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NOTE E DISCUSSIONI Author(s): Ernesto Massi and Raffaello Maggi Source: Rivista Internazionale di Scienze Sociali, Serie III, Vol. 9 (ANNO 46), No. 2 (marzo 1938), pp. 194-217 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/41633236 . Accessed: 26/03/2014 06:22 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Rivista Internazionale di Scienze Sociali. http://www.jstor.org This content downloaded from 143.225.141.137 on Wed, 26 Mar 2014 06:22:56 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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Dec 07, 2015

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NOTE E DISCUSSIONIAuthor(s): Ernesto Massi and Raffaello MaggiSource: Rivista Internazionale di Scienze Sociali, Serie III, Vol. 9 (ANNO 46), No. 2 (marzo 1938),pp. 194-217Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/41633236 .

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NOTE E DISCUSSIONI

NUOVI INDIRIZZI DELLA

GEOGRAFIA POLITICA IN FRANCIA

I. - IL « DETERMINISMO » DELLA SCUOLA TEDESCA

I geografi sembrano oggi concordi neiraffermare che lo Stato possa essere oggetto d'indagine geografica, tanto che molti di essi definiscono la geografia politica semplicemente come la « geografia degli Stati »♦ Dove in- vece sin dall'inizio le opinioni si sono irreducibilmente divise è nella discus- sione sul metodo con il quale si deve studiare lo Stato quale oggetto geo- grafico e sui fini che con tale studio si vogliono raggiungere« Queste di' versità di metodo, di obiettivi e di limiti, hanno dato vita a scuole anta- goniste, le quali continuano ad evolversi su strade divergenti, tendendo ad armonizzare la loro impostazione scientifica con i principi fondamentali che hanno presieduto allo sviluppo politico dei paesi in cui si sono formate e che ispirano ancora in essi la politica estera. Ciò non può sorprendere quando si pensi che gli studí di geografia politica affrontano i principali problemi che sono anche oggetto della politica statale, quelli cioè che ri- guardano modificazioni territoriali, spostamenti e organizzazione di confini, spostamenti di forze politiche ed economiche all'interno del territorio sta- tale e incontro di direttrici di gravitazione politica di Stati diversi su uno stesso territorio.

In soli quarantanni, da quando cioè usciva a Lipsia la prima edizione della Politische Geographie di Federico Ratzel (i), considerata generalmente l'atto di nascita della geografia politica, questa giovane disciplina, ultima germogliata dal fertile ceppo della geografia, ha potuto affermarsi non sol- tanto in Germania, dov'è sorta, ma anche in altri paesi che l'avevano ori- ginariamente avversata.

Con l'opera del Ratzel lo studio dello Stato veniva posto per la prima volta su basi geografiche e lo Stato studiato quale « organismo geografico » e quale « forma di diffusione di vita sulla superficie terrestre ». Il Ratzel ridusse l'essenza geografica dello Stato a due elementi fondamentali: la posizione ( die Lage), che esercita un'influenza decisiva sulla vita e sullo sviluppo degli Stati e lo spazio occupato (der Raum, in senso territoriale), che è il fattore primo della loro potenza. La sua geografia politica, nata in un periodo in cui le concezioni biologiche, superando i limiti delle scienze naturali, si applicavano allo Stato e alle scienze sociali, risentì dell'ambiente e del momento in cui era sorta: basata su una concezione biologica dello

(i) Ratzel F., Politische Geographie , Lipsia, Oldenbourg, I cd. 1897; III ed., riveduta e completata a cura di E. OBERHUMMER, 1923.

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NUOVI INDIRIZZI DELLA GEOGRAFIA POLITICA IN FRANCIA

Stato inteso quale organismo geografico, del quale studiava soltanto le ma' nifestazioni territoriali, essa fu in primo luogo l'espressione di un determi' nismo fisico assoluto. I compiti ad essa assegnati si possono riassumere in un'indagine analitica delle condizioni geografiche della vita degli Stati e in una formulazione sintetica delle leggi geografiche che ne regolano lo sviluppo* In essa la nazione non fu considerata che nelle sue manifestazioni territoriali; il nazionalismo politico fu perciò un canone fondamentale della nuova dottrina. Il confine fu definito un organo periferico dello Stato, ca- pace di esprimere con i suoi spostamenti la vitalità dell'organismo da esso delimitato. Lo studio del confine statale occupò perciò nella geografia poli" tica del Ratzel un posto fondamentale, benché ridotto - in funzione del concetto spaziale - principalmente alla sua espressione cartografica.

L'opera del Ratzel, oltre a rappresentare il primo sistema organico di geografia politica, sapientemente inquadrato nella geografia generale, co- stituisce una vera e propria teoria dello Stato, perchè opponendosi alla tradizionale concezione giuridico-statistica, getta le basi di una nuova con- cezione statale a base naturalistica. Infatti, attraverso una visione sintetica di sovranità, popolo e territorio, la geografia politica poteva aspirare ad af- ferrare ed esprimere in maniera più decisa e completa la complessa strut- tura dello Stato.

I concetti del Ratzel influenzarono a lungo gli sviluppi successivi della geografia politica, la quale rimase per molto tempo, anche oltre i confini tedeschi, determinista e strettamente legata alla geografia fisica, per i suoi fondamentali principi spaziali e territoriali. La sua opera fu continuata da numerosi discepoli, che ne svilupparono le idee e ne approfondirono le in- dagini. Il trattato del Ratzel era infatti - ed è tuttora - una miniera di temi per indagini particolari. Tutti i lavori della Scuola portano però la impronta delle idee del Maestro: essi si basano sull'influenza decisiva dei fattori naturali sulla struttura e sulla politica degli Stati, ma trascurano la importanza dei fattori antropici e dell'uomo quale elemento sociale. Si stacca dal gruppo dei seguaci unicamente il Dix, il quale inquadra nel sistema della geografia politica lo studio dell'uomo quale elemento organiz- zato nella società, in una parte del suo trattato che egli denomina « psicolo- gia politica » e nella quale esamina le disposizioni politiche e le manife- stazioni psichiche dei popoli, politicamente organizzati (i).

Altro discepolo del Ratzel è il Maull, che aggiornò e perfezionò in al- cuni punti l'opera del Maestro. Egli pure non transige sull'influenza dei fattori fisico-geografici: anzi la sua classificazione geografico-politica degli Stati è appunto basata sui caratteri geomorfologici e fitogeografia dei loro territori. Il Maull vede però nello Stato anche la principale forza antropo- geografica che modifica l'ambiente naturale ed assegna lo studio di tali trasformazioni ad un ramo speciale della geografia, che egli chiama cultu- rale (Kulturgeographie); la geografia politica dovrebbe studiare anche i rap- porti d'interdipendenza tra gli Stati e gli ambienti culturali da essi for- mati (2). 11 Maull sviluppa pure la concezione organica del confine statale, il quale deve corrispondere a fondamentali esigenze politiche e strategiche

(1) Dix A.t Politische Geographie . Weltpolitisches Handbuch , MonacoBerlino, Oldenbourg, II ed., 1923.

(2) Maull O., Politische Geographie, Berlino, Borntraeger, 1925.

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e conclude giustificando l'espansione territoriale quando essa tende a rea" lizzare uno Stato geograficamente armonico (i).

Più recentemente la geografia politica tedesca non si limita ad in- dagare le condizioni geografiche della vita e dello sviluppo degli Stati, ma superando la tradizionale concezione ratzeliana, considera negli Stati dei fattori di potenza e ricerca le manifestazioni territoriali e le leggi geografi- che dei loro rapporti reciproci (2). Si nota ormai l'influenza di una nuova corrente di studí, la quale, ispirandosi all'opera scientifica del sociologo sve- dese Rodolfo Kjellen (3), si è orientata particolarmente verso la ricerca delle basi geografiche dei problemi politici, acquistando il metodo e l'indipen- denza scientifica sotto la guida di un gruppo di valenti geografi-politici con a capo Carlo Haushofer (4), Tale nuova Scuola, sorta sulla base di una geografia politica dinamica, applicata alla vita politica degli Stati, assunse la denominazione di geopolitica e si diffuse rapidamente, favorita dall'in- teresse che incontravano tra gli studiosi e gli uomini politici gli studí rela- tivi ai problemi politico-geografici, che i trattati di pace avevano moltipli- cato. Non si trattava di un semplice cambiamento di nome ma di una na- turale evoluzione dei vecchi concetti che più non rispondevano alle rinno- vate esigenze scientifiche e politiche. Infatti, pur restando basata sulla geo- grafia politica, la geopolitica vuol estendere la sua indagine ai legami che vincolano gli eventi politici alla terra (die Erdgebundenheit der politischen Vorgänge) e vuol indicare le direttrici di vita politica agli Stati, desumen- dole da uno studio geografico-storico dei fatti politici, sociali ed economici e della loto connessione (5).

Lo Hennig tentò poi di raccogliere e d'inquadrare in un manuale il materiale elaborato dai geopolitici (6), sviluppando anche la parte metodo- logica della nuova disciplina. Egli assegna alla geopolitica il compito di studiare gli influssi geografici, nel senso più ampio, sulle vicende politiche degli Stati e sulla vita dei popoli che li abitano, per giungere alla formula- zione di norme geopolitiche. La funzione della geopolitica, quale interme- diaria tra la geografia e la politica e con l'ausilio della storia, sarebbe dun- que quella di elaborare le leggi geografiche della politica degli Stati.

(1) Maull O., Politische Grenzen, Berlino, Weltpolitische Bücherei, 1928. L'A. distingue i confini naturali (fisici) da quelli culturali (antropici) e nazionali, ma su- bordina sostanzialmente i secondi ai primi.

(2) Eckert M., Neues Lehrbuch der Geographie, Berlino, Stilke, 1931, pag. 484. (3) Kjellen R., Der Staat als Lebensform, Berlino, Vowinckel, I ed. 1910;

IV ed. 1924. L'A. mirava a costruire un sistema scientifico della politica su basi em- piristiche (empirische Staatslehre ), ponendo a base del suo studio il territorio sta- tale con le influenze che da esso emanano sulla vita e sulla struttura dello Stato. Egli divise la statologia in cinque parti, di cui la prima sarebbe appunto la geopo- litica, seguita dall'etnopolitica, dall'economopolitica, dalla sociopolitica e dalla cra- topolitica.

