Identit e differenza
di Martin Heidegger[Verlag Gnther Neske, Pfullingen 1957, 6a ed.
1978. Traduzione e note sono a cura di Ugo M. Ugazio.]
Premessa
Il principio di identit contiene il testo immutato di una
conferenza tenuta in occasione del cinquecentesimo anniversario
della fondazione dell'Universit di Freiburg i. Br., nella giornata
delle facolt, il 27 giugno 1957.
La costituzione onto-teo-logica della metafisica ripresenta la
trattazione, riveduta in alcuni punti, che chiudeva
un'esercitazione di seminario del semestre invernale 1956-57 sulla
Scienza della logica di Hegel. La seduta durante la quale fu letta
ebbe luogo il 24 febbraio 1957 a Todtnauberg.
Il principio di identit guarda avanti e guarda indietro: avanti
verso l'ambito a partire dai quale detto ci intorno a cui si muove
la conferenza su La cosa (si vedano in appendice i riferimenti),
indietro verso l'ambito della provenienza essenziale della
metafisica, la cui costituzione determinata dalla differenza.
La Zusammengehrigkeit di identit e differenza indicata nella
presente pubblicazione come il tema da pensare.
Fino a qual punto la differenza derivi dall'essenza dell'identit
deve trovarlo il lettore stesso, ascoltando la consonanza che si
stabilisce tra Ereignis e Austrag.
Nulla tale in questo ambito da consentire una dimostrazione,
qualcosa per pu essere mostrato.
Todtnauberg, 9 settembre 1957.Il principio di identitIl
principio di identit suona secondo una formula corrente: A = A. Il
principio vale come legge suprema del pensiero. Noi cerchiamo di
seguire per un po' di tempo questo principio col pensiero. Vorremmo
infatti venir a sapere per il suo tramite che cosa sia identit.
Quando il pensiero, chiamato in causa da una cosa, prende a
seguirla, pu accadergli di trasformarsi nel corso del cammino. Per
questo consigliabile in quel che segue prestare pi attenzione al
cammino che non al contenuto. Gi l'andamento della conferenza ci
impedir di soffermarci davvero sul contenuto.
Che cosa dice la formula A = A con cui si soliti rappresentare
il principio di identit? La formula nomina l'uguaglianza di A e A.
Ad un'uguaglianza appartengono almeno due termini. Una A uguale ad
un'altra. questo quel che il principio di identit vuole asserire?
Chiaramente no. L'identico, in latino idem, si dice in greco .
Tradotto in tedesco si dice das Selbe [lo stesso]. Se qualcuno
ripete la stessa cosa, ad esempio "la pianta pianta", si esprime
con una tautologia. Perch qualcosa possa essere la stessa cosa,
ogni volta sufficiente un solo termine. Non c' bisogno di due
termini come nell'uguaglianza.
La formula A = A parla di uguaglianza. Essa non nomina la A come
la stessa cosa. La formula corrente per il principio di identit
nasconde in questo modo proprio ci che il principio vorrebbe dire:
A A, ossia ogni A essa stessa la stessa cosa.
Mentre noi descriviamo l'identico in questo modo, risuona
un'antica parola, la parola con cui Platone rende apprensibile
l'identico, una parola che rimanda ad una ancora pi antica. Platone
parla nel Sofista (254 d) di e , di quiete e moto. Platone fa dire
in questo luogo allo straniero: , ' ."Ciascuno di essi, allora,
diverso dagli altri due, esso stesso per identico a se stesso".
Platone non dice soltanto: ,"ciascuno di essi esso stesso se
stesso", ma: "ciascuno di essi esso stesso identico a se
stesso".
Il dativo significa: ogni cosa essa stessa restituita a se
stessa, ogni cosa essa stessa se stessa cio per se stessa con se
stessa. La lingua tedesca offre qui, come la lingua greca, il
vantaggio di esprimere l'identico con una sola parola, una parola
che dispone per di una gamma di forme [Gestalten] diverse.
La formula pi appropriata per il principio di identit, allora, A
A, non dice soltanto: ogni A essa stessa se stessa, dice piuttosto:
con se stessa ogni. A essa stessa se stessa. Nell'identit
[Selbigkeit] risiede la relazione propria del "con", dunque una
mediazione, un collegamento, una sintesi: l'unione in direzione di
un'unit. per questo che l'identit nel corso della storia del
pensiero occidentale appare con il carattere dell'unit. Questa
unit, per, non affatto l'inane vacuit di ci che, in se stesso privo
di relazioni, si irrigidisce ostinatamente in un'uniformit.
Tuttavia, prima che la relazione dell'identico con se stesso,
relazione che regna nell'identit e che risuona gi sin dai primordi,
venga decisamente e con tutti i suoi tratti alla luce come tale
mediazione, prima persino che venga trovato un ricovero per questo
emergere della mediazione nell'ambito dell'identit, il pensiero
occidentale ha bisogno di pi di duemila anni. Solo la filosofia
dell'idealismo speculativo, infatti, preparata da Leibniz e da
Kant, con Fichte, Schelling e Hegel fonda un ricovero per l'essenza
in s sintetica dell'identit. Tale ricovero non pu qui essere
mostrato. Solo di una cosa bisogna ricordarsi: a partire dall'epoca
dell'idealismo speculativo resta interdetto al pensiero di
rappresentare l'unit dell'identit come mera uniformit e di
prescindere dalla mediazione che domina nell'unit. Dove questo
accade, l'identit rappresentata in modo soltanto astratto.
Anche nella formula corretta "A A" viene in luce soltanto
l'identit astratta. Ma viene veramente in luce? Il principio di
identit asserisce qualcosa circa l'identit? No, per lo meno non
immediatamente. Piuttosto il principio presuppone gi che cosa
voglia dire identit e di che cosa essa faccia parte. Come
conseguire informazioni su questa presupposizione? Ce le fornisce
il principio di identit stesso se ascoltiamo con cura la sua nota
fondamentale, se lo seguiamo col pensiero anzich limitarci a ridire
senza pensare la formula "A A". Che cosa cogliamo ascoltando? In
questo "" il principio dice il modo in cui l'essente , ossia: esso
stesso con se stesso lo stesso. Il principio di identit parla
dell'essere dell'essente. Come legge del pensiero il principio vale
solo in quanto una legge dell'essere, una legge che dice: ad ogni
essente appartiene in quanto tale l'identit, l'unit con se
stesso.
Ci che il principio di identit, colto a partire dalla sua nota
fondamentale, asserisce, esattamente ci che l'intero pensiero
europeo-occidentale pensa, e cio che l'unit dell'identit forma un
tratto fondamentale nell'essere dell'essente. Ovunque e in
qualsiasi modo ci volgiamo verso un essente, di qualunque genere
esso sia, ci troviamo ad aver a che fare con l'appello
dell'identit. Se questo appello non si facesse sentire, l'essente
non sarebbe mai in grado di apparire nel suo essere. Di conseguenza
non ci sarebbe neanche la scienza. Se, infatti, alla scienza non
fosse garantita sin dall'inizio l'identit del suo oggetto, essa non
potrebbe essere ci che . Con questa garanzia la ricerca scientifica
si assicura la possibilit del suo lavoro. E tuttavia questa
rappresentazione-guida dell'identit dell'oggetto non porta mai alle
scienze alcun vantaggio tangibile. I successi e i risultati fecondi
della conoscenza scientifica si basano quindi ovunque su qualcosa
che non offre vantaggi. L'appello dell'identit dell'oggetto parla,
indipendentemente dal fatto che le scienze lo ascoltino o non lo
ascoltino che disperdano al vento ci che hanno ascoltato o che si
lascino turbare da questo ascolto.
L'appello dell'identit parla a partire dall'essere dell'essente.
Ora, per, l dove l'essere dell'essente per la prima volta e in modo
proprio giunge nel pensiero occidentale al linguaggio, e cio in
Parmenide, l , l'identico, parla in un senso che quasi supera la
misura. Una delle sentenze di Parmenide dice: ."Lo stesso infatti
percepire (pensare) e altrettanto anche essere".
Qui cose differenti, pensare ed essere, sono pensate come lo
stesso. Che cosa vuol dire questo? Qualcosa di completamente
diverso rispetto a quella che noi conosciamo come dottrina della
metafisica, che cio l'identit appartenga all'essere. Che cosa
significa [heisstt] qui identit? Che cosa dice nella sentenza di
Parmenide la parola , lo stesso? A queste domande Parmenide non d
risposta. Ci pone davanti ad un enigma al quale non possiamo
sfuggire. Siamo costretti a riconoscere che ai primordi del
pensiero, molto prima che un principio di identit venga formulato,
parla l'identit stessa, e parla in un detto che d questa
disposizione: pensare ed essere appartengono entrambi allo stesso e
sulla base di questo stesso appartengono l'uno all'altro.Senza
accorgercene abbiamo gi interpretato , lo stesso. Noi intendiamo
l'identit come Zusammengehrigkeit. Il modo di rappresentare questa
Zusammengehrigkeit prossimo a quello in cui stata pensata in
seguito ed divenuta generalmente nota l'identit. Che cosa ci
impedisce di cogliere questa prossimit? Niente di meno che la
sentenza stessa che leggiamo in Parmenide. Giacch essa dice
qualcosa di diverso, e cio: l'essere appartiene con il pensiero
allo stesso. L'essere determinato a partire da un'identit come un
tratto di questa identit. L'identit che pensata pi tardi nella
metafisica, invece, rappresentata come un tratto dell'essere. Non
possiamo quindi sulla base di questa identit rappresentata
metafisicamente voler determinare l'identit nominata da
Parmenide.
L'identit di pensare ed essere che parla nella sentenza di
Parmenide ha un'origine pi lontana di quanto non abbia quella
determinata dalla metafisica a partire dall'essere come tratto di
questo essere.
La parola-guida nella sentenza di Parmenide, , lo stesso, resta
oscura. Noi lo lasciamo nella sua oscurit. In pari tempo, per,
facciamo s che la sentenza, al cui inizio posta quella parola, ci
conceda un cenno.
Nel frattempo, per, abbiamo gi definito l'identit di pensare ed
essere come Zusammengehrigkeit di entrambi. Il che stato prematuro,
provocato forse dalla necessit. Dobbiamo adesso far retrocedere ci
che stato detto troppo presto. Questo potremo farlo se non
considereremo la suddetta Zusammengehrigkeit come l'interpretazione
definitiva e addirittura come l'unica adeguata dell'identit di
pensare ed essere.
Se pensiamo lo Zusammengehren secondo l'accezione corrente,
allora, come indica gi la posizione dell'accento, il senso del
Gehren gi determinato dallo Zusammen, cio a partire dall'unit che
gli propria. In questo caso gehren equivale a: essere predisposto
[zugeordnet] per l'ordine di un insieme [Zusammen] ed in tale
ordine inserito [eingeordnet], avere un posto entro l'unit di un
molteplice, esser composto in vista dell'unit del sistema, essere
mediato [vermittelt] dal tratto mediano [Mitte] che unifica proprio
di una sintesi capace di dare la misura. La filosofia rappresenta
questo Zusammengehren come nexus e come connexio, come necessario
collegamento di un termine all'altro.
Tuttavia, lo Zusammengehren pu essere pensato anche come
Zusammengehren . Questo vuol dire: lo Zusammen ora determinato a
partire dal Gehren. Qui comunque resta problematico che cosa gehren
voglia dire e come si determini a partire da esso lo Zusammen che
gli proprio. La risposta a questi problemi pi vicina di quanto non
crediamo, ma non la si pu toccare con mano. Ci basti adesso aver
notato, grazie a questa indicazione, la possibilit di non
rappresentarci pi il Gehren a partire dall'unit dello Zusammen, ma
di esperire piuttosto questo Zusammen a partire dal Gehren.
