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Marc Bloch e la Storia <<Il bravo storico, proprio lui, somiglia all’orco della fiaba. Là dov’egli fiuta la carne umana, là egli sa che è la sua preda>> 1 . E Marc Bloch è l’orco più affamato di uomini nella Storia. Storico e uomo d’azione, francese, nato nel 1866 da una famiglia di professori universitari, vive all’epoca della Terza Repubblica, e delle due guerre mondiali a cui partecipa attivamente e che segnano il suo corpo e il suo spirito con il loro corteo di sofferenze e orrori,fino al 1944 anno della fucilazione da parte della Gestapo, a seguito di un periodo di prigionia e torture per le sue azioni nella Resistenza francese. Un uomo dentro la Storia che ne rivoluzionerà il concetto stesso, proponendone una visione orientata al racconto,alla spiegazione,e all’interpretazione e non più solo alla descrizione. Una modernità di pensiero che consacra d’ attualità l’opera di Bloch. Nel suo capolavoro “Apologia della Storia”, lasciato incompleto e pubblicato postumo nel 1949 dall’amico e compagno d’intelletto Lucien Febvre, cofondatore con lui della rivista <<Annales>> 2 , troviamo una vera opera metodologica a servizio del mestiere di storico. Oggetto della Storia di Bloch non è più il passato in sé, ma è <<l’uomo, o meglio gli uomini e più precisamente gli uomini nel tempo>> e non solo i grandi personaggi. Bloch parla di uomini al plurale, organizzati in società e inseriti in un tempo che è storico, che è durata, che è un continuum, ma anche un continuo cambiamento e che chiede allo storico di lavorare in un’alternanza ripetuta tra presente e passato, secondo una logica che lui chiama à rebours, alla rovescia, perché la storia è scienza mai immobile, una <<scienza in marcia>>, e può essere compresa solo con l’utilizzo di questa capacità di andirivieni tra le epoche. La storia è per lui una scienza altresì poetica, ben distinta dalle altre, perché non riducibile in rigide strutture e astrazioni. Per la sua analisi Bloch oppone al metodo descrittivo quello comparativo, nutrendosi in parallelo dell’apporto di altre discipline, come la filosofia, la sociologia, e in particolare la psicologia, in riferimento all’interpretazione e al rinnovamento della critica delle testimonianze. Esse sono per Bloch materia di lavoro, di spiegazione e di costruzione attiva da parte dello storico 3 che le utilizza per porre delle domande in un’ottica di storia-problema,considerando l’uomo nella sua interezza, con la sua sensibilità e la sua mentalità. La ricerca storica deve però essere condotta avendo di base un “questionario”, ovvero delle domande, dei punti d’interesse che la guidino: i documenti, le testimonianze <<non parlano, se non quando si sa interrogarli>> 4 . E occorreranno una molteplicità di fonti, documenti e tecniche per ogni problema storico. Per la ricchezza dei suoi contenuti la storia ha bisogno di uomini capaci di superare l’autarchia, di cooperare e lavorare ora da soli e ora in équipe 5 , prestando attenzione alla questione della nomenclatura e utilizzando quindi un “doppio linguaggio”: quello dell’epoca attuale e quello dell’epoca di studio, al fine di evitare errori anacronistici. Allo storico, profondo conoscitore del presente e del passato, tra i quali si alterna, è affidato inoltre il compito di porsi la questione del futuro e dunque la “possibilità di previsione”.Ultima , ma non per importanza la questione della legittimità della storia e del suo insegnamento scolastico: Bloch propone a tal proposito l’adozione di un linguaggio più convenzionale come responsabilità sociale di chi fa questo mestiere 6 , e vede nell’insegnamento della storia sin dai primi cicli scolastici il mezzo per la formazione di una coscienza storica collettiva. 1 Bloch M., Apologia della storia, Einaudi, Torino 2009, cap. 1. 2 Rivista storica francese, nata col preciso intento di superare la Storia tradizionale intesa come succedersi di eventi, e pervenire a una storia basata sull’uomo, la società e il suo divenire. 3 Critica agli storici positivisti e al suo maestro Charles Seignobs, portatori dell’idea di fatto storico come “dato positivo”. 4 Ivi, p.51. 5 Ivi, p.54. 6 Ivi, p.7.
12

Marc Bloch e la Storia

Jan 16, 2023

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Page 1: Marc Bloch e la Storia

Marc Bloch e la Storia

<<Il bravo storico, proprio lui, somiglia all’orco della fiaba. Là dov’egli fiuta la carne umana, là

egli sa che è la sua preda>>1. E Marc Bloch è l’orco più affamato di uomini nella Storia. Storico e

uomo d’azione, francese, nato nel 1866 da una famiglia di professori universitari, vive all’epoca

della Terza Repubblica, e delle due guerre mondiali a cui partecipa attivamente e che segnano il suo

corpo e il suo spirito con il loro corteo di sofferenze e orrori,fino al 1944 anno della fucilazione da

parte della Gestapo, a seguito di un periodo di prigionia e torture per le sue azioni nella Resistenza

francese. Un uomo dentro la Storia che ne rivoluzionerà il concetto stesso, proponendone una

visione orientata al racconto,alla spiegazione,e all’interpretazione e non più solo alla descrizione.

Una modernità di pensiero che consacra d’ attualità l’opera di Bloch. Nel suo capolavoro “Apologia

della Storia”, lasciato incompleto e pubblicato postumo nel 1949 dall’amico e compagno

d’intelletto Lucien Febvre, cofondatore con lui della rivista <<Annales>>2, troviamo una vera opera

metodologica a servizio del mestiere di storico. Oggetto della Storia di Bloch non è più il passato in

sé, ma è <<l’uomo, o meglio gli uomini e più precisamente gli uomini nel tempo>> e non solo i

grandi personaggi. Bloch parla di uomini al plurale, organizzati in società e inseriti in un tempo che

è storico, che è durata, che è un continuum, ma anche un continuo cambiamento e che chiede allo

storico di lavorare in un’alternanza ripetuta tra presente e passato, secondo una logica che lui

chiama à rebours, alla rovescia, perché la storia è scienza mai immobile, una <<scienza in

marcia>>, e può essere compresa solo con l’utilizzo di questa capacità di andirivieni tra le epoche.