(4) Haushofer K., Obst E., Lautensach E., Maull O., Bausteine Zur Geopa* litik, Berlino-Grunewald, Vowinckel, 1928. Lo Haushofer è autore di numerosi studí sulla geopolitica dei paesi monsonici e dell'Oceano Pacifico. Egil dirige inoltre dal 1924 la « Zeitschrift für Geopolitik », Berlino.

(5) Dalle dichiarazioni della conferenza dei redattori della « Zeitschrift tur Geo- politik » (Haushofer, Maull, Lautensach, Obst), tenuta nel 1927 allo scopo di pre- cisare i compiti della nuova disciplina.

(6) Hennig H., Geopolitik. Die Lehre vom Staat als Lebewesen, Berlino-Lipsia, Teubner, 1928, II ed. 1931, pagg. 338.

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NUOVI INDIRIZZI DELLA GEOGRAFIA POLITICA IN FRANCIA

Il favore con cui fu accolta la geopolitica in Germania si spiega con lo stato d'animo collettivo ivi determinatosi nel dopoguerra, in seguito alle sopraffazioni e agli errori geografici derivati dai trattati di pace e con il desiderio di documentare geograficamente le aspirazioni revisioniste e le esigenze vitali, economiche e territoriali del « Volk ohne Raum ». Fu per ciò che la geopolitica, scienza dinamica, d'intonazione revisionista, tendente ad una sintesi della vita e della politica statale costruita su basi territoriali e ancor sempre determinista, potè affermarsi con un proprio metodo e ren- dersi indipendente. 11 Nazionalsocialismo favorì pure la diffusione della nuova disciplina, nella quale trovava la giustificazione geografica di molti dei suoi obiettivi politici (i).

2» - IL <( POSSIBILISMO » DELLA SCUOLA FRANCESE

Le concezioni ratzeliane furono introdotte in Francia ad opera del Vallaux, autore del primo trattato francese sui problemi geograiici dello Stato (2), nel quale egli si preoccupa di combattere le teorie spaziali, o meglio di adattarle ad una concezione più accettabile alla geografia francese. Nonostante questo, la sua opera risulta fortemente influenzata dal Ratzel e resta una dottrina a base essenzialmente territoriale. 11 Vallaux rigetta la teoria dello spazio in cui vede un tentativo di giustificazione geografica delle aspirazioni espansionistiche tedesche e imposta invece lo studio dello Stato sui concetti di posizione e di differenziazione geografica (3), e sulla circolazione, come fenomeno politico. Egli non attribuisce alcun valore geografico-politico alle influenze dei singoli caratteri fisici quali erano stati studiati dal Ratzel, ma riconosce invece l'importanza della somma dei ca- ratteri d'ordine fisico e d'ordine umano nella determinazione di rapporti di connessione, rafforzati dalla continuità dimostrata nel tempo, tra l'am- biente e la formazione delle società politiche. 11 suo metodo è dunque es- senzialmente storico-geografico e tende a stabilire i rapporti d'interdipen- denza che sussistono tra le regioni e gli Stati. In sostanza il Vallaux si è dunque limitato ad un'analisi comparativa dei fatti di superficie, attra- verso ai quali si manifesta la vita degli Stati, senza considerare l'elemento umano racchiuso entro i loro confini.

1L0 studio dello Stato geografico fu poi ripreso dal Vallaux in colla-

(1) Massi E., Geografia politica e geopolitica, Trieste, Pubblicazioni dell'Istituto di geografia della R. Università, 1931; contiene la principale bibliografia sulla geopo- litica. Così pure: Lo Stato quale oggetto geografico, in: « Rivista di Geografìa », Roma, 193 1.

(2) Vallaux C, Le sol et l etat. Geographie sociale, Parigi, Doin, 191 1. (3) Il Vallaux intende per differenziazione il contrasto dei caratteri geografici

in uno stesso territorio e distingue la differenziazione per contiguità dalla differen- ziazione per sovrapposizione. La prima consiste soltanto in un raggruppamento di- verso per graduazione d'intensità o d'attività, di fatti fisici o umani dello stesso ordine. La seconda invece risulta dalla sovrapposizione di caratteri fisici o umani di ordine diverso (v. pag. 179). Raramente i due ordini di differenziazione sono sepa* rati nello spazio, perchè il primo, in cui prevalgono i caratteri fisici, porta con sè il secondo nel quale predominano gli elementi umani. I paesi in cui gli elementi di differenziazione si articolano e s'intrecciano meglio in forze agenti capaci di determi' nare gli Stati, sono quelli ove coesistono la differenziazione per continuità e quella 4per sovrapposizione (v. pag. 185).

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borazione col Brunhes nel noto trattato La géographie de V histoire (i). I due autori limitano la geografia politica allo studio di tre problemi fon- damentali escludendone quelle manifestazioni statali cui non si poteva dare una rappresentazione cartografica. In primo luogo essi considerano i rapporti tra lo Stato e il suo territorio, individuando le zone di concentrazione at' tiva che risultano più favorevoli al sorgere e allo sviluppo degli Stati, distinguendole dalle passive» in cui l'attività statale è ostacolata. In se- condo luogo affrontano il problema riguardante le funzioni d'ordine in- terno dello Stato, che si manifesterebbero nelle vie di comunicazione e le funzioni di politica estera e di difesa che si manifesterebbero nel con- fine. Infine come terzo problema essi studiano le manifestazioni ammini- strative dello Stato che si esprimono nella capitale.

Questi concetti furono applicati dal Brunhes nella sua Géographie humaine de la France (2), nella terza parte del lavoro dedicata alla geo- grafia politica, in cui egli studia esclusivamente le capitali e le città, la circolazione e la protezione, cioè le strade e i confini terrestri e marittimi. Manca una visione dinamica dei rapporti tra Stato e ambiente, che con- sideri l'uomo quale fattore attivo e passivo di geografica politica. Anche il Brunhes si è limitato dunque a studiare le manifestazioni territoriali dello Stato, senza preoccuparsi della vita che pulsa entro i suoi confini.

Il Brunhes si rese conto però di questa lacuna : il « Maestro» di geo- grafia umana, disciplina alla quale aveva dedicato tre volumi che sono tuttora fondamentali (3), non poteva non porsi ad un certo punto della sua indagine il problema della Nazione e della nazionalità, quale si mani- festa al geografo-politico. E nell'ultima parte della sua Géographie de l'histoire egli cercò di afferrare alcuni degli elementi spirituali che sono determinanti nella vita dello Stato. Anche il Brunhes incorse nell'errore del nazionalismo politico, forse sotto l'influenza del particolare momento poli- tico che vide proclamati i diritti delle nazionalità e il sorgere dei nuovi Stati nazionali. Comunque la sua opera rappresenta un notevole progresso rispetto alle originarie teoriche ratzeliane e prelude ad una nuova conce- zione francese della geografia politica, a contenuto essenzialmente antropico.

Ma il passo decisivo verso l'indipendenza dalla Scuola tedesca è com- piuto dal Febvre (4), il quale nelYlntroduction géographique à l'histoire affronta con la sua critica vivace di storico-geografo numerosi problemi geografici. Il volume è inserito nella collana « L'évolution de l'humanité » e tende a precisare la funzione della terra nei riguardi della storia. Per raggiungere tale fine il Febvre trascura l'azione diretta dei fattori naturali sulla natura fisica e psichica dell' uomo, per considerare invece i rap- porti tra l'ambiente naturale e le associazioni umane, che costituirebbero il vero oggetto di studio della geografia umana. Contro il Ratzel egli prende decisamente posizione negando l'influenza rigida e uniforme di quattro o

(1) Brunhes J., Vallaux C.t La géographie de l'histoire, Parigi, Alean, 1921. (2) Brunhes J., Géographie humaine de la France, voll. I e II di « Histoire de

la Nation française », Parigi, Pion, 1926, 2 voll. in^. (3) Brunhes J., La géographie humaine, Parigi, Alean, III ed. 1925, 3 voll. in*8. (4) Febvre L., La terre et l'évolution humaine . Introduction géographique à

l'histoire, in: « Bibliothèque de synthèse historique », Parigi, Renaissance du livre,. 1922.

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cinque grandi fatalità geografiche, sulle individualità storiche: il solo pro- blema geografico consiste nello studio delle possibilità ambientali e della, loro valorizzazione.

Al « determinismo » del Ratzel il Febvre oppone perciò il « possibi- lismo » del Vidal de la Blache e vi impronta le sue conclusioni: lo svi- luppo politico e demografico delle società, l'organizzazione degli Stati con i loro confini, strade, città e capitali, sono legati sempre meno all'ambiente naturale; vi sono invece delle possibilità geografiche che possono essere più o meno valorizzate dalle circostanze storiche. Dallo studio delle pos- sibilità il Febvre arriva facilmente a quello dei « generi di vita », accet- tando i concetti elaborati dal Vidal de la Blache e perfezionando così il suo sistema a contenuto essenzialmente umano, che egli vuol opporre allo studio geografico delle società a base territoriale. Su questa ben diversa impostazione metodologica, il Febvre affronta nell'ultima parte del suo vo- lume i problemi di geografia politica, quali erano stati posti dal Vallaux e dal Brunhes: cioè i confini dello Stato, la circolazione e le strade, e le città. Riportiamo ad esempio il titolo del capitolo sui confini : « L'État n'est jamais donné: il est toujours forgé» (i). Egli si preoccupa dunque di ricercare negli Stati il contenuto vitale e non soltanto la loro cornice territoriale : « Peu importe le cadre, la marge. C'est le coeur qui vaut et qu'il faut avant tout considérer » (2). T roviamo nell'opera del Febvre l'ini- zio di una nuova concezione della geografia politica, la quale basandosi sulle teorie antropogeografiche del Vidal de la Blache, genererà quella nuova scuola che porterà il nome di « Umanesimo geografico » e che culminerà con l'opera dell'Ancel.