L'indicazione di questa possibilit, non si esaurir, per, in un
vuoto gioco di parole che simula qualcosa cui manca ogni appoggio
in uno stato di cose controllabile?
Cos sembra, almeno finch non scrutiamo pi acutamente e non
lasciamo che la. questione si esprima da s.
Il pensiero di uno Zusammengehren nel senso dello Zusammengehren
deriva dall'osservazione di uno stato di cose che abbiamo gi
nominato. Certo, a causa della sua semplicit difficile da
osservare. Intanto, se prestiamo attenzione a quanto segue, questo
stato di cose subito si fa pi vicino: intendendo lo Zusammengehren
come Zusammengehren avevamo gi in mente, secondo il cenno di
Parmenide, il pensare e altrettanto anche l'essere, quindi i
termini che nello stesso appartengono l'uno all'altro.
Se intendiamo il pensiero come il segno distintivo dell'uomo,
allora torniamo con la mente su uno Zusammengehren che riguarda
uomo ed essere. Di colpo ci sentiamo assillati dalle domande: che
cosa significa [heisst] essere? Chi o che cosa l'uomo? Chiunque
vede facilmente come senza una risposta adeguata a tali domande
venga a mancarci il suolo su cui poter costruire qualcosa di fidato
che tocchi lo Zusammengehren di uomo ed essere. Tuttavia, finch
continuiamo ad interrogarci in questo modo, restiamo irretiti nel
tentativo di rappresentarci lo Zusammen di uomo ed essere come una
predisposizione [Zuordnung] e di assegnare il posto a tale
predisposizione e di chiarirla o a partire dall'uomo o a partire
dall'essere. A questo riguardo i concetti tradizionali di uomo ed
essere forniscono i punti d'appoggio per la predisposizione
[Zuordnung] dell'uno verso l'altro.
Che cosa succederebbe se noi, anzich rappresentarci imperterriti
solo un coordinamento [Zusammenordnung] dell'uno all'altro in vista
della loro unit, per una volta prestassimo attenzione a quest'altro
problema: se e come in quello Zusammen sia in gioco prima di tutto
un reciproco appartenersi [Zu-einander-Gehren]? C' persino la
possibilit, adesso, di scorgere, anche se solo da lontano, lo
Zusammengehren di uomo ed essere gi nelle determinazioni
tradizionali della loro essenza. Fino a che punto?
Manifestamente l'uomo qualcosa di essente. Come tale appartiene,
allo stesso modo della pietra, dell'albero, dell'aquila al tutto
dell'essere. Appartenere [gehren] significa qui ancora: essere
inserito nell'essere secondo un ordine. Ma il segno distintivo
dell'uomo consiste in questo, che egli, come essenza pensante,
aperto dall'essere, posto di fronte ad esso, resta riferito
all'essere e cos gli corrisponde. L'uomo propriamente questo
rapporto di corrispondenza, ed soltanto questo. "Soltanto" questa
parola non indica una limitazione, ma un eccesso. Nell'uomo si
impone un appartenere [Gehren] all'essere, un appartenere che si
pone in ascolto [hrt] dell'essere, poich ad esso trasferita la sua
propriet [bereignet].
E l'essere? Pensiamo l'essere secondo il suo senso iniziale,
come presenza [Anwesen]. L'essere non si presenta [west...an] n
casualmente, n eccezionalmente all'uomo. L'essere [west] e persiste
in quanto si volge con il suo appello nella direzione dell'uomo.
Soltanto l'uomo, infatti, aperto 'per l'essere, lascia che l'essere
si avvicini come presenza. Tale presenza [An-wesen] ha bisogno
[braucht] di una radura luminosa [Lichtung] e cos, con questo
bisogno [Brauchen], la sua propriet resta trasferita all'essenza
dell'uomo. Questo non vuole affatto dire che l'essere sia
primariamente posto dall'uomo e soltanto da lui. Al contrario
appare chiaro come uomo ed essere siano traspropriati [bereignet]
l'uno all'altro, appartengano l'uno all'altro. Da questo
appartenersi reciprocamente, che rimasto indeterminato, uomo ed
essere hanno ricevuto originariamente quelle determinazioni
essenziali attraverso cui, grazie alla filosofia, sono intesi
metafisicamente.
Questo prevalente Zusammengehren di uomo ed essere, noi lo
disconosciamo con ostinazione finch ci rappresentiamo tutto
soltanto per mezzo di ordini e mediazioni, con o senza dialettica.
In questo modo troviamo sempre soltanto collegamenti che sono
stabiliti o a partire dall'essere o a partire dall'uomo e che danno
dello Zusammengehren di uomo ed essere l'immagine di un
annodamento.
Ancora non riusciamo ad introdurci nello Zusammengehren. Ma come
avviene un tale ingresso? Abbandonando l'atteggiamento del pensiero
rappresentativo. Questo abbandono un salto, un salto che comporta
un distacco dalla rappresentazione corrente dell'uomo come animal
rationale, che nell'epoca moderna divenuto il soggetto per i suoi
oggetti. Il salto si distacca in pari tempo dall'essere, l'essere
che pure, sin dai primordi del pensiero occidentale, interpretato
come fondamento [Grund] su cui si fonda ogni essente in quanto
essente.
Verso che cosa salta il' salto distaccandosi dal fondamento?
Salta verso un'assenza di fondamento [Abgrund]? S, finch ci
limitiamo a rappresentarci il salto, se lo manteniamo cio,
rappresentandocelo, nell'ambito del pensiero metafisico. No, nel
momento in cui saltiamo e ci lasciamo andare. Verso dove? Verso il
luogo in cui ci gi concesso di stare: verso l'appartenenza [Gehren]
all'essere. Ma l'essere stesso appartiene [gehrt] a noi; giacch
soltanto presso di noi l'essere pu essere [wesen] come essere
[Sein], essere cio presente [an-wesen].
Cos, per fare esperienza dello Zusammengehren di uomo ed essere,
necessario un salto. Questo salto la subitaneit del ripiegamento
verso quell'appartenere [Gehren] che per primo deve concedere
reciprocanza tra uomo ed essere e rendere visibile quindi la
costellazione che li comprende entrambi. Il salto il subitaneo
ingresso nell'ambito a partire dal quale uomo ed essere, nella loro
essenza, si sono gi da sempre reciprocamente raggiunti, poich
entrambi grazie alla loro bastevolezza sono consegnati l'uno
all'altro. L'ingresso nell'ambito in cui avviene questa
traspropriazione [bereignung] quello che per primo d il tono
all'esperienza del pensiero e per primo la determina.
Salto singolare, che ci consente probabilmente di vedere la
nostra incapacit di soffermarci in modo bastevole l dove
propriamente gi siamo. Dove siamo? In quale costellazione di essere
e uomo?
Oggi non abbiamo pi bisogno, cos almeno sembra, di indicazioni
circostanziate per scorgere la costellazione in cui uomo ed essere
sono volti l'uno verso l'altro, indicazioni che fino a pochi anni
or sono erano invece indispensabili. Si potrebbe sostenere che
basterebbe nominare la parola "era atomica" per render noto come
l'essere, nel mondo della tecnica, ci sia oggi presente [uns
an-west]. Ma possibile mettere senz'altro il mondo della tecnica
insieme all'essere? Manifestamente no, neanche se ci
rappresentassimo questo mondo come il tutto in cui sono inclusi
energia atomica, pianificazione calcolante dell'uomo ed
automazione. Per quale motivo un riferimento di questo genere al
mondo della tecnica non consente in maniera alcuna allo sguardo di
posarsi sulla costellazione di essere e uomo, neanche nel caso in
cui il riferimento descrivesse quel mondo nel modo pi ampio? Perch
ogni analisi della situazione pensa in modo troppo ristretto finch
spiega il suddetto tutto del mondo della tecnica sin dall'inizio a
partire dall'uomo, come qualcosa che dall'uomo stato fatto. Ci che
tecnico, inteso nel senso pi ampio e secondo le sue varie
manifestazioni, considerato come il piano che l'uomo progetta, un
piano che alla fine costringe l'uomo a dover decidere se voglia
diventare schiavo del suo stesso piano o se voglia invece restarne
il signore.
Con questa rappresentazione del complesso del mondo della
tecnica tutto ricondotto all'uomo e si perviene, nel migliore dei
casi, all'esigenza di un'etica adeguata al mondo della tecnica.
Irretiti in tale rappresentazione, si finisce per rafforzarsi
nell'opinione che la tecnica sia qualcosa che riguarda soltanto
l'uomo. Si trascura di dare ascolto all'appello dell'essere,
appello che parla nell'essenza della tecnica.
tempo di cessare di rappresentarci ci che tecnico in modo
soltanto tecnico, a partire cio dall'uomo e dalle sue macchine.
Prestiamo attenzione all'appello nell'ambito del quale sono posti
di fronte al loro essere non soltanto l'uomo, ma anche tutto ci che
, la natura e la storia.
Di quale appello stiamo parlando? Tutta la nostra esistenza
[Dasein] si trova ovunque ora per gioco, ora per un senso di
oppressione, ora perch presa dall'affanno, ora perch spintavi di
fronte alla provocazione di doversi sottoporre per ogni cosa alla
pianificazione e al calcolo. Che cosa parla in tale provocazione?
Si tratta di qualcosa che deriva soltanto da un capriccio
artificioso dell'uomo o invece di qualcosa in cui per noi gi in
gioco l'essente stesso, e precisamente in modo tale da essere
coinvolti noi stessi nelle possibilit di pianificazione e di
calcolo dell'essente? Ma, allora, persino l'essere sarebbe
sottoposto alla provocazione di far apparire l'essente nell'ambito
della calcolabilit? Infatti cos. E non si tratta soltanto di
questo. Allo stesso modo dell'essere anche l'uomo provocato, ossia
pre-posto [gestellt], a mettere al sicuro l'essente che lo
riguarda, come il fondo [Bestand] del suo pianificare e calcolare e
ad estendere questo porre-al-fondo [Bestellen] fin dove non sono
possibili previsioni.
Il nome per il raccoglimento [Versammlung] del provocare che
dispone [zu-stellt] uomo ed essere l'uno nei confronti dell'altro
in modo che si pongano a vicenda, suona: l'im-posizione [Ge-stell].
Ci si scandalizzati per l'uso di questa parola. Ma in tedesco
diciamo anzich stellen anche setzen e non troviamo nulla di strano
nell'uso della parola Ge-setz [legge]. Allora, perch non usare
anche Ge-stell [im-posizione], se le cose ci appaiono in un modo
che lo richiede?
Ci in cui e a partire da cui uomo ed essere, nel mondo della
tecnica, si volgono l'uno verso l'altro, parla del mondo
dell'im-posizione [Ge-stell]. Nel vicendevole porsi di uomo ed
essere, siamo in ascolto [hren] dell'appello che determina la
costellazione della nostra epoca. L'im-posizione [Ge-stell] ovunque
qualcosa che ci riguarda immediatamente. Essa , posto che adesso ci
sia ancora consentito di parlare in questo modo, pi essente di ogni
energia atomica e di ogni macchina, pi essente dell'impeto
dell'organizzazione, dell'informazione e dell'automazione. Poich
quel che si chiama im-posizione [Ge-stell] non lo incontriamo pi
nell'ambito della rappresentazione, che ci porta a pensare l'essere
dell'essente come presenza [Anwesen] l'im-posizione [Ge-stell] non
pi per noi qualcosa di presente [etwas Anwesendes] , per questo
esso dapprima ci sorprende. L'im-posizione [Ge-stell] continua a
sorprenderci nella misura in cui essa non un termine ultimo, ma
quello stesso termine che ci trasmette ci che propriamente regge la
costellazione di essere e uomo.
