’imponderabilità della guerra, che può determinare esiti che le rispettive
potenze in campo non lascerebbero mai supporre (V 96-103). La sorte, però, per
gli Ateniesi non rientra tra i fattori degni di considerazione: ai Melii – che
confidano nella τύχη, poiché gli dèi non possono abbandonare uomini innocenti
che si oppongono a chi viola il giusto – i legati ateniesi oppongono un
atteggiamento derisorio soprattutto verso “i soccorsi invisibili della mantica, gli
oracoli, e il fumoso corredo che li accompagna: risorse che suscitano l’illusione, e
affrettano il disastro”12. Alla fiducia dei Melii in un intervento amico spartano (“per
9 La struttura del dialogo richiama il ritmo sostenuto delle sticomitie teatrali (cioè le battute di
un solo verso, alternate tra due attori). L’attenzione riservata alle modalità di svolgimento del dibattito si spiega considerando che l’arte della parola (di cui gli Ateniesi erano maestri) è considerata un’arma potentissima per il potere di seduzione che essa riesce ad esercitare sull’animo dell’uomo (indipendentemente dalla validità contenutistica del singolo discorso). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 254.
10 Sebbene la propaganda politica ateniese di età classica fosse solita esaltare il successo della polis sui Persiani, evidenziando (anche fino all’esagerazione) il debito dell’intera Grecia verso Atene, Tucidide, attribuendo ai legati ateniesi a Melo il ripudio di ogni tendenza autocelebrativa, propone una critica indiretta di tali formule propagandistiche. Cfr. L. CANFORA (cur.), Erodoto, Tucidide, Senofonte. Letture critiche, Milano 1975, p. 37.
11 Il riferimento alla legge del più forte compare altresì nelle parole di Trasimaco nella Repubblica platonica (338c) “io affermo che la giustizia non è altro che l’interesse del più forte”.
12 THUC. V 103, 2. Tale irrisione rivela lo scetticismo tucidideo – opposto alla religiosità erodotea e frutto dell’influenza sofistica (cfr. infra) – nei confronti del sovrannaturale. L’atteggiamento laico dello storico emerge anche in altre riflessioni: nel mondo divino (come in quello umano) prevale l’impulso a dominare ricorrendo alla forza (οὗ ἂν κρατῇ ἅρχειν); tale legge – secondo la consueta concezione tucididea dell’immutabilità dei comportamenti umani – non è di certo stata istituita
dovere di consanguineità e per sentimento d’onore”, V 104), gli Ateniesi replicano
ricordando l’inaffidabilità di Sparta (“i Lacedemoni, di solito, sono valorosi quando
sono chiamati in causa loro stessi e le loro consuetudini patrie, mentre sul loro
modo di comportarsi con gli altri popoli ci sarebbe molto da dire”, V 104-105),
secondo un tema topico nella letteratura e nel teatro attico di fine V sec. a.C.13. I
Melii, ribadendo che i Lacedemoni potrebbero attaccare Atene stessa o i suoi
alleati ancora non colpiti da Brasida (V 106-110), rievocano la vittoriosa
spedizione in Tracia e nella penisola calcidica del 424 a.C. guidata dal generale
spartano, che era costata l’esilio allo stesso Tucidide14; tuttavia, gli Ateniesi
smontano l’irrazionale fiducia di salvezza degli isolani e, nel loro ultimo e
perentorio intervento, invitano gli avversari a considerare le cose con prudenza
(σωφρόνως), poiché l’aver provocato “un nemico troppo poderoso” mette a rischio
la loro stessa sopravvivenza (V 101): è inutile confidare negli dèi poiché la legge
divina e quella umana coincidono (V 105, 2) ed è malriposta anche la speranza di
un soccorso spartano, in quanto i Lacedemoni, pur essendo valorosi quando sono
chiamati in causa, per il resto sono soliti “considerare onesto ciò che è gradito e
giusto ciò che utile” (V 105, 4). Dopo la ῥῆσις conclusiva degli Ateniesi (V 111),
Tucidide riferisce che al rifiuto dei Melii rispetto a richieste “moderate” (μέτρια) di
Atene – che chiedeva di sottoscrivere un’alleanza, che pur prevedendo il
pagamento del tributo (ὑποτελεῖς), avrebbe permesso loro di conservare la
propria indipendenza politica – segue l’assedio dell’isola: i Melii sono costretti alla
resa senza condizioni; gli Ateniesi sterminano i maschi adulti e mettono in vendita
donne e bambini, stanziando sull’isola una guarnigione di cinquecento coloni (V
116). Secondo Plutarco, fu Alcibiade – stratego insieme a Nicia nel 417/6 a.C. – il
primo sostenitore dello sterminio dei Melii; a differenza di Nicia, che riteneva
prioritario riconquistare le posizioni perdute nella penisola calcidica, Alcibiade
dagli Ateniesi, né essi sono stati i primi ad applicarla, poiché è sempre esistita. Cfr. PINTACUDA -
TROMBINO, Hellenes, cit., p. 258. 13 Se Aristofane (Ach. 307) definiva gli Spartani “gente di cui non esiste né altare né fede né
giuramento” (trad. Cantarella), Euripide (Andr. 445-453) faceva pronunciare ad Andromaca una vera e propria invettiva contro di loro (“Fra tutti i mortali esecratissima gente di Sparta, principi di inganni, consiglieri di frode, tessitori di malefatte, genti oblique, senza freschezza mai, che fra raggiri sempre avvolgete il pensier, quanto ingiusto è che felici voi siate nell’Ellade! Quali orrori tra voi mancano? (…) Ah, maledetti!”, trad. Romagnoli). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 258.