3. - L'(( UMANESIMO GEOGRAFICO )>

La geografia umana francese, che aveva subito a lungo l'influenza della scuola antropogeografica del Ratzel trovò il suo grande innovatore all'inizio del nostro secolo in Paolo Vidal de la Blache, il quale reagendo alla Scuola tedesca, elaborò una nuova originale concezione antropogeo- grafica (3). Data l'influenza che ebbe la sua dottrina sugli studí di geografia politica, esaminiamone brevemente il contenuto.

L'uomo quale fattore geografico è considerato dal Vidal de la Bla- che sin dall'introduzione della sua Géographie humaine . « La civiltà - egli scrive - si riassume nella lotta dei gruppi umani contro gli osta- coli dell'ambiente. I popoli che ne sono usciti vincitori hanno potuto va- lorizzare i frutti di un'esperienza collettiva, acquistata in diversi ambienti ». Con ciò non si devono svalutare i fattori fisici: importa sempre conoscere l'influenza del rilievo, del clima, della posizione continentale od insulare sulle società umane. Occorre però individuarne gli effetti sull'uomo e su

(1) Febvre L., op. cit., pag. 376. (2) Febvre L., op . cit., pag. 376. (3) Vidal de la Blache P., Les conditions géographiques de faits sociaux, in:

« Annales de géographie », Parigi, XI, 1902. Per la critica alle dottrine del Ratzel, vedasi dello stesso A.: La géographie politique d'après les écrits de M. Fr. Ratzel, in: « Annales de géographie », Parigi, VII, 1898. L'opera principale dell' A. è però il trattato: Principes de géographie humaine, Parigi, Colin, 1922.

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tutto il mondo vivente» « Si può meglio valutare così la funzione che si deve attribuire all'uomo, quale fattore geografico. Attivo e passivo ad un tempo. Perchè natura non nisi parendo vincitur » (i). Egli arriva così al concetto dell'adattamento collettivo» inteso non semplicemente quale som- ma di adattamenti individuali, ma quale combinazione di gruppi sociali diversi in un adattamento comune. « Poiché le associazioni umane, ana- logamente a quelle vegetali ed animali, si compongono di elementi diversi sottoposti all' influenza dell' ambiente. Non si sa quali venti li abbiano riuniti, ne da dove, ne quando. Essi coesistono in una regione che grada- tamente li segna con la sua impronta ». Esistono cosi delle società da molto tempo incorporate nell'ambiente ed altre società in formazione, che vanno trasformandosi continuamente.

Ed eccoci al concetto fondamentale del Vidal de la Blache: il «ge- nere di vita », quale prodotto della collaborazione tra l'uomo e la natura e quale fattore di differenziazione dei gruppi sociali. Con l'aiuto di pro- dotti e di elementi tratti dall'ambiente e per mezzo di una trasmissione ereditaria di procedimenti e d'invenzioni, l'uomo è riuscito a realizzare un'attività metodica che gli assicura l'esistenza e che gli predispone un ambiente favorevole. Ma lo stesso genere di vita, per il sistema di ali- mentazione e per le abitudini che importa, costituisce a sua volta un fat- tore che modifica e trasforma l'individuo (2). Da una combinazione ar- monica di generi di vita sorgono le grandi aree di civiltà (domaines de civilisation). Il genere di vita è perciò la cellula della civiltà. Infatti sotto l'azione potente di abitudini sistematiche ed organizzate, ben radicate e trasmesse di generazione in generazione, aventi una forza tale da impri- mersi sugli spiriti e da orientare in un determinato senso tutte le forze del progresso umano, la fisionomia d'una regione è suscettibile di pro- fondi mutamenti. Il genere di vita non è perciò soltanto l'espressione di un determinato ambiente ma può - spostandosi con l'uomo - diventare a sua volta un fattore antropogeografico che agisce sull'ambiente. Di più, la comunanza di abitudini, di forme di vita e di concezioni, può determi- nare la formazione di legami tra i gruppi sociali, i quali superando le barriere frapposte dalle razze, dalle lingue e dalle diversità etniche, pos- sono condurre alla loro unificazione politica.

Ma l'opera del Vidal de la Blache non si distingue soltanto per l'ori- ginalità dei concetti: quale reazione alle troppo facili generalizzazioni dei ratzeliani, egli sostiene la necessità di un metodo analitico, il quale con- senta lo studio monografico dei rapporti tra le condizioni geografiche e i fatti sociali, su territori ben scelti e ben delimitati. Si comprende del resto, che soltanto uno studio così analitico poteva condurlo a concepire la teo- ria dei generi di vita e a porre questa a base della geografia umana.

Sui concetti e sul metodo del Vidal de la Blache, è basata la nuova geografia politica francese, sorta in questi ultimi anni, in opposizione alla geografia tedesca, elaborata dai neoratzeliani.

(1) Vidal de la Blache P., Principes, ecc., pagg. 12 e segg. (2) Vidal de la Blache P., Principes, ecc., pag. 116. Vedasi pure dello stesso

A.: Les genres de vie dans la géographie humaine, in: « Annales de géographie », Parigi, XX, 191 1.

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NUOVI INDIRIZZI DELLA GEOGRAFIA POLITICA IN FRANCIA

In primo luogo vanno ricordati i lavori del Demangeon (i); trattasi di studi d'impostazione decisamente analitica, tendenti a dare una sintesi degli Stati studiati, nella quale si fondano elementi territoriali, materiali e spirituali: sintesi basata cioè sullo studio dell'ambiente, del popolo e della civiltà degli Stati, della loro organizzazione politica ed economica e della loro attività colonizzati ice. Si rileva facilmente che il Demangeon lavora sul piano di una statologia geografica. Risulta di particolare inte- resse la sua ricerca sull'Impero Britannico e sulle Isole Britanniche.

Infatti con essa incomincia a rilevarsi la preoccupazione della geo- grafia politica francese di studiare la dinamica degli Stati, cioè di analiz- zare il loro processo formativo e l'evoluzione dei loro rapporti esterni. Dopo il tentativo - rimasto allora isolato - del Vidal de la Blache (2), il Demangeon fu il primo a porsi tali problemi e a dar loro efficace solu- zione. Si confrontino i pochi passi che riportiamo.

« In un paese di isole e di penisole, fisicamente frastagliato, la natura disegnava ovunque dei limiti per i raggruppamenti regionali. Anche i se- coli di egemonia inglese non hanno estinto i focolai di autonomia o d'in- dipendenza nazionale. Il Galles s'incorporò definitivamente nello Stato in- glese appena nel sec. XVI; la Scozia all'alba del sec. XVIII; l'Irlanda ha conquistato la sua indipendenza politica nel sec. XX. Attraverso le co- munità umane dell'arcipelago britannico lo spirito particolarista ha sempre circolato, allontanando sempre i metodi continentali di centralizzazione. Ad esso si deve attualmente il risveglio delle tendenze federaliste » (3). E più oltre, a proposito dei rapporti anglo-scozzesi : « Non appena costituito nella sua penisola che lo isoia e dietro le montagne che lo difendono, il regno di Scozia si oppose al regno d'Inghilterra. Incominciò una lotta seco- lare di confini, per il possesso delle ricche pianure dei « Lowlands » orien- tali »... Era difficile per l'Inghilterra assorbire la Scozia: la sua base d'ope- razioni era troppo distante; alla fine del sec. XVIII, d'inverno, Londra distava quattro giorni e mezzo da Edimburgo; a maggior ragione la di- stanza ostacolò i rapporti nel medioevo. La Scozia potè così vivere libera nella sua penisola e sviluppare la sua individualità, basata sull'associazione e sulla solidarietà tra i « Highlands » e i « Lowlands... » e la Nazione s'ingrandì, una nella sua varietà. Soltanto agli inizi del sec. XVIII, sotto la pressione di necessità economiche, i legami già stabiliti tra la Scozia e l'Inghilterra dalla geografia, dalla religione e dalla lingua, divennero le- gami politici » (4). E ancora a proposito dell'unificazione inglese : « La formazione dell'unità inglese, che si compì dal sec. XIII al XVI, trovò in- fine la collaborazione potente della geografia. Dopo la conquista normanna, l'isola non conobbe più invasioni straniere. Il paese non ebbe, come la Francia, dei confini da conquistare e da difendere. Il dominio insulare

(1) Demangeon A., Le déclin de l'Europe, Parigi, ed. Payot, 1920, pagg. 314; Id., L'Empire britannique , Parigi, ed. Colin, 1923, pagg. 280; Id., Les ¡les britan- niques, Parigi, cd. Colin, 1927, pagg. 320, nella collez. « Géeographie Universelle »; Demangeon A. - Febvre L., Le Rhin , Problèmes d'histoire et d'économie, Parigi, ed. Colin, 1935, pagg. 304.

(2) Vidal DE LA Blache P., La France de l'Est, Parigi, ed. Colin, 1919, pa- gine 280, IX.

(3) Demangeon A., Les Iles britanniques, pagg. 75-76. (4) Id., op. cit., pagg. 79*80.

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coincise con il dominio d'una sola autorità politica, d'una lingua prepon- derante, d'una civiltà dominatrice, d'una nazione organizzata. Lo Stato in- glese rinunciò ai suoi possedimenti continentali di Normandia e d'Aqui- tania, sostituendo all'espansione continentale quella colonizzazione insulare che doveva sboccare nell'assimilazione della Scozia e nell'occupazione del- l'Irlanda » (i).