Lo Zusammengehren di uomo ed essere, nel modo della loro
vicendevole provocazione, ci rende noto che e come l'uomo sia
traspropriato [vereignet] all'essere, mentre l'essere sia
appropriato [zugeeignet] all'essenza umana. Nell'im-posizione
[Ge-stell] s'impone un singolare traspropriare ed appropriare. Si
tratta di cogliere genuinamente questo fare-proprio [Eignen] in cui
uomo ed essere sono fatti proprii [ge-eignet] l'uno dell'altro, di
tornare cio a quello che noi chiamiamo Ereignis, l'evento. La
parola Ereignis proviene dal tardo sviluppo della lingua. Il verbo
er-eignen significa originariamente: adocchiare [er-ugen], ossia
gettare lo sguardo [er-blicken], guardando chiamare a s, fare
proprio [an-eignen]. La parola Ereignis [evento] deve ora, a
partire da quanto la cosa indica, parlare come parola-guida al
servizio del pensiero. Come parola-guida pensata in questo modo,
essa altrettanto difficile da tradurre quanto la parola-guida greca
e la cinese Tao. La parola Ereignis [evento] non indica pi qui
quello che noi chiamiamo altrimenti un accadimento, un avvenimento.
Essa usata qui come singolare tantum. Ci che essa nomina si fa
evento [ereignet sich] soltanto come qualcosa di unico, anzi come
qualcosa che non concerne pi il numero, come qualcosa di singolare.
Ci che cogliamo, attraverso il mondo della tecnica,
nell'im-posizione [Ge-Stell] come costellazione di essere e uomo,
un preludio di ci che Er-eignis significa [heisst]. L'Ereignis,
tuttavia, non si irrigidisce ne-necessariamente nel suo preludio.
In esso, infatti, si fa sentire la possibilit che il semplice
imporsi dell'im-posizione [Ge-Stell] venga approfondito in
direzione di un pi originario farsi-evento [Ereignen]. Un tale
approfondimento [Verwindung], che si compie nell'im-posizione
[Ge-Stell] a partire dall'Er-eignis, porterebbe ad una ripresa,
nella luce dell'Ereignis (non sarebbe quindi mai qualcosa che
l'uomo possa fare da solo), del mondo della tecnica che dal suo
stato di dominio passerebbe ad uno stato di asservimento
all'interno dell'ambito attraverso cui l'uomo raggiunge nel modo pi
proprio l'Er-eignis.
Dove ci ha condotti il cammino intrapreso? Al ripiegamento verso
quella semplicit che noi chiamiamo, nel senso rigoroso della
parola, Er-eignis [evento]. Sembra che ora corriamo il rischio di
volgere il nostro pensiero in modo troppo incurante verso una
lontana generalit, mentre ci immediatamente suggerita, con ci che
la parola Er-eignis vorrebbe dirci, soltanto la cosa pi vicina di
quella vicinanza in cui gi ci troviamo. Che cosa, infatti, potrebbe
esserci pi vicino di ci che ci avvicina all'ambito cui apparteniamo
[gehren], in cui siamo degli appartenenti [Gehrende], che cosa
potrebbe esserci pi vicino dell'Er-eignis?
L'Er-eignis l'ambito ambito dotato di oscillazioni sue proprie
atraverso il quale uomo ed essere si raggiungono a vicenda nella
loro essenza, ottengono ci che per loro essenziale e perdono,
intanto, quelle determinazioni che la metafisica ha loro
conferito.
Pensare l'evento [Ereignis] come Er-eignis significa lavorare
presso il cantiere in cui questo ambito dotato di oscillazioni sue
proprie viene costruito. L'occorrente per una tale fluttuante
costruzione, il pensiero Io riceve dalla lingua. Giacch la lingua
la pi tenue, ma anche la pi esposta di tutte le oscillazioni,
quella che tutto sostiene, in questa fluttuante costruzione
dell'Ereignis. Finch la nostra essenza traspropriata [vereignet]
nella lingua, noi abitiamo nell'Ereignis.
Siamo giunti ora ad un punto del cammino in cui emerge
l'inevitabile, anche se rozza domanda: che cosa ha a che fare
l'Ereignis [evento] con l'identit? Risposta: nulla. Per contro,
l'identit ha molto, se non esclusivamente a che fare con
l'Ereignis. In che misura? Rispondiamo ritornando indietro di
alcuni passi sul cammino percorso.
L'Ereignis traspropria [vereignet] uomo ed essere nell'insieme
[Zusammen] proprio della loro essenza. Un primo, incalzante
balenare dell'Ereignis lo scorgiamo nell'im-posizione [Ge-Stell].
Essa inaugura il mondo della tecnica contemporaneo.
Nell'im-posizione [Ge-Stell] scorgiamo uno Zusammengehren di uomo
ed essere, in cui solo il lasciar-appartenere [Gehrenlassen] a
determinare il modo dell'insieme [Zusammen] e dell'unit di questo
insieme. Nella questione di uno Zusammengehren in cui il Gehren
[appartenere] abbia il sopravvento sullo Zusammen [insieme] ci
siamo lasciati guidare dalla sentenza di Parmenide: "Lo stesso
infatti pensare e altrettanto anche essere". La questione circa il
senso di questo "stesso" la questione circa l'essenza dell'identit.
La dottrina della metafisica si rappresenta l'identit come un
tratto fondamentale dell'essere. Adesso ci appare come l'essere
appartenga con il pensiero ad una identit la cui essenza deriva da
quello Zusammengehrenlassen che noi chiamiamo l'Ereignis [evento].
L'essenza dell'identit propriet [Eigentum] dell'Er-eignis.
Nel caso che nel tentativo di indirizzare il nostro pensiero
verso il luogo della provenienza essenziale dell'identit potesse
esserci qualcosa che valesse la pena di essere conservato, che ne
sarebbe allora del titolo della nostra conferenza? Il senso del
titolo Il principio di identit si sarebbe trasformato.
Il principio si d in un primo momento nella forma di un
principio fondamentale che presuppone l'identit come un tratto
dell'essere, cio come un tratto del fondamento dell'essente. Da
questo principio, inteso come asserzione, derivato nel corso del
cammino un principio del genere di un salto, salto che si distacca
dall'essere in quanto fondamento dell'essente per saltare verso
l'assenza di fondamento [Abgrund]. Ma questa assenza di fondamento
non n il vuoto nulla, n un oscuro groviglio: l'Er-eignis.
Nell'Er-eignis si libra l'essenza di ci che parla come lingua, che
una volta abbiamo chiamato la casa dell'essere. La denominazione
"principio di identit" dice ora: un salto esigito dall'essenza
dell'identit, perch tale essenza ne ha bisogno [braucht] se lo
Zusammengehren di uomo e essere deve pervenire diversamente alla
luce essenziale dell'Ereignis.
Nel corso del cammino che va dal principio [Satz] come
asserzione sull'identit al principio come salto nella provenienza
essenziale dell'identit, il pensiero si trasformato. Per questo
esso, stando di fronte al presente e volgendo lo sguardo nella
direzione opposta rispetto al corso di esso, scorge al di l della
situazione dell'uomo la costellazione di essere e uomo a partire da
ci che fa entrambi reciprocamente proprii, a partire cio
dall'Er-eignis.
Posto che ci attenda la possibilit che l'im-posizione
[Ge-Stell], la vicendevole provocazione di uomo ed essere al
calcolo del calcolabile, si rivolga a noi parlandoci come l'evento
[Ereignis] che per primo espropria uomo ed essere in direzione di
ci che loro proprio, allora ci sarebbe una via libera su cui l'uomo
avrebbe dell'essente, del tutto del moderno mondo della tecnica,
della natura e della storia, e soprattutto del loro essere
un'esperienza pi iniziale.
Fino a che la meditazione sul mondo dell'era atomica, con tutta
la consapevolezza della sua responsabilit, tende soltanto a
conseguire l'uso pacifico dell'energia atomica, considerando, per,
anche esaurito il suo compito con il conseguimento di tale finalit,
fino ad allora il pensiero rester fermo a met strada. Con questa
strada percorsa soltanto per met il inondo della tecnica viene
ulteriormente, ed anzi solo allora, assicurato nel suo predominio
metafisico.
Ma dove stato deciso che la natura in quanto tale debba restare
per tutto il tempo a venire la natura della fisica moderna e la
storia [Geschichte] rappresentarsi soltanto come oggetto della
storiografia [Historie]? Certo non possiamo n rifiutare l'odierno
mondo della tecnica come opera diabolica, n ci consentito
distruggerlo nel caso che non provveda a farlo da s.
Ancor meno ci consentito per abbandonarci all'opinione che il
mondo della tecnica sarebbe fatto in modo da impedire che ci si
distacchi da esso semplicemente con un salto. Questa opinione,
infatti, considera ci che attuale, posseduta da esso, come la sola
realt. Un'opinione del genere senz'altro fantastica; non invece
fantastico un pensiero che guardi in faccia preliminarmente ci che,
in quanto risonanza [Zuspruch] dell'essenza dell'identit di uomo ed
essere, a noi si avvicina.
Il pensiero ha avuto bisogno di pi di duemila anni per afferrare
in modo appropriato una relazione tanto semplice come quella della
mediazione all'interno dell'identit. allora consentito a noi
supporre che il. ripiegamento pensante verso la provenienza
essenziale dell'identit sia realizzabile in un solo giorno? Proprio
perch tale ripiegamento esige un salto, ha bisogno del suo tempo,
del tempo del pensiero, che un tempo diverso rispetto a quello del
calcolo che oggi da tutte le parti attrae tanto il nostro pensiero.
Un cervello elettronico, oggi, pu in un secondo compiere operazioni
in cui compaiono migliaia di relazioni, relazioni che, nonostante
la loro utilit tecnica, sono inessenziali.
Tutto ci che tentiamo di pensare e in qualunque modo tentiamo di
pensarlo, lo pensiamo nell'ambito [Spielraum] della tradizione.
Essa si impone quando ci libera da un pensiero che segue le cose
per portarci verso un pensiero che le anticipi senza essere pi un
pianificare.
Solo se ci rivolgiamo pensando verso ci che gi stato pensato, ci
troviamo ad esser volti al servizio di ci che ancora da
pensare.
La costituzione onto-teo-logica della metafisicaQuesto seminario
ha tentato di dare inizio ad un colloquio con Hegel. Il colloquio
con un pensatore pu riguardare soltanto la questione del pensiero.
"Questione" indica, in base alla definizione che se ne data, il
litigio, ci intorno a cui si apre una lite, e l'unico caso in cui
per il pensiero si apra una lite il caso in cui il pensiero sia
messo in questione. Ma il litigio che si apre intorno al pensiero
non viene in primo luogo scatenato, per cos dire, dal pensiero. La
questione del pensiero quanto in s vi di litigioso in una lite. La
parola tedesca Streit [lite], in antico alto tedesco strit, non
significa innanzi tutto disaccordo [Zwietracht], ma oppressione
[Bedrngnis]. La questione del pensiero opprime [bedrngt] il
pensiero in modo che esso venga dapprima portato alla questione che
gli propria e poi, a partire da tale questione, a se stesso.
Per Hegel la questione del pensiero : il pensiero in quanto
tale. Affinch tale delimitazione della questione, ossia del
pensiero in quanto tale, non venga fraintesa nel senso della
psicologia e della teoria della conoscenza dobbiamo aggiungere un
chiarimento: il pensiero in quanto tale nella dispiegata pienezza
dell'esser-pensato [Gedachtheit] del pensato [des Gedachten].
