(28) (29)
‘Biografia dipinta’. Storie di Scipione e di Camillo in Palazzo Chigi alla Postierla
Marilena Caciorgna
Nel primo decennio del
Cinquecento, si sviluppa, in
Siena, assai precocemente
rispetto alla diffusione del
genere, il modello iconografico
della ‘Biografia dipinta’,
costituito da una serie di
episodi riguardanti la vita di
un solo personaggio, raffigurati
in successione temporale1. Si possono
infatti ricordare fra gli esempi più antichi
di questa tendenza, da un lato, le storie di
Pio II nella Libreria Piccolomini affrescate
dal Pinturicchio, dall’altro i ‘fatti’ di Giulio
Cesare, dipinti dal Sodoma nel Palazzo Chigi
al Casato di Sotto, ricordati
da Fabio Chigi, futuro papa
Alessandro VII2. Nel primo
caso, il modulo della Biografia
dipinta è applicato ad un
personaggio contemporaneo e si
presenta nella forma che è stata
chiamata anche delle ‘Gesta
dipinte’, mentre, nel secondo,
si rapporta ad un eroe del mondo classico:
fonti e occasioni sono senz’altro diverse,
ma identico appare l’impianto compositivo
ispirato alla biografia antica di ascendenza
plutarchea e, attraverso di essa, a quello
diffuso dalla letteratura del Rinascimento3.
Due “cicli
biografici di storia
antica” dipinti per
Scipione Chigi:
le fonti e i soggetti
ritrovati
1. R. Guerrini (a cura di), Biografia dipinta. Plutarco e l’arte del Rinascimento 1400-1550, con scritti di M.
Caciorgna, C. Filippini, R. Guerrini, La Spezia 2002.
2. Pianse Cesare quando vide gli onori di Alessandro / e si figurò nell’animo mari, terre, cielo. / Quindi trionfò sul
mondo, portando le armi in ogni parte: / tanto può una grande virtù spinta all’emulazione. / Chiunque pertanto
fisserà lo sguardo su questa immagine, / vorrebbe essere emulo del grande Cesare”. Cfr. R. Guerrini, L’epigramma
in zophoro e le perdute storie di Cesare (Sodoma, Palazzo Chigi al Casato di Sotto, Siena), in “Fontes”, 2, 3-4, pp.
241-48.
3. Fra le fonti antiche che hanno determinato la nascita e lo sviluppo della ‘Biografia dipinta’, al di là di altri
testimoni che possono più o meno ispirare le singole scene facenti parte di un fregio decorativo, le Vite parallele di
Dopo le precoci testimonianze della Libreria
Piccolomini e di Palazzo Chigi al Casato di
Sotto, a Siena, il modulo della ‘Biografia’
sembra subire una battuta d’arresto. La
preferenza continua ad essere attribuita
al modulo degli ‘Uomini Famosi’ (eroi
ed episodi del mondo antico relativi a
personaggi diversi) che meglio si addicono
agli ideali repubblicani della committenza
senese, in ambito privato e, soprattutto,
civico (si vedano, ad esempio, i cicli dipinti
da Domenico Beccafumi in Palazzo Venturi
e nella Sala del Concistoro di Palazzo
Pubblico). Senza cedere a facili schematismi,
è possibile infatti riscontrare che il canone
della ‘Biografia dipinta’ si manifesta
soprattutto grazie alla committenza delle
grandi famiglie e appare un tratto distintivo
del “milieu papale ed imperiale, segnando
sul piano figurativo l’emergere e l’affermarsi
dell’ideologia del principato”4.
Bisognerà allora attendere gli anni Settanta
del Cinquecento per poter di nuovo
ammirare, nell’arte senese, interi cicli
dedicati a un unico personaggio, in cui gli
episodi si prospettano diacronicamente nelle
pareti di palazzi nobiliari della città. Nel
Salone Cinquecento, ora ‘Sala conte Guido
Chigi Saracini’, dell’omonimo palazzo
di via di Città, un tempo appartenuto ai
Piccolomini, sono rappresentati, all’interno
di cornici in stucco, quindici scene che, sulla
scorta delle iscrizioni, rimandano alle gesta
di alcuni esponenti della famiglia Saracini.
In vero, come testimonia Guglielmo Della
Valle, nelle Lettere Sanesi, che trascrive i
tituli primitivi, gli affreschi – dall’erudito
assegnati a Matteino da Siena – raffiguravano
scene della vita di Pio II5. Nell’Ottocento,
Ettore Romagnoli conferma l’attribuzione
dei dipinti e spiega che la nuova committenza
(Galgano Saracini, 1752-1824) aveva fatto
ridipingere le scene al pittore perugino
Antonio Castelletti, in modo da trasformare
i ‘fatti’ del papa umanista in quelli della
famiglia Saracini6.
Pare evidente che ai Piccolomini, dalla
Libreria al palazzo di via di Città, piacque
Plutarco assumono un ruolo fondamentale. L’influsso plutarcheo si può manifestare attraverso due tendenze, come
fonte e/o come modello. In alcuni cicli le Vite ispirano l’iconografia degli episodi e l’impianto del tessuto narrativo.
Altre volte, come testimoniano le storie del papa umanista, Plutarco fornisce soltanto il modello. Cfr. R. Guerrini (a
cura di), Biografia dipinta..., cit., p. 7.
4. R. Guerrini (a cura di), Biografia dipinta..., cit., p. 19.
5. G. Della Valle, Lettere Sanesi, III, Roma 1786, pp. 377-78.
6. E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi dal secolo XII a tutto il XVIII, ante 1835 (ed. stereotipa,
Firenze 1986), vol. VII, pp. 740-48. Gaetano Milanesi rinviene un contratto con il quale Girolamo Piccolomini del
Mandolo, il 2 maggio 1574, alloga ai pittori Arcancangelo Salimbeni e Tiberio Billò la decorazione di una sala. Cfr.
G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, III, Siena 1856, p. 226, il quale ritiene che il documento sia
da riferirsi proprio agli affreschi con le storie di Pio II/Saracini. Sulla fortuna critica degli affreschi del salone
Cinquecento di palazzo Chigi si veda F. Bisogni, La nobiltà allo specchio, in I libri dei Leoni. La nobiltà di Siena in
età medicea (1557-1737), a cura di M. Ascheri, Siena 1996, pp. 234-37.
(30) (31)
esaltare la propria casata con l’esponente
più illustre della famiglia, Enea Silvio.
D’altronde non fu questo l’ultimo ciclo
biografico dedicato a Pio II. Come
testimonia ancora Romagnoli, nel palazzo
Bandini Piccolomini, erano affrescate
scene raffiguranti la biografia del pontefice,
opera di Giovan Paolo Pisani (1574-1637):
“nella casa Bandini Piccolomini, in via della
Staffa, è una sala con un fregio ove sono
18 quadretti esprimenti fatti di Pio II, con
franchezza condotti dal Pisani, di piccole
figurine composti”7.
Ma gli esempi più significativi di ‘Biografia
dipinta’, eseguiti in Siena, si trovano in
Palazzo Chigi, oggi sede della Soprintendenza
per il Patrimonio storico, artistico ed
etnoantropologico per le province di Siena
e Grosseto, nel salone del secondo piano.
Il committente del palazzo, ubicato nella
elegante via del Capitano, in angolo con
Piazza Postierla, è da individuare in Scipione
di Cristofano Chigi, il quale, nato nel 1507,
ricopre diverse cariche pubbliche quale
rappresentante del Terzo di Città, a partire
dal 1532. Riveste anche il ruolo di Savio nello
Studio senese e chiama i suoi figli con nomi
tratti dal repertorio della storia antica, quali
Camillo, Lelio, Sofonisba8.
“Sette pezzi di pittura... esprimenti varie
istorie” di Scipione Africano
I due piani nobili di palazzo Chigi conservano
una ricca decorazione che Scipione di
Cristofano Chigi fa eseguire a “Marcello
Sparti da Urbino, maestro di lavor di stucco,
e a maestro Bernardo Fiamengo dipintore,
suo compagno”9. Gli affreschi raffigurano,
da un lato, storie bibliche e Sibille,
dall’altro, episodi tratti dalla storia antica e
dal vasto repertorio del mito. Tale complessa
ornamentazione segue le precise indicazioni
di Scipione Chigi contenute nel contratto del
12 agosto 1573. Dal documento di allogazione
si intuisce la complicità del committente
nella stesura del complesso programma
iconografico: “A le due camere soffittate far a
ciascuna di esse un cordone intorno di stucco
con le sue cartelle a uso di fregio già in una
di esse disegnate, e in mezzo a decte cartelle
qualch’istoria di pittura, secondo che da
decto misser Scipione gli sarà ordinato... a
le due camere grandi, che rispondono nella
strada principale, ...farvi le sue istorie di
pittura variate, e nel medesimo modo che s’è
fatto al salotto...”10.
Nell’atto di alienazione del palazzo, venduto
il 26 aprile 1784 da Camillo di Francesco
7. E. Romagnoli, Biografia..., cit., vol. IX, p. 544.
8. Sulla figura del Chigi cfr. U. Frittelli, Albero genealogico della Nobil Famiglia Chigi Patrizia Senese, Siena 1922,
pp. 76-79; F. Petrucci, s. v. Chigi, Scipione, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 24, Roma, 1980, pp. 754-55.
9. Cfr. M. Gualandi, Memorie originali italiane risguardanti le Belle Arti, serie VI, Bologna 1845, n. 186, pp. 92-97;
G. Milanesi, Documenti...cit., III, pp. 240-42. Vedi anche S. Padovani, in L’arte a Siena sotto i Medici 1555-1609, a
cura di F. Sricchia Santoro, catalogo della mostra (Siena, 3 maggio-15 settembre 1980), Roma 1980, p. 204.
10. G. Milanesi, Documenti..., cit., III, p. 241.
Chigi ad Antonio Paolo Piccolomini, si
ricordano “sette pezzi di pittura... esprimenti
varie istorie e trionfi Romani”11 ovvero le tele
addossate alle pareti del salone del secondo
piano, raffiguranti episodi di Scipione, ora
attribuiti al pittore Dirck de Quade van
Ravesteyn12 (fig. 1). Queste tele – secondo
l’ipotesi di Serena Padovani, la quale si
avvale anche di precedenti testimonianze
– furono eseguite in un momento successivo
rispetto agli affreschi della volta: lo stesso
Scipione di Cristofano Chigi avrebbe,
qualche anno più tardi, deciso di arricchire
il salone con i ‘fatti’ dell’Africano; oppure,
dopo la sua morte, avvenuta nel 1580, uno
dei suoi immediati discendenti, fra i quali
un altro Scipione Chigi, figlio di Camillo di
Cristofano e nipote del nostro. In ogni caso,
secondo una tendenza largamente attestata
nei cicli biografici, il committente avrebbe
11. U. Frittelli, Albero genealogico..., cit., p. XXVII, nota 1.
12. N. Dacos, Un élève de Peeter de Kempeneer: Hans Speckaert, in “Prospettiva”, 57-60, 1989-90 (Scritti in ricordo
di Giovanni Previtali), p. 88, nota 16.
5 1- Palazzo Chigi alla
Postierla, Salone del secondo
piano, particolare
(32) (33)
scelto di far rappresentare le gesta dell’eroe
antico che reca il suo nome13.
La serie dei dipinti ha inizio dall’episodio
inserito nella parete destra, rispetto
all’ingresso, in cui si prospetta una delle
prime prove di valore del giovane Scipione
che, durante la battaglia del Ticino,
interviene per la salvezza del padre. Le storie
dell’Africano sono narrate in molteplici fonti
letterarie antiche, medievali e ‘moderne’.
Più difficile risulta dunque l’identificazione
del testo/o testi che hanno ispirato il
programma. Secondo Roberta Di Giulio,
la testimonianza fondamentale è data dalla
Vita di Scipione l’Africano di Francesco
Petrarca, che costituisce il XXI trattato
del De viris illustribus14. Tale vita ricopre
“nell’opera storica del Petrarca un posto
del tutto singolare per esserci pervenuta,
unica tra le altre biografie, in tre redazioni
distinte. L’intermedia (testo ß) è la più nota,
poiché ebbe la sorte di essere tradotta da
Donato degli Albanzani”15, il volgarizzatore
nativo di Pratovecchio (1328 ca.-Ferrara,
dopo il 1411).
A mio parere, l’ipotesi che il De viris abbia
ispirato gli episodi di Scipione può essere
confermata da un indizio, o meglio una “spia”,
per usare il linguaggio di Carlo Ginzburg16.
Il ciclo si conclude con la tela raffigurante il
triste epilogo della vita di Scipione segnato
dal processo per concussione e dal volontario
esilio a Literno17. L’eroe si prospetta
all’interno di un antro cavernoso, angusto
ed in ombra, mentre dal mare giungono i
praedones o latrones per rendergli omaggio.
All’onore tributato a Scipione, lontano
dalla patria e dai concittadini, assiste il solo
Nettuno che con il suo tridente forma una
sorta di sfondo mitologico alla scena. La
schiuma del mare, ove si immerge la divinità,
si abbatte sulle rocce.
Mentre la maggior parte dei fatti, relativi alla
vita dell’eroe, sono attestati da molteplici
testi, l’episodio dei latrones è narrato in un
numero relativamente esiguo di testimoni.
Il primo autore a darne conto è Valerio
Massimo nei Detti e fatti memorabili (2,10,2).
La raccolta di exempla, tuttavia, non può
costituire la fonte che ha determinato
l’impianto compositivo del ciclo poiché non
comprende tutti gli episodi di Scipione nella
serie di Palazzo Chigi, disposti secondo un
continuum narrativo. Più pertinente risulta
invece il richiamo al De viris del Petrarca
(21,12,42-44), che contiene il racconto dei
latrones in un contesto ampio ed articolato
delle imprese di Scipione:
13. R. Guerrini (a cura di), Biografia dipinta..., cit., p. 19.
14. R. Di Giulio, L’immagine di Scipione Africano Maggiore nella cultura artistica senese tra il XV e il XVI secolo,
tesi di laurea, Università degli Studi di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 1996-97.
15. G. Martellotti (a cura di), Francesco Petrarca, La vita di Scipione l’Africano, Milano-Napoli 1954, p. 7.
16. C. Ginzburg, Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino 1986, p. 165.
17. Per l’identificazione di tale scena cfr. M. Caciorgna, Il processo di Scipione di Bernardino Fungai. Fonti letterarie
e impianto compositivo, in “Fontes”, 2, 3-4, 1999, p. 52-54.
Dunque indugiato ancora el dì vedendo
questa condicione venire ad extremo che o
Scipione si partisse o la libertà della patria,
elesse lo exilio per sua libertà e andò a
Literno luogo aspro e solitario e in oculto...,
dove etiamdio l’amiratione dela virtù la
quale non havea mossi i suoi citadini trasse
a sé li rubatori. I quali rubatori ragunati
insieme andarono a vedere lui quasi come
uno dio, ed ad honorare la sua casa quasi
come uno templo. I quali Scipione pensando
che essi fossino venuti per offenderlo, la qual
cossa più lo faceva credere perché nel luogo
erano pochi habitatori, puose a difesa i suoi
nella parte di sopra della casa, la qual cossa
poi che quelli videno i principali intra queli
lasciate l’arme i compagni fecionsi più presso
e disseno ad alta voce: “noi non venimo qua
come rubatori ma come amiratori di virtù
e dimandiamo di vedere questo valente
homo per uno ineffabile dono e pregamolo
che non gli sia molesto che noi vegiamo la
sua presentia”. La qual cossa com’ello udì,
aperte tutte le porte chiamando ch’elli fossino
ricevuti dentro facendo prima riverentia
alla porta e a l’introito della casa, come a
uno altare di sanctissimo templo, corsino
a tocare quella mano conservatrice della
patria e vincitrice de nemici, la quale poi
che tutti bassiarono lasciando soto el portico
della casa doni simili a quelli i quali in quel
tempo era usanza fare agli dii. Partironsi
allegri di essere stati nella presenza di sì
facto homo e con amiratione lo lassiarono18.
Come è noto, Plutarco non ci ha lasciato un
resoconto dei fatti di Scipione l’Africano
Maggiore. D’altra parte, nel corpus delle vite
latine dello scrittore raccolto dall’umanista
Giovanni Antonio Campano ed edito a Roma,
verso il 1470 ca. per i tipi di Ulrich Hahn,
si inserisce la biografia dell’eroe composta
da Donato Acciaiuoli, che la abbina a
quella di Annibale, con relativa syncrisis,
comparazione dei due personaggi: viene così,
in un certo qual modo, riparata una grave
lacuna all’interno della vasta serie di Vite
parallele19. Risulta assai significativo che
l’episodio dei latrones, come del resto tutti
gli altri episodi della serie, sia citato in tale
biografia:
Tradit fama cum in Liternum secessisset
predones quosdam eum salutatum venisse ut
tantum virum intuerentur dextramque illius
fide e victoriis praestantem contingerent.
18. F. Petrarca, De viris illustribus, traduzione di D. degli Albanzani, ed. 1476 (BCI O V 51), 80r-80v (l6r-l6v).
19. Sul corpus delle Vitae curato da Campano cfr. M. Caciorgna, Immagini di eroi ed eroine nell’arte del
Rinascimento. Moduli plutarchei in fronti di cassone e spalliere, in R. Guerrini (a cura di), Biografia dipinta..., cit.,
pp. 211ss. Sulla vita di Scipione scritta dall’Acciaiuoli si veda: V.R. Giustiniani, Sulle traduzioni latine delle ‘Vite’ di
Plutarco nel Quattrocento, in “Rinascimento. Rivista dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento”, 1, 12, 1961,
pp. 41-44; B. Scardigli, C’è qualcosa di Plutarcheo nella vita di Scipione dell’Acciaiuoli?, in L’eredità culturale di
Plutarco dall’antichità al Rinascimento, atti del VII convegno plutarcheo (Milano-Gargnano, 28-30 maggio 1997), a
cura di I. Gallo, Napoli 1988, pp. 289-97.
(35)
3 2- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Dirck de Quade van
Ravesteyn, Continenza di
Scipone, olio su tela
20. Plutarchus, Vitae parallelae illustrium virorum a diversis interpretibus latine factae et a J.A. Campano collectae
et editae, Romae, Udalricus Gallus, ca. 1470, tomo I, c. 162v.
21. Cfr. M. Caciorgna, Immagini di eroi ed eroine..., cit., p. 317.
Magna est enim virtutis vis e magna apud
omnes gentes cum non solum bonos, sed
etiam improbos ad se amandum alliciat20.
Il testo dell’Acciaiuoli può dunque aver
influenzato il programma della sala di
Palazzo Chigi. La Vita di Scipione non è opera
di Plutarco come erroneamente si poteva
credere ancora nel corso del Cinquecento,
sulla scorta dell’edizione del Campano. Pare
evidente, tuttavia, che siamo di fronte ad un
ciclo ispirato, nello sviluppo consequenziale
delle scene, al modello delle Vite parallele
che, anche per questa via, continua a lasciare
il segno nell’iconografia senese.
D’altro canto, la biografia “plutarchea”
non può costituire la fonte univoca del
programma. Ciò si arguisce, ad esempio,
dalla tela raffigurante la ‘continenza’, la terza
della serie: Acciauoli ci riferisce l’episodio
relativo alla vita dell’Africano secondo
un resoconto assai breve, in cui vengono
omessi molti particolari che compaiono
nell’iconografia di Palazzo Chigi21 (fig. 2). Più
pertinente, invece, si offre il testo di Petrarca
(vir. ill. 21,2,5-6) che, sulla scorta di altre
fonti (Livio, soprattutto), ricostruisce, con
un numero cospicuo di dettagli, il racconto
della ‘continenza’, in cui si ricordano anche i
genitori della fanciulla celtibera e il tesoro da
loro portato come riscatto per la liberazione
della figlia:
...ello rende una donzella bellissima tra tute
le altre a Lutesio principe degli Celtiberi,
sposata da lui. Comandò che fosse guardata
con più honestà perché cossì gli pareva si
convenisse. Chiamato a sé il marito e i parenti,
per gran dono con dolce parole, senza alcuno
premio la rende, non pategiando altro con
Lutesio se non de indurlo ad amicitia del
populo di Roma, prometendo che niuna
amistà è più da desiderare in terra, niuno
odio più pericoloso. Poi, pregato da parenti
di quella ch’ello ricevesse molto oro per
dono, el quale essi haveano portato per
riscuotere la figliola gitandolo inanzi a piedi
a lui, ello el diede al marito di quella, per
acrescimento di dota. Per lo quale servigio
colui vinto si partì non dicendo altro, se
(36) (37)
22. F. Petrarca, De viris illustribus, traduzione di D. degli Albanzani..., cit., 59r.
23. Cfr. R. Guerrini, M. Caciorgna (a cura di), Cicli biografici di storia antica nell’arte del Rinascimento 1500-1550,
in R. Guerrini (a cura di), Biografia dipinta.., cit., pp. 347ss.; R. Guerrini, M. Caciorgna, M. Sanfilippo (a cura di),
Cicli biografici di storia antica nell’arte tra Manierismo e Barocco 1550-1650, in “Fontes”, cds.
24. M. Cursietti (a cura di), Jacopo da Montepulciano, La Fimerodia, Roma 1992, nota 2, p. 308; vedi anche Valerio
Massimo, De’ fatti e detti degni di memoria della città di Roma e delle stranie genti, testo di lingua del sec. XIV
pubblicato da R. De Visiani, Bologna 1867, I, p. 179.
25. Iacopo da Montepulciano, La Fimerodia..., cit., 1992, p. 153.
non sé essere insufficiente a tanti honori,
chiamando gli dii pagatori e empiendo ogni
cossa di dignissime lode di quello, e che la
fama di quello appareva che uno giovaneto
romano, el quale vinceva ogni cossa con
l’arme e non meno con la mansuetudine e
con la cortesia...22.
Nella sala di Palazzo Chigi, alla scena
raffigurante la Continenza viene dato uno
spazio più ampio rispetto ad altre scene. Si
tratta, in effetti, dell’episodio che più spesso
compare nell’iconografia di Scipione. Per
contrario, la storia dell’esilio non si riscontra
mai nelle ‘Biografie dipinte’ dedicate
all’eroe23, ma a Siena, rispetto ad altre realtà
culturali, vanta una notevole tradizione
letteraria e figurativa. Nella Fimerodia
(2,9,13-24) di Iacopo da Montepulciano,
ad esempio, si ricordano i predoni che si
recano ad omaggiare l’eroe. La versione
dell’episodio, piuttosto ampia, che troviamo
nella Fimerodia è, con ogni probabilità,
ripresa da uno dei codici del volgarizzamento
di Valerio Massimo, come dimostra la lezione
Vilitèrmina24:
Passiamo all’Acoglienza, ove piacere / ti
potran suoi costumi, atti e sermoni, / benigna
e lieta, e ciascun ha in calere. // Vedi com’ella
forma que’ predoni / ch’andaro a Vilitèrmina,
cercando / quel Maggiore infra gli altri
Scipïoni; // vedi Scipio negarsi e poscia,
quando / sentì venuti lor per calda voglia, /
concedere il vederlo a llor comando; // vedi
que’ riverir la chiara soglia, / e chiavistelli
orando, e poi la mano / lungamente al baciar
ciascun s’invoglia25.
L’episodio dei latrones ricorre anche
nell’attività letteraria di Jacopo Tolomei, che
partecipa della larga diffusione a Siena, a
partire dagli anni Sessanta del Quindicesimo
secolo, del genere della egloga in volgare. In
un capitolo scritto nella vecchiaia (Misser
Jacomo Ptholomei al Compare generale),
attorno al 1490-1491, che narra il ritorno
di Jacopo, dopo molti anni, “alla sua villa”,
i contadini, convenuti a “carche mani”
dal poeta, sono paragonati ai predoni che
fecero visita a Scipione durante il suo esilio
a Literno, portando in omaggio all’eroe
numerosi doni:
<C>ompar mio generale, optimo amico, / io
son condotto là dove ti dissi / ad rivedere
il luoco mio antico; / e già son corsi in ogni
parte i missi / ad richiamar gli antichi miei
silvani / per rallegrarmi e ragionar con issi.
/ Ei vennen tutti con le carche mani / e fero a
mie sì come a Scipione /fer li ladroni in quelli
luochi strani26.
Per ciò che concerne la tradizione figurativa,
basterà citare il raffinato studiolo dipinto da
Bernardino Fungai in cui il tema dell’esilio
di Scipione l’Africano si sviluppa in tre
scene raffigurate in altrettante spalliere
che seguono una disposizione ad “anello”
(Ringkomposition). Lo sviluppo narrativo
prende avvio dal centro (Processo di
Scipione), prosegue verso destra (Scipione
si dirige verso il Campidoglio), ritorna e
si conclude a sinistra (Scipione in esilio a
Literno), senza seguire la cronologia della
vita di Scipione, ma attenendosi piuttosto ad
una disposizione “gerarchica” degli episodi27.
È stato ipotizzato che i pannelli fossero stati
dipinti in occasione della nascita di Scipione
Chigi, lo stesso committente del ciclo del
palazzo alla Postierla, avvenuta nel 150728.
Un soggetto così drammatico, tuttavia,
sembra poco adatto per essere dipinto in
una tale occasione. Anche la datazione
risulterebbe troppo avanzata per i pannelli
che, probabilmente furono eseguiti nel
corso degli anni Novanta del Quattrocento.
Considerato il tema, è assai probabile che le
tre tavolette di Fungai siano state eseguite
per lo studiolo di un uomo politico senese.
L’uso dell’exemplum di Scipione doveva
essere diffuso all’interno di un patriziato
che aveva avuto così frequente esperienza
con i processi, l’esilio e le condanne a morte.
In particolare, all’inizio degli anni Ottanta,
nell’ambito dei rivolgimenti istituzionali e dei
tumulti legati alla presenza degli Aragona, il
figlio di Antonio Bellanti, che aveva assistito
alla decapitazione del padre, afferma:
“Questo il merito di havere la comunità tua
sovenuta infinite volte [...]. Veramente tu
potrai dire come Scipione ingrata patria,
non habebis ossa mea”29.
Evidente è da parte di questo esponente dei
Bellanti, famiglia di elevato tono culturale,
il richiamo all’episodio dell’esilio dell’eroe
romano. Forse proprio i Bellanti potrebbero
aver commissionato lo Studiolo per il loro
26. P. Medioli Masotti, Componimenti bucolici e rusticali del XV secolo di Jacopo Tolomei, in “Bullettino Senese di
Storia Patria”, LXXXVIII, 1981, p. 33.
27. Sullo studiolo del Fungai si veda M. Caciorgna, Il processo di Scipione..., cit., pp. 33-58; Eadem, Il naufragio
felice. Studi di filologia e storia della tradizione classica nella cultura letteraria e figurativa senese, Sarzana (La
Spezia) 2004, pp. 159-89; M. Caciorgna, in Siena & Roma. Raffaello, Caravaggio e i protagonisti di un legame
antico, catalogo della mostra (Siena, 25 novembre 2005-5 marzo 2006), Siena 2005, pp. 189-92.
28. A. Labriola, in M. Boskovits (a cura di), Dipinti e sculture in una raccolta toscana, secoli XIV-XVI, Firenze 1991,
p. 40.
29. P. Pertici, Un caso di ‘politico vivere’ a Siena tra Quattro e Cinquecento: i Martinozzi, signori di Montelifrè, in
“Accademia dei Rozzi”, V, 9, 1998, p. 7.
(38) (39)
30. P. Pertici, La città magnificata. Interventi edilizi a Siena nel Rinascimento. L’Ufficio dell’Ornato (1428-1480),
Siena 1995, p. 65.
31. G. Tommasi, Dell’Historie di Siena. Deca seconda, vol. II, libri IV-VII (1446-1496), trascrizione e indice dei
nomi a cura di M. De Gregorio, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2004, p. 594; C. Shaw, L’ascesa al potere di
Pandolfo Petrucci il Magnifico, signore di Siena (1487-1500), traduzione di D. Solfaroli Camillocci, Siena 2001, p. 23.
32. C. Shaw, L’ascesa al potere di Pandolfo.., cit., 2001, p. 42.
33. U. Frittelli, Albero genealogico..., cit., p. 76.
34. Senza pretesa di completezza si danno, per ogni episodio raffigurato in palazzo Chigi, alcune coordinate, quali le
fonti più celebri che ricordano la storia effigiata, qualche occorrenza del tema, breve commento.
palazzo di via Camollia, in seguito passato
ai Chigi, in memoria del genitore30. D’altra
parte Antonio Bellanti, uno fra i Noveschi,
era stato processato, esiliato e tenuto
prigioniero, infine decapitato nella Rocca di
Radicofani nell’aprile 1483, proprio di fronte
al figlio che, come frate, “apportò somma
consolazione circa la salute dell’anima”31.
Anche un altro personaggio politico di
rilievo della famiglia Bellanti, Leonardo, il
15 luglio 1482 fu condannato a due anni di
esilio a Campagnatico, quattro a Belcaro e
sei mesi a Lucca32.
La conferma che lo Studiolo di Fungai
provenga dalla famiglia Bellanti potrebbe
essere data proprio dalla decorazione
di Palazzo Chigi ove compare il raro
tema dell’esilio: Scipione Chigi, infatti,
si sposa con Eleonora Bellanti, figlia di
Antonio, appunto33. È allora possibile che
la circolazione del soggetto sia avvenuta
all’interno di queste due aristocratiche
famiglie.
Nel complesso, le Storie di Scipione del
Salone della Soprintendenza, raffigurano:
- Nella battaglia del Ticino Scipione salva
il padre34
- Dopo la sconfitta di Canne
Scipione distoglie i soldati romani
dall’abbandonare l’Italia
- La continenza di Scipione
- Colloquio tra Scipione e Annibale prima
della battaglia di Zama
- Scipione fa bruciare la flotta
cartaginese
- Ingresso trionfale a Roma
- Esilio di Scipione a Literno
Nella battaglia del Ticino Scipione salva il
padre34 (fig. 3)
Durante la seconda guerra punica, la battaglia
svoltasi nei pressi del Ticino costituisce la
prima vittoria di Annibale contro Roma.
Il giovane Scipione Africano interviene
salvando la vita al padre Publio Cornelio
Scipione, circondato dai nemici che lo hanno
ferito (nell’affresco il padre di Scipione
riporta una ferita sul braccio). Petrarca, vir.
ill. 21,1,8. Cfr. anche Polyb. 10,3,1-7; Liv.
21,46,7-8; Val. Max. 5,4,2; Flor. epit. 2,6,10;
Petrarca, Afr. 4,166-179; Donato Acciaiuoli,
Vita di Scipione. Altre occorrenze: Giovan
Francesco Penni, Giulio Romano, Histoire
de Scipion, arazzi di Francois I (ante 1529-
1532); Cola dell’Amatrice e aiuti, Palazzo
Vitelli alla Cannoniera, Città di Castello (1543
ca.); Scuola di Pellegrino Tibaldi, Storie
di Scipione Africano, Palazzo Ciccolini,
Macerata (1546-50 ca.).
Nel ciclo senese, così come in quello di Palazzo
Ciccolini a Macerata, il Ticino è raffigurato
come una divinità fluviale (un personaggio
maschile barbuto) adagiata sopra un’anfora
dalla quale fuoriesce abbondante acqua.
4 3- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Dirck de Quade van
Ravesteyn, Nella battaglia
del Ticino Scipione salva il
padre
(40) (41)
Dopo la sconfitta di Canne Scipione
distoglie i soldati romani dall’abbandonare
l’Italia (fig. 4)
In seguito alla disfatta di Canne, il giovane
Scipione, allora semplice tribuno militare
– in una situazione di sbandamento generale,
quando i soldati superstiti, sotto la spinta di
Lucio Metello, meditano di lasciare l’Italia
e di trovare rifugio in Africa – impedisce
all’esercito di abbandonare il suolo della
patria. Petrarca, vir. ill. 21,1,9-10. Cfr.
anche Liv. 22,53; Val. Max. 5,6,7; Frontin.
strat. 4,7,39; Petrarca, Afr. 4,180-240;
Donato Acciaiuoli, Vita di Scipione. Altre
occorrenze: Domenico Beccafumi, Palazzo
Venturi, Siena (1520 ca.); Fregio di Scipione,
Sala degli Arazzi o del Trono, Palazzo
dei Conservatori, Roma (1544); Scuola
di Pellegrino Tibaldi, Storie di Scipione
Africano, Palazzo Ciccolini, Macerata (1546-
50 ca.).
3 4- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Dirck de Quade van
Ravesteyn, Dopo la sconfitta
di Canne Scipione distoglie
i soldati romani dall’abban-
donare l’Italia
La continenza di Scipione (fig. 5)
Ancora giovane, Scipione viene inviato
come proconsole nella penisola iberica,
per designazione del Senato e del popolo in
una situazione politica molto compromessa
dalla morte del padre e dello zio. Nel 209,
appena giunto in Spagna, l’eroe conquista
Carthago Nova, la moderna Cartagena, dalla
quale partono i rifornimenti per gli eserciti
cartaginesi stanziati nella penisola. Quale
bottino di guerra egli riceve una fanciulla
di mirabile bellezza, ma, saputo che ella è
promessa ad un giovane principe celtibero,
fatto chiamare il futuro marito, la restituisce
intatta, rifiutando il riscatto in oro offerto
dai genitori e restituito sotto forma di dono
nuziale. Petrarca, vir. ill. 21,2,5-6. Cfr.
anche Polyb. 10,19, Liv. 26,50; Val. Max.
4,3,1; Sil. 15,268-271; Frontin. strat.
2,11,5; Flor. epit. 1,22,40; Gell. 7,8,3; Dio
Cass. fr. 16,43; Amm. 24,4,27; Vir. ill. 49,8;
Petrarca, Afr. 4,375-388; Boccaccio, cas.
3,4,11; mulier. 74,2; Donato Acciaiuoli, Vita
di Scipione. Altre occorrenze: Francesco
4 5- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Dirck de Quade van
Ravesteyn, La continenza di
Scipione
di Giorgio e bottega, Maestro di Griselda,
Museo del Bargello, Firenze; Domenico
Beccafumi, Palazzo Venturi, Siena; Idem,
Pinacoteca Nazionale, Lucca; Scuola di
Bartolomeo Neroni, detto il Riccio, Palazzo
Neri Pollini, Siena; Giovan Francesco
Penni, Giulio Romano, Histoire de Scipion,
arazzi di Francois I (ante 1529-1532);
Cola dell’Amatrice e aiuti, Palazzo Vitelli
alla Cannoniera, Città di Castello (1543
ca.); Scuola di Pellegrino Tibaldi, Storie
di Scipione Africano, Palazzo Ciccolini,
Macerata (1546-50 ca.).
Il personaggio raffigurato sulla destra che
guarda lo spettatore, alle spalle del soldato in
primo piano, per la peculiarità dei lineamenti
del volto, resi con efficacia ritrattistica,
potrebbe identificarsi nel committente od
anche nel pittore che ha eseguito il ciclo35.
35. Cfr. R. Di Giulio, L’immagine di Scipione..., cit.
(44) (45)
Colloquio tra Scipione e Annibale prima
della battaglia di Zama (fig. 6)
Prima della battaglia di Zama, Scipione e
Annibale, accompagnati ognuno dal proprio
interprete, si incontrano per deliberare sul
bene comune, con la speranza di venire
ad un accordo che impedisca la guerra.
Ma invano. Petrarca, vir. ill. 21,9,17. Cfr.
anche Liv. 30,29-31; Petrarca, Afr. 7,130-
458; Donato Acciaiuoli, Vita di Scipione.
Altre occorrenze: Giovan Francesco Penni,
Giulio Romano, Histoire de Scipion,
arazzi di Francois I (ante 1529-1532); Cola
dell’Amatrice e aiuti, Palazzo Vitelli alla
Cannoniera, Città di Castello (1543 ca.);
Fregio di Scipione, Sala degli Arazzi o del
Trono, Palazzo dei Conservatori, Roma
(1544); Scuola di Pellegrino Tibaldi, Storie
di Scipione Africano, Palazzo Ciccolini,
Macerata (1546-50 ca.).
Nella tela, i due eserciti si riconoscono
grazie alla presenza delle insegne
(truppe romane) e degli elefanti (truppe
cartaginesi). In altri cicli, i due generali
3 6- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Dirck de Quade van
Ravesteyn, Colloquio tra
Scipione e Annibale prima
della battaglia di Zama
compaiono a cavallo, anziché a piedi.
La figura femminile rappresentata in
basso potrebbe essere identificata, con la
figura allegorica di Cartagine che piange:
una sorta di premonizione, dunque, della
catastrofe imminente36.
36. Cfr. R. Di Giulio, L’immagine di Scipione..., cit.
Scipione fa bruciare la flotta cartaginese
(?) (fig. 7)
Dopo la battaglia di Zama e la fine della
seconda guerra punica, Scipione ordina di
distruggere in alto mare la flotta cartaginese.
Petrarca, vir. ill. 21,10,70-72. Cfr. anche Liv.
30,43,12-13; Val. Max. 2,7,12; Petrarca, Afr.
8,1068-1084, 1012-1027; Donato Acciaiuoli,
Vita di Scipione.
Un groviglio di navi e di persone si immerge
in un forte bagliore. Nell’iconografia del
Rinascimento è spesso rappresentata la
Battaglia di Zama; questo episodio, tuttavia,
che si svolge dopo la conclusione della
battaglia, risulta, forse, peculiare del ciclo
senese.
4 7- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Dirck de Quade van
Ravesteyn, Scipione fa bru-
ciare la flotta cartaginese
(?)
(46) (47)
Ingresso trionfale a Roma (fig. 8)
Dopo la vittoria a Zama, Scipione fa il
suo ingresso trionfale in Roma salendo
al Campidoglio. Si tratta, come ricorda
Petrarca, del “trionfo più famoso di tutti”.
Petrarca, vir. ill. 21,10,73-80. Cfr. anche
Liv. 30,45; periocha 30; Petrarca Afr. 9,309-
399; Donato Acciaiuoli, Vita di Scipione.
Altre occorrenze: Giovan Francesco Penni,
Giulio Romano, Histoire de Scipion,
arazzi di Francois I (ante 1529-1532); Cola
dell’Amatrice e aiuti, Palazzo Vitelli alla
Cannoniera, Città di Castello (1543 ca.);
Fregio di Scipione, Sala degli Arazzi o del
Trono, Palazzo dei Conservatori, Roma
(1544); Scuola di Pellegrino Tibaldi, Storie
di Scipione Africano, Palazzo Ciccolini,
Macerata (1546-50 ca.).
Esilio di Scipione a Literno (fig. 9)
Scipione è chiamato dai tribuni della plebe,
insieme al fratello Lucio Cornelio, a render
conto del ricco bottino della guerra contro
Antioco, re di Siria. Dopo il processo, l’eroe si
ritira in volontario esilio a Literno, ove riceve
alcuni predoni che vengono ad omaggiarlo.
Petrarca, vir. ill. 21,12,40-44. Cfr. anche
Val. Max. 2,10,2; Petrarca Afr. 9,29-3337;
Donato Acciaiuoli, Vita di Scipione.
37. Secondo Guido Martellotti (F. Petrarca, Poesie
latine, a cura di G. Martellotti, E. Bianchi, introduzione
di N. Sapegno, Torino 1976, pp. 70-1, nota al verso 33),
rimandi allusivi all’episodio dei latrones sono forse da
individuare anche nell’Africa 9,29-33: [...] nullusque
unquam sub mente movebit / grande aliquid, cui non,
magnas spes inter, honestum / nomen in ore sonet, qui
non venturus ad actum / Scipiade meminisse velit, pro
munere vultus / non cupiat vidisse tuos (...): “e nessuno
mai agiterà nella sua mente qualche alta impresa che
non ripeta tra le grandi speranze il tuo nome onorato,
che appressandosi all’azione non voglia ricordarsi dello
Scipiade, non desideri come un premio vedere il tuo
volto”.
3 8- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del
secondo piano, Dirck de
Quade van Ravesteyn,
Ingresso trionfale a Roma
4 9- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Dirck de Quade van
Ravesteyn, Esilio di Scipione
a Literno
(48) (49)
“Vae victis”. Le storie di Camillo
Nella volta del salone di palazzo Chigi, il
pittore fiammingo Bernardo Van Rantwyck
dipinge storie di Camillo, il vincitore dei
Galli, un personaggio del mondo antico
particolarmente legato alla cultura senese.
La scelta dell’eroe sembra dettata dal nome
del primogenito di Scipione Chigi: questi
avrebbe ereditato l’intera proprietà del
palazzo con il diritto di abitare al secondo
piano. Il figlio cadetto Cristofano, invece,
come da disposizione testamentaria, avrebbe
potuto risiedere vita natural durante al
primo piano38.
In Palazzo Pubblico, nell’anticapella
affrescata da Taddeo di Bartolo, Camillo
fa parte della triade che si correla alla
Magnanimità, insieme a Marco Curio Den-
tato e Scipione Africano. Qui è effigiato
secondo il modulo degli Uomini Famosi,
serie di eroi dell’antichità, romani e greci,
o meglio romani e non romani, externi.
Raffigurati a gruppi di tre, come figure
intere stanti, sono personaggi paradigma-
tici, exempla virtutis, che alludono a virtù
ma anche, più raramente, a vizi: offerti
dunque all’imitazione, o all’esecrazione
dello spettatore.
Secondo il titulus, che accompagna la figura,
il vincitore dei Galli avrebbe lasciato il suo
nome a uno dei terzi della città, sulla scorta
di un gusto diffuso in epoca umanistica, che
rapporta i nomi dei luoghi e dei monumenti
alla tradizione classica: “Ho rifondato la
patria. Son mia gloria i Galli / sbaragliati:
in rotta per molte regioni, mentre, vincitore
/ li inseguivo anche da queste parti, dal
nostro nome fu chiamata / Camollia, terza
parte della tua città di Siena”39.
In questo senso il condottiero che ha liberato
Roma da Brenno e dai Senoni si presenta
a Siena come una sorta di eroe eponimo, il
nuovo “Romolo”, istituendo una relazione
con la seconda fondazione di Roma dopo
la cacciata dei Galli (e dunque in epoca
repubblicana)40. Conformemente alla stessa
tendenza che fa di Camillo una figura
significativa sul piano istituzionale, Camillo
è raffigurato da Antonio Federighi in uno
dei Bancali della Loggia della Mercanzia,
ma anche nella cospicua serie della Sala
dell’Udienza nel palazzo Pubblico di
Lucignano.
In Palazzo Chigi, invece, si sviluppa il
modello della ‘Biografia dipinta’ poiché,
nella volta del salone del secondo piano,
si dispiegano gli episodi più significativi
della vita dell’eroe. D’altronde, tra il 1530
e il 1550, si manifesta un interesse tutto
particolare per la figura di Camillo, come
dimostrano il ciclo della Sala dell’Udienza
38. Cfr. in questo stesso volume il saggio di Fabrizio Nevola.
39. Restitui patriam. Consumpti gloria Galli / sunt mea, quos etiam victor dum multa ruentes / hac per rura sequor,
nostro de nomine dicta est / Camilia, tue pars urbis terna Senarum. Trad. R. Guerrini, in M. Caciorgna, R. Guerrini,
La virtù figurata. Eroi ed eroine dell’antichità nell’arte senese tra Medioevo e Rinascimento, Siena 2003, p. 77.
40. Sulla figura di Camillo cfr. R. Guerrini, in M. Caciorgna, R. Guerrini, La virtù figurata..., cit., pp. 77-83.
in Palazzo Vecchio, eseguito da Francesco
Salviati, e quello che Taddeo Zuccari
dipinge, tra l’ammirazione generale (fra i
quali Michelangelo e lo stesso Salviati), per
la facciata di Iacopo Mattei a Roma, ora
distrutto, ma di cui restano i tituli trascritti
da Giorgio Vasari41.
Al contrario del ciclo con storie di Scipione
ove si ravvisano episodi singolari della
biografia dell’eroe, i ‘fatti’ di Camillo,
raffigurati in palazzo Chigi, riflettono
una tradizione iconografica piuttosto
consolidata. In questo caso, la biografia
plutarchea può costituire la fonte non solo
per l’impianto compositivo, ma anche per
il tessuto narrativo delle singole scene,
che si dipartano dalla guerra contro Veio
e il grande trionfo che ne conseguì dopo la
caduta della città nemica. Notevole rilievo,
nella serie affrescata, è dato all’episodio
del maestro di Faleri, che si evidenzia in
due scene. La prima parte della storia
si inserisce all’interno di un tondo ove è
rappresentato il maestro che conduce i
suoi allievi nell’accampamento romano,
consegnandoli come ostaggi. Nel riquadro
posto sopra il grande camino del salone
si prospetta la punizione inflitta da Camillo
al pedagogo traditore che ha ora le mani
legate dietro il dorso. La scena effigiata
sintetizza i vari momenti del resoconto
di Plutarco. Il maestro, alla presenza del
condottiero romano, viene spogliato e fatto
frustare dagli allievi provvisti di verghe:
Il maestro dunque, desideroso di ingannare
quelli di Faleri servendosi dei loro figli,
cominciò a condurli ogni giorno sotto le
mura, dapprima nelle vicinanze, per poi
ricondurli subito in città una volta finiti gli
esercizi; ma in seguito, portandoli via via
più lontano, li abituò ad aver confidenza,
come se non ci fosse nulla da temere. Alla
fine, con tutti quanti, si gettò negli avamposti
dei Romani, li consegnò e chiese di essere
condotto da Camillo. Condotto da lui e
ammesso in sua presenza, dichiarò di essere
un precettore e un maestro che, preferendo
soddisfare lui anziché i doveri della sua
professione, veniva a portargli la città nelle
persone dei suoi fanciulli. A Camillo sembrò,
nell’udirla, un’azione orrenda. Rivolto ai
presenti disse: “Cosa dura è la guerra, che
si attua attraverso molte iniquità e violenze.