Il Demangeon non trascura l'occasione di combattere le teorie spa- ziali e di proclamarsi antideterminista. A proposito sempre delle Isole Britanniche egli scrive : « ... esse compaiono piccolissime e come relegate all'estremità occidentale d'Europa, questo piccolo capo del continente asia- tico. Con i loro 3 13 153 kmq. esse non rappresentano che la trentesima parte d'Europa... Ma lo spazio, considerato per se solo, sarebbe una ben povera misura per la loro individualità. È per la massa e il valore dei loro abitanti, che esse occupano un posto eminente tra le regioni terrestri... Esse ci offrono, nell'Europa soprapopolata il tipo più originale d'un paese in cui il lavoro accumulato da generazioni permette all'umanità presente di guadagnarsi la vita» (2). E concludendo la sua vasta analisi: «Lo spa- zio non è che un dato grezzo che non contiene tutto il valore geografico d'un fatto... » (3). Su queste premesse s'innesta il concetto del genere di vita, di cui il Demangeon è un assertore e in cui egli considera un ele- mento fondamentale dell'unità dell'Impero Britannico. Le colonie britan- niche - egli scrive - pur disperse sulla terra, pur separate da enormi di- stanze e talvolta divise da contrastanti interessi... « restano cionon pertanto unite tra di loro, per un fondo comune di costumi, di tendenze e di idee; esse si assomigliano per le forme della loro vita materiale e morale; una stessa civiltà le avvicina e le unisce. Si ritrovano in tutto l'Impero le stesse abitudini materiali, gli stessi modi di nutrirsi, di vestire, di abitare, di divertirsi... Ma altri legami, altrettanto potenti, uniscono tutti gli anglo- sassoni: per l'uso della stessa lingua, per l'analogia delle aspirazioni reli- giose, per la pratica delle stesse istituzioni politiche, essi formano una grande comunità, i cui membri, nonostante gli interessi particolari, si sen- tono solidali attraverso il mondo » (4). Però sotto l'influenza dell'ambiente geografico, le colonie britanniche si evolvono verso una vita nazionale in- dipendente; in ognuna d'esse si sviluppa una coscienza nazionale che si sovrappone, nello spirito dei coloni, al sentimento di fedeltà verso la ma- dre patria. La coesistenza di questi due sentimenti pone un grave pro- blema di geografia politica (5).

I concetti fin qui rilevati, si accentuano nell'opera più recente del Demangeon, scritta in collaborazione al Febvre e dedicata al Reno. Da essa emerge l'influenza esercitata dal grande fiume sui caratteri e sulla vita dei paesi e delle popolazioni rivierasche, creando comunanze di vita e solida- rietà d'interessi, è un'influenza essenzialmente unificatrice : « Ampiezza di relazioni che la vallata apre attraverso l'Europa; movimenti di uomini e di mezzi; estensione di rapporti che si annodano sull'arteria fluviale:.

(1) Demangeon A., op. cit., pag. 78. (2) ID., op. cit., pag. i. (3) Id., op. ctt., pag. 295. (4) Id., op. cit., pag. 301. (5) ">•» op. cit., pag. 303.

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tutto consente al geografo di vedere nel Reno nienťaltro che la più attiva delle vie naturali d'Europa; tutto lo induce a vedere nel paesi renani» dotati dall'economia moderna d'una veste sì magnifica di potenza, una delle zone terrestri, dove ferve più attivo il lavoro pacifico e produttivo dell'umanità » (i).

Le vicende politiche e l'evoluzione dei rapporti tra i paesi renani sono sottoposti dagli autori ad una minuta analisi geografico-storica, che con' ferisce alla loro opera un particolare valore geografico-politico. Ne sca- turisce un concetto fondamentale, che da altri studiosi sarà » poi ampia- mente sviluppato : quella comunanza di generi di vita e quella solidarietà d'interessi più sopra illustrata, riuscirebbe a sovrapporsi alle forze disgre- gatrici delle diversità etniche e linguistiche. Risulterebbe così scalzata alle sue basi la teoria della frontiera predestinata. Scrivono infatti i due au- tori : « dall'aurora della storia umana allo sviluppo della civiltà moderna, ci appare la grande originalità del Reno, quella che le passioni nazionali non seppero distruggere, poiché essa si impresse, loro malgrado, in ogni secolo, nella vita e nelle opere delle società umane: è la funzione di le- gare e di ravvicinare. Il Reno, via fluviale incomparabile, domina oggi la vita economica dei paesi che attraversa... Senza tener conto dei confini, esso distribuisce da uno Stato all'altro i grandi prodotti dell'economia mon- diale. Esso crea tra i rivieraschi, dalla montagna al mare, una solidarietà d'interessi, un'associazione internazionale... A questa missione di unire gli uomini, lo storico deve spesso aggiungere quella di dissociarli e di separarli - all'idea della strada luminosa e feconda, opporre quella della frontiera sanguinante e sterile. Senza negare le belliche fatalità che la storia del Reno contiene, abbiamo voluto chiarire soprattutto ciò che essa presenta di contatti umani, d'intese spirituali e di scambi materiali ».

« La tesi della frontiera predestinata non resiste, infatti, nè allo stu- dio del passato nè all'osservazione del presente». Ed ecco la conclusione: « Il Reno resta così il fiume che riunisce, malgrado gli odì politici ed i conflitti » (2). Sembra quasi una voluta risposta al motto della geopolitica tedesca : « der Rhein, Deutschlands Strom, nicht Deutschlands Grenze » (Il Reno, fiume della Germania, non suo confine). Ben diversa infatti era stata, la conclusione del Maull (3), nel famoso trattato dedicato al Reno, al suo ambiente di vita e al suo destino, trattato che raccoglie in tre vo- lumi i contributi dei più autorevoli geografi tedeschi. « Alla regione re- nana - scrive il Maull - spetta una funzione di raccolta e ad un tempo d'intermediazione nella Mitteleuropa occidentale. Questa funzione le con- ferisce forza sufficiente per sviluppare un ambiente di vita con una par- ticolare individualità renana. Essa potrà però assolvere in pieno il suo com- pito, soltanto se ne cercherà una soluzione connessa al tutto centroeuro- peo, con il quale è intimamente collegato ».

Le due scuole stanno dunque irreducibilmente di fronte : revisio- nista e determinista la tedesca, conservatrice ed umanista la francese, ispi-

(1) Demangeon A. - Febvre L., Le Rhin , ecc., cit., pag. IX. (2) Id., op. ctt., pagg. 291-293. (3) MAULL O., Geomorphologie una gheomorphologische Wirkungen des rheini-

schen Lebensraums, in: « Der Rhein, sein Lebensraum, sein Schicksal », Berlin- Grunewald, Vowinckel, vol. I, 1928, pag. 123.

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rate entrambe da opposti interessi territoriali e preoccupate di servire la politica del proprio paese* Contro la nuova corrente tedesca il Demangeon si era del resto già scagliato sin dal 1932, accusandola di scarso contenuto scientifico e di essere unicamente al servizio degli interessi tedeschi (1).

Accanto al Demangeont altro autorevole esponente della nuova scuola francese che fu detta « humanisme géographique »♦ è il Siegfried (2). I suoi studí analitici dedicati gali Stati Unitit all'America meridionale» al Canada» all'Impero Britannico» vogliono dare un quadro di « geografìa morale » dei paesi descritti e tendono ad una vera sintesi sociale. Di vo- lume in volume si nota Ja preoccupazione dell'autore di far risaltare gli Stati nella loro vitalità» nella loro dinamica politica; è questa un'aspirazione che sembra realizzarsi pienamente nello studio più recente del Siegfried, dedicato al Canadá» potenza internazionale (3). Anche il Siegfried fa suo il concetto del genere di vita e lo introduce nella sua geografìa politica* ponendolo a base della ricerca sull'individualità dei paesi americani e sui rapporti anglo-canadesi. Egli pure non attribuisce un valore esclusivo al- l'ambiente fisico» pur sostenendo la necessità per il geografo politico di coglierne i caratteri fondamentali : « occorre avere il senso fisico del con- tinente - egli scrive nella prefazione alla sua Amérique Latine - ma occorre anche conoscerne le sorgenti spirituali ». E nel primo capitolo del suo Canadá , puissance internationale egli dimostra l'affinità geografica tra le due Americhe e il diverso destino che ha loro tracciato la storia. « Se l'asse N-S è impresso nell'architettura stessa del Continente» quello E'O» che è storico nella sua essenza, risente della sua artificiosità: esso è mantenuto dalle abitudini e dall'impulso acquisito più che dalla natura delle cose: per esso le influenze iniziali d'Europa con le sue divisioni geo- grafiche fondamentali» mediterranee o • nordiche» continuano ad agire» pur diventando di anno in anno più estranee. Quale avrà il sopravvento? La geografia dovrà neutralizzare l'azione della storia? Sarà allora l'afferma- zione del panamericanismo e la fine del Canadá. Ma se la storia riuscirà a far sentire indefinitamente la sua azione» l'Europa resterà presente nei de- stini d'America e il Canadá» resistendo ad una gravitazione che pur sem- bra irresistibile» rivendicherà su quest'asse E-O un'esistenza e una perso- nalità distinta ».

E nel II capitolo : « un Canadá puramente britannico non sarebbe che una colonia, mentre un Canadá americano non sarebbe che una provincia degli Stati Uniti ».

Particolarmente interessante riesce l'analisi che il Siegfried fa della politica estera canadese della quale rileva i capisaldi e la funzione: affer- mazione dell'individualità politica canadese, difesa contro ogni minaccia extra americana, salvaguardia degli interessi economici del paese; funzione d'intermediazione tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna: ü Canadá è in-

(1) Demangeon A., Géographie politique, in: « Annales de géographie », 1932, pagg. 22-31,

(2) Siegfried A., Le Canada : les deux races, Parigi, ed. Colin, 1906; Id», Les Etats-Unis d'aujoud'hui, Parigi, ed. Colin, 1927, pag. 362; Id., Amérique latine, Parigi, ed. Colin, 1934, pagg» 179.

(3) Siegfried A., Le Canada, puissance tnte mattonale, Parigi, ed. Colin, 1937, pag. 234.

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fatti l'interprete dell'America in Europa e il portavoce britannico nel con^ tinente americano» Rivierasco del Pacifico esso non può ignorare il Giap^ pone, in cui riconosce sempre più un cliente che va curato; anzi nei suoi riguardi esso ha voluto sempre una politica indipendente, sin dal gentle * men* s agreement del 1909, negoziato direttamente tra i due paesi. Il Ca- nadá esercita sull'Impero Britannico un'influenza tendente ad allontanare l'Inghilterra dall'Europa e a spostare verso ovest il centro di gravità dei paesi di lingua inglese nel mondo.

Con l'opera del Siegfried, obbiettiva e precisa, la nuova geografia politica francese poteva considerarsi matura. Le mancava soltanto un teo- rizzatore e un divulgatore ed essa lo ha trovato nell'Ancel.