La storia è per lui una scienza altresì poetica, ben distinta dalle altre, perché non riducibile in rigide

strutture e astrazioni. Per la sua analisi Bloch oppone al metodo descrittivo quello comparativo,

nutrendosi in parallelo dell’apporto di altre discipline, come la filosofia, la sociologia, e in

particolare la psicologia, in riferimento all’interpretazione e al rinnovamento della critica delle

testimonianze. Esse sono per Bloch materia di lavoro, di spiegazione e di costruzione attiva da parte

dello storico3 che le utilizza per porre delle domande in un’ottica di storia-problema,considerando

l’uomo nella sua interezza, con la sua sensibilità e la sua mentalità. La ricerca storica deve però

essere condotta avendo di base un “questionario”, ovvero delle domande, dei punti d’interesse che

la guidino: i documenti, le testimonianze <<non parlano, se non quando si sa interrogarli>>4. E

occorreranno una molteplicità di fonti, documenti e tecniche per ogni problema storico. Per la

ricchezza dei suoi contenuti la storia ha bisogno di uomini capaci di superare l’autarchia, di

cooperare e lavorare ora da soli e ora in équipe5, prestando attenzione alla questione della

nomenclatura e utilizzando quindi un “doppio linguaggio”: quello dell’epoca attuale e quello

dell’epoca di studio, al fine di evitare errori anacronistici. Allo storico, profondo conoscitore del

presente e del passato, tra i quali si alterna, è affidato inoltre il compito di porsi la questione del

futuro e dunque la “possibilità di previsione”.Ultima , ma non per importanza la questione della

legittimità della storia e del suo insegnamento scolastico: Bloch propone a tal proposito l’adozione

di un linguaggio più convenzionale come responsabilità sociale di chi fa questo mestiere6, e vede

nell’insegnamento della storia sin dai primi cicli scolastici il mezzo per la formazione di una

coscienza storica collettiva.

1Bloch M., Apologia della storia, Einaudi, Torino 2009, cap. 1. 2 Rivista storica francese, nata col preciso intento di superare la Storia tradizionale intesa come succedersi di eventi, e pervenire a una storia basata sull’uomo, la società e il suo divenire. 3 Critica agli storici positivisti e al suo maestro Charles Seignobs, portatori dell’idea di fatto storico come “dato positivo”. 4 Ivi, p.51. 5 Ivi, p.54. 6 Ivi, p.7.

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La ricerca su Napoli

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Napoli: spazio di vite.

”Tutto il mondo è un teatro, tutti gli uomini non sono che attori, con le loro entrate e le loro uscite.

E ognuno di noi vive la sua vita recitando varie parti"7diceva Shakespeare e quale miglior

palcoscenico per recitare questa vita se non Napoli, la città stessa in cui vita e teatro sono un

tutt’uno8, la città delle mille contraddizioni, sovrappopolata e al contempo sprovvista di risorse,

dilaniata dalla fame e dalle malattie e pronta a ribattere con le nascite, ribelle e in contrasto con la

cultura di massa, la città dei mille stereotipi, delle lotte, padrona di un patrimonio di simbolismo,

folklore, riti, cultura, tradizione, di un passato che s’intreccia indissolubilmente con un presente

complicato e spesso contraddittorio, la città “porosa”9 come la definisce Benjamin

10, in cui nessuna

forma (sia essa sociale o architettonica) era «pensata per sempre».

Descriverne i luoghi, raccontarne gli spazi a partire dalle vite dei singoli individui che la vivono,

delle storie della gente “comune”, seguendo le tracce storiografiche battute con tanta chiarezza dalla

scuola degli Annales, appare un lavoro pretenzioso e sicuramente non esaustivo, parziale e perciò

distinto dalla ricerca storica classica con la relativa consultazione di tutti gli archivi, le

documentazioni e le pubblicazioni esistenti, ma appare anche l’unica via possibile.

La storia orale11

intreccia la storia urbana, nell’idea secondo la quale “Una città è una folla, e molti

aspetti dell’esistenza urbana possono essere letti attraverso i suoi comportamenti”.12

.

Quest’attenzione per lo spazio sociale legato alla vita dei cittadini nasce dagli studi del XVIII sec.

che tentano di analizzare legame e influenza della configurazione spaziale sul benessere, e la vita

sociale degli individui e continua con la Rivoluzione, quando lo spazio assume funzione educativa.

Lo spazio degli uomini e quello delle pietre diventano un tutt’uno nella storia urbana: le architetture

sono messaggere di valori, di intenzioni, di meccanismi di controllo, di resistenza alle regole, di

molteplici pratiche sociali; le abitazioni sono il supporto dei modi di coabitare e della divisione dei

ruoli all’interno delle famiglie. Gli elementi della città trasudano storia e mostrano le trasformazioni

operate e il significato attribuito nelle diverse epoche dai cittadini che vi hanno preso possesso.13

In

virtù di ciò secondo Halbwachs14

l’analisi dello spazio intriso di ricordi dei gruppi sociali, sarà

possibile solo attraverso la ricostruzione della “memoria collettiva”, ovvero l’insieme delle tracce

del passato, delle immagini spaziali che un nucleo sociale tratterrà, elaborerà e trasferirà,

interpretandole da una generazione alla successiva, contribuendo alla definizione della memoria