14 Tucidide è un personaggio di spicco della scena politica ateniese: appartenente all’alta aristocrazia, discende da una famiglia originaria della Tracia; è imparentato sia con Cimone (figlio del vincitore di Maratona, Milziade, del genos dei Filaidi) sia con Tucidide di Melesia, antagonista di Pericle; possiede territori in Tracia e l’appalto delle miniere d’oro del Pangeo: pertanto, nel 424 a.C. eletto stratego, viene inviato in Tracia (in virtù dei suoi interessi economici nella regione), insieme al collega Eucle, proprio per impedire che Brasida si impadronisca di Anfipoli (la principale polis della Calcidica); tuttavia, lo scarso contingente ateniese non riesce ad evitare che la città cada in mano spartana (IV 102-106) e, per questo, allo scadere della sua carica, Tucidide viene condannato ad un lunghissimo esilio (V 26, 5).
voleva estendere l’egemonia di Atene, accrescendo così il suo stesso potere15:
l’intervento a Melo dunque rivela come all’interno della cerchia di Alcibiade
maturino i progetti espansionistici che porteranno al disastro della successiva
spedizione in Sicilia, che segnerà l’inizio della fine dell’imperialismo ateniese16.
Tucidide, attraverso il dibattito tra i Melii e gli Ateniesi, evidenzia
«l’imperialismo ateniese nella sua logica estrema e all’apogeo della sua
consapevolezza»17; egli, pur cercando di mantenere una posizione oggettiva, priva
di intenti apologetici rispetto alla politica di Atene, non arriva ad una reale
comprensione del dramma dei Melii: non giustifica la repressione di Atene contro
Melo, ma sembra accettare il comportamento ateniese, quando lo presenta come
corrispondente alla legge di natura.
La riflessione sulla vicenda di Melo permette un inquadramento più ampio
della storiografia tucididea: le idee politiche e religioso-esistenziali dello storico
(espresse nel dialogo dei Melii soprattutto in riferimento alla politica estera di
Atene) evidenziano l’estrema novità del suo pensiero. Tucidide è considerato a
ragione il più importante storico dell’antichità: la sua trattazione della guerra del
Peloponneso segna l’inizio della storiografia critica ed è, al tempo stesso, il primo
esempio a noi pervenuto di una monografia storica.
Per comprendere le innovazioni del mondo concettuale tucidideo è
fondamentale inquadrare il contesto culturale di riferimento. Lo storico vive nella
seconda metà del V secolo a.C.: l’epoca, dal punto di vista politico, della democrazia
radicale ateniese, della crescente sopraffazione da parte di Atene degli alleati
nell’ambito della Lega delio-attica e del grande conflitto con Sparta; dal punto di
vista storico-culturale, è il secolo della filosofia sofistica, caratterizzata dallo
scetticismo e dal relativismo dei valori tradizionali (si pensi alla celebre massima
di Protagora “l’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono, per ciò che
sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono”18). L’influenza della sofistica è
evidente su Tucidide, il quale elimina totalmente il divino dalla storia, sforzandosi
di dare una spiegazione razionale alle cose; inoltre, analogamente ai sofisti, che
sostenevano la dottrina del diritto naturale del più forte e alla questione se fosse
da preferire il giusto o l’utile rispondevano privilegiando quest’ultimo, anche lo
15 PLUT., Alc. 16, 5. Cfr. H. BERVE, Storia greca, II, Roma - Bari 1976, p. 448. Una durissima
condanna dell’irrazionale violenza della guerra viene esplicitata da Euripide nelle Troiane (messe in scena nel 415 a.C.), laddove Cassandra ammonisce “chi ha giudizio deve evitare la guerra” (v. 400). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 262.
16 Per Tucidide, Alcibiade è «il figlio più genuino dello spirito intraprendente degli Ateniesi» ma è anche «l’antitesi di Pericle»: la causa ultima della disfatta di Atene risiede «nella decomposizione del senso dello Stato proprio dell’antica Atene ad opera dell’egoismo e dello spirito di parte». Cfr. A. CARDINALE, Il modello greco. Lo specchio e la maschera: antologia della letteratura greca, II. Età attica, Napoli 1994, p. 634.
17 W. JAEGER, Paideia. La formazione dell’uomo greco, I, (trad. it.) Firenze 1982, p. 673. 18 Fr. 81 B1 Diels-Kranz (trad. Giannantoni).
storico è convinto che l’intera storia sia una lotta di tutti contro tutti, in cui il più
forte cerca sempre di sopraffare il più debole19.