Esistono tuttavia per i galantuomini anche
leggi di guerra; né bisogna perseguire la
vittoria in modo da non respingere i vantaggi
che si otterrebbero a prezzo di azioni
malvagie ed empie. Un grande generale deve
avvalersi nel comando del proprio valore,
non confidare nell’altrui malvagità”. E
ordinò alle guardie di strappare le vesti al
maestro, legargli le mani dietro la schiena
e distribuire ai ragazzi verghe e fruste
affinché punissero il traditore mentre lo
riconducevano in città42.
41. R. Guerrini (a cura di), Biografia dipinta..., cit., pp. 67-68.
42. Plutarco, Le vite di Temistocle e di Camillo, a cura di C. Carena, M. Manfredini e L. Piccirilli, Fondazione
Lorenzo Valla, Vicenza 1983, pp. 121-23.
(50) (51)
L’episodio, ricordato da numerose fonti, è
uno fra i massimi exempla di giustizia e di
lealtà. Secondo Livio (5,27,10), dal racconto
emerge la fides Romana e la iustitia impe-
ratoris; in Valerio Massimo (6,5,1), Camillo
è il primo esempio ricordato nella rubrica
de iustitia. Ma l’autore latino loda anche
la ‘continenza’ del condottiero romano,
che è diversa rispetto a quella di Scipione,
che supera le proprie passioni in occasione
dell’episodio della celtibera, la fanciulla di
grande bellezza. Camillo, esule ad Ardea, “e
richiesto del suoi aiuto dai concittadini dopo
la presa di Roma da parte dei Galli, non
volle recarsi a Veio a prendervi il comando
dell’esercito, prima di aver saputo che la
sua elezione a dittatore aveva avuto luogo
col crisma della legalità”. Valerio Massimo
ne loda la moderatio: “Splendido fu il trionfo
di Camillo sui Veienti, egregia la vittoria sui
Galli, ma codesto indugio fu di gran lunga
più ammirevole: perché è assai più difficile
vincere se stesso che i nemici, senza evitare
con troppa precipitazione le avversità e
senza aggrapparsi con eccessiva gioia agli
eventi prosperi”43. L’eroe, dunque, come
d’altro canto Scipione, costituisce un exem-
plum giacché è impresa assai più difficile vin-
cere se stesso piuttosto che i nemici.
Camillo viene dunque eletto dittatore, sol-
lemni iure, per la seconda volta, e, tra l’entu-
siasmo dei soldati si prepara all’attacco. Dopo
il tentativo dei Galli di conquistare il Campi-
doglio, sventato dalle oche e dall’atto eroico
di Marco Manilio, si giunge ad un accordo fra
il tribuno romano Sulpicio e Brenno, re dei
Galli Senoni che pretende un ingente riscatto
per il ritiro delle sue truppe. In palazzo Chigi
è raffigurato il momento in cui viene pesato
l’oro: Brenno getta la sua spada sulla bilan-
cia, pretendendo in questo modo un’ulteriore
quantità di monete, mentre proferisce: “Vae
Victis” (guai ai vinti). Secondo la leggenda,
Camillo avrebbe mostrato la propria spada,
dicendo che non con l’oro, ma con il ferro, si
riscatta la patria:
Poi, assenzienti i capi, il tribuno romano
Sulpicio si abboccò con Brenno; fu concor-
dato che i Romani consegnassero mille libbre
d’oro e i Galli, appena ricevutele, uscissero
dalla città e dal suo territorio. Giurato il
patto, fu portato l’oro, ma i Galli si diedero a
barare nel peso, dapprima in modo coperto,
poi tirando il piatto e alterando apertamente
la pesata. I Romani si risentirono con loro.
Ma Brenno con un ghigno beffardo si tolse
la spada e l’aggiunse insieme col cinto ai
pesi; Sulicio chiese: “Questo che vuol dire?”,
ed egli rispose: “Che altro se non «Guai ai
vinti?»”, frase poi passata in proverbio. Fra
i Romani c’era chi si risentiva e giudicava
di dover riprendere l’oro, tornare indietro e
sostenere l’assedio; ma altri consigliavano di
cedere a un’offesa non eccessiva: non accre-
sceva l’onta un maggior esborso e, quanto al
dare, lo si subiva per le circostanze, senza
onore ma per necessità.
43. Val. Max. 4,1,2. Cfr. Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, a cura di R. Faranda, Torino 1971, p. 237.
Mentre si svolgeva la disputa dei Romani
coi Galli e fra loro, Camillo arrivava alle
porte della città con l’esercito. Informato di
ciò che stava accadendo, ordinò al grosso di
seguirlo in buon ordine e al passo, mentre
egli con i più valenti muoveva subito di fretta
alla volta dei Romani. Tutti gli fecero largo
e lo accolsero come un sovrano, in rispettoso
silenzio. Egli tolse l’oro dalla bilancia e lo
consegnò ai littori, quindi ordinò ai Galli di
prendersi la bilancia e pesi e di andarsene,
dichiarando ch’era costume dei Romani sal-
vare la patria col ferro, non con l’oro44.
44. Plutarco, Le vite di Temistocle e di Camillo..., cit., pp. 167, 169.
Nel complesso le storie di Camillo che si
prospettano in palazzo Chigi rappresentano:
- La presa di Veio (?)
- Il trionfo dopo la presa di Veio
- Tradimento del maestro di Faleri che
tenta di consegnare a Camillo i suoi
discepoli
- Camillo fa punire il maestro di Faleri
- Camillo e Brenno
(52) (53)
La presa di Veio (?) (fig. 10)
La guerra contro Veio, avamposto dell’Etru-
ria equiparabile a Roma per quantità di armi
possedute e soldati, durava da molto tempo.
Giunto il decimo anno Camillo viene nomi-
nato dittatore e per prima cosa compie i voti
agli dei. I Romani prendono d’assalto la città
etrusca e ne ricavano un bottino ingente.
Plut. Cam. 2,5 ss. Altre occorrenze: Fran-
cesco Salviati, Sala dell’Udienza, Palazzo
Vecchio, Firenze (1543-45); Taddeo Zuccari,
Palazzo di Iacopo Mattei, Roma (1548).
5 10- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Bernardo Van
Rantwyck, La presa di Veio
(?)
Il trionfo dopo la presa di Veio (fig. 11)
Dopo la conquista della città rivale, Camillo
celebra un trionfo fastoso. Plutarco, Cam.
5 11- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Bernardo Van
Rantwyck, Il trionfo dopo la
presa di Veio
2,5 ss. Cfr. anche Liv. 5,23,1 ss. Altre occor-
renze: Francesco Salviati, Sala dell’Udienza,
Palazzo Vecchio, Firenze (1543-45).
(54) (55)
Tradimento del maestro di Faleri che tenta
di consegnare a Camillo i suoi discepoli
(fig. 12)
Così come i Greci, gli abitanti di Faleri
si servono di un unico maestro per i loro
5 12- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Bernardo Van Ran-
twyck, Tradimento del mae-
stro di Faleri che tenta di
consegnare a Camillo i suoi
discepoli
figli affinché crescano tutti assieme. Il
pedagogo conduce con l’inganno gli allievi
di fronte a Camillo e tenta di consegnarli al
dittatore come ostaggi. Plut. Cam. 10,2-4.
Cfr. anche Liv. 5,27,10; Val. Max. 6,5,1.
Camillo fa punire il maestro di Faleri
(fig. 13)
Il generale romano, sdegnato dal tradi-
mento, del pedagogo, ordina alle guardie
di strappargli la veste e di legargli le mani
dietro la schiena. Consegna poi ai discepoli
delle verghe e ordina loro di frustare il mae-
stro mentre lo riconducono nella loro città.
Plut. Cam. 10,5. Cfr. anche Liv. 5,27,10;
Val. Max. 6,5,1. Altre occorrenze: Fran-
cesco Salviati, Sala dell’Udienza, Palazzo
Vecchio, Firenze (1543-45); Taddeo Zuc-
cari, Palazzo di Iacopo Mattei, Roma
(1548).
5 13- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Bernardo Van Ran-
twyck, Camillo fa punire il
maestro di Faleri
(56) (57)
Camillo e Brenno (fig. 14)
Dopo il tentativo dei Galli di conquistare
il Campidoglio, si viene ad un accordo
fra il tribuno romano Sulpicio e Brenno,
re dei Senoni che pretende un ingente
riscatto per il ritiro delle sue truppe.
Mentre viene pesato l’oro del riscatto,
Brenno getta la sua spada sulla bilancia,
con la pretesa di un’ulteriore quantità di
3 14- Palazzo Chigi alla
Postierla, salone del secondo
piano, Bernardo Van Ran-
twyck, Camillo e Brenno
monete. Camillo sguaina allora la propria
spada, dicendo che non con l’oro, ma con
il ferro, si riscatta la patria. Plut. Cam.
29. Cfr. anche Liv. 5,49. Altre occorrenze:
Perin del Vaga, Palazzo del Principe,
Genova (1534); Francesco Salviati, Sala
dell’Udienza, Palazzo Vecchio, Firenze
(1543-45); Taddeo Zuccari, Palazzo di
Iacopo Mattei, Roma (1548).
Conclusioni
Le storie di Scipione e di Camillo che si snodano
nel salone del secondo piano di Palazzo Chigi
alla Postierla costituiscono, nell’arte senese,
gli esempi più rappresentativi del modulo
della ‘Biografia dipinta’. I due eroi effigiati
sono accomunati per la loro magnanimità,
come dimostra anche la tradizione figurativa
precedente (si veda il ciclo dipinto in Palazzo
Pubblico da Taddeo di Bartolo, triade degli
armati). Entrambi, inoltre, hanno rivelato,
in varie occasioni, l’abilità strategica messa
al servizio dello stato, il senso di giustizia, la
‘continenza’ ovvero la vittoria su se stessi.
I nomi di Camillo e Scipione, d’altra parte,
sono ripresi da alcuni esponenti della
famiglia Chigi (Scipione Chigi/Storie di
Scipione Africano; Camillo Chigi/Storie
di Furio Camillo). Secondo una tendenza
largamente affermatasi nell’ambito del
modello biografico, il committente sceglie di
far rappresentare le gesta dell’eroe antico
che reca il proprio nome.
Mentre la vita di Scipione presenta alcuni
episodi singolari (ma non per Siena), quali
l’esilio dell’eroe a Literno e la distruzione della
flotta cartaginese dopo la battaglia di Zama,
le storie di Camillo seguono la tradizione
iconografica: significativo, tuttavia, appare,
nel secondo caso, il rilievo dato all’episodio
del maestro di Faleri che si sviluppa in
due scene distinte. Le fonti letterarie che
ispirano il programma iconografico sono le
Vite parallele di Plutarco, che svolgono il
loro ruolo anche attraverso rifacimenti di
epoca umanistica (Donato Acciaiuoli, Vita di
Scipione), e il De viris di Francesco Petrarca,
un testo largamente utilizzato nell’iconografia
medievale, umanistica e, come si evidenzia in
palazzo Chigi, assai oltre. Risulterà evidente
che, per concepire una ‘Biografia dipinta’, si
sono preferite le fonti ‘biografiche’, anziché
le raccolte di exempla più consone alla
rappresentazione del modulo degli Uomini
Famosi.
L’ULTIMO SECOLOdella repubblica di siena
arti, cultura e società
atti del convegno internazionalesiena 28-30 settembre 2003 e 16-18 settembre 2004
a cura diMario Ascheri, Gianni Mazzoni, Fabrizio Nevola
SIENAACCADEMIA SENESE DEGLI INTRONATI
2008
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Volume realizzato con il contributo della
Editore: Accademia Senese degli IntronatiPalazzo Patrizi-Piccolomini, Via di Città, 75
53100 Siena
Stampa: Industria Grafica PistolesiVia della Resistenza, 117
53035 Monteriggioni (Siena)
L’ULTIMO SECOLOdella repubblica di siena
arti, cultura e società
atti del convegno internazionale, siena 28-30 settembre 2003 e 16-18 settembre 2004
comitato scientificoProf. Julian Gardner, Prof. Michael Mallett (University of Warwick)
Dott. Christine Shaw (University of Cambridge)Dott. Fabrizio Nevola (Oxford Brookes University)
Prof. Gioachino Chiarini, Prof. Roberto Guerrini (Università degli Studi di Siena)Prof. Mario Ascheri (Università degli Studi Roma Tre)
enti promotoriAccademia Senese degli Intronati
Centro Warburg Italia, SienaComune di Siena
Università degli Studi di SienaUniversity of Warwick
finanziamento del convegnoArts and Humanities Research Board, uk
Fondazione Monte dei Paschi di SienaBanca Monte dei Paschi di Siena
Università degli Studi di Siena
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Elenco delle illustrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Avvertenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
cultura umanistica a siena nel rinascimento
Gioachino Chiarini (Università di Siena)I volti di Orfeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Stefano Carrai (Università di Siena)Benedetto da Cingoli e la poesia a Siena nella seconda metà del Quattrocento . . . . 29
Marilena Caciorgna (Università di Siena)Da Ovidio a Domenico da Monticchiello. Presenza e connotazioni paradigmatichedelle Heroides nella cultura senese del Rinascimento . . . . . . . . . . . . 37
Alberto Cornice (Siena)Dipintori, apparati e ‘allegrezze’ in un memoriale di Contrada . . . . . . . . 71
Patrizia Turrini (Archivio di Stato, Siena)Identificarsi attraverso il segno. Cultura umanistica e bestiario delle Contrade . . . . 85
Ann C. Huppert (University of Kansas)Roman Models and Sienese Methods: Baldassarre Peruzzi’s Designs for San Domenico . 107
Gilda Bartoloni (Università di Roma, La Sapienza)e Piera Bocci Pacini (Soprintendenza Archeologica, Firenze)Annio da Viterbo e Sigismondo Tizio:dalle fonti storiche alla documentazione archeologica . . . . . . . . . . . 121
vivere all’antica: architettura e interni
Fabrizio Nevola (Oxford Brookes University)Strategie abitative dell’élite senese tra ‘400 e ‘500:politica, alleanze ed architettura . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
Matthias Quast (Kunsthistorisches Institut, Firenze)I palazzi del Cinquecento a Siena:il linguaggio della facciate nel contesto storico politico . . . . . . . . . . . 153
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SOMMARIO
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Renata Samperi (Università di Roma, La Sapienza)Baldassarre Peruzzi e il castello di Belcaro: il progetto e gli interventi . . . . . . 171
Giulia Sebregondi (Istituto Universitario di Architettura, Venezia)Bernardino Francesconi e la sua nuova domus:committenza senese per Baldassarre Peruzzi . . . . . . . . . . . . . . 189
Maurizio Ricci (Soprintentendenza per B. A. e P. dell’Emilia)Architettura all’antica a Siena negli ultimi anni della Repubblica:Bartolomeo Neroni detto il Riccio . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
Marco Ciampolini (Accademia d’Arte, Sassari)Due episodi della decorazione a grottesca nella Siena di primo Cinquecentoe un esempio di valorizzazione e recupero dell’arte rinascimentale a metà Ottocento . . 227
Mario Luccarelli (Siena)La maiolica a Siena nel Rinascimento . . . . . . . . . . . . . . . 237
Bernardina Sani (Università di Siena)Un Episodio di mecenatismo a Siena tra la fine della Repubblica e il Principato mediceo:Marcello e Ippolito Agostini, marchesi di Caldana . . . . . . . . . . . . 241
Paula Hohti (Helsinki Collegium for Advanced Studies)Artisans, Pawn-broking and the Circulation of Material Goodsin Sixteenth-century Siena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271
arte e devozione
Elda Costa e Laura Ponticelli (Siena)Novità iconografiche nella lettura degli affreschi del Pellegrinaio . . . . . . . 285
Trinita Kennedy (New York University)Religious Architecture in Renaissance Siena:The Building of Santa Maria degli Angeli in Valli . . . . . . . . . . . 293
Tim Smith (De Paul University, Chicago)Siena, the Holy Land and the Chapel of Saint John the Baptist . . . . . . . . 311
Gail Aronow (New York)Towards a Biography of Alberto Aringhieri, Operaio del Duomo di Siena . . . . . 323
Tom Henry (London)«Magister Lucas de Cortona, famosissimus pictor in tota Italia… fecisse etiammultas pulcherrimas picturas in diversis civitatibus et presertim Senis» . . . . . 355
Machtelt Israëls (University of Amsterdam)Al cospetto della città. Il Sodoma a Porta Pispini,culmine di una tradizione civica . . . . . . . . . . . . . . . . . 367
sommario
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Philippa Jackson (London)The Cult of the Magdalen: Politics and Patronage under the Petrucci . . . . . . 391
Diana Norman (The Open University, uk)The Chapel of Saint Catherine in San Domenico: A Studyof Cultural Relations Between Renaissance Siena and Rome . . . . . . . . . 405
Wolfgang Loseries (Kunsthistorisches Institut, Florenz)Un theatrum sacrum del Sodoma: la Cappella di Santa Caterina . . . . . . . 421
ingegneri senesi e le arti militari
Francesco Benelli (Columbia University)Ipotesi sulla formazione di Francesco di Giorgio Martinicome architetto teorico militare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 437
Simon Pepper (University of Liverpool)The Siege of Siena in its International Context . . . . . . . . . . . . . 451
Raffaello Vergani (Università degli Studi di Padova)Miniere e minerali nella Pirotechnia di Biringuccio:natura, ricerca, sfruttamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 467
musica
Frank A. D’Accone (ucla)Music Education in Siena in the 16 th Century . . . . . . . . . . . . . 479
Colleen Reardon (University of California, Irvine)Of Saints and Singers: Music at Santi Abbondio e AbbondanzioDuring the Cinquecento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 493
William F. Prizer (University of California, Santa Barbara)Siena and Northern Italy: The Secular Music of the Republic . . . . . . . . 501
Indice dei nomi e dei luoghi . . . . . . . . . . . . . . . . . 517
sommario
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Gioachino ChiariniI volti di Orfeo
1. La discesa agli Inferi di Ulisse di Polignoto nella ricostruzione di C. Robert (1893).2. Amuleto da Scutari: Cristo in croce come ‘Orpheos Bakkikos’ (III-IV sec.).3. Morte di Orfeo (vaso greco da Chiusi, cfr. Lexicon Iconographicum s.v. Orpheus 35, 20, 47).4. Morte di Orfeo (incisione in rame, Italia Settentrionale, XV sec.).5. Morte di Orfeo, incisione di A. Dürer (1494).6. Morte di Orfeo, incisione dall’edizione veneziana delle Metamorfosi di Ovidio (1497).7. Orfeo-Cristo circondato da due agnelli (Catacombe di Callisto, III secolo).8. Il cosiddetto ‘Orfeo di Gerusalemme’ (Museo Archeologico di Istambul, mosaico del VI secolo d. C.).9. Maestro di Stratonice, Ratto di Proserpina (pannello ligneo, ante 1482).10. Maestro di Stratonice, Orfeo ed Euridice (pannello ligneo, ante 1482).11. Plutone, incisione dall’Ovide Moralisé (XIII-XIV sec.).12. L’Uomo-Zodiaco, dal Libro d’ore del Duca de Berry (post 1417).13. Orfeo siede nella foresta e suona, affresco da Ovidio di Baldassarre Peruzzi (Farnesina, attorno al 1510).14. Orfeo con lo specchio, commesso marmoreo colorato, Cappella di S. Caterina in S. Domenico di
Siena (fine XV sec.).15. Il combattimento del principio maschile e di quello femminile (da Aurora Consurgens, Zurigo,
Zentralbibliothek, Ms. Rh 172, inizi XV sec.).16. Ertmete Trismegisto dona all’umanità la sapienza (codice del XV sec.).17. Orfeo tra gli animali, dipinto di Giorgio di Giovanni (ora in Cecoslovacchia).18. Davide sconfigge Golia, tarsia nel transetto del Duomo di Siena (1423).
Marilena CaciorgnaDa Ovidio a Domenico da Monticchiello.Presenza e connotazioni paradigmatiche delle Heroidesnella cultura senese del Rinascimento
19. Miniaturista francese del xvi secolo, Storie di Enone: Enone scrive a Paride; Paride incide il nome diEnone sulla corteccia di un faggio; Enone e Paride; Morte di Enone. Parigi, Bibliothèque Nationale deFrance, Richelieu Manuscrits Francais 873, c. 27v.
20. Bottega di Francesco di Giorgio Martini, Giudizio di Paride. Addio di Paride a Enone. Malibu, GettyMuseum.
21. Maestro del Codice Squarcialupi, Paride incide il nome di Enone sulla corteccia di un faggio, particola-re. Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P. 13 bis, c. 18r.
22. Maestro del Codice Squarcialupi, Banchetto di Elena e Menelao. Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P.13 bis, c. 62r.
23. Maestro del Codice Squarcialupi, Ritratto di Ovidio. Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P. 13 bis, c. iiiv.24. Incisore del xv secolo, Enone consegna la lettera a Paride. Ovidio, Heroides [volgarizzamento di Filip-
po Ceffi?], Napoli, Francesco del Tuppo, ca. 1480, c. b6v.25. Incisore del xv secolo, Arianna abbandonata da Teseo. Ovidio, Heroides [volgarizzamento di Filippo
Ceffi?], Napoli, Francesco del Tuppo, ca. 1480, c. d8r.26. Incisore del xv secolo, Arianna abbandonata da Teseo. Ovidio, Heroides [volgarizzamento di Filippo
Ceffi?], Napoli, Francesco del Tuppo, ca. 1480, c. g6v.27. Incisore del xvi secolo, Enone scrive a Paride. Ovidio, Epistole Heroides Ovidii… commentantibus Anto-
nio Volsco et Ubertino Crescentinate… In Ibis vero Domitio Calderino et Christophoro Zaroto cum appendice…adacontium, Venetiis, per Bartholomeum de Zanis de Portensio, 1506, d6v.
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ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI
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28. Incisore del xvi secolo, Storie di Arianna e Teseo. Ovidio, Epistole Heroides Ovidii… commentantibusAntonio Volsco et Ubertino Crescentinate… In Ibis vero Domitio Calderino et Christophoro Zaroto cum appen-dice… adacontium, Venetiis, per Bartholomeum de Zanis de Portensio, 1506, h5r.
29. Incisore del xvi secolo, Banchetto di Elena, Menelao e Paride. Ovidio, Epistole Heroides Ovidii… commen-tantibus Antonio Volsco et Ubertino Crescentinate… In Ibis vero Domitio Calderino et Christophoro Zaroto cumappendice… adacontium, Venetiis, per Bartholomeum de Zanis de Portensio, 1506, 15r.
30. Incisore del xv secolo, Penelope al telaio. Ovidio, Heroides, traduzione di Domenico da Monticchiel-lo, Brescia, Battista Farfengo, 1491.
31. Bottega di Francesco di Giorgio Martini, Enone sorregge lo stemma Ugurgieri. Malibu, Getty Museum.32. Girolamo del Pacchia, Arianna abbandonata da Teseo. Siena, Collezione Chigi Saracini.33. Pittore senese del xv secolo, Suicidio di Didone. Avignone, Musée du Petit Palais.
Alberto CorniceDipintori, apparati e “allegrezze” in un Memoriale di Contrada
34. Siena, piazza del Mercato, settembre 1995. La ‘nave’ allestita nei festeggiamenti per la vittoria nelPalio di luglio (Foto: autore).
35. Siena, oratorio della Visitazione, il Chiesino dell’Onda. I delfini nell’epigrafe del 1589.36. Bernardino Oppi, festa nella Piazza in onore di Ferdinando ii e Vittoria della Rovere, 1650.
Ann C. HuppertRoman Models and Sienese Methods: Baldassarre Peruzzi’s Designs for San Domenico
37. Baldassarre Peruzzi, Temple of Venus Genetrix, Rome, entablature study. Gabinetto disegni e stam-pe degli Uffizi, Florence, A 389r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per il PoloMuseale Fiorentino).
38. Baldassarre Peruzzi, Santi Cosma e Damiano, Rome, detail of the Forma Urbis wall. Gabinetto dise-gni e stampe degli Uffizi, Florence, A 383r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale peril Polo Museale Fiorentino).
39. San Domenico, Siena, interior view. (Kunsthistorisches Institut, Florence).40. Baldassarre Peruzzi, San Domenico, Siena, proposed plan. Gabinetto disegni e stampe degli Uffi-
zi, Florence, A 342r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fioren-tino).
41. Baldassarre Peruzzi, San Domenico, Siena, proposed nave and vault elevation. Gabinetto disegni estampe degli Uffizi, Florence, A 1575r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per ilPolo Museale Fiorentino).
42. Baldassarre Peruzzi, Temple of Venus and Rome, Rome, studies. Gabinetto disegni e stampe degliUffizi, Florence, A 479r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fio-rentino).
43. Baldassarre Peruzzi, San Domenico, Siena, proposed plan. Gabinetto disegni e stampe degli Uffi-zi, Florence, A 339r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fioren-tino).
44. Baldassarre Peruzzi, San Domenico, Siena, proposed elevation. Ashmolean Museum, Oxford, Inv.1944.102.40.
45. Baldassarre Peruzzi, San Domenico, Siena, proposed plan detail. Gabinetto disegni e stampe degliUffizi, Florence, A 344r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fio-rentino).
46. Baldassarre Peruzzi, San Domenico, Siena, proposed plan. Gabinetto disegni e stampe degli Uffi-zi, Florence, A 338r. (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fioren-tino).
47. Baldassarre Peruzzi, Architectural studies. Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, Florence, A109r and 160r (photo montage). (Gabinetto Fotografico, Soprintendenza Speciale per il PoloMuseale Fiorentino).
elenco delle illustrazioni
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Gilda Bartoloni e Piera Bocci PaciniAnnio da Viterbo e Sigismondo Tizio: dalle fonti storiche alla documentazione archeologica
48. Volterra, stele di Aule Tite e Kourotrophos Maffei (Biblioteca Marucelliana di Firenze, ms. A 65).49. R. Maffei, Commentari Urbani, 1506, lib. xxxiii, p.463.50. S. Marmocchini, Discorsi in defensione della lingua toschana, 1544, c.15r.51. Mariano da Firenze, Tractatus de origine, nobilitate et de excellentia Tuscie, Firenze 1516.52. Iscrizione sulla base della Venere dello studiolo di Cosimo i, da A. F. Gori, Difesa dell’alfabeto degli anti-
chi Toscani pubblicato nel MDCCXXXVII dall’autore del Museo Etrusco, Firenze 1742, tavola ii.53. Statuetta di Venere in marmo alabastrino (Museo Archeologico di Firenze, depositi di Villa Corsini).54. O. A. Danielsson, Annius von Viterbo über die Gründungsgeschichte Roms, in Corolla Archaeologica.Prin-
cipi hereditario regni Sueciae Gustavo Adolpho dedicata, Lund 1932, fig. 2.55. Sarcofaghi da Cipollara, tomba scavata nel 1694, da F. Bussi, Monumenta xxi.56. Roma, l’obelisco di Piazza della Minerva, da G. Cipriani, Gli obelischi egizi: politica e cultura nella
Roma barocca, Firenze 1993.57. Annio da Viterbo, Epigrafi di Cipollara. München, Bayerischen Staatsbibliothek, cod. lat.716, f 83v.58. Manoscritto di S. Tizio, Historiae senensis, c. 98 (Biblioteca Apostolica Vaticana).59. Disegno di Mausoleo attribuito a Leonardo da Vinci (Paris, Musée du Louvre, Department de arts
graphiques).60. Ms. di S. Marmocchini, Dialogo in defensione della lingua toschana (Biblioteca Nazionale di Firenze,
Magliabechiana, classe xxviii, cod. 20, c.).61. Pianta dell’ipogeo di Montecalvario (Castellina in Chianti), da L. Milani, in Notizie degli Scavi di
Antichità, 1905.62. Iscrizioni su urne da Monterongriffoli, collezione Borghesi (London, British Library: ms. Sloane
3524, c. 65).
Fabrizio NevolaStrategie abitative dell’élite senese tra ‘400 e ‘500: politica, alleanze ed architettura
63. Dettaglio da Francesco Vanni, Sena Vetus Civitas Virginis (xilografia, Siena 1599), mostrante piazzaPostierla, via del Capitano e piazza Duomo. Biblioteca Comunale di Siena (Foto: Lensini/BCS).
64. Palazzo di Pandolfo Petrucci, detto ‘del Magnifico’ (Foto: Nevola).65. Palazzo Borghesi alla Postierla (Foto: Nevola).66. Dettaglio da Francesco Vanni, Sena Vetus Civitas Virginis (xilografia, Siena 1599), mostrante la piaz-
za del Campo e via del Casato. Biblioteca Comunale di Siena (Foto: Lensini/BCS).67. Palazzo di Sigismondo di Mariano Chigi in via del Casato (Foto: Nevola).68. Portale del Palazzo di Sigismondo di Mariano Chigi in via del Casato (Foto: Nevola).
Matthias QuastI palazzi del Cinquecento a Siena: il linguaggio delle facciate nel contesto storico-politico
69. Palazzo Borghesi, particolare del secondo piano superiore (Foto: Quast)70. Palazzo Del Taia (Foto: Quast).71. Palazzo Venturi, particolare (Foto: Quast).72. Palazzo Bargagli in via dei Termini (Foto: Quast).73. Palazzo Bandini Piccolomini Naldi (Foto: Quast).74. Palazzo Griffoli Bandinelli in Pantaneto (Foto: Quast).75. Palazzo Giglioli Bulla (Foto: Quast).76. Palazzo Bichi, facciata laterale in via dei Rossi, finestra a croce (Foto: Quast).77. Palazzo Vescovi (Foto: Quast).78. Palazzo Palmieri (Foto: Quast).79. Casa di Domenico Beccafumi (Foto: Quast).80. Palazzetto in via di Stalloreggi, 54 (Foto: Quast).81. Palazzo Chigi alla Postierla, facciata principale (Foto: Quast).82. Palazzo Zondadari Ceccuzzi, particolare (Foto: Quast).
elenco delle illustrazioni
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83. Palazzo Pecci in via di Città (Foto: Quast).84. Palazzetto in via dei Servi (Foto: Quast).
Renata SamperiBaldassarre Peruzzi e il castello di Belcaro: il progetto e gli interventi
85. Siena, castello di Belcaro. Pianta del piano terra (da L. Pollini, Il castello di Belcaro (Siena), in «Sienamonumentale», ii, 2, 1907, pp. 1-49).
86. Siena, castello di Belcaro. Pianta del piano nobile (da L. Pollini, Il castello di Belcaro…, cit.).87. Siena, castello di Belcaro. Veduta dal camminamento, sul lato del giardino (Foto: Samperi).88. Baldassarre Peruzzi, progetto per il castello di Belcaro (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi,
346 Ar).89. Siena, castello di Belcaro. Veduta del cortile verso il giardino (Foto: Samperi).90. Siena, castello di Belcaro. Veduta della facciata del palazzo, prima dei lavori di restauro (Foto:
Samperi).91. Siena, castello di Belcaro. Particolare del cornicione del palazzo, durante i lavori di restauro (Foto:
Samperi).92. Siena, castello di Belcaro. Particolare del cornicione del palazzo, prima dei lavori di restauro
(Foto: Samperi).93. Siena, palazzo Piccolomini Bellanti. Veduta dell’esterno (Foto: Samperi).94. Siena, castello di Belcaro. Veduta del muro di separazione tra cortile e giardino (Foto: Samperi).95. Siena, castello di Belcaro. Particolare dell’attacco tra la facciata del palazzo e il muro di separazio-
ne tra cortile e giardino (Foto: Samperi).96. Siena, castello di Belcaro. Muro di separazione tra cortile e giardino (rilievo di Renata Samperi).97. Siena, castello di Belcaro. Veduta della cappella e della loggia (Foto: Samperi).98. Siena, castello di Belcaro. Veduta dell’interno della cappella (Foto: Samperi).99. Siena, castello di Belcaro. Veduta dell’interno della loggia (Foto: Samperi).
Giulia Ceriani SebregondiBernardino Francesconi e la sua nuova domus: committenza senese per Baldassarre Peruzzi
100. Palazzo Francesconi, Siena: prospetto sud (Foto: Ceriani Sebregondi).101. Pianta della città di Siena con la localizzazione e l’epoca di costruzione dei principali palazzi fami-
liari. In evidenza la casa di famiglia dei Francesconi nel Terzo di Città, compagnia di Porta Salaia,e la nuova domus di Bernardino nel Terzo di Camollia, compagnia di S. Andrea (grafico CerianiSebregondi).
102. Schema del contesto urbano, delle nuove fondazioni e delle preesistenze di palazzo Francesconidalle indicazioni che emergono dai documenti d’acquisto del 1519-20 (grafico Ceriani Sebregondi).
103. Medaglia di fondazione di palazzo Francesconi, dritto. Siena, Museo Civico di Palazzo Pubblico,cat. 1072, diametro 46 mm (Foto: Ceriani Sebregondi).
104. Medaglia di fondazione di palazzo Francesconi, rovescio. Siena, Museo Civico di Palazzo Pubblico,cat. 1072, diametro 46 mm. (Foto: Ceriani Sebregondi).
105. Palazzo Francesconi, Siena: dettaglio della volta a grottesche attribuita a Bartolomeo di David. Nel-l’iscrizione si legge: «ber(n)ar. / fran. / md / xx / vii.» (Foto: Ceriani Sebregondi).
106. Palazzo Piccolomini Tedeschini, Siena: dettaglio dell’ultimo livello e della cornice terminale (Foto:Ceriani Sebregondi).
107. Palazzo Francesconi, Siena: dettaglio dell’ultimo livello e della cornice terminale del prospetto sud(Foto: Ceriani Sebregondi).
108. Ipotesi di ricostruzione della pianta del piano terra nella seconda metà del xvi secolo (graficoCeriani Sebregondi).
109. Palazzo Francesconi, Siena: ordine del piano terra del prospetto ovest del cortile (Foto: CerianiSebregondi).
110. Villa Chigi alla Lungara, detta Farnesina: dettaglio del piano terra (da Ch. L. Frommel, Die Farne-sina und Peruzzis architektonisches Fruehwerk, Berlin 1961).
111. Palazzo Massimo alle Colonne, Roma: prospetto (Foto: Ceriani Sebregondi).
elenco delle illustrazioni
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112. Palazzo Vescovi, Siena: prospetto (Foto: Ceriani Sebregondi).113. Palazzo Francesconi, Siena: finestra del piano nobile del prospetto sud (Foto: Ceriani Sebregondi).114. Palazzo Francesconi, Siena: ordine del piano nobile del prospetto sud del cortile (Foto: Ceriani
Sebregondi).
Maurizio RicciArchitettura all’antica a Siena negli ultimi anni della repubblica: Bartolomeo Neroni detto il Riccio
115. Siena, planimetria con la pianta del piano nobile di palazzo Guglielmi, scala originale 1:500 (Dis.di M. Ricci su cartografia del Comune di Siena).
116. Siena, Palazzo Guglielmi, facciata sul Casato di Sopra (Foto: Ricci).117. Siena, Palazzo Guglielmi, facciata su via di Sant’Agata (Foto: Ricci).118. Siena, Palazzo Guglielmi, facciata sul Casato di Sopra, finestre del piano nobile (Foto: Quast).119. Siena, Palazzo Guglielmi, facciata su via di Sant’Agata, particolare di uno degli avancorpi (Foto: Ricci).120. Roma, Palazzo Adimari Salviati, avancorpo (da aa. vv., Giulio Romano, Milano 1989, p. 110).121. Siena, Palazzo Tantucci, pianta del piano terra (da La sede storica del Monte dei Paschi di Siena. Vicen-
de costruttive e opere d’arte, a cura di F. Gurrieri, Firenze 1988).122. Siena, Palazzo Tantucci, facciata su via dei Montanini (Foto: Quast).123. Biblioteca Estense di Modena, Cod. gamma Z 2.2, f. 125r. Giovanni Antonio Dosio (?), particola-
re della facciata di palazzo Tantucci.124. Franz Rust, Veduta di Palazzo Tantucci e Palazzo Spannocchi, incisione (da G. Faluschi, Breve relazione
delle cose notabili della città di Siena, ivi 1784, tav. ix, p. 174).125. Archivio di Stato di Siena, Regie Fabbriche 291, fasc. xiv. Pianta parziale del piano terreno della R.
Dogana con il progetto del nuovo portico, 1861 (da La sede storica del Monte dei Paschi di Siena, cit.).126. Siena, Palazzo Tantucci, facciata su piazza Salimbeni (da La sede storica del Monte dei Paschi di Siena, cit.).127. Siena, Palazzo Tantucci, facciata su piazza Salimbeni, particolare con le finestre (da La sede storica
del Monte dei Paschi di Siena, cit.).128. Siena, Palazzo Tantucci, portale (Foto: Ricci).129. Firenze, Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 1518 A. Antonio da Sangallo il Giovane, prospetto del
criptoportico di Villa Madama, particolare (da G. Dewez, La Villa Madama. Memoria sul progetto diRaffaello, Roma 1990, fig. 13).
130. Windsor Castle, inv. 10484. Giovanni Antonio Dosio, alzato del portale di Vigna Alberini a Romadi Giulio Romano (da aa. vv., Giulio Romano, cit., p. 299).
Marco CiampoliniDue episodi della decorazione a grottesca nella Siena di primo Cinquecentoe un esempio di valorizzazione e recupero dell’arte rinascimentale a metà Ottocento
131. Armadio con sportelli dipinti da Bartolomeo di David (Firenze, Museo Nazionale di Palazzo Davanzati).132. Armadio con sportelli dipinti da Bartolomeo di David, particolare della decorazione a grottesche
con lo stemma della famiglia Verdelli (Firenze, Museo Nazionale di Palazzo Davanzati).133. Armadio con sportelli dipinti da Bartolomeo di David, particolare della decorazione a grottesche
(Firenze, Museo Nazionale di Palazzo Davanzati).134. Bartolomeo di David, volta decorata a grottesche, particolare (Siena, Palazzo Francesconi).135. Armadio con sportelli dipinti da Bartolomeo di David, particolare della decorazione a grottesche
(Firenze, Museo Nazionale di Palazzo Davanzati).136. Bartolomeo di David, volta decorata a grottesche, particolare (Siena, Palazzo Francesconi).137. Schienale di coro, retro (Siena, Santa Marta).138. Bottega di Domenico Beccafumi, frammenti con decorazione a grottesche (Siena, Santa Marta).139. Bottega di Domenico Beccafumi, frammenti con angeli sorreggenti gli stemmi Palmieri e De Gra-
matica (Siena, Santa Marta).140. Girolamo di Benvenuto, Santa Caterina da Siena riceve le stimmate, tempera su tavola entro Taberna-
colo in noce intagliato di Pietro Giusti (Siena, Istituto San Vincenzo de’ Paoli).141. Girolamo di Benvenuto, Santa Caterina da Siena riceve le stimmate, tempera su tavola (Siena, Istituto
San Vincenzo de’ Paoli).
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Mario LuccarelliLa maiolica a Siena nel Rinascimento
142. Dettaglio del Pavimento della Cappella Docci. Siena, S. Francesco (oggi murato nel chiostro d’ac-cesso alla chiesa).
143. Pietro e Niccolò Mazzaburroni, Pavimento per la Cappella Bichi. Siena S. Agostino.144. Manifattura senese fine XV secolo, Piatto con Corteo. Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche.145. Manifattura senese fine XV secolo, Boccale. Collezione privata.146. Manifattura senese fine XV secolo, Piattello con stemma Tantucci. Collezione privata.147. Manifattura senese inizi XVI secolo, Pavimento dell’Oratorio di Santa Caterina, 150.148. Manifattura senese inizi XVI secolo, Pavimento della Torre nel palazzo del Magnifico Petrucci,
1509. Londra, Victoria and Albert Museum.149. Manifattura senese inizi XVI secolo (già attribuito a Girolamo Genga), Piatto con raffigurazione
di Pan e i pastori. Londra, British Museum.150. Manifattura senese inizi XVI secolo, Piatto con raffigurazione del Ratto di Proserpina, datato 1524.
Collezione privata.151. Artista senese inizi XVI secolo, Libreria Piccolomini (dettaglio della decorazione a grottesche della
volta).152. Manifattura senese inizi XVI secolo, Albarello. Sèvres, Musée national de céramique.153. Mastro Benedetto di Giorgio da Faenza, Piatto con la raffigurazione di San Girolamo nel deserto.
Londra, Victoria and Albert Museum.
Bernardina SaniUn episodio di mecenatismo a Siena tra la fine della repubblica e il principato mediceo:Marcello e Ippolito Agostini, marchesi di Caldana
154. Siena, Via dei Pellegrini, Palazzo Venturi, poi Agostini, oggi Casini Casuccini (Foto: Bagnoli)155. Domenico Beccafumi, Volta affrescata, Siena, Palazzo Venturi, poi Agostini, oggi Casini Casuccini
(Foto: Lensini).156. Scultore sconosciuto del Cinquecento, Fregio, Siena, Palazzo Venturi, poi Agostini, oggi Casini
Casuccini (Foto Artistica, Siena).157. Cristoforo Roncalli e Prospero Antichi, detto il Bresciano, Decorazione della “camera della Musi-
ca”, Siena, Palazzo Venturi, poi Agostini, oggi Casini Casuccini (Foto Artistica, Siena).158. Marco Pino (?), Camera dipinta nello scudo della volta, Siena, Palazzo Venturi, poi Agostini, oggi
Casini Casuccini (Foto Artistica, Siena).159. Marco Pino (?), Camera dipinta nello scudo della volta, particolare, Siena, Palazzo Venturi, poi
Agostini, oggi Casini Casuccini (Foto Artistica, Siena).160. Marco Pino (?), Studio di Battaglia, Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, S. ii. 2, c. 12r.164. Prospero Antichi detto il Bresciano, Stucchi della Camera della Musica, particolare, Siena, Palaz-
zo Venturi, poi Agostini, oggi Casini Casuccini (Foto Artistica, Siena).162. Alessandro Casolani, Testa negroide, Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, S. iv. 13, c. 76v.
Elda Costa e Laura PonticelliNovità iconografiche nella lettura degli affreschi del Pellegrinaio
163. Agostino di Marsiglio, Personaggi dell’Antico Testamento e santi, 1439-1440, Siena, Spedale di S. Mariadella Scala, Sala del Pellegrinaio, soffitto, particolare della quinta campata.
164. Lorenzo di Pietro Vecchietta, La storia di Sorore, 1441, Siena, Spedale di S. Maria della Scala, Saladel Pellegrinaio.
165. Lorenzo di Pietro Vecchietta, La storia di Sorore (particolare), 1441, Siena, Spedale di S. Maria dellaScala, Sala del Pellegrinaio.
166. Anonimo scultore senese, Lastra figurata del canonico Francesco Tolomei, 1459, Siena, Duomo, tran-setto destro.
167. Anonimo scultore senese, Lastra figurata del canonico Vivo del Viva, 1468, Siena, Duomo, transettosinistro.
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168. Lorenzo di Pietro Vecchietta, La storia di Sorore (particolare), 1441, Siena, Spedale di S. Maria dellaScala, Sala del Pellegrinaio.
169. Domenico di Bartolo, L’ampliamento dello Spedale, 1443, Siena, Spedale di S. Maria della Scala, Saladel Pellegrinaio.
170. Domenico di Bartolo, L’ampliamento dello Spedale (particolare), 1443, Siena, Spedale di S. Mariadella Scala, Sala del Pellegrinaio.
Trinita KennedyReligious Architecture in Renaissance Siena: the Building of Santa Maria degli Angeli in Valli
171. Façade Elevation, Longitudinal Section, and Floor Plan of Santa Maria degli Angeli in Valli, Siena(after P. Laspeyres, Die Kirchen der Renaissance in Mittelitalien, Berlin, W. Spemann, 1882, plate xxvi).
172. Façade of Santa Maria degli Angeli (Photo: Nevola).173. The Cupola of Santa Maria degli Angeli in Valli, Siena (after R. Papini, Francesco di Giorgio architet-
to, Florence, Electa, 1946, vol. ii, plate 90).174. Andrea di Niccolò, frescoes on the interior of the dome of Santa Maria degli Angeli (Photo: Ken-
nedy).175. View of Siena from the South by F. B. Werner (detail), 1730 (after L. Bortolotti, Siena, Bari, Later-
za, 1983, pp. 136-137, fig. 113).176. Longitudinal Section, Façade Elevation, and Floor Plans of both stories of Santa Maria in Portico
in Fontegiusta, Siena (after P. Laspeyres, Die Kirchen der Renaissance in Mittelitalien, Berlin, W. Spe-mann, 1882, plate xxviii).
177. Interior view of Santa Maria in Portico a Fonteguista with inscription in the vaults, «Opus fecitMagister Franciscus Cristophori de Fidelibus de Como, mcccclxxxii» (Photo: Art Resource).
178. Longitudinal Elevation and Section of the Osservanza (after P. Laspeyres, Die Kirchen der Renaissan-ce in Mittelitalien, Berlin, W. Spemann, 1882, plate xxvii).
179. Late Nineteenth-Century View of the Church and Convent of the Osservanza Outside Siena(Photo: Brogi / Art Resource, NY)
180. Longitudinal Elevation of San Bernardino near Urbino (after R. Papini, Francesco di Giorgio archi-tetto, Florence, Electa, 1946, vol. iii, Plate xii).