7 Shakespeare W., Come vi piace, traduzione di Antonio Calenda e Antonio Nediani, Newton Compton, 1990

8 Gribaudi G. , Donne , Uomini, Famiglie.Napoli nel Novecento, L’ancora s.r.l., Napoli,1999 p.50 9 “Porosa come questa pietra è l'architettura. Struttura e vita interferiscono continuamente in cortili, arcate e scale. Dappertutto si conserva lo spazio vitale capace di ospitare nuove, impreviste costellazioni. Il definitivo, il caratterizzato vengono rifiutati”( Benjamin W., Immagini di città,Einaudi, Torino, 2007) 10 Walter Bendix Schoenflies Benjamin (Charlottenburg, 15 luglio 1892 – Portbou, 26 settembre 1940) filosofo, scrittore, critico letterario e traduttore tedesco. 11 11La storia orale moderna si sviluppò dapprima negli Usa negli anni Trenta del Novecento, presentandosi da subito sotto un duplice aspetto: il primo riduce le fonti orali alle testimonianze di uomini politici importanti, e quindi confina la storia orale nel campo di quella politica, con un’accentuazione agiografica; il secondo focalizza invece l’attenzione sull’uso delle fonti orali per ricostruire la vita quotidiana, in particolar modo delle classi subalterne, puntando quindi a un superamento della storia politica. Dall’inizio degli anni Settanta la storia orale si diffuse in Gran Bretagna, in Italia e nel Canada parallelamente alla storia sociale.La storia orale ha contribuito al profondo rinnovamento della storiografia occidentale degli anni Settanta soprattutto favorendo il confronto continuo con gli strumenti propri di altre discipline (la sociologia, l’etnologia, gli studi sul folclore). 12 Chevalier L., Classes laborieuses et classes dangereuses à Paris pendant la première moitiè du XIX siècle, Paris 1958. 13 Lepetit B.,Olmo C., La città e le sue storie, Einaudi, Torino, 1995, pp.31-36 14 Maurice Halbwachs (Reims, 11 marzo 1877 – Buchenwald, 16 marzo 1945) filosofo e sociologo francese.

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La ricerca su Napoli

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pubblica, sociale- l’unica possibile senza la quale nessuna memoria individuale potrebbe costituirsi

e conservarsi- e dove il racconto diverrà monumento, luogo della memoria.15

Città e storie, città come spazio denso, interpretato, sognato, vissuto, camminato, descritto da chi lo

percorre. Spazio e territorio che diventa cruciale e protagonista in un contesto quale quello

napoletano, e gioca un ruolo decisivo nella costruzione delle traiettorie di vita e nei meccanismi di

distinzione sociale e di integrazione.16

Di questi percorsi sono protagoniste le famiglie napoletane.

Prendendo spunto dai due grandi maestri della tradizione teatrale napoletana: Raffaele Viviani che

mette in scena la plebe, i gruppi sociali incerti, con legami deboli, un’umanità disperata e

disordinata e Eduardo de Filippo che con la sua opera ci presenta la borghesia con i suoi problemi,

la sua crisi di valori e il suo tentativo di differenziarsi e di salire dalla strada, possiamo operare una

distinzione nella descrizione dei fenomeni e dei processi di queste famiglie17

. Troviamo da un lato

famiglie fragili, sole, abbandonate, sofferenti a causa dell’emigrazione, spesso caratterizzate da

assenza paterna e dal fenomeno dell’affidamento dei figli a parenti o ad amicizie più abbienti;

famiglie queste spesso estese, che lavorano insieme, secondo un modello di rete di parentela

orizzontale, nell’ artigianato sviluppatasi tra Ottocento e Novecento orientato alla produzione di

guanti, scarpe, abbigliamento, etc.. Questo settore entrerà in crisi tra gli anni Sessanta e Settanta e

porterà con sé un cambiamento nei percorsi familiari con la conseguente divisione dei nuclei

familiari alla ricerca di una maggiore stabilità lavorativa e la migrazione nelle periferie

impiegatizie. In altri casi la famiglia estesa riuscirà a contrastare la crisi e si ritroverà riunita e

rivitalizzata.

La stessa tipologia di famiglia estesa la ritroviamo anche nei clan camorristici, dove la rete familiare

si pone al servizio di attività criminali, coinvolgendo a più livelli fratelli, mariti, cognati, cugini,

amici, in un’organizzazione paritaria e non gerarchica. La camorra, la malavita è l’altra faccia di

questa città, espressione secondo due diverse tendenze ora della disgregazione sociale, di un

estraniamento dal contesto e ora di una barbarie del passato che si perpetua con crudeltà antiche e

attività moderne: riciclaggio di denaro sporco, traffico di droga, estorsioni, etc…suddivise per

settori e delegate a responsabili per favorire l’ instaurazione nel territorio e con la cittadinanza di

un clima di paura e di condiscendenza18

.

Diversa la traiettoria per la famiglia coniugale intima, quella raccontata da Eduardo che negli anni

trenta- cinquanta inizierà a salire dal vicolo, dalla strada ai “piani alti” delle abitazioni per

identificarsi con i ceti medi; e tra gli anni sessanta- ottanta metterà in atto percorsi di mobilità e

distinzione sociale più definiti, spostandosi a Fuorigrotta, al Vomero, ai Colli Aminei, ovvero nei

quartieri dell’universo piccolo-borghese. In questo tipo di famiglie troviamo rafforzato il ruolo del

padre capofamiglia e la figura della donna non più impegnata in lavori marginali, di strada ma

dedita alla cura della casa e dei figli19

.

La condizione femminile segna le contraddizioni e le caratteristiche di questa città: da un lato donne

potenti, forti, attive, usuraie, furbe e maliziose che compensano l’ingenuità e l’onestà dei fragili

15 Ivi,p.37. 16 Gribaudi G. , Donne , Uomini, Famiglie. Napoli nel Novecento, L’ancora s.r.l., Napoli,1999 p.122 17 Ivi, p.14-39 18 Ivi, p.72. 19 Ivi, p.35.

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mariti e dall’altro donne deboli, vittime di soprusi, angherie e maltrattamenti da parte di mariti

dispotici e violenti.

Il suono della memoria

Uomini, donne, famiglie, per dirla con le parole di Gribaudi, che in questa ricerca si raccontano e

raccontano con semplici parole, con i colori del dialetto, con un’inaspettata conoscenza del

patrimonio artistico che li circonda, con i loro ricordi e gli aneddoti che li hanno caratterizzati la

costruzione dello spazio di vita, di relazione, di lavoro all’interno del territorio.