Quello che qui l'esser-pensato del pensato indica, possiamo
comprenderlo soltanto a partire da Kant, a partire dall'essenza del
trascendentale, che Hegel per pensa in modo assoluto, ossia per lui
speculativo. A tale essenza mira Hegel quando dice del pensiero del
pensiero come tale che esso sviluppato "puro nell'elemento del
pensiero" (Enciclopedia, Introd., 14). Con una denominazione
concisa, tale per che solo con difficolt pu essere pensata fino in
fondo, questo significa: la questione del pensiero per Hegel "il
pensiero" [der Gedanke], il quale per dispiegato nella sua pi alta
libert essenziale "l'idea assoluta". Di essa Hegel dice, verso la
fine della Scienza della logica (ed. Lasson, vol. II, p. 484):
"soltanto l'idea assoluta essere, vita che non passa, verit di s
conscia, ed tutta la verit". Hegel stesso, quindi, d espressamente
alla questione del suo pensiero quel nome che sovrasta l'intera
questione del pensiero occidentale, il nome: essere.
(Nel seminario stato considerato l'uso molteplice e tuttavia
unitario della parola "essere". Essere vuoi dire per Hegel in primo
luogo, ma mai esclusivamente, l' "indeterminata immediatezza".
L'essere visto qui a partire dal mediare determinante, a partire
cio dal concetto assoluto e quindi in direzione di esso. "La verit
dell'essere l'essenza", ossia la riflessione assoluta. La verit
dell'essenza il concetto nel senso dell'infinito sapersi. L'essere
l'assoluto pensarsi del pensiero. Solo il pensiero assoluto la
verit dell'essere, "" l'essere. Verit indica [heisst] qui ovunque:
la consapevolezza certa di se stessa propria di ci che possibile
sapere [des Wissbaren]).
Hegel per pensa la questione del suo pensiero, conformemente a
quanto essa richiede, contemporaneamente in un colloquio con la
precedente storia del pensiero. Hegel il primo che pu e deve
pensare in questo modo. L'atteggiamento di Hegel nei confronti
della storia della filosofia l'atteggiamento speculativo e solo
come tale esso storico. Il carattere del movimento della storia un
accadere nel senso del processo dialettico.
Hegel scrive (Enciclopedia, 14): "Il medesimo svolgimento del
pensiero, che rappresentato nella storia della filosofia,
rappresentato anche nella filosofia, ma libero da quelle esteriorit
storiche, puro nell'elemento del pensiero".
Di fronte a questa frase restiamo interdetti e sconcertati. La
stessa filosofia e la storia della filosofia devono, secondo la
parola stessa di. Hegel, restare in un rapporto di esteriorit. Ma
l'esteriorit cui pensa Hegel non in alcun modo esteriore nel senso
rozzo di ci che meramente superficiale ed indifferente. Esteriorit
vuol dire qui l'esterno in cui si trattiene ogni storia ed ogni
svolgimento effettivo di fronte al movimento dell'idea assoluta.
L'esteriorit qui esposta della storia nei confronti dell'idea si
presenta come una conseguenza dell'autoalienazione dell'idea.
L'esteriorit essa stessa una determinazione dialettica. Si resta
quindi molto al di sotto dell'autentico pensiero di Hegel se si
stabilisce che Hegel avrebbe nella filosofia portato ad un'unit la
rappresentazione storiografica e il pensiero sistematico. Giacch
per Hegel non si tratta n della storiografia, n del sistema nel
senso di una costruzione dottrinale.
A che cosa mirano tali osservazioni sulla filosofia e sul suo
rapporto con la storia? Vorrebbero mostrare come per Hegel la
questione del pensiero sia in se stessa storica, storica per nel
senso dell'accadere, di un accadere il cui carattere processuale
determinato dalla dialettica dell'essere. La questione del pensiero
per Hegel l'essere in quanto pensiero che pensa se stesso, pensiero
che solo nel processo del suo sviluppo speculativo giunge a se
stesso, passando cos. attraverso una serie di tappe che
corrispondono a configurazioni (Gestalten) caratterizzate ognuna da
un differente sviluppo e quindi necessariamente in un primo momento
non sviluppate.
Soltanto da questo modo di cogliere la questione del pensiero a
Hegel proviene una massima peculiare, la misura per la maniera in
cui egli parla con i pensatori che lo hanno preceduto.
Se quindi tentiamo un colloquio di pensiero con Hegel, allora
dobbiamo non solo parlare della stessa questione, ma della stessa
questione nella stessa maniera. Ma lo stesso [das Selbe] non
l'uguale [das Gleiche]. Nell'uguale scompare la diversit. Nello
stesso appare la diversit. Essa appare in modo tanto pi assillante,
quanto pii decisamente un pensiero chiamato in causa dalla stessa
questione nella stessa maniera. Hegel pensa l'essere dell'essente
in maniera speculativo-storica. Ora, per, nella misura in cui il
pensiero di Hegel appartiene ad un'epoca della storia (questo non
significa affatto che appartenga al passato), noi tenteremo di
pensare l'essere pensato da Hegel nella stessa maniera, di pensarlo
cio storicamente.
Il pensiero in grado di restare presso la questione che lo
concerne solo se nel restar-presso diventa di volta in volta pi
aderente ad essa, se questa stessa questione diventa per esso pi
litigiosa. In questa maniera la questione esige dal pensiero di
essere mantenuta nei rapporti che le sono propri [in ihrem
Sachverhalt], di fronteggiare il pensiero in una corrispondenza,
mentre esso porta la questione alla sua soluzione [Austrag]. Il
pensiero, restando presso la questione che lo concerne, deve, se
questa questione l'essere, rimettersi alla soluzione [Austrag]
dell'essere. Cos siamo tenuti nel colloquio con Hegel e
nell'interesse di tale colloquio a rendere in partenza pi chiara
l'identit [Selbigkeit] di quella stessa questione. Un tale impegno
esige, secondo quanto si detto, che si metta in luce nel colloquio
con la storia della filosofia insieme alla diversit della questione
del pensiero in pari tempo anche la diversit di ci che storico. Una
tale chiarificazione deve qui avvenire necessariamente in modo
breve e schematico.
Allo scopo di una chiarificazione della diversit esistente tra
il pensiero di Hegel e il pensiero da noi tentato, prestiamo
attenzione a tre punti. Noi chiediamo:
1) Qual in Hegel e in noi la questione del pensiero?
2) Qual in Hegel e in noi la misura per il colloquio con la
storia del pensiero?
3) Qual in Hegel e in noi il carattere di tale colloquio?
Circa la prima domanda. Per Hegel la questione del pensiero
l'essere visto in rapporto all'esser-pensato [Gedachtheit]
dell'essente nel pensiero assoluto e come pensiero assoluto. Per
noi la questione del pensiero la stessa, l'essere quindi, ma
l'essere visto in rapporto alla sua differenza [Differenz]
dall'essente. Detto in modo ancora pi incisivo: per Hegel la
questione del pensiero il pensiero [der Gedanke] come concetto
assoluto. Per noi la questione del pensiero , con una denominazione
provvisoria, la differenza in quanto differenza.
Circa la seconda domanda. Per Hegel la misura per il colloquio
con la storia della filosofia : accedere all'energia e all'ambito
di ci che i pensatori che precedono hanno pensato. Non a caso Hegel
espone la sua massima nel corso di un colloquio con Spinoza e prima
di un colloquio con Kant (Scienza della logica, lib. III, ed.
Lasson, vol. II, p. 216 sgg.; tr. it. cit., vol. III, p. 13 sgg.).
In Spinoza Hegel trova il compiuto "punto di vista della sostanza",
che per non pu essere il pi alto, poich l'essere non e pensato
contemporaneamente e in maniera radicalmente decisiva come pensiero
che si pensa. In quanto sostanza e sostanzialit, l'essere non si
ancora dispiegato come soggetto nella sua assoluta soggettit.
Tuttavia, Spinoza continua ad interessare in modo sempre rinnovato
l'intero pensiero dell'idealismo tedesco, spingendolo in pari tempo
nella contraddizione in quanto per lui il pensiero comincia con
l'assoluto. Il cammino di Kant invece diverso, per il pensiero
dell'idealismo tedesco e per la filosofia in generale ancora pi
decisivo del sistema di Spinoza. Hegel vede nella concezione
kantiana della sintesi originaria dell'appercezione "uno dei
principi pi profondi per lo sviluppo speculativo" (Ivi, p. 227; tr.
it., p. 26). La forza di volta in volta propria dei pensatori Hegel
la trova in ci che essi hanno pensato, nella misura in cui ci che
hanno pensato pu essere elevato [aufgehoben], come un certo grado
dello sviluppo che stato di volta in volta raggiunto, al pensiero
assoluto. Questo pensiero assoluto solo in quanto. si muove nel suo
processo dialettico-speculativo e per farlo esige la gradualit.
Per noi la misura per il colloquio con .la tradizione storica la
stessa, trattandosi di accedere all'energia del pensiero che ci ha
preceduti. Solo che noi cerchiamo quell'energia non in ci che gi
stato pensato, ma in qualcosa di impensato, a partire da cui il
pensato riceve il suo spazio essenziale. Ma solo il gi-pensato
prepara l'ancora-impensato, che in maniera sempre nuova ritorna
alla sua sovrabbondanza. La misura fornita dall'impensato non
conduce all'inserimento del gi-pensato in uno sviluppo ed in una
sistematica sempre pi elevati e tali che lo superano, ma esige che
il pensiero tramandatoci sia messo in libert nel suo gi-stato
[Gewesenes] a tenuto ancora in serbo. Questo gi-stato domina sin
dall'inizio la tradizione, la precede costantemente, senza essere
per pensato espressamente, senza essere pensato come il momento
iniziale.Circa la terza domanda. Per Hegel il colloquio con la
storia della filosofia precedente ha il carattere del superamento
[Aufhebung], ossia del comprendere mediatore nel senso della
fondazione assoluta.
Per noi il carattere del colloquio con la storia del pensiero
non pi' il superamento [Aufhebung], ma il passo indietro.
Il superamento [Aufhebung] conduce in un ambito in cui ci che
superato viene raccolto pi in alto, l'ambito della verit
assolutamente posta nel senso della certezza completamente
dispiegata del sapere che sa se stesso.
Il passo indietro indica nella direzione dell'ambito, trascurato
fino ad oggi, a partire da cui l'essenza della verit diventa, pi di
ogni altra cosa, degna di essere pensata [denkwrdig].
Dopo questa concisa caratterizzazione della diversit esistente
tra il pensiero di Hegel e il nostro in riferimento alla questione,
alla misura e al carattere di un colloquio con la storia del
pensiero, tentiamo ora di far procedere, in modo un poco pi chiaro,
il colloquio iniziato con Hegel. Ci significa: noi osiamo compiere
un esperimento con il passo indietro. L'espressione "passo
indietro" si presta a numerosi fraintendimenti. "Passo indietro"
non indica un passo isolato del pensiero, ma il modo di
incamminarsi [die Art dar Bewegung] del pensiero e un luogo cammino
[Weg]. Nella misura in cui il passo indietro determina il carattere
del nostro colloquio con la storia del pensiero occidentale, esso
porta in qualche modo il pensiero fuori da quanto stato pensato
finora nella filosofia. 11 pensiero si ritira di fronte alla sua
questione, di fronte all'essere, portando cos il pensato ad un
confronto in cui noi scorgiamo la totalit di quella storia, la
scorgiamo nella direzione di ci che costituisce la fonte di questo
intero pensiero, in quanto prepara l'ambito per il soggiorno del
pensiero. Altrimenti che per Hegel, qui non si tratta di un
problema lasciatoci in eredit, gi predisposto, ma di qualcosa
intorno a cui in tutto il corso di questa storia del pensiero non
sono state poste domande. A questo qualcosa diamo provvisoriamente
ed inevitabilmente un nome che proviene dalla lingua della
tradizione. Parliamo della differenza [Differenz] tra l'essere e
l'essente. Il passo indietro va dall'impensato, dalla differenza
come tale, a ci che -da-pensare [das zu-Denkende]. Questo l'oblio
della differenza. L'oblio che qui da pensare .il velamento della
differenza come tale pensato a partire dalla (nascondimento,
Verbergung), un velamento che a sua volta si gi all'inizio
sottratto. L'oblio appartiene [gehrt] alla differenza, perch la
differenza all'ascolto [zugehrt] dell'oblio. L'oblio non scende
sulla differenza in un tempo successivo come conseguenza di una
dimenticanza del pensiero umano.