Timothy B. SmithSiena, the Holy Land and the Chapel of Saint John the Baptist
181. Bartolo di Fredi, Adoration of the Magi, 1335-38, Pinacoteca Nazionale, Siena (Photo: Scala / ArtResource, NY).
182. Chapel of Saint John the Baptist, c. 1482-1504, Siena Cathedral (Photo: Scala / Art Resource, NY).183. Right Arm and Hand of John the Baptist Presented to the Knights of Rhodes, G. Caoursin, Obsidionis Rho-
diae urbis descriptio, Ulm, 1496, 46v. (Photo: Courtesy of the Newberry Library).184. Siege of Antioch, 1597, Sala del Consiglio, Palazzo Pubblico, Siena (Photo: Scala / Art Resource, NY.185. Matteo di Giovanni, Massacre of the Innocents, 1481, Siena Cathedral (Photo: Scala / Art Resource, NY).186. Arculph Plan of the Holy Sepulcher, c. 670, Grundriss der Grabeskirche in Jerusalem, f. 4 (Photo:
Österreichische Nationalbibliothek, Wien).187. Pinturicchio, Alberto Aringhieri, 1503-04, Chapel of the Baptist, Siena Cathedral (Photo: Scala / Art
Resource, NY).188. Donatello, Saint John the Baptist, 1457, Chapel of the Baptist, Siena Cathedral (Photo: Scala / Art
Resource, NY).189. Pinturicchio, Young Knight, 1503-04, Chapel of the Baptist, Siena Cathedral (Photo: Scala / Art
Resource, NY.190. Apparition of the Baptist and Virgin During the Siege of Rhodes, G. Caoursin, Obsidionis Rhodiae urbis
descriptio, Ulm: 1496, 11v (Photo: Courtesy of the Newberry Library).
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Gail AronowTowards a Biography of Alberto Aringhieri, Operaio del Duomo di Siena
191. Pinturicchio, Alberto Aringhieri Knight of Rhodes, Chapel of San Giovanni Battista, Cathedral, Siena(Photo: Lensini).
192. Pinturicchio, Luzio Aringhieri (?) Knight of Rhodes, Chapel of San Giovanni Battista, Cathedral, Siena(Photo: Lensini).
193. Pinturicchio, Aeneas Sylvius presenting Eleonora of Aragon to Frederick III, Piccolomini Library, Cathe-dral, Siena (Photo: Lensini).
194. Inscription beneath the Massacre of the Innocents, Pavement, Cathedral, Siena (Photo: Lensini).195. Composite tomb of Niccolò Aringhieri and Guglielmo di Ciliano from San Domenico, entrance
court of University, Siena (Photo: Aronow).196. Relief with Aringhieri arms, 89 via dei Termini, Siena (Photo: Aronow).197. AOMS 450, Entrata e Uscita, cover inscribed «al tempo del nuovo reggimento» (Photo: Aro-
now).198. Maiolica Pavement with Piccolomini arms, Reliquary chamber, Chapel of San Giovanni Battista,
Cathedral, Siena (Photo: Lensini).
Tom Henry«Magister Lucas de Cortona, famosissimus pictor in tota Italia…Fecisse etiam multas pulcherrimas picturas in diversis civitatibus et presertim Senis»
199. Luca Signorelli & Francesco di Giorgio, Reconstruction of the Bichi Altarpiece (published by MaxSiedel, 1984).
200. Luca Signorelli, Saints Eustochium, Mary Magdalen, Jerome (oil on panel, Staatliche Museen, Berlinno. 79).
201. Luca Signorelli, Saints Augustine, Catherine of Alexandria and Anthony of Padua (oil on panel, Staatli-che Museen, Berlin no. 79).
202. Luca Signorelli, Christ in the House of Simon the Pharisee (oil on panel, National Gallery of Ireland,Dublin, no. 266).
203. Luca Signorelli, Lamentation over the Dead Christ (oil on panel, Stirling-Maxwell collection, PollokHouse, Glasgow, PC 25).
204. Luca Signorelli, Martyrdom of Saint Catherine of Alexandria (oil on panel, Sterling and Francine ClarkArt Institute, Williamstown, Massachusetts, Inv. no. 952).
205. Luca Signorelli, Two Nude Youths (oil on panel, Toledo Museum of Art, Toledo, Ohio, Acc. no.55.222 A).
206. Luca Signorelli, Man, Woman and Child (oil on panel, Toledo Museum of Art, Toledo, Ohio, Acc.No. 55.222 B).
207. Luca Signorelli, Tiburtine Sibyl, fresco, Bichi chapel, Sant’ Agostino, Siena (Foto: Lensini)208. Luca Signorelli, Eritraean Sibyl, fresco, Bichi chapel, Sant’ Agostino, Siena (Foto: Lensini)209. Francesco di Giorgio, Angel, bronze, Duomo, Siena (Foto: Lensini).210. Luca Signorelli, Annunciation (oil on panel, Pinacoteca Civica, Volterra).211. Master of the Patient Griselda, Artemesia (oil on panel, Museo Poldi Pezzoli, Milan, 1126/473)212. Luca Signorelli, How Saint Benedict knew that two monks had eaten outside the Monastery, fresco, Mon-
teoliveto Maggiore, Siena (Foto: Lensini).213. Luca Signorelli, How Saint Benedict reproved Fra Valerian’s brother for breaking his fast, fresco, Monteo-
liveto Maggiore, Siena (Foto: Lensini).214. Letter from Signorelli to Corrado Tarlatini (recto) (paper, Pierpont Morgan Library, New York).
Machtelt IsraëlsAl cospetto della città. Sodoma a Porta Pispini e la tradizione pittoricadelle porte urbiche di Siena
215. La Vergine protegge Siena, 1502, xilografia, 12,5 x 17,7 cm, da Lancillotto Politi, La sconficta di MonteAperto, Siena 1502 (Foto: Lensini).
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216. Lippo Vanni, San Paolo, parte della Battaglia di Val di Chiana, 1363, affresco, 3,50 x 1,80 cm, Saladel Mappamondo, Palazzo Pubblico, Siena (Foto: Lensini).
217. Maestro Duccesco, Madonna del Laterino o Madonna delle Due Porte di Fuori, inizi del ‘300, affresco,140 x 100 cm, lato esteriore delle Due Porte, Siena (Foto: Leoncini).
218. Porta Pispini, Siena, circa 1328.219. Giovanni di Lorenzo, L’Immacolata protegge Siena durante la battaglia di Camollìa, 1528, tempera su
tavola, 239,5 x 174 cm, chiesa di San Martino, Siena (Foto: Lensini).220. Johann Anton Ramboux, disegno della Madonna della Cappella di Piazza del Sodoma, 1832-1842,
matita su carta, Sammlung von Umrissen und Durchzeichnungen, vol. x, p. 16, Städelsches Kun-stinstitut, Frankfurt (Foto: Ursula Edelmann).
221. Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, Natività di Cristo, affresco staccato, circa 580 x 540 cm,profondità del sottarco circa 185 cm, controfacciata, San Francesco, Siena, originariamente PortaPispini, Siena (Foto: Lensini).
222. Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, Natività di Cristo, affresco, Porta Pispini, Siena (Foto: Ali-nari, intorno al 1900).
223. Johann Anton Ramboux, disegno dell’affresco della Natività di Cristo del Sodoma su Porta Pispini,1832-1842, matita su carta, Sammlung von Umrissen und Durchzeichnungen, vol. x, p. 16, Städel-sches Kunstinstitut, Frankfurt (Foto: Ursula Edelmann).
224. Domenico Beccafumi, Natività di Cristo, 1523?, olio su tavola, 390 x 235 cm, chiesa di San Marti-no, Siena (Foto: Lensini).
Philippa JacksonThe Cult of the Magdalen:Politics and Patronage under the Petrucci
225. Già attribuita a Guidoccio Cozzarelli, Biccherna, 1488, raffigurante Il ritorno dei noveschi. London,The British Library, H. Davis Gift.
226. Artista della fine del XV secolo, Concistoro, 1497, raffigurante La Maddalena e la Lupa senese. Siena,Archivio di Stato.
Diana NormanThe Chapel of Saint Catherine in San Domenico.A Study of Cultural Relations between Renaissance Siena and Rome
227. Sodoma, The Swooning of Saint Catherine of Siena, c. 1526-1536, fresco. Siena, San Domenico, Cha-pel of Saint Catherine of Siena (Photo: Kunsthistorisches Institut Florenz).
228. Sodoma, The Execution of Niccolò di Tuldo, detail, c. 1526-1536, fresco. Siena, San Domenico, Cha-pel of Saint Catherine of Siena (Photo: Kunsthistorisches Institut Florenz).
229. Sodoma, The Marriage of Alexander and Roxane, c. 1516-1518, fresco. Rome, Villa Farnesina (Photo:Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, Roma).
230. Rome, Santa Maria sopra Minerva, Carafa Chapel (Photo: Istituto centrale per il catalogo e ladocumentazione, Roma).
231. Rome, Santa Maria sopra Minerva, detail of south west corner of Carafa Chapel (Photo: Istitutocentrale per il catalogo e la documentazione, Roma).
232. Filippino Lippi, The Miraculous Vision of Saint Thomas Aquinas, detail, c. 1488-1493, fresco. Rome,Santa Maria sopra Minerva, Carafa Chapel (Photo: Istituto centrale per il catalogo e la documen-tazione, Roma).
233. Seated Boy with Serpent (The Infant Hercules?), Roman statue after Hellenistic type of 3rd cen-tury BCE, marble. Rome, Musei Vaticani, Galleria dei Candelabri, (Photo: Musei Vaticani, Città delVaticano).
234. Siena, San Domenico, Chapel of Saint Catherine of Siena, altar, reliquary tabernacle and altar wall(Photo: Kunsthistorisches Institut Florenz).
235. Plan of Santa Maria sopra Minerva with the Carafa Chapel (no. 8) and the Capranica Chapel (no.10). (Photo: reproduced from R. Beny and P. Gunn, The Churches of Rome, London, Weidenfeld andNicolson, 1981, p. 150).
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236. Reliquary Tomb of Saint Catherine of Siena, c. 1430, 1464-1471, marble. Rome, Santa Maria sopraMinerva, below high altar (Photo: Carol Richardson).
Wolfgang LoseriesUn Theatrum sacrum del Sodoma: la cappella di Santa Caterina
237. Il Sodoma, Lo svenimento di santa Caterina da Siena, 1526, affresco, Siena, San Domenico, Cappelladi santa Caterina.
238. Il Sodoma, La decapitazione di Niccolò di Tuldo, 1526, affresco, Siena, San Domenico, Cappella disanta Caterina.
239. La decapitazione di Niccolò di Tuldo (fig. 2), particolare con la chiesa di Santa Maria dei Servi a Siena240. La chiesa di Santa Maria dei Servi a Siena prima dei restauri del 1926/27.241. Francesco Vanni, Pianta della città di Siena, incisione su rame, circa 1597, particolare con la Val di
Montone e le chiese di Santa Maria dei Servi e Sant’Agostino.242. La decapitazione di Niccolò di Tuldo (fig. 2), particolare con la chiesa di Sant’Agostino a Siena243. La chiesa di Sant’Agostino a Siena.244. Veduta della Val di Montone di Siena con le chiese di Santa Maria dei Servi e Sant’Agostino.245. Il Sodoma, San Benedetto accoglie Mauro e Placido, 1505-1508, affresco, Monteoliveto Maggiore.246. Pinturicchio, La Vita di Papa Pio II Enea Silvio Piccolomini, 1503-1508, ciclo di affreschi, Siena,
Duomo, Libreria Piccolomini.247. Baldassarre Peruzzi, Decorazione illusionistica del Salone delle Prospettive, 1518/19, affreschi, Roma,
Villa Farnesina.248. Il Sodoma, Le Nozze di Alessandro e Rossane (particolare), 1518/19, affresco, Roma, Villa Farnesina.249. Artista Ferrarese (?), Prospettiva teatrale, 1520, tempera su tavola, Firenze, Collezione Strozzi.250. Sebastiano Serlio, Prospettiva teatrale per la Scena Comica, silografia, in: Secondo libro di prospettiva,
Venezia 1619, fol. 26v.251. Domenico Beccafumi, Prospettiva teatrale con la veduta di Pisa, circa 1540, penna acquerellata, già
Firenze, Collezione Sir John Pope-Henessy.252. Girolamo Bolsi da Bartolomeo Neroni detto Il Riccio, Prospettiva teatrale con la veduta della Via del
Capitano in Siena per la commedia “L’Ortensio” di Alessandro Piccolomini, circa 1589, chiaroscuro.253. Frontespizio della Sacra Rappresentazione Lauda in Decollatione S[ancti] Joh[annis] Baptiste, silografia254. La decapitazione di Niccolò di Tuldo (fig. 2), particolare.255. Perin del Vaga (da un disegno di Raffaello)?, Alessandro che fa deporre nella tomba di Achille i poemi
omerici, Roma, Palazzo del Vaticano, Stanza della Segnatura.256. Albrecht Dürer, Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, circa 1498, silografia.257. Il Sodoma, Madonna col Bambino, tavola dipinta del cataletto della Compagnia di San Giovanni Bat-
tista della Morte, 1526, Siena, Museo dell’Opera della Metropolitana.
Francesco BenelliIpotesi sulla formazione di Francesco di Giorgio Martini come architetto e teorico militare
258. Francesco di Giorgio Martini, Taccuino Vaticano, Vat. Urb. Lat. 1757, f. 3v. (Biblioteca ApostolicaVaticana).
259. Francesco di Giorgio Martini, Taccuino Vaticano, Vat. Urb. Lat. 1757, f. 60v. (Biblioteca ApostolicaVaticana).
260. Francesco di Giorgio Martini, Taccuino Vaticano, Vat. Urb. Lat. 1757, f. 72v. (Biblioteca ApostolicaVaticana).
261. Francesco di Giorgio Martini, Taccuino Vaticano, Vat. Urb. Lat. 1757, f. 73r. (Biblioteca ApostolicaVaticana).
262. Francesco di Giorgio Martini, Taccuino Vaticano, Vat. Urb. Lat. 1757, f. 170v. (Biblioteca Apostoli-ca Vaticana).
263. Volterra, veduta della rocca. In evidenza il puntone ed una torre angolare. (Foto: Benelli).264. Volterra, veduta della rocca. Mura e torri angolari. (Foto: Benelli).
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Simon PepperThe Siege of Siena in its international Context
265. Siena’s fortifications in the mid-sixteenth century. The plan shows an outline of the walls with thefortifications pre-1550 (thin line); the fortifications of 1550-55 (thick line); works not completedduring 1550-55 (broken line). The numbers on the plan refer to the significant locations aroundthe walls: 1,2,3: Forts built at Camollia during spring of 1553. 4: Curtain wall linking the Camol-lia forts to the citadel, begun in the summer of 1553 but incomplete at the time of the siege. 5:Torrione Dipinto (medieval tower gate and barbican). 6: Torrazzo di Mezzo (medieval tower gateand barbican). 7, 8: Batteries constructed in spring 1554. 9-16: Earthworks built 1553-4 in formindicated on contemporary plan attributed to Giovanni Battista Belluzzi.
266. Siena and its Environs During the Siege. Squares mark the fortified positions on the approaches(in many cases held initially by the defenders, but progressively captured and occupied by theImperialists as the blockade tightened). Note the Ravacciano position to the northeast of Siena,which was the site of the failed Imperial bombardment of January 1555.
267. The Siege of Mirandola, 1552, from Maggi and Castriotto, Della fortificatione (1564) showing theuse of isolated forts in the tagliata, the area of cleared ground where the stumps of cut-down treesare shown sprouting shoots.
268. The Capture of Port’Ercole. Drawing based on Vasari’s fresco in the Salone dei Cinquecento,Palazzo Vecchio, Florence. The line drawing simplifies the fresco so that we may pick out the majorelements of the defence system. A: The sandy spit joining the Monte Argentario to the mainland.B: First Imperial camp at Pertuso. C: Peiro Strozzi’s escape by sea. D: The Rocca of Port’Ercole. E:Harbour of Port’Ercole, showing westward extension of waterline. F: Fort Galera (now site of FortFilippo). G: Fort Guaspartino. H: Fort Erculetto, surrounded by small boats from night attack. J:Fort Sant’Elmo. K: Fort Avvoltoio. L: Fort Stronco. M: Imperial batteries engaging the Stronco. N:Second Imperial Camp.
Raffaello VerganiMiniere e minerali nella Pirotechnia di Biringuccio: natura, ricerca, sfruttamento
269. Frontespizio da V. Biringuccio, De la Pirotechnia libri X, Venetia, Venturino Roffinello, 1540.270. L’officina del fabbro e, a destra, ingresso di miniera (Biringuccio, De la Pirotechnia libri, cit., f. iiir).271. Strumenti di scavo e di trasporto del minerale (Biringuccio, De la Pirotechnia libri, cit., f. vv).
William F. PrizerSiena and Northern Italy: the Secular Music of the Republic in the Early Sixteenth Century
272. P. Sambonetto, Canzone, sonetti, strambotti et frottole, libro primo, Colophon.273. P. Sambonetto, Canzone, sonetti, strambotti et frottole, libro primo, fol. 46v.274. P. Sambonetto, Canzone, sonetti, strambotti et frottole, libro primo, title page.275. Canzoni nove con alcune scelte de varii libri di canto (Rome: Andrea Antico, 1510), title page.
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Questo volume raccoglie le relazioni che affrontano le tematiche storico-culturali(arte, architettura, musica) presentate nell’ambito dei due convegni internazionalisvoltisi a Siena nel mese di settembre del 2003 e del 2004, dal titolo Siena nel Rinasci-mento: l’ultimo secolo della repubblica. Questo volume quindi affianca quello precedente-mente uscito per i tipi dell’Accademia degli Intronati, a cura di Mario Ascheri e Fabri-zio Nevola, L’ultimo secolo della Repubblica di Siena. Politica e istituzioni, economia e società,che invece riuniva i contributi di taglio politico-istituzionale e socio-economico. In talmodo, la vasta mole di lavori svolti si ricongiunge, offrendo al lettore attento unapanoramica interdisciplinare sullo stato della ricerca sulla città di Siena fra Quattro eCinquecento1. Infatti, i due convegni hanno riunito a Siena storici di questa città pro-venienti da università e musei nazionali ed internazionali, dimostrando quanto inte-resse ancora susciti la straordinaria vicenda di Siena in quel periodo. Pertanto il con-vegno, che è risultato dalla proficua collaborazione fra le università di Siena e Warwick(uk), e grazie al contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, è anchedimostrazione delle possibilità che lo scambio reciproco fra enti e studiosi locali einternazionali può apportare all’avanzamento delle nostre conoscenze.
Come Mario Ascheri ha notato nell’introduzione al primo volume di questi Atti,negli ultimi anni le ricerche sulla storia di Siena nel Rinascimento, vista sotto diversiprofili disciplinari (storico-politico, storico-artistico ed architettonico, storico-lettera-rio ecc.), sono andate crescendo, sia in ambito nazionale che all’estero2. Si può bendire che oramai l’ultimo secolo della Repubblica senese non sia più un periododimenticato3. Monografie ed articoli hanno contribuito ad accrescere la conoscenzadi questa epoca complessa, brillante e di rilievo europeo della storia della città. Fino-ra è mancata l’occasione di riunire e confrontare i tanti studi svolti per dare un reso-conto sui risultati raggiunti e proporre nuove possibili direzioni di lavoro. L’obiettivodei due volumi di Atti è anche quello di presentare in unica sede i lavori di studiosiitaliani e stranieri per favorire lo scambio di materiale scientifico e di idee, rendendocosì anche conto al pubblico dei risultati scientifici raggiunti e del largo interessesuscitato dagli argomenti affrontati.
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1 Per la fortunata recente vicenda storiografica di Siena “nel Rinascimento”, vedi ora il saggio di E.Mecacci in «Bullettino Senese di Storia Patria», cxiv, 2007, pp. 337-346.
2 Questa breve nota introduttiva affianca il testo più ampio ed analitico, al quale rimandiamo il lettore:M. Ascheri, ‘Una introduzione verso una nuova storia del rinascimento a Siena’, in L’ultimo secolo dellaRepubblica di Siena. Politica e istituzioni, economia e società, a cura di M Ascheri e F. Nevola, Siena (AccademiaSenese degli Intronati), 2007, pp. 1-18.
3 Per la recente fortuna di questo tema anche all’estero, vedi la mostra tenutasi alla National Gallery diLondra con relativo catalogo, Renaissance Siena: Art for a City, L. Syson, A. Angelini, P. Jackson, F. Nevola,National Gallery Publications, London-New Haven 2007.
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avvertenza
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Il progetto, reso possibile dal fattivo sostegno dell’Accademia degli Intronati diSiena, del Centro Warburg Italia, dell’Accademia dei Rozzi e della stessa Universitàdegli Studi di Siena, è frutto di una lunga collaborazione scientifica fra l’Universitàdi Siena ed il ‘Centre for the Study of Elites and Court Cultures’ della University ofWarwick (uk)4. I primi contatti scientifici siglati fra Michael Mallett e Mario Aschericon una giornata di studi alla Certosa di Pontigano nel 1997, si concretizzarono conla creazione di un comitato scientifico composto da colleghi delle due università nel2002, i quali curarono il programma dei due convegni. A Siena è doveroso ricorda-re il lavoro del personale del Centro Convegni, come anche dello staff del GraduateCollege di Santa Chiara, dove si sono svolti la maggior parte dei lavori. L’apertura delconvegno del 2004 si è svolta nella stupenda cornice del Palazzo Pubblico, e ringra-ziamo l’amministrazione comunale per il privilegio concessoci di aver potuto avviarei nostri lavori in un ambiente tanto ameno, nonché di averci messo a disposizione laSala del Mappamondo quale ideale cornice per il concerto di apertura tenuto dalGruppo Polifonico Madrigalisti Senesi, che ha per l’occasione offerto un programmadi musica senese rinascimentale. Sempre nel 2004, grazie anche all’aiuto di EttorePellegrini, instancabile promotore di studi senesi, siamo stati ospiti dell’Accademiadei Rozzi per una sessione dei nostri lavori svoltasi nella Sala degli Specchi, ed un’in-dimenticabile cena.
All’Arts and Humanities Research Board (ora ahrc, uk), la Banca Monte deiPaschi di Siena, la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, l’Università degli Studi diSiena va il merito di aver finanziato l’aspetto convegnistico del progetto. La lungavicenda che si conclude con la pubblicazione di questi atti invece deve molto all’in-stancabile lavoro di redazione svolto da Gianni Mazzoni. A Roberto Barzanti invece,che ha personalmente incoraggiato la pubblicazione di questi Atti, e all’Accademiadegli Intronati che ha li ha accolti nella sua attività editoriale, vanno i nostri partico-lari ringraziamenti.
Questo volume è dedicato alla memoria del Professor Michael Mallett (1932-2008), insigne studioso del Rinascimento italiano, che contribuendo all'ideazione diquesto progetto convegnistico volle proporre Siena nel suo più ampio contesto inter-nazionale ed europeo.
Mario Ascheri, Gianni Mazzoni, Fabrizio Nevola
4 Da annoverare fra gli altri risultati editoriali di questa collaborazione, vedi anche Beyond the Palio:Urban Ritual in Renaissance Siena, a cura di P. Jackson e F. Nevola, Oxford (Blackwell’s Publishing) 2006,per il quale il sostegno del Centro Warburg Italia è stato essenziale
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DA OVIDIO A DOMENICO DA MONTICCHIELLO.PRESENZA E CONNOTAZIONI PARADIGMATICHE DELLE HEROIDES
NELLA CULTURA DEL RINASCIMENTO
marilena caciorgna
Deh, raguardate al malvagio Parissecome Oenone sposa,e poi pensosa la lasciò in tormento!Nason leggete, che ‘l suo pianto scripse
(Domenico da Prato, Rime 36,23-26)
La traduzione delle Heroides di Octavien de Saint-Gelais, dedicata a Carlo viii, ècontenuta in vari manoscritti di scuola francese preziosamente ornati1. In par-ticolare, un codice della Biblioteca Nazionale di Parigi comprende ventuno
pagine miniate che mostrano, per lo più, l’immagine dell’eroina in atto di scrivere lalettera al suo amante2. Alcuni fogli, tuttavia, illustrano una serie di episodi tratti dallastessa epistola, che incorniciano il riquadro principale. Nella epistula v, Oenone Paridi,sono tre le scene che contornano la raffigurazione della ninfa Enone, figlia del diofluviale Cebrene, amante di Paride prima che l’eroe rapisse Elena (fig. 19). I due sierano incontrati sul monte Ida, dove Paride era stato abbandonato dalla madreEcuba, la quale, poco prima della nascita del figlio, aveva sognato di dare alla luceuna fiaccola che commutava in fiamme la città di Troia. A causa del funesto presagio,il bambino venne esposto sulle pendici del monte. Dopo essere stato allattato daun’orsa, fu trovato da un pastore che lo allevò come un figlio3. Il domenicano Remi-gio Fiorentino, priore del convento di S. Zanipolo a Venezia nel 1566 e nel 1574, che
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1 P. Durrieu, J. J. Marquet de Vasselot, Les Manuscrits à Miniatures des Héroïdes d’Ovide traduites par Saint-Gelais et un grand miniaturiste français du XVI e siècle, «L’Artiste. Revue de l’art contemporain», lxiv, 1894, 1,pp. 331-47, 433-53 (pubblicato come fascicolo autonomo, Paris, 1894, pp. 1-36). Per un elenco dei testi-moni del volgarizzamento: R. H. Lucas, Medieval French Translations of the Latin Classics to 1500, «Speculum»,xlv, 1970, pp. 225-53. Vedi anche M. Zaggia, M. Ceriana, I manoscritti illustrati delle “eroidi” ovidiane volgar-izzate, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1996, p. 6 (con bibliografia). Sulla diffusione, in Francia, delle edi-zioni in latino delle Heroides, cfr. A. Moss, Ovid in Renaissance France. A Survey of the Latin Editions of Ovid andCommentaries Printed in France before 1600, London, The Warburg Institute, 1982, pp. 8-16.
2 Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Richelieu Manuscrits Français 873, c. 27v.3 Sul mito di Enone cfr. S. Casali, Enone, Apollo pastore e l’amore immedicabile: giochi ovidiani su di un topos
elegiaco, «md», xxviii, 1992, pp. 85-100.
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tradusse, fra gli altri testi classici, le epistole di Ovidio, così riassume il contenuto del-l’epistola dedicata a Enone:
Dimorando Paride nelle selve della Frigia come pastore, non come figliuolo di Priamo redi Troia, prese per moglie Enone ninfa di quel paese. Ma poi che egli fece il giudicio delletre Dee, essendogli stato promesso da Venere in premio del giudicio l’amore di Elena, eandando in Lacedemonia per ottenerla, si sparse la fama qualmente egli l’haveva rapita;il che inteso da Enone, ella scrive al marito questa pìstola, nella quale, ricordandogli il suoamore e la sua fede, cerca con molte ragioni di mettergli Elena in disgrazia, mettendogliinanzi la sua impudicitia e la infedeltà, che non essendo stata fedele al suo legittimo sposo,manco sarà ad un peregrino amante: ove il poeta dimostra la pudicitia d’una donna laquale per le ingiurie del marito non si rimuove dal proposito della sua onestà4.
Nell’edizione curata da Remigio Fiorentino nel 1560, rispetto alla princeps del1555, ogni epistola è arricchita, alla fine, da un breve commento. Non è sicuro chetali chiose siano di mano dell’autore, ma sono comunque «utili a documentare unprobabile uso dell’opera anche come repertorio mitologico di consultazione»5. Siveda ciò che viene detto in fondo all’epistola dedicata a Enone:
Del fine dell’amor di costoro non so dir altro se non che Paris, dispregiando ogni altradonna per amor de Elena, non dovette tener molta cura anche d’Enone. Onde veden-d’ella esser dispregiata, si dovette come ninfa ritornare nelle selve, pregando di vederquel fine di Paris e de Elena che desiderano di vedere ordinariamente tutte le donnedispregiate e gelose, ch’hanno convertito tutto l’amore in odio6.
Nella vignette centrale della miniatura francese, Enone, una figura solitaria controla foresta di esili alberi, indossa una solenne veste rossa ed è intenta a scrivere la let-tera a Paride che si allontana con la sua nave. Il momento evocato dall’artista è quel-lo del tragico abbandono che la ninfa rammenta, con toni appassionati, nell’epistolaovidiana. L’eroe troiano parte con la sua flotta. Il soffio marino gonfia le vele edEnone accompagna con lo sguardo la nave che si allontana sul mare. Intanto la spiag-gia si bagna delle lacrime della ninfa:
Una brezza leggera solleva le vele pendenti dal rigido albero e l’acqua biancheggia solle-vata dai remi. Io sventurata inseguo con gli occhi le vele che si allontanano, finché posso,e la sabbia si inumidisce delle mie lacrime7.
Alle spalle dell’eroina la foresta richiama il periodo trascorso insieme dai dueamanti quando Paride apprendeva l’arte della caccia da Enone, la quale gli mostravai luoghi in cui le fiere riparavano i piccoli, tendeva le reti e conduceva i cani veloci
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4 Remigio Nannini, Epistole d’Ovidio, San Mauro T.se (To), res, p. 51.5 Ibid., p. 275.6 Ibid., p. 61.
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sulla vetta dell’Ida:
Chi ti mostrava i luoghi adatti alla caccia e in quale grotta le fiere proteggiavano i loropiccoli? Spesso, come compagna di caccia, ho teso per te le reti divise in maglie, spessoho condotto i cani veloci per lunghe giogaie8.
Nella parte inferiore della miniatura è raffigurato l’episodio, relativo alla vicendadi Enone, più diffuso nell’arte del Rinascimento, ma anche in quella delle epochesuccessive9. Si tratta, come ricorda Ovidio, di Paride che incide sulla corteccia di unfaggio le lettere del nome dell’amata:
I faggi incisi da te conservano il mio nome, si legge “Enone” scritto dal tuo falcetto. E quan-to crescono i tronchi, altrettanto il mio nome: crescete ed ergetevi ritti per attestare i mieititoli! Ricordo che c’è un pioppo piantato sulla riva del fiume: sulla sua corteccia è scrittauna lettera a ricordo di me. O pioppo, vivi, ti prego: tu che, piantato al bordo della riva,porti questa iscrizione sulla rugosa corteccia: «Quando Paride potrà respirare, dopo avereabbandonata Enone, l’acqua dello Xanto, tornando indietro, correrà alla sua sorgente»10.
Sul lato inferiore sinistro della miniatura compaiono Enone e Paride a colloquio,mentre nella zona superiore viene mostrato il drammatico epilogo della storia dei dueamanti. Dopo che Paride ha abbandonato Enone per rapire Elena, la ninfa gli serbarancore, tanto che rifiuta di curarlo quando viene colpito da una delle frecce avvele-nate di Filottete. A Enone sono note le arti mediche e, per questo, Paride si rivolge alei. In seguito la ninfa si pente di non aver soccorso l’amante, cerca di raggiungere l’e-roe troiano con i medicamenti, ma è troppo tardi. Paride muore ed Enone, per ilrimorso, si uccide: forse si impicca11, forse si getta da una torre12, o muore sul rogo13.
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7 Oenone Paridi 5,45-54. Trad. it. A. Della Casa, in Opere di Publio Ovidio Nasone, vol. i, a cura di A. DellaCasa, Torino, utet, 1982, p. 263. «Aura levis rigido pendentia lintea malo / suscitat et remis eruta cenetaqua. / Prosequor infelix oculis abeuntia vela, / qua licet, et lacrimis umet harena meis».
8 Oenone Paridi 5,45-54. Trad. it. A. Della Casa, in Opere di Publio Ovidio Nasone, cit., p. 261. «Quis tibimonstrabat saltus venatibus aptos / et tegeret catulos qua fera rupe suos? / Retia saepe comes maculisdistincta tetendi, / Saepe citos egi per iuga longa canes».
9 Come risulta dalle mie ricerche condotte al Warburg Institute di Londra.10 Oenone Paridi 5,45-54. Trad. it. A. Della Casa, in Opere di Publio Ovidio Nasone, cit., pp. 261-63. «Inci-
sae servant a te mea nomina fagi / Et legor Oenone falce notata tua, / et quantum trunci, tantum meanomina crescunt: / crescite et in titulos surgite recta meos! / Populus est, memini, fluviali consita rivo, /est in qua nostri littera scripta memor. / Popule, vive, precor, quae consita margine ripae / Hoc in rugosocortice carmen habes: / “Cum Paris Oenone poterit spirare relicta / ad fontem Xanthi versa recurretaqua”». Il motivo del nome dell’amata inciso dall’innamorato sul tronco di un albero trova riscontro anchein altri autori antichi: Callim. Aitia fr. 74 Pfeiffer; Verg. ecl. 10,53-54; Prop. 1,18,22. Vedi in proposito ilcommento di E. Salvadori a Ov. her. 5,21-24 (Ovidio, Eroidi, introduzione, traduzione e note di E. Salvado-ri, Milano, Garzanti, 1996, p. 267).
11 Apollod. 3,12,6; Parthen. erot. 4; Konon narrat. 23.12 Lykophr. 65; Tzetz. a Lykophr.13 Q. Smyrn. 10,411-89.
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La morte di Enone costituisce senza dubbio una rarità iconografica. Nella minia-tura l’eroina è distesa sul letto, le braccia inerti sotto il lenzuolo bianco che forma unabanda, e, all’altezza del suo ventre, arde una piccola fiamma. È probabile che l’idea-tore del programma si sia ispirato alla tradizione seguita da Quinto Smirneo. NellePostomeriche si narra che Enone, in preda al dolore, si getta sulla pira costruita daipastori per bruciare il corpo di Paride, così morendo accanto al suo antico sposo:
Mentre così parlava, miserande delle palpebre scorrevanole lacrime; del legittimo sposo, che aveva incontrato la morte,memore, come cera al fuoco ella si scioglieva; ma di nascosto,ché provava ritegno per il padre e per le ancelle dai bei pepli;fin che sull’alma terra dall’Oceano vastosi riversò la notte, che porta ai mortali la tregua agli affanni.Ed ecco, si addormenta il genitore nelle case,e dormono le serve: Enone allora spalanca le porte della stanzae ne balza fuori a mo’ di procella: la portano le membra veloci […].Giunge ella avanzando sul monte dove anche le altreNinfe piangono sul cadavere di Alessandro.Ma il fuoco, impetuoso, lo ha già avvolto, ché intorno a luii pastori, venendo da ogni dove dal monte,gran massa di legna avevano ammucchiato, decisi a dare gli onoriestremi e il loro dolore a chi era stato e compagno e signore;e molto essi piangevano circondando la pira. Enone intanto,giunta dinanzi ad Alessandro, non stette a lamentarsi, pur afflitta,ma, avvolto il bel volto nel mantello,balzò improvvisamente sulla pira. Un grande pianto si levamentre ella brucia accanto allo sposo […]14.
Per quanto riguarda più in generale la storia dell’eroina, ho già avuto modo di for-mulare l’ipotesi che sia raffigurata in una fronte di cassone del Getty Museum di Mali-bu dipinta dalla bottega di Francesco di Giorgio Martini (fig. 20)15. Sulla sinistra dellatavola è illustrato il Giudizio di Paride: il giovane troiano, che indossa una ricca arma-tura, consegna il celebre pomo d’oro ad Afrodite alla presenza di Era ed Atena.Minerva, all’estrema sinistra, è riconoscibile dallo scudo, suo attributo. L’iconografiadel Giudizio è incontestabile. Allo stesso tempo informa lo spettatore che siamo, dicerto, in presenza di alcuni episodi legati alle gesta di Paride. Al centro una fanciul-
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14 Q. Smyrn. 10,432-40; 458-68. Per la trad. it. cfr. Quinto Smirneo, Le Postomeriche, libri viii-xiv, a curadi G. Pompella, Cassino, Garigliano, 1993, pp. 127, 129. La tomba dei due amanti, secondo Strabone, sitrovava presso il fiume Cebrene (Strabo 13,1,33).
15 M. Caciorgna, in M. Caciorgna, R. Guerrini, La Virtù figurata. Eroi ed eroine dell’antichità nell’artesenese tra Medioevo e Rinascimento, Siena, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2003, pp. 193-202; M.Caciorgna, Il naufragio felice. Studi di filologia e storia della tradizione classica nella cultura letteraria e figurativasenese, La Spezia, Agorà, 2004, pp. 91-139.
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la, con una lunga veste, ostenta un arco. Dietro di lei un gregge entro un recinto. Adestra, Paride, su un cavallo bianco, si intrattiene con lei.
È stato pressoché univocamente sostenuto che la scena dipinta a destra rappresen-ti il rapimento di Elena da parte di Paride16. L’iconografia sembra però collidere conquesta diffusa interpretazione: l’eroe è intento a salutare la fanciulla di fronte a lui,senza esercitare alcuna costrizione. Nel Rinascimento, d’altra parte, non ricorre l’ico-nografia del ‘ratto di Elena’ a cavallo. Sullo sfondo è visibile un giovane, in armaturae con un ampio mantello, che si dirige, cavalcando, verso le mura di una città. Que-sto dettaglio inappariscente risulta rivelatore. Sulla via che conduce alla città attornia-ta dalle mura, Paride, con il mantello al vento, cavalca da solo. Se l’ideatore del pro-gramma avesse voluto rendere la scena del ratto, Paride avrebbe dovuto portare consé Elena, sul cavallo chineo.
L’iconografia di Enone con l’arco, raffigurata al centro del dipinto, evoca il passodelle Heroides già richiamato (5,45-54), in cui Ovidio ricorda come la ninfa aveva inse-gnato l’arte della caccia all’eroe troiano. La conferma deriva da un codice risalenteal primo quarto del Quattrocento, l’Ambrosiano s. p. 13bis, decorato con numeroseminiature attribuite al Maestro del Codice Squarcialupi17. Il codice, che contiene ilvolgarizzamento delle Eroidi di Filippo Ceffi, corredato da numerose glosse margina-li, è stato realizzato a Firenze nel primo quarto del Quattrocento come dimostrano lamorfologia della scrittura, lo stile delle decorazioni e la veste linguistica della trascri-zione18. Mentre la provenienza del codice è fiorentina, la preziosa legatura è stata ese-guita a Venezia tra la fine del xv secolo e gli inizi del secolo successivo. Il passaggioda Firenze al Veneto deve allora essere avvenuto entro il primo Cinquecento. È statoipotizzato che il manoscritto facesse parte della biblioteca di Palla Strozzi, esule aPadova. Dopo la morte dello Strozzi, avvenuta nel 1462, alcuni suoi codici furono affi-dati alla biblioteca dell’abbazia di Santa Giustina a Padova, e in seguito dispersi. Peg-gior sorte subirono proprio i manoscritti in volgare, ritenuti di minor conto, la cuidispersione fu particolarmente rapida19.
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16 A. Mc Comb, A Cassone Panel by Francesco di Giorgio, «Art in America», xi, 1923, pp. 102-103; A. McComb, The Life and Works of Francesco di Giorgio, «Art Studies», ii, 1924, p. 19; R. Van Marle, The Develop-ment of the Italian Schools of Painting, vol. xvi, The Hague 1937, p. 257; H. Comstock, Francesco di Giorgio asPainter, «International Studio», lxxxix, 1928, p. 34; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford,The Clarendon Press, 1932, p. 202; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Central and North ItalianSchools, vol. i, London, Phaidon Press, 1968, p. 140; A. S. Weller, Francesco di Giorgio 1439-1501, Chicago,University of Chicago Press, 1943, pp. 115-16; B. B. Fredericksen, The Cassone Paintings of Francesco di Gior-gio, Malibu, J. Paul Getty Museum, 1969, pp. 33-35; B. B. Fredericksen, Catalogue of the Paintings in the J.Paul Getty Museum, Malibu 1978, n. 18; R. Toledano, Francesco di Giorgio Martini pittore e scultore, Milano,Electa, 1987, p. 96; L. B. Kanter, in K. Christiansen, L. B. Kanter, C. B. Strehlke, La pittura senese nelRinascimento 1420-1500, catalogo della mostra (New York, The Metropolitan Museum of Art, 20 dicembre1988-19 marzo 1989), trad. italiana, con un saggio storico di M. Ascheri, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi(Monte dei Paschi di Siena), 1989, pp. 338-339.
17 L. Bellosi, Il Codice Squarcialupi, in L. Bellosi, Come un prato fiorito. Studi sull’arte tardogotica, Milano,Jaca Book, 2000, pp. 65-66.
18 Zaggia-Ceriana, I manoscritti illustrati, cit., p. 23.19 Ibid., p. 31.
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L’ambrosiano mostra un ricco corredo figurativo costituito da ventiquattro disegniacquerellati e, fra i testimoni del volgarizzamento, è l’unico che presenta almenoun’illustrazione per ognuna delle epistole di Ovidio20. A c. 18r del codice, riguardoalla decorazione della quinta epistola, indirizzata da Enone a Paride, entro un pae-saggio agreste, solcato da un fiume, è rappresentato l’episodio in cui l’eroe troianoincide sulla corteccia di un albero il nome di Enone (fig. 21). Come possiamo vede-re, nella miniatura ambrosiana, l’eroina è munita di arco e di faretra. La figura costi-tuisce dunque un antecedente significativo dell’Enone dipinta da Francesco di Gior-gio, sempre rappresentata con l’arco, che dunque è ragionevole ritenere un attribu-to dell’eroina. Se, come si è dimostrato, nella figura al centro del cassone di Malibuè da riconoscere la ninfa Enone, allora, la scena, prospettata sul lato destro del dipin-to, raffigura l’addio tra Paride e la sua amante.
Il codice ambrosiano rappresenta anche una serie di altre miniature dedicate allavita di Paride. L’epistola xvi, Paris Helenae, è illustrata da ben due vignette21, la primadelle quali si dispiega su due fogli: una nave è ancorata presso la sponda; sulla passe-rella scendono alcuni uomini tra cui Paride che giunge a Sparta ove viene accolto daMenelao, come un ospite: (16,127-48):
Esco dal porto e, servendomi dei venti favorevoli, approdo alla tua terra o ninfa Ebàlide.Tuo marito mi accoglie come un ospite: anche questo avvenne non senza decisione evolontà degli dèi. Egli mi mostrò quello che era ragguardevole e degno di essere mostra-to in tutta Sparta. Ma per me, desideroso di vedere la tua lodata bellezza, non c’era nien-te altro da cui i miei occhi potessero essere attratti. Come ti vidi, rimasi incantato e miaccorsi che l’intimo del cuore si gonfiava, ed ero stordito da apprensioni nuove. Perquanto mi ricordo, un volto uguale a questo aveva Citerea, quando venne al mio arbitra-to. Se anche tu fossi venuta a quella gara, la palma di Venere sarebbe stata incerta. Vera-mente la fama fece grandi elogi di te: non vi è nessuna terra che non sappia della tua bel-lezza. In nessun luogo, né in Frigia né in tutto l’oriente, un’altra fra le donne belle hafama uguale a te. Ma mi credi anche in questo? La tua fama è inferiore al vero, la famaè quasi gelosa della tua bellezza; io trovo qui più di quello che ella mi aveva promesso; latua gloria è stata vinta dal suo oggetto22.
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20 Ibid., p. 32.21 Milano, Biblioteca Ambrosiana, s. p. 13 bis, c. 60v-61r.22 Trad. it. A. Della Casa, in Opere di Publio Ovidio Nasone, cit., p. 375. «Portubus egredior ventisque feren-
tibus usus / applicor in terras, Oebali nympha, tuas. / Excipit hospitio vir me tuus: hoc quoque factum /non sine consilio numinibusque deum. / Ille quidem ostendit quidquid Lacedaemone tota / ostendidignum conspicuumque fuit, / sed mihi laudatam cupienti cernere formam / lumina nul aliud quo cape-rentur erat. / Ut vidi, obstupui praecordiaque intima sensi / attonitus curis intumuisse novis. / His simi-les vultus, quantum reminiscor, habebat, / venit in arbitrium cum Cytherea meum; / si tu venisses paritercertamen in illud, / in dubium Veneris palma futura fuit. Magna quidem de te rumor praeconia fecit, /nullaque de facie nescia terra tua est; / nec tibi par usquam Phrygia nec solis ab ortu / inter formosas alte-ra nomen habet. / Credis et hoc nobis? Minor est tua gloria vero, / famaque de forma paene maligna tuaest; / plus hic invenio quam quod promiserat illa, et tua materia gloria victa sua est».
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La seconda miniatura (fig. 22)23 mostra un banchetto con al centro Elena e Mene-lao, suo sposo, distinti, rispetto agli altri commensali, dalla corona regale. A destra,Paride, all’interno della camera da letto, scrive la lettera alla figlia di Leda. L’illustra-zione evoca la sezione dell’epistola dedicata al banchetto (16,215-236) in cui il poetasviluppa il tema della gelosia di Paride nei confronti del rivale:
Menelao, indegno, ti possiede per intere notti e gode del tuo amplesso; da me invecesarai soltanto guardata e appena quando saremo a mensa e anche questo momento hamolti particolari che mi feriscono. Tocchino ai miei nemici tali banchetti, quali spessosubisco, quando il vino è sulla mensa. Mi pento di essere ospite quando, sotto i mieiocchi, codesto zoticone getta le braccia intorno al tuo collo. Mi sento trafitto e sono gelo-so — perché, insomma, non dovrei dire tutto? — quando, gettandoti sopra una coperta,accarezza le tue membra. Quando poi, alla mia presenza, vi date teneri baci, prendo unbicchiere e lo pongo davanti ai miei occhi; abbasso lo sguardo quando egli ti tiene piùstretta e i bocconi si accumulano lentamente nella bocca che li respinge. Spesso ho emes-so sospiri e ti ho osservata, provocante, che non trattenevi il sorriso davanti ai miei sospi-ri; spesso ho cercato di soffocare l’ardore col vino, ma l’ardore è cresciuto e l’ebbrezza èdiventata fuoco nel fuoco e, per non vedere troppo, riposo col capo riverso ma tu sùbitorichiami il mio sguardo. Non so che fare: è un dolore per me assistere a quello spettaco-lo, ma più grande dolore è stare lontano dal tuo sguardo24.