Che Tucidide sia figlio del suo tempo, è evidente anche sul piano metodologico:
sulla scorta della nuova medicina ippocratica e dei nuovi apporti delle scienze
naturali, egli non utilizza mai il verbo erodoteo ἱστορεῖν (“ricercare”) bensì
adopera l’equivalente ζητεῖν (“investigare”); non esamina i dati come se fossero
soltanto veri o falsi, ma come degli indizi (τεκμήρια) attraverso cui si può arrivare
a trovare (εύρεῖν) la verità, poiché considera che lo scopo primario della storia
debba essere la ricerca della verità (ζήτησις τῆς ἀληθείας): la storiografia è per lui
una meditazione sulle leggi che governano il rapporto tra gli Stati. L’analisi dei
comportamenti politico-militari osservati nella guerra del Peloponneso diventa
una riflessione programmatica più generale sui meccanismi della politica: come si
è visto, uno degli esempi più significativi è costituito dal dialogo dei Melii e degli
Ateniesi, dove la discussione verte intorno ai concetti di giusto (cui si appellano i
Melii) e di utile (sostenuto dagli Ateniesi)20; peraltro il caso di Melo, portato alla
ribalta da Tucidide, viene riproposto con valore paradigmatico nei decenni
successivi, nell’ambito nel dibattito relativo all’atteggiamento imperialistico di
Atene nei confronti degli alleati: se Isocrate, nel Panegirico (110-114), difende
l’operato di Atene spiegando che Melo era una delle poche città ad aver meritato
una punizione del genere, la sorte dolorosa dei Melii, rievocata nelle Troiane di
Euripide, torna alla memoria degli Ateniesi – secondo Senofonte (Hell. II 2, 10) –,
19 MEISTER, La storiografia greca. Dalle origini alla fine dell’Ellenismo, (trad. it.), Roma - Bari 2008,
pp. 47-49. 20 Per rendere la contrapposizione tra due punti di vista, Tucidide sceglie la forma dialogica,
inusuale in un’opera storica ma destinata a grande fortuna nella letteratura filosofica (si pensi ai dialoghi di Platone). Il dialogo in forma drammatica (basato su un vero e proprio contraddittorio, in cui, senza alcuna didascalia introduttiva, si alternano le affermazioni dell’una e dell’altra parte) è un’innovazione tucididea, criticata da Dionigi di Alicarnasso, il quale compose un trattato Περὶ τοῦ Θουκυδίδου χαρακτῆρος (Sullo stile di Tucidide): il retore (Th. 37-41) condannava la scelta della tecnica dialogica, per l’oscurità dello stile e per il fatto che gli argomenti proposti dalla delegazione ateniese non sarebbero stati appropriati e sarebbero stati addirittura indegni di qualsiasi greco; Dionigi ipotizzava, altresì, che Tucidide avesse composto il dialogo per vendicarsi della condanna all’esilio, sottolineando, al contempo, come lo storico non disponesse di notizie attendibili sui fatti poiché bandito da Atene. In realtà, le critiche del retore rientrano nel tentativo di scoraggiare l’imitazione dello storico da parte degli oratori del suo tempo e derivano dalle tendenze stilistiche di età romana, che rifiutano il ricorso alla forma drammatica nelle opere storiografiche. Tuttavia, l’insolita forma narrativa – che, peraltro, costituisce un unicum nell’opera dello storico ateniese – di solito spiegata come un influsso delle antilogie sofistiche (cfr. infra), è stata talvolta ricollegata all’incompletezza del quinto libro, che – come l’ottavo – presenta tracce di revisione solo parziale. Cfr. L.E. ROSSI - R. NICOLAI, Corso integrato di letteratura greca, II, Milano 2006, p. 487. G. Grote [History of Greece. From the Earliest Period to the Close of the Generation Contemporary with Alexander the Great, II, London 1869, p. 163] ha ipotizzato che il dialogo costituisse in origine un brano a sé, destinato alla recitazione e, solo in seguito, inserito nell’opera: in tal senso, vi si potrebbe scorgere un dialogo affine a quello proposto nell’anonima Costituzione degli Ateniesi, prodotto della pubblicistica in prosa, in circolazione tra le eterie aristocratiche in opposizione alla democrazia imperialista ateniese. Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 250.
dopo la sconfitta di Egospotami, quando “essi temono di dover subire quel che
avevano fatto ai Melii, coloni degli Spartani...”.
La sofistica trova riflesso in Tucidide anche sul piano stilistico: egli prende
come modello i δισσοὶ λόγοι di Protagora (secondo il quale “intorno ad ogni
oggetto vi sono due ragionamenti contrapposti”21) e trascrive i discorsi e le
repliche, mostrando i punti di vista dell’una e dell’altra parte; l’influsso della
sofistica si rivela altresì nell’uso frequente delle antitesi (sul modello di Gorgia di
Lentini). Lo stile serrato, ricco di antitesi e parallelismi, si esprime anche
attraverso l’uso frequente di γνῶμαι ed è stemperato da un raffinato ricorso alla
variatio: a tal proposito, si può notare, in V 89, 1, la variatio nelle congiunzioni
dichiarative (ἢ ὅτι - ἢ ὡς).
Che Tucidide venga considerato già nell’antichità uno dei massimi
rappresentanti dello stile elevato, severo e incalzante, in grado di descrivere i
sentimenti più violenti, cioè il πάθος, trova conferma in Dionigi di Alicarnasso,
secondo il quale i principali tratti dello stile tucidideo sono il largo impiego di
parole arcaiche e rare, di vocaboli complessi e di figure retoriche (antitesi,
iperbato, variatio, litote, allitterazione, parisosi, paronomasia ecc.); la αὐστηρὰ
ἀρμονία sul piano della compositio; il ricorso ad una costruzione sintattica
frammentata e complessa, in quanto ricca di anacoluti ed iperbati, insieme ad una
forma espressiva serrata e coincisa. Tucidide adegua il suo stile all’importanza
della materia: esso è più lineare e scorrevole nella descrizione degli eventi e più
articolato nell’esposizione dei discorsi, frutto di una più ardua attività di
ragionamento e dove sembra palesarsi, più apertamente che altrove, il suo
pensiero politico; lo specifico stile dei discorsi (che, come è noto, non venivano
recitati di fronte ad un pubblico22) ne rivela il carattere esemplare: da un lato, essi
dovevano contenere il maggior numero possibile di concetti generali appropriati
alla circostanza e, dall’altro, dovevano rispondere ad una richiesta di brevità
21 Fr. 80 B6a Diels-Kranz (trad. Giannantoni). 22 Il canale di comunicazione scelto da Tucidide merita alcune osservazioni: a differenza delle
Storie erodotee, che – sebbene messe per iscritto – presuppongono il destinatario dell’ἀκρόασις (“ascolto”), dell’oralità e dell’auralità, l’opera di Tucidide prevede una diversa destinazione; nel proemio, il verbo ξυνέγραψε (“compose”) ribadisce che le Storie tucididee vengono non solo composte per iscritto ma anche pensate per essere comunicate in forma scritta ai lettori. Come il teatro greco, che viene comunicato oralmente (anche se si basa su un testo scritto), deve trattare di argomenti lontani dalla quotidianità (si ricordi La presa di Mileto del poeta tragico Frinico, che, messa in scena ad una distanza temporale troppo breve dagli eventi, sconvolge il pubblico ateniese al punto che l’autore viene condannato al pagamento di una multa di mille dracme e a non rappresentare più il dramma), così la storiografia, che ricorre al canale dell’oralità, deve trasmettere messaggi e temi sfumati da una congrua distanza temporale (o da una forma favolistica); pertanto, è evidente che la storiografia tucididea, narrando del conflitto epocale tra Atene e Sparta non possa essere trasmessa oralmente, in quanto la ricaduta emotiva delle tematiche affrontate richiede, da parte del pubblico, una rielaborazione (anche catartica), possibile solo attraverso la scrittura. Cfr. L. CANFORA, La letteratura politica e la storiografia, in «Lo spazio letterario della Grecia antica», I, Roma 1992, p. 458.