La differenza di essente ed essere l'ambito all'interno del
quale la metafisica, il pensiero occidentale nella totalit della
sua essenza, pu essereci che . Il passo indietro s'incammina quindi
verso l'essenza della metafisica partendo dalla metafisica.
L'osservazione sull'uso hegeliano dell'ambigua parola-guida
"essere" lascia intendere come il discorso di essere ed essente non
possa mai essere ricondotto ad un'unica epoca della storia
dell'illuminazione [Lichtungsgeschichte] dell' "essere". Il
discorso dell' "essere", poi, non intende mai questo nome nel senso
di un genere alla cui vuota generalit apparterrebbero come casi
particolari le varie dottrine dell'essente storiograficamente
rappresentate. L' "essere" parla sempre destinalmente
[geschicklich]', in un modo quindi che intriso di tradizione.
Ora, per, il passo indietro dalla metafisica alla sua essenza
esige tempi ed attese la cui dimensione ci ignota. Un'unica cosa
chiara: il passo richiede una preparazione che dobbiamo avere il
coraggio di affrontare subito; questo per nei confronti
dell'essente come tale nella sua totalit, come esso ora e come
comincia a mostrarsi sempre pi nettamente. Ci che ora, porta il
marchio [wird geprgt] del dominio dell'essenza della tecnica
moderna, quel dominio che si annuncia gi in tutti i campi della
vita con tratti che possono prendere nomi diversi come
funzionalizzazione, perfezione, automazione, burocratizzazione,
informazione. Allo stesso modo in cui chiamiamo la rappresentazione
di ci che vive "biologia", cos possiamo chiamare "tecnologia" la
descrizione e il disegno ultimo [Ausformung] dell'essente
sottoposto al dominio dell'essenza della tecnica. L'espressione pu
servire ad indicare la metafisica dell'era atomica. Il passo
indietro dalla metafisica all'essenza della metafisica , visto a
partire dal presente e assunto a partire dalla visione che di tale
presente abbiamo, il passo dalla tecnologia e dalla descrizione e
interpretazione tecnologiche dell'epoca attuale all'essenza che per
prima da pensare, all'essenza della tecnica moderna.
Con questa indicazione viene allontanato anche l'altro possibile
fraintendimento dell'espressione "passo indietro", l'opinione cio
che il passo indietro consisterebbe in un recupero storiografico
dei primi pensatori della filosofia occidentale. La direzione che
il passo indietro ci spinge e prendere, beninteso, si dispiega e si
mostra solo con il compimento del passo.
Abbiamo scelto, per abbracciare nel corso del seminario con uno
sguardo la totalit della metafisica hegeliana, come mezzo
sussidiario una delucidazione del passo con cui si apre il primo
libro della Scienza della logica, La dottrina dell'essere. Gi il
titolo del passo d, in ciascuna delle parole che lo costituiscono,
abbastanza da pensare. Esso suona: "Con che si deve incominciare la
scienza?". La risposta di Hegel a questa domanda consiste nel
provare che l'inizio di "natura speculativa". Ci vuol dire: il
cominciamento non n qualcosa di immediato, n qualcosa di mediato.
Abbiamo cercato di esprimere questa natura dell'inizio in una
proposizione speculativa: "Il cominciamento il risultato". Questa
proposizione, per la pluralit dialettica dei significati dello "",
ha pi di un senso. Uno dei sensi : il. cominciamento prendendo alla
lettera il resultare il rimbalzo derivante dal compimento
[Vollendung] del movimento dialettico del pensiero che pensa se
stesso. Il compimento di questo movimento, l'idea assoluta, il
tutto dispiegato nella sua chiusura, la pienezza dell'essere. Il
rimbalzo che deriva da questa pienezza produce il vuoto
dell'essere. con tale vuoto che la scienza (l'assoluto sapere che
sa se stesso) deve incominciare. Cominciamento 'e fine del
movimento, e prima ancora questo stesso movimento, restano ovunque
l'essere. Esso [west] come movimento che in se stesso procede
circolarmente dalla pienezza all'alienazione pi esteriore e da
questa alienazione alla pienezza che si compie [in die sich
vollendende Flle]. La questione del pensiero quindi per Hegel il
pensiero che si pensa, e come tale l'essere che in se stesso
procede circolarmente. La proposizione speculativa circa il
cominciamento, in un'inversione che non solo giustificata, ma
necessaria, suona: "Il risultato il cominciamento". Si deve
incominciare propriamente con il risultato in quanto da esso
risulta il cominciamento.
La stessa cosa dice l'osservazione che Hegel aggiunge
occasionalmente e tra parentesi verso la fine del passo sul
cominciamento (Lasson I, p. 63; tr. it., I, p. 68): "(e sarebbe Dio
che avrebbe il pi incontestabile diritto a che si. incominciasse da
lui) ". In base alla domanda contenuta nel titolo del passo si
tratta del "cominciamento della scienza". Se tale scienza deve
incominciare con Dio, la scienza di Dio: teologia. Questo termine
parla qui nel suo significato pi tardo. In base ad esso teo logia
ci che il pensiero rappresentativo asserisce intorno a Dio. In
origine per , indica il dire mitico-poetante [das
mythisch-dichtende Sagen] degli di [von den Gttern] senza alcun
riferimento all'insegnamento di una fede e alla dottrina di una
chiesa.
Perch "la scienza" questo il nome che la metafisica ha assunto a
partire da Fichte ---, perch la scienza teologia? Risposta: lo
perch la scienza lo sviluppo sistematico del sapere, e in quanto
tale il sapersi stesso dell'essere dell'essente e quindi il suo
esser vero. La denominazione scolastica che viene attribuita alla
scienza dell'essere tra la fine del medioevo e l'inizio dell'epoca
moderna, alla scienza dell'essere come scienza dell'essente come
tale nella sua generalit, : ontosofia o ontologia. Ora, per, la
metafisica occidentale sin dal suo inizio presso i Greci e
indipendentemente da tali denominazioni in pari tempo ontologia e
teologia.
Nella prolusione Che cos' la metafisica (1929) la metafisica
viene quindi determinata come problema dell'essente in quanto tale
e dell'essente nel suo tutto. La totalit di questo tutto l'unit
dell'essente, unit che unifica in quanto fondamento [Grund] che fa
emergere. Per chi sa leggere, questo significa: la metafisica
onto-teo-logia. Chi abbia della teologia una conoscenza matura e
non casuale, tanto della teologia della fede cristiana quanto di
quella filosofica, preferisce oggi tacere su Dio nell'ambito del
pensiero. Il carattere onto-teologico della metafisica, infatti,
diventato problematico [fragwrgig] per il pensiero, non sulla base
di una qualche forma di ateismo, ma sulla base dell'esperienza di
un pensiero al quale si mostrata nell'onto-teo-logia l'unit ancora
impensata dell'essenza della metafisica. Questa essenza della
metafisica resta intanto per il pensiero la questione pi degna di
essere pensata [das Denkwrdigste], fino a che il pensiero non
interrompa arbitrariamente, senza tener conto quindi dei legami gi
stabiliti, il colloquio con la tradizione che tali legami ha
stabilito [ mit seiner geschickhatften berlieferung].
Nella 5a edizione di Che cos' la metafisica? (1949),
l'introduzione aggiunta a tale edizione d un'esplicita indicazione
circa l'essenza onto-teologica della metafisica (p. 17 sg., 7a ed.
p. 18 sg.). Sarebbe tuttavia affrettato credere che la metafisica
sia teologia, solo perch ontologia. A questa affermazione bisogna
premettere che la metafisica teologia, un asserire intorno a Dio,
solo perch il dio entra nella filosofia. Cos la questione circa il
carattere onto-teologico della metafisica si affina trasformandosi
nella domanda: "Come entra il dio nella filosofia, non solo nella
filosofia moderna, ma nella filosofia come tale?". Questa domanda
pu trovare una risposta solo se prima sar sufficientemente
dispiegata come domanda.
La domanda "Come entra il dio nella filosofia? ", allora, pu
essere davvero attraversata dal pensiero, se in essa stato chiarito
sufficientemente ci in cui il dio deve entrare la filosofia stessa.
Finch ci limiteremo a sottoporre la storia della filosofia ad un
esame soltanto storiografico, troveremo ovunque che il dio nella
filosofia sempre entrato. Posto per che la filosofia, in quanto
pensiero, sia il rimettersi all'essente come tale in modo libero e
spontaneamente compiuto, allora il dio pu pervenire alla filosofia
solo in quanto essa di per s, seconda la suo essenza, ne chiede
l'ingresso e determina il modo in cui tale ingresso deve avvenire.
La domanda "Come entra il dio nella filosofia?" ricade perci nella
domanda "Da dove deriva la costituzione onto-teologica dell'essenza
della metafisica? ". Ma accogliere la domanda sotto questa forma
significa compiere il passo indietro.
In tale passo pensiamo [bedenken] adesso la provenienza
essenziale della struttura onto-teologica di tutta la metafisica.
Noi poniamo la domanda: "Come entra nella metafisica il dio e in
risposta al dio la teologia e con la teologia il fondamentale
tratto onto-teologico?". Noi poniamo questa domanda nel corso di un
colloquio con l'intera storia della filosofia. In pari tempo, per,
la poniamo con particolare riguardo a Hegel. Questo ci offre
l'occasione di prendere dapprima in considerazione qualcosa di
singolare.
Hegel pensa l'essere nella sua vacuit pi vacua, cio nel modo pi
generale. Egli pensa, in pari tempo, l'essere nella sua pienezza
compiutamente perfetta. Non denomina, tuttavia, la filosofia
speculativa, ossia l'autentica filosofia, "onto-teo-logica", ma
"scienza della logica". Con l'attribuzione di questo nome Hegel
porta alla luce qualcosa di decisivo. Che la metafisica prenda il
nome di "logica" potrebbe certamente essere spiegato in un batter
d'occhio, facendo notare come per Hegel la questione del pensiero
sia "il pensiero" [der Gedanke], intendendo questa parola come
singulare tantum. Il pensiero [der Gedanke, das Denken] palesemente
e secondo l'uso antico il tema della logica. Certamente. Ma
altrettanto indubitabilmente certo che Hegel, fedele alla
tradizione, rinviene la questione del pensiero nell'essente in
quanto tale e nella sua totalit, nel movimento dell'essere dalla
sua vacuit alla sua dispiegata pienezza.
Ma come mai possibile che "l'essere" decada fino al punto di
mostrarsi come "il pensiero" [der Gedanke]? Come se non per il
fatto che l'essere porta gi impresso il carattere del fondamento,
mentre il pensiero giacch appartiene allo stesso ambito cui
appartiene anche l'essere [zusammengehrt] si raccoglie intorno
all'essere come fondamento [Grund] nella forma di una ricerca del
fondo [Ergrnden] e di una fondazione giustificante [Begrndung]?