4. - DA UNA GEOGRAFIA DI STATI AD UNA GEOGRAFIA DI NAZIONI

L'Ancel venne alla geografia politica dall'esercito e dalla diplomazia, allo stesso modo - singolare analogia - del Haushofer, caposcuola della geopolitica tedesca. Sin dai primi lavori di carattere storico-diplomatico (1), e poi negli studí di geografia politica dedicati alla Macedonia e alla peni' sola Balcanica (2), si nota la tendenza dell'autore ad un'indagine geografico" politica dinamica a base storica e la preoccupazione di mettere in evi' denza le cause geografiche dei fatti storici; la sua preparazione storica e diplomatica gli furono di gran giovamento nello studio e nell'interpreta- zione dei fatti geografico'politici, facilitandogli quel lavoro di sintesi che doveva condurlo ad evolvere le sue concezioni metodologiche in senso geopolitico. La sua geografia politica non è basata sui quadri naturali e sui confini fisico-geografici, ma sui generi di vita, secondo il concetto del Vidal de la Blache e sulle « aires des civilisation » secondo il concetto del Meyer (3). Infatti nel volume sulla Macedonia, l'Ancel studia in primo luogo i fattori geografici della civiltà macedone; ma la sua indagine lungi dal rilevare il valore politico dell'unità della regione, illustra successiva- mente la Macedonia jugoslava, quella ellenica e quella bulgara, studiando l'adattamento dei macedoni ai nuovi generi di vita.

È questo un carattere fondamentale della sua opera, che ritroviamo nello sfondo del suo più recente trattato (4). E mentre egli scrive espres- sámente (5) di non voler fare della geografia politica « un'arma di difesa- delio statu quo e dei trattati », praticamente i suoi studi tendono a di-

fi) Ancel J., Manuel historique de la question ď Orient, Parigi, ed. Delagrave, 1923, pagg. 346; Id. (in collaborazione a GUYOT R. e Renouvin P.), Histoire diplo * matique de l'Europe, diretta da Hauser H., vol. II (1904" 14), Parigi, ed. Presses Universitaires, 1929, pagg. 389; Id., Histoire contemporaine, Parigi, ed. Delagrave». 1930, pagg. 6o4^CXVIII; nuova edizione 1934.

(2) Ancel J., Peuples et Nations des Balcansx geographte politique, Parigi, ed.. Colin, 1926 (II ed. 1930), pagg. 220; Id., Les Balcans face à l'Italie, Parigi, ed. De- lagrave, 1928, pagg. 126; Id., La Macédoine : son évolution contemporaine, Parigi, ed. Delagrave, 1930, pagg. 352 figg. 45, LXIV tavv. fuori testo, una carta al 700000»

(3) Meyer E., Histoire de l'antiquité, trad, fr., ed. Geuthner, 1912, pagg. 284. (4) Ancel J., Manuel géographique de politique européenne, tome I: « L'Eu^

rope centrale », Parigi, ed. Delagrave, 1936, pagg. 464, 123 illustraz. e carte, 1 carta, fuori testo al 3000000.

(5) Ancel J., La Macédonie, ecc., cit., pag. 322.

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mostrare l'adattamento degli uomini alle nuove condizioni» « Cest la vie» Une vie exigeante qui n'admet pas la stabilite ». Così a proposito della formazione dei nuovi Stati egli scrive : « la campagna si unisce alla sua città che costituisce la sua officina e il suo mercato. La pianura si unisce alla montagna: la Bessarabia romena è inseparabile dalle colline moldave e dai Carpazi; le Marche transilvaniche sono saldate all'Ardeal forestale; le vallate del Danubio e dell'I pel, sono le vie della Slovacchia montuosa; le Mesopotamie della Drava e Sava o al Nord del Danubio serbo, sono i grã" nai delle rudi montagne del Sud. Non sono considerazioni strategiche nè economiche a determinare i nuovi confini. È l'armonia tra le parti d'un tutto che hanno finito per ricongiungersi. Tale armonia non è prestabilita dalla natura. È l'uomo che valorizza le forze che trova, le riunisce e crea l'equilibrio nazionale » (i). La geografia avrebbe così la sua rivincita sulla storia e sui diritti storici basati sulla conquista. E a proposito dei trattati egli è convinto che essi passeranno nella storia futura, documentati dai verbali delle commissioni, come preparati con coscienza e con obiettività (2). Chi sa, ed è ormai la maggioranza, quali furono i reali motivi strategici ed eco* nomici che ispirarono gran parte delle delimitazioni territoriali nell'Europa centro'orientale, sa il valore che devesi dare a questo giudizio. Ed ecco la conclusione. « In questo crogiuolo d'Europa, dove si elaborano le nuove nazioni, i nuovi confini hanno minor interesse di quanto si supponga. ... Essi sono il risultato d'un compromesso, poiché la perfezione, sulla base delle lingue compenetrate dai confini, non può essere raggiunta. Essi hanno per lo meno il merito di chiudere una lunga storia, di unire alla montagna, focolaio nazionale, i margini delle pianure, verso le quali i popoli sono sempre discesi. Ma è soprattutto il loro contenuto che conta. L'anima paesana che agita la folla laboriosa, ormai padrona della sua Patria, giustifica questi confini, meno storici che geografici e meno fisici che umani » (3).

5. - VERSO UNA GEOPOLITICA FRANCESE?

Traspare con evidenza dai passi che abbiamo riportato, il desiderio dell'autore di dare una giustificazione scientifica ai nuovi confini: ed è questa la preoccupazione essenziale della sua opera e del suo metodo, di cui troviamo raccolti i concetti fondamentali in un volumetto intitolato Géopolitique che vorrebbe essere il manuale della nuova Scuola (4). Il contenuto non regge che impropriamente il titolo: l'autore ci spiega però nella prefazione che gli è sembrato necessario « ne point laisser accaparer par le faux^semblant de la science allemande ce terme de Géopolitiquet qui fit fortune outre Rhin».

Secondo l'Ancel la geografia politica non dovrebbe tanto preoccuparsi di rinchiudere lo Stato in un quadro geografico e di fissare per sempre la linea razionale dei suoi confini, quanto invece di trovare il principio vitale che fu attivo nel determinare la Nazione, e che favorì la fusione,

(1) Ancel J.t Manuel géographique, ecc., cit., pag. 17. [2) id., op. cit., pag. 12. (3) Id., op . cit., pag. 448. (4) Ancel J., Géopolitique, Parigi, ed. Delagrave, 1936, pagg. 120.

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in uno stesso crogiuolo» di elementi un tempo separati (i). Al centro della sua ricerca egli non pone perciò lo Stato territoriale ma la nazione, alla quale vuol dare un contenuto geografico: l'idea della nazione non è un vago concetto..» La vita nazionale s'impone quando le circostanze deter- minano un accentramento... Ne eterea ne asservita al territorio. Nata e sviluppata in un ambiente naturale ed umano favorevole, la nazione è una combinazione armonica di generi di vita » (2). La geografia politica trova così nel concetto del genere di vita uno strumento prezioso, per deter- minare il « fermento della coagulazione nazionale ». Nella sua indagine sulle nazioni dell'Europa centrale, l' Ancel ha modo di applicare larga- mente il suo metodo, ma i resultati non sono sempre felici: originale e brillante fin che si vuole, il concetto del genere di vita non tiene il dovuto conto della lingua e della razza, che pur sono delle realtà attive e politi- camente operanti sul territorio? esso può condurre inoltre a vedere delle nazioni là dove queste non sono ancora formate e là dove - per l'azione di forze disgregatrici e di forti minoranze - manca la « coscienza del rag- gruppamento » : cioè, come scrive il Meyer, la volontà cosciente attiva e creatrice di costituire un'unità specifica e distinta dagli altri gruppi umani. Si tratta insomma di un'arma efficace da opporre alla geopolitica tedesca» per dimostrare l'esistenza di un nuovo equilibrio nell'Europa centro-orien- tale, equilibrio basato sulle forze unificatrici dei generi di vita, che s'im- pongono alle eterogeneità etniche e linguistiche.

Anche il concetto del confine statale, al quale la scuola tedesca ha dato un contenuto essenzialmente morfologico e statico, è rielaborato dall' Ancel su basi meno rigide e più umane. Il confine - egli scrive - non risulta tanto dagli ostacoli fisici posti dalla natura allo sviluppo degli Stati, quan- to dall'equilibrio che si stabilisce fra due società o gruppi umani: esso non si adatta soltanto alle forme del terreno ma alle esigenze della vita umana. Il confine non avrebbe perciò un valore assoluto ma soltanto uno relativo, secondo la funzione assegnatagli dal gruppo umano che esso de- limita. « iLa frontière naturelle », come pure « die echte Grenze » (il con- fine autentico) non sarebbe perciò che un'aspirazione, mai realizzata, per- chè se la geografia fisica impone un confine rigido, la geografia umana vi introduce elementi meno stabili.

Non vi è chi non veda, come la concezione francese, se pur originale, conduca in fondo ad una svalutazione del confine come fatto politico-geo- grafico. Scrive infatti l' Ancel (3) : « i confini, limiti mobili che dipendono da un equilibrio, naturali o artificiali, fissati sul territorio o mobili se- condo la psicologia, l'ardire o la passività dei due vicini... n'ont jamais possédé, ne possèdent nulle part leur vertu propre... les cadres comptent peu. C'est le dedans qui prime ». Non può sfuggire il pericolo di questo ragionamento, che può portare a negare il valore di confine anche ad ele- menti geografici che rappresentano seri ostacoli naturali e che esercitano un'efficace funzione Separatrice, cioè là dove esso effettivamente esiste» mentre può condurre a giustificare qualsiasi altra forma di confine, sia pure arbitraria ed irrazionale. Se per geopolitica l' Ancel intende una geografia

(1) Ancel J., op. cit*, pag. 96. (2) Id., op. cit., pag. 109. (3) ID., op . cit., pag. 85.

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nicolinocastiello
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politica dinamica e pratica, applicata ai fini politici del proprio paese i suoi concetti di nazione e di confine acquistano un contenuto essenziale mente geopolitico.