Il passo del banchetto trova precisi rimandi nella lettera di Elena a Paride (17,77-92):
Anche quello che fai ora, temerario, quando la mensa è apparecchiata, lo avverto, anchese tento di dissimularlo. Quando mi osservi, lascivo, con lo sguardo ardito, e tanto insi-stente che i miei occhi lo sopportano a stento, ora sospiri, ora prendi il bicchiere vicinoa me e bevi dalla parte dove ho bevuto io. Ah, quante volte ho notato segni furtivi che mierano mostrati con le dita, con gli occhi che quasi parlavano! Spesso ho temuto che miomarito vedesse quei segni e sono arrossita per i cenni non abbastanza segreti.Spesso ho detto a voce bassa e quasi incomprensibile: «Costui non si vergogna di nulla»e queste mie parole non erano false.Ho anche letto sull’asse tondo della tavola, sotto il mio nome, quello che dicevano le let-
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23 Milano, Biblioteca Ambrosiana, s. p. 13 bis, c. 62r.24 Trad. it. A. Della Casa, in Opere di Publio Ovidio Nasone, cit., p. 379. «[…] Totis indignus noctibus ille
/ te tenet amplexu perfruiturque tuo; / at mihi conspiceris posita vix denique mensa, / multaque, quaelaedant, hoc quoque tempus habet. / Hostibus eveniant convivia talia nostris, / experior posito qualiasaepe mero. / Paenitet hospitii, cum me spectante lacertos / imponit collo rusticus iste tuo. / Rumpor etinvideo — quidni tamen omnia narrem? — / membra superiecta cum tua veste fovet. / Oscula cum verocoram non dura daretis, / ante oculos posui pocula sumpta meos; / lumina demitto, cum te tenet artiusille, / crescit et invito lentus in ore cibus. / Saepe dedi gemitus et te, lasciva, notavi / in gemitu risum nontenuisse meo; / saepe mero volui flammam compescere, at illa / crevit, et ebrietas ignis in igne fuit, / mul-taque ne videam, versa cervice recumbo, / sed revocas oculos protinus ipsa meos. / Quid faciam, dubito:dolor est meus illa videre, / sed dolor a facie maior abesse tua». Sui comportamenti dell’amante che par-tecipa al banchetto, affrontato da Ovidio in altre sue opere (Ars Amatoria e Amores), cfr. E. Salvadori, inOvidio, Eroidi, cit., p. 319, commento al v. 217.
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tere tracciate col vino: amo. Dicevo, con cenno negativo degli occhi, di non credervi: ma,ahimé!, ormai ho imparato che si può parlare così25.
L’epistola xvii, Helena Paridi, del manoscritto ambrosiano, è corredata da un’im-magine26 in cui la regina di Sparta, entro un palazzo turrito, risponde a Paride, men-tre viene trafitta al cuore da una freccia dalla punta infuocata che ha appena lancia-to Amore alato.
La traduzione delle Heroides, elaborata dal Ceffi verso il 1325, ebbe notevole for-tuna fra Trecento e Quattrocento come attestano i numerosi testimoni manoscritti,ma anche le edizioni a stampa27. Tale versione in prosa è un’interpretazione morali-stica del testo ovidiano in cui il poeta esorta agli amori leciti mentre offre all’esecra-zione del lettore quelli illeciti: «Acciocché tu, lettore, abbi apertamente lo intendi-mento di questo libro, sappi che Ovidio fece queste pistole per ammaestrare li gio-vani uomini, e le giovane donne di saviamente amare; e però induce e racconta dimolti esempli d’amore onesti, e disonesti, gli onesti perché si seguiscano, li disone-sti perché si schifino»28.
I documenti di archivio interrogati hanno consentito di individuare in numerosebiblioteche di famiglia nella Firenze del Quattrocento il volgarizzamento dalle Eroidi,che va a costituire un testo di riferimento29. È verosimile che nelle biblioteche deinotabili fiorentini venisse ospitato nella sezione delle letture di svago, ma comunqueconnotate da un prestigioso livello culturale e destinate ad un pubblico prevalente-mente femminile30. Nel già citato codice ambrosiano, a carta iiiv, è raffigurato, apiena pagina, all’interno di una cornice prospettica, Ovidio (fig. 23). Il poeta indossaun’ampia toga e mostra con la mano sinistra un libro aperto dove si legge «ovidiodelle donne poe (sic)»31. Tale titolo, piuttosto evocativo, si apre ad interpretazionidiverse di notevole suggestione per gli studi della Rezeption. Una convergenza signifi-cativa risulta infatti dalla produzione di cassoni, spalliere, deschi da parto del xv seco-
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25 Trad. it. A. Della Casa, in Opere di Publio Ovidio Nasone, cit., p. 392. «Illa quoque, adposita quae nuncfacis, improbe, mensa, / quamvis experiar dissimulare, noto; / cum modo me spectas oculis, lascive, pro-tervis, / quos vix instantes lumina nostra ferunt, / et modo suspiras, modo pocula proxima nobis / sumis,quaque bibi, tu quoque parte bibis. / A! Quotiens digitis, quotiens ego tecta notavi / signa supercilio paeneloquente dari! Et saepe extimui, ne vir meus illa videret, / non satis occultis erubuique notis. / Saepe velexiguo vel nullo murmure dixi: / «Nil pudet hunc», nec vox haec mea falsa fuit. / Orbe quoque in men-sae legi sub nomine nostro, / quod deducta mero littera fecit, amo. / Credere me tamen hoc oculorenuente negavi; ei mihi! Iam didici sic ego posse loqui».
26 Milano, Biblioteca Ambrosiana, s. p. 13 bis, c. 68r.27 E. Bellorini, Note sulle traduzioni italiane delle “Eroidi” d’Ovidio anteriori al Rinascimento, Torino, Loe-
scher, 1900, pp. 65-68; M. Zaggia, Due manoscritti e un frammento del volgarizzamento dalle “Eroidi” di Ovidioin collezioni private, «Studi di filologia italiana», xlix, 1991, pp. 5-27; Zaggia, Ceriana, I manoscritti illustra-ti, cit., p. 1 sgg.
28 Volgarizzamento delle Pistole d’Ovidio. Testo del buon secolo della lingua citato dagli Accademici della Crusca,Firenze, presso Angiolo Garinei, 1819, p. 1.
29 Ch. Bec, Les livres des Florentins (1414-1608), Firenze, Olschki, 1984, passim.30 Zaggia, Ceriana, I manoscritti illustrati, cit., pp. 7-8.31 Ibid., pp. 8, 23-39.
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lo raffiguranti episodi di eroi e, in particolare, eroine dell’antichità, quali exempla vir-tutis, offerti all’imitazione dello spettatore. Questi arredi erano destinati soprattuttoalla visione della giovane sposa che, nella camera da letto, trovava modelli femminilidel mondo classico destinati ad impartire un insegnamento morale o, più raramen-te, esecratorio. Alla donna del Rinascimento è dunque proposto un certo genere let-terario, ma anche artistico, “disimpegnato”, dotato, tuttavia, di una sua dignità.
Il volgarizzamento del Ceffi venne con certezza diffuso anche nell’ambiente sene-se. In un manoscritto della Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova in cui, oltrealla traduzione delle epistole ovidiane, è contenuta anche la Sfera, poemetto astrolo-gico di Goro o Gregorio Dati, si può identificare lo stemma del medico senese Ales-sandro Sermoneta (1424-1487)32. Negli anni Cinquanta, presso lo Studio di Siena, ilSermoneta ottenne prima l’incarico per l’ordinaria di logica e la straordinaria di filo-sofia, e poi la lettura di medicina. Insegnò anche in altre Università (Perugia, Pisa,Padova) e ricoprì importanti cariche politiche: membro del Concistoro, podestà diSinalunga e Torrita33. Il manoscritto della Biblioteca del Seminario Vescovile fu vero-similmente lasciato dal medico senese durante il suo insegnamento presso lo Studiodi Padova, documentato negli anni tra il 1479 e il 148434. Del resto egli era già notoagli studiosi come collezionista di codici in latino, di carattere scientifico35. È statoanche osservato che i manoscritti databili appartengono tutti ad un torno di tempotra il 1446 e il 1470: ciò testimonierebbe che a partire dagli anni Ottanta il medicosenese acquistò quasi esclusivamente incunaboli36. Il volgarizzamento delle Heroidesall’interno della sua biblioteca permette di individuare accanto a testi adatti all’arric-chimento professionale, alcune letture di carattere lusorio, probabilmente destinatealle donne della famiglia. La decorazione del manoscritto è avvenuta probabilmentea Siena, «come sembrano indicare i grandi putti nerboruti che trovano riscontro,piuttosto che nella coeva produzione fiorentina, in certi analoghi esemplari prodottia Siena da Matteo di Giovanni o da Francesco di Giorgio»37. Quest’ultimo nel 1463dipinse proprio per lo stesso Alessandro Sermoneta, il manoscritto del Museo Aure-lio Castelli presso la Basilica dell’Osservanza di Siena (inv. 3), testimone del De ani-malibus di Alberto Magno38. Il manoscritto di Padova, databile per le miniature, tra il
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32 Su tale manoscritto si veda ancora Zaggia e Ceriana, I manoscritti illustrati, cit., pp. 9, 74-80. Sui codi-ci appartenuti al Sermoneta cfr. A. Angelini, in Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena 1450-1500, cata-logo della mostra (Siena, S. Agostino, 25 aprile-31 luglio 1993), a cura di L. Bellosi, Milano, Electa, 1993,pp. 142-45.
33 Sul Sermoneta cfr. E. Mecacci, Contributo allo studio delle biblioteche universitarie senesi (Alessandro Sermo-neta, Giorgio Tolomei, Domenico Maccabruni), «Studi senesi», xcvii, 1985, pp. 125-31.
34 Zaggia, Ceriana, I manoscritti illustrati, cit., p. 77.35 Sulla biblioteca del Sermoneta si veda L. Zdekauer, Lo studio di Siena nel Rinascimento, Milano, Hoe-
pli, 1894, pp. 91-93; A. Marosi, Codici di medicina del maestro Alessandro Sermoneta, «Rivista di storia dellescienze mediche e naturali», xxviii, 1937, pp. 225-32; Mecacci, Contributo allo studio delle biblioteche univer-sitarie senesi, cit., pp. 125-31; 138-64.
36 Mecacci, Contributo allo studio delle biblioteche universitarie senesi, cit., p. 130.37 Zaggia, Ceriana, I manoscritti illustrati, cit., p. 80.38 A. Angelini, in Francesco di Giorgio, cit., pp. 142-45.
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settimo e l’ottavo decennio del Quattrocento, è dunque di poco precedente agli annidi esecuzione della fronte di cassone di Malibu, ciò che testimonia una convergenzaculturale interessante.
Anche le edizioni a stampa del volgarizzamento delle Heroides furono opportuna-mente illustrate. Lo dimostra quella pubblicata a Napoli, da Francesco del Tuppo,verso il 1480, illustrata da numerose xilografie che, nella maggior parte dei casi, raf-figurano il momento del recapito dell’epistola39. Nella vignetta dedicata a Enone sivede l’eroina che consegna la missiva a Paride (fig. 24)40. La foresta alle loro spalle eil montone raffigurato a destra della ninfa costituiscono gli elementi distintivi cheservono a richiamare la storia effigiata: «Comincia el prologo sopra la epistola laquale Oenone mandò a Paris. Essendo la raina Echuba moglie del Re Priamo diTroia songnoe ch’ella partoria una facellina di fuoco la quale ardea tucta la cita deTroia, onde poi che fu nato Paris, Priamo volle ch’elli fosse morto, ma la piatosamadre il mandoe celatamente a nutrichare a un suo pastore, il quale allevoe Paris aguisa de suo figliolo et guardava la mandria del decto pastore dove, pasturando,prese per moglie Oenone, la quale fu una savia del monte pegasseo e co llei stectecerto tempo in allegro e dolcie amore usando delecti selvagi et boscherecti. E ritraen-do il suo grande animo da la sua grandetza onde era nato molto e spesse volte persuo ingegnio, devenne signiore e magiore de vicini pastori e de loro armenti e faceatoccare insieme li montoni e li tori e coronava de loro i più feroci non riguardandopiù alli soi proprii che agli altrui, ma igualmente dava corona alli più iusti e prontionde abiendo elli per nome in prima Alexandro, poi il chiamaro Paris ciò a dire igua-le e ragionevole. Essi come dice Iove il qual tempo fece uno convito dove fu Iuno,soa moglie, e Pallas, soa serocchia, e Venus, soa figliola, e però che non vi fue invita-ta la dea della discordia ella gittoe nel convito tra lloro uno pomo d’oro che era scrit-to: “sia dato questo pomo a quella dea che n’è più degna”, onde incontinente naquediscordia intra loro. Ma Iove, volendo riconciliare, disse che questa questione termi-nerebbe Alexandro, il Paris. Vide adunque in visione le tre idee et intese che Iunodea dele richetze li promise grande copia d’avere se lli desse il pomo a llei e Pallasdea della sapientia li promise grande senno e Venus, dea d’amore e di bellecza, lipromise la più bella donna, onde li donò il pomo de loro a Venus e questo fece perquelli parve eligiere per magior dono la bella donna che lla richetza o che lla sapien-
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39 Ovidio, Heroides [in italiano], Napoli, Francesco del Tuppo, ca. 1480. L’esemplare sembrerebbe con-servato soltanto nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena (n. v. 31; cfr. igi, n. 7110). Nel colo-phon non si ricorda il traduttore «qui finisce il libro delle epistole che fecie Ovidio Nasone traslate di gra-matica in volgare fiorentino», ma si tratta del volgarizzamento di Filippo Ceffi. Un altro volgarizzamentodelle Eroidi è attribuito a Carlo Figiovanni (Epistole d’Ovidio tradotte di latino in lingua toscana per lo Eccellen-tissimo dottore messer Carlo Figiovanni cittadino fiorentino, Venezia, per maestro Bernardino de’ Vitali, 1532; cfr.anche Due epistole d’Ovidio tratte dal volgarizzamento delle Eroidi fatto da messere Carlo Figiovanni nel secolo xiv,Bologna, Romagnoli, 1862). Sull’autografia della traduzione di Figiovanni cfr. Note sulla traduzione delle Eroi-di ovidiane attribuita a Carlo Figiovanni, in Raccolta di studi critici dedicata ad Alessandro d’Ancona festeggiandosiil XL anniversario del suo insegnamento, Firenze, tipografia di G. Barbera, 1901, pp. 13-22. La selezione delleincisioni qui analizzate deriva dagli argomenti trattati nel nostro testo.
40 Ovidio, Heroides, [in italiano], cit. c. b6v.
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tia, ma poi che l’adirata potenza de Troiani domandò vendecta contra li Greci rico-nosciuto fue Paris per Figliolo del Re Pariamo e abandonoe questa Oenone soamoglie con iuramento di tornare a llei. Allaro con grande naviglio e con molte osteandoe in Grecia e rapio Elena. E quando Oenone il seppe li scrisse questa lettera adi-rata e per ciò no llo salutò ma lamentosi dello inganno e della rotta fede, ciercha deriaverlo nel suo amore per belli argomenti mettendoli in odio Elena per lo falloch’ella due volte avea facto di lasciarsi due volte rapire e però che per lei, secondoche indovinava Cassandra figliola de Re Priamo, Troia done devea essere destructa.La intentione d’Ovidio sie di riprendere li spergiuri mariti che lasciano le propriemoglie e prendono l’altre acciò che per questo exemplo li romani mariti e li altristessero contenti de lloro donne»41.
Per gli studi sulla ricezione del mondo antico è interessante rilevare come le Heroi-des si trasformino, nel Medioevo e nel Rinascimento, attraverso i volgarizzamenti, inuna raccolta di exempla, cosicché la storia di Paride e Enone diventa, ad esempio, unmonito per quei mariti che abbandonano le proprie mogli.
L’illustrazione della settima epistola42, Dido Aeneae, mostra Didone che enfatizzateatralmente il gesto del suicidio. Mentre si getta sulla spada consegna la missiva adEnea che la saluta con il suo cappello: «Poi che Enea si partì de Troia, lasciandoladestructa, elli e soa gente per sette anni andò errando per mare e però per fortunacapitò in barbaria alla riena Dido de Cartagine, la quale, benignamente, lo ricevettedonandogli la signoria della citade e facendoli ancora cortesia della soa bella perso-na. Questa riena Dido fue prima de Tiria moglie de Siccheo, il quale fu morto per lasoa grande richeza da Pigmalione, suo cognato, per la qual cosa ella si partì del suopaese con alquanti soi fideli e con molto avere fugendo la crudeltà e la tirannia delsuo fratello e giurò di sempre mantenere fede e castità alla cenere del suo marito Sic-cheo e così capitò in Affrica ove ella vi comperò terreno e facevi citade e chiamalaCartagine, ma ella fu poi deserta da Romani e al giorno presente si è porto di Tuni-si. Anzi ch’ella dicta cità fosse compiuta la raina Dido ricevette Enea el suo vecchiopadre Anchise el suo tenero figliolo Ascanio, chiamato Iulio, ricevendo da llui iura-mento de leale amante. Poi si dice che lli dii chomandarono ad Enea che elli venissein Italia ove elli dovea essere principio del sovrano Imperio ciò fu de regno de Roma-ni; per la qual cosa Enea si partì da Dido e, d’everno, fugendosi da llei, rientrò nelcrudel mare e lasciolle in soa memoria la sua bella spada colla quale ella poi s’uccisenon potendo vivere senza lui. Scrive adunque Dido questa littera a Enea volendo rite-nere la intenzione d’Ovidio si è d’amonire li amanti che amino discretamente e acciòinducie questo exemplo dalla reina Dido: elli uno ucello che si chiama cigno, cioècecero, e tucto biancho e usa alle fiumare e non canta mai se non è in quello annoche dee morire, l’exemplo de questo ucello la reina Dido, nel principio della soa let-tera dicendo»43.
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41 Ibid., cc. b6v-b7v.42 Ibid., c. c5r.43 Ibid., cit., c. c5v.
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Nella incisione dedicata all’epistola Ariadna Theseo (fig. 25) si vede l’eroina in piedisull’isoletta ove è stata abbandonata da Teseo, che parte con la sua nave. Arianna èeffigiata nell’atto di consegnare la lettera al figlio di Egeo, che porge il braccio sini-stro per riceverla44. Il traduttore rimanda alla lettera di Fedra per conoscere il conte-nuto di quella dedicata ad Arianna: «Legi il prologo della epistola de Fedra imper-ciocché questa e quella Adriana che Theseo abandonò in su la deserta isola dellaquale ivi si lege e raconta»45.
L’incisione dedicata alla lettera che Paride invia ad Elena mostra al centro l’imma-gine di Venere, alata, e con lunghissimi capelli. La dea tiene con la sinistra uno scet-tro mentre con la destra si rivolge a Paride, probabilmente con la promessa di fargliavere la donna più bella al mondo. A destra è di nuovo raffigurato Paride che com-pie il gesto di inviare la missiva ad Elena: «Comincia il prologo de la epistola de Parische mandò ad Helena. Poi che Paris, figliolo de Re Priamo di Troya, ebbe ricevutoper missione da Venus, dea d’amore, d’avere la bella donna, sì come si lege dinanzinel prologo della epistola de Oenone, per voluntà de Troiani andò in Grecia ove llìmandoe questa lectera ad Helena moglie del Re Menelao, nella quale si dimostra chetroppa domestichecza molto nuoce, onde non si dee donare troppa baldanza alledonne e principalmente alle giovani belle e gentili»46.
Al centro dell’epistola di Elena in risposta a Paride (fig. 26), l’eroina compie ildoppio gesto di ricevere la lettera da Paride e di rispondere consegnando, sempreall’eroe troiano, la sua missiva: l’incisore sa dunque rendere efficacemente l’idea chenella raccolta di Ovidio vi sono contenute due epistole, l’una inviata da Paride aElena e l’altra, in risposta da Elena a Paride: «In questa lettera dimostra Ovidio perla risposta che fecie Helena a Paris che quando alcuna donna è richiesta d’amorequantunque le piaccia l’amante non dee essere troppo corrente infermare amorevo-le speranza né inromperla, ma, dimostrando il grande beneficio d’amore, il dee tene-re in segreta obbedienza insino a tanto che al tucto amorevolmente li piaccia»47.
Una serie di incisioni correda anche l’edizione latina delle epistole di Ovidio, usci-ta a Venezia nel 1506, con cui è possibile istituire un confronto48. In alcune è raffigu-rata l’eroina che scrive la lettera di fronte ad uno scrittoio, come si può vedere sin dal-l’epistola di esordio, quella che Penelope scrive ad Ulisse, ma anche in quella diEnone a Paride (fig. 27) od ancora in quella che Didone invia a Enea49. L’incisioneche illustra l’epistola di Arianna a Teseo mostra tre diversi momenti della storia nar-rata da Ovidio (fig. 28): a sinistra la consegna del gomitolo da parte di Arianna aTeseo, al centro il labirinto e la lotta dell’eroe con il Minotauro, a destra l’eroina
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44 Ibid., c. d8r.45 Ibid., c. d8v.46 Ibid., c. f8v-g1r.47 Ibid., c. g6v.48 Ovidio, Epistole Heroides Ovidii… commentantibus Antonio Volsco et Ubertino Crescentinate… In Ibis vero
Domitio Calderino et Christophoro Zaroto cum appendice… adacontium, Venetiis, per Bartholomeum de Zanis dePortensio, 1506.
49 Ibid., a3r, d6v, f3v.
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abbandonata e consolata da Bacco50. Nella xilografia dedicata all’epistola che Parideinvia ad Elena (fig. 29), l’episodio più emblematico, quello del ratto, non è raffigu-rato in posizione preminente, ma sullo sfondo, a destra, in cui si intravede la nave conla passerella ove viene condotta la regina di Sparta51. In primo piano, invece, osservia-mo la scena del banchetto d’amore raffigurato anche nel codice ambrosiano (fig. 22).Qui Menealo siede al centro della tavola tra Paride ed Elena. La vignetta collegata allalettera che Elena invia a Paride, rappresenta l’eroina che consegna la lettera ad unmesso, il quale, a sua volta, la consegna a Paride52.
Le Heroides furono tradotte anche dal “senese” Domenico da Monticchiello, chetenne presente il volgarizzamento del Ceffi53. Il poeta compose la versione volgarizza-ta in ottave delle epistole, probabilmente in età senile, come suggerisce il codice Pal.375 della Biblioteca Nazionale di Firenze: «che Domenicho fu da Montecchiello / elmonco, el zoppo, el pover vechiarello»54. Domenico da Monticchiello, confuso anchecon l’omonimo gesuato, nacque nel primo quarto del xiv secolo da un Agnolo.Domenico «(il “famosissimo dottore messer Domenico da Montecchiello, toschano”,come recitano molte didascalie apposte alle opere a lui attribuite) fu uno dei moltirimatori usciti dalle scuole di legge, e della sua attività, divisa tra le lettere e l’abitolegale, le rime e il “trattato di Giustiniano”, dà egli stesso notizia nel capitolo Le vagherime e il dolce dir d’amore (vv. 25-27). La professione per cui è più ricordato è quella dipoeta cortigiano più o meno itinerante». La maggior parte dei documenti riferibili aDomenico da Monticchiello riguarda il periodo in cui fu cortigiano dei Visconti, inparticolare di Galeazzo ii, fratello di Bernabò e padre di Gian Galeazzo: «Domenicopartecipò, nei suoi modesti limiti, all’attiva ed animata vita culturale di ispirazionetoscana delle corti settentrionali, e in particolare di quella viscontea, che andava dal-l’intrattenimento e dalla letteratura di consumo fino ad operazioni culturali ispiratedirettamente o indirettamente da Francesco Petrarca. Sintomatici sono i suoi rifaci-menti in ottava rima di testi narrativi di gusto classico (storie troiane, Ovidio)»55.Domenico ricevette anche l’incarico di vicario per il Visconti a Piacenza, ove parteci-pò ai preparativi dell’attacco navale organizzato nel 1358 da Galeazzo contro Pavia econtro Giovanni ii Paleologo, marchese di Monferrato, attraverso il Po ed il Ticino:«la spedizione, condotta con un cospicuo numero di imbarcazioni costruite per l’oc-casione, colpì l’immaginazione dei contemporanei e lasciò tracce nelle cronache.Secondo l’interpretazione del Levi, Domenico avrebbe cantato l’imminente impresacome una seconda Argonautica e Galeazzo come nuovo Giasone, attraverso le allego-
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50 Ibid., h5r.51 Ibid., l5r.52 Ibid., m4v.53 Bellorini, Note sulle traduzioni italiane delle “Eroidi”, cit., pp. 41 sgg.54 L. Cellerino, Domenico da Monticchiello, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enci-
clopedia Italiana, 40, 1991, p. 641.55 Ibid., p. 640.
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rie ovidiane e le reminiscenze dantesche di “Cresciuto ha Giove con sua sottil’arte”,un sonetto di profezia politica di un genere assai diffuso e popolare»56.
Poche sono le notizie del poeta relative al periodo successivo al 1358, al quale sem-brerebbe appartenere la maggior parte della sua produzione letteraria. Oltre alla ver-sione in ottave delle Heroides, a Domenico vengono attribuiti due sonetti, il Troiano,un poema di argomento iliaco, ed il Triumphus contra Amorem, un “trionfo” ternario diispirazione petrarchesca: «con queste opere Domenico si colloca con un certo rilievotra quei letterati cortigiani che formarono o assecondarono il gusto romanzesco, enella specie classicheggiante, del pubblico medio e colto del Trecento, contribuendoalla vasta produzione di cantari, romanzi in prosa e in versi, volgarizzamenti, rifaci-menti (come quelli di Domenico, “in rima rimati”) in un tipico milieu settentrionalecome quello visconteo»57.
Alcune implicazioni iconografiche dei testi di Domenico da Monticchiello sonostate individuate da Maria Monica Donato58. Nel pavimento del Duomo il commessomarmoreo, realizzato nel 1447 da Pietro del Minella scultore, intagliatore in legno earchitetto, verosimilmente su cartone del cosiddetto “Maestro di Sant’Ansano”59, raf-figura la Morte di Assalonne, figlio di David, i cui capelli lunghi ed ondeggianti rimase-ro impigliati nei rami di un terebinto, mentre veniva inseguito dai nemici guidati dalpadre60. Sotto il riquadro si legge un’iscrizione: «absalon vidi pender pe chapelli/ poi che fedo la chamera paterna, et tucto era (n)filçato di quadrelli», che«denuncia una provenienza allotria nella forma verbale reggente: che evidentemen-te rinvia a un contesto di visione (a partire da Dante: quasi superfluo il rimando aitanti “vidi” dei Trionfi petrarcheschi, e della conseguente tradizione “trionfale”)»61. Sitratta di una terzina individuabile nel citato ternario Triumphus contra Amorem, vv. 130-32, un esteso elenco di vinti d’amore, in cui Domenico da Monticchiello si ispira alrepertorio mitologico ovidiano delle Metamorfosi:
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56 Ibid., p. 641. Cfr. anche E. Levi, Un rimatore senese alla corte dei Visconti, messer Domenico da Monticchiel-lo, «Archivio storico lombardo», 35, 1908, pp. 1-33. A Levi si deve anche la distinzione definitiva tra ilnostro Domenico e il Domenico Gesuato.
57 Cellerino, Domenico da Monticchiello, cit., p. 641.58 M. M. Donato, Immagini e iscrizioni nell’arte ‘politica’ fra Tre e Quattrocento, in «Visibile parlare». Le scrit-
ture esposte nei volgari italiani dal Medioevo al Rinascimento, a cura di C. Ciociola, Atti del convegno interna-zionale di studi (Cassino-Montecassino, 26-28 ottobre 1992), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997,pp. 375-76; Si veda anche C. Ciociola, Poesia gnomica, d’arte, di corte, allegorica e didattica, in Storia della let-teratura italiana, diretta da E. Malato, vol. ii, Il Trecento, Roma, Salerno, 1995, p. 378; Id., Scrittura per l’arte,arte per la scrittura, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, vol. ii, Il Trecento, Roma, Salerno,1995, pp. 549.
59 Bellosi, in Francesco di Giorgio, cit., 1993, p. 67; M. Boskovits, Il gotico senese rivisitato: proposte e com-menti su una mostra, «Arte Cristiana», 71, 1983, pp. 259-76; Vedi anche M. Merlini, Pittura tardogotica aSiena: Pietro di Ruffolo, il ‘Maestro di Sant’Ansano’ e il cantiere di Lecceto, «Prospettiva», 95-96, 1999, p. 104.
60 Sulla simbologia della figura di Assalonne, che fa parte del complesso programma del pavimento delDuomo di Siena, cfr. M. Caciorgna, R. Guerrini, Il Pavimento del Duomo di Siena. La tarsia marmorea dal XIV
al XIX secolo. Fonti e simbologia, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi (Banca Monte dei Paschi di Siena), 2004.61 Ciociola, Scrittura per l’arte, cit., p. 549.
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Absalon vidi pender pe’ chapellipoi che fedò la chamera paterna,e tucto era ‘nfilçato di quadrelli.
La terzina non fu dunque composta in modo originale dall’ideatore dell’iconogra-fia, ma ripresa dall’opera di Domenico, ciò che testimonia l’onore che al poeta, atti-vo a Milano presso la corte dei Visconti, veniva tributato nella sua “patria”.
Il volgarizzamento in ottava rima di Domenico da Monticchiello, come quello delCeffi, fu decisivo per la diffusione delle Heroides di Ovidio che divennero, tra Medioe-vo e Rinascimento, un libro di moda62. Francesco Flamini così osservava: «Or poichénon minor fama delle Metamorfosi avevano le Eroidi, ciò è per l’appunto una serie dilamenti di donne abbandonate o smanianti d’amore, queste epistole ovidiane, acces-sibili a tutti per mezzo dei noti volgarizzamenti, furono largamente imitate, immagi-nando, sull’esempio dei casi antichi, nuovi casi, che del resto ancora avvenivano inrealtà qualche volta. E questi davan modo ai poeti di fare, richiamandosi all’antichi-tà, quanto sfoggio volessero d’erudizione»63. A questo punto Flamini introduce il casodel poeta tardogotico Domenico da Prato: in una delle sue Rime, infatti, egli invita illettore a leggere le Heroides, in particolare l’epistola che Enone indirizza a Paride. Sitratta della «canzon morale del detto ser Domenico fatta ad in stantia d’una nobileiuvene, la quale, abbandonata dal marito e da l’amante ingannata, veggendosi daiparenti legata miseramente in prigione, in cotal forma si conduole» (36,23-26):
Deh, raguardate al malvagio Parissecome Oenone sposa,e poi pensosa la lasciò in tormento!Nason leggete, che ‘l suo pianto scripse64.
La fortuna del rifacimento delle epistole tradotte da Domenico da Monticchielloè attestata non solo dai manoscritti, ma anche dalle numerose edizioni. Nell’esempla-re stampato a Brescia, nel 1491, da Battista Farfengo che reca un’incisione raffigura-ta a corredo della prima epistola, quella scritta ad Ulisse dalla fedele moglie Penelo-pe (fig. 30). Nel prologo, così come nell’edizione pubblicata dallo stampatore Fran-cesco del Tuppo, il volgarizzatore incita i giovani e le fanciulle a seguire gli amori“onesti” e ad evitare quelli “disonesti”: Ovidio «d’amore scrisse molte inchieste hone-ste, sante, scioche e dishoneste. Le honeste e savie perché se seguissero da gioveniamanti e dale giovenette; le dishoneste perché si fugissero»65.
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62 S. Carrai, Le Muse del Pulci. Studi su Luca e Luigi Pulci, Napoli, Guida, 1985, p. 28.63 F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Firenze, Le Lettere, 1977,
p. 456 (rist. anast.).64 Per l’edizione della rima si veda Domenico da Prato, Le rime, testo critico a cura di R. Gentile, Anzio
(Roma), De Rubeis, 1993, pp. 97-100.65 Ovidio, Heroides, volgarizzamento di Domenico da Monticchiello, Brescia, Battista Farfengo, 1491.
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Le Heroides hanno influenzato l’esegesi iconografica del cassone di Malibu, le epi-stole, tuttavia non costituiscono la fonte letteraria esclusiva del pannello (Fig. 20). Sel’umanista che ha suggerito il soggetto al pittore avesse utilizzato il testo latino dellalettera inviata da Enone e Paride, od anche il volgarizzamento di Domenico da Mon-ticchiello, l’iconografia del cassone avrebbe previsto la partenza di Paride con unanave e non con un cavallo come mostra il dipinto della bottega di Francesco di Gior-gio. Nella vasta fenomenologia degli addii, descritti dalla letteratura classica e medie-vale, quello di Domenico è declinato con toni accorati:
Qual del legname tagliar fatto havesti,Unde le nave se dovevan fare,Nel dipartire fieramente piangesti;E questo non mi puoi già tu dinegareChe, di ciò vergogniar ti doveresti:Che mi vedesti piangere e lachrymareE sospirando con parole pie,Meschiarse le tuo lachryme con le mie.
Come di ellera arboro è cingiato,Cossì il mio collo dintorno cingestiColle tuo braccia, e fustine gabbato,Dal gran lamento ch’al partir facestiPartendote da me come sforzatoDal tempo aponto quando tu elegiesti,Aih! quanto tu me basiasti con disioE non potesti exprimere «sta con Dio».
E quando tu fosti messo nelo mareGonfiar le velle dal vento soave,Alhora con gli ochij cominciai a segnareL’alboro e la vella di tua nave,E lla rivera prese di bagnareColle lachryme mie dello pianto grave,Pregando dio con dee, a gionta mano,Che tosto ritornassi lieto e sano66.
Il tema di Paride ed Enone, in ambito senese, viene affrontato anche da BernardoLapini da Montalcino, detto l’Illicino, nel suo commento ai Trionfi del Petrarca. Nelleannotazioni ai versi 1,135-8 del Triumphus Cupidinis (Poi ven colei ch’à ‘l titol d’esserbella. / Seco è ‘l pastor che mal il suo bel volto / mirò sì fiso, ond’uscir gran tempe-ste, / e funne il mondo sottosopra vòlto) l’Illicino narra le vicende relative alla nasci-
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66 Ovidio, Heroides, traduzione di Domenico da Monticchiello, Brescia, Battista Farfengo, 1489, c. b3r(igi, n. 7112).
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ta di Paride67. Nel commento ai versi 1,139-40 (Odi poi lamentar fra l’altre meste /Enone di Paris, e Menelao / d’Elena, ed Ermion chiamare Oreste) viene ricordato iltragico amore tra Paride ed Enone:
Se con ragione, per grande ingratitudine recevuta si lamenta l’huomo, con gran giusti-cia Oenone si doleva di Paris, conciosiacosaché, essendo lui anchora nello exercitiopastorale et trovando nella selva Oenone, et lei con fede pura et simplice benivolentiaamandolo, usandoli etiamdio quanto permetteva la sterilità del luogho et liberalità etcortesia, sì come tosto fu restituto nel fastigio regio, ogni beneficio da lei ricevuto pagòcon oblivione. Né per questa sua tanta ingratitudine in alcuna parte a Oenone si dimi-nuirono le fiamme amorose, ma si continuaron tanto quanto perduto la vita di Paris, laquale finita et loro medesimamente mancarono imperoché essendo lui morto o perAiace come dice Darete, o vero per Philotete sì come scrive chiaro Dite cretense, sì tostocome Oenone vide il corpo suo si alienò dela mente et per dolore morì, come esse Ditemedesimamente afferma68.
Tuttavia, per quanto interessante, questa esegesi non permette di ricostruire l’ico-nografia del dipinto. La figura di Enone è richiamata anche nella produzione poeti-ca dell’Illicino69, a riprova della notevole diffusione del tema nella cultura umanisti-ca senese:
Morte per tuo lusinghe compresse DidoOenon tornar facesti in verdi frondeEt le sue chiome biondeConvertirsi a Medusa impio serpente.
A questo punto, l’indagine dovrà essere rivolta ad altri testi ed in particolare a quel-li riguardanti la materia epica troiana. L’argomento iliaco conobbe una notevole edininterrotta fortuna: a partire dall’età classica fino al Medioevo e al primo Rinasci-mento si diffonde una grande produzione di opere letterarie, ma anche di versionid’intonazione popolare come i cantari in ottave, che venivano recitati sulla piazza.
Dal momento che nel Medioevo la conoscenza del greco non si era ancora diffu-sa, ebbero notevole divulgazione le compilazioni di Ditti Cretese, Ephemeris belli Troia-ni del iv secolo, e di Darete Frigio, De excidio Troiae historia, del v secolo, ai quali si ispi-ra il Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure che incontrò un immenso favore inFrancia ed in Italia70: «composta intorno al 1160, l’opera di Benoît forma insieme col
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67 F. Petrarca, Trionfi, con commento di B. Illicino, Venezia, per Leonardum Wild de Ratisbona, 1481,b5r-b5v.
68 Petrarca 1481, b5v. Dictys Cretensis 3,26; 4,21.69 Cfr. Illicino, in C. Torto, Sonetti et canzone le quali ho scielti da li ampli volumi de homini in tal materno
parlare non di piccola fama, ma a Dante et Petrarcha propinqui, Firenze, Francesco Bonaccorsi, 1490, cc. e3r-e5r.70 Cfr. Volgarizzamenti del Due e Trecento, a cura di C. Segre, Torino, Utet, 1980, p. 113; E. Gorra, Testi inedi-
ti di storia troiana preceduti da uno studio sulla leggenda trojana in Italia, Torino, C. Triverio, 1887, pp. 17; 32-57.
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Roman de Thèbes e col Roman d’Eneas la cosiddetta “triade classica”. L’ambiente stori-co-sociale che permette e favorisce il suo fiorire è la corte anglonormanna dei Plan-tageneti, in cui spiccano le figure dotte e raffinate di Enrico ii e della regina Alienor,interessati ad aumentare il loro prestigio e il loro potere anche attraverso progetti let-terari; in particolare il Roman de Troie si vantava di offrire testimonianze dirette su quelpopolo troiano da cui varie nazioni europee coniavano a scopo politico immaginariediscendenze»71.
Per Benoît, tuttavia, le composizioni di Ditti e di Darete, furono soltanto «un sem-plice canovaccio. Nei trentamila e più versi del suo romanzo noi riconosciamo un’en-ciclopedia, una summa ben congegnata di tutto ciò che la cultura medioevale conob-be del mondo antico: Ovidio, Virgilio, Orazio principalmente, ma anche Orosio, leFabulae d’Igino, la Tebaide di Stazio, e una lunga serie di trattati come le Etymologiae diIsidoro di Siviglia, l’Eruditio didascalica di Ugo di San Vittore, l’Imago Mundi di Ono-rio di Autun»72.
Anche negli anni in cui è dipinto il cassone di Malibu, Darete Frigio e Ditti Crete-se continuano a rappresentare «il vero storico» e «non si tratta di residui ‘medievali-stici’, ma di una scelta motivata», come testimonia l’esempio dell’Illicino73.
Nei romanzi latini e nel rifacimento di Benoît de Sainte-Maure, tuttavia, non siparla dell’amore tra Enone e Paride, ma soltanto del ratto di Elena. In Benoît, Esio-na, sorella di Priamo, è tenuta come concubina da Telamone. Priamo chiede che glivenga restituita, ma i principi greci rispondono in maniera insolente. Paride si offredi andare in Grecia per vendicarsi. Allestisce una flotta e parte. Giunto a Citera, vedeElena e se ne innamora. Durante una notte, in un tempio dedicato a Venere, dove sicelebrava una festa in onore della dea, Paride rapisce Elena, insieme a molte altredonne greche e numerosi tesori74.
Anche in Italia al ciclo troiano sono dedicate molte opere, rifacimenti, traduzioni.Significativo risulta il passo del xv canto del Paradiso (121-26), in cui, fra i beati delcielo di Marte, si manifesta a Dante l’anima di Cacciaguida, trisavolo del poeta, cherievoca gli onesti costumi della sua epoca, quando Firenze era ancora cinta dallaprima cerchia di mura. Le donne vi conducono una serena vita domestica, certe dinon essere abbandonate da mariti impegnati nella mercatura in Francia ed in altripaesi stranieri:
L’una vegghiava a studio de la culla,e, consolando, usava l’idiomache prima i padri e le madri trastulla;l’altra, traendo a la rocca la chioma,
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71 M. Gozzi, in Binduccio dello Scelto, La storia di Troia, a cura di M. Gozzi, Milano, Luni, 2000, p. 12.72 G. Ricci, in Binduccio dello Scelto, Storia di Troia, a cura di G. Ricci, Varese, Fondazione Pietro
Bembo-Ugo Guanda, 2004, pp. xii-xiii.73 G. Fioravanti, Bernardo da Montalcino ed il Commento ai Trionfi dedicato a Borso d’Este, in «In supreme digni-
tatis…». Per la storia dell’Università di Ferrara 1391-1991, a cura di P. Castelli, Firenze, Olschki, 1995, p. 153.74 Gorra, Testi inediti di storia troiana, cit., p. 35.
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favoleggiava con la sua famigliade’ Troiani, di Fiesole e di Roma.
Mentre una donna attende al figlio nella culla, un’altra, filando, intrattiene i suoifamiliari con il racconto delle leggende sulla venuta in Italia di numerosi troianiscampati alla distruzione di Ilio, sull’origine mitica di Fiesole, sui fatti di Roma.
Dal Roman de Troie di Benoît de Sainte-Maure dipende la Historia destructionis Troiaedi Guido delle Colonne, giudice messinese, scritta negli anni tra il 1272 e il 1287:«l’operazione era del tutto eccezionale perché basata sul passaggio dal volgare delRoman de Troie al latino, con un movimento contrario a quello “normale” dei volgariz-zamenti; ma proprio tale veste linguistica autorevole e internazionale facilitò la diffu-sione dell’opera in tutta Europa. Il suo successo portò poi a un fiorire di volgarizza-menti»75. In particolare segnaliamo la traslazione in toscano operata dal già citatonotaio fiorentino Filippo Ceffi nel 1324, da Mezzeo Bellebuoni da Pistoia nel 1333 eda un anonimo76.
Ancora dal Roman de Troie derivano la Istorietta Troiana, un rifacimento del roman-zo francese, e, per ciò che concerne la materia iliaca, il Tresor, i Conti di antichi cava-lieri, il Novellino e la Fiorita di Armannino Giudice da Bologna77.
Secondo Mather, Francesco di Giorgio avrebbe trovato la materia per l’avvio dellarappresentazione della storia proprio in quest’ultima opera, la Fiorita78, che racchiu-de molti episodi diversi rispetto al contenuto dei poemi di Benoît e Guido. In parti-colare Armannino affronta per ben due volte il racconto della giovinezza di Paride.Una prima volta, quando oltre all’infanzia dell’eroe, si inserisce anche il tema delGiudizio. Riguardo ad Enone viene detto soltanto che subito s’innamora di Paride,molto più raffinato rispetto agli altri pastori:
Quivi venno Paris, figliuolo del re di Troya, el quale sconosciuto era in quel paese, permostrare sua valoria con quella gente al giuco di cesti, quale s’usava di fare in quel tempoper provare e giovani la loro força. Questi giuochi erano in cotal modo, che i giovaniprendano arme di cuoio con grande maççe di ferro e di piombo le quali erano moltogravi a levaro, e l’uno con l’altro forte si feria e, poiché eglino erano caduti in terra, piùl’uno l’altro giamai non toccava, ma vincitore era colui che in piè rimaneva fermo e con-stante. Erano ancora altri giuochi che costoro facevano, che si chiamavano giuochi dipalestra, ove e giovani ignudi si spogliavano e tucte le membra s’ugnevano di buono olio,poi si prendevano alla força delle braccia e quale di loro cadea in terra era tenuto pervinto dall’altro. Et facevasi un altro giuoco, che si chiamava il giuoco di deschi, costoroavevano uno desco di ferro o vero di piombo, tutto ritondo, quale si volgea a modo diruota e per força di braccia alto lo levavano: a chi più alto quello tenere potea, tenutoera el più forte degli altri. Di questi giuochi fanno mentione gli auctori ne loro libri, però
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75 M. Gozzi, in Binduccio dello Scelto, La storia di Troia, cit., p. 47, nota 22.76 C. Segre (a cura di), Volgarizzamenti del Due e Trecento, cit., p. 113.77 Ibid., p. 114.78 F. J. Mather, Two sienese cassone panels, «Art in America», 2, 1914, p. 403.