Trattandosi di memorie, di racconti del quotidiano, del privato la ricerca ha previsto la raccolta di

fonti orali, di storie di vita degli abitanti del posto. La storia orale ci riporta ai modi in cui le persone

collocano se stesse nella storia e si presenta come una storia corale, a più voci. La peculiarità

dell’oralità è che le fonti sono costruite dallo storico in sua presenza, con la sua viva partecipazione

e comunicazione attraverso domande, risposte, sguardi. La fonte orale è un testo costruito in modo

dialogico, è il lavoro di due autori(intervistato e intervistatore)20

, è una narrazione, non una cronaca,

è un’arte dell’ascolto e della relazione, è un atto del presente e non un documento del passato. La

diversità dell’oralità sta nell’attribuire importanza alla soggettività del narratore e nel porre

l’attenzione sul significato degli avvenimenti narrati; e inoltre nel mostrare la questione

dell’attendibilità in un’ottica diversa: non più solo l’aderenza ai fatti è centrale e rilevante, ma

anche la divaricazione da essi e lo sconfinamento nella sfera del desiderio, dell’immaginazione, del

simbolico.

Storie di quartiere

Si è scelto di delimitare il campo d’analisi alla zona del centro storico, uno dei pochi in Europa a

essere sopravvissuto alla terziarizzazione con conseguente espulsione degli abitanti e a contenere

ancora una grande fetta di popolazione.21

In particolare ci si è soffermati sulla zona di Piazza San

Gaetano22

, importante e storica piazza napoletana,circondata da numerose chiese e monumenti,

corrispondente all’antico Foro della Città, teatro nel passato di trattative di guerra e pace tra gli

ambasciatori, di lotta contro Longobardi e Saraceni e di maestosa accoglienza degli imperatori

romani.

Per il reperimento del materiale , il gruppo di ricerca costituito da sei studentesse, ulteriormente

suddiviso nel lavoro sul campo in due sottogruppi da tre, al fine di favorire un clima di maggiore

intimità e confidenza con i narratori, ha raccolto otto interviste biografiche, avvalendosi di

strumentazione audio(registratore vocale, lettore mp3) e video( videocamera). Il materiale è stato

raccolto nell’arco di circa due settimane, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio c.a. La scelta dei

soggetti da intervistare è avvenuta talvolta in maniera casuale, come per la signora Rita o la signora

Schioppa, incontrate dal fruttivendolo di Piazza San Gaetano all’atto di fare la spesa l’una, di

20 Cfr.Portelli A., Storie Orali,Racconto, immaginazione, dialogo, Roma, Donzelli, 2007. 21Gribaudi G. , Donne , Uomini, Famiglie. Napoli nel Novecento, L’ancora s.r.l., Napoli,1999,p.109. 22 Il nome deriva dalla presenza nella basilica di San Paolo Maggiore della tomba di San Gaetano, ricordato questi anche dalla scultura dedicatagli ed

oggi presente in piazza.Indice [nascondi] La piazza si trova in posizione pressoché centrale rispetto al decumano maggiore sul quale si trova. Sita in

pieno centro storico, la piazza è accessibile solo al transito pedonale dal decumano o da via San Gregorio Armeno, famosa e storica strada di

botteghe presepiali che interseca via dei Tribunali.

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passaggio l’altra, o Antonio Bello, l’anziano vedovo colto in un momento di riposo sulla panchina,

o gli artigiani Scuotto e Massa, scelti a caso tra gli altri della zona, e talvolta in modo ragionato,

come per Attilio, il sagrestano della Chiesa di San Lorenzo Maggiore, o Salvatore Di Matteo

dell’omonima e storica pizzeria di via Tribunali23

, o suggerito dagli stessi abitanti del posto come

per la signora Elvira, la famosa e folkloristica venditrice ambulante di panini napoletani.

Numerose le tematiche che possiamo ritrovare all’interno di queste biografie: la nostalgia di un

passato mitico, il riferimento ai mestieri artigianali di una volta e la conseguente crisi qui imputata

all’immigrazione cinese, le successive trasformazioni all’interno del mercato del

lavoro,l’innovazione delle nuove generazioni all’interno delle botteghe o delle attività di famiglia,

la solidarietà di vicinato del passato sostituita dall’individualismo odierno, il sistema di regole

familiare e il rispetto dell’autorità paterna in profondo contrasto con l’educazione dei giovani di

oggi, il pudore delle ragazze di un tempo e la perdita di valori odierna, i divertimenti semplici: i

giochi per le strade e i balli nelle case, il coinvolgimento della famiglia a più livelli nell’attività

lavorativa, il riconoscimento della forza dell’istruzione e del capitale culturale come strumento di

mobilità sociale, la logica maschile di trasmissione ereditaria del patrimonio, la profonda

conoscenza dei monumenti e di tutta l’arte del territorio e la denuncia delle condizioni di degrado

del quartiere dovute all’ignoranza della popolazione e al disinteresse delle istituzioni, il controllo

dello spazio e la delinquenza di oggi contrapposta al senso di sicurezza del passato,la cucina povera

e i “sapori di una volta, l’usanza del cibo in strada e la magia della tradizione..

Storie di donne

Tra le nostre storie colpisce quella della signora Schioppa, un’ottantenne che abita nei pressi della

piazza. La signora Schioppa ci racconta la sua vita attraverso i luoghi,i monumenti,le chiese,

sottolineando una profonda conoscenza del patrimonio artistico e culturale del centro antico,

elemento comune a molti dei nostri intervistati e denunciando lo stato di degrado in cui versano

questi tesori a causa della trascuratezza delle istituzioni.