Ci sembra che il compito della geografia politica debba essere più vasto, più obiettivo e ad un tempo più preciso: pur non potendo aspirare a determinare il confine perfetto che geograficamente è un'astrazione, non esistendo che un zona di contatti, nella quale la linea di confine si sposta più o meno sotto l'azione delle forze politiche, essa può suggerire quelle forme di compromesso che riducano al minimo gli attriti, che non siano più soltanto il prodotto di una sopraffazione e che non contengano i germi di prossime guerre, valorizzando per quanto possibile i limiti proposti dal- Pambiente naturale. Oggi mentre l'indagine geografica è ovunque pro- gredita, mentre si dispone per quasi tutte le regioni di carte a grande scala, la geografia politica, meglio che per il passato, dovrebbe essere all'altezza di questo suo compito: negare questo, significa togliere alla disciplina stessa un motivo della sua esistenza. L'indagine scientifica, la equa valutazione dei dati di fatto scientificamente rilevati, è l'unica capace di portare sere- nità e chiarezza nella valutazione di quei problemi, che i pregiudizi e le passioni degli uomini tendono più che mai ad intorbidare.

Purtroppo non sono questi gli intenti della geopolitica francese e in particolare dell'opera dell'Ancel. Non è il cambiamento di nome che conta, ma i ciriteri che ne hanno ispirato il contenuto: in primo luogo l'inten- zione di creare un contrappeso alla geopolitica tedesca, a cui « le hitlé- risme pangermanique a emprunté ses raisons et son vocabulaire » ; in se- condo luogo la tendenza a dare una giustificazione geografica ai trattati di pace e ai nuovi confini. E mentre l'Ancel accusa la geopolitica tedesca di essere una reincarnazione della Scuola storica del Treitschke, già al servizio di Bismarck e di appoggiare « le superstizioni cartografiche del passato e le aspirazioni revisioniste di Stati megalomani », dalle sue pa- gine traspaiono chiaramente gli interessi politici della Francia, l'antirevi- sionismo, e la Piccola Intesa, e il principio di nazionalità, unilateralmente inteso.

Non sfugge inoltre al lettore un'intonazione anti-italiana che l'autore sa dare alla sua trattazione, ogni qual volta l'argomento gliene presenti l'occasione: sia che si tratti di Alpi o di Adriatico, che di Europa danu- biana o di balcanica.

Si è detto della geopolitica tedesca, che essa è l'espressione di parti- colari interessi politici, cui ha saputo dare veste scientifica: la nuova geo- grafia politica francese non è certamente diversa. E se la geografia pò* litica ha tra i suoi compiti quello di favorire la convivenza tra gli Stati, studiando i problemi territoriali che li dividono, con l'opera dell' Ancelt essa non ha certamente progredito.

Ernesto Massi Professore ine. di geografia economica nella Università cattolica di Milano

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ACCORDI FRA IMPRESE COTONIERE ALL'ESTERO

Lo scopo delle pagine che seguono è di studiare la fisonomía e l'in- tima costituzione sia degli accordi intervenuti fra i filatori di alcune Na- zioni che di taluni progetti rimasti solo allo stato potenziale.

I. - ACCORDI IN INGHILTERRA

Tra i paesi europei, l'Inghilterra offre i primi tentativi nel campo degli accordi dell'industria cotoniera. Le ragioni che li hanno determi- nati non solo sono molteplici e complesse, ma talora sembrano persino fra loro in contrasto. Infatti se da un lato il flettere continuo dei prezzi costituiva un pericolo permanente per l'industria cotoniera britannica, dal- l'altro nell'ipotesi che il rialzo anche momentaneo, per effetto di accordi» fosse stato eccessivo, la avrebbe ulteriormente pregiudicata nei confronti della concorrenza giapponese sui mercati dell'impero; concorrenza nep- pure trattenuta dai sistemi doganali diversi, e che le ha strappato la Cina e l'India che erano i suoi mercati di sbocco più importanti* Una ra- gione inoltre che spingeva verso gli accordi era la necessità di realizzare fondi sufficienti per le nuove attrezzature (dato che i metodi di produzione erano e sono fors'ancora alquanto antiquati) e l'urgenza di allontanare lo spettro della disoccupazione. Facili verità da esprimersi, ma di cui cia- scuna involve problemi formidabili di costi, di organizzazioni interne e di mercato, senza contare la paurosa entità degli immobilizzi per la col- tivazione di cotone nel Sudan, e quella dei recentissimi investimenti che, nel volgere di dieci anni, hanno trasformato in India la zona deserta del Sind in campi di cotone e dai quali si deve trarre, sia pure alla lunga, un utile, pena il fallimento. Tutto questo, proprio in un momento in cui in America si distribuiscono premi ai coltivatori di cotone che distruggono parte della loro piantagione. Assurdità probabili di politiche megalomani di fronte a cui nulla contano i sacrifici ne di vite, ne di capitali.

Si giunse così all'ottobre del 1934» in cui furono presentati due pro- getti che miravano a migliorare il ramg della filatura. Il primo intendeva realizzare l'accordo volontario fra il 90 % almeno dei filatori, per rego- lare la produzione e la disciplina dei prezzi minimi. Si cercava una sta- bilità se non assoluta, almeno durevole entro certi periodi di tempo. L'al- tro progetto era rivolto a rilevare gli impianti in eccedenza. Ma la volon- tarietà dell'accordo perdeva consistenza sino a sfumare, perchè ove non si fosse ottenuto il 90 % (previsione assai ottimista) la Federazione si riser- vava di chiedere la regolamentazione per legge. In linea di massima si intendeva dar vita ad una nuova Associazione che avrebbe tratto i suoi fondi mediante un contributo di 18 penny per fuso all'anno, versato dagli industriali i cui stabilimenti fossero in attività. Con questo contributo si

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volevano eliminare i fusi in eccedenza, che il Comitato, sulla base delle statistiche, stimava 10.000.000 a 5 sL. in media per fuso, da cui dedurre uno scellino quale valore di rottame. In definitiva 1. 000.000 di sterline.

Il Consiglio riteneva di procurarsi la detta somma una volta che Tao cordo fosse definitivo e di ammortizzarla in 15 anni imponendo:

1) Una quota generale per tutta la filatura; 2) Una quota distinta rispettivamente per la Sezione americana e

per quella egiziana. Ma tale progetto, in cui per varie ragioni si stabiliva il divieto di

vendita all'estero dei fusi eccedenti, se da un lato incontrò il favore degli industriali votati al fallimento, e disposti a cedere i loro fusi in demoli' zione, dall'altra urtò nella reazione di quelli che a prezzo di sacrifici erano rimasti in piedi e che non ritenevano di accollarsi un onere nuovo pro- prio in un momento così grave. Il progetto fu persino avversato dagli operai che esigevano la nazionalizzazione dell'industria cotoniera.

Il progetto contemplava inoltre una forma unica di contratto di ven* dita dei filati. In pratica si pensava che ciò servisse a diminuire il nu- mero delle controversie. Le proposte invece sembra peccassero laddove au- spicavano un sistema di calcolo dei costi fatto nel modo il più uniforme possibile .

Difatti, il modo secondo cui i costi vengono calcolati varia secondo il tipo, le dimensioni, l'età dell'azienda. Altro è lavorare con impianti nuovi altro è lavorare in buona parte con impianti ammortizzati, altra è la ripartizione delle spese generali, quali si attua in aziende che produ- cono pochi tipi di merci uniformi, altro è in una azienda in cui le merci sono assai diverse, senza contare che mentre le aziende meglio dotate po- tranno pagare del personale specializzato, in quelle di modeste dimensioni questo difficilmente si potrà verificare. E allora come si può pensare ad introdurre una uniformità di criteri economico-tecnici di valutazione nella tenuta dei libri in genere? Uniformità che lasciava intangibile il principio per cui non era concesso alla Associazione di intervenire in alcun modo nella tenuta dei libri.

Ma qual'era la posizione assunta di fronte ai nuovi impianti? A prima vista sembrerebbe che un Ente il cui scopo era di rialzare

il tono depresso del mercato, dovesse relegare o almeno limitare assai la possibilità di nuovi impianti.

Ma in realtà si dà il caso che una azienda debba sostituire in piccola o in gran parte il materiale vecchio. In tal caso l'operazione è normale.

Inoltre sotto le specie di un .nuovo impianto può in realtà darsi il trasloco da una sede ad un'altra, determinato, per esempio, dal fatto che nella nuova sede si può assumere la mano d'opera a salari sensibilmente più vantaggiosi, salvo, s'intende, il caso di accordi generali aziendali che interpongano l'uniformità dei salari.

I filatori quindi che istallassero nuovi fusi erano tenuti a pagare una quota non superiore a quella che sarebbe stata dovuta se i fusi aggiunti avessero lavorato fin dall'inizio del funzionamento del progetto.

Queste erano le linee generali cui seguirono e s'ispirarono alcuni ac- cordi fra cui tipico quello pei titoli grezzi, in cui fu stabilito l'obbligo generico pei soci di impegnarsi all'osservanza delle disposizioni ed a dare

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in visione i loro libri» Queste linee però erano eventualmente modificabili su deliberazione del Comitato generale* Si introduceva così una elasticità di criteri che tendeva a far aderire in ogni istante la norma, alla complessa variabilità del fenomeno concreto. Questo accordo inoltre era aperto» fa* cendo così partecipi dei vantaggi pure coloro che per qualsiasi ragione nel momento in cui fu stabilito l'accordo non vi avesse aderito e conferiva ad ogni incaricato un sol voto mentre un secondo voto decisivo era ri' servato al Presidente.

L'accordo per i titoli grossi intendeva fissare i prezzi minimi e le con" dizioni di vendita.

Hanno gli accordi in pratica corrisposto ai desideri in essi riposti? Le notizie scarse e reticenti" lasciano trapelare la modestia dei risul'

tati. Per quanto, per esempio, riguarda la situazione del primo semestre 1937, le quotazioni rimasero fisse, essendo tuttavia governate da accordi legalizzati; i filatori continuavano a realizzare un margine incoraggiante di profitto.

Nel ramo filati il mercaťo ad onta della tendenza al ribasso nel cotone greggio, appare sostenuto.