necessaria alla memorizzazione23. Sul piano lessicale, la predilezione per i
sostantivi astratti (oltre che per infiniti, aggettivi e participi neutri sostantivati) e
per le voci arcaiche, la creazione di neologismi (soprattutto sostantivi astratti in -
σις e verbi composti, in particolare con ἀντι-, legati ad una rappresentazione
antitetica del reale), la presenza di termini tecnici (medici, militari e marinareschi)
e della lingua colloquiale e la relativa scarsità di espressioni e di citazioni poetiche,
permette un’attività laboratoriale sul testo, finalizzata all’analisi del lessico in
riferimento al mondo concettuale di Tucidide. Sotto il profilo sintattico, vanno
segnalati i frequenti costrutti nominali e participiali (che evidenziano la tendenza
all’astrazione e alla teorizzazione dello storico) e, in generale, l’inconcinnitas
(Tucidide non si interessa del ritmo del periodo e preferisce ricorrere a
proposizioni parentetiche, alternando costrutti diversi e variando di continuo
l’ordine delle parole): ad esempio in V 89, 1, la congiunzione ὡς introduce una
dichiarativa retta da un verbo di dire sottinteso, ricavabile ad sensum dal
precedente ὀνομάτων. Infine, la lingua adoperata, cioè il dialetto attico (ἀρχαία
ἀτθίς) presenta ancora -σσ- invece di -ττ-, -ρσ- invece di -ρρ-, ξύν invece di σύν:
non è chiaro se si tratti di una voluta scelta stilistica arcaicizzante o se lo storico
abbia preferito sprovincializzare la sua lingua evitando gli atticismi più evidenti; in
ogni caso, il ricorso, talvolta, a forme di dialetto ionico – che si ritrovano, peraltro
anche nella tragedia e nel Corpus Hippocraticum – lungi dall’essere riconducibile
all’esperienza erodotea, sembra da ricollegare all’elasticità della lingua colta
dell’Atene di fine V secolo a.C.24.
Assedio e caduta di Atene25
Nel secondo capitolo del secondo libro delle Elleniche, Senofonte racconta gli
ultimi episodi della guerra del Peloponneso: nel 404 a.C. gli Ateniesi non sanno più
che fare, temono di “dover subire la sorte inflitta agli abitanti di Melo, coloni
spartani, quando li assoggettarono dopo un lungo assedio e, ancora, agli abitanti di
Istiea, di Sicione, di Torone, di Egina e molte altre popolazioni della Grecia”26;
tuttavia decidono di proseguire la resistenza e, pur alle strette, pretendono ancora
23 In ogni caso, Tucidide ribadisce che i testi dei discorsi da lui riportati non sono fedelissimi, ma
che, per la maggior parte, si tratta di sue ricostruzioni congetturali: essi, peraltro, sono ispirati al concetto di ξυμπάση γνώμη (“storia generale”); tale genericità è confermata in V 84, 3 dall’uso del pronome τοιάδε (“cose di questo tipo”) in luogo di τάδε (“queste cose”).
24 Cfr. ROSSI - NICOLAI, Corso integrato di letteratura greca, cit., pp. 456-457. Per un’analisi esaustiva degli aspetti linguistici e stilistici di Tucidide si vedano: A. MEILLET, Lineamenti di storia della lingua greca, Torino 2003 e O. HOFFMANN - A. DEBRUNNER - A. SCHERER, Storia della lingua greca, I. Fino alla fine dell’epoca classica, Napoli 1969.
d’uscita”, “espediente”) “essere senza risorse”. Gli Ateniesi temono di subire lo
stesso trattamento inflitto con ingiustizia e prepotenza (ὕβριν) agli abitanti di
tante piccole città30: il valore durativo dell’imperfetto ἠδίκουν (da ἀδικέω,
composto da ἀ privativo + δίκη “giustizia”) sottolinea la continuità nel tempo delle
violazioni operate dagli Ateniesi ai danni delle poleis filospartane, mentre il
vocabolo ὕβρις richiama il concetto etico-religioso della tracotanza (del
superamento dei limiti imposti dagli dèi alla natura umana), al centro, peraltro, del
teatro tragico di Eschilo31. Gli Ateniesi continuano a resistere: restituiscono i diritti
di cittadinanza a quanti ne erano stati privati allo scopo di mobilitare tutte le forze
27 La decisione di rifiutare l’imposizione spartana viene presa dal governo democratico ateniese,
guidato da Cleofonte (un fabbricante di strumenti musicali, erede della tradizione demagogica di Cleone ed Iperbolo), il quale non viene mai menzionato nelle Elleniche, verosimilmente per l’antipatia di Senofonte verso i democratici radicali; di costui siamo informati dalla tradizione oratoria, in particolare da Lisia (che, nell’orazione Contro Agorato, ci dà notizia del processo intentato ad Atene contro di lui) e da Eschine.