D’origine familiare modesta: il padre operaio all’opificio di Baia e la madre casalinga, con altri tre

figli,vive i momenti drammatici della guerra, dello sfollamento, dei bombardamenti e della miseria

del periodo, che ricorda con sofferenza. S’inserisce nel quartiere da sposata, negli anni ’60 e

compie grazie alla sua determinazione, al suo carattere forte alla ricerca di una precisa identità,

rivoluzionaria per i tempi24

e alla voglia d’investire nell’istruzione25

-pur dovendo sempre lavorare,

sin da piccola a causa delle condizioni economiche della famiglia e in particolare per la perdita del

23 Via Tribunali è una delle strade più antiche e principali del centro storico di Napoli dichiarato nel 1995 patrimonio dell'umanità. L’itinerario ha

inizio dal conservatorio di San Pietro a Majella per poi terminare nella zona dove sorge Castel Capuano, il tribunale della città. Lungo il percorso

incontriamo palazzi storici caratterizzanti epoche diverse, obelischi, monasteri, chiostri, 30 e più musei, le note vie del presepe, catacombe, scavi

archeologici all'aperto e sotterranei con resti romani e greci, statue e bassorilievi, fregi monumentali, colonne medievali e chiese ricche di arte e

cultura, di queste ultime se ne contano circa 400. Proprio in questa via carica di storia nasce un’altra importante tradizione legata al mondo della

gastronomia regionale, la pizza, divenuta ormai popolarissima in tutto il mondo. Il turista che passeggia lungo questa strada può rifocillarsi gustando

questa deliziosa pietanza in una delle tante pizzerie presenti lungo questa via. Seguendo l’ordine topografico il primo locale che incontreremo è la

pizzeria di “Gino Sorbillo”, discendente di una delle antiche famiglie di storici pizzaioli di via Tribunali. Proseguendo verso via Duomo arriviamo nei

pressi di Piazza San Gaetano dove, a pochi passi da San Gregorio Armeno, la via dei pastori, sorge un’altro locale storico, la pizzeria “Di Matteo”,

oggi gestito dall’erede di Nicola e Gennaro, Salvatore.Per questo motivo via Tribunali è adesso conosciuta come la via delle pizze.

24 Gribaudi G. , Donne , Uomini, Famiglie. Napoli nel Novecento, L’ancora s.r.l., Napoli,1999,p.122-123 25 Ivi, p.25

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lavoro del padre- un percorso di mobilità sociale ascendente, divenendo impiegata

all’amministrazione provinciale di Napoli.

S:…sono stata sempre una persona autonoma quando le donne avena stà cà pezza ‘n capa a fa i servizi a casa, io invece mi ribellavo

allora e continuo a farlo

S...perché ero intelligente, ero sveglia e non volevo fare il lavoro manuale, volevo fare un lavoro intellettuale…

S: decisi che dovevo fare una certa cosa e la feci, fortunatamente perchè questa determinazione non tutti ce l’hanno, è la difficoltà dei

giovani di oggi è la paura di mettersi alla prova, e invece bisogna farlo..

S: …perché la carriera è importante. Io infatti la carriera l’avevo anche anteposta alla famiglia, perché mi piaceva, avevo l’ambizione

di crescere, volevo fare carriera, volevo andare avanti, ci sono anche riuscita.

Nel suo racconto troviamo numerose espressioni che rimarcano la distinzione da “alti” e “bassi”, e

la paura di contaminazione con “un livello diverso”da quello raggiunto, anche per quel che riguarda

l’educazione dei suoi tre figli, due laureati in Lettere classiche e uno geometra, che ormai risiedono

fuori dal quartiere.

C:signora i vostri figli giocavano nel cortile giù?

S:no!non li ho fatti mai scendere

C:sempre in casa

S:in casa!

C:ma perché..

S:d’estate, no perché dovevano studiare, poi perché ci stava qualche inflitrazione di qualche ragazzino

I:non è un bell’ ambiente..

S:no, non trovo!...quindi loro non scendevano.anche per questo se ne sono andati, perché forse se li avessi fatti scendere si potevano

affezionare.. ..potevano fare amicizie, invece è un coltello a doppio taglio..

E anche raccontandoci della sua infanzia tende a rimarcare questa distinzione sociale:

A: e dove giocavate tra amiche, tra bambine?

S: noi, quando io ero piccola, avevamo un bellissimo cortile con il giardinoall’interno, e allora giocavamo là.

A: nel cortile. Non uscivate fuori per le strade, nelle piazzette?

S: no no!almeno noi, no non no, nel vicolo no! Nel vicolo giocavano i bambini, però i bambini che abitavano giù nei bassi..noi

invece che stavamo sopra, giocavamo nel cerchio ristretto nel nostro palazzo

A proposito dei giochi ci descrive i divertimenti di una volta: “a cucinella “, la settimana , la corda,

la passeggiata a Via Foria, all’Orto Botanico, i balli nelle case, sulle terrazze..

La stessa nostalgia della giovinezza e gli stessi passatempi caratterizzano il racconto di un’altra

donna tra le nostre intervistate.

Elvira, settantenne, provata dal dolore della perdita per malattia di uno dei suoi cinque figli,

residente dalla nascita nel quartiere, di umile estrazione sociale: il padre “acconciava” e vendeva le

radio antiche e la madre si divideva tra il lavoro di portinaia e cameriera nelle case, con due fratelli

e una sorella, rimarca spesso nel suo racconto la forza dell’unità della sua famiglia , la sana felicità

della sua infanzia nonostante la povertà

E.= ce steva a miseria, steva a miseria, però se campava felice. O’ Natale se vereva, o’ Pasqua se vereva, o’ Natale era……o peccè

nuje desideravamo….per esempio, nuje parlavamo ro pull’, nuje sul’ a Natale e Pasqua o verevamo, a tiemp’ suoje asceva, o’ caprett’

a Pasqua se vereva..

la genuinità dei prodotti della terra

E.= …che fa a salute mò?! Niente…a frutta?! E che è frutta chell ca che magnamm’ mò?! Tutto surgelat’…. Subito si infracicano! Ce

magnavam’ a frutta allora…bell’…ce magnavam’ o sangue e puorc cu a cepoll’, Marò comm’er’ bell’!

I.= e facevate la spesa qua in zona…vi conoscevate? Era più controllata, sapevate anche da dove veniva….sicuro ogni…

E.= Si, si, ma tanto tutto o mangià era buono, da dove veniva veniva, tutto o mangà buono, perché ogni cosa asceva a tempo suo: a

percoca asceva o’ mese e luglio…agosto…a percoca co pizz’, ma dove stanno più sti percoc’…so tutti turz’…che è frutta?