L'essere si manifesta come il pensiero [der Gedanke]. Ci significa:
l'essere dell'essente si disvela come fondamento che esso stesso
alla ricerca del fondo ed esso stesso fondazione giustificante. Il
fondamento, la ratio sono secondo la loro provenienza essenziale:
il Lgos nel senso del raccogliente lasciar-essere-posto-davanti, lo
" .
Per Hegel, allora, "la scienza", ossia la metafisica, in realt
non "logica" per il fatto di avere come tema il pensiero, ma perch
la questione del pensiero resta l'essere, il quale per sin dai
primordi del suo disvelarsi nell'impronta del , del fondamento
fondante richiede come fondazione il pensiero.
La metafisica pensa l'essente in quanto tale, ossia in generale.
La metafisica pensa l'essente in quanto tale, ossia nella sua
totalit. La metafisica pensa l'essere dell'essente tanto nell'unit
di ci che pi generale, ossia di ci che ovunque valido, unit che
ricerca del fondo [ergrndende Einheit], quanto nell'unit della
totalit, ossia di ci che sta al di sopra di tutto, unit che
fondazione giustificante [begrndende Einheit]. Cos l'essere
dell'essente sin dall'inizio pensato come fondamento che fonda. Per
questo tutta la metafisica fondamentalmente sulla base del suo
stesso fondamento il fondare [Grnden] che rende conto del
fondamento, che responsabile di fronte al fondamento e che infine
chiede che il fondamento si giustifichi.
A che cosa mirano queste osservazioni? A renderci accessibili in
tutta la loro autentica gravit i termini, usati cosi spesso, di
ontologia, teologia e onto-teologia. A prima vista e nell'uso
corrente, comunque, i termini ontologia e teologia non hanno un
aspetto diverso da quello di altri termini a noi noti, come
psicologia, biologia, cosmologia, archeologia. Il suffisso "-logia"
indica approssimativamente e correntemente che si tratta delle
scienze che si occupano rispettivamente dell'anima, dei viventi,
del cosmo, dei resti dell'antichit. Ma nella "-logia" non si cela
soltanto il logico nel senso di ci che coerente e sottoposto alle
regole del discorso, ci che articola e muove tutto il sapere delle
scienze, lo mette al sicuro e lo comunica. La "-logia" ogni volta
l'insieme di un complesso di rapporti di fondazione-giustificazione
in cui gli oggetti delle scienze sono rappresentati, ossia
afferrati concettualmente, in riferimento al loro fondamento. Ma
l'ontologia e la teologia sono "logie" nella misura in cui
ricercano il fondo [ergrnden] dell'essente come tale e provvedono
alla fondazione-giustificazione [begrnden] di esso nella sua
totalit. Esse rendono conto dell'essere come fondamento
dell'essente. Esse sono responsabili di fronte al e sono in un
senso essenziale adeguate al , sono cio la logica del .
Conseguentemente, il loro nome pi aderente alla questione che le
propria e pi chiaramente, onto-teo-logica.
Siamo ora in grado di intendere il termine "logica" nel senso
essenziale che include anche l'uso che ne fa Hegel e che il solo
che chiarisca tale uso, lo intendiamo cio come il termine che serve
ad indicare quel pensiero che ovunque ricerca il fondo [ergrndet] e
dispone la fondazione-giustificazione [begrndet] dell'essente come
tale nella sua totalit a partire dall'essere come fondamento (). Il
tratto fondamentale della metafisica si chiama [heit]
onto-teo-logica. Saremmo cosi messi nella condizione di chiarire
come il dio entri nella filosofia.
In che misura qui un chiarimento pu riuscire? Nella misura in
cui noi osserviamo che la questione del pensiero l'essente come
tale, ossia l'essere. Il modo essenziale in cui l'essere si mostra
il fondamento. Conseguentemente, la questione del pensiero,
l'essere in quanto fondamento, pensata fino in fondo solo se il
fondamento presentato come fondamento primo, . La questione
originaria [die ursprngliche Sache] del pensiero si presenta come
Ur-Sache, come causa prima, che corrisponde al ritorno
fondante-giustificante verso l'ultima ratio, la resa dei conti
ultima. L'essere dell'essente rappresentato fino in fondo nel senso
del fondamento solo come causa sui. Con quest'espressione si indica
il concetto metafisico di Dio. La metafisica deve giungere con il
pensiero fino al dio, poich la questione del pensiero l'essere, il
quale per sussiste [west] come fondamento in molti modi: come ,
come , come sostanza, come soggetto.
Questo chiarimento dice probabilmente qualcosa di giusto, ma
resta del tutto insufficiente per la collocazione [Errterung]
dell'essenza della metafisica. La metafisica, infatti, non soltanto
teo-logica, ma anche onto-logica. Soprattutto essa non soltanto
l'una oppure anche l'altra. Piuttosto la metafisica teo-logica
perch onto-logica. onto-logica perch teologica. La costituzione
onto-teologica dell'essenza della metafisica non pu essere chiarita
n sulla base della teologica, n sulla base dell'ontologica, posto
che qui siano sufficienti per ci che resta da pensare [bedenken]
dei chiarimenti.
Resta infatti ancora impensato a partire da quale unit
l'ontologica e la teologica appartengano ad un ambito comune
[zusammengehren], impensata resta la provenienza di tale unit,
impensata la differenza delle cose diverse che essa unifica. Giacch
palesemente non si tratta solo della fusione di due discipline
della metafisica a s stanti, ma dell'unit di ci che viene
interrogato e pensato nell'ontologica e nella teologica: l'essente
come tale nella sua dimensione generale e primaria in uno con
l'essente come tale nella sua dimensione suprema ed ultima. L'unit
di questo uno di un genere tale per cui la dimensione ultima fonda
nella maniera che le propria la dimensione primaria e la dimensione
primaria secondo la maniera che le propria la dimensione ultima. La
diversit delle due maniere di fondare ricade essa stessa nella
differenza ancora impensata che abbiamo nominato.
Sull'unit dell'essente come tale nella sua dimensione generale e
nella sua dimensione suprema si basa la costituzione dell'essenza
della metafisica.
Qui si tratta di collocare [errtern] la domanda circa l'essenza
onte-teologica della metafisica dapprima soltanto in quanto
domanda. Un'indicazione in direzione del luogo [Ort] che la domanda
circa la costituzione onto-teologica della metafisica colloca
[errtert] pu fornircela soltanto la cosa stessa di cui qui
questione, fornircela nella forma di un tentativo di pensare la
questione del pensiero in un modo pi aderente alla questione
stessa. La questione del pensiero stata tramandata nel pensiero
occidentale con il nome di "essere". Se pensiamo questa questione
in un modo che le sia appena un po' pi aderente, se prestiamo un
po' pi di attenzione a ci che di litigioso vi in essa, allora
troviamo che essere significa sempre e ovunque: essere
dell'essente, dove il genitivo dev'essere pensato come genitivus
obiectivus. Essente significa sempre e ovunque: essente
dell'essere, dove il genitivo dev'essere pensato come genitivus
subiectivus. comunque con cautela che parliamo di un genitivo volto
verso oggetto e soggetto; giacch i termini soggetto e oggetto sono
gi a loro volta sorti da un'impronta [Prgung] dell'essere. Soltanto
una cosa chiara, che nell'essere dell'essente e nell'essente
dell'essere si tratta ogni volta di una differenza.
Pensiamo allora l'essere nel modo richiesto dalla questione che
lo concerne, solo se lo pensiamo nella differenza dall'essente, e
l'essente nella differenza dall'essere. In questo modo la
differenza si mostra propriamente allo sguardo. Se tentiamo di
rappresentarcela, ci troviamo subito spinti ad intendere la
differenza come una relazione che la nostra rappresentazione ha
aggiunto all'essere e all'essente. La differenza cos ridotta a
distinzione, ad artificio del nostro intelletto.
Ma supponiamo per un istante che la differenza sia un'aggiunta
della nostra rappresentazione; allora sorgerebbe la domanda:
"Un'aggiunta a che cosa?". Si risponde: all'essente. Bene. Ma che
cosa significa "l'essente"? Che cos'altro significa se non:
qualcosa che ? In questo modo mettiamo la presunta aggiunta, la
rappresentazione della differenza, nell'ambito dell'essere. Ma
"l'essere" significa esso stesso: l'essere che l'essente . L dove
dovremmo essere noi a portare la differenza come presunta aggiunta,
troviamo gi sempre l'essente e l'essere nella loro differenza. la
stessa cosa che avviene nella fiaba della lepre e del porcospino
dei fratelli Grimm: "Son qua". Ora, di fronte a questo singolare
stato di cose (che essente ed essere siano gi sempre trovati
preliminarmente a partire dalla differenza e nella differenza)
sembrerebbe possibile procedere in maniera sommaria, fornendo la
seguente spiegazione: il nostro pensiero rappresentativo ormai
disposto e costituito in modo tale che esso passando per cos dire
al di sopra della propria testa, testa da cui ha avuto origine,
ovunque tra l'essente e l'essere installa preliminarmente la
differenza. Su questa spiegazione, apparentemente illuminante, ma
anche troppo sbrigativa, ci sarebbe molto da dire e ancora di pi da
domandare, innanzi tutto questo: da dove ha origine il "tra" in cui
la differenza deve, per cos dire, essere inserita?
Ma lasciamo che opinioni e spiegazioni vadano per la loro strada
e prestiamo invece attenzione a quanto segue: ovunque e sempre
troviamo preliminarmente nella questione del pensiero, nell'essente
in quanto tale, ci che viene chiamato differenza in un modo cos
indubitabile che dapprima non prendiamo neanche atto di questo dato
di fatto inteso come tale, n qualcosa ci costringe a farlo. Al
nostro pensiero concessa la libert di lasciare la differenza
impensata oppure di pensarla [bedenken] espressamente come tale.
Questa libert non vale per in tutti i casi. Inavvertitamente pu
accadere che il pensiero si trovi ad essere coinvolto nella
domanda: che cosa vuol dire, dunque, questo essere tanto spesso
nominato? Se l'essere qui si mostra senz'altro come essere di...,
quindi nel genitivo proprio della differenza, allora la precedente
domanda suona, formulata in modo pi aderente al problema che essa
pone: che cosa pensare della differenza, se tanto l'essere quanto
l'essente, ognuno nella maniera che gli propria, appaiono a partire
dalla differenza? Per essere all'altezza di questa domanda,
dobbiamo dapprima portarci di fronte alla differenza in un
confronto che sia adeguato alla questione che essa pone. Per noi
questo confronto si apre quando compiamo il passo indietro.
Infatti, solo grazie alla distanza che esso stabilisce ci che
vicino pu darsi in quanto tale e la vicinanza perviene al suo primo
apparire. Grazie al passo indietro lasciamo la questione del
pensiero, l'essere come differenza, libera in direzione di un
confronto, un confronto che pu restare assolutamente privo di
oggetto.
Con lo sguardo sempre rivolto alla differenza, alla differenza
che pure ha gi trovato il suo posto in ci che da-pensare grazie al
passo indietro, possiamo dire che l'essere dell'essente significa:
l'essere che l'essente. Lo "" parla qui transitivamente, indicando
un passaggio. L'essere [west] qui nella misura di un passaggio
verso l'essente. L'essere non compie per il passaggio verso
l'essente lasciando il luogo che gli proprio, come se l'essente,
inizialmente privo dell'essere, potesse poi solo in un secondo
tempo venire investito dall'essere. L'essere si dirige verso
(qualcosa), perviene svelando [entbergend] a (qualcosa), qualcosa
che solo grazie a tale passaggio-che-tramanda [berkommnis] arriva
[ankommt] a ci che di per s non-velato [Unverborgenes]. Arrivo
[Ankunft] significa: trovar rifugio [sich bergen] nel non-velamento
[Unverborgenheit], quindi durare celati nel rifugio [geborgen],
essere essenti.