28 In II 2, 10, l’infinito (con valore finale-consecutivo) μὴ παθεῖν può essere inteso come un verbum impediendi; παθεῖν (infinito aoristo II attivo da πάσχω) deriva dalla radice -παθ/-πενθ/-πονθ, comune ai vocaboli πάθος (“emozione”, “turbamento”) e πένθος (“dolore”, “afflizione”, “lutto”) e trova un parallelo nel latino patior e patientia.
29 Dal verbo πολιορκέω derivano i sostantivi πολιορκία (“assedio”) e πολιορκητής (“assediatore”, che diviene l’epiteto del sovrano macedone Demetrio I, detto appunto Poliorcete).
30 In II 2, 10, il sintagma ἀλλὰ διὰ τὴν ὕβριν rivela un palese anacoluto, il termine μικροπολίτας (“cittadino di una piccola città”, composto di μίκρος e πόλις) è attestato per la prima volta in Aristofane (Hipp. 817); l’imperfetto συνεμάχουν (da συμμαχέω) condivide la stessa radice di σύμμαχος (da σύν + μάχη “battaglia”).
31 Il riferimento alla ὕβρις rinvia alla questione più generale circa la paternità dei primi libri delle Elleniche: l’opera prende anche il titolo di Παραλειπόμενα τῆς Θουκιδίδου ξυγγραφῆς (Aggiunte alla storia di Tucidide), poiché Senofonte si riallaccia immediatamente a Tucidide, riprendendo la narrazione laddove questi l’aveva interrotta (autunno del 411 a.C.) e arrivando fino alla battaglia di Mantinea (362 a.C.). Sebbene da una prima lettura del testo sembri emergere una prospettiva religiosa ben lontana dal pensiero laico di Tucidide (nel senso che Senofonte mostrerebbe, da una parte, di credere in una τίσις (“punizione”) imposta dagli dèi a quanti peccano di ὕβρις e, dall’altra, polemizzerebbe contro le violazioni del governo democratico ateniese), la questione è controversa: se si accoglie la possibilità (largamente condivisa) che Senofonte si sia limitato a pubblicare i Paralipomeni di Tucidide, il riferimento alla ὕβρις va inteso, invece, come un semplice rimprovero (sul piano etico) per i soprusi operati in passato da Atene. Cfr. PINTACUDA -
invitava, se davvero volevano la pace, a tornare dopo aver deciso meglio”)
sottolinea l’assurda arroganza delle pretese addotte36; è inaccettabile per Sparta,
32 In II 2, 11, il riferimento è all’ ἀτιμία, cioè la privazione dei diritti civili, rivolta – con il decreto
di Patroclide – contro coloro che avevano partecipato alla rivoluzione oligarchica del 411 a.C. Ἐπιτίμους è un complemento predicativo dell’oggetto e – come il precedente ἀτίμους – è un aggettivo sostantivato che si ricollega al vocabolo τιμή, nell’accezione di “onore”, “possesso dei diritti”; il verbo διελέγοντο (da διαλέγω) si ricollega al vocabolo διαλλαγῆς (da διαλλάσσω nel senso di “riconciliare”, “mettere d’accordo” da cui deriva il sostantivo διαλλακτής “mediatore”, “conciliatore”), che indica un cambiamento (nelle relazioni) e dunque una riconciliazione, un accordo.
33 La costruzione delle Lunghe Mura, voluta da Temistocle, – avviata nel 479 a.C., all’indomani delle guerre persiane, viene completata nel 462 a.C.: esse, collegando l’asty al porto del Pireo (per una lunghezza di circa sette chilometri), assicurano ad Atene la protezione da eventuali attacchi via terra e garantiscono, al contempo, un accesso sicuro per i rifornimenti che giungono via mare.
34 Tuttavia, dal momento che, prima della capitolazione definitiva, trascorrono vari mesi, l’ipotesi di una totale mancanza di generi di sostentamento appare inverosimile.
35 L’espressione ἔπεμψαν πρέσβεις (II 2, 11) appartiene al linguaggio diplomatico: il verbo πέμπω (“mandare”, “inviare”) può sia reggere il complemento oggetto (come in questo caso, πρέσβεις) sia essere usato assolutamente, nel senso di “mandare un messaggero”, “mandare ad avvertire”; dalla radice πεμπ-/πομπ- derivano i sostantivi πομπή (“spedizione”, “scorta”, “processione”) e πομπός (“accompagnatore”, “guida”), il verbo πομπεύω (“scortare”, “condurre in processione”) ed i vocaboli italiani “pompa”, “pomposità”, “pomposo”; il sostantivo plurale πρέσβεις (pur derivando da πρέσβυς, -εως “anziano”, “vecchio”), nell’accezione di “ambasciatore”, “legato” ricorre, al singolare, al vocabolo πρεσβευτής; ad esso è legato il verbo πρεσβεύω (sia nell’accezione di “essere più anziano”, sia nel significato di “essere ambasciatore”, “svolgere una missione diplomatica”): in italiano derivano i vocaboli “presbite”, “presbitero”, “prete”, in tedesco “Priester” (“sacerdote”) e in inglese “priest” (“prete”). Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 299.