Gli ultimi affari non sono stati pesanti, i filatori sono già bene im- pegnati coi vecchi ordini e sono stati mantenuti i margini di guadagno (i). Linguaggio questo, invero assai generico e da cui ben poco sembra si possa ricavare sugli effetti degli accordi, mentre ancora resta a vedere in quale misura abbian concorso alla rianimazione generale degli affari in tutti i settori economici i 165 miliardi per le spese di riarmo.

2. - GLI ACCORDI IN FRANCIA

Neppure in Francia la questione di regolare la produzione del ramo cotoniero mediante accordi era nuova. Tentativi si erano fatti già prima della guerra, ma tutti di breve durata. La questione era in parte risorta l'indomani della pace, specie per effetto dell'aggiungersi delle filature del" l'Alsazia-Lorena. Ma due difficoltà s'opponevano. Di ordine tecnico una: la varietà e moltiplicità della produzione; psicologica l'altra: l'individua* lismo ad oltranza dovuto ad una tradizione familiare contro cui si infran*- gevano i vari progetti.

Finalmente non è da trascurare l'ostacolo che derivava dalla distri' buzione geografica dell'industria cotoniera francese (Nord, Normandia, Vosgi, Alsazia, Francia Centrale) occasionalmente in concorrenza fra loro ed ispirate a tradizioni o interessi talvolta di carattere divergente. Ma il problema degli accordi appare urgente solo nel 1934, perchè nei dieci o do- dici anni dell'immediato dopoguerra il rischio della sovraproduzione appa* riva teorico e lontano. Allora, tenuto conto delle varie difficoltà, si stimava che, anche nell'ipotesi di ripresa degli affari, la produzione cotoniera fran* cese eccedesse le richieste d'un 20 %. Durante gli anni dal 1930 al 1934 le Federazioni locali di industriali filatori avevano cercato, soprattutto me' diante la riduzione negli orari di lavoro di rimediare alle strette della crisi, ma questo provvedimento era apparso inadeguato, perchè sprovvisto di

(1) « Midland Bank ̂ Monthly Review », settembre^ottobre 1937.

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penalità. Si giunse cosi ad un punto in cui risultò la necessità di un in- tervento d'ordine dello Stato, mentre d'altro lato non ci si acconciava al- l'idea di confessare l'impotenza ad uscir dal pelago coi soli propri mezzi. Nel giugno del 1934 il Comitato Direttivo del Sindacato Generale Coto* niero perfettamente edotto della complessità e dell'urgenza, vincendo la ritrosia degli industriali pose sul tappeto la questione del controllo della produzione dei filati» data la caduta fortissima dei loro prezzi (1).

Ma una duplice corrente di idee rese diffìcile la discussione. I soste- nitori dell'organizzazione nazionale mettevano innanzi la interdipendenza delle aziende dei varí distretti e non volevano acconsentire a ciascun di- stretto la possibilità di lavorare in pieno, gli altri invece avrebbero voluto imporre un controllo rigoroso per un orario di lavoro ridotto.

Sostenevano i secondi che le caratteristcihe dei varí distretti e quelle dei mercati di sbocco dei loro prodotti non si prestavano ad un regola- mento unico.

Ne uscì un compromesso, e furono avanzati tre schemi. Lo schema per le regioni dell'Est (Vosgi, Alsazia, Belfort), il quale si

traduceva nella norma genericamente enunziata di rimediare allo squilibrio fra produzione e consumo di relativi filati di cotone, adeguando la produ- zione ai bisogni della clientela mediante una riduzione delle ore di la- voro, ma salva pel filatore l'intera libertà di commerciare, specie riguardo i prezzi.

Fu stabilito inoltre un tenuissimo contributo annuo per ogni fuso, im- ponendo che per ogni fuso nuovo acquistato, se ne dovesse distruggere uno dei vecchi. La durata minima degli obblighi sottoscritti contrattual- mente era di mesi tre. Durata ben modesta che rifletteva tutta la diffi- denza e la ritrosia a sottoporsi ad' una disciplina della produzione che basava poi la procedura delle controversie su arbitraggi.

Accordi analoghi, salvo due eccezioni notevoli, furono sottoscritti dai filatori dell'Est e del Nord.

Le eccezioni autorizzavano un supplemento di ore di lavoro:

a) pei filatori che filano cotoni tinti o fantasia o cotoni mescolati con altre fibre tessili (ciò probabilmente dipende dalla maggior richiesta db questi tipi);

b) pei filatori tessitori la cui filatura alimenta la loro tessitura in quanto provino che non possono acquistare i filati da altri filatori, ma che debbono ugualmente fermare dei fusi affinchè il numero dei fusi inattivi rimanga sempre il medesimo.

Questi tre tentativi di controllo, che in sostanza si imperniavano sulla riduzione delle ore di lavoro, non raggiunsero risultati uniformi. I fila- tori dell'Est benché fossero riusciti ad incorporare circa 1*84 % dei fusi (cioè 3.817.518) e benché i loro stocks fossero stati parzialmente assor- biti, non poterono impedire il declinare ulteriore dei prezzi. Risultato iden- tico lo si ebbe pei filatori dell'Ovest ad onta che la percentuale di fusi regolati salisse all'87 % (1.214.616 su 1.385.917). Pei filatori del Nord pra-

ti) Per dettagli maggiori vedere: The cotton French Industry and the question of regulating it by trade agreements , Relazione presentata al Congresso cotoniero nell'aprile 1935. MilanO'Roma.

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ticamente non si ebbe alcun effetto, dati i dissidi insorti a proposito del sistema di lavoro a doppia squadra, e quello del controllo proposto per i filatori tessitori.

Nell'insieme dunque i risultati furono nulli. Pure fortissima opposizione incontrò il progetto del Sindacato filatori

di Normandia che si basava essenzialmente su tre punti: la necessità di una organizzazione nazionale, la necessità di stabilire e mantenere i prezzi dei filati, la necessità di adeguare la produzione al consumo. Tutto cio richiedeva una azione comune e per ottenerla era necessario imporre una forte tassa statale ai dissenzienti. Le discussioni molteplici sollevate contro queste proposte finirono col neutralizzarle in pieno, tuttavia non si rinunziò all'idea di trovar qualche compromesso che desse luogo ad un intervento statale moderato.

3. - GLI ACCORDI IN POLONIA

In Polonia, il piano degli accordi è realizzato fra produttori di filato di cotone dalla Unione , riconosciuta come ente giuridico. Ess?l può pro* cedere a tutte le forme di attività legale, quali compravendita, locazione di qualunque immobile, creazione di accordi, sottoscrizioni di obbligazioni» svolgimento e assunzione di procedure legali ed amministrative.

L'Unione intende promuovere, proteggere, assistere, sorvegliare e in genere coordinare le attività dei filatori.

I compiti quindi che essa si prefigge appaiono più ampi di quelli os- servati in Inghilterra, e ciò si comprende perchè si tratta di un paese in cui la filatura, come industria in senso moderno, è di data recente.

Assai complesso lo specifico accordo intervenuto per regolare la pro- duzione, fino al titolo 46 incluso, per tutti i fusi attualmente esistenti o da impiantare in futuro. La ripartizione dei fusi è fatta in base alle do- mande dei filatori, mentre ancora è ammessa fra gli aderenti all'accordo una compensazione (chiunque cioè può cedere una parte dei propri fusi ad un altro aderente, gratuitamente o dietro compenso).

In aggiunta ai fusi, destinati alla produzione dei filati per i bisogni interni, è concesso un quantitativo di fusi che producono filati per l'espor- tazione. Anche per questi fusi si rendeva necessaria una limitazione, al- trimenti il desiderio di ogni produttrice avrebbe sino ad un certo punto spinto a prezzi di concorrenza, che avrebbero neutralizzato in tutto o in parte i vantaggi del contingentamento all'interno. D'altro lato non va tra- scurata la circostanza per cui chi intende produrre per vendere all'estero è soggetto ad una concorrenza maggiore, contro avversari esterni la cui po- tenzialità e i cui sistemi di produzione sfuggono, sicché l'arma del ribasso dei prezzi spinta fino al livello del costo di produzione e talora al « dum- ping », appare più di una volta come l'unico mezzo per potersi almeno introdurre. Sicché come logica conseguenza deriva che il quantitativo dei fusi, che producono filati per l'esportazione, varii col variare dei quantitativi di filati richiesti, il che è attuabile solo attraverso ad un esame delle sta- tistiche antecedenti, tenendo presente la stagionalità delle richieste. Ciò che esige tutto uno studio che non può essere attuato se non da un ente specializzato.

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Più sopra si è accennato alla compensazione dei fusit attuabile fra gli interessati* È opportuno esaminare il triplice carattere che essa può assu- mere : i) obbligatoria; 2) volontaria; 3) ipotetica. Quest'ultima espressione» abbastanza sibillina» altro non significa che la compensazione si riferiva a fusi che potevano diventare disponibili, ma dei quali attualmente non è noto il numero. In tale caso la compensazione si proietta su circostanze future che possono essere note solo con scarsa approssimazione.

La compensazione obbligatoria è applicabile alle fabbriche che filano e tessono per loro conto e che si sono impegnate a consumare per. proprio uso tutto il filato da loro prodotto e ad accettare tutti i fusi loro concessi dalle compensazioni.

La compensazione volontaria è basata sull'offerta parziale o totale dei fusi fatta da un 'membro per un dato tempo e dietro un determinato compenso.

In tal modo quelli che hanno dei fusi e che non hanno interesse a farli funzionare» dandoli in affitto ricevono un tanto che può essere desti' nato alle spese di ammortamento o ad altro, e quelli invece che non hanno fusi sufficienti sono così posti in grado di assumersi degli impegni cui altrimenti non avrebbero assolto. In tal modo con un'opera di colla- borazione si evitano e riducono delle perdite sino a delineare un utile che può essere di ambo le parti.

La compensazione ipotetica è concessa a coloro che filano e tessono per proprio conto e che si sono impegnati ad accettare tutti i fusi della compensazione. La compensazione ipotetica sembra rivesta un duplice carattere. Anzitutto mette a disposizione dei fusi quando se ne verifica il bisogno, conferisce cioè un diritto, però, se non si va errati, tale diritto all'atto pratico si trasformerebbe in un dovere.