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diri volli la maniera loro, or voglio dire come perché Paris predecto era qui sconosciutodalla gente. E fu vero che Ecuba reyna, moglie di Priamo, re di Troya, essendo gravida incostui, sognò che ella partoriva una faccellina ardente, la quale tucta Troya e ciò che den-tro v’era consumava e ardeva, e più volte questo sognò. Però più volte a Priamo lo contò,quello raunò e suoi indovini e ebbe consiglio di questo suo affare. Fugli decto che coluiche nascere dovea di Ecuba sarà quello onde egli sua gente e sua terra diserta esseredovea. Udendo Priamo questo, così fermamente comandò che, come el garçone fussenato, celatamente fussi morto, sì che niente di lui mai sene sapessi. Nato el garçone,Ecuba sua madre comportare non volle che il figliuolo morisse in cotal modo. Però chia-mò due suoi fedeli amici e pregogli che facessino vista d’uccidere el garçone e che il por-tassono in alcuno luogo salvo, sì che per certo campare potessi. Costoro lo portarono inuno paese ove usavano di passare pastori e lasciarollo stare sotto uno verde albero e puo-sono mente quello che n’avenisse. Et in quello punto due pastori passavano, vidono elfanciullo, corsono a llui, levarollosi in collo e portarollo a una loro madre, la quale, quan-do lo vide, maravigliossi e presenele peccato e nutricollo teneramente. Questo crebbe ediventò pastore, ma non sapea bene essere all’arte, partissi di quello luogo dove egli erae andonne in uno paese d’una donna, la quale Oenone per nome si chiamava. Quandocostei lo vide così dilicato e bello non gli parve pastore, ma molto gentilesco e costuma-to. Però s’inamorò di lui e tennelo molto caro seco e molto drudo. Sollaççi e dilecti moltihavea con lui, e quello sempre usava congli baroni intorno a quegli paesi dove n’era eimparò di quegli giuochi fare de quali dissi di sopra, sapea ancora saectare con arcomeglio che niuno che allora si trovassi. Essendo Paris com Pelleo predecto, con altri com-pagni allor andarono a cacciare nella selva, quale si chiamava per suo nome l’Yda, essen-do affaticato della caccia, solo s’adormentò presso a una fonte. Et dormendo fece unostrano sogno. Parea a llui che tre dee ciò furono: Iuno dea delle discordie, Pallas di sennoe Venus di luxuria, fussono con lui parlandosi insieme. Et tra loro Mercurio messo efigliuolo di Giove yectasse uno pomodoro nel quale erano scripte lectere che diceanoquesto pome sarà dato alla più bella di tucte. Tra costoro era la grande contesa e pareaa llui che quelle donne s’acordassino tucte, che nella sua sententia fusse e che alla piùbella desse il pomo ch’io dico. Parea a llui che Venus lo traesse in parte e promettesseglidi dargli la più bella donna di tucte l’altre dee che qui erano. Queste sono cose moltofigurate, le quali presentano quello che non si dice cioè, che luxuria sola fu quella chepoi mosse costui a rapire Helena, onde poi structa ne fu Troia. Onde Paris, corrocto perquesto, parve che eleggessi Venus allora per la più bella, per la quale cosa parve che l’al-tre si crucciassino e presono cagione d’avere costui e gli altri Troyani per nimici semprein tucto loro affare. Assai habiamo decto de facti di Paris, però che ancora me ne conver-rà dire più cose quando tempo farà, però ritorno a quello ch’io dicea79.
Nella seconda occasione è ricordato, in maniera sommaria, l’amore tra Enone e Paride:
Essendo gravida Ecuba reina, più volte sognando le parea che partorisse una fiaccolaardente, la quale ardea Troia con tutto el reame. Questo manifestò a Priamo suo marito,
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79 Cfr. il codice conservato alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, Plut. lxxxix inf. 50, cc. 35v-36v.
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el quale, per consiglio degli suoi indovini, comandò che lui che nascesse fussi mortosanza dimoranza. Nato el garzone, el quale per volontà della madre Alessandro ebbenome, ma poi per la notrice fu chiamato Paris, portato fu in uno lontano paese; ma nonche la madre non sapesse tutto quello che di lui poi adivenne, ché quegli che lo portaro-no lo lasciarono lungo una valle d’uno grande mulino. Pastori passando quivi lo trovaro-no stare; fecionsi grande maraviglia e sì lo portarono a una loro madre, la quale in partogiacea. Quela lo notricò teneramente, el quale poi divene molto prode e savio e il miglio-re arcadore che allora si trovasse; sommo maestro del giuoco di cesti e degli altri giuo-chi, com’io già dissi. In questi giuochi costumavano e gentili baroni, in tempo di pace, diesercitarsi per diventare più destri, e quali si faceano per forza e per ingegno. Per ciòPriamo facea e figliuoli spesse volte a questi giuochi giucare, perché dell’arme prendes-sono costumanza. Paris, el quale [era] allora sconosciuto, dimorava con una donzella, laquale per nome Enone si chiamava; duchessa era di quello paese, dove egli fu da’ pasto-ri trovato. Costei lo teneva molto drudo e per amore l’amava, ma non però che tenere lopotesse quando sapea ove quegli giuochi si faceano, che non vi andassi. Per questi giuo-chi fare andò Paris in Troia, sconosciuto da tutta la gente, e egli non sapea chi egli si fussiné donde nato fusse. Egli era di persona giovane, fresco, bello e destro: molto era rimi-rato per la sua bellezza. Quivi co’ fratelli e con quegli altri che giucare sapeano a questigiuochi, con loro giucando tutti gli vinceva. Ecuba sola costui conoscea, la quale sempregli avea dietro le spie e coloro medesimi che l’aveano lasciato quando lo doveano ucci-dere, costoro sapeano tutto el suo affare e spesse volte l’aveano monstrato a Ecuba, perla qual cosa bene lo conosceva80.
Va rilevato che nel passo della Fiorita, in cui Paride si reca a Troia per partecipareai giochi, non viene precisato che l’eroe vi si dirige per mare. È segnalato corsivamen-te che «per questi giuochi fare andò Paris in Troia sconosciuto da tutta la gente […]».Sebbene la Fiorita non risolva del tutto l’iconografia del cassone di Malibu, lo spuntoofferto da Mather rimane di estremo interesse.
L’ambiente culturale senese sembra infatti piuttosto sensibile alla leggenda diTroia. Egidio Gorra avanzò l’ipotesi che il volgarizzamento di Binduccio dello Scelto,il cui unico testimone è il ms Magliabechiano ii. iv. 45 della Biblioteca Nazionale diFirenze, fosse proprio di provenienza senese: «il dialetto in cui è scritta la versione èsenese, e molto probabilmente oltre il copista era senese anche l’autore, del qualeperò non ci fu dato trovare notizie»81. Anche le annotazioni di mano seicentesca, con-tenute in uno dei fogli di guardia del manoscritto, rimanderebbero all’origine sene-se dell’autore: «oltre all’appartenenza (“Del Sen.re Carlo di Tommasi Strozzi 1670”) eal numero di catalogo (n. 357, s’intende della Collezione Strozzi) si leggono anche iltitolo e il nome dell’autore: “Historia della distruzione di Troia di Ditte tradotto dalfrancesco in lingua toscana da Binduccio dello Scelto da Siena l’anno 1322”»82. Maria
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80 Per l’edizione del testo vedi E. Gorra, Testi inediti di storia troiana, cit., p. 539. Cfr. il codice della Lau-renziana citato sopra, c. 74r-74v.
81 E. Gorra, Testi inediti di storia troiana, cit., p. 169.82 M. Gozzi, Ricerche storiche intorno a Binduccio dello Scelto, «Studi sul Boccaccio», 3, 1965, pp. 33-34.
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Gozzi, tuttavia, ritiene l’autore più probabilmente di origine fiorentina, poiché lafamiglia Dello Scelto ha come dimora Firenze, tuttavia conclude: «che Binduccio siafiorentino non si può per ora né affermare né negare con certezza, in quanto il nomepotrebbe appartenere, pressappoco, all’intera area dell’Italia centrale»83. Più direcente Gabriele Ricci ha confermato l’ascendenza fiorentina della famiglia sebbenenon sia possibile rintracciare alcuna testimonianza da collegare alla figura di Binduc-cio e ha rimarcato il valore del testo contenuto nel codice magliabechiano poiché èl’unico discendente toscano di una delle due versioni in prosa, in lingua d’oïl, ricava-te dal Roman de Troie 84.
Certamente di nobile famiglia senese è invece il copista dell’unico testimone. Nel-l’explicit si legge infatti: «Questo libro scripse Andrea di Deio degli Ugurgieri daSiena, el quale traslatò Binduccio dello Scelto di francescho in nostro volgare, acciòche coloro che non sanno lo francescho ci si possano dilectare; e compissi di scriva-re Martedì xx di luglio anni mcccxxii inditione v. a.»85. Gli Ugurgieri furono fra lefamiglie nobili più eminenti in Siena: l’appartenenza di Andrea di Deio «ad una dellegrandi casate cittadine e gli stessi dati del documento qui sopra trascritto, dai qualirisulta che la famiglia doveva vantare un numero considerevole di proprietà immobi-liari, fanno di lui un copista d’eccezione, non certo un normale amanuense di botte-ga. Questo potrebbe spiegare, forse, la scarsa diffusione che dovette avere il volgariz-zamento di Binduccio (come sembra attestare il fatto che un solo codice è pervenu-to fino a noi), copiato di persona da uomini particolarmente interessati alla leggen-da troiana, e quasi passato di mano in mano al di fuori della diffusione commerciale.D’altra parte il codice stesso che noi possediamo pare avere i caratteri di un mano-scritto privato, frutto di un gusto personale e di una paziente e amorosa cura»86.
Andrea di Deio degli Ugurgieri è imparentato con Ciampolo di Meo, il primo vol-garizzatore dell’Eneide. La traduzione, che mostra tempestivamente reminiscenzedella Commedia, è da datarsi entro il 1340, data di uno dei testimoni del volgarizza-mento87. Risulta significativo «che nella stessa famiglia e pressappoco negli stessi annisiano stati approntati, più modestamente nel caso di Andrea attraverso la semplicetrascrizione, due adattamenti di materia troiana, risalendo però a due testi in tutto
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83 Ibid., p. 36. La studiosa rileva una traccia soltanto della famiglia Dello Scelto a Siena, «un Cecco diVanni dello Scelto, dottore in grammatica e logica nello Studio senese dal 1332 al 1347, la cui presenza inqualità di professore, tuttavia, non ci testimonia nulla sulla sua origine» (p. 34). In proposito si veda G.Cecchini, G. Prunai (a cura di), Chartularium Studii Senensis, Siena, Università di Siena, 1942, vol. i (1240-1357), pp. 395 sgg.
84 Cfr. G. Ricci, in Binduccio dello Scelto, Storia di Troia, cit., pp. xv e xx.85 E. Ragni, voce Binduccio dello Scelto, in Dizionario biografico degli italiani, cit., 10, 1968, p. 503. Sulla
figura del copista cfr. M. Gozzi, Ricerche storiche, cit., pp. 26-33; M. Gozzi, in Binduccio dello Scelto, Lastoria di Troia, cit., pp. 38-39; G. Ricci, in Binduccio dello Scelto, La Storia di Troia, cit., pp. xx-xxii.
86 Gozzi, Ricerche storiche, cit., p. 33.87 C. Segre (a cura di), Volgarizzamenti del Due e Trecento, cit., p. 568. Sul codice miniato contenente la
traduzione di Ciampolo, conservato nella Biblioteca degli Intronati di Siena, cfr. A. Lusini, Il Codice delprimo volgarizzamento dell’ Eneide, «La Diana», v, 1930, pp. 21-28.
88 Gozzi, Ricerche storiche, cit., pp. 38-39.
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diversi l’uno dall’altro: Andrea copia una versione medievale tradotta dal franceseche fa conoscere la vicenda nella sua parte tragica; Ciampolo traduce direttamentedal latino, e dall’autore forse più classico fra tutti, la conclusione della medesima sto-ria, conclusione che conosce anch’essa momenti tragici, ma si apre alla prospettiva diun futuro trionfale»88.
La circolazione di materiale troiano all’interno della famiglia Ugurgieri risulta diqualche interesse, dal momento che in uno dei pannelli laterali facenti parte del cas-sone di Malibu, quello con Enone che ostenta l’arco (fig. 31), si trova proprio lostemma Ugurgieri: «d’oro, a tre leoni d’azzurro: i due del capo affrontati e sostenutiuna ruota di otto raggi di rosso, e uno in punta; col capo cucito d’oro carico di un’a-quila spiegata di nero, coronata del campo»89.
L’emblema che viene mostrato dalla figura maschile, Paride, è invece stato identi-ficato da Weller, in quello della famiglia fiorentina Bartolini-Salimbeni: «inquartato:nel i e iv di rosso al leone troncato d’argento e di nero (Bartolini); nel ii e iii di rossoa tre losanghe d’oro (Salimbeni)»90. Il leone raffigurato nel cassone del Getty Museum,tuttavia, tiene nella branca anteriore destra tre “rametti”, che potrebbero alluderealle spighe che compaiono nello stemma della famiglia senese Ugolini: «di rosso, alleone troncato d’argento e di nero, tenente con la branca anteriore destra tre spighed’oro; col capo dello stesso, caricato di un’aquila spiegata di nero, abbassato sotto ilcapo di S. Stefano»91.
Domenico da Monticchiello, il traduttore delle Heroides, fu forse anche l’autore delTroiano che si ispira ad uno dei volgarizzamenti in prosa (l’anonimo del codice Laur.Gadd. 15 della Biblioteca Laurenziana di Firenze ed altri) relativi alla leggenda troia-na. Suddiviso in 42 cantari, il Troiano «include la storia di Medea, digressioni suElena, Achille e Polissena e dipende da fonti diverse da Benoît de Sainte-Maure eGuido delle Colonne: oltre alla ricordata traduzione anonima anche il Poema di Achil-le della Laurenziana (Laur. Med. Pal. 95) di cui riproduce pedissequamente interestanze ed episodi»92. Tali autori, Binduccio dello Scelto e Domenico da Monticchiel-lo, tuttavia, non riescono a spiegare gli episodi raffigurati a destra della fronte di cas-sone di Malibu.
Il Troiano di Domenico da Monticchiello è contenuto nel cod. rediano 169 dellaBiblioteca Laurenziana di Firenze e nel cod. i vi 37 della Biblioteca degli Intronati diSiena. L’autore è identificato in Domenico da Monticchiello, dal momento che nel-l’explicit del codice della Laurenziana si legge: «Finito el Troiano. Rechato fu in rimaper lo famosissimo dottore Messer Domenico da Monte Chiello». Alla fine del mano-scritto della Biblioteca degli Intronati invece leggiamo: «Finito è questo libro del Tro-
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89 Enciclopedia storico-nobiliare italiana, promossa e diretta dal marchese V. Spreti, vol. vi, Milano, Enciclo-pedia storico-nobiliare italiana, 1932, p. 758.
90 Ibid., vol. i, Milano, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, 1928, p. 525.91 L. Borgia, E. Carli, M. A. Ceppari, U. Morandi, P. Sinibaldi, C. Zarrilli, Le Biccherne. Tavole dipin-
te delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Centra-le per i Beni Archivistici, 1984, p. 370.
92 Cellerino, Domenico da Monticchiello, cit., p. 641.
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yano, Per me Gherardo nel Chastello di Piano, A dy quindici di Novembremccccxxxviii, Deo gratias amen». Probabilmente Gherardo da Castel del Piano fusoltanto il copista dell’opera. Mentre la critica più recente, con la quale conveniamo,ha individuato l’autore del Troiano nel Domenico da Monticchiello volgarizzatoredelle Heroides93, Egidio Gorra, affrontando il tema della tradizione della saga troianain Italia osserva: «Di questo Domenico dottore nulla però sappiamo dire se non cheegli non è da confondere con quel Domenico da Monticchiello che tradusse le Epì-stole di Ovidio né quello di cui si parla nella vita del B. Colombini, l’uno cantore popo-lare, l’altro dottore in leggi ed ambedue del Trecento. Il nostro Domenico deve avervissuto nel secolo seguente e la composizione del suo poema, affatto privo di ognipregio letterario, si può porre nella prima metà del Quattrocento»94.
Sulla leggenda troiana, di cui rimane estesa testimonianza, si presenta dunqueassai impegnativo un vaglio sistematico. Come ho potuto dimostrare, tuttavia, il Troia-no a stampa di anonimo, la cui editio princeps fu pubblicata a Venezia, per i tipi di Lucadi Domenico, nel 1483, risulta una fonte di rilievo per la scena raffigurata a destradel dipinto95. In questa opera è dettagliatamente narrata la storia di Paride. Appenanato viene affidato ad una nutrice che non gli rivela il lignaggio. Tuttavia la donnarende noto il segreto ad Enone «dea delle fontane», con la quale Paride aveva instau-rato una corrispondenza amorosa vagando per le selve del monte Ida. Alla mortedella nutrice, Paride viene accolto da un pastore che lo tratta come un figlio. Enoneinsegna al giovane a leggere e a scrivere, ma soprattutto ogni tipo di prodezza: in par-ticolare lo addestra a tirare con l’arco e a cavalcare. Dal momento che riusciva adaccordare i suoi compagni in ogni questione è chiamato «Alessandro Pari» e poi sol-tanto «Pari». Con Enone conosce l’amore. La ninfa gli rivela le sue origini regali e losottopone ad un giuramento: vincola l’eroe a non abbandonarla. Dopo avergli dettoche è figlio del re di Troia Priamo e della regina Ecuba, lo invita ad andare a Troiadove si stanno svolgendo alcuni festeggiamenti: sarà quella per Paride l’occasioneopportuna per l’agnizione. L’eroe decide di partire, ma il giorno seguente, attiratoda una cerva veloce, impugna l’arco e la insegue a cavallo. Giunto in prossimità di unfonte, persa di vista la cerva, si ristora e si mette a dormire. A questo punto l’autoreinserisce la materia narrativa del “Giudizio”. Paride ritorna dunque da Enone fino almomento in cui egli non si risolve a dirigersi verso Troia. La ninfa lo accompagna perun lungo tratto: raggiunte le sponde di un fiume fa giurare all’eroe che sarebbe ritor-nato. Dopo aver a lungo pianto, Paride si allontanò «e tanto cavalcò per su il riviro»finché non giunse a Troia. Nella città si tenevano giochi, tornei e danze e «di Enone,per cui sospirava, / dimenticola, e in altro si pensava»:
«O arbor, grande sia qui testimonio,come io prometto a questa cara amica
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93 Ibid., p. 641; Ciociola, Poesia gnomica, cit., p. 378.94 Gorra, Testi inediti di storia troiana, cit., p. 294.95 Cfr. igi, n. 9724.
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di ritornare a lei con viso bonocon quella star insieme se replicain queste parte o altrove ch’io sonovivere insieme come ragion dicané mai da me abandonata seraese non quando quel fiume in su verrae».
E, detto ciò, insieme sì s’abracciarocon grave pianto e poi si dipartiro.Via se ne va Paris el giovin caroe tanto cavalcò per su il riviroch’a Troia gionse senza alcun divaro,onde gran festa si facea dimirocon giochi, giostre, balli e torniamentiprincipi, e duchi v’eran certamenti.
In su la plaza eran molte armadure,lanze e cavalli da far prove assai;Paris sta e si ponea sue curea tante cose che non vidi mai.Molto gli piacen quelle cose pure,onde che’n tutto gli fugì con suo raidi Enone, per cui sospirava,dimenticola, e in altro si pensava96.
Di particolare interesse risultano dunque i versi in cui si ricorda che Paride si allon-tanò da Enone cavalcando lungo il fiume, in quanto costituiscono la sola testimonian-za secondo cui Paride non parte con la flotta, bensì a cavallo. Anche il ruscello, cita-to nel Troiano a stampa, è rappresentato nel dipinto di Malibu, tra la scena del Giudi-zio e la figura di Enone prospettata al centro del dipinto con l’arco.
Il Troiano a stampa si rivela utile per la ricostruzione degli episodi e per le variantidella leggenda di cui dà contezza. La fonte diretta per la sua composizione non ful’Historia troiana di Guido delle Colonne e neppure il poema di Benoît de Sainte-Maure. Per l’elaborazione della storia di Enone e Paride l’autore dovette rifarsi, contecnica centonaria, a più testi: le Heroides di Ovidio, la Fiorita di Armannino Giudiceed una versione veneta delle gesta di Troia97. Tuttavia si riscontrano particolari nuoviche appartengono solo al Troiano a stampa.
Se è vero che l’ideatore del programma del cassone di Malibu si servì proprio diquesto testo, occorrerà posporre la datazione di qualche anno rispetto a quanto finoad oggi ipotizzato, cioè agli anni Ottanta del Quattrocento, post 1483, data dell’editio
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96 Troiano a stampa, 1483, cc. d2r-d5r.97 Gorra, Testi inediti di storia troiana, cit., pp. 324-27.
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princeps. Altrimenti dovremmo credere che l’umanista si ispirò ad una fonte a noiignota, comunque utilizzata dall’autore del Troiano per gli episodi di Enone e Paride.In base a questa congettura, la fonte sottesa all’iconografia del cassone ed il poemadel Troiano a stampa deriverebbero da un archetipo comune.
Al di là della genesi del tessuto narrativo dell’opera, ciò che adesso appare più evi-dente è che a destra del cassone di Francesco di Giorgio non viene rappresentato ilratto di Elena, bensì il commiato di Paride da Enone. La città sullo sfondo non è Spar-ta, ma Troia. L’episodio effigiato nel pannello non evoca il momento successivo in cuiParide si reca a rapire Elena, ma quello in cui l’eroe si dirige verso Troia, dove potràfinalmente rivelare la propria identità. Come mi ha fatto notare Gioachino Chiarini, aconfermare l’ipotesi, la città dello sfondo non può rimandare a Sparta, bensì a Troia.L’imponente costruzione che si erge molto al di sopra delle mura richiama il perga-mo di Ilio, la rocca in cui si trovavano la reggia di Priamo e il tempio con il Palladio.
È plausibile ritenere che la fronte di cassone prevedesse un pannello pendant conla raffigurazione del rapimento di Elena. In questo modo si sarebbero potuti esaltaregli amori dell’eroe troiano: Enone, la ninfa con la quale egli “conobbe” il “carnalamore” quando ancora non conosceva le proprie origini nobili; Elena, la “magnadonna”, la donna più bella, fomite di discordie e di guerra.
In un dipinto della collezione Chigi Saracini (fig. 32), facente parte del decoro diuna camera nuziale (si tratta plausibilmente di una spalliera), il pittore Girolamo delPacchia descrive l’episodio di Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Dia(Nasso), con moduli stilistici raffaelleschi che evocano la pittura compendiaria delleLogge 98. L’eroina, ridestatasi da un profondo sonno, ha ormai subito l’amara disillu-sione e scorge la nave di Teseo mentre scioglie le vele per prendere il vasto mare:appare raffigurata, con il seno scoperto, su una riva paludosa dai toni lividi, cosparsadi una vegetazione caratteristica dei paesaggi lacustri, che accresce la desolazione delluogo. I compagni di Teseo sono ritratti in fogge insuete ed atteggiamenti realistici.Nel cielo, che ha le stesse tonalità del mare, flotta il carro di Bacco trainato da unaquadriga di tigri. Il dettaglio introduce un elemento mitico e favolistico. Questo apo-logo ci è trasmesso da molteplici testimonianze: l’iconografia del dipinto, conseguen-temente, sembra derivare dalla contaminazione di diverse fonti letterarie. La scena inprimo piano pare ispirarsi al carme lxiv di Catullo, in cui l’amore tra Teseo ed Arian-na è elegantemente contesto in una pregiata coltre nuziale (vv. 50-71).
La desolata figura di Arianna, pervasa da un sentimento di angoscia, accenna conla mano esausta, «stanca di colpire il triste petto», verso Teseo che rivolge uno sguar-do estremo alla costa ormai remota. Il gesto dell’eroina sembra richiamare una delleepistole di cui si compongono le Heroides di Ovidio: Arianna a Teseo (10,136-52):
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98 A. Angelini, in Da Sodoma a Marco Pino. Pittori a Siena nella prima metà del Cinquecento, catalogo dellamostra (Siena, Palazzo Chigi Saracini, 1988), a cura di F. Sricchia Santoro, Firenze, s.p.e.s., 1988, pp. 60-61. Sul dipinto cfr. anche M. Ciatti, in Mostra di opere d’arte restaurate nelle province di Siena e Grosseto, ii,Genova, Sagep, 1981, pp. 140-41.
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La mia figura desolata commovesse i tuoi occhi! Anche ora guarda, non con gli occhi, macome, puoi, con la mente, me attaccata a uno scoglio battuto dall’acqua del mare, che vae viene. Guarda i capelli sparsi, al modo di chi piange, e le vesti grondanti lacrime, comeappesantite dalla pioggia! Il corpo trema irrigidito dal freddo, come spiga battuta dagliaquiloni; le mie parole sono incerte, vinte dal tremito delle articolazioni.Non ti prego per i miei benefici, perché mi hanno fatto del male; nessuna riconoscenzasia dovuta alla mia azione; ma nemmeno una pena; se per te io non fui causa di salvezza,non per questo c’è motivo che tu mi sia causa di morte. Le mie mani, stanche di colpire il tri-ste petto, io sventurata tendo a te, al di là del vasto mare; e mesta ti mostro questi capelli chemi rimangono; per queste lacrime, provocate dalle tue azioni, ti prego, volgi la nave, oTeseo, e, mutato il vento, torna! Se morirò prima, tu almeno raccoglierai le mie ossa99.
Nell’Epistola decima, volgarizzata da Domenico da Monticchiello, dal titolo Adrianaa Theseo, il passo in cui l’eroina si osserva e descrive il proprio aspetto di relicta cosìviene reso dal poeta:
Ben che con gli ochi non mi puoi vedere,ma ben si puoi con gli ochi dela mente,riguarda a mi che son posta a giaceresopra lo schoglio lo qual vagamentel’aqua vaga seguendo suo doverepercuote e suona continuamente.Mira i capigli sciolti e scapigliatia guisa di piangenti e sconsolati.
Mira che fatto grave el mio vestitotutto de mie lachryme è bagnatoet è sì inhumidito tutto quantocome si pioza l’havesse tocato.Il corpo mio è tutto inariditocome fa il biado quand’è dimenatoda venti che proceden d’aquiloneet puoi comprender la mia conditione.
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99 «Movisset vultus maesta figura tuos! / Nunc quoque non oculis, sed, qua potes, aspice mente, / hae-rentem scopulo, quem vaga pulsat aqua; / adspice demissos lugentis more capillos / et tunicas lacrimissicut ab imbre graves! / Corpus, ut impulsae segetes aquilonibus, horret, / litteraque articulo pressa tre-mente labat. / Non te per meritum, quoniam male cessit, adoro: / debita sit facto gratia nulla meo, / sedne poena quidem; si non ego causa salutis, / non tamen est cur sis tu mihi causa necis. / Has tibi plangen-do lugubria pectora lassas, / infelix tendo trans freta longa manus; / hos tibi, qui superant, ostendo maesta capil-los. / Per lacrimas oro, quas tua facta movent, / flecte ratem, Theseu, versoque relabere vento! / Si priusoccidero, tu tamen ossa feres». Si noti il verbo tendo utilizzato da Ovidio. In un commento della fine delQuattrocento di Antonius Volscus e Ubertinus Clericus è spiegato come tendo significhi porrigo, tendereinnanzi a sé: Cfr. Ovidio 1506, c. i2r.
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E fu fatta la littera presente con man tremante e con tremante dito;pregar ti voglio divotissimamentenon per mio merto che me mal seguitoben ch’io non te servisse de nientené sia a me tuo scampo atribuito.Non so però veder perché tu siacagion di pena e dela morte mia.
Or ecco sventurata che piangendopercuoto insieme mie membre affannatiet sopra longi mari vo stendendole stanche mano acciò che tu le guatiet mie capegli molto protendendoti mostro quelli che me son vanzati;donque ti prego che per lo lachrymarech’el tuo male operare mi va versare
che la tua nave con el contrario ventoo Theseo mio per mi debbi voltareet se ‘l mio corpo sarà de vita spentol’ossa ne potrai tu teco riportare.Donque si prenda l’amaistramentoper lo tenor de questo cantareche nisuno serva con danno e dishonorese puoi si pente non è grand’errore100.
Il carme lxiv di Catullo e la lettera di Arianna a Teseo apportano circostanziatiindizi per l’esegesi iconografica del dipinto, non riescono tuttavia a spiegare il parti-colare del carro di Bacco trainato dalle tigri. Catullo ricorda Dioniso che, con il suocorteo di invasati, giunge sull’isola, acceso d’amore per l’eroina, ma non riferisceespressamente della presenza delle tigri. Il racconto delle Eroidi è costituito esclusiva-mente dal lamento di Arianna abbandonata. Il verso 139 dell’epistola corpus ut impul-sae segetes aquilonibus horret, che viene ripreso da Ovidio in Ars amatoria 1,553 horruit,ut steriles agitat quas ventus aristas, determina una correlazione ed una continuità tra idue testi. Nell’Ars amatoria (1,523-52) viene descritto il carro del dio in maniera deltutto conforme all’iconografia del dipinto della collezione Chigi Saracini:
Ecco Bacco chiama il suo poeta: anch’egli va in aiuto agli amanti e favorisce il fuoco d’a-more di cui egli stesso brucia. La fanciulla di Cnosso andava errando, fuori di sé, perspiagge sconosciute, dove la piccola isola di Dia è colpita dalle onde del mare; e, comeuscita dal sonno, coperta da una tunica slacciata, coi piedi nudi e i capelli biondi sciolti,
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100 Ovidio, Heroides, traduzione di Domenico da Monticchiello, Brescia, Battista Farfengo, 1489, c. c8v.
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gridava la crudeltà di Teseo alle onde che non ascoltavano, mentre il pianto immeritatorigava le guance delicate. Gridava e insieme piangeva, e tutte e due le azioni le si addice-vano; non diventò più brutta per le sue lacrime […]. Intanto il dio sul carro, che avevacoronato in alto di grappoli d’uva, allentava le briglie d’oro alle tigri appaiate; alla fan-ciulla vennero meno il colore, il ricordo di Teseo e la voce, tre volte tentò di fuggire, trevolte fu trattenuta dalla paura. Rabbrividì, come le spighe vuote agitate dal vento, come lacanna leggera trema nell’acqua della palude 101.
Nel commento di Bartholomaeus Merula ad Ovidio, De arte amandi, largo spazio èdedicato alla descrizione del currus Bacchi tigris, che potrebbe aver influenzato il let-tore della glossa102. Il Merula riporta anche una testimonianza parallela interessante:Stazio, il quale, nella Tebaide (4,654-58), ricorda Libero che «spinge verso la cittàdella madre il carro ornato di pampini; a destra e a sinistra lo seguono, libere, le linci,e le tigri lambiscono le redini molli di vino»103. Il particolare delle canne lacustri cheappare nel dipinto, inoltre, è un ulteriore indizio di un’attenta lettura del passo del-l’Ars amatoria da parte dell’artista o di chi gli ha fornito il soggetto.
Le Heroides, dunque, hanno determinato l’iconografia del cassone della bottega diFrancesco di Giorgio a Malibu e quello di Girolamo del Pacchia nella collezioneChigi Saracini soltanto in alcuni elementi narrativi. Le epistole di Ovidio al pari dialtri testi antichi quali il mulierum virtutes di Plutarco, e fonti medievali come i Trionfidel Petrarca, il relativo commento dell’Illicino ai Trionfi, la Fimerodia di Jacopo daMontepulciano, il Triumphus contra Amorem dello stesso Domenico da Monticchiello,presentano gallerie di Donne Illustri, alcune desunte dal mito, altre dalla storia. Talirassegne costituiscono un’importante fonte d’ispirazione per le serie di eroine raffi-gurate nei cassoni e nelle spalliere che decoravano i palazzi senesi del Rinascimento.È ben nota la grande diffusione, nella pittura senese, del canone delle Donne Famo-se, che venne ad affiancarsi a quello più diffuso degli Uomini Famosi: serie di eroineromane e non romane, rappresentate a gruppi di tre, come figure intere stanti. Talifigure alludono a virtù o, più raramente, a vizi: offerte dunque all’imitazione, o all’e-secrazione. Le opere letterarie ora richiamate sono per gli ideatori di programmautili repertori da cui trarre spunti, da arricchirsi eventualmente collazionando altrefonti: rappresentano dunque dei modelli per l’impianto compositivo, la scelta della
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101 «Ecce, suum vatem Liber vocat: hic quoque amantis / adiuvat et flammae, qua calet ipse, favet. /Cnosis in ignotis amens errabat harenis, / qua brevis aequoreis Dia feritur aquis; / utque erat e somno,tunica velata recinta, / nuda pedem, croceas inreligata comas, / Thesea crudelem surdas clamabat adundas, / indigno teneras imbre rigante genas. / Clamabat flebatque simul, sed utrumque decebat; / nonfacta est lacrimis turpior illa suis […]. Iam deus in curru, quem summum texerat uvis, / tigribus adiunctisaurea lora dabat: / et color et Theseus et vox abiere puellae, / terque fugam petiit terque retenta metuest. / Horruit, ut steriles agitat quas ventus aristas, / ut levis in madida canna palude tremit». Trad. it. A.Della Casa, in Opere di Publio Ovidio Nasone, cit., pp. 519, 521.
102 Ovidius, De arte amandi; De remedio amoris. Comm. Bartholomaeus Merula, Venezia, Giovanni Tacui-no, 1494, c. c2r.
103 «[…] materna ad moenia currus / promovet; effrenae dextra laevaque secuntur / lynces, et udamero lambunt retinacula tigres».
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materia, la valenza morale dei cicli raffigurati. Il carattere esemplare dei volgarizza-menti delle Heroides, d’altronde, è dimostrato dal contenuto dei prologhi antepostidai traduttori alle epistole, sopra citati: si offrono al lettore degli exempla “d’amore”sequenda aut vitanda (da seguire o da evitare).
Il ruolo fondamentale svolto dal de mulieribus claris di Boccaccio in questo genereiconografico è stato ampiamente dimostrato. Tuttavia, come ho potuto constatare, ilde mulieribus claris nella raffigurazione delle eroine delle antichità, a Siena, ha opera-to come fonte, in una sola occorrenza, fino ad oggi non segnalata.
In un epigramma adespoto contenuto nel xvi libro dell’Antologia Palatina (151),Didone rivolge un’apostrofe alle Muse, rimproverandole di aver ispirato Virgilio cheha calunniato il suo pudor. La regina fenicia dichiara di non aver mai conosciuto Enea:
Ospite, qui di Didone famosa l’archetipo vedi —quadro fulgente di beltà divina.Ero così, ma la mente che credi per fama non l’ebbi,ché per virtuose azioni ottenni gloria.Io quell’Enea non lo vidi neppure, né in Libia pervenneQuando veniva conquistata Troia.No: la violenza di Iarba, le imposte nozze fuggendo,mi infissi il gladio a doppia lama in cuore.Muse, contro m’armaste — perché — quel Marone crudele;contro la mia virtù questo mentì!104
Questo tardo componimento aderisce ad un’antica tradizione inaugurata daTimeo di Tauromenio e propagata nella cultura medievale ed umanistica ad opera diGiustino (cap. 18) che rielabora la vicenda e la arricchisce di nuovi dettagli105. Secon-do questa versione il nome originario di Didone sarebbe Elissa. Figlia di Mutto, sorel-la del re di Tiro Pigmalione che le uccise il marito Acherba, si vide costretta a fuggi-re in Libia ove fondò Cartagine. Richiesta in sposa da Hiarbas, re dei Maxitani, pernon violare la fedeltà al marito, si gettò sul rogo che aveva allestito simulando un ritoin memoria di Acherba e si uccise con la spada.
La dicotomia tra la sposa fedele e l’amante appassionata di Enea si perpetua inepoca imperiale. Secondo gli autori cristiani, in dissidio con la versione virgiliana, laregina sarebbe stato un esempio di fedeltà coniugale106. Anche Petrarca, nel Trionfodella Pudicizia (10-12) rinnova la sua invettiva contro l’iniqua fama propagata dalpoeta latino, rivendicando la fides di Didone:
e veggio ad un lacciuol Giunone e Dido,
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104 Trad. it. F. M. Pontani, in Antologia Palatina, a cura di F. M. Pontani, vol. iv, Torino, Einaudi, 1981,pp. 335-37.
105 A. La Penna, in Enciclopedia virgiliana, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, ii, 1985, voce Dido-ne, pp. 50 sgg.
106 Per una rassegna dei testimoni cristiani cfr. La Penna, in Enciclopedia virgiliana, cit., p. 52.
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ch’amor pio del suo sposo a morte spinse,non quel d’Enea, com’è ‘l publico grido.
Boccaccio, nel de mulieribus claris (cap. 42), narra con dovizia di particolari la sto-ria di Didone seguendo pedissequamente il testo di Giustino. Va rilevato tuttavia chealcuni dettagli dell’esposizione, significativi per l’esegesi iconografica che ci appre-stiamo ad effettuare, sono introdotti in modo originale.
In quattro pannelli per un cassone conservati al Musée du Petit Palais di Avignone,già attribuiti al Maestro di Lecceto, sarebbero raffigurati, secondo l’opinione correnteche si fonda sulla versione di Giustino, l’Arrivo di Iarba che minaccia Cartagine; Iarba chiedela mano a Didone; Didone accetta il contratto di matrimonio; Morte di Didone sul rogo (fig. 33)107.
Ma il pittore, come apparirà in seguito più chiaramente, sembra attenersi fedel-mente alla versione riferita da Boccaccio. Nel primo dipinto, alcuni cavalieri siapprossimano alle mura della città fondata da Elissa sull’appezzamento di terrenoottenuto dagli abitanti del luogo con l’abile espediente di tagliare una pelle di bue insottilissime strisce per circoscrivere il territorio accordatole per la nuova città:
Allora Didone […] subito decise di comprare dagli abitanti della costa, per farne la suasede, un appezzamento di terreno tanto piccolo da poter essere ricoperto dalla pelle diun bue. Astuzia di femmina! Per suo ordine, la pelle del bue fu tagliata in piccole strisce,che, congiunte l’una all’altra, abbracciarono uno spazio ben più grande di quello che ivenditori avrebbero potuto stimare. Così, con l’auspicio di una testa di cavallo, che erastata trovata, Didone fondò la città guerriera che chiamò Cartagine, mentre alla roccadiede il nome di Birsa dalla pelle del bue. Mostrò poi ai compagni di fuga i tesori cheaveva con frode nascosti e li animò di grande speranza. Sorsero così subito le mura, i tem-pli, il foro e i pubblici e i privati edifici108.
I personaggi rappresentati sembrano identificabili con il re dei Massitani Iarba,accompagnato dal proprio seguito:
Date al popolo leggi e regole di vita, Didone divenne famosa in tutta l’Africa, sia perchéla città era d’un tratto divenuta celebre, sia perché si era sparsa la voce della sua straor-dinaria bellezza e della sua eccezionale virtù ed onestà. Perciò il re dei Massitani (gli Afri-
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107 P. Schubring, Cassoni. Truhen und Truhenbilder der italienischen Frührenaissance, Ein Beitrag zur Profan-malerei im Quattrocento, Leipzig, Verlag von Karl W. Hiersemann, 1915, p. 369, nn. 649-652. Vedi anche M.Laclotte, E. Mognetti, Avignon, Musée du Petit Palais. Peinture italienne, Paris, Éditions de la Réunion desmusées nationaux, 1987, pp. 142-43.
108 «Confestim […] non amplius quam quantum quis posset bovis occupare corio, ad sedem sibi con-stituendam, ab accolis telluris in litore mercata est. O mulieris astutia! In frusta iussu suo concisum boviscorium fracturisque iunctis, longe amplius quam arbitrari potuerint venditores amplexa est et auspicioequini capitis bellicosam civitatem condidit, quam Cartaginem nuncupavit; et arcem a corio bovis Byrsam;et cum, quos fraude texerat, ostendisset thesauros, et ingenti spe fuge animasset socios, surrexere illicomenia, templa, forum et edificia publica et privata». Trad. it. V. Zaccaria, in G. Boccaccio, De mulieribusclaris, a cura di V. Zaccaria, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, x, a cura di V. Branca, Verona, Mondado-ri, 1967, p. 173.
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cani sono in genere molto inclini alla libidine) la desiderò e la chiese in sposa ai maggio-renti, minacciando la guerra e la distruzione della città, che stava sorgendo, se non glie-la avessero concessa109.
La sequenza prosegue nella tavola che descrive l’arrivo di Iarba al cospetto dellaregina in presenza dei maggiorenti della città, uno dei quali, cui è dato particolarerilievo in quanto al centro della scena, in atto di supplice, pare impetrare il consen-so della regina. Ai concittadini era ben nota l’inflessibilità di Didone e la sua fermez-za nell’onorare il marito. Per questo cercano di carpirne l’assenso con il dolo: attua-no un comportamento fraudolento lasciandole intendere che Iarba era venuto arichiedere alcuni precettori per diffondere la civiltà tra la sua gente:
I maggiorenti conoscevano il santo e inflessibile proposito della regina vedova di rimane-re casta; e molto temevano di potere essere distrutti da una guerra, se fosse stato negatoal re l’oggetto della sua richiesta. Non osando esporre alla regina ciò che le era richiestodal re, essi pensarono di ingannarla e di trarla alla loro volontà col suo stesso parere. Ledissero che il re desiderava ridurre il suo popolo barbaro a più civili costumi e che, a que-sto scopo, chiedeva loro, con minaccia di guerra, dei precettori. Erano incerti quale fraloro dovesse assumere il grave incarico di andare a vivere, abbandonando la patria, pres-so un re così feroce110.
Didone, incalzata dalle pressanti richieste, acconsente senza frapporre indugi. Nelterzo pannello la regina, con volto benevolo, consegna un atto che ha ratificato perciò che lei ritiene le fosse stato richiesto. Manca un esplicito richiamo sia nel testo diBoccaccio che in quello di Giustino ad un documento cartaceo di conferma. Si trat-ta probabilmente di un espediente adottato dall’ideatore del programma per confe-rire una visibilità all’assenso di Didone:
La regina non s’accorse dell’inganno ed anzi così rispose: — nobili cittadini, che igno-ranza, che viltà è la vostra? Non sapete dunque che tutti nasciamo alla vita per il padre eper la patria e che non si può propriamente dire cittadino colui che rifiuta per il benepubblico, non dico un qualche altro disagio, ma la stessa morte, se la necessità lo richie-
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109 «Ipsa autem, datis populo legibus et norma vivendi, cum repente civitas evasisset egregia et ipsa incli-ta fama pulchritudinis invise et inaudite virtutis atque cestimonie per omnem Affricam delata est. Quamob rem, cum in libidinem pronissimi homines Affri sint, factum est ut Musitanorum rex in concupiscen-tiam veniret eiusdem eamque quibusdam ex principibus civitatis sub belli atque desolationis surgentis civi-tatis denunciatione, ni daretur, in coniungium postulavit». Trad. it. V. Zaccaria, in Boccaccio, De mulieri-bus claris, cit., pp. 173, 175.
110 «Qui cum novissent vidue regine sacrum atque inflexibile castitatis propositum et sibi timerent plu-rimum ne, petitoris frustrato desiderio, bello absorberentur, non ausi Didoni interroganti quod posceba-tur exponere verbis, reginam fallere et in optatum deducere sua sententia cogitarunt, eique dixere regemcupere eorum doctrina efferatam barbariem suam in mores humaniores redigere; et ob id, sub belli inter-minatione, preceptores ex eis poscere; verum eos ambigere quisnam ex eis tam grande vellet onus assum-mere ut, relicta patria, apud tam immanem regem moraturus iret». Trad. it. V. Zaccaria, in Boccaccio, Demulieribus claris, cit., p. 175.
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da? Andate dunque lieti e, con poco rischio da parte vostra, allontanate dalla patria unacosì grave minaccia di guerra —111.
L’iconografia dell’ultima tavoletta rafforza l’ipotesi che il ciclo figurativo dedicatoa Didone sia desunto dal de mulieribus claris. La regina, smascherata la frode, per rima-nere salda nel suo proposito di fedeltà al marito, statuì di darsi la morte sul rogo:
All’udire questi rimproveri della regina, parve ai maggiorenti di avere ottenuto ciò chedesideravano; e le scoprirono la vera richesta del re. Uditala, la regina si accorse di averecol suo parere approvato il matrimonio e pianse tra sé, non osando opporsi all’ingannotesole dai suoi concittadini. Pure, ferma nel suo proposito, decise d’un tratto ciò che leparve conforme alla sua onestà. E disse: — Se mi concedete un termine per incontrarequest’uomo, io andrò —. Il termine le fu concesso. Quando poi giunse Enea troiano, cheella non aveva mai visto, ritenne di dovere morire piuttosto che violare la sua castità.Recatasi nella parte più alta della città, vi fece erigere una grande pira che i cittadini cre-dettero avesse costruito per placare i mani di Sicheo. Indossata una veste nera, compì ritidiversi; e, dopo aver ucciso molte vittime, montò sulla pira, mentre i cittadini, presenti inmassa, stavano a guardare che cosa ella stesse per fare. Eseguite tutte queste cerimonie,Didone trasse da sotto le vesti un coltello e se lo conficcò nel purissimo petto, invocandoSicheo e dicendo: — Ecco, miei cittadini, come voi volete, vado al mio sposo —. Appenapronunciate queste parole, con sommo dolore di tutti i presenti, si lasciò cadere sul col-tello; e, avendo trafitto le parti vitali, spargendo purissimo sangue, andò incontro allamorte, mentre invano gli astanti si avvicinavano per aiutarla112.
Come si può osservare, gli indizi rivelatori sono la veste nera indossata da Didonenel pannello, diversa da quella dai toni più luminosi che compare in precedenza, e ilcoltello con cui esegue il suicidio. Giustino non si diffonde sui particolari dell’abitocon il quale la regina compie il gesto estremo, mentre riferisce che l’arma della mortesarebbe un gladio. Boccaccio, invece, oltreché che descriverla in abito di lutto, pun-tualizza che si uccise con un culter.
da ovidio a domenico da monticchiello
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111 «Non sensit regina dolos, quin imo in eos versa: — Egregii cives — inquit que segnities hec, que socor-dia? An ignoratis quia patri nascamur et patrie? Nec eum rite civem dici posse qui pro salute publica mor-tem, si casus expostulet, nedum incomodum aliud renuat? Ite igitur alacres et parvo periculo vestro a patriaingens belli incendium removete —». Trad. it. V. Zaccaria, in Boccaccio, De mulieribus claris, cit., p. 175.