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La ricerca su Napoli

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il pudore delle ragazze di una volta contrapposto alla perdita di valori odierna

E.= …pure a femmina teneva più pudore, a femmina di allora era desiderata, la veste sempre longa, coi pantaloni a sott’., ce

‘mpustavam ce mettevam’, mo nun sta chiù, mo vedi ‘nmiez alla via ca se vasano, nuje quando facevamo ammore, cercavamo i pizzi

annasconnuti….e camminavamo aspartati, manco la mano ‘coppa a spalla, …quando stavamo isolati che non ci stava nisciuno

facevamo a’ amore… invece mò no!

Elvira lavora da quarant’anni come venditrice ambulante di panini napoletani, per conto del

panificio Esposito a Via Tribunali. E’ conosciuta nella zona dai residenti e dai turisti. Elvira fa un

lavoro “onesto”, e più volte nella narrazione sottolinea questo forte senso di moralità in riferimento

all’attività che svolge, denunciando la facilità di guadagni del mondo malavitoso a cui allude: E.= ecco qua! Allora per irrondare ije vende e pagnuttiuell’.. per vivere onestamente…se vulessemo campà buon facessemo tutt’altri

mestieri. Giusto?

E.= ….a me mi devono vedere con la roba pulita….Perciò da me solo roba buona, sennò io nun vendess’ proprio. Ije putess’ fa pur

un altro mestiere, perché io so sveglia, vac a vennere e spighe!

In passato, appena sposata lavorava con il marito, titolare di una fabbrica di produzione di semi di

fiori artificiali a via Nilo, chiusa a seguito dell’immigrazione cinese che ha causato danni a tutto

l’artigianato locale.

Antichi mestieri e nuove menti

Della stessa crisi e per le stesse motivazioni si lamenta anche Salvatore Massa,sessantenne presente

con la sua attività sotto il porticato di Via Tribunali da vent’anni circa, e residente nel quartiere di

Salvator Rosa. Artigiano, produttore con il figlio di candele, presepi, sculture. Prima dirigente

commerciale di un’azienda di catering, chiusa dopo venticinque anni, decide d’intraprendere in una

nuova bottega questo percorso già avviato in un negozio delle vicinanze dalla moglie, in seguito

lasciato a causa dell’aumento dei fitti. L’inserzione nel quartiere non è stata semplice per Salvatore

che come ci racconta è stato accolto con sospetto e diffidenza S.=No con molta diffidenza, anche perché io ho subito inizialmente danni non indifferenti, dovuti però più alla ….no ai bambini no,

ai mostriciattoli che vivono sulla zona si…tenevo cartoline si rubavano le cartoline scappavano, strappavano si rubavano le cose e

comunque continuano a fare e vengono perché ripeto sono mostriciattoli. però poi ecco alla fine bisogna non demordere e andare

avanti quindi..però poi ecco subentra la la l’invidia delle persone perché non sanno confrontarsi con gli altri quindi un nun s sann

esprimer a stento riescono a leggere e scrivere….

ma ha resistito e combatte quotidianamente difendendo la qualità dei suoi manufatti e inventandosi

nuove strategie, diversificando la merce a seconda della stagionalità e dell’affluenza turistica, per

contrastare e resistere all’ingerenza degli articoli cinesi, concorrenziali sul prezzo ma realizzati con

materiali scadenti e alle volte tossici.

Cruciale nel suo lavoro sono state le innovazioni, in termini di prodotti destinati alla vendita, create

e insegnate al padre dal figlio, che, come ripetutamente rimarca Salvatore,si è laureato in Disegno

Industriale alla facoltà di Architettura. L’importanza attribuita al capitale culturale come strumento

e speranza di elevazione sociale, emerge più volte in questo racconto, in riferimento a se stesso S.=..ecco spero che come rapporto interpersonale riesco a farti comprendere che non sono proprio terra terra e allora quindi uno dice

aspiett chist fors sta ricenn qualcosa di vero..

e in riferimento ai figli

S.=…perché almeno cercavo di proteggere un poco l’ambiente da …fortuna hanno studiato tutti e due .

Anche Salvatore, come prima la signora Schioppa, ci dimostra una profonda conoscenza e

sensibilità verso il patrimonio artistico del territorio, raccontandoci del porticato del 1300, sotto il

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quale ha sede il suo negozio e del deterioramento in cui versa a causa dell’abbandono istituzionale

e della noncuranza della popolazione.

Salvatore ci offre la descrizione del quartiere nel passato -che conosce bene perché sin da piccolo lo

frequentava per via della nonna residente lì – e dell’antica solidarietà di vicinato,26

oggigiorno

scomparsa.

La differenza è enorme mi spiego, mentre prima ripeto c’era sempre tipo mercatino, qui c’erano fruttivendoli poi tra le altre cose ogni

negozio aveva quasi delle tende che chiudevano un negozio da un altro, si..a quei tempi. E infatti se vedi quelle fughe che vedi lì

(indica)servivano proprio per mettere l’agganccio c’era un pezzo che loro avevano messo per l’aggancio della tenda. ovviamente

come diciamo erano tutti campa e cumpariell, quindi tutti imparentati perché quella ha fatto la cresima alla figlia dell’altra allora

sotto questo aspetto era quasi un’unica famiglia che partiva da qui e finiva a vico Fico infondo. Ma la cosa buona era proprio questo

essendo un’unica famiglia se dicevi a uno di loro mi guardi il negozio che devo andare a comprare il pane ? non entrava manco una

mosca. Prova a dirlo adesso , anche al vicino c’è il rischio che ti manca qualcosa quindi sotto questo aspetto abbiamo peggiorato di

molto, sotto l’aspetto polizia è un poco più pulito, ma comunque fa schifo!

Il racconto prosegue con le differenti leggende sulla nascita della tradizione del corno napoletano.