Quale sia la spiegazione non è facile da determinare. Forse si yuole impedire una probabile disoccupazione futura della

massa operaia accollando le spese alle aziende più grosse cioè quelle che si ritiene possano sopportare oneri maggiori? O si vuole far sì che il ritmo produttivo venga mantenuto attraverso ai sacrifici dei produttori ritenuti più capaci? E tutto ciò in vista di una ripresa eventuale non lontana.

Ma bisogna ricordare che ove non esiste, o esiste in modo insufficiente una domanda di filati, come si giustifica quest'obbligo ad accettare dei fusi che produrrebbero del filato non richiesto?

In questo caso è da ritenere che i produttori cercheranno di utiliz- zarli o meno a seconda che loro convenga. Ma le preoccupazioni al riguardo non devono essere esagerate.

Mutate talune modalità gli scopi degli accordi sono in Polonia identici a quelli che si osservano in altri paesi, poiché uguale è la materia che rego- lano e comuni le cause da cui originano* Tuttavia si è introdotto un prin- cipio altrove sconosciuto per cui i membri devono depositare azioni o cambiali a garanzia di esecuzione dell'accordo.

Sul funzionamento degli accordi non si hanno notizie sicure e dalle statistiche riesce dubbio trarre congetture valevoli.

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4. - GLI ACCORDI IN AUSTRIA

In Austria i primi accordi risalgono al 1930. Essi stabiliscono quote standard di lavorazione invariabili, salvo l'opportunità accertata dì favorire la fabbricazione di un tipo piuttosto che dell'altro di filato.

Accordano libertà di vendita nel mercato interno a seconda della do- manda effettiva.

Fissano i prezzi minimi di vendita di ogni filato. Ma il filatore può accordare al compratore un ribasso se il filato è

destinato all'esportazione purché abbia subito ulteriore lavorazione. A questa disposizione se ne collega un'altra, in cui riappare l'oppor-

tunità dei conguagli. Se una ditta infatti non usufruisce interamente della sua concessione di vendita per effetto di una maggiore o minore espor- tazione essa potrà cedere a un'altra ditta la parte di permesso non uti* lizzata. Il conguaglio è attuato dagli Uffici della Federazione sicché se da una parte è mantenuta la libertà di contrattazione, dall'altra rimane il controllo. Ma ad onta di tutto un apparato di clausole qui soltanto rias* sunte in grandi linee, le sorti non migliorarono tanto che in questi ultimi tempi la tendenza ad un più intenso regolamento della produzione è riap- parsa con grande urgenza.

Si leggeva infatti che: Mentre i prezzi del cotone e dei filati di cotone da molto tempo se^

gnano una tendenza ferma, i prezzi dei tessuti di cotone non hanno potuto essere aumentati, causa la grande concorrenza, di modo che le fab' briche lavorano ancora in perdita. Per questo motivo, già da diverso tempo corrono trattative fra gli interessati per un cartello, che però di fronte alla resistenza di una fabbrica non ha potuto essere costituito. D'altra parte anche dal lato del consumo si è dimostrata grande avversione contro un cartello.

5. - CONCLUSIONI

L'analisi rapida sin qui condotta rende superfluo esporre le caratte* ristiche degli accordi quali, ad esempio, si ebbero in Spagna, ove l'unica nota nuova si manifestava nel desiderio di realizzare una concentrazione industriale su cui è impossibile pronunciarsi. '

E d'interesse anche minore sono gli accordi quali si ebbero in Olanda ed in Cecoslovacchia. In Cecoslovacchia anzi l'unico cartello delle filature» quello del 1935» si è sciolto e tale rottura viene a dare ragione ai sostèni' tori degli ordinamenti corporativi statali, a modello dei quali si cita quanto si fa in Italia. Infatti non appena si ebbe notizia della rottura, si è imme^ diatamente parlato di un intervento dello Stato, il quale avrebbe intenzione di controllare, se pur il parlamentarismo lo permetterà, l'industria cotoniera, che forma una delle principali basi delle esportazioni cecoslovacche.

Ed eccoci alle conclusioni: 1) In tempi non lontani il ristagno degli affari ha reso facile il trapasso delle forme industriali organizzate secondo i principi della concorrenza e l'individualismo a forme economiche di auto- regolazione sottoscritte dagli interessati sino ad arrivare agli interventi ob-

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bligatorî governativi, in più di un caso apparsi con carattere d'urgenza* Ciò ha dato vita ad enti speciali con scopi molteplici (disciplina dei tipi, dei prezzi, delle quantità, delle ore di lavoro, distribuzione di premì, impo- sizione di contributi, servizi informativi, ecc.). - 2) Gli accordi oscillano en- tro un massimo ed un minimo di intensità di intervento, di cui gli esempi si trovano rispettivamente in Spagna ed in Francia. In Inghilterra invece ci si è limitati ad una condotta di carattere intermedio, così pure in Polonia ed in Austria, benché in complesso risulti che queste due nazioni hanno, rispetto alla loro industria della filatura, praticato delle politiche che senza dubbio rappresentano, rispetto a quella inglese, un rafforzamento del prin- cipio intervenzionista. - 3) La natura degli accordi, quando anche appare (come lo è nella maggioranza dei casi) dotata di notevole labilità, aggra- vata assai probabilmente dall'abbondanza delle clausole che si prestano a cavilli e scappatoie, sembra essere quella dei « cartelli ». Essi, cioè, si realizzano fra aziende esercenti uno stesso ramo di produzione col triplice scopo: a) segnare un limite della produzione; b) ottenere di conseguenza un rialzo dei prezzi; c) conseguire eccezionalmente dei profitti di natura quasi monopolistica. In quest'ultimo caso però si richiede una coesione che nei casi esaminati appare dubbia. - 4) Oltre a questi scopi specifici po- trebbe essere preso in considerazione quello dello scambio di vedute tra gli interessati per mettere in attuazione criteri utili sia ai fini tecnici sia ai fini economici delle rispettive aziende. Si fa poi questione se gli accordi, così come sono stati profilati, costituiscano l'unica terapia e se essi elimi- nino in gran parte il disagio che deriva dalla frattura fra costi e prezzi. Una risposta affermativa sarebbe vera ingenuità. Basta a testimoniare il contrario, il fatto che nei paesi europei questa delicata materia è soggetta a revisione il cui scopo è di apprestare nuovi mezzi contro l'invadenza de- gli industrialismi orientali, specie quello giapponese, sul cui conto però più di una esageraziqjie è stata detta e scritta. Le ragioni dello scarso successo degli accordi non sono esclusivamente di natura economica ed individuale, ma lo si tenga ben presente anche di natura tecnica. Il problema della omogeneità e delle dimensioni delle aziende che intendono regolare la ven- dita di un prodotto si pone con nette caratteristiche, e ben difficilmente si riesce, salvo d'autorità, ad ottenere una larva di coesione in cui grossi e piccoli fraternizzino. Vi sono ancora e vi saranno, e per chi vive un po' nel mondo della pratica non è ignoto, soprusi ed abusi, per cui si potrà derogare alla disciplina dei prezzi minimi, col farsi a parte liquidare le differenze, ciò che è possibile solo ai meglio forniti.

Sarà inoltre difficile indurre alla disciplina degli accordi coloro le cui aziende producono con successo tipi particolarmente ricercati; questo al- meno laddove non esistono obblighi di origine governativa.

Che ciò contribuisca a rendere ancor più fragili delle già fragilissime armature è ben chiaro. Ne ciò è tutto. E così, siccome nessuna attività eco- nomica può essere avulsa dalle restanti, sarebbe ridicolo pensare di stabilire dei prezzi minimi per le vendita dei filati in regime di monete il cui valore k fluttuante o quando si prescinda dallo stato e dal rendimento delle cul- ture, senza contare i problemi che sorgono per effetto della sostituzione di fibre artificiali.

In fondo non bisogna richiedere agli accordi più di quanto essi pos-

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sono dare. Essi recano in modo inevitabile punti deboli, contro cui pratica e teoria muovono critiche, specie contro Pambiguità di certe formule.

Riappare poi la vecchia questione dell'interesse del consumatore ad ottenere dei prezzi bassi, laddove scopo degli accordi è un loro rialzo. È inutile soggiungere che questioni simili non possono, ne debbono essere guardate da un solo angolo visuale, perchè è arcinoto che un rovinìo con- tinuo di prezzi nei prodotti industriali spalanca le porte al male gravissimo della disoccupazione, anemizzando i consumi delle classi meno abbienti, le quali essendo come è noto più numerose esauriscono grandi quantitativi di qualità inferiore, fonte per lo più dei maggiori profitti. Gli interessi dunque dei produttori e dei consumatori non sono sempre antitetici, e i difetti accennati sono suscettibili di correzione in particolare nei sistemi economici che praticano il controllo. Si può ancora ritenere che ove gli scopi degli accordi non tendano a realizzare monopoli veri e propri all'in- l'interno del dumping , al di fuori non diano luogo a reazioni gravi da parte dei concorrenti esteri. Tale asserzione ha almeno finora il conforto dei fatti.

Gli ottimismi e le visioni pessimistiche sono ugualmente errati: so- prattutto queste ultime.

Se gli accordi non costituiscono un rimedio assolutamente specifico, servono ad avviare lentamente verso il miglioramento almeno le condizioni generali dell'industria, sicché non potranno alla lunga non migliorare an- che quelle più intime della industria stessa, cioè il suo equilibrio, la sua espansione. Ove si consideri la possibilità di intese generali internazionali economiche, anche in altri settori industriali, si deduce che potranno nel- l'insieme tutte le iniziative risultare maggiormente potenziate.

Ciò proverà ancora una volta l'unità che governa le forme e le fun- zioni delle strutture economiche.

Ma se miglioramenti innegabili ci sono stati, se il periodo di collasso nei prezzi appare più che superato, non si dimentichi al riguardo tutta la influenza dell'avvicendarsi periodico di tempi in cui l'ascendere della do- manda esaurisce gli stocks precedenti, richiede nuove merci, ciò che, in una parola, costituisce il vero volano che supera il punto morto della depres- sione.

Raffaello Maggi Prof . ine. di politica economica nella R . Università di Pavia

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