112 «His regine redargutionibus visum est principibus obtinuisse quod vellent et vera regis detexereiussa. Quibus auditis, satis regine visum est se sua sententia petitum approbasse coniugium ingemuitquesecum, non ausa suorum adversari dolo. Stante tamen proposito, repente in consilium ivit quod sue pudi-citie oportunum visum est dixitque se, si terminus adeundi virum detur, ituram. Quo concesso atque adve-niente Enea Troiano nunquam viso, mori potius quam infringendam fore castimoniam rata, in sublimioripatrie parte, opinione civium manes placatura Sicei, rogum construxit ingentem et pulla tecta veste et ceri-moniis servatis variis, ac hostiis cesis plurimis, illum conscendit, civibus frequenti multitudine spectantibusquidnam factura esset. Que cum omnia pro votis egisset, cultro, quem sub vestibus gesserat, exerto accastissimo apposito pectori vocatoque Syceo inquit: — Prout vultis cives optimi, ad virum vado —. Et vixverbis tam paucis finitis, summa omnium intuentium mestitia, in cultrum sese precipitem dedit et auxiliisfrustra admotis, cum perfodisset vitalia, pudicissimum effundens sanguinem, ivit in mortem». Trad. it. V.Zaccaria, in Boccaccio, De mulieribus claris, cit., pp. 175, 177.
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Riportiamo anche il brano di Giustino (18,6,5-9) per istituire un confronto:
Presa da questo inganno, e chiamato per gran pezza il nome del marito Acerba, con moltelagrime e cordoglioso lamento, all’ultimo risponde ch’ella è per andar là, dove i suoi e ifati della città la chiamano. E tolto sopra di ciò tempo tre mesi, e fatta innalzare nell’ulti-ma parte della città un pira, come per placar l’ombra del marito, e mandargli, avanti allenozze, i sacrifizii, ammazza molti animali, e, presa una spada, sale sopra la pira, e in que-sta guisa, guardando al popolo, dice, che andava a marito, come lessi le avevano imposto,e s’uccide con la spada. Fintantoché Cartagine fu invitta, ella fu adorata per Dea113.
Nelle Heroides è contenuta un’epistola di Didone ad Enea che segue il modello deliv libro dell’Eneide di Virgilio: «Ovidio riesce abilmente a concentrare nel racconto diDidone tutti i discorsi pronunciati nell’Eneide dalla regina, da Enea e da Anna, nonnello stesso ordine, ma con continuità e coerenza»114. Nelle Pìstole di Luca Pulci, dedi-cate dall’autore a Lorenzo de’ Medici, che non costituiscono «un pedissequo rifaci-mento né tantomeno la traduzione in volgare — come qualcuno ha creduto — delleHeroides» è invece contenuta una lettera di Iarba a Didone, la cui materia narrativa èsempre ripresa dal poema virgiliano115. Nella rubrica dell’edizione, la missiva, checostituisce la seconda della serie, è intitolata Iarba re affricano a Dido di Sydonia reginadi Carthagine epistola seconda116.
In conclusione, dai tre esempi richiamati (Bottega di Francesco di Giorgio, Giro-lamo del Pacchia, già Maestro di Lecceto) emerge, spero, un’attitudine che caratte-rizza la concezione dell’antico alla quale si rifanno gli ideatori di programmi nelRinascimento. Da una parte, questi traggono ispirazione dai classici, dalle loro tradu-zioni e dai loro commenti, dall’altra, da rielaborazioni medievali ed umanistiche,ponendo sullo stesso piano gli antichi ed i moderni, spesso procedendo ad efficacicontaminazioni ed alla composizione di un testo originale da trasferirsi in immagine.
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113 «Hoc dolo capta diu Acherbae viri nomine cum multis lacrimis et lamentatione flebili invocato adpostremum ituram se, quo sua et urbis fata vocarent, respondit. In hoc trium mensium sumpto spatio, pyrain ultima parte urbis instructa, velut placatura viri manes inferiasque ante nuptias missura multas hostiascaedit et sumpto gladio pyram conscendit atque ita ad popolum respiciens ituram se ad virum, sicut prae-ceperint, dixit vitamque gladio finivit. Quam diu Karthago invicta fuit, pro dea culta est». Trad. it. P. E.Campi, in Le istorie di Trogo Pompeo compendiate da Giustino, Milano, Per Antonio Fontana, 1829, p. 199.
114 E. Salvatori, in Ovidio, Eroidi, introduzione, traduzione e note di E. Salvatori, Milano, Garzanti,1996, p. 275.
115 Carrai, Le Muse dei Pulci, cit., p. 25.116 L. Pulci, Pistole di Luca de’ Pulci al Magnifico Lorenzo de’ Medici, Firenze, Bartolomeo de’ Libri, prima
del 1495, cc. a3v-a6r. L’editio princeps è uscita a Firenze, presso Antonio Miscomini, nel 1481 (igi, n. 8221);Nel 1512 la raccolta di lettere uscirà anche a Siena, presso Symone di Niccolò & Giovanni di Alixandro.Cfr. N. Pallecchi, Una tipografia a Siena nel XVI secolo. Bibliografia delle edizioni stampate da Simone di NiccolòNardi (1502-1539), «Bullettino Senese di Storia Patria», cix, 2002, pp. 210-11.
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Fig. 19. Miniaturista francese del xvi secolo, Storie di Enone. Al centro: Enone scrive a Paride. Asinistra: Sogno di Ecuba ; Enone e Paride. Sotto: Paride incide il nome di Enone sulla cortec-cia di un faggio. Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Richelieu ManuscritsFrancais 873, c. 27v.
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Fig. 20. Bottega di Francesco di Giorgio Martini, Giudizio di Paride. Addio di Paride a Enone.Malibu, Getty Museum.
Fig. 21. Maestro del Codice Squarcialupi, Paride incide il nome di Enone sulla corteccia di un fag-gio, particolare. Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P. 13 bis, c. 18r.
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Fig. 22. Maestro del Codice Squarcialupi, Banchetto di Elena e Menelao. Milano, BibliotecaAmbrosiana, S. P. 13 bis, c. 62r.
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Fig. 23. Maestro del Codice Squarcialupi, Ritratto di Ovidio. Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P.13 bis, c. iiiv.
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Fig. 25. Incisore del xv secolo, Arianna abbandonata da Teseo. Ovidio, Heroides [volgarizzamen-to di Filippo Ceffi?], Napoli, Francesco del Tuppo, ca. 1480, c. d8r.
Fig. 24. Incisore del xv secolo, Enone consegna la lettera a Paride. Ovidio, Heroides [volgarizza-mento di Filippo Ceffi?], Napoli, Francesco del Tuppo, ca. 1480, c. b6v.
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Fig. 26. Incisore del xv secolo, Paride scrive a Elena ; Elena scrive a Paride. Ovidio, Heroides [vol-garizzamento di Filippo Ceffi?], Napoli, Francesco del Tuppo, ca. 1480, c. g6v.
Fig. 27. Incisore del xvi secolo, Enone scrive a Paride. Ovidio, Epistole Heroides Ovidii… commen-tantibus Antonio Volsco et Ubertino Crescentinate… In Ibis vero Domitio Calderino etChristophoro Zaroto cum appendice… adacontium, Venetiis, per Bartholomeum de Zanisde Portensio, 1506, d6v.
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Fig. 28. Incisore del xvi secolo, Storie di Arianna e Teseo. Ovidio, Epistole Heroides Ovidii… com-mentantibus Antonio Volsco et Ubertino Crescentinate… In Ibis vero Domitio Calderino etChristophoro Zaroto cum appendice… adacontium, Venetiis, per Bartholomeum de Zanisde Portensio, 1506, h5r.
Fig. 29. Incisore del xvi secolo, Banchetto di Elena, Menelao e Paride. Ovidio, Epistole HeroidesOvidii… commentantibus Antonio Volsco et Ubertino Crescentinate… In Ibis vero DomitioCalderino et Christophoro Zaroto cum appendice… adacontium, Venetiis, perBartholomeum de Zanis de Portensio, 1506, 15r.
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Fig. 30. Incisore del xv secolo, Penelope al telaio. Ovidio, Heroides, traduzione di Domenico daMonticchiello, Brescia, Battista Farfengo, 1491.
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Fig. 31. Bottega di Francesco di Giorgio Martini, Enone sorregge lo stemma Ugurgieri. Malibu,Getty Museum.
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Fig. 32. Girolamo del Pacchia, Arianna abbandonata da Teseo. Siena, Collezione Chigi Saracini.
Fig. 33. Pittore senese del xv secolo, Suicidio di Didone. Avignone, Musée du Petit Palais.
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SilvanaEditoriale
La riscopertadell’anticoda Federighia Michelangelo
Pio IIe le arti
a cura diAlessandro Angelini
fotografie diAndrea e Fabio Lensini
in copertinaAntonio Federighi, Lupa con i gemelli.Siena, loggia della Mercanzia, bancale
in quarta di copertinaAntonio Federighi, plinto della colonnad’ingresso alla cappella di San Giovanni,particolare. Siena, Duomo
pagina 2Giovanni di Stefano, fregiodella cappella di San Giovanni,particolare. Siena, Duomo
Silvana Editoriale
Progetto e realizzazioneArti Grafiche Amilcare Pizzi Spa
Direzione editorialeDario Cimorelli
Coordinamento editorialeAnna C. Albano
Art directorGiacomo Merli
RedazioneMicol Fontana
ImpaginazioneClaudia Brambilla
Ufficio iconograficoSabrina Galasso, Alice Jotti
Ufficio stampaclp relazioni pubbliche, Milano
Nessuna parte di questo libropuò essere riprodotta o trasmessain qualsiasi forma o con qualsiasimezzo elettronico, meccanico o altrosenza l’autorizzazione scrittadei proprietari dei diritti e dell’editore
L’editore è a disposizione degli eventuali detentoridi diritti che non sia stato possibile rintracciare
© 2005 Banca Monte dei Paschi di Siena Spa
Edizione fuori commercioriservata alla Banca Monte dei Paschi di Siena Spa
Sommario
7 IntroduzioneAlessandro Angelini
19 Templi di marmo e tavole quadre. Pio II e le arti nei CommentariiAlessandro Angelini
Donatello e il suo seguito a Siena
45 Dalla “historia d’attone pel Battesimo” a “le porti di bronzo del Duomo”:Donatello e gli inizi della scultura senese del RinascimentoGabriele Fattorini
83 La cappella della Madonna delle Grazie. Una ricostruzioneMonika Butzek
105 Antonio Federighi e il mito di ErcoleAlessandro Angelini
151 “Mortalis aemulor arte deos”.Umanisti e arti figurative a Siena tra Pio II e Pio IIIMarilena Caciorgna
L’architettura tra Siena e Pienza
183 Architettura civileFabrizio Nevola
215 “Cathedralis effecta est”: il Duomo di Pienzae il rinascimento cristiano di Pio IIMauro Mussolin
Le opere, gli ambienti
251 Tabulae pictae e altri ornamenti per la Cattedrale di PienzaLaura Martini
281 San Francesco a Siena, mausoleo dei PiccolominiCecilia Alessi
307 Il lungo percorso della decorazione all’antica tra Siena e UrbinoAlessandro Angelini
387 La Cappella Piccolomini nel Duomo di Siena, da Andrea Bregno a MichelangeloFrancesco Caglioti
483 Pinturicchio e i suoi: dalla Roma dei Borgia alla Siena dei Piccolomini e dei PetrucciAlessandro Angelini
555 Epilogo: Siena e la scultura “all’antica” oltre il tempo di Pio IIIGabriele Fattorini
Apparati
585 Bibliografia
603 Indice dei nomi
A conclusione di questo lavoro esprimo viva riconoscenzaa molte persone, che in vario modo mi sono state di aiutoin diverse occasioni come Giovanni Agosti, Cecilia Alessi,famiglia Avignonesi, Alessandro Bagnoli, Andrea Baldinotti,Roberto Bartalini, Roveno Batignani, Luciano Bellosi,Carlo Bologni, Monika Butzek, Marilena Caciorgna,Francesco Caglioti, Donatella Capresi, Matteo Ceriana,Giuseppe Chironi, Elisabetta Cioni, Mirella Cirfi Walton,Silvia Colucci, Andrea De Marchi, Vincenzo Di Gennaro,Vincenzo Farinella, Gabriele Fattorini, Irene Fosi, Aldo Galli,Anna Maria Guiducci, Tom Henry, Philippa Jackson, MichaelKnuth, Alessandro Leoncini, Fausto Lucherini, MicheleMaccherini, Alessandro Marchi, Cecilia Martelli, LauraMartini, Patrizia La Porta, Lorenza Melli, Stefano Moscadelli,Mauro Mussolin, Arnold Nesselrath, Fabrizio Nevola, LindaPisani, Carol Plazzotta, Veronica Randon, Bernardina Sani,Pietro Scarpellini, Maria Rita Silvestrelli, Fiorella SricchiaSantoro, Luke Syson. Ricordo soprattutto l’aiuto indispensabiledi Luca Baranelli nella rilettura dei testi.Per l’ospitalità e la collaborazione sempre accordatemiun ringraziamento particolare va rivolto alla direzionee al personale della Soprintendenza per il Patrimonio storicoartistico ed etnoantropologico per le province di Sienae di Grosseto, e della Soprintendenza per i Beni architettonicie per il Paesaggio per le province di Siena e di Grosseto,del Kunsthistorisches Institut di Firenze, della fototecadella Bibliotheca Hertziana di Roma, dell’Archivio di Statodi Siena, della Biblioteca Comunale di Siena, della Bibliotecadella Facoltà di Lettere dell’Università di Siena.Per la disponibilità dimostratami sono particolarmentegrato poi al rettore dell’Opera Metropolitana di Siena,Mario Lorenzoni, al direttore scientifico del Museodell’Opera della Metropolitana, Roberto Guerrini,e al personale di quell’ufficio.Un sincero ringraziamento per la preziosa collaborazionea tutto il personale dello studio fotografico Lensinie a Claudia Brambilla, Micol Fontana, Alice Jotti e Paolo Reginiche hanno curato per la casa editrice Silvana Editorialela produzione di questo volume.La mia più profonda gratitudine va infine al personaledella segreteria generale della Banca Monte dei Paschi di Siena.
Alessandro Angelini
“Mortalis aemulor arte deos”.Umanisti e arti figurative a Sienatra Pio II e Pio IIIMarilena Caciorgna
Gli epigrammi che l’un l’altro si inviano Enea Sil-vio Piccolomini, all’epoca vescovo di Siena, e l’u-manista Giano Pannonio, sono considerati da fi-lologi autorevoli “di rara eleganza”1.In uno dei componimenti, il poeta, allievo diGuarino, chiede in prestito a Enea Silvio un codi-ce di Marziale:
Si Bilbitani tibi sunt epigrammata vatis,protinus huc ad nos fac, precor, illa volent2 .[Se possiedi gli epigrammi del poeta di Bilbilis,subito, te ne prego, fa’ che volino qua da me.]
Il vescovo senese gli risponde dicendo che di certogli farà avere Marziale, ma, allo stesso tempo, di nu-trire la sua anima delle parole del Vangelo, più con-venienti dei versi scritti dai “dilettevoli” poeti:
Quae Bilbitani quaesisti epigrammata vatis,ad te se celeri proripuere gradu.Namque liber cum te Latiis didicisset ab orisadvectum, subito profugus hinc abiitteque petens dixit: “Docti peto tecta Iohannis:hic meus hospes erit, hic mea dicta leget”.at si quae currant nunc tempora conspicis et spesafflictas, non nunc ludere, flere licet.Non bene versiculos sacrata nocte petulcosinvisas: Christi sumere dicta decet.Cedant e manibus dulces, tua cura, poetaeEt divino animum codice pasce. Vale3.[Gli epigrammi del poeta di Bilbilis, che mi hai ri-chiesto, si precipitarono da te con rapido passo. In-fatti il libro, avendo appreso che tu eri giunto dal-le regioni latine, subito profugo di qui se ne andò emettendosi in cammino verso di te disse: “cerco diraggiungere la casa del dotto Giovanni; questi saràmio ospite, questi leggerà i miei versi”. Ma se guar-di al tempo che corre via e alle afflitte speranze, oranon scherzare, piangere è opportuno. Non fre-quentar troppo nella notte sacra gli sfrontati ver-setti: far proprie le parole del Cristo conviene. Ab-bandonino, le tue mani, i dilettevoli poeti che tan-to ti stanno a cuore e pasci il tuo animo con il librodivino. Addio.]
Il ruolo svolto da Marziale nella cultura poetica re-lativa all’umanesimo è fondamentale4. A Siena, uncentro solo apparentemente minore, un poeta diorigine palermitana,Antonio Beccadelli, detto il Pa-normita, attuò, attraverso l’imitazione degli antichie, in particolare, l’adozione del modello epigram-matico marzialesco, una vera rinascita nella poesiadel Quattrocento. Prende avvio, infatti, con il Pa-normita, studente di diritto a Siena, autore del-l’Hermaphroditus, compiuto nel 1425, l’umanesi-mo in poesia5. Il posto occupato dai classici nellasua opera, la cui imitatio giustifica i connotati dilascivia e le numerose oscenità presenti nei prezio-si distici elegiaci, è reso manifesto a partire dalladedica a Cosimo de’ Medici, “perché disprezziquello che dice la gentaglia e legga imparzialmen-te il libretto, sebbene lascivo, e insieme all’autoreimiti i grandi uomini del passato”, definiti ancheaeterni viri, uomini eterni6.
Donne illustri dell’antichitàe del Quattrocento seneseAl di là dei suoi numerosi echi in poesia, è difficile ri-scontrare l’implicazione di Marziale nell’arte senesedel Rinascimento. Alcuni risultati, forse, potrebberoessere individuabili nel dettato dei tituli latini checosì spesso accompagnano le tavole del Quattrocen-to,ma anche in alcuni epitaffi o iscrizioni lapidee. Almomento non ho rintracciato, però, influssi eviden-ti come il caso della significativa occorrenza marzia-lesca nella pittura fiorentina. Si tratta del raffinatissi-mo ritratto di Giovanna di Maso degli Albizi, sposadi Lorenzo di Giovanni di Francesco Tornabuoniconservato nella collezione Thyssen-Bornemisza diMadrid (fig. 2). A fianco del nitido profilo, un carti-glio (fig. 3) si staglia dal colore scuro dell’armadio,astratto sfondo della tavola: ARS UTINAM MORES ANI-MUMQUE EFFINGERE POSSES / PULCHRIOR IN TERRIS NUL-LA TABELLA FORET MCCCCLXXXVIII7. Il distico è ripresoda un epigramma di Marziale in cui si descrive pro-prio un ritratto, sebbene virile (X,32):
Haec mihi quae colitur violis pictura rosisque,quos referat voltus, Caediciane, rogas?
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1. Enea Silvio Piccolomini,presso la porta Camolliaa Siena, presiedeall’incontro di Federico IIIcon Eleonora d’Aragona,particolare. Siena, Duomo,Libreria Piccolomini
Arte, se tu potessi rappresentare anche il carattere ei sentimenti!Nessun quadro al mondo sarebbe più bello11.
L’incapacità dell’artista di eguagliare la natura si ri-scontra anche nel distico scritto in calce al Ritratto didama della National Gallery diWashington eseguitoda Neroccio di Bartolomeo de’ Landi (figg. 4-5)12,nello stesso torno di anni in cui Ghirlandaio avevarealizzato l’effigie di Giovanna Tornabuoni:
QUANTUM HOMINI FAS EST MIRA LICET ASSEQUAR ARTE /NIL AGO: MORTALIS EMULOR ARTE DEOS.[Quanto è concesso a un uomo, è lecito raggiunge-re con arte mirabile / Non ottengo niente: mortale,emulo gli dei con l’arte.]
Sembra che il distico sia stato composto in modooriginale da un raffinato umanista, che opera unaefficace contaminazione tra fonti antiche e cristia-ne. La formula “Quantum homini fas est” si trovain autori quali sant’Agostino (Opus imperfectumcontra secundam responsionem Iuliani), Fulgenziovescovo di Ruspe (Responsio contra Arianos), Isaacde Stella (Epistola de officio missae)13 . Il nesso miraarte è molto frequente nella poesia classica, in con-testi tematici significativi. Nel celebre carme LXIV
di Catullo (vv. 50-51) – l’epillio che contiene, me-diante l’uso dell’èkphrasis, la descrizione di scenerelative all’abbandono di Arianna, ricamate sullacoperta istoriata del letto degli sposi Peleo e Teti –il nesso mira arte serve a connotare la preziositàdella coltre nuziale:
Haec vestis priscis hominum variata figurisHeroummira virtutes indicat arte.[Questa coperta, adorna di antiche figure,mostra, con arte straordinaria, storie d’eroi14.]
Ancora più interessante il rapporto conOvidio,Me-tamorfosi X,247-249, in cui si narra di Pigmalioneche, “sdegnato per i vizi che in gran quantità la na-tura aveva dato all’animo femminile”15, non gli pia-ceva alcuna donna, per questo ne scolpì una idealecon avorio bianco come neve e se ne innamorò:
Interea niveummira feliciter artesculpsit ebur formamque dedit, qua femina nascinulla potest, operisque sui concepit amorem.[Ma un giorno grazie al suomeraviglioso talento ar-tistico si mise a scolpire con successo un blocco dicandido avorio e ne trasse una forma tale che nes-suna donna può mai avere, al punto che concepìamore per la sua opera16.]
Anche Neroccio, allo stesso modo di Pigmalione, hadipinto il ritratto di una donna ideale, conforme aicanoni estetici formulati in epoca medievale, mache si protraggono fino al Rinascimento. Il modellopresentato dall’artista prevede una figura muliebreche corrisponde alle norme di bellezza codificate se-condo il gusto cortese: l’oro dei capelli, il nitore del-l’incarnato, la grazia delle proporzioni17.Alcuni rimandi lessicali e una convergenza tematicasi possono riscontrare in un passo di Seneca, Letterea Lucilio CIV,23:
Magnanimos nos natura produxit, et ut quibusdamanimalibus ferum dedit, quibusdam subdolum,quibusdam pavidum, ita nobis gloriosum et excel-sum spiritum quaerentemubi honestissime, non ubitutissime vivat, simillimummundo, quem quantummortalium passibus licet sequitur aemulaturque;profert se, laudari et aspici credit.[La natura ci ha generati magnanimi; e come a cer-ti animali ha dato la ferocia, ad altri l’astuzia, ad al-tri la paura, così a noi ha dato uno spirito elevato edesideroso di gloria, che cerca dove gli è possibile vi-vere più onorevolmente, non più sicuramente, uno
4-5. Nerocciodi Bartolomeode’ Landi, Ritrattodi dama, interoe particolare.Washington,National Gallery of Art
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Talis erat Marcus mediis Antonius annisPrimus: in hoc iuvenem se videt ore senex.Ars utinam mores animumque effingere posset!Pulchrior in terris nulla tabella foret.[O Cediciano,mi chiedi quale sia il volto effigiato inquesto quadro, che io venero con viole e rose? Taleera Marco Antonio Primo negli anni della sua ma-turità; in questo viso il vecchio rivede la sua giovi-nezza. Oh, se l’arte potesse rappresentare anche ilcarattere e i sentimenti! Nessun quadro al mondosarebbe più bello8.]
John Shearman ha notato come l’iscrizione checompare nel dipinto di Ghirlandaio mostra una va-riante significativa rispetto alla recensione tradizio-nale della princeps e delle edizioni moderne di Mar-ziale9. Vi si legge l’espressione effingere posses (inluogo di effingere posset), ripresa dal Marziale stam-pato a Venezia nel 1482 con dedica a Lorenzo de’Medici: “l’epigramma si trasforma in un’apostrofeall’arte” e “diventa al contempo una dichiarazioned’orgoglio piuttosto smisurato e un’espressione difrustrazione, lo stesso tipo di frustrazione che provòDonatello, secondo una testimonianza aneddotica,mentre stava lavorando al suo profeta, lo Zuccone”10.La traduzione dei versi, che si leggono accanto al ri-tratto di Giovanna degli Albizi, suona infatti:
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2-3. DomenicoGhirlandaio, Ritrattodi Giovanna Tornabuoni,intero e particolare.Madrid, collezioneThyssen-Bornemisza
principato et essendo Siena al mezzo di Toschana incui le più belle donne si trovano et Toschana la piùbella parte del mondo, seguita lei essere la più belladel mondo”32. È da chiedersi come facessero a sape-re, nel momento della nascita, che Bianca sarebbedivenuta una bellissima fanciulla. In vero, tale com-mento, come risulta dalla diversa calligrafia, è statoaggiunto rispetto alle scarne notizie documentariesul battesimo. Lo stile della scrittura, tuttavia, ap-partiene ancora al Quattrocento: evidentementequando è stata apposta la chiosa, Bianca aveva giàavuto modo di far conoscere la propria incredibilebellezza, pari a quella della madre Onorata.A quest’ultima l’umanista Bernardo Lapini daMon-talcino, detto Ilicino, dedica laVita dimadonnaOno-rata, in cui si esaltano le doti di grazia, onestà e pu-dicizia della nobildonna senese33. Onorata nasce il19 maggio 1435 e muore, giovanissima, il 16 marzodel 1457. Quando l’imperatore Federico III giunse aSiena per incontrare Eleonora di Portogallo, eventoimmortalato da Pinturicchio nella Libreria Piccolo-mini e di cui reca ancora oggi testimonianza la co-lonna commemorativa presso l’antiporto di Camol-lia, Onorata fu scelta fra le quattrocento nobili ma-trone senesi partecipanti alla solenne cerimonia. El-la“moltomeno che non era l’aspettazione venne or-nata di vesti”34ed è forse riconoscibile nella figura didonna velata d’azzurro in atteggiamento pudico edimesso che compare nel gruppomuliebre di destranella scena pinturicchiesca dell’Incontro di FedericoIII con Eleonora d’Aragona (figg. 1, 27).Ilicino narra inoltre che, prima della sua morte, lagiovane donna aveva espresso il desiderio di esseresepolta nella chiesa di Sant’Agostino, ai piedi del-l’altare dell’Annunziata35. Giovanni Antonio Pecci,nella sua raccolta di iscrizioni, trascrive l’epitaffiodel sepolcro, in cui sono ricordate le molteplici vir-tù di Onorata, le stesse delle eroine del mondo an-
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spirito assai simile al cielo, a cui esso tende e con cuigareggia per quanto è concesso al passo di esserimor-tali: si mostra, ritiene di essere lodato e osservato18.]
Il ruolo di Benedetto da Cingoli nella culturaletteraria e figurativa seneseNeroccio sembra ispirarsi allamedesimamodella delRitratto di dama (fig. 4) nel dipingere la ClaudiaQuinta della National Gallery diWashington (fig. 6),facente parte del cosiddetto ciclo eroico“Piccolomi-ni”, costituito da una serie di personaggi della tradi-zione classica e biblica, raffigurati da alcuni artistioperanti a Siena agli inizi degli anni novanta delQuattrocento19. L’eroina è rappresentata, in primopiano, il corpo lievemente incurvato, a figura interastante, in conformità al modulo delle “donne famo-se”, mentre ostenta la nave, suo attributo. Indossauna raffinata veste che giunge a lambirle i piedi, euna collana di perle con un prezioso pendaglio. Leeteree trasparenze dei veli dell’abito lasciano intra-vedere in lontananza l’episodio della nave con il si-mulacro della Magna Mater, incagliata alla focemelmosa del Tevere, dipinto dal cosiddetto Maestrodi Griselda, che Alessandro Angelini ha di recenteproposto di identificare in Pietro d’Andrea da Vol-terra20: a sinistra, sono i denigratori di ClaudiaQuinta; a destra, la fanciulla mentre tira la nave or-mai arenata. Tra le fonti che in varia misura narra-no la storia di Claudia Quinta, i Fasti di Ovidio(IV,247-348) consentono di decifrare taluni mo-duli iconografici del dipinto, come gli aspetti rela-tivi all’elaborata accuratezza vestimentaria, la pre-ziosità dei gioielli, il fine intreccio dell’acconciatu-ra. I Fasti, peraltro, hanno influenzato la fine com-posizione degli esametri iscritti nella tabella appo-sta sul piedistallo (fig. 7) ove poggia la figura mu-liebre, modellata quasi fosse una scultura lignea21.Amen in fine del primo verso, non ha senso: conogni probabilità sarà da leggere amens22, con l’inte-grazione della “s” finale:
CLAUDIA CASTA FUI NEC VULGUS CREDIDIT AMEN<S>ET TAMEN ID QUOD ERAM TESTIS MIHI PRORA PROBAVIT;CONSILIUM ET VIRTUS SUPERANT MATERQUE DEORUM
ALMA PLACET POPULO ET PER ME HUNC ORATA TUETUR.[Io, Claudia, fui casta, ma il volgo stolto non vi cre-dette, tuttavia la nave mi fu testimone e comprovò ilmio valore. Saggezza e virtù prevalgono e l’almamadre degli dei è gradita al popolo e con la mia in-tercessione, pregata, lo protegge.]
L’episodio di Claudia Quinta, non solo è citato dagliautori antichi e cristiani, ma anche dal poeta mar-chigiano Benedetto da Cingoli23 , in una“barzellecta”intitolata La virginità (vv. 41-52). L’eroina viene pre-scelta quale exemplum di verecondia e accostata allaVergine Maria, con un sincretismo tra mondo paga-no e civiltà cristiana, che costituiva, per la culturaumanistica, il più ragguardevole conseguimento:
Le Vestali, virgin sacrate,benché alhor fussen pagane,furo al vero Dio sì grate,che lor prece non fur vane;fur divine et non humanel’opre facte in questo stato. Chi da Dio.Col tirar lieve et suave,benché fusse di gran pondo,mosse Claudia quella naveche purgò sua infamia al mondo.Guarda un cor ch’è casto et mondoquanta forza ha in questo stato. Chi da Dio24.
Benedetto da Cingoli fu lettore di poesia in Siena trail 1483 e il 149525 , data della sua morte, avvenuta il12 di ottobre. Sigismondo Tizio riferisce, infatti, al-l’anno 1495, che “octobris die duodecima Benedic-tus Cingulanus, vir plurima virtute praeditus, quiveplurimos annos egerat in Senensi Urbe UmanitatisAuctores legens et multos festinos cives oblectansdecessit” [il giorno dodici ottobre morì Benedettoda Cingoli, uomo dotato di somma virtù e che, perdi più, aveva dimorato molti anni nella città seneseintrattenendo, come lettore di poesia nello Studio,molti cittadini solleciti26].Le notizie sulla vita di Benedetto si ricavano, inol-tre, dalla premessa che il fratello Gabriele appone alvolume Sonecti, barzellecte et capitoli del claro poetaB. Cingulo, stampato postumo a Roma, nel 1503,presso l’editore Johannes Besicken27. La dedica è ri-volta ad Angelo Colocci, colto e raffinato umanistadi origine jesina, appassionato bibliofilo e collezio-nista di opere d’arte. La sua villa a Roma, ove si tra-sferisce per prestigiosi incarichi politici alla cortepontificia, è denominata “Hortulus ad aquam virgi-nem”e diviene sede dell’Accademia Colocciana.Ga-briele dedica la raccolta ad Angelo in quanto la suamente è sempre stata “non meno degli antiqui chede moderni poeti observantissima”28. Nell’epistolaprefatoria al volumetto, che contiene componimen-ti in volgare e in latino, è dichiarato il nome della“diva” del poeta, Bianca Saracini e sono ricordatedue opere, quali la Vita di Lucrezia Romana, dedica-ta a Lorenzo de’ Medici e il Poema della Fortuna,scritto per Francesco Colocci. Gabriele osserva che“altri epigrammi suoi in mano de alcuni Senesi oc-cultati che, o per a lloro attribuirseli o che a migliorfine le celino insino a qui non son possute perveni-re a luce”29. Il prezioso libro del 1503 sarà di nuovopubblicato nel 1511, in Siena, presso Simone di Nic-colò di Nardo e Giovanni di Alessandro Landi, de-curtato però degli epigrammi latini30 .La “diva” di Benedetto da Cingoli, Bianca Saracini,figlia di Iacomo e Onorata Orsini, nasce a Siena nel145331. Nel Registro di Biccherna, ove, il 18 luglio diquesto anno, è documentato il suo battesimo, vienedefinita “la più bella che fu al mondo […] né maisarà che a llei pari si trovi in cui non solo el sommodi belleza riluce, ma ciascuna virtù in lei tiene el
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6-7. Neroccio di Bartolomeode’ Landi, Claudia Quinta,intero e particolare.Washington, NationalGallery of Art
Qual sola in ciel restasse alma e serena,Tolse ogni loda a la phamosa HelenaDi Zeusi e alla dolce effigie humileDi Appelle in Citarea ch’ogn’altra vilePittura esser demostra e di error piena.
Perché tacendo parlla, ascolta e porgeConforto al mio martir con suo virtuteQuale hora a contemprarlla el cor si pone.
Ma se agiugnea a le depinte forgeLa voce el respirar non più compiuteSuo voglie obtenne mai Pigmaleone42.
Benedetto da Cingoli non scrisse versi soltanto inlode di Bianca Saracini, ma anche per Caterina Or-landi, andata in sposa a Niccolò Branchini nel 1466,cui il poeta assegna l’appellativo di Branchina. A leiè dedicato un sonetto Porgati il suo tesor l’avaroCrasso commentato da Jacopo Fiorino de’ Buonin-segni che definisce l’amico “mellifluo poeta Cingu-lo”. Come ha rilevato Stefano Carrai,“il fatto che l’e-sercizio interpretativo si applicasse al testo di uncontemporaneo – fatto storicamente notevole per-ché ha pochi precedenti – denota l’ossequio reso aun maestro riconosciuto”43.È da chiedersi, come vedremo, se non sia proprio Be-nedetto da Cingoli il compositore dei versi che corre-dano le figure di eroi ed eroine del noto ciclo “Picco-lomini”. Fa parte della serie, oltre a ClaudiaQuinta, lamatrona romana Sulpizia, che figura in una tavoladel Walters Art Museum di Baltimora, eseguita daPietro di Francesco degli Orioli (fig. 9)44. Sulpizia, fi-glia di Servio Patercolo e moglie di Quinto FulvioFlacco, fu prescelta fra le cento donne romane più ca-ste per consacrare una statua o, secondo un’altra ver-sione della storia,un tempio aVenereVerticordia.Neldipinto di Orioli, la giovane donna ostenta sulla ma-no destra l’architettura dedicata alla divinità“che tra-sforma i cuori”, mentre con la sinistra invita lo spet-tatore ad ammirare l’emblema della sua castità. Nel-la targa del piedistallo, ove poggia Sulpizia, alcunidistici ricordano la vicenda della matrona (fig. 10):
SULPITIA,QUAE FACERE VENERI TEMPLUM CASTAEQ(UE)P(R)OBAEQ(UE)SULPITIA EX TOTA SUM MERITA URBE LEGI:ARA PUDICITIAE PECTUS SIBI QUODQ(UE) PUDICUM EST:TERREA CU(N)CTA RUU(N)T, FAMA DECUSQ(UE)MANE(N)T[Io sono Sulpizia ritenuta da tutta la città meritevo-le di essere scelta per costruire il tempio della castae proba Venere; un casto petto è di per sé un altaredi pudicizia: tutte le cose terrene sono destinate asvanire, ma fama e decoro sopravvivono.]
La presenza del tempio, sia figurativa (iconografiadel dipinto) che letteraria (distici elegiaci), si giusti-
9. Pietro di Francescodegli Orioli, Sulpizia.Baltimora, TheWalters Art Museum
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tico esaltate nei tituli che accompagnano le figuremuliebri:
Honorata Ursina, puellarum decus, matronarumsplendor, coniugum honos, pudicitiae iubar, sancti-moniae templum, virtutum ac formae cumulus,hoc brevi conditur sacro36.[Onorata Orsini, decoro delle fanciulle, splendoredella matrone, onore delle spose, raggio di pudici-zia, tempio di castità, culmine di virtù e di bellezza,è sepolta in questa piccola tomba].
La traduzione di tale epicedio è riportata anche daIlicino il quale dice che quando “il corpo di Onora-ta fu portato a sepelire” si riunirono “alcuni dottiuomini insieme” per comporre “uno convenienteepitafio” in onore della nobildonna37.A proposito della figlia Bianca, andata in sposa nel1470 al conte di Francesco di Giovanni Luti, lostesso Ilicino sostiene “che oggi non solo in Italia,
ma eziandio presso le nazioni esterne ha consegui-ta la palma di bellezza, di costumi e di onestà; que-sta è colei quale è veramente la imagine e il simu-lacro della madre sua; questa è colei di cui, poichéla propria persona non si può per alcuni eccellen-tissimi signori esterni conoscere, si cerca la effigiecome di un oggetto in cui riluce ogni perfezione.Pure sia detto, e non è a sua ingiuria, tale è compa-razione di lei alla madre quale della luce di Venerea quella del sole”38.Bianca è effigiata in una miniatura del ms. Palatino211 della Biblioteca Nazionale di Firenze, attribuitaa Francesco di Giorgio Martini e Liberale da Vero-na (fig. 8)39. L’esile fanciulla si libra a mezz’aria sulprofilo della città di Siena e sostiene con la manodestra una palla di neve che allude al nome e allasua purezza.Il testo contenuto nel codice della biblioteca fioren-tina, adespoto e anepigrafo, corrisponde a una ver-sione parziale del capitoloQuando per far col biancotore albergo contenuto integralmente nell’edizionedelle opere di Benedetto da Cingoli del 1503, prece-duto da un’elegia latina e da un’epistola dedicatoriain volgare40. Conclude il “libello” in lode di Biancaun epigramma latino in cui si afferma che Zeusi, seavesse conosciuto Bianca, non sarebbe dovuto ri-correre a tante fanciulle per ritrarre la bellezzaesemplare di Elena:
Tindaridis formam Zeusis picturus adesseplura puellarum corpora nuda iubet.Quaerenti causam dixit natura creavitnullam quae ex omni parte beata foret.Illa decora manus, oculis placet illa, comis haec,haec decus oris habet sed placet illa pedeillius exemplar sed si tu Blanca fuisses,clamasset Zeusis: “haec satis una mihi!”.[Zeusi che si accinge a dipingere la bellezza dellaTindaride Elena comanda che gli si presentino mol-teplici corpi nudi di fanciulle. A chi ne chiese il mo-tivo rispose che la natura non aveva creato nessunache fosse fortunata in ogni sua parte. Quella possie-de la grazia delle mani, quella piace per gli occhi,questa per le chiome, l’altra ha la grazia della bocca,ma se ci fossi stata tu, Bianca, Zeusi avrebbe grida-to: “questa sola mi è sufficiente!”.]
Zeusi, il pittore di Elena, che costituisce l’esempiodell’artista che ha fiducia nelle sue capacità, è ricor-dato più volte nella poesia senese del Quattrocen-to41. Sembra che Matteo di Giovanni avesse dipintoil ritratto di Ginevra Luti, così come Simone Marti-ni quello di Laura. Parimenti, Petrarca dedica duesonetti al capolavoro di Simone e l’Ilicino ne com-pone uno per magnificare l’opera di Matteo:
Quando aperse Matteo suo larga venaD’ingegno e mosse el suo leggiadro stilePer ssì vagha formar l’opra gentile
8. Francesco di GiorgioMartini e Liberale daVerona, Bianca Saracinisospesa in cielo sopra lacittà di Siena. Firenze,Biblioteca Nazionale,ms. Palatino 211, c. 1r
Notiamo, in particolare, ancora una volta l’uso disimulacrum:
Navis a Phrygia gerula sacrorum, dum sequitur vit-tas castitatis, contulit Claudiae principatum pudici-tiae. At Sulpicia Paterculi filia, M. Fulvii Flacci uxor,censura omniummatronarum e centum probatissi-mis haud temere delecta est, quae simulacrumVene-ris, ut Sibyllini libri monebant, dedicaret.[La nave dalla Frigia portatrice di cose sacre,mentresegue le bende della castità, conferisce a Claudia ilprincipato della pudicizia. Ma Sulpizia, figlia di Pa-tercolo, moglie di Fulvio Flacco, è stata scelta, non acaso, come ricordano i libri Sibillini, per dedicare lastatua di Venere.]
In un sonetto di Benedetto da Cingoli, che segue latradizione di Petrarca, così come l’ideatore del pro-gramma iconografico e dei versi che descrivono legesta dell’eroina, viene ricordato proprio un tempioa proposito di Sulpizia:
Qual sono insieme due rose leggiadrel’una fra le sue foglie anchora avolta,l’altra matura al tucto aperta e sciolta,Tale è Dianyra e la sua dolce madre.Monstra de teneri anni al caro padretal presagio di fama e vertù moltaqual monstrava Lucretia a cui fu svoltala prima insegna infra le caste squadre.Segui fanciulla le vestigie e l’ormedella tua genitrice chiaro exemplode senno, di virtù, de pudicitia.Se sarà el fructo al’ arbor suo conformepotrà nel fabricar d’un nuovo tempiocederti el primo suo loco Sulpitia48.
Nella Barzellecta prima (La Fama), infine, Cingoliconfronta Sulpizia, per la sua castità, a Lucrezia eVirginia (vv. 93-95), senza dubbio fra le eroine piùeffigiate nell’arte del Rinascimento:
Vive anchor per pudicitiadi Lucrezia el bel pudoreet Virginia con Sulpitia.
La presenza di Benedetto da Cingoli in Siena comelettore di poesia proprio negli anni in cui vengonoeseguite le tavole del ciclo “Piccolomini”49, l’esalta-zione della castità di Claudia Quinta e di Sulpizianelle sue composizioni poetiche, l’indicazione deltempio nella descrizione della storia della moglie diFulvio Flacco, costituiscono alcuni indizi che indu-cono a inserire l’umanista nella schiera dei probabi-li compositori dei versi connessi ai pannelli dellaraffinata serie, forse concepita, su stimolo del cardi-nale Francesco Tedeschini Piccolomini, per il palaz-zo Piccolomini in Banchi di Sotto (oggi sede del-l’Archivio di Stato di Siena)50. In questi anni, inoltre,
a Siena, non sembrano esserci altri autori di poesialatina, così alla moda come Benedetto51.
Epigrafi e tradizione antiquaria nell’arte seneseL’Ermafrodito del Panormita fu composto nella“Siena goliardica e scapigliata, la cui vita culturale,priva delle salde tradizioni di un Umanesimo giàmaturo come quello fiorentino, e non condizionatadall’accademica o politica sollecitazione di una cor-te mecenatesca, si svolgeva con apporti ed impulsidiversi all’ombra dello Studio. Non a caso, perciò, levoci più valide della ‘nuova’ poesia latina sono statemodulate proprio a Siena”52. In questa città i giovaniumanisti furono“disposti a cogliere della nuova no-titia vetustatis l’aspetto più appariscente e vivace,impegnandosi a far rivivere i moduli non già dellalezione etica e civile ciceroniana o della prospettivaretorica ed eroica della storiografia liviana,ma quel-li della splendida forma dell’elegia latina, che nonaveva ancora trovato in quel primo scorcio di Quat-trocento validi esiti letterari”53.Fecero parte dello stessomilieu Enea Silvio Piccolo-mini e Giovanni Marrasio, originario di Noto, magiunto a Siena, all’età di circa venti anni, per fre-quentare il celebre studio. Il poeta netino è autoredel canzoniere intitolato Angelinetum, dal nomedella nobile fanciulla Angelina Piccolomini da luiamata, costituito da sette elegie più una dedica e uncommiato indirizzati a Leonardo Bruni, e di altricarmina.Nelle composizioni di Giovanni Marrasio frequentisono i riferimenti alla Fonte Gaia di Jacopo dellaQuercia che, da poco innalzata nella piazza delCampo (fig. 11)54, sembra precorrere di qualche an-no, nei suoi esiti protoclassici e negli stilemi ispiratiall’antico, l’umanesimo dei poeti presenti in Sienanegli anni venti del Quattrocento.L’epigramma 23 (Marrasii epigramma sculptum infonte Gaio Senis) dei Carmina varia, contempora-neo al canzoniereAngelinetum, pubblicato tra l’ago-sto e il settembre del 1429, è l’epigrafe che Marrasiovorrebbe incisa sulla Fonte Gaia:
Marrasius moriens vitamque animamque reliquitFonte sub hoc; retegit frigidus ossa lapis55.[Marrasio, morendo, ha lasciato la vita e l’animasotto questa fonte; una fredda pietra ricopre le sueossa.]
L’epitaffio è quello preannunciato da Marrasio nelsettimo carme del canzoniere, Ad divam AngelinamMarrasii eulogium, in cui il poeta minaccia di trafig-gersi con un’acuta spada sulla Fonte Gaia, poiché ladonna che ama, così “come gli armenti fuggono ileoni rapaci”, sfugge al poeta. Nell’ultimo verso ci-tato si rileva inoltre una variazione dell’apocrifoautoepitaffio virgiliano “Mantua me genuit, Cala-bri rapuere, tenet nunc / Parthenope: cecini pa-scua, rura duces”56, che serve all’umanista netino
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fica con il Trionfo della Pudicizia di Petrarca (178-180), in cui Sulpizia dedica un tempio alla divinità:
Così giugnemmo alla città sovranaNel tempio pria che dedicò SulpiziaPer spegner nella mente fiamma insana.