E la tradizione è proprio l’elemento caratterizzante l’intervista a Salvatore di Matteo,quarantenne ,

originario del quartiere Stella, figlio di una famiglia di pizzaioli da quattro generazioni, dal 1800

quando la prima pizzeria di famiglia era quella di Porta Capuana. Nel periodo della seconda guerra

mondiale le pizzerie della famiglia Di Matteo erano tre: una a via Marina, una a Resina, entrambe

distrutte dai bombardamenti e quella tutt’ora esistente di Via Tribunali aperta il 20 giugno 1936,

per festeggiare la nascita del primogenito del nonno fondatore. Salvatore inizia da piccolo, a undici

anni, a conoscere il mestiere, a fare la “gavetta”. Rimane nel settore per quattro/cinque anni e poi

decide di andare via, di tentare la fortuna facendo altre esperienze, ma sentendo “che gli mancava

qualcosa, un desiderio”, per usare le sue parole, torna a lavorare qui e apporta il suo bagaglio

d’innovazione, dovuto alla giovane età e all’avvento preponderante dei media. Partecipa a format

televisivi sulle pizzerie, a concorsi locali, nazionali e internazionali che vince grazie alla sua

passione e alla sua creatività. Ma le novità che introduce non alterano la struttura del locale,con le

pareti originarie di 75 anni fa, la cucina ad angolo,caratteristica ormai scomparsa nelle pizzerie

moderne, la sua “magia”

ma ti faccio un esempio mio padre mi dice ancora oggi “tu non cambiare mai niente”, cioè nel senso “ cambia tutto quello che vuoi”,

cioè il locale, vuoi fare, fai quello che vuoi, per la magia che ci ha quel posto che sta là da 75 anni, cioè messo così, che lavorate così,

cioè tu non devi non devi cambiare mai una virgola..

La famiglia Di Matteo partecipava tutta al lavoro della pizzeria, anche le donne. Salvatore ci

racconta di sua mamma che ha lavorato al banco(questo il ruolo previsto per le figure femminili)

fino al giorno prima che lui nascesse

S. Quindi non ricordi sul banco che c’era una sig.ra bionda?

V. No, non la ricordo

S. non ti ricordi? va bbè come vi raccontavo prima mia madre fino proprio all’ultimo giorno…

G. Ha lavorato qua.

S. Si, venerdì è scesa e io so nato il sabato e quindi è sempre stata qua dentro..cè da quando se fidanzata con mio padre..

D. Che cosa è che ricordi in particolar modo, dei tempi tuoi, di quando eri piccolo, qua, nel posto?

S. Qua del posto, ma un po’ tutte le cose, diciamo così che mi fa piacere ricordare, perché poi ricordo delle persone che purtroppo mo

non ci stanno più, non solo mia mamma, per esempio mia zia che era diciamo..perchè a mio padre è sempre piaciuto avere la

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Ivi, p.17

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donna sul, sul banco della vendita no? Perché praticamente in questa pizzeria c’è stata mia nonna, poi mia zia, poi mia mamma,

l’altra mia zia..

G. insomma la tradizione femminile nel banco?

S. Nel banco si, c’è sempre stata sta cosa, pure perché mio nonno tutte le pizzerie che ha avuto nel corso degli anni avevano questa

cosa della figura femminile sul banco.

e ci racconta dell’antica tradizione ancora viva del “cibo di strada”27

, della pizza “a libretto”,

mangiata per la via anche da Clinton quando venne nella pizzeria, una vera assimilazione di cultura

culinaria napoletana S.Perché è ovvio no? Però inizialmente si, e poi è rimasta ancora perché sulle guide c’è scritto da per tutto, quindi qua arrivano

persone un po’ da tutte le parti del mondo per capire questa cosa e io vedo che loro fotografano sempre quel posto, perché, perché

quello è importante, ciè e là mi ritrovo le parole che mi diceva mio padre del fatto “non muovere niente”, perché è come se fosse

no una magia, ciè il massimo dell’espressione che un popolo attraverso la pizza secondo me dà, cioè il fatto che tu la mangi per

strada no? Quindi…

G. E’ un'altra cosa…

S. La pizza normalmente si immagina che uno sta assettato quindi..

D. …Però mangiata in mezzo alla strada ha tutto un altro effetto?

S. Si ha tutto un altro sapore, effetto, il sapore è proprio si, è quello capito secondo me la cosa più importante che ha fotografato

Clinton, non tanto per il personaggio che era il presidente degli Stati Uniti insomma, l’uomo più potente del mondo che veniva, là

quello è un fatto voglio dire che poi po diventa commerciale, è secondario perché po inizia e finisce..

Contrariamente a quel che accade per l’artigianato, Salvatore non lamenta una rivalità con gli altri

pizzaioli della zona, ci dice di aver un buon rapporto con tutti i commercianti,e in particolare con

Gino Sorbillo, titolare dell’altra famosa e storica pizzeria di via Tribunali.

Questa gelosia si ripropone invece nella storia degli artigiani Scuotto. I fratelli Scuotto s’inseriscono

nel quartiere sedici anni fa, a seguito di un attento studio di mercato della zona, e con la voglia di

inventarsi qualcosa pur di vivere in questa città. Raffaele, il protagonista della nostra intervista, ci

racconta che al loro arrivo hanno subito furti, controlli ossessivi e anche attentati. Attribuisce questi

comportamenti alla stravaganza delle loro produzioni presepiali, fuori dai canoni del ‘700

napoletano, che gli anno consentito di vincere numerosi premi e di imporsi sulla scena nazionale e

internazionale in poco tempo, alla gelosia degli altri commercianti e all’incapacità di umiltà, di

riconoscere i valori, i talenti.

La famiglia di Raffaele è impegnata tutta e a più livelli nell’attività28

..I miei fratelli sono scultori, poi ci sono le mie sorelle più piccole che si occupano dei costumi. La moglie di Salvatore è pittrice, poi

insomma mancava una pittrice e uno se l’è sposata, quindi abbiamo compensato il vuoto.. Io sono la parte amministrativa, guardo più

l’aspetto commerciale, diciamo così, l’aspetto amministrativo, di propaganda, per cui pensavo che mio fratello avesse le doti per fare

cose che potevano anche essere vincolate ad un mercato fertile. Ho studiato un po’, il tempo veramente meschino per capire che c’era

fertilità, poi mio fratello, l’altro, faceva già gli studi d’arte e si è inserito a motore, subito, Emanuele, che avete forse già visto.