L'essere si mostra come lo svelante passaggio-che-tramanda.
L'essente in quanto tale appare come l'arrivo che trova rifugio nel
non-velamento.
L'essere nel senso dello svelante passaggio-che-tramanda e
l'essente in quanto tale nel senso dell'arrivo che si cela nel
rifugio sussistono [wesen] differenziati in questo modo a partire
dallo stesso, a partire dalla differenza [Unter-Schied], solo in
quest'ultima che fornisce e mantiene in equilibrio il "tra" [das
Zwischen] in cui passaggio-che-tramanda e arrivo sono trattenuti
l'uno di fronte all'altro, portati a differire l'uno dall'altro e a
volgersi l'uno verso l'altro. La differenza i essere ed essente, in
quanto differenza [Unter-Schied] di passaggio-che-tramanda e
arrivo, lo svelante-velante deferimento [der entbergend - bergende
Austrag] di entrambi. Nel deferimento [Austrag] prevale
l'illuminazione [Lichtung] di ci che celando si chiude, prevalere
grazie al quale passaggio-che-tramanda e arrivo sono portati a
differire l'uno dall'altro e a rivolgersi l'uno verso l'altro.
Tentando di pensare la differenza come tale, non la facciamo
scomparire, ma la seguiamo fino alla sua provenienza essenziale.
Nel corso del cammino verso questa provenienza pensiamo il
deferimento di passaggio-che-tramanda e arrivo. la questione del
pensiero pensata da un punto di vista pi favorevole, pi indietro di
un passo: l'essere pensato a partire dalla differenza.
A questo punto bisogna aprire una parentesi che deve riguardare
quanto abbiamo detto circa la questione del pensiero, una parentesi
che continua a richiamare la nostra attenzione. Quando diciamo
"l'essere", usiamo questa parola nella sua generalit pi vasta ed
indeterminata. Ma per il solo fatto di parlare di una generalit,
abbiamo gi pensato l'essere in una maniera inadeguata. Ci siamo
rappresentati l'essere in un modo in cui Esso, l'essere, non si d
mai. Il modo in cui la questione del pensiero, l'essere, si
comporta resta un comportamento proprio soltanto di questa
questione [ein einzigartiger Sachverhalt]. Il nostro modo di
pensare usuale non pu in un primo momento chiarirlo se non in
maniera sempre insufficiente. Cerchiamo di farlo servendoci di un
esempio [Beispiel], tenendo sempre presente che nell'essente non c'
nessun esempio che indichi l'essenza dell'essere, probabilmente
perch l'essenza dell'essere essa stessa il gioco [Spiel].
Hegel ha proposto una volta per caratterizzare la generalit di
ci che generale il seguente caso: un tale vorrebbe comprare della
frutta in un negozio. Chiede della frutta. Gli vengono offerte
mele, pere, gli vengono offerte pesche, ciliege, uva. L'acquirente,
tuttavia, rifiuta tutto ci che gli stato offerto. Egli vorrebbe ad
ogni costo della frutta. Ora, per, ci che gli stato offerto ogni
volta frutta, eppure viene fuori che di frutta da comprare non ve.
n'.
Infinitamente pi impossibile rimane rappresentarsi "l'essere"
come ci che generale rispetto a ci che di volta in volta essente.
C' essere ogni volta soltanto in questa o in quella impronta
destinale [geschickliche Prgung]: , , ", ' ,', sostanzialit,
oggettivit, soggettivit, volont, volont di potenza, volont di
volont. Ma questo insieme di impronte destinali non esposto in
bell'ordine come lo sono mele, pere, pesche, esposto sul banco di
vendita della rappresentazione storiografica.
Ma non abbiamo forse sentito parlare dell'essere che si trova
immerso nell'ordine storico e nella successione del processo
dialettico pensato da Hegel? Certamente. Ma anche qui l'essere si d
soltanto in quella luce che si accesa per il pensiero di Hegel. Ci
significa: il modo in cui l'essere si d determinato ogni volta dal
modo in cui esso si illumina. Ma questo modo un modo destinale,
un'impronta legata di volta in volta all'epoca, un'impronta che
come tale sussiste [west] per noi solo se la lasciamo libera di
muoversi nella direzione del gi-stato [Gewesen] che le proprio.
Giungiamo nella vicinanza di ci che destinale solo grazie alla
subitaneit dello sguardo istantaneo di un pensiero che si volge
indietro [des Augenblickes eines Andenkens]. Questo vale anche per
l'esperienza dell'impronta [Prgung] lasciata di volta in volta
dalla differenza di essere ed essente, impronta cui corrisponde una
relativa interpretazione dell'essente come tale. E vale soprattutto
anche per il nostro tentativo di pensare, nel passo indietro
compiuto a partire dalla dimenticanza della differenza come tale,
questa stessa differenza come il deferimento [Austrag] dello
svelante passaggio-che-tramanda e dell'arrivo che si cela. In
realt, se si ascolta pi attentamente, diventa chiaro come noi
parlando di deferimento [Austrag] lasciamo gi venire alla parola ci
che stato [das Gewesene], nella misura in cui pensiamo il disvelare
e il trovar-rifugio, il passaggio (la trascendenza) e l'arrivo (la
presenza, Anwesen). persino possibile che, grazie a questa
collocazione [Errterung] della differenza di essere ed essente nel
deferimento [Austrag] come luogo che precede [Vorort] l'essenza
della differenza, venga alla luce qualcosa che percorre tutto il
destino [Geschick] dell'essere, dal suo inizio fino al suo
compimento. comunque difficile dire come questo qualcosa debba
essere pensato se esso non n qualcosa di generale, che vale in
tutti i casi, n una legge che assicura la necessit di un processo
nel senso della dialettica.
L'unica cosa di cui si tratta, adesso, per quanto concerne il
nostro programma di scorgere una possibilit di pensare la
differenza come deferimento [Austrag] in un modo che renda pi
chiaro in quale misura la costituzione onto-teologica della
metafisica abbia la sua provenienza essenziale nel deferimento
[Austrag], che d inizio alla storia della metafisica, ne domina le
epoche, e tuttavia resta in quanto deferimento [Austrag] nascosto e
quindi dimenticato in una dimenticanza che a sua volta si
sottrae.
Perch ci sia pi facile scorgere la suddetta possibilit,
consideriamo [bedenken] l'essere e in esso la differenza e nella
differenza il deferimento [Austrag] compiuto a partire da
quell'impronta [Prgung] dell'essere grazie a cui l'essere si
illuminato come , come il fondamento. L'essere si mostra nello
svelante passaggio-che-tramanda come il
lasciar-essere-posto-davanti di ci che arriva, come il fondare nei
molteplici modi del tramandare e mettere a disposizione. L'essente
in quanto tale, l'arrivo che trova rifugio nel non-velamento, il
fondato [das Gegrndete] che in quanto fondato, in quanto prodotto
quindi, fonda in un modo che gli proprio, ossia agisce, vale a dire
causa [verursacht]. Il deferimento [Austrag] di fondante e fondato
non porta soltanto i due termini a differire l'uno dall'altro, li
porta anche a volgersi l'uno verso l'altro. Deferiti cos l'uno
all'altro, i due termini entrano nel deferimento [Austrag] in una
tensione tale per cui non solo l'essere come fondamento fonda
l'essente, ma l'essente a sua volta fonda nella maniera che gli
propria l'essere, lo causa. L'essente capace di una tale fondazione
solo nella misura in cui esso "" la pienezza dell'essere: l'essere
pi essente [das Seiendste].
Qui la nostra meditazione si trova di fronte ad un complesso di
problemi carico di stimoli. L'essere sussiste [west] come nel senso
del fondamento, del lasciar-essere-posto-davanti. Questo stesso in
quanto raccoglimento [Versammlung] l'unificante, l' " . Questo "
per duplice: da una parte l'uno unificante nel senso di ci che
ovunque primo e in questo modo il pi generale e dall'altra parte
l'uno unificante nel senso della superiorit (Zeus). Il. raccoglie
ogni cosa in ci che generale fondando [grndend] e raccoglie ogni
cosa a partire da ci che unico giustificando la fondazione
[begrndend]. Che questo stesso , inoltre, celi in s la provenienza
essenziale dell'impronta [Prgung] dell'essenza del linguaggio e
determini quindi il modo del dire in quanto tale ire , nel senso pi
ampio, qualcosa di logico, pu qui essere notato soltanto di
passaggio.
Nella misura in cui l'essere sussiste [west] come essere
dell'esserne, come differenza, come deferimento [Austrag], il
fondare e la giustificazione del fondare continuano ad essere
portati a differire e a rivolgersi l'uno verso l'altra, l'essere
fonda l'essente e l'essente, in quanto l'essente pi essente, fonda
l'essere giustificandolo. L'uno passa nell'altro tramandandovisi,
l'uno arriva all'altro. Passaggio-che-tramanda e arrivo appaiono
l'uno riflesso nell'altro. Ci significa, dal punto di vista della
differenza: il deferimento [Austrag] un movimento circolare, uno
ruotare di essere ed essente l'uno intorno all'altro. Nella luce
del deferimento [Austrag] il fondare stesso appare come qualcosa
che , come qualcosa quindi che in quanto essente richiede la
relativa giustificazione fondante per mezzo dell'essente, ossia
l'intervento di una causa, di una causa che sia la causa suprema.
Nella storia della metafisica, uno dei documenti classici
riguardanti tale stato di cose si trova in un testo quasi ignorato
di Leibniz, un testo che noi chiamiamo brevemente Le 24 tesi della
metafisica (Scritti filosofici, a cura di C.G. Gerhardt, vol. VII,
p. 289 sgg.; cfr. inoltre Der Satz vom Grund, 1957, p. 51 sg.).
La metafisica corrisponde all'essere come ed quindi nel suo
tratto principale ovunque logica, logica per che pensa l'essere
dell'essente, ossia la logica che determinata a partire dal
differente della differenza, la onto-teo-logica.
Nella misura in cui la metafisica pensa l'essente come tale
nella sua totalit, essa si rappresenta l'essente guardando al
differente della differenza, senza prestare attenzione alla
differenza come differenza.
Il differente si mostra come l'essere dell'essente in ci che vi
di generale e come l'essere dell'essente in ci che vi di
supremo.
Poich l'essere appare come fondamento, l'essente il fondato,
l'essente supremo per il fondante che giustifica nel senso della
causa prima. Se la metafisica pensa l'esserne guardando al
fondamento che comune ad ogni essente come tale, allora essa una
logica intesa come onto-logica. Se la metafisica pensa l'essente
come tale nella sua totalit, cio guardando all'essente supremo,
quello che fonda ogni cosa giustificandola, allora essa una logica
intesa come teo-logica.
Poich il pensiero della metafisica resta inserito nella
differenza, in quanto tale impensata, la metafisica a partire
dall'unificante unit del deferimento [Austrag] in pari tempo
ontologia e teologia.
La costituzione onto-teologica della metafisica deriva dal
prevalere della differenza, che porta l'essere come fondamento e
l'essente come fondato-fondante-giustificante a differire l'uno
dall'altro e a volgersi l'uno verso l'altro). il deferimento
[Austrag] che svolge questo ruolo.
Ci che parla [heit] in questo modo rimanda il nostro pensiero ad
un ambito per esprimere il quale le parole-guida della metafisica,
essere ed essente, fondamento-fondato, non bastano pi. Ci che
queste parole nominano, ci che rappresenta la maniera di pensare
che esse guidano, infatti, in quanto differente deriva dalla
differenza. La provenienza di quest'ultima non consente pi che la
si pensi nell'orizzonte della metafisica.