Bernardo Lapini, detto l’Ilicino, chiosa inmodo argu-to e con il concorso di altre fonti, l’episodio in cui Sul-pizia diventa “architetrice di tanto edificio venereo”:
Secondariamente è da intendere che, volendo li Ro-mani hedificare uno tempio della dea Verticordia diVenere, acioché le Romane matrone et le vergini siconfermasseno nello habito della castità, astinentiaet pudicizia et dovendosi secondo lo edicto di de-cemviri creare una donna architetrice di tanto edifi-cio venereo in questa compositione che di tutto ilnumero delle donne di Roma si trahesseno mille etdelle mille se ne trahesseno cento et delle cento die-ce et delle diece ne pigliasseno una la quale scelta dafarsi et sententia da dare fu comissa alle donne. Eles-seno adunque esse donne, per universale loro giudi-cio, non conminore gloria di castità che sanesse Lu-cretia, Sulpitia figliola d’uno Servio patricio et don-na di Fulvio Flacco. Là donde lei assumpta a tale ho-nore condusse lo edificio al debito fine con grandesua laude et contento de gli huomini et summo gau-dio delle donne Romane45.
Nelle altre fonti antiche e medievali l’eroina consa-cra invece un simulacrum. Si veda, ad esempio, la te-stimonianza di Valerio Massimo VIII,15,12 (quaecuique magnifica contigerunt: quali splendide ri-compense toccarono a certuni), uno dei testi piùutilizzati nell’iconografia del Rinascimento:
Merito virorum commemorationi Sulpizia ServiPaterculi filia, Q. Fulvi Flacci uxor, adicitur. Quae,
cum senatus libris Sibyllinis per decemviros inspec-tis censuisset ut Veneris Verticordiae simulacrumconsecraretur, quo facilius virginum mulierumquemens a libidine ad pudicitiam converteretur, et exomnibus matronis centum, ex centum autem de-cem sorte ductae de sanctissima femina iudiciumfacerent, cunctis castitate praelata est.[Ben a ragione facciamo qui seguire al ricordo degliuomini quello di Sulpizia, figlia di Servio Patercoloe moglie di Quinto Fulvio Flacco. Il senato, consul-tati tramite i decemviri i libri Sibillini, aveva decre-tato la consacrazione di una statua a Venere Verti-cordia allo scopo di distogliere più facilmente le ver-gini e le donne sposate dalla lussuria e di rivolgerlealla castità; e quando tra tutte le matrone romanefurono scelte cento e poi, di queste, dieci venneroestratte a sorte per eleggere la più casta, fu lei a esse-re preferita a tutte per la sua pudicizia46.]
Anche Plinio il Vecchio (Storia naturale VII,35), ilquale istituisce un confronto tra la pudicizia di Sulpi-zia e quella di Claudia Quinta, ricorda il simulacrum:
Pudicissima femina semel matronarum sententiaiudicata est Sulpicia Paterculi filia, uxor Fulvi Flac-ci, electa ex centum praeceptis quae simulacrumVe-neris ex Sibyllinis libris dedicaret, iterum religionisexperimento Claudia inducta Romam deummatre.[La donna più pudica, una prima volta, per decisio-ne delle matrone, fu giudicata Sulpizia, figlia di Pa-tercolo e moglie di Fulvio Flacco, scelta secondo ilvolere dei libri Sibillini, per consacrare una statua diVenere, in una rosa di cento donne selezionate inprecedenza. Una seconda volta fu proclamata Clau-dia, a causa della sua sperimentata religiosità, quan-do fu introdotta a Roma la madre degli dei47.]
La connessione di Sulpizia a Claudia Quinta si ri-trova in Solino, Collectanea rerum memorabilium.
10. Pietro di Francescodegli Orioli, Sulpizia,particolare dell’iscrizionesotto l’eroina. Baltimora,TheWalters Art Museum
vata la lapide sepolcrale di Antonia (fig. 12), mogliedel poeta Vittore da Campagnatico, datata 148561, ilcui testo, in distici, suona:
OPTIMA VICTORIS IACET HIC ANTONIA CONIUNX,QUEM CAMPANATICUM, QUAM GENUERE SENE.
ILLE ANIMAM TENET, HOC CINERES TENET ILLA SEPULCRO.IMPIA NAM SIC MORS, SIC PIUS EGIT AMOR.[Qui giace Antonia, ottima moglie di Vittore, que-sti generò Campagnatico, quella generò Siena. Egline conserva l’anima, ella conserva le ceneri in que-sto sepolcro. Così è empia la morte, così pio è statol’amore.]
Per la giuntura optima coniunx si veda, ad esempio,Ovidio, Tristia III,3,55: “Nunc, si forte potes – sednon potes, optima coniunx – / finitis gaude tot mi-hi morte malis” [Ora, se per caso lo puoi – ma nonlo puoi, mia ottima sposa – sii contenta che con lamorte siano finiti tanti miei mali]62. La clausoladell’ultimo verso egit amor si trova in Properzio,Elegie I,10,20: “Cynthia me docuit semper quae-cumque petenda / quaeque cavenda forent: nonnihil egit Amor” [Cinzia m’insegnò quali siano lecose da cercare sempre, e quali da evitare: qualco-sa ha fatto anche Amore]63. Del poeta Vittore daCampagnatico conserviamo soltanto un breve re-soconto scritto da Isidoro Ugurgieri Azzolini nellePompe Sanesi: “sollevandosi sopra la sua bassa con-dizione, o per istinto naturale, perché i poeti na-scono, o per altra occasione, s’applicò con ognisforzo all’acquisto dell’arte poetica, e molto beneottenne l’intento suo, come è manifesto, perchéegli cantò in verso heroico latino L’antico modo,
che tennero i Sanesi nel giuoco delle pugna. Fu suamoglie Antonia da Siena, la cui morte pianse conil seguente epitaffio, che da ciascheduno si leggecon riflesso, ed applauso ne’ chiostri di S. France-sco di Siena […]”64. De Angelis non aggiunge mol-to alle notizie riportate da Ugurgieri: precisa che ilpoema fu stampato a Venezia nel 1477, ma, poichégià alla sua epoca non esisteva traccia di questaopera, dubita che sia mai esistita65.È interessante rilevare come l’espressione genuereSenae sia quella utilizzata da Marrasio, nella stessaposizione metrica, nel settimo componimento del-l’Angelinetum. In questa prospettiva vale la pena ri-cordare anche l’epigrafe della seconda metà del XVsecolo, che si trova ora in via di San Donato a Mon-tepulciano, ma un tempo era posta nella casa dellafamiglia napoletana dei Ricciardi66. L’iscrizione reci-ta PARTHENOPE GENUIT, ancora una volta dimostran-do l’ascendenza virgiliana dell’autoepitaffio.A unmaestro di grammatica, attivo anche nell’inse-gnamento relativo alla composizione poetica, è as-segnato un altro epicedio.Nella collegiata di San Gimignano si trova la cap-pella di Santa Fina, uno dei capolavori del Rinasci-mento fiorentino, per eleganza e omogeneità, il cuidisegno architettonico appartiene a Giuliano daMaiano, mentre al fratello Benedetto le parti deco-rative e scultoree (fig. 13).Sull’urna che sovrasta la pala marmorea dell’altare,in cui furono le spoglie di santa Fina sino al 1738,sono incisi due distici, attribuiti a Giovan BattistaValentini, detto il Cantalicio67, dalla sua patria diorigine, Cantalice. Invero, comemi comunica Stefa-no Carrai, sulla base di una ricognizione dei mano-
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11. Jacopo della Quercia,Fonte Gaia. Siena,piazza del Campo(prima della rimozione)
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per dimostrare come Siena rappresenti la sua pa-tria spirituale:
Eius marmoribus funebria carmina ponam,Saevitia ut cunctis sit manifesta tua.Marrasius moriens extremo murmure dixit:“Me genuit Nothum, me genuere Senae […]”57.[Comporrò epicedi su quei marmi affinché sia ma-nifesta a tutti la tua crudeltà. Marrasio in punto dimorte, con l’ultimo fiato di voce, ha detto: “mi ge-nerò Noto, mi generò Siena”.]
Mentre l’epitaffio di Marrasio resta un espedientepoetico, Enea Silvio Piccolomini, come recano testi-monianza i suoi Commentarii, compone un disticoper l’epitaffio del monumento sepolcrale dei geni-tori, Silvio Piccolomini e Vittoria Forteguerri:
Silvius hic iaceo coniunx Victoria mecum est.Filius hoc clausit marmore papa Pius.[Qui giaccio io Silvio e con me Vittoria, mia sposa.In questo marmo ci chiuse nostro figlio, papa Pio58.]
Per l’elegante formula clausit marmore si veda Euge-nius Toletanus, Carmina, in un contesto tematicosignificativo. Si tratta del XXIX carme, EpitaphionNicolao:
Ecce patet aditus et sacri ianua templiReddite vota Deo, ecce patet aditusHanc in honore Dei supplex Evantius aulamSacram fabricans hanc in honore DeiHic patrios cineres praecisomarmore clausiServet ut Omnipotens hic patrios cineres.
[Ecco si apre l’accesso e la porta del sacro tempio,offrite preghiere a Dio, ecco si apre l’accesso. Evan-zio, supplice, costruendo questa sacra aula in onoredi Dio, questa in onore di Dio, qui ho chiuso nelmarmo reciso le patrie ceneri perché qui l’Onnipo-tente conservi le patrie ceneri59.]
Non è la sola volta che il poeta del VII secolo, Euge-nio da Toledo, influisce sul dettato di un titulus lati-no in Siena. L’apostrofe iniziale della scritta che cor-reda la tarsia marmorea disegnata da Pinturicchionella Cattedrale (fig. 17), “huc properate viri”, è di-fatti desunta dal XII dei Carmina, dal titolo In basi-lica Sancti Felicis quae est in Tatanesio, in cui l’emi-stichio si trova al secondo verso. È inoltre interes-sante, anche in questo caso, riscontrarvi una conso-nanza tematica:
Ecce domus Domini, quae ducit ad atria caeli:cordibus afflicti huc properate viri.[Ecco la casa di Dio, che conduce alla dimora delcielo: o uomini tristi, affrettatevi a venire qua.]
Possiamo dunque concludere che, nell’ambienteintellettuale senese, legato ai Piccolomini e allaCattedrale, fossero conosciuti i Carmina del poetaspagnolo.Alcuni frammenti epigrafici originali dei versi com-posti da Pio II sono murati nel primo chiostro diSan Francesco: le lettere capitali, di notevoli dimen-sioni, permettono di ricostruire la misura del piùimponente monumento funebre senese del rinasci-mento60. Tra le porte dei due chiostri della basilicafrancescana, murata esternamente, è invece conser-
12. Lapide sepolcraledi Antonia, mogliedel poeta Vittoreda Campagnatico.Siena, chiesa di SanFrancesco, murataesternamentenella parete tra le portedei due chiostri
scritti dei carmi del Cantalicio, difficilmente taliversi saranno opera di questo poeta, ma più proba-bilmente di qualche altro umanista:
VIRGINIS OSSA LATENT TUMULO, QUEM SUSPICIS, HOSPES.HAEC DECUS, EXEMPLUM, PRAESIDIUMQUE SUIS.
NOMEN FINA FUIT, PATRIA HAEC: MIRACULA QUAERIS?PERLEGE QUAE PARIES, VIVAQUE SIGNA DOCENT.[Straniero, le ossa della Vergine si celano nel tu-mulo che guardi con ammirazione. Ella rappresen-ta l’onore, l’esempio, il presidio per la sua città. Ilsuo nome fu Fina, questa la patria: chiedi miraco-li? Esamina attentamente le pareti, le vive immagi-ni li illustrano68.]
Giovanni Antonio Campano tra filologia e arte:Storie di Antioco e Stratonice, Allegoria del Montedella Sapienza, biografia dipinta di Pio IIIl codice di Marziale, posseduto da Enea Silvio Pic-colomini e prestato all’umanista Giano Pannonio,avrebbe dovuto far parte del prezioso corredo libra-rio della Libreria Piccolomini nella Cattedrale sene-se69. Il visitatore, che entra nella celebre biblioteca,può riconoscere, nella successione delle scene affre-scate da Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio,raffiguranti episodi della vita di Pio II (figg. 14, 21-22, 27-28), il modello della Biografia dipinta, appli-cato a un personaggio contemporaneo, poiché si de-scrivono, secondo un continuum narrativo, le im-prese più significative di un unico personaggio. En-zo Carli, per evidenziare come gli episodi, rappre-sentati diacronicamente intorno alle pareti, sianorelativi a diverse fasi della vita del pontefice, ha os-servato che abilmente Pinturicchio mostra “il pro-gressivo tramutarsi dell’aspetto del protagonista,splendente di giovinezza e di grazia quasi femmineanelle prime quattro storie, poi infuso di assorta spi-ritualità sacerdotale in quelle successive, infine colvolto smagrito e con le pallide guance afflosciate dauna precoce e tormentata senilità”70.Nel modulo iconografico della Biografia dipinta, unruolo fondamentale, al di là di altri testimoni su cuipossono fondarsi i singoli episodi, assumono le Vi-tae parallelae di Plutarco. Come ha suggerito Ro-berto Guerrini, l’influsso delle Vitae si può manife-stare attraverso due distinte modalità: possono co-stituire la fonte e/o il modello. In alcuni casi ispira-no sia l’iconografia delle singole scene, sia l’im-pianto del tessuto narrativo. Altre volte, come nelcaso degli affreschi di Pinturicchio, Plutarco fungesoltanto da modello71.Il modulo della Biografia dipinta identifica inoltre ilcommittente con un personaggio dell’antichità: ilrapporto è talora rimarcato dalla corrispondenzadel nome72. La tendenza è confermata, fin dall’esor-dio del ciclo (figg. 14-15): si istituisce un immedia-to parallelo tra Enea-Pio e il Pius Aeneas, l’eroe pro-tagonista dell’Eneide. Nel primo canto del poemavirgiliano, Giunone, con l’aiuto di Eolo, al quale
promette inmoglie la ninfa Deiopea, ostacola il per-corso dei troiani verso le coste occidentali dell’Italia.Enea viene colto, insieme alla piccola flotta degliesuli, da una terribile tempesta, più tardi placata daNettuno. L’eroe riesce comunque, con sette navi, araggiungere la costa libica.D’altra parte il ruolo svolto dalle biografie plutar-chee nella cultura umanistica senese è testimoniatodalla editio princeps stampata a Roma circa il 1470,per i tipi di Ulrich Hahn, curata da Giovanni Anto-nio Campano, storiografo, oratore, filosofo, oltreche stilista epistolare e poeta,molto ammirato già invita73. L’ascendenza senese dell’incunabolo risultadall’epistola dedicatoria indirizzata da Campano aFrancesco Tedeschini Piccolomini, futuro papa PioIII, nipote ex sorore di Enea Silvio Piccolomini, incui si evidenziano i numerosi pregi dell’opera diPlutarco, il quale “riempì così tanto la storia univer-sale di grandi e illustri sentenze che in quelle vitesembra non tanto mostrare quali imprese abbianocompiuto gli illustrissimi personaggi quanto inse-gnare ciò che noi dobbiamo fare. Tutte sono pienedi esempi e varietà”74. Le relazioni da Campano in-tessute con Siena e la famiglia Piccolomini avevanoavuto inizio con Enea Silvio, per il quale, prima dipassare al servizio di Francesco Tedeschini, avevasvolto le medesime funzioni di poeta-segretario; ilpapa gli affidò anche alcuni incarichi ecclesiasticiquali, nel 1462, il vescovado di Crotone e, nell’annosuccessivo, quello di Teramo, per cui fu chiamatoEpiscopus Aprutinus.Pio II ebbe così grande stima di Giovanni Antonioda affidargli persino la revisione dei suoi Commen-tarii. Campano, in due lettere del 1464 indirizzate aIacopo Ammanati, sostiene, tuttavia, che la straordi-naria eleganza e chiarezza del testo dei Commentariiaveva reso inutile l’intervento di una mano estra-nea75. Anche Ammannati, come Giovanni Antonio,era intimo di Pio II, il quale oltreché nominarlo pri-ma vescovo di Pavia (da qui detto Papiense), poi car-dinale, lo accolse nella propria famiglia concedendo-gli di aggiungere al proprio nome quello dei Picco-lomini. L’umanista possedeva un palazzo, costruitod’angolo, presso la porta Tufi, in una posizione am-bita che consentiva al proprietario di avere a dispo-sizione due facciate76.A Pienza il suo palazzo, prospi-ciente il corso Rossellino, era stato voluto da Pio IIche, durante la riedificazione di Corsignano, avevasollecitato cardinali e personaggi della corte a co-struire nobili dimore nel borgo natale.Dopo la morte del papa, avvenuta ad Ancona nell’a-gosto 1464, Campano solidifica il legame con Fran-cesco Tedeschini Piccolomini e la sua cerchia intel-lettuale. Accanto a lui, il poeta trascorre le estati dal1465 al 1470, in Siena, Pienza e ai Bagni di Petriolo77.I cardinali Tedeschini,Ammannati e Campano“era-no considerati dagli amici i cittadini più illustri e af-fezionati di Pienza. Essi, da parte loro, fecero del tut-to per non mancare agli appuntamenti toscani. Ciò
13. Benedetto da Maiano,sepolcro di Santa Fina.San Gimignano,collegiata di Santa Fina
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con quello del mercante Zenone di Cizio, costrettodalla sorte al naufragio nei pressi del Pireo e alla con-seguente perdita del prezioso carico di porpora feni-cia. La privazione delle merci condurrà Zenone allafilosofia, trovando così piena attuazione, a opera del-la Fortuna, la metamorfosi del mercante in filosofo:
Mihi quoque, profectionem meam aliquando cogi-tanti et latronum insidias atque impetum recordan-ti, quanquam non tam altus portus, munitum ta-men a tempestate receptaculum datum esse videtur,qui, cum in Hetruriam proficiscens omnem meumanimum atque studium ad civilem scientiam contu-lissem, ita sum fortunae acerbitate vexatus, ut, etsifortasse non libenter, vere tamen, dicere possim,nullum unquam iter contingere mihi gloriosus po-tuisse, quam cum in latronum insidias incidissem, aquibus non solum rebus ad eam scientiam necessa-riis, sed illo et animo atque studio spoliatus, totumme, cum ad res gestas mortuorum, tum vel maximead sanctissimam Philosophiae disciplinam, statuitransferendum.[Ogni volta che ripenso al mio viaggio e ricordol’imboscata e l’assalto dei ladroni,mi pare che anchea me sia stato dato un ricetto sicuro contro le tem-peste, quantunque non così famoso come il porto diAtene. Io, che partendo per la Toscana avevo ripostoogni speranza nella scienza civile, fui perseguitatoacerbamente dalla sorte affinché oggi possa dire(forse per caso, eppure a buon diritto) che non avreipotuto scegliere più felicemente e con gloria mag-giore un itinerario diverso da quello in cui caddinell’imboscata dei ladroni, dai quali fui privato nonsolo deimezzi necessari per attendere a quella scien-za,ma persino della volontà e della speranza; per cuistabilii di dedicarmi alle opere degli antichi autori esoprattutto allo studio santissimo della Filosofia84.]
Tale citazione comprova la diffusione del tema di Ze-none in ambito umanistico senese. Anche FrancescoPatrizi, infatti, nelle sue opere,De institutione reipu-
blicae e De regno, ricorda il filosofo stoico il quale,“quando si vide trasformato da mercante in eccel-lente filosofo, disse: ‘Allora navigai con venti favore-voli quando feci naufragio’”85. Tale soggetto, comeho già dimostrato86, risulta funzionale all’iconografiadel commesso marmoreo disegnato da Pinturicchio(fig. 17), in cui è raffigurata una suggestiva allegoriaincentrata sul valore della Fortuna e della Sapienza.Bisognerà inoltre riflettere sul fatto che, almeno inalcuni documenti del Settecento, la Biblioteca Picco-lomini viene definita“Libreria della Sapienza”87. È al-lora probabile che la tarsia con l’immagine della Sa-pienza, quale culmine da raggiungere per lo spetta-tore, fosse stata voluta in quanto mostrava un sog-getto pertinente da inserire nel pavimento alla stessaaltezza dell’ingresso della biblioteca.Tra il 1469 e il 1470, in quel torno di tempo in cuiGiovanni Antonio fu molto legato al cardinale Fran-cesco, svolse, con notevole assiduità, l’attività diemendator prima per il tedesco Ulrich Hahn, poi peraltre imprese editoriali, come quella del medicomes-sinese Filippo de Legnanime, curando la stampa dinumerosi testi classici, fra i quali la raccolta delle tra-duzioni latine delleVitae parallelae di Plutarco, sopraricordata: “gli storici dell’arte editoriale hanno rico-nosciuto all’Aprutino un posto di distinzione fra ipionieri della critica textus. L’attività del criticocomportava la ricerca dei codici, la loro collazio-ne, la valutazione stilistica e l’emendazione del te-sto. Un lavoro, dunque, abbastanza difficoltoso”88.Quasi tutte le edizioni di classici curate da Cam-pano presentano una lettera dedicatoria indirizza-ta al cardinale Francesco Tedeschini Piccolomini:le Philippicae di Cicerone, le Vitae parallelae diPlutarco, le Vitae Caesarum di Svetonio, l’Istitutiooratoria di Quintiliano, l’edizione delle epistulaedello Pseudo-Falaride. È probabile che in qualchecaso il cardinale, provvedendo almeno in parte al-le spese di stampa, fosse stato un vero e propriopatrocinatore delle impressioni89. Dallo zio il car-dinal nipote ereditò dunque non solo cariche e
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avvenne in modo particolare d’estate. A Pienza ave-vano a disposizione, oltre al Palazzo Piccolomini, labella casa fatta costruire dal cardinale di Pavia; a Sie-na l’episcopio”78.Dei rapporti intercorsi tra Giovanni Antonio e Sie-na reca testimonianza anche la sua sepoltura. Difianco alla cappella di San Giovanni, nel Duomo,adiacente alla porta che conduce al sacello ove, an-cora oggi, si conserva la reliquia del braccio del Bat-
tista, donata alla Cattedrale da Pio II, sotto il bustodi Pietro Bambagini Galletti, scolpito da Tito Sar-rocchi (1869), si trova infatti, posta nel pavimento,una lapide che celebra l’umanista. L’epitaffio79, indistici elegiaci, incorniciato da un fregio, oggi gra-vemente consunto (fig. 16), è tramandato da alcu-ne fonti:
D.O.M.CAMPANUS IACET HIC, NOSTRI CLARUM DECUS AEVI,ELOQUIO RESONANS, CARMINE ET HISTORIA.NEC TAMEN HIC TOTUS, SOLA HIC SUNT OSSA, PETIVITCOELUM ANIMA, AST ORBEM GLORIA, CORPUS HUMUM.INTERIIT CORPUS, VIVIT SED GLORIA, VIVITSPIRITUS, IN SOLO CORPORE MORS POTUIT.[Qui giace Campano, gloria illustre del nostrotempo, / d’eloquenza celebre, di poesia e di storia./ Né tuttavia qui integralmente rimane, qui sonosoltanto le ossa: si volse / al cielo l’anima, ma almondo la gloria, il corpo alla terra. / Perì il corpo,ma vive la gloria, vive / lo spirito, sul corpo soltan-to poté la morte.]
Sebbene la lapide ricordi che Giovanni Antonioavesse cinquant’anni al momento della morte (sot-to i versi, in caratteri più piccoli, è scritto: VIXIT AN-NOS L. OBIIT AN. SAL. MCCCCLXXVII), invero l’umanistamorì il 15 luglio 1477, non avendone ancora com-piuti quarantotto, nell’antico palazzo vescovile,ospite del cardinale Francesco Tedeschini Piccolo-mini80. L’elogio funebre fu composto da AgostinoDati, un allievo senese di Francesco Filelfo, definitodalla critica un umanista incolore, all’acqua di rose,mediocre, scolastico e servizievole con i potenti81.Campano morirà dunque nella città che, già venti-duenne, insieme al fratello Giacomo, avrebbe volu-to raggiungere per seguire le lezioni del famoso giu-ristaMariano de’ Sozzini. Purtroppo, inVal d’Orcia,i due giovani furono assaliti e depredati da alcuni“ladroni”, tanto “che ripararono mezzo ignudi a Pe-rugia, dove furono accolti e soccorsi dal loro amicoNicola Rainaldi, che già insegnava allo studio peru-gino”82.Ma tale evento si rivelerà in seguito propizioper i rapporti che Campano instaurerà a Perugiacon la famiglia Baglioni e, soprattutto, l’umanistaavrebbe abbandonato la“scienza civile”per dedicar-si alle “opere degli antichi autori” e alla “Filosofia”83.Giovanni Antonio, oltreché nel carme Somnus, rac-conta tale episodio nella prefazione al terzo libro deltrattato De ingratitudine fugienda, dedicato a Pan-dolfo Baglioni. Egli mette a confronto il suo destino
16. Epigrafe sepolcraledi Giovanni AntonioCampano. Siena, Duomo,vicino alla cappelladi San Giovanni Battista
14-15. Bernardinodi Betto, dettoil Pinturicchio, Enea SilvioPiccolomini, ventisettenne,parte per il concilio diBasilea come segretariodel cardinale DomenicoCapranica, interoe particolare dell’iscrizione.Siena, Duomo,Libreria Piccolomini
17. Bernardino di Betto,detto il Pinturicchio,Allegoria del Montedella Sapienza. Siena,Duomo, pavimento
e la coppia Annibale-Scipione Africano (provvistaanche di una comparatio), scritta tra il 1467 e il1468, dedicata a Piero de’ Medici che, confluita nelcorpus di Campano, finì poi per essere considerataopera dello stesso Plutarco93. Fra le versioni latinedelle biografie di Plutarco, eseguite da Acciaiuoli, sisegnala la Vita di Demetrio, scritta negli anni tra il1454 e il 1459. La traduzione, cui è anteposta un’e-pistola dedicatoria a Piero de’ Medici, è contenuta,anch’essa, nella editio princeps delle Vitae. L’umani-sta aveva donato i libelli con la Vita di Demetrio equella di Carlo Magno ad Ammannati, il quale li les-se insieme a Campano durante un viaggio da Romaa Siena nell’estate del 1467:
Donato Acciaiolo94. Senam venientes extulimus no-biscum Campanus et ego libellos tuos, qui apud meerant. In quorum altero Vita erat Demetrii Regis inlatinum conversa, in altero Caroli Magni tua operaex diversis collecta. Delectavit ea lectio utrunquenostrum non mediocriter, me quod antiquae insti-tutionis nostrae sum contemplatus vestigia, illumquod rem cognitu dignam, et tamen antea ignora-tam, totam agnovit. Quam ob causam iter agentes,multa de te invicem sumus locuti. Campanus, cuiusesse acre iudicium cognoscis, ingenio tuo tribuitmulta. Ornatum laudat, et genus dicendi illustre, acpurum.Memorat quoque humanissimis litteris a teprovocatum nondum respondisse, sed responsu-rum brevi cum foenore, quando domesticis occupa-tus facere id ante eam diem non potuit. Hortor Do-nate, ut quae inter vos iaciuntur benivolentiae semi-na95 colas in dies sedulitate officiorum tuorum, in-que eo promerendo nil praetermittas [...]. Si es ven-turus, affer tecum Commentariorum partem ali-quam, quos in Aristotelis Ethica edidisti. Videre illosambo optamus.[A Donato Acciaiuoli. Venendo a Siena, Campano eio abbiamo portato con noi i tuoi opuscoli, che era-no presso di me. L’uno conteneva la Vita del re De-metrio tradotta in latino, l’altro quella di CarloMagno, composta per opera tua da diverse fonti.Questa lettura piacque non poco a ciascuno di noi,a me perché ho avuto modo di contemplare le vesti-gia della nostra antica cultura, a lui perché poté ap-prendere del tutto ciò che è degno di essere cono-sciuto e tuttavia prima ignorato. Per questo motivo,procedendo nel viaggio, abbiamo molto parlato dite scambievolmente. Campano, di cui conosci laprofonda capacità di giudizio, dà grandi attestazio-ni al tuo ingegno. Loda l’ornato e lo stile illustre epuro. Ricorda anche, chiamato in causa dalla tuagentilissima lettera, di non aver ancora risposto, mache ti risponderà tra breve con l’interesse, dal mo-mento che, occupato da affari domestici, non potéfare ciò prima di questo giorno. Ti invito, Donato, acoltivare sempre di più con l’assiduità dei tuoi do-veri quei semi di benevolenza che sono gettati tra divoi, e a non trascurare niente nell’acquistare meriti
nei suoi confronti […]. Se hai l’intenzione di veni-re, porta con te una certa parte dei Commentari, chepubblicasti sull’Ethica di Aristotele. Tutti e due desi-deriamo vederli.]
Giovanni Antonio, da parte sua, dette un giudiziopositivo sulle traductiones di Donato Acciaiuoli:
Roma profectus cum Papiensi tuo, Demetrium etCarolum Magnum perpetuo itinere habuimus inmanibus, quorum tu dum vitam scribis, alterumex intima Graecia, alterum e media Barbarieutrumque e tenebris in lucem revocasti. Non con-tempsi studium exercitationis tuae; ingenium tamad omnia facile vehementer sum admiratus. Ha-bet enim interpretatio difficultatem, non solumquia per ignota et peregrina versatur, sed etiampropter aequalitatem et ut sic dicam, quadratio-nem exprimendi, in qua si omnia teneas, nisi feli-citas adsit ingenii, multa aspere, quaedam etiamobscure invertantur96.[Partendo da Roma con il tuo Papiense, abbiamo te-nuto in mano per tutto il viaggio il Demetrio e ilCarlo Magno, dei quali scrivendone la vita, richia-
18. Miniatoredella seconda metàdel XV secolo,in Plutarchus,Vitae parallelae,Udalricus Gallus, Romae,circa 1470. Siena,Biblioteca Comunale degliIntronati, P.I.18, c. 286r
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potere, ma anche una profonda passione e un sin-cero attaccamento verso i libri90.Nella Biblioteca Comunale degli Intronati di Sienasi trova una copia dell’edizione plutarchea, le cuilettere iniziali sono decorate con il motivo dei“bianchi girari”, abitati da figure di putti, da anima-li o anche ritratti di foggia anticheggiante, che tutta-via non presentano connotazioni o attributi tali dacaratterizzare i personaggi di cui si parla nel testo(fig. 18)91. Oltre alla dedica al cardinale Francesco,l’edizione del 1470 circa presenta un “indice, com-posto soltanto di un titolo e di un nome, con l’indi-cazione delle carte, per guida dell’amanuense a cuiera affidato di riportare l’uno e l’altro in cima ai ri-
spettivi scritti, miniando anche le lettere iniziali diquesti. Ma siccome non è specificato se il nome in-dichi il traduttore o l’autore di uno scritto, gli ama-nuensi hanno interpretato di regola il nome comequello del traduttore. Ne sono sorti equivoci talvol-ta gustosi come questo: Vita di Annibale, scritta daPlutarco e tradotta da Donato Acciaiuoli (mentrequest’ultimo ne è l’autore), equivoci passati poi al-le ristampe”92.L’umanista fiorentino Donato Acciaiuoli, allievo diGiacomo Ammannati, difatti, non solo tradusse al-cune Vitae di Plutarco, ma fu anche autore di bio-grafie di impianto plutarcheo come la Vita di CarloMagno, presentata al re di Francia Luigi XI nel 1461,
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senese dell’incunabolo è testimoniata dall’epistoladedicatoria indirizzata al cardinale Francesco Tede-schini Piccolomini. Campano oAmmannati, ben in-seriti nelmilieu intellettuale senese, potrebbero dun-que aver suggerito al raffinato committente dei cas-soni, senza dubbio appartenente a una nobile fami-glia, il soggetto delle due tavole, in genere datate dal-la critica proprio verso il 1470. Come è noto, l’ico-nografia dei dipinti e dei cicli a fresco era dettata daun personaggio colto vicino alla famiglia del mece-nate. Spesso queste interessanti figure, che ideavanoprogrammi con l’aiuto di fonti antiche, medievali,ma anche per il tramite di comodi repertori contem-poranei restano sfuggenti, oscurate dalla fama delpittore e dei committenti. Al di là dell’influsso chel’edizione latina delle Vitae del 1470 ha esercitatosull’iconografia e la cultura umanistica106, ci interes-sa qui suggerire ulteriori indagini sugli umanisti e iloro intensi rapporti con la classe nobiliare che dete-neva il primato artistico. Campano, in particolare,ben rappresenta l’orientamento culturale della rina-scita nelle arti figurative e nella letteratura che ten-deva a sintetizzare il mondo classico e pagano, distampo eroico, con la piùmodernamorale cristiana.Il tema di Antioco e Stratonice, in ambito senese,viene affrontato inoltre da Bernardo Lapini da
Montalcino, detto l’Ilicino, nel suo noto commentoai Trionfi di Petrarca e nel quarto libro dell’operaDeregno et regis institutione dell’umanista FrancescoPatrizi, condotta a termine nella prima metà deglianni ottanta107.Questi, suggestionato dalla traduzio-ne latina della Vita di Demetrio dell’Acciaiuoli, aproposito dell’episodio di Antioco malato, cita, ol-treché la “fintione bellissima”108 del medico Erasi-strato, i festeggiamenti fatti in occasione delle nozzetra Antioco e Stratonice. Egli infatti ricorda che ilmatrimonio fu celebrato “ingenti apparatu e con-cursu principum ac populorum”:
Et sic saluti atque incolumitati redditus est, qui nul-lis aliis remediis evadere poterat. Nuptiae Stratoni-ces, et Antiochi ingenti apparatu, et celebri concur-su principum ac popolorum celebratae sunt, omnes-que admirabantur regem tam propere delitias con-nubii sui filio abdicasse, et illam ex regina regis nu-rum fieri aequo animo pertulisse.[Il re senza fare punto di tardanza gliela diede e lo li-berò da la morte manifesta. E, dipoi, fatto un gran-dissimo apparato, e convitati molti re e principi, permoglie gliela diede, con grandissima maraviglia diciascuno vedendo e il re privarsi di sì bella donna, eella reina moglie del re diventar nuora109.]
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masti entrambi dalle tenebre alla luce, l’uno dalcuore della Grecia, l’altro dal centro della barbarie.Non disprezzai l’impegno del tuo esercizio; ammi-rai decisamente l’ingegno così tanto duttile in ognicosa. L’interpretazione trova infatti delle difficoltà,non solo perché procede per vie ignote e straniere,ma anche per l’uniformità e per così dire, la “qua-dratura” dell’espressione, nella quale pur se afferritutto, nel caso che manchi la felicità dell’ingegno,molte cose vengono tradotte duramente, altre addi-rittura in modo oscuro.]
A differenza delle translationes tardomedievali adverbum,“le traductiones umanistiche, invece, furonoad sententias e si rivolsero a un pubblico vasto, an-che solo genericamente colto: con gli umanisti letraduzioni dei classici greci sono ridiventate, alme-no nell’intenzione, dei testi fruibili per se stessi ecomprensibili a partire dalla loro espressione lin-guistica, a volte ricchi di pregevoli valori letterari”97.Come risulta da un’indagine sull’iconografia del Ri-nascimento la Vita di Demetrio, al contrario dellabiografia parallela, la Vita di Antonio, non costitui-sce una fonte letteraria di rilievo, se si eccettuano leincisioni che corredano le edizioni cinquecenteschedelle Vitae parallelae. E dunque queste rappresenta-zioni, pur nel loro carattere sommario, assumonoun rilievo considerevole per l’immagine dell’eroegreco in età moderna, tanto più che colgono aspetticentrali del testo plutarcheo. È il caso delle stampeveneziane – del testo latino secondo la redazione diBadio Ascensio (1516) e del volgarizzamento di Ja-conello (1518) –, in cui sono inserite icone raffigu-ranti la rovinosa propensione di Demetrio versouna vita dissoluta, in particolare la relazione del Po-liorcete con la vecchia cortigiana Lamia98.Al di là del protagonista, la Vita di Plutarco ha avu-to però un grande successo nell’iconografia per il te-ma di Antioco malato, l’inserto narrativo del capito-lo 38, che riguarda la figlia di Demetrio e Phila: Stra-tonice99. Nella pittura del secondo Quattrocento, esoprattutto nell’ambito toscano della produzione dicassoni, spalliere e deschi da parto è possibile indi-viduare alcuni testimoni di particolare interesse perla ricezione del tema. Di primaria importanza si ri-velano da questo punto di vista le due fronti di cas-sone conservate nella Huntington Library a SanMarino (California), un tempo attribuite a Matteodi Giovanni e inserite in seguito nel corpus del co-siddetto Maestro di Stratonice, la cui attività è statariconosciuta in quella di un artista di origine luc-chese, Michele Ciampanti (figg. 19-20)100.L’episodio di Antioco e Stratonice è stato tramanda-to da numerose fonti antiche,medievali e umanisti-che101. Per quanto riguarda i risvolti iconografici, letestimonianze più significative sembrano da rap-portare a Valerio Massimo, Plutarco, Appiano, Lu-ciano, Giuliano, Leonardo Bruni102. Soltanto la Vitadi Demetrio di Plutarco e la Novella scritta da Leo-
nardo Bruni, però, sembrano costituire i testi guidadell’iconografia dei due pannelli della HuntingtonLibrary di San Marino in California: entrambi gliautori descrivono prima la scoperta d’amore di An-tioco attraverso il battito del polso, quindi l’espe-diente del medico che, prima di rivelare a Seleucol’identità della donna amata da Antioco, finge che ilgiovane si sia infiammato di sua moglie. Ma le fon-ti citate che in varia misura gettano luce su talunimoduli iconografici dei due pannelli, pur nella loropertinenza non incidono sull’andamento iconogra-fico finale, non descrivono infatti i festeggiamentiavvenuti nel regno di Seleuco dopo il matrimonio.A un primo sguardo resterebbe dunque un’incon-gruenza tra i nostri cassoni e i testi letterari: l’idea-tore del programma si spingerebbe al di là della rap-presentazione della storia raffigurando, con tuttal’evidenza che è propria della pittura, i risvolti delmatrimonio di Antioco e Stratonice, dalle danze aibanchetti. Plutarco, Appiano e Leonardo Bruni ac-cennano infatti soltanto alle nozze, ma non ne de-scrivono uno svolgimento dettagliato. La traduzio-ne della Vita di Demetrio, invece, curata da DonatoAcciaiuoli ci aiuta a ricostruire la genesi del sogget-to raffigurato. L’umanista fiorentino ha aggiunto,infatti, al testo di Plutarco questo lieto finale:
Celebratae sunt deinde Stratonicis et Antiochi nup-tiae ingenti apparatu et incredibili magnificentia re-rum, festaque ubique regno Seleuci pro novo coniu-gio acta103.[Furono quindi celebrate le nozze tra Antioco eStratonice con grande apparato e con straordinariagrandiosità, e furono fatte feste dovunque nel regnodi Seleuco per la nuova unione.]
Pare evidente dunque che la rappresentazione dei fe-steggiamenti del matrimonio nel dipinto del Mae-stro di Stratonice (fig. 20) derivi proprio da questobreve commento104. Come risulta dalla lettera indi-rizzata da Campano ad Acciaiuoli, citata sopra, Gio-vanni Antonio fu colpito dalla traduzione della Vitadi Demetrio che, insieme all’amico Giacomo Am-mannati, aveva letto durante un suo viaggio da Ro-ma a Siena nel 1467. I libelli con le biografie di De-metrio e di CarloMagno erano stati infatti donati daDonato Acciaiuoli al suomaestro, il Papiense105. Al dilà del giudizio espresso da Campano sulla traduzio-ne, a noi qui interessa rimarcare che nel suo viaggioverso Siena, insieme al cardinale Iacopo Ammanati,tennero a lungo il testo in mano: “Roma profectuscum Papiensi tuo,Demetrium et Carolum Magnumperpetuo itinere habuimus in manibus” [Da quan-do son partito da Roma con il tuo Papiense, abbia-mo tenuto continuamente in mano il Demetrio e ilCarlo Magno per la durata dell’intero viaggio].Pochi anni più tardi Campano incluse la traduzionedi Acciaiuoli nel corpus dell’editio princeps stampataverso il 1470. D’altronde, come detto, l’ascendenza
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19-20. Maestrodi Stratonice (MicheleCiampanti?), Storiedi Antioco e Stratonice.San Marino (California),Huntington Library
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21. Bernardino di Betto, dettoil Pinturicchio, Enea SilvioPiccolomini pronuncia un’orazionedavanti al re Giacomo I di Scozia.Siena, Duomo, Libreria Piccolomini
22. Bernardino di Betto, dettoil Pinturicchio, Enea Silvio Piccolominiè incoronato poeta dall’imperatoreFederico III. Siena, Duomo,Libreria Piccolomini
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23-27. Bernardino diBetto, detto il Pinturicchio,Storie di Pio II. Siena,Duomo, LibreriaPiccolomini
23. Enea Silvio Piccolominiè incoronato poetadall’imperatore FedericoIII, particolaredell’iscrizionesottostante la scena
24. Enea Silvio fa attodi sottomissione davantial pontefice Eugenio IV,particolare dell’iscrizionesottostante la scena
25. Enea Silvio Piccolominiè eletto cardinale da papaCallisto III, particolaredell’iscrizione sottostantela scena
26. Enea Silvio Piccolomini,è eletto papa con il nomedi Pio II, particolaredell’iscrizione sottostantela scena
27. Enea Silvio Piccolomini,presso la porta Camolliaa Siena, presiede all’incontrodi Federico III con Eleonora
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Giovanni Antonio Campano non si limitò a curareleVitae parallelae, il cui corpus, come abbiamo visto,integrò anche con scritti apocrifi che si rifacevano almodello plutarcheo. Egli stesso scrisse alcune bio-grafie, come quella del condottiero perugino Brac-cio da Montone (De vita et gestis Brachii) e quelladel papa Enea Silvio (Vita Pii II)110. Secondo il pare-re degli studiosi quest’ultima è senza dubbio supe-rata dalla vita di Braccio “in cui all’ammirazioneumanistica per la prepotente individualità del gran-de condottiero si accompagna sempre il rigorososcrupolo di una documentazione oggettiva, in granparte di prima mano”111. La vita del pontefice, com-posta da Campano tra il 1470 e l’anno della suamorte, il 1477,mostra, invece, soprattutto un inten-to apologetico. Scrisse inoltre una biografia dedica-ta a Federico da Montefeltro, a lungo considerataperduta, riscoperta, sebbene incompleta, un secolofa nel codice Vat. Urb. Lat. 1022112.Alla fine del secolo scorso August Schmarsow, indi-viduò, nel testo dellaVita Pii II, la fonte dei tituli cheaccompagnano le scene della biografia di Pio II af-frescate da Pinturicchio nella Libreria Piccolomini(figg. 15, 23-26, 29-30)113. Attraverso la lettura deipassi latini, è infatti possibile evidenziare come i ti-tuli, effigiati sotto agli episodi, a lettere capitali do-rate su campo azzurro, rivelino la ripresa di precisirimandi lessicali e linguistici dal testo di Giovanni
Antonio Campano114. Nel dettagliatissimo contrattodi allocazione, con il quale veniva commessa la de-corazione pittorica al pittore umbro, stipulato il 29giugno 1502 a Roma, dal notaro Francesco di Jaco-mo Carneva di Montalcino, nel palazzo del com-mittente Francesco Tedeschini Piccolomini , si ri-cordano anche le iscrizioni da porre nelle tabellaesotto gli affreschi: “sia tenuto da pilastro a pilastrosotto le istorie fare uno quadro, in nel quale saràuno epithaphio, o vero indice della istoria sopraquello dipenta, et quello in verso o prosa vi si possascrivare, facendo in la base da esse colonne et pila-stri le armi di Monsignore Reverendissimo”115.In contrasto con la tendenza umanistica che prefe-riva tituli in versi, le iscrizioni che commentano lescene della Libreria Piccolomini sono in prosa. Gliaffreschi furono realizzati da Pinturicchio in un tor-no di tempo che va dal 1503 e al 1508, con qualcheinterruzione116. All’incirca negli stessi anni, a Roma,tra il 1505 e il 1507 il cardinale Fazio Santoro com-missiona la decorazione di una sala del suo palazzoin via Lata, con le storie di Giulio Cesare e di Traia-no. Gli affreschi sono distrutti, ma ci restano i tituli,in prosa, conservati in un codice della BibliotecaApostolica Vaticana (Barberiniano Latino 2016)117.D’altra parte, in prosa, erano anche le sei iscrizioniche corredavano gli affreschi con storie di Alessan-dro VI dipinte da Pinturicchio tra il 1497 e il 1498
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pagina a fianco31. Bernardino di Betto,detto il Pinturicchio,Incoronazione di Pio III.Siena, Duomo,Libreria Piccolomini
28. Bernardino di Betto,detto il Pinturicchio,Pio II convoca a Mantovai principi cristiani perorganizzare la crociatacontro i turchi. Siena,Duomo, LibreriaPiccolomini
29. Bernardino di Betto,detto il Pinturicchio, Pio IIcanonizza santa Caterinada Siena, particolaredell’iscrizione sottostantela scena. Siena, Duomo,Libreria Piccolomini
30. Bernardino di Betto,detto il Pinturicchio,Pio II giunge ad Anconaper dare inizio allacrociata, particolaredell’iscrizione sottostantela scena.Siena, Duomo,Libreria Piccolomini
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nella loggia del giardino inferiore di Castel Sant’An-gelo118. L’ammirazione da parte del cardinale Tede-schini per questo ciclo, oggi perduto, ma di cui re-stano i tituli trascritti dallo scalco del papa Borgia, iltedesco Lorenzo Behain119, fu lo stimolo per la com-missione degli affreschi con storie di Pio II, che sa-ranno, guardacaso, concepiti come all’interno di unfinto loggiato.La scelta iconografica del primo episodio raffiguratonella Libreria Piccolomini, Enea Silvio Piccolomini,ventisettenne, parte per il concilio di Basilea come segre-tario del cardinale Domenico Capranica (figg. 14-15),rimanda al modello delle Vitae parallelae.È difatti in rapporto con l’incipit della biografia diCampano, secondouna tendenza che si può riscontra-re in numerosi cicli di ispirazione plutarchea, o per lomeno in cui le vite costituiscono la fonte privilegiata:
Pio II trasse origine da Siena, celebre città dell’Etru-ria, dalla nobile e antichissima famiglia Piccolomini,dal padre Silvio, postumo, che si dedicò alla vita mi-litare, dalla madre Vittoria, ugualmente nobile, don-na di straordinaria fecondità poiché dette alla lucediciotto figli fra cui alcuni gemelli. Nacque il 18 ot-tobre a Corsignano, borgo che dista venti miglia daSiena, nelle proprietà di famiglia, in cui i genitori sierano ritirati pochi anni prima, scacciati dalla plebeper spirito di parte. Al bambino fu imposto il nomedi Enea Silvio, in memoria del nonno. Nella più te-nera età ricevette i primi rudimenti a Corsignano. ASiena, affidato ai parenti, fece velocemente progressisia nella poesia sia nell’oratoria. Si occupò tardi deldiritto civile che tralasciò poco dopo, per la sua na-turale inclinazione all’arte poetica. Si procurò la fa-ma iniziale grazie ai versi composti in lingua tosca-na. Poi cominciò a essere lodato per la sua eloquen-za e per i suoi versi, scrisse molte opere a emulazio-ne dei contemporanei, tra le quali, sfuggitegli alcunefavolette leggere, tempo dopo cercò di sopprimerle,ma non vi riuscì affatto, perché ormai già divulgateper tutta Italia. Annoiato dagli affari domestici, e in-sieme desideroso di conquistare la gloria, si diresse aBasilea, città degli Elvezi, nel luogo in cui si teneva ilconcilio, già indetto da tempo, a quell’epoca controil papa Eugenio. Poiché il viaggio era tortuoso emol-to difficile, a causa della guerra scoppiata con i vici-ni fiorentini, per questa paura intenzionato a navi-gare lungo il tratto costiero ligure, salpato da Popu-lonia, si imbatté in una tempesta contraria. Portatodalla forza dei venti intorno a tutta la Corsica e laSardegna, fu spinto fino alla Libia120.