36 Gli efori sono cinque e vengono eletti dall’apella (ovvero l’assemblea popolare spartana) tra tutti i cittadini: la loro istituzione viene ricondotta talvolta al mitico legislatore Licurgo, talvolta al re riformatore Teopompo (VIII sec. a.C.) Essi restano in carica un anno ma hanno ampi poteri di controllo (sui re, sull’amministrazione del tesoro, sull’educazione dei giovani); presiedono, inoltre, l’apella e hanno competenza giudiziaria sulle questioni patrimoniali: la loro importanza è
che aveva di fatto vinto la guerra, permettere che Atene mantenga le Mura e il
Pireo. Il netto rifiuto alle irrealistiche proposte ateniesi getta la polis attica nel
caos37: vittima del clima di nervosismo ed intolleranza ad Atene è il buleuta
Archestrato, arrestato poiché sosteneva pubblicamente che la scelta migliore era
fare la pace con gli Spartani, accettando la richiesta (in questo momento, tutto
sommato, moderata) di abbattere le Mura per un tratto di dieci stadi (cioè 1800
metri)38. A questo punto entra in gioco Teramene (noto per il suo trasformismo
politico: protagonista del colpo di Stato oligarchico del 411 a.C. e artefice della
restaurazione democratica, successiva all’abbattimento del Governo dei
Quattrocento). Atene si trova assediata per terra, dai re Pausania II e Agide, e per
mare, da Lisandro, priva di risorse alimentari, senza più navi e appoggio dagli
alleati: Teramene chiede di essere inviato da Lisandro per ottenere condizioni di
pace più favorevoli, ma il suo vero obiettivo è instaurare ad Atene un regime
oligarchico filospartano39. È ormai la primavera del 404 a.C.: gli Spartani
continuano la loro strategia di logoramento; dopo tre mesi – come aveva fatto
Agide – Lisandro esorta Teramene a rivolgersi agli efori. Gli Ateniesi, non
comprendendo il doppio gioco di Teramene, lo eleggono ambasciatore
αὐτοκράτωρ (“plenipotenziario”) a Sparta, insieme ad altri nove legati, che però
non hanno alcuna rilevanza nelle trattative: Atene è ora in balìa degli Spartani, a
causa dell’assurda convergenza tra l’incoscienza dei demagoghi (in particolare di
Cleofonte) e le ambigue trame degli oligarchici. A Sellasia – nel corso di
confermata dal fatto che per i re è fondamentale godere dell’appoggio della maggioranza del collegio eforico e, non di rado, il cambiamento del collegio degli efori determina svolte significative nella politica spartana. Il termine ἔφορος deriva dal verbo ἐφοράω (“sorvegliare”, “osservare dall’alto”) e corrisponde al latino episcopus.
37 A capo della democrazia c’è Cleofonte (uomo eticamente integro ed onesto ma criticabile per la sua caparbietà), il quale tenta ancora, ma inutilmente, di resistere (costringendo Atene a subire più crudeli condizioni di pace) «perché l’amor di patria lo spingeva ad un cieco fanatismo». Cfr. G. DE SANCTIS, Storia dei Greci dalle origini alla fine del V secolo, II, Firenze 1940, p. 402. Il verbo ἀνδραποδίζω (II 2, 14) è comunemente adoperato nell’accezione di “ridurre in schiavitù”, “asservire”; compare in Erodoto (I 151, 2) e spesso in Tucidide (ad es. I 98; III 36, 2; ecc.), da esso derivano i vocaboli ἀνδράποδον (“prigioniero di guerra venduto schiavo”), composto verosimilmente da ἀνήρ + πούς “piede” (secondo il costume in base al quale il vincitore metteva un piede sul collo del vinto) o da ἀνήρ + πέδον (“suolo”, “terra”); si vedano anche ἀνδραποδισμός (“asservimento”, “vendita in schivitù”), ἀνδραποδιστής (“asservitore”, “mercante di schiavi”), l’aggettivo ἀνδραποδώδης (“servile”) e il sostantivo ἀνδραποδωδία (“servilismo”). Cfr. PINTACUDA -
TROMBINO, Hellenes, cit., p. 29963. 38 La βουλή di Atene, dopo la riforma di Clistene del 508 a.C., si compone di 500 membri:
ognuna delle dieci tribù attiche fornisce cinquanta buleuti, i quali vengono sorteggiati – restando in carica per un anno – tra tutti i cittadini di età superiore ai trent’anni che godono dei pieni diritti civili e politici; il consiglio – che siede in permanenza – ha funzione probuleumatica (predispone, cioè, le proposte di legge da presentare in ecclesia).
39 Tale svolta politica si concretizza, dopo la capitolazione di Atene, con l’imposizione di un governo affidato ad un collegio di trenta uomini, soprannominati – per il carattere dispotico della loro politica – Trenta Tiranni, tra cui lo stesso Teramene e Crizia (lo zio di Platone, che in seguito condanna a morte Teramene, accusandolo di un nuovo tentativo di sovvertire il regime a favore di uno più moderato).