Lo sguardo gettato sulla costituzione onto-teologica della
metafisica mostra una possibile via per giungere, a partire
dall'essenza della metafisica, a dare una risposta alla domanda:
"Come entra il dio nella filosofia?".
Il dio entra nella filosofia per mezzo del. deferimento
[Austrag], che noi dapprima pensiamo come luogo che precede
[Vorort] l'essenza della differenza di essere ed essente. La
differenza traccia le linee fondamentali del piano di costruzione
dell'essenza della metafisica. Il deferimento [Austrag] fa
risultare e concede l'essere come fondamento che porta-davanti [als
her-vor-bringenden Grund], fondamento che ha esso stesso bisogno,
sulla base di ci che esso giustifica fondando, della
giustificazione fondante ad esso adeguata, ossia di un processo che
conduca ad una causa che sia la causa pi originaria [d.h. der
Verursachung durch die ursprnglichste Sache]. Tale causa causa
[Ursache] in quanto causa sui. Tale il nome che si addice al dio
della filosofia. A questo dio l'uomo non pu n rivolgere preghiere,
n offrire sacrifici. Davanti alla causa sui l'uomo non pu n cadere
in ginocchio pieno di reverenza, n pu davanti a questo dio produrre
musica e danzare. Cos, il pensiero privo di un dio, il pensiero che
deve fare a meno del dio della filosofia, dei dio come causa sui,
forse pi vicino al dio divino. Ci significa, qui, soltanto che un
tale pensiero pi libero per il dio divino di quanto la
onto-teo-logica non sia disposta ad ammettere.Con questa
osservazione pu darsi che un po' di luce rischiari il cammino verso
cui sta procedendo un pensiero che compie il passo indietro, il
passo che arretra dalla metafisica all'essenza della metafisica,
dall'oblio della differenza come tale al destino [Geschick] del
nascondimento, esso stesso sottraentesi, del deferimento
[Austrag].
Nessuno pu sapere se, quando, dove e come questo passo del
pensiero si dispiegher in un cammino vero e proprio (utilizzato
nello Ereignis), in un passaggio, in un cantiere dove si costruisca
il cammino. Potrebbe accadere che prima ancora il dominio della
metafisica si consolidi, si consolidi nella forma della tecnica
moderna e dei suoi imprevedibili, smanianti sviluppi. Potrebbe
anche accadere che tutto ci che si trova sul cammino del passo
indietro venga soltanto asservito alla metafisica non ancora
estinta e rielaborato come risultato di un pensiero
rappresentativo.
In questo modo il passo indietro resterebbe esso stesso
incompiuto e il cammino che esso apre ed indica inutilizzato.
Riflessioni i questo genere si aggiungono facilmente le une alle
altre senza che nessuna di esse abbia un qualunque peso nei
confronti di una difficolt completamente diversa che il passo
indietro deve superare.
La difficolt si trova nella lingua. Le nostre lingue occidentali
sono, ognuna in un modo diverso, lingue del pensiero metafisico. Se
l'essenza delle lingue occidentali porti in s soltanto l'impronta
metafisica, un'impronta quindi definitiva, della onto-teo-logica, o
se queste lingue conservino altre possibilit del dire, ossia in
pari tempo del dicente non-dire, un problema che deve restare
aperto. Nel corso delle esercitazioni di seminario ci sono apparse
in un numero sufficientemente elevato di casi le difficolt cui il
dire pensante esposto. La piccola parola "", che parla ovunque nel
nostro linguaggio dicendo dell'essere, anche quando non viene
pronunciata esplicitamente, contiene dallo di Parmenide fino allo
"" della proposizione speculativa in Hegel e fino alla riduzione
operata da Nietzsche dello "" a posizione della volont di potenza
l'intero destino [Geschick] dell'essere.
La percezione delle difficolt che provengono dal linguaggio,
dovrebbe preservarci dalla tentazione di fare prematuramente del
linguaggio del pensiero qui tentato una terminologia che possa
circolare come moneta spicciola, dovrebbe preservarci dal parlare
gi domani del deferimento [Austrag] invece di dedicare tutte le
energie all'approfondimento di ci che qui stato detto. Ci che stato
detto, infatti, stato detto in un seminario. Un seminario , secondo
quanto indica la parola, un luogo e un'occasione per lasciar cadere
qua e l della semenza, semi per un pensiero successivo che prima o
poi in un modo suo proprio potr aprirsi e dare frutti.
Riferimenti
Circa il tentativo di pensare la cosa [das Ding], cfr. Vortrge
und Aufstze, Neske, Pfullingen 1954, pp. 165-181, 5a ed. 1967,
parte II, pp. 3755 [tr. it di G. Vattimo, Saggi e discorsi, Mursia,
Milano 1976, pp. 109- 24]. La conferenza su La cosa stata
pronunciata per la prima volta nell'ambito di una serie di
conferenze sul tema Sguardo su ci che nel dicembre 1949 a Brema e
nel febbraio 1950 a Bhlerhhe.
Circa l'interpretazione della sentenza di Parmenide cfr. ivi,
pp. 231-56 [tr it. cit., pp. 158-175].
Circa l'essenza della tecnica contemporanea e della scienza
moderna cfr. ivi, pp. 13-70 [tr. it. cit., pp. 5-44].
Circa la determinazione dell'essere come fondamento cfr. ivi,
pp. 207-29 [tr. it. cit., p. 141-57] e Der Satz vom Grund, Neske,
Pfullingen 1957.
Circa la collocazione [Errterung] della differenza cfr. Was heit
denken?, Niemeyer, Tbingen 1954 [tr. it. di G. Vattimo e U. M.
Ugazio, Che cosa significa pensare?, SugarCo, Milano, 2 vol., 1978
e 1979] e Zur Seinsfrage, Klostermann, Frankfurt a. M. 1956.
Circa l'interpretazione della metafisica di Hegel cfr. Holzwege,
Klostermann, Frankfurt a. M. 1950, pp. 105-192 [tr. it. di P.
Chiodi, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, pp.
103-90].
Solo dopo una rilettura del presente scritto e delle
pubblicazioni qui elencate il Brief berd den Humanismus del 1947
[tr. it. di L. Bixio e G. Vattimo, La dottrina di Platone sulla
verit. Lettera sull'umanismo, SEI, Torino 1975], che parla sempre
solo per cenni, diventa un possibile impulso per un confronto
(Auseinandersetzung) con la questione del pensiero.
Zusammengehrigkeit indica l'appartenenza [Gehrigkeit] di cose
diverse ad uno stesso ambito, che quindi le fa essere insieme
[zusammen]. Quindi non ancora, a rigore, l'appartenenza reciproca,
che pure un senso che Heidegger intende estrarre dalla
Zusammengehrigkeit: cos a p. 18 (p. di questa edizione) parla di
uno Zu-einanderGehren in cui certamente contenuto il senso di un
reciproco appartenersi. Sembra quindi preferibile rinunciare ad una
traduzione di questo termine, proprio per evitare ogni prematuro
riferimento alla reciprocanza, che deve da sola mostrarsi come
l'ambito di appartenenza delle coppie di termini che di volta in
volta si presentano al pensiero. Nella precedente traduzione
italiana di Identitt und Differenz (a cura di E. Landoldt in
"Teoresi", 1-2, 3-4, 1966 e '67) e in quella francese (a cura di A.
Prau in Questions I, Gallimard, Paris 1968) sembra invece non
essere stato rispettato questo mostrarsi da s della reciprocanza:
rendono infatti in questo punto del testo heideggeriano
Zusammengehrigkeit rispettivamente con "legame reciproco" e
"appartenence mutuelle". Forse il lettore italiano pu leggere
dietro la parola Zusammengehrigkeit "comune appartenenza"
sforzandosi per di rinunciare ad ogni "a che cosa?". Del resto la
citata traduzione francese usa pi spesso il termine
"coappartenence" e quella italiana "appartenere insieme". I
problemi connessi alla Zusammangehrigkeit, come Heidegger annuncia
qui, sono continuamente discussi nel corso della conferenza. Si
vedano, in particolare, le nn. 5, 6 e 7 e le pp. cui si
riferiscono.
Le parole Ereignis e Austrag significano rispettivamente
"evento" e "decisione che pone termine". Com' noto, per, Heidegger
le usa soprattutto a partire dalle loro etimologie. Cosi
nell'Ereignis vede soprattutto la presenza di un eigen, che
significa "proprio" (il traduttore francese ha infatti espresso
questo termine con "copropriation", cfr. Questions I, cit.), mentre
nell'Austrag coglie soprattutto il senso che in tedesco possono
avere le parole che cominciano con aus, ossia il senso di
proseguire fino all'esaurimento l'azione espressa del verbo, qui
tragen che significa portare. Il verbo austragen dice allora un
portare a conclusione che resta consapevole delle distanze, come lo
sono i contendenti dopo che si posto termine alla contesa
assegnando ad ognuno il proprio torto e la propria ragione (G.
Vattimo, in Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976, p. 151,
nell'ambito di un commento heideggeriano ad un testo di Eraclito
traduce ottimamente con "diaferenza", sottolineando la prossimit
dell'Austrag con la Differenz). Si pu ancora ricordare che Austrger
anche colui che porta un oggetto al suo destinatario, il fattorino.
Il secondo saggio di Identitt und Differenz fornisce comunque
ulteriori indicazioni sul senso di Austrag, che qui doveva solo
essere introdotto nel modo pi ampio possibile.
Selbigkeit una di quelle varie forme di cui dispone la lingua
tedesca, come quella greca, secondo quanto Heidegger dice poche
righe pi sopra, per dire l'identico a partire da quell'unica parola
che das Selbe.
Heien un verbo sui quale Heidegger si soffermato a lungo (cfr.
la seconda parte di Was heit Denken?, Niemeyer, Tbingen 1954, tr.
it. Che cosa significa pensare?, SugarCo, Milano 1979) mostrando
come esso non indichi originariamente "significare", ma piuttosto
"inviare verso", "chiamare a...": anche qui allora il senso della
domanda Was heit Identitt? deve essere sentito piuttosto come la
richiesta di una direzione, la richiesta di quel "che cosa" che ci
invia verso l'identit, che ci chiama ad essa.
Heidegger si riferisce qui al fatto che il verbo zusammengehren
(appartenere di cose diverse ad un ambito comune) abbia comunemente
l'accento sul prefisso (zusammen) e che quindi il significato del
verbo (gehren, appartenere) sia, per cos dire, orientato nella
direzione di questo prefisso accentato.
Qui l'accento viene da Heidegger spostato sul gehren: accentato
in questo modo, questo verbo non usato nella lingua corrente.
Heidegger ricorre per ad un uso proprio della lingua tedesca, di
attribuire cio significati diversi ad uno stesso verbo a se concia
che l'accento cada sul suffisso o sul verbo stesso. Cos, ad
esempio, berlegen significa, con il prefisso accentato, sovrapporre
e, con il prefisso non accentato, riflettere, meditare,
pensare.
Hren, da cui proviene il Gehren su cui Heidegger si sofferma qui
tanto a lungo, significa non solo ascoltare nel senso di stare a
sentire le parole di qualcuno, ma anche, come del resto in
italiano, dar retta, ubbidire.
Sono raccolte in questa frase alcune delle parole pi
caratteristiche del pensiero heideggeriano, parole il cui uso non
corrisponde mai completamente a quello corrente: Anwesen la
presenza in senso essenziale (Wesen l'essenza e anche l'essere; il
participio passato del verbo essere suona in tedesco gewesen),
Brauchen non l'uso di qualcosa che resta indifferente a questo uso,
ma un uso che al tempo stesso lascia esser presente ci che usato,
lo salvaguarda (cfr. la nota 6 nella trad. it. cit. di Saggi e
discorsi, p. 19), Lichtung infine comprende in s l'i