Nel riquadro il giovane Piccolomini, imberbe, su uncavallo bianco, si volge indietro verso lo spettatore.Dietro di lui è raffigurato il cardinal Capranica, diprofilo, con lo zucchetto rosso, preceduto da duestaffieri. Un corteo di eleganti personaggi dà vita al-la scena finemente eseguita da Pinturicchio, ancheper il tramite dimolteplici decorazioni in stucco do-
rato, lievemente rilevate. Anche la vegetazione ètrattata con grande minuziosità, che mette in evi-denza erbe, foglie e fiori. Più libera diventa la pittu-ra sullo sfondo, in cui la flotta è minacciata dallatempesta. Oscuri nembi nascondono il paesaggio,ma il luminoso arcobaleno, che si staglia all’oriz-zonte, già rischiara la città sul mare.D’altronde non solo la scelta iconografica del pri-mo episodio raffigurato nella libreria rimanda almodello delle Vitae. Anche il titulus evoca un mo-dulo tipico delle biografie di Plutarco, in cui pri-ma di tutto si ricorda la stirpe a cui il personaggioappartiene121.È stato osservato come “la costruzione e la decora-zione della Libreria Piccolomini rappresentano sen-za dubbio l’episodio più significativo della politicaartistica del cardinale Tedeschini, un manifesto fa-miliare rivolto ai concittadini, in cui si dichiarava laposizione super partes della famiglia nelle lotte civi-che e il ruolo disinteressato da essa svolto, fin daitempi di Pio II, nel rinnovamento della vita cultura-le e politica di Siena. Si trattava di un atto di mece-natismo veramente magnifico dal quale i Piccolo-mini si aspettavano un ritorno immediato in termi-ni di prestigio e di credito politico”122. I numerosiparticolari descrittivi degli affreschi, la profusionedegli ori e dei broccati, i personaggi paludati, i pag-gi, i dignitari, le dame, che si ammassano all’internodei margini dei riquadri, i cavalli con i ricchi fini-menti e tutti gli altri aspetti cortigiani, più che lestorie della vita di Enea Silvio qui rievocate, assu-mono un ruolo centrale nella trama narrativa degliaffreschi. Le immagini si caricano di significati pro-pagandistici attraverso l’ostentazione e la magnifi-centia: non solo si esibiscono ricchezze, ma anchecerimoniali, contatti e amicizie di riguardo123.La tendenza della biografia dipinta emerge soprat-tutto a partire dal primo decennio del Cinquecento:in palazzo Santoro sono illustrate le res gestae che ri-guardano eroi dell’antichità, nella Libreria Piccolo-mini un personaggio contemporaneo. Questo mo-dulo iconografico è “destinato a grande successo ta-le da oscurare progressivamente la tradizione degliUomini Famosi, linguaggio fondamentale dell’arteprofana dalla seconda metà del Trecento in poi”124.La raffigurazione delle imprese di un unico perso-naggio permetteva un rapporto più stretto con lacommittenza, che attraverso un eroe dell’antichità,o un esponente di rilievo della propria stirpe potevaautocelebrarsi e affermare il proprio potere. Del re-sto “fra i generi letterari, la biografia si presta singo-larmente a convogliare programmi di celebrazioneo esaltazione non solo dell’individuo che essa pren-de a soggetto,ma anche del suo ufficio e della sua fa-miglia, o dinastia”125. La committenza della libreria,il cardinale Francesco Tedeschini in particolare,maanche il resto della famiglia Piccolomini, attraversola figura più illustre del nobile lignaggio, Enea Sil-vio, imponeva dunque, in un certo qual modo, la
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propria ideologia politica e culturale. La volontà ce-lebrativa della famiglia Piccolomini continua, peraltro, con l’Incoronazione di Pio III, avvenuta l’8 ot-tobre 1503, scena affrescata tra il prospetto della Li-breria e la volta della navata (fig. 31), in cui, oltre alpontefice senese, sarebbero raffigurati altri espo-nenti familiari, i due figli di Nanni Tedeschini, Ales-sandro e Pier Francesco, identificabili nei due fan-ciulli in primo piano a destra126.D’altronde una celebrazione così fastosa di Enea Sil-vio nella Cattedrale aveva ragione di essere compiu-
ta se – come afferma Giovanni Antonio Campanonell’elogio funebre di Pio II tenuto in Siena nell’a-gosto 1465, primo anniversario della morte – il pa-pa fu “gloriosus rebus gestis, gloriosus religione,gloriosus pace, gloriosus bello, in vita, in morte, inposteritate gloriosus” [glorioso nelle imprese, glo-rioso nella religione, glorioso in pace, glorioso inguerra, glorioso in vita, in morte e fra i posteri] emagnificò, grazie allo splendore della sua gloria, “inprimis Urbem istam in qua natus est” [prima di tut-to questa città ove egli è nato]127.
1 Martellotti 1977, p. 1562; Mariotti 1980, p. 45. Sul poeta Gia-no Pannonio cfr. D. Coppini, in Segre, Ossola 1997, pp. 41-47,499-500.2 Per l’edizione del testo: Mariotti 1980, p. 49.3 Per l’edizione del testo: ivi, p. 50.4 Significativo risulta un epigramma di Giano Pannonio dal ti-tolo Suum opus modeste laudat (Loda con modestia la sua ope-ra): Non est hic, studiosa turba, non est / festivissimus ille Mar-tialis, / verum simiaMartialis haec est, / cui tu non quoties sacropoetae, / sed duntaxat ea vacabis hora / qua cum simiola volesiocari [Pubblico dotto, questo non è quel grande facetissimoMarziale, ma la scimmia di Marziale, a cui tu dedicherai il tuotempo non quando vorrai occuparti di un sacro poeta, ma soloquando vorrai giocare con una scimmietta]. Per il testo e la tra-duzione: D. Coppini, in Segre, Ossola 1997, pp. 43-44.5 Rinaldi 1990, p. 111. Per una sintesi sulla figura del Panormitasi veda L. Gualdo Rosa, in Arnaldi, Gualdo Rosa, Monti Sabia1964, pp. 3-5; Resta 1965; D. Coppini, in Segre, Ossola 1997, pp.493-494.6 Per l’edizione del testo e la traduzione: D. Coppini, in Segre,Ossola 1997, pp. 9-10.7 La data segnata nel dipinto, il 1488, forse non ne indica l’annodi esecuzione, ma piuttosto la data di morte della donna effigia-ta (cfr. Shearman 1995, p. 110).8 Per la traduzione italianaG.Norcio, inMarziale ed. 1980, p. 635.9 Shearman 1995, p. 112.10 Ibidem. Su questo ritratto cfr. anche Brown 2001, pp. 190-193.11 Traduzione italiana in Shearman 1995, p. 112.12 Sul ritratto senese si veda ora M. Boskovits, in Boskovits,Brown 2003, pp. 531-532. Sul rapporto ritratto/iscrizione relati-vamente a un’opera di Macrino d’Alba cfr. Guerrini 2001-2002.13Patrologia latina XLV,1238; LXV,208B; CXCIV,1892A.14 Traduzione italiana G. Paduano, in Catullo ed. 1997, p. 267.15 X,244-245; traduzione italiana N. Scivoletto, in Ovidio, ed.2000, p. 491.16 Traduzione italiana ibidem.17 Per la giuntura mira arte, sempre in contesti significativi, cfr.Virgilio, Eneide IX,304; Iliade latina 874; Marziale VII,56,2; Pli-nio, Storia naturale XXXV,109; Antologia latina 759,1.18 Traduzione italiana U. Boella, in Seneca ed. 1983, p. 835.19 Sull’iconografia dei personaggi che fanno parte del ciclo si ve-da: Caciorgna 1995; 1998b; 2000; 2002, pp. 298-344; M. Cacior-gna, in Caciorgna, Guerrini 2003, pp. 46, 113-114, 333-335; 341-343; R. Guerrini, in Caciorgna, Guerrini 2003, pp. 17-18; 293.Sulla cronologia cfr. Bartalini 1993b.20 Angelini 2005, p. 92; si veda anche il saggio Pinturicchio e i suoi:dalla Roma dei Borgia alla Siena dei Piccolomini e dei Petrucci inquesto stesso volume.21 I passi dei Fasti,ma anche di altre fonti antiche che hanno de-
terminato il dettato dei tituli, sono riportati da R. Funari, in Ca-ciorgna, Funari 1998, pp. 229-232.22 Per la lettura di amens cfr. R. Funari, in Caciorgna, Funari1998, p. 229.23 Su Benedetto da Cingoli si vedaMalato 1966; C. Badini, in Bel-losi 1993a, pp. 262-264; Carrai 1993, pp. 124-129.24 Benedetto da Cingoli 1503, b3v. Fra gli umanisti senesi ClaudiaQuinta è citata anche da Francesco Patrizi nelDe institutione rei-publicae (ed. 1520, f. VIIIv).25 C. Badini, in Bellosi 1993a, p. 262.26 Tizio circa 1506-1528, t.VI, c. 404: BCS, B.III.11 (copia delma-noscritto originale conservato alla Biblioteca Vaticana).27 Cfr. Benedetto da Cingoli 1503.28 Ivi, p. a2r.29 Ivi, p. a2v.30 Per l’edizione del 1511 cfr. Pallecchi 2002, p. 206.31 ASS, Biccherna, Battezzati, n. 1133, c. 147v.32 Ibidem; cfr. anche Corso 1957, p. 9.33 Corso 1957, p. 8.34 Ilicino ed. 1843, p. 16.35 Cfr. ivi, p. 35.36 Mss.D. 4, vol. I, p. 24r. Il sepolcro andò perduto nel 1747 quan-do la chiesa di Sant’Agostino fu colpita da un incendio.37 Ilicino ed. 1843, p. 36.38 Cfr. ivi, p. 23.39 A. De Marchi, in Bellosi 1993a, p. 264.40 C. Badini, in Bellosi 1993a, pp. 262-263.41 Il pittore verrà inoltre effigiato da Domenico Beccafumi in pa-lazzo Venturi: cfr. M. Caciorgna, in Caciorgna, Guerrini 2003,pp. 375-377.42 Anche Niccolò Angelio Dal Bucine compose due sonetti per ilritratto di madonna Francesca Benassai dipinto da Liberale daVerona: Corso 1957, p. 95.43 Carrai 1993, pp. 127-128. L’edizione del testo del commento diJacopo Fiorino de’ Buoninsegni è pubblicato in Carrai 1995, pp.115-120.44 Suquestodipinto cfr.Zeri 1976,pp.134-138;Angelini 1997,p.314.45 Ilicino, in Petrarca ed. 1481, c. h6r.46 Traduzione italiana R. Faranda, in Valerio Massimo ed. 1971,p. 671.47 Traduzione italiana G. Ranucci, in Plinio ed. 1983, p. 77.48 Benedetto da Cingoli 1503, p. a5r.49 Ho rilevato due testimonianze relative a Benedetto da Cingolilettore di poesia tra 1492 e il 1493. Cfr. Luigi de Angelis, Giusep-pe Giuli, Antonio Bandiera,Notizie relative all’Università di Sie-na e catalogo dei professori dal 1246 fino al presente (1841): AUS,misc. XX. A. 1, p. 20, in cui nel 1492 viene pagato 110 fiorini,mentre Giovanni Gabrieli, che svolge lo stesso ruolo del poetamarchigiano, riceve 95 fiorini; si veda inoltre il documento
XXIV dell’Archivio di Stato di Siena pubblicato da LodovicoZdekauer (1894, p. 193), in cui Benedetto da Cingoli risultaiscritto, quale lettore di poesia, nel Ruolo dei Lettori dello Studioper l’anno 1493, sempre insieme a Ioannes de Gabrielibus. SuGiovanni Gabrieli, allievo di Agostino Dati, professore di “hu-manità” nello Studio dalla metà degli anni ottanta e fino allametà degli anni novanta, ricordato soprattutto per le ClausuleCiceronis ex epistolis familiaribus excerptae dedicate nel 1489 adAntonio Bichi, esponente dell’oligarchia novesca, cfr. Fioravanti1994, pp. 12 sgg.50 Cfr. Longhi 1964, p. 8; Caciorgna 1995, pp. 235-236; 2000, pp.55-56; 2002, pp. 300-301. Il ciclo forse non è stato concepito inoccasione di un matrimonio come pare dimostrare la presenzadell’emblema di una sola famiglia e cioè la mezzaluna dei Picco-lomini. Roberto Bartalini ipotizza invece che la serie possa esse-re connessa alle nozze tra Silvia di Bartolomeo e Battista di Nerid’Aldello Placidi avvenute il 18 gennaio 1493. In tal caso i dipin-ti avrebbero ornato il palazzo Piccolomini, detto “delle Papesse”(R. Bartalini, in Bellosi 1993a, p. 468).51 D’altra parte, altri maestri di grammatica, provenienti da Cin-goli, si erano sperimentati nella “poesia per pittura”. Si tratta diBernardinus Cingulanus che, secondo la testimonianza del Tizio(ed. 1998, p. 445), avrebbe composto il titulus per l’immagine diAntonio Petrucci, detto Antonio di Checco Rosso, effigiata nelpalazzo del Podestà: “Anton di Checco Rosso io son chiamato /quale inghannai ogni signoria / et poi la patria mia / et re de’ tra-ditori son coronato”. Su questo argomento cfr. Pertici 1992, p. 27.52 G. Resta, in Marrasio ed. 1976, pp. 37-38.53 Ivi, p. 39.54 Sui rapporti tra l’iconografia della Fonte Gaia e la poesia uma-nistica cfr. Caciorgna 2001-2002; 2004, pp. 3-68.55Marrasio ed. 1976, p. 198.Come osserva Resta, le parole inizialie finali sono mutuate dal canzoniere (7,27 e 8,12).56 Sull’autoepitaffio cfr. Bettini 1976-1977.57 Marrasio ed. 1976, p. 124.58 Traduzione italiana L. Totaro, in Piccolomini ed. 1984, vol. I,p. 333.59 Per l’espressione marmore clausus si veda anche Schumann1981, p. 291.60 G. Gentilini, in Gentilini, Sisi 1989, I, p. 74. L’attuale iscrizionedel monumento risale al 1695: cfr. Colucci 2003, p. 353.61 Sul sepolcro: Colucci 2003, pp. 239-240.62 Cfr. anche Stazio, Tebaide III,378.63Per l’espressione egit Amor cfr. anche Orazio,Carmina IV,4,12;Valerio Flacco, Argonautica III, 685.64 Ugurgieri Azzolini 1649, parte prima, p. 561.65 De Angelis 1824, pp. 193-194.66 Angiolini 2004, p. 86.67 Morici 1905; sull’insegnamento di Cantalicio cfr. Fioravanti1994, pp. 18-21.68 Anche in questo epitaffio si possono individuare riprese dallapoesia antica: la giuntura Virginis ossa, ad esempio, che costitui-sce l’apostrofe iniziale, si trova in Ovidio, Amores III,6,74. Ilia,strappandosi i capelli,mentre pensa alla violenza subita daMar-te e allo zio Amulio che gli ha sottratto i figli, dice sconvolta: “Outinam mea lecta forent patrioque sepulcro / Condita, dum po-terant virginis ossa legi! / Cur, modo Vestalis, taedas invitor adullas / Turpis et Iliacis infitianda focis?” [Oh se le mie ossa fosse-ro state raccolte e deposte nel sepolcro paterno, quando poteva-no essere raccolte come ossa di una vergine! Perché, poco primavestale, sono invitata a nozze ora oggetto di vergogna e indegnadi essere ammessa ai focolari di Ilio?]; per la traduzione italiana,A. Della Casa, in Ovidio ed. 1982, pp. 173-175.69 Lenzi 1998, p. 317.70 Carli 1994, p. 65.71 Sulla Biografia dipinta si veda Guerrini 1998a; 2002, pp. 1-98.72 Guerrini 2002, p. 19.73 L’editio princeps delle Vitae parallelae di Plutarco non riportala data di stampa che gli studiosi fissano tuttavia al 1470. A taleproposito si veda: Giustiniani 1961, p. 4 e nota 6; Di Bernardo1975, p. 237. Per quanto riguarda la figura di Giovanni AntonioCampano cfr. Di Bernardo 1969; Idem 1975 (con la recensionedi Fubini 1976); Hausmann 1968 (con la recensione di Avesani1968b); Idem 1970; Idem 1974. Ricordiamo inoltre che la primabiografia di Campano cui fanno riferimento tutti gli studiosisuccessivi, è quella scritta da Michele Ferno – canonico milane-se della cerchia di Pomponio Leto – il quale curando la primaimpressione dell’Opera omnia dell’umanista, vi antepose la Vita(cfr. Campano 1495). L’umanista non riuscì in vita, contraria-mente ai suoi propositi, a raccogliere organicamente i suoi scrit-
ti in prosa e in versi. Una seconda edizione delle opere fu curatanel 1707 da Mencken, fondata però sostanzialmente sulla prin-ceps (cfr. Campano ed. 1707). Sulla produzione poetica si veda:Cecchini 1982; 1990; 1991; 1995.74 Plutarco circa 1470, t. I (BCS, P.I.17), c. 2r: “Tum communemeam hystoriam ita refersit magnis illustribusque sententiis, utnon magis ostendere in iis vitis quae Clarissimi Princepes gesse-rint, quam instituere quid nos facere oporteat, videatur. Exem-plorum et varietatis plenae sunt omnes”. Per l’edizione dell’inte-ro testo dell’epistola dedicatoria e la sua traduzione cfr. Cacior-gna 2002, pp. 212-214.75 Paparelli 1950, pp. 312-313; Di Bernardo 1975, pp. 160-163;Bianchi 1988b, p. 194, nota 1.76 Pertici 1995, p. 52.77 Hausmann 1974, p. 426; Di Bernardo 1975, p. 193. Spesso gliesponenti della nobiltà e del clero amavano trascorrere lunghiperiodi di vacanza alle terme nei dintorni di Siena, pressoMace-reto, Petriolo, San Filippo, Pignone eccetera (su questo argo-mento Agosti 1993, p. 503).78 Di Bernardo 1975, p. 170.79 Per il testo dell’epigrafe: Landi (1655), ed. 1992 , p. 86; [Marti]1844, p. 38; Lesca 1892, p. 104; Di Bernardo 1975, p. 410. L’epi-taffio del Campano fu trascritto anche da un amanuense nellaprima metà del XVI secolo in un foglio rimasto bianco alla finedi una raccolta di versi latini composti da diversi autori in ono-re di Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, trascritti nel cod. Ros-setti Piccol. II 25 (già Rossetti XII) della Biblioteca Civica diTrieste (un altro testimone degli Epaenetica, molti dei quali ap-partengono a Campano, è il cod. Chig. J VII 260 della BibliotecaVaticana). In proposito Avesani 1968a, p. 18. Sulla lapide sepol-crale vedi anche Colucci 2003.80 Di Bernardo 1975, pp. 409-411.81 Cfr. Dionisotti 1963, p. 137; 1974, p. 73; Fioravanti 1994, p. 12.Per l’elogio di cui restano le poche righe iniziali: Dati 1503, c.CIr.82 Di Bernardo 1975, p. 43.83 Hausmann 1974, p. 424.84 Per il testo latino cfr. Campano 1734, pp. 675-676; Di Bernar-do 1975, p. 43 (con la traduzione italiana). Cfr. anche Campano1495, c. c5r.85 “[…] cum se cerneret ex mercatore philosophum praeclarumevasisse: ‘tunc secundis ventis navigavi – inquit – quando nau-fragium feci’” (Patrizi 1520, f. 15v). Traduzione italiana, in Ca-ciorgna 2004, p. 220.86 Caciorgna 2004, pp. 217 sgg.; M. Caciorgna, in Caciorgna,Guerrini 2004, pp. 76 sgg.; Caciorgna 2005, pp. 115 sgg.87 AOMS, 5 (18) 1620.88 Di Bernardo 1975, p. 243. Sull’attività editoriale di Campanosi veda anche lo studio di Giuseppe Lesca (1982, pp. 66-68).89 Di Bernardo 1975, pp. 240-241.90 Cfr. Bianchi 1994, p. 34. Il continuo interessamento di France-sco Tedeschini Piccolomini per i codici, specie quelli di autoriclassici, è dimostrato anche da due lettere contenute nel mano-scritto 1077 della Biblioteca Angelica di Roma al f. 128r (cfr.Bianchi 1994, pp. 34-37). È vero che l’interesse per i codici e inun secondo momento per gli incunaboli di autori classici non èun tratto distintivo di Pio e della famiglia Piccolomini. A Roma,tuttavia, fu grazie al mecenatismo di Pio II semolti miniatori fu-rono impegnati nella decorazione di manoscritti: Ruysschaert1968, pp. 245-246; Dillon Bussi 1991, pp. 12, 16.91 La copia custodita nella Biblioteca Comunale degli Intronati diSiena che, come detto, non conserva una legatura originale, ècompresa nel fondo manoscritti e risponde alla collocazione P. I.17-18 (già Q.IV. 8-9). Una scritta a penna rossa redatta dall’aba-te Luigi De Angelis ci informa che quella copia è stata trasferitanella Biblioteca Comunale degli Intronati nel mese di gennaio1811. È probabile che i due volumi prima di quella data si tro-vassero nell’abbazia diMonteOlivetoMaggiore (Asciano-Siena).92Giustiniani 1961, p. 11.93 Ivi, pp. 25, 44; Gatti 1981; Scardigli 1998.94Ammannati 1506, f. 130r; Cherubini 1983, p. 187, nota 33.95 Cherubini: femina.96 Campano 1495, c. 155r; Giustiniani 1961, p. 39. Di Bernardo1975, pp. 228-229.97 Berti 1998, p. 86.98 Plutarco ed. 1516 e 1518. Sulle“icone plutarchee”dedicate a De-metrio si veda Guerrini 1998b, pp. 232-233; 2002, pp. 144-152.99 Sulla fortuna di questo soggetto in pittura si veda Stechow1945; Vertova 1972; Guerrini 1990.100 Tazartes 1985, pp. 18-27.101 Per una ricognizione dei testimoni della storia in rapporto al-
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l’iconografia dei due dipinti cfr. Caciorgna 1998b, pp. 196-205;2002, pp. 265-285.102 Valerio Massimo 5,7, ext. 1; Plutarco, Vita di Demetrio 38,2-12; Appiano, Guerre siriache 59-61; Luciano, Dea Siria 17-18;Giuliano,Misopogon 347-348; Leonardo Bruni, Novella. Sulleversioni della storia di Antioco e Stratonice si veda, in parti-colare, Garofalo 1990.103 Plutarco circa 1470, t. II, c. 200v.104 In aggiunta alle conclusioni a cui siamo pervenuti riguardo al-le fonti iconografiche, un ruolo significativo dovette pur svolge-re la novella di Leonardo Bruni, la quale, sebbene non contengaindicazioni relative ai festeggiamenti nuziali, resta tuttavia untesto-guida fondamentale per altre scene, in particolare per laprima, ove è raffigurata la rivelazione del male d’amore. Il di-pinto in cui il medico siede nel letto accanto ad Antioco, mentrele fanciulle entrano una alla volta nella camera, trova più preci-si riscontri nel resoconto dell’umanista fiorentino. Si veda Bru-ni ed. 1817, pp. 22-24; per l’intero testo della novella cfr. Cacior-gna 1998a, pp. 118-124.105Cherubini 1983, p. 187, nota 33.106 Su questo argomento cfr. Caciorgna 2002.107 Per l’episodio di Antioco e Stratonice commentato da Bernar-do Lapini, cfr. Petrarca ed. 1481, cc. f3r-f4r; Petrarca ed. 1486, cc.e6v-e7v; per il resoconto di Francesco Patrizi cfr. Patrizi 1531, cc.p. 168.108 La definizione è tratta dai tituli a margine del racconto nellaversione del 1547.109 Patrizi 1531, p. 168. Nel testo del Patrizi vi sono precisi ri-mandi al testo dell’Acciaiuoli che abbiamo evidenziato. La tra-duzione è di Giovanni Fabrini da Figline (Patrizi 1547, p. 87r).
110 Sulle vite scritte da Giovanni Antonio: Lesca 1892, pp. 167-180; G.C. Zimolo, in Campano ed. 1964, pp. III-XXI; Zimolo1968; Finzi 1993. Sulla biografia nel Quattrocento: Miglio 1975.111 Hausmann 1974, p. 428.112 Ivi, p. 427.113 Schmarsow 1880, pp. 10-11; vedi anche Caciorgna 1998a.114 Cfr. l’Appendice.115 Per il contratto di allocazione cfr: ASS, Archivio notarile 800,Rogiti di Francesco di Jacomo Carneva di Montalcino; Milanesi1854-1856, III, 1856, pp. 9-13; D. Toracca, in Settis, Toracca1998, pp. 254-256.116 Sulla cronologia degli affreschi D. Toracca, in Settis, Toracca1998, pp. 244-246.117 Cfr. in proposito Farinella 1992, pp. 100-123; Guerrini 1998a.118 D. Toracca, in Settis, Toracca 1998, p. 224.119 Per i tituli latini e la traduzione italiana cfr. D. Toracca, in Set-tis, Toracca 1998, pp. 234-235.120 Il testo latino è in Appendice. La mirabile scena affrescata daPinturicchio corrisponde inoltre al primo episodio di rilievo ci-tato nei Commentarii, subito dopo le notizie sull’origine dellafamiglia Piccolomini, la nascita di Enea Silvio e la sua primaeducazione (Piccolomini ed. 1984, I, pp. 10-13).121 In proposito Guerrini 1985, p. 90. Per il titulus e la sua tradu-zione cfr. Appendice.122 D. Toracca, in Settis, Toracca 1998, p. 57.123 Cfr. D. Toracca, in Settis, Toracca 1998, p. 264.124 Guerrini 1998a, p. 147.125 S. Settis, in Settis, Toracca 1998, p. 7.126 Cecchi 1982, p. 12.127 Campano 1495, c. f6r.
5. Enea Silvio Piccolomini, presso la porta Camollia di Siena,presiede all’incontro di Federico III con Eleonora d’Aragona
AENEAS FEDERICO. III. IMP. LEONORAM SPONSAM EXHIBET ET PUELLAE
LAUDIS AC REGUM LUSITANORUM COMPLECTITUR (fig. 27).[Enea Silvio presenta all’imperatore Federico III la sposa Eleo-nora illustrando le virtù della fanciulla e quelle della stirpe ara-gonese.]
Senae ad aream pomerii sponsa Federico exhibita, orationem ha-buit perelegantem, quae puellae Lusitanorumque regum laudescomplecteretur (Campano 1964, p. 21).
6. Enea Silvio Piccolomini è eletto cardinale da papa Callisto III
AENEAS SENEN. ANTISTES AD CALISTUM. III. ORATOR A FEDERICO IMP.III. MISSUS PONT. AD BELLUM ASIATICUM ARMAT ET PATRUM PRINCI-PUMQ: OMNIUM ROGATIONE CARD. EFFICITUR (fig. 25).[Enea vescovo di Siena, inviato dall’imperatore Federico III inqualità di oratore a papa Callisto III, esorta il pontefice a pren-dere parte alla guerra asiatica e dietro richiesta unanime dei car-dinali e dei principi vien fatto cardinale.]
Legatione ultimamissus ad Calistum Nicolao suffectum, ubi iu-siurandum exhibuit Caesarem illi pariturum, hortatus senem adbellum Asiaticum suscipiendum et lachrimas excussit et ut sta-tim aedificari triremes ad ripam Tyberis iusserit effecit, bellum-que maritimum ad veris inicium inferri. Perpulit mox et Alfon-sum ad eandem suscipiendam expeditionem, Neapolim ad eumprofectus; simul et bellum deprecatus est, quod idem rex ducePicinino Senensibus intulerat, quoniam minus astitisse ei belloetrusco viderentur. Constatque regem confessum propalam ex-tortam sibi ab hoc pacem vi orationis, non impetratam, cumfrusta Senenses tribus antea legationibus postulassent. Mansitautem apud regem, compositis iam rebus, menses aliquot, actum demum sero aegreque dimissus. Ultimo discessu aliquo-tiens obvolutus pedibus regem sic accendit ad bellum, ut extem-plo et veterem classem recensuerit et novam iusserit aedificari.Tum demum reversus Romam Cardinalis postulatione Patrumdesignatur (Campano ed. 1964, pp. 24-26).
7. Enea Silvio Piccolomini è eletto papa con il nome di Pio II
CALISTO MORTUO AENEAS CARDINALIS SENEN. ACCLAMATIONE PA-TRUM APERTISQ: SUFFRAGIIS PONT. DELIGITUR ET PIUS. II. NOMINA-TUR (fig. 26).[Alla morte di Callisto, Enea, cardinale di Siena, per acclamazio-ne del collegio cardinalizio e con scrutinio palese è eletto ponte-fice col nome di Pio II.]
Cum nuntiatum est Calistum obiisse, celeriorem eius reditumpatres fecere, singuli ad properandum exhortati. Est et inter re-deundum vulgo Pontifex Maximus consalutatus. In comitiispontificem suffragiis apertis acclamatum prorupisse in lachry-mas constat (Campano ed. 1964, p. 27).
8. Pio II convoca a Mantova i principi cristiani per organizzarela crociata contro i turchi
PIUS. II. PONT. MAX. A LUDOVICO MANTUANORUM PRINCIPE CLASSE IN
NAUMACHIAE SPECIEM EXCEPTUS. VI. CALEN. IUNIAS. MANTUAM AD IN-DICTUMDE EXPEDITIONE IN TURCOS CONVENTUM INGREDITUR (fig. 28).
[Pio II, Pontefice Massimo, ricevuto da Ludovico signore diMantova con la rappresentazione di una battaglia navale, il 27maggio entra in Mantova per presiedere il convegno indetto perdecidere sulla spedizione contro i turchi].
Ad eum locum Ludovicus Gonzaga Mantuanorum princeps oc-currit, classe utraque in naumachiae speciem concursante. In-gressus Mantuam est sexto Kalendas Junias, quatriduo prius-quam Romae suscripserat, pompa eadem qua Perusiam, nisiquod hic regum principumque legati lecticam subiere, praefec-turae urbanae vigilesque portarum parere ei iussi quem ipse sta-tuisset. De conventu acturus, orsus est a re divina, supplicationi-bus per urbem totam continenti triduo decretis. Exposita ratio-ne belli suscipiendi in Turchas, paucis inventis eorum qui se con-venturos erant polliciti, religionis simul et Italiae vicem deplo-ravit oratione admodum mesta et plena desperationis (Campa-no ed. 1964, p. 36).
9. Pio II canonizza santa Caterina da Siena
PIUS. II. PONT. MAX. CATHERINAM SENEN. OB IN NUMERA EIUS MIRA-CULA INTER DIVAS RETTULIT (fig. 29)[Pio II, Pontefice Massimo, elevò fra le sante la senese Caterinaper il gran numero dei miracoli da lei operati.]
Caterinam Senensem, cuius multa extaremiracula ferebantur, indivarum retulit numerum, apparatu eque magnifico (Campanoed. 1964, p. 57).
10. Pio II giunge ad Ancona per dare inizio alla crociata
PIUS CUM ANCON. EXPEDITIONE IN TURCOS ACCELERARET EX FEBRE
INTERIIT CUIUS ANIMAM HEREMITA CAMALDULEN. IN COELUM EFFER-RI VIDIT CORPUS VERO PATRUM DECRETO IN URBEM REPORTATUM EST
(fig. 30).[Pio II, mentre ad Ancona sollecitava la spedizione contro i tur-chi, morì colto dalla febbre. Un eremita camaldolese vide la suaanima sollevata in cielo, il corpo invece, per decisione dei cardi-nali, fu riportato a Roma.]
Qua die atque hora decessit Anchonae, in Etruria Camaldi, quodest in Apennini iugo, senex Germanus victu aspero sex et quadra-ginta annos intra sacelli claustra emaceratus atque inter cenobitasmiraculis clarus, egressus ad limen primumvestibuli, videre se ex-clamavit magnum sacerdotem corona triplici et candido amictudeferri in caelum, cantantium virguncularum coetu et nubeculaseptum, attonitis qui aderant et quid id esset conicientibus.Quar-to post die, quantum itineris Anchone distabant, nuntius demor-te eius affertur, et tempore et habitu convenientibus. Expeditioniin Turcas vehementius incubuit et festinatius quam esset et valitu-dine et alieno tempore […].Avidius suscepto itinere, incidit in fe-briculam, principio haud satis cognitam medicis, et ipse, ne quidRomae obiiceretur, aliquandiu suppresserat; ea iam aucta magisquam ut dissimulari posset,medicos inhibuit ne cui patefacerent,iureiurando et imprecationibus adactos […].Decessit anno etatisnono et quinquagesimo, religionis nostraemillesimoquadringen-tesimosexagesimoquarto, decimo nono Kalendas Septembris, exquo pontificatum inierat anno sexto. Polintores curato corporecordatissimum affirmaverunt. Praecordia execta in templo diviChiriaci recondita fuere, corpus decreto patrum, subsequentibusipsis, relatumRomamest, et in cella diviAndreae sepultum adVa-ticanum. Finis (Campano ed. 1964, pp. 81, 83, 87).
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Appendice
Si riportano qui i passi della Vita Pii II di Giovanni AntonioCampano (cfr. Campano ed. 1964), evidenziando in corsivo les-semi, giunture ed espressioni che hanno determinato la genesidei tituli latini che corredano gli affreschi della Libreria Piccolo-mini con scene della vita di Enea Silvio Piccolomini. La tradu-zione delle iscrizioni è ripresa da D. Toracca, in Toracca, Settis1998, pp. 248-252.
1. Enea Silvio Piccolomini, ventisettenne, parte per il conciliodi Basilea come segretario del cardinale Domenico Capranica
AENEAS SILVIUS PICOLOMINEUS NATUS EST PATRE SILVIO MATRE VICTORIA
XVIII. OCTOB. ANN.MCCCC.V. CORSIANI IN FUNDIS GENTILITIIS BASILEAMAD CONCILIUM CONTENDENS VI TEMPESTATIS IN LYBIAM PROPELLITUR
(fig. 15).[Enea Silvio Piccolomini, figlio di Silvio e Vittoria, nacque il 18ottobre del 1405 nei possedimenti gentilizi di Corsignano. Du-rante il viaggio per il concilio di Basilea venne spinto da una vio-lenta tempesta verso la Libia.]
Pius Secundus originem duxit ex Sena, celebri Tuscorum urbe,familia Piccolominea nobili ac pervetusta, patre Silvio postu-mo, qui aliquandomilitares duxit ordines,matre Victoria aequenobili et foecunditatis eximiae femina, quippe quae duo de vi-ginti et ex iis gemellos aliquot puerperiis edidit.Natus est quin-todecimo Kalendas Novembris Corsiniani, quod oppidum duoet viginti milia passuum distat a Sena, in fundis gentiliciis, quoparentes paucis ante annis se receperant, studio partium a ple-be deiecti. Nomen puero Aeneae Silvio inditum in memoriamavi. Prima erudimenta Corsiniani peregit admodum puer. Se-nae propinquis commendatus celeriter et in poetica et in orato-ria profecit. Ius civile sero amplexus et lente brevi omisit, natu-ra ad poeticam inclinatiore. Inicia famae ex rhythmis compara-vit etrusca lingua aeditis. Mox oratione et versibus laudari co-eptus, multa scripsit ad emulationem aequalium, inter quae etlaeviusculae quaedam fabellae cum excidissent, aliquando po-stea supprimere conatus minime potuit, Italia tota pervulgatas.Pertaesus rerum domesticarum simul et quaerendae gloriae cu-pidus, Basileam, Helvetiorum urbem, contendit, quo in loco diuantea indictum concilium tunc adversus Eugenium Pontificemhabebatur. Itinere obliquo et perdifficili propter ortum cumFlorentinis finitimis bellum, quo metu navigaturus secundumtractum ligustici lictoris, cum Populonia solvisset adversam in-cidens tempestatem, Corsica omni ac Sardinia vi ventorum cir-cumactus, in Libiam usque propellitur (Campano ed. 1964, pp.7-9).
2. Enea Silvio Piccolomini pronuncia un’orazione davantial re Giacomo I di Scozia
AENEAS SILVIUS A BASILIENSI CONCILIO IN ULTERIOREM BRITANNIAM
ORATOR AC SCOTIAM AD REGEM CALEXIUM MISSUS A TEMPESTATE IN
NOVERGIAM PULSUS ET PER BRITANNIAM REGIOS SPECULATORES ELU-DENS BASILEAM REVERTITUR (fig. 21).[Enea Silvio inviato in qualità di oratore dal concilio di Basileanella Britannia ulteriore e in Scozia presso il re Calessio, sospin-to da una tempesta verso la Norvegia, ritornò a Basilea attraver-so la Britannia sfuggendo agli esploratori inviati dal re.]
Hinc Ulteriorem in Britanniam nunc Scotiam missus ad regemadversus citeriores Brittannos qui paci adversabantur sollicitan-dum, ad Calexium ingressus Oceanum gravi exorta tempestatepene demersus ex cursu a nostro caelo in intimum Oceanumperpulsus duodecim dies ad casum navigavit. Reiectus tandemin brittannicum littus, agnitusque a regiis speculatoribus ac pro-hibitus ulterius progredi, remetiendoque Oceano duas subivittempestates, quarum altera dum Scotiam petit in Norvegiampellitur. Ex eo loco delatus in Scotiam perpellere quidem ad bel-lum regem non potuit; effecit tamen ut legatos mitteret qui depace agerent et auxilia Brittaniis deinceps non subministrarent.Ipse quoque duobus asturconibus donatus a rege est, unioneadiecto quem matri destinaret. Hac in insula votis solvendisquae inter fluctuum estus Virgini Matri nuncupaverat, iniciumeius morbi contraxit qui dolore articulorum permansit ad vitaeexitum, glacie decem milibus passuum nudis pedibus ad pha-num usque calcata ut redire in oppidum non aliter quam lecticapotuerit. Scotia decedens non ausus patenti se committere ocea-no, habitu mercatoris repetita Brittannia regios speculatores astuelusit (Campano ed. 1964, pp. 10-11).
3. Enea Silvio Piccolomini è incoronato poeta dall’imperatoreFederico III
HIC AENEAS A FOELICE. V. ANTIPAPA LEGATUS AD FEDERICUM. III. CAE-SAREM MISSUS LAUREA CORONA DONATUR ET INTER AMICOS EIUS AC
SECRETARIUS ANNUMERATUR ET PRAEFICITUR (fig. 22-23).[Qui Enea inviato dall’antipapa Felice V all’imperatore FedericoIII in qualità di legato viene insignito della corona di poeta e co-me segretario annoverato nel numero dei suoi amici più intimi.]
Faelicem tamen antipapam aliquandiu secutus est, a quo legatusmissus ad Federicum Caesarem Alberto suffectum laurea dona-tur, quod poetarum insigne praecipuum Germani habent. Moxinter amicos Cesaris relatus adscriptusque secretariis haud mul-to post et praefectus est (Campano ed. 1964, pp. 13-14).
4.Enea Silvio fa atto di sottomissione davanti al pontefice Eugenio IV
AENEAS A FEDERICO. III. IMP. LEGATUS AD EUGENIUM. IIII. MISSUS NONSOLUM EI RECONCILIATUS EST SED HIPPODIACONUS ET SECRETARIUS
MOX TERGESTINUS DEINDE SENEN. ANTISTES CREATUS (fig. 24).[Enea, inviato dall’imperatore Federico III in qualità di legato aEugenio IV, non solo si riconciliò con questi, ma venne creatosuddiacono, segretario e vescovo prima di Trieste e poi di Siena.]
Prima legatione Caesaris nomine ad Tergestanos functus, se-ditiones in civitate exortas compressit, actis in exilium quimotum concitassent. Altera ad Eugenium, adversantibus ami-cis, quod offendisse illum graviter videbatur, oppugnata to-tiens ad Basileam eius dignitate. Eo reconciliato et rebus exsententia confectis, divertit ad patrem ultimo iam confractumsenio, nec eum deinde vidit amplius paulo post mortuum. Eu-genii quoque secretarius factus est absens, quo munere apudFelicem functus nondum se abdicaverat. Tertiam inde obivitlegationem ad eundem Eugenium de duobus electoribus Cae-sarum restituendis, quos ille Faelici assensos et gravia in ipsiusdignitatem molitos exauctoraverat. Profectus est eadem decausa Franfordiam simul ut neutralium conventus dissolve-rentur: ii erant qui dissidentibus caeteris neque Eugenio ne-que Faelici paruissent, veluti ad nova consilia atque incertaspectantes. Rediitque iterum Romam, ac rursus Franfordiamde conditionibus acturus, itinere hiberno et cui magnitudinenivium ac vi excrescentium fluminum prope succubuit. Reli-quiis contentionum germanicarum tertia demum legationesublatis, exceptus est Romae ob operam prospere navatamomnium ordinum supplicationibus. Aegrotanti Eugenio Ger-manos, quorum opera vocatus is in iuditium fuerat, reconci-liavit, secundum supplicationem de rebus germanicis. Prae-fectus est Tergestinis, rumore temere orto de praesulis morte,competitoribus multis, qui ad subitum nuntium coorti sunt,ab Eugenio repulsis.Mox cum vivere antistes nuntiaretur ypo-diaconus efficitur. Eugenio mortuo, comitiorum custodiaepraefuit, iubente collegio, quod viro opus esset ad eam remminime factioso. Nicolaum, qui Eugenio suffectus est, multohabuit propensiorem propter vetus in Germania contuber-nium, in qua et ille functus legationibus fuerat Eugenii no-mine. Itaque et confirmavit decretos ab Eugenio honores, etnovos ipse addidit, iusso qua die est coronatus auream cru-cem anteferre et consultationibus de religionis summa ades-set. Profectum deinde Roma, certiore allato nuntio de antisti-tis morte, id quod Eugenius destinaverat, Tergestinis praefe-cit, ignarum eius rei donec in Germaniam pervenit: ibi et Ni-colai ad Federicum et amicorum ad se litteris rem cognoscit.Missus paulo post ad Mediolanenses cohortandos, ut mortuoPhilippo duce sine legitima stirpe Federico imperii iure se de-derent, exclusus est, erectis in libertatem civium animis simulquod a germanicis imperiis repetita priorum temporum me-moria abhorrerent, brevi deinde circumsessis a FranciscoSforzia Philippi genero. Iussus iterum redire, collegis ad Novi-comum metu subsistentibus, ipse magno cum discrimine in-gressus urbem, civibus in contionem vocatis, maiorem partemeorum perpulit Federicum acclamarent, et cum armis quidamoppressuros alteram factionem pollicerentur, recusavit, indi-gnum nec e legatione sua esse dicens in stabilienda iusto im-perio civitate cuiquam vim fieri. Fuitque constans opiniomansuram in fide civitatem si subventum in tempore obsessisfuisset. Mox legatione altera excipiente Neapolim missus, auc-tor fuit regiae affinitatis Leonora, Lusitanorum regis sorore,Alfonsi nepte, Federico desponsa. Interea designatus est Se-nensium antistes absens, quamvis infensa nobilitati civitasalium postularet (Campano ed. 1964, pp. 13-19).
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