un’assemblea di tutti gli alleati della Lega peloponnesiaca, convocata dagli efori
spartani – alcune poleis (in particolare Tebe e Corinto), in odio ad Atene, ne
chiedono la distruzione (e la schiavitù dei suoi abitanti)40, incontrando però
l’opposizione di Sparta (dettata da ragioni di opportunità politica, in quanto
l’eliminazione di Atene avrebbe favorito l’affermazione delle cosiddette “terze
forze”, rappresentate principalmente proprio da Tebani e Corinzi, cfr. supra), che,
tuttavia, ora impone durissime condizioni di pace (la demolizione delle Lunghe
Mura e delle fortificazioni del Pireo, la consegna della flotta, il richiamo dei
fuoriusciti oligarchici, la rinuncia ai possedimenti esteri, la sottoscrizione di
un’alleanza con Sparta)41. Come previsto da Teramene, quando Lisandro entra ad
Atene, imponendo l’abolizione della democrazia e il ritorno alla πάτριος πολιτεία
(“la costituzione dei padri”), che privilegia le classi più ricche, la debole
opposizione democratica non può nulla: tuttavia l’esistenza (e l’eventuale
significato) di una clausola secondo la quale Atene avrebbe dovuto governarsi
secondo le tradizioni patrie è molto discussa; è certo è che – dopo l’allontanamento
forzato dalla scena politica di Cleofonte, che viene estromesso con false accuse
subito dopo l’avvio delle trattative con Sparta – Teramene non trova alcun ostacolo
nel far deliberare l’ecclesia a favore della resa incondizionata42. Il 16 Munichione
(aprile - maggio) del 404 a.C. Atene capitola: in un clima trionfante, Lisandro entra
40 Il verbo σπένδω (“offrire una libagione”, II 2, 19) al medio assume valore di “concludere un
accordo sotto la garanzia di una libagione destinata al dio”: le libagioni (σπονδαί), infatti, consistevano nel versare latte, miele, acqua o vino su un altare o a terra, come offerta agli dèi. L’infinito presente ἐξαιρεῖν – come il precedente σπένδεσθαι – sottolinea la durata dell’azione, nel senso di “distruggere definitivamente”; il complemento oggetto (αὐτούς) si ricava ad sensum dal precedente Ἀθηναίοις.
41 ISOC. XIV 31. Il testo dell’accordo è conservato da Plutarco (Lis. 14): anche se la formula era quella tipica delle alleanze difensive ed offensive, essa tradiva la categorica imposizione di Sparta, divenuta ormai nuova città egemone. In II 2, 20, il sintagma ἐφ' ᾧ (corrispondente al latino ea condicione ut) regge l’infinito ἕπεσθαι (il cui soggetto sottinteso è τοὺς Ἀθηναίους) e dal quale dipendono i quattro participi congiunti intermedi: καθελόντας (participio aoristo da καθαιρέω), παραδόντας (da παραδίδωμι), φυγάδας καθέντας (da καθίημι, usato nel senso tecnico di “richiamare dall’esilio”, “far ritornare in patria”; φυγάδας, accusativo plurale da φυγάς “esule”, deriva dal verbo φεύγω, nel senso di “andare in esilio”) e νομίζοντας (participio presente con variatio rispetto ai precedenti tre participi aoristi, per sottolineare la continuità di quest’azione opposta alla momentaneità delle altre).
42 La narrazione della distruzione delle Mura offerta da Plutarco (Lis. 15) è pressoché identica al racconto senofonteo. Il paragrafo 23 abbonda di termini tecnici: καταπλέω è un termine marinaresco che significa “approdare”, “navigare verso terra”, “entrare in porto”, mentre il verbo κάτειμι ha qui il significato giuridico di “rimpratriare”; l’imperfetto κατέσκαπτον (da κατασκάπτω) sottolinea la durata dell’azione, con variatio rispetto ai verbi, all’infinto, precedentemente usati per indicare l’abbattimento delle fortificazioni (καθελεῖν, parr. 15 e 20; περιαιρεῖν, par. 22); il termine προθυμίᾳ è frequente in Tucidide: la προθυμίᾳ (“zelo”, “ardore”, “stimolo”) è connessa al possesso dell’ ἀρχή e va riferita all’atteggiamento “dinamico” e costruttivo degli Ateniesi, in opposizione alla rigidità degli Spartani (di solito restii ad intraprendere lunghe iniziative lontane dal Peloponneso); in tal senso, se il brano appartiene agli appunti di Tucidide, è possibile che sia stato usato deliberatamente allo scopo di sottolineare il capovolgimento della situazione alla fine della guerra, quando sono gli Spartani ad essere caratterizzati dalla προθυμίᾳ mentre gli Ateniesi sono, al contrario, in preda all’ἀθυμία. Cfr. PINTACUDA - TROMBINO, Hellenes, cit., p. 299.
al Pireo, portando con sé gli esuli oligarchici e avviando la distruzione delle Lunghe
Mura, al suono del flauto, “perché erano in molti a pensare che quel giorno segnava
l’inizio della libertà per la Grecia” (II 2, 23). In realtà, l’esito finale del conflitto è
negativo per tutti i Greci: l’incredibile numero di vittime, le devastazioni delle
campagne e le distruzioni dei monumenti cittadini determinano un
deterioramento economico e sociale che investe tutto il mondo greco.
Senofonte è considerato il maggior rappresentante dell’ ἀφέλεια (“semplicità”),
la purezza cristallina della sua espressione gli vale l’epiteto “ape attica” o “Musa
attica”: tuttavia, sebbene il suo stile appaia sempre limpido e schietto, la lingua
adoperata dallo storico è contaminata da forme e vocaboli provenienti da ambiti
dialettali diversi, come dorismi, ionismi e termini della ormai prossima κοινὴ
διάλεκτος (lingua comune) ellenistica; la mancanza di uniformità nella lingua di
Senofonte va ricollegata alle sue vicende biografiche, poiché l’allontanamento da
Atene lo porta a perdere il contatto con l’attico puro e il soggiorno in paesi
stranieri influenza, non solo la sua ideologia politica, ma anche la sua lingua43.
Senofonte è uno scrittore “poligrafo”, autore di opere di argomento storico,
biografico, etico-politico e tecnico: questa varietà dei generi letterari e la
lontananza dalla polis, «che contraddistingue la sua vita di soldato e di esule, e i
suoi ideali politici rivolti ad una monarchia universale di chiara impronta pre-
ellenistica, fanno di Senofonte una singolare figura di uomo e di scrittore che
anticipa atteggiamenti, aspetti e caratteri propri dell’età ellenistica»44.