Emanuele e Salvatore sono loro il motore sono loro, io sono solo quello che cerca di essere lucido a capire quanto vale una cose, a

dire ad una persona quanto vale quella cosa, fargliela capire, tutto il mio lavoro..

Raffaele lamenta il disinteresse del quartiere e delle istituzioni nell’incentivare il turismo, nel

provvedere alla sicurezza, la voglia di mantenere un clima di profilo e non accogliere le novità che

potrebbero portare benefici a tutti, il degrado dei monumenti come “il palazzo angioino del 1370

attorniato dai bidoni della spazzatura”.C’è un senso di ribellione e parallelamente d’impotenza

nelle sue parole, una voglia di agire che è schiacciata da una mentalità di conservazione.

R = Si, però vogliono stare in questo clima, diciamo, di profilo…perché noi quando abbiamo alzato un po’ il tiro e avemmo

l’occasione che qua venne una società di comunicazione molto brava, prese la struttura di San Lorenzo e facemmo due iniziative, tre

iniziative, cominciammo ad avere flussi di centinaia, cioè proprio di migliaia di persone quasi settimanali, riempivamo gli alberghi.

Noi facemmo due operazioni, con loro, ma loro per loro fecero altre operazioni estremamente intriganti, comunque ad un certo punto

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Ivi, p.19 28

Ivi, p.21-22

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San Lorenzo divenne un centro museale che aveva i suoi…perché ha una struttura meravigliosa. Guarda mi credi, ci hanno così

sfiancato, ma così sfiancato che abbiamo abbandonato tutto e la società ci ha rimesso pure, ma neanche ci vuole passare da queste

parti, cioè il paradosso è che la gente appena vede movimento…

Torna ancora in quest’intervista l’elemento di padronanza della conoscenza dello spazio delle

pietre, delle chiese, dei monumenti..così come nel racconto di Attilio, settantenne,pensionato,

sagrestano per volontariato nella chiesa di San Lorenzo Maggiore, figlio di una famiglia di dodici

figli, cinque maschi e sette femmine, di cui una data in affido, probabilmente per ragioni

economiche, a una nonna, con la quale ha pochi rapporti29

. Attilio ci parla della bellezza di questa

zona nel passato,prima dell’arrivo della gente dei quartieri brutti che ha portato la droga, le

delinquenza.. ci racconta dei giochi di strada sul sagrato della chiesa di San Paolo, dei bagni nella

fontana delle Paperelle a Via Foria, ci testimonia, nonostante tutto, l’orgoglio di vivere qui

A.=..perché noi qua ci troviamo nel cuore di Napoli, nel polmone..non è Spaccanapoli, noi stiamo a Via Tribunali e a Via Tribunali

sono le 3 strade:inferiore, centrale e superiore, e io a dove voglio andare là vado a piedi

Attilio vive dalla nascita nel quartiere, inizia a lavorare sin da piccolo prima portando il carbone per

le case, poi come pasticciere, e poi come portuale, intraprendendo la stessa strada lavorativa del

padre. La madre è casalinga. Si sposa a ventiquattro anni con una donna più giovane di dieci, che

conosce nel suo vicolo. Mette al mondo tre figli, oramai già grandi: un maschio che dopo un

tentativo poco fortunato di inserirsi lavorativamente nel territorio, si trasferisce a Tenerife dove apre

una pizzeria e ristorante; e due femmine che si arrangiano con lavori più o meno precari.

Attilio ci racconta di un mondo passato fatto di cose semplici,di cibi semplici

A.=..ma poi eravamo bambini sani, eravamo poveri però non eravamo delinquenti diciamo, ci accontentavamo dei fagioli, dell’acqua

dei fagioli col pane il giorno e di sera pasta e fagioli..

di rispetto dell’autorità paterna, di un quartiere pulito e controllato

A.= Si, si stava tranquilli, nuje rummevemo cu le porte aperte, nun tenevemo niente , però rummevemo fore e porte, si stava quiete

perché in famiglia eravamo assaje, e case erano piccoline, io dormivo int’a nu lietto cu sei sore re meje, una capa e n’ata a pere,

faceve cape e pere, cape e pere….

della serenità di un tempo bello, un tempo mitico,della felicità che veniva dal desiderio..

A.=…tante di quelle cose adesso..la vita.. si desiderava qualche cosa..no qualche cosa, parecchie cose..

Dov’è ora quest’attesa?dov’è questo tempo?quel che abbiamo ritrovato negli scrigni della memoria

di molti dei nostri narratori sono immagini di un tempo fatto di miseria e di povertà, eppure felice.

Quanti tra questi ricordi sono legati all’immaginario della bellezza della giovinezza e quanto sono

reali?Potremmo fare analisi, rileggere statistiche sul benessere dell’epoca, scavare documenti tra gli

archivi..ma non so se riusciremmo ad avere risposte più attendibili..ne avremmo sicuramente di

scritte..ma per questo più vere?Non lo so, ma intanto mi fido, decido di fidarmi di quel che ho

“sentito”, decido di ascoltare quelle pause, quei silenzi, di guardare negli occhi quelle persone e di

immaginare quel passato autentico fatto di sentimenti e non di numeri, che vive attraverso quelle

voci.

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Ivi, p.15.

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Bibliografia:

Benjamin W., Immagini di città,Einaudi, Torino, 2007

Bloch M., Apologia della storia, Einaudi, Torino 2009

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Gribaudi G. , Donne , Uomini, Famiglie.Napoli nel Novecento, L’ancora s.r.l., Napoli,1999

Lepetit B.,Olmo C., La città e le sue storie, Einaudi, Torino, 1995

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Shakespeare W., Come vi piace, traduzione di Antonio Calenda e Antonio Nediani, Newton

Compton, 1990

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