Le Elleniche costituiscono uno snodo fondamentale nell’ambito della letteratura
storiografica greca di età classica, in quanto sanciscono la nascita di un nuovo
genere storiografico: aldilà della discontinuità tra i primi due libri (di presunta
mano tucididea) e il resto dell’opera, esse sono caratterizzate da una duplice
tendenza destinata ad influenzare la storiografia successiva; in primo luogo,
Senofonte racconta i fatti dal punto di vista della polis che detiene, di volta in volta,
43 Senofonte nasce ad Atene tra il 430 e il 425 a.C., in una famiglia di rango equestre; di
tendenza conservatrice ed oligarchica, è ostile alla democrazia. L’incontro con Socrate costituisce un evento capitale nella vita dello storico: Diogene Laerzio (II 48) racconta che il filosofo, imbattutosi in Senofonte, gli ostruisce il passaggio con un bastone, chiedendogli dove si formino gli uomini virtuosi; poiché questi non sa rispondere, Socrate lo invita a seguirlo e da allora Senofonte diventa suo discepolo. La seconda svolta nella vita di Senofonte avviene nel 401 a.C., quando prende parte, su invito dell’amico Prosseno di Tebe, alla spedizione di Ciro il Giovane contro il fratello Artaserse, re dei Persiani. Senofonte chiede consiglio a Socrate, il quale gli suggerisce di interrogare l’oracolo di Delfi; tuttavia, egli non chiede all’oracolo se può arruolarsi, ma – avendo già deciso di partire – chiede invece a quale dio offrire sacrifici affinché il viaggio abbia esisto positivo. Questo episodio mostra l’indipendenza del discepolo nei confronti del maestro; si tratta di due spiritualità antitetiche: Socrate non si è mai allontanato dalla polis, Senofonte, al contrario, è il prototipo dell’avventuriero caratteristico dell’Ellenismo. Nel 371 a.C., in seguito alla sconfitta di Sparta a Leuttra ad opera di Tebe, in Senofonte inizia a venir meno la fiducia per Sparta, peraltro già diminuita con la fondazione della seconda lega navale di Atene (377 a.C.): l’aumentare di questa sfiducia e la perdita del figlio Grillo (che muore combattendo a Mantinea in favore di Atene, nel 362 a.C.) accentuano nello storico la sensibilità religiosa e l’influsso socratico.
44 Cfr. ROSSI - NICOLAI, Corso integrato di letteratura greca, cit., p. 496.
Pur nella consapevolezza che il percorso si presta ad un confronto con i diversi
fenomeni imperialistici che hanno segnato la storia dell’umanità
(dall’espansionismo romano fino i movimenti coloniali di età moderna e
contemporanea), si propongono due possibili proposte di approfondimento: il
riferimento alla “legge del più forte” da parte degli Ateniesi nel dialogo con i Melii
permette di richiamare la filosofia politica di Hobbes (“homo homini lupus”)48; la
presentazione della guerra del Peloponneso come prodotto di una necessità
storica, dettata dalla contrapposizione di due blocchi, quello ateniese e quello
spartano, richiama la contrapposizione, durante la “guerra fredda”, tra USA ed
URSS49.
I contenuti di questa lezione vanno verificati oralmente nell’ambito delle
interrogazioni di letteratura greca relative alla storiografia di età classica.
Interessa verificare la capacità degli studenti di analizzare un testo storiografico,
secondo diverse angolazioni (tenendo conto in particolare degli aspetti tematici e
di quelli linguistici e stilistico-retorici) nonché la capacità di procedere ad un
confronto tra gli autori analizzati, rilevandone differenze e aspetti di continuità; si
vuole accertare, inoltre, che gli alunni siano in grado di applicare operativamente
le conoscenze acquisite, formulando in maniera critica e autonoma interpretazioni
corrette sul testo esaminato.
Un possibile percorso di recupero può essere articolato in due momenti: una
prima verifica formativa prevede la traduzione (in due tempi) dei passi
commentati in classe, prima dei capitoli tucididei (V 85, 1-3 e 89, 1) e
successivamente degli estratti di Senofonte (Hell. II 2, 10-23); la traduzione va
svolta a casa, singolarmente, affinché, esercitandosi autonomamente, lo studente
possa assimilare meglio i contenuti presentati in classe; tale traduzione va quindi
verificata nel corso dell’interrogazione orale. Una seconda verifica formativa
prevede la redazione dell’analisi scritta dei testi precedentemente tradotti, in cui
individuare e commentare le tematiche e gli aspetti stilistico-retorici, che
evidenziano le scelte metodologiche di Tucidide e Senofonte e le differenze di
sensibilità ed interessi tra i due: anche quest’analisi va verificata dal docente nel
corso dell’interrogazione orale.
L’interrogazione orale, sia in relazione alla verifica curricolare sia per il
percorso di recupero, mira a verificare in primo luogo la capacità dello studente di
48 Si ipotizza la lettura, in traduzione italiana, dei capitoli XIII (“La condizione naturale
dell’umanità riguardo alla sua felicità e alla sua miseria”), XIV (“La prima e la seconda legge naturale ed i contratti”) e XXI (“La libertà dei sudditi”) del Leviatano di T. Hobbes. L’edizione di riferimento è T. HOBBES, Il Leviatano, A. Pacchi (a cura di), Roma - Bari 2008.
49 Si ipotizza la lettura, in traduzione italiana, di un brano estratto dalle memorie di W. Churchill (relativo alle zone d’influenza nell’Europa post-bellica): W. CHURCHILL, La seconda guerra mondiale, IX. L’onda della vittoria, Milano 1970, pp. 261-263. Un ulteriore spunto di riflessione circa il dibattito relativo alla guerra fredda è offerto dalla storica Elena Aga Rossi (E.A. ROSSI (cur.), Gli Stati Uniti e le origini della guerra fredda, Bologna 1984, pp. 15-29).