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1948-2
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L’ ANRP VERSO IL FUTURO: DA ASSOCIAZIONE A FONDAZIONE
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mensile socio-culturalen.3-4
Marzo - Aprile 2008
della anrp
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3editoriale
Dare alle stampe un giornale come“rassegna” non è cosa facile.
Questavolta più che mai. Infatti, in questidue mesi (marzo aprile)
si sono rin-corsi svariati ed importanti eventi,sia a livello
nazionale che interna-zionale, nonché avvenimenti asso-ciativi o
legati agli ideali dell’ANRP
che meriterebbero di essere tutti sottolineati: in Italia,per
citarne il più rilevante, le elezioni politiche del 13-14 aprile
2008, che hanno riportato risultati a sorpre-sa; all’estero, le
manifestazioni contro la violazionedei diritti umani da parte
cinese nel Tibet, che stannoaccompagnando ovunque il percorso della
Fiaccolaolimpica. Per questo numero di “rassegna” ci
vediamopurtroppo costretti, per ovvie ragioni di economia,
arinunciare alla solita formula ad ampio spettro, perprivilegiare
la cronaca delle cerimonie legate allafesta del 25 aprile e alle
manifestazioni promosse peril 60° anniversario della costituzione
dell’ANRP(1948-2008), poste sotto l’Alto Patronato delPresidente
della Repubblica, rinviando ai prossiminumeri sia le consuete
rubriche, sia la trattazione deglialtri argomenti sopra
accennati.Tuttavia non possiamo, almeno in questa pagina,
nonaccennare agli interminabili tempi che si stannoincontrando per
le procedure relative alla consegnadella Medaglia d’Onore ai
deportati ed internati neilager nazisti (la legge istitutiva è del
dicembre 2006!).“Le leggi son, ma chi pon mano ad elle”. Le parole
diDante, tratte dalla “Divina Commedia”, cadono ben aproposito
quando si intenda meditare sul “vizio” –tipicamente, anche se non
esclusivamente italiano –consistente nello studiare e formulare
migliaia di dise-
gni e proposte di legge che spesso non giungono allaapprovazione
da parte del Parlamento, perché sciolto,in attesa di nuove
elezioni; o, quand’anche riescano asuperare tale scoglio, dopo
essere stati firmati dalCapo dello Stato e pubblicati sulla
Gazzetta Ufficiale,richiedono ancora lungaggini burocratiche,
affinchédivengano realmente operanti. È questo il caso deglianziani
reduci dai lager nazisti e loro familiari, piùvolte delusi nelle
loro legittime aspettative, che nonpossono attendere ancora a
lungo.Anche i prigionieri di guerra italiani negli StatiUniti
durante il secondo conflitto mondiale, o i loroeredi, dovranno
attendere il 9 maggio, per vedere,davanti al giudice istruttore del
Tribunale civile diRoma, la prima udienza della causa contro lo
Statoitaliano al quale chiedono di essere rimborsati deisoldi che
il Governo americano versò all’Italia comeretribuzione per il loro
lavoro prestato durante laprigionia. Si tratta di una questione
complessa, chetiene banco da anni, oggetto anche essa di
interroga-zioni parlamentari: l’ultima il 28 febbraio da partedel
sen. Michelino Davico che ha chiesto alGoverno “un atto ad hoc” per
far fronte alle richie-ste degli ex prigionieri.È appena il caso di
sottolineare che le due questioninon possono e non debbono essere
ancora a lungodisattese. Di ciò è perfettamente conscia l’ANRP,
che– per le sue stesse finalità istituzionali – sente il dove-re,
del resto più volte già espresso anche tramite lepagine di
“rassegna”, di sollecitare al Parlamento e alGoverno l’adempimento
degli atti necessari affinchéle sospirate aspettative,
prevalentemente “morali”, deireduci e dei loro familiari possano
avere attuazione efinalmente giustizia.
IL NOSTRO IMPEGNOdi Enzo Orlanducci
SOSTIENI LA NOSTRA AZIONE ADERENDO E FACENDO ADERIRE
ALL’ANRPversando il contributo annuale di € 25.00
sul c/c postale 51610004 intestato: ANRP Roma
“ C’ è chi vorrebbe dimenticare,c’ è chi vorrebbe
falsificare.
Noi cerchiamo di difenderela verità e la memoria storica”
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425 aprile a cura di Giovanni Mazzà
Le elezioni politiche per la sedicesi-ma legislatura sono già
archiviate:perse dal centro sinistra veltroniano,di conseguenza
vengono vinte (anzistravinte) dal centrodestra di Berlu-sconi.
Fatto noto a tutti, ma che diecigiorni dopo farà sentire i suoi
effettisulle celebrazioni per il 63° anniver-sario della
Liberazione.Celebrazioni che registrano – e questova ricordato e
sottolineato – le massic-ce assenze degli esponenti
politicivincitori alle urne.Assente il sindaco diMilano, Letizia
Mo-ratti, figlia di padrepartigiano, assenteIgnazio La Russa,che
preferisce porta-re un fiore sullatomba del padre, inSicilia;
assente Ro-berto Calderoli, peril quale si può fe-steggiare a casa;
as-sente, e non soltantoper ragioni di salute,Umberto Bossi.
Èassente GianfrancoFini, che pure negliultimi anni si è pre-murato
di prendere le distanze dal na-zifascismo, “male assoluto”.È
stranamente assente il presidentedella Camera Fausto Bertinotti:
pren-de un periodo di riposo. Sarà peròpresente a Torino il primo
maggio.Assente, soprattutto, come sempre,Silvio Berlusconi. Però
questa voltanon se ne va in Sardegna, ma lavora aPalazzo Grazioli
alla difficile compo-sizione del suo quarto Governo: “La-voro –
dichiara – considerandomi indebito con gli italiani che hanno
de-ciso di liberarci dalle dittature che in-combevano sul nostro
Paese”. Il gior-no dopo, però, diramerà un comuni-cato di molto
interesse.È però presente il Capo dello Stato,Giorgio Napolitano,
che vive duegiornate molto intense – insieme con
il Ministro della Difesa, Arturo Parisi– pronunciando parole
ferme e solen-ni, inequivocabili in questi periodi direvisionismi e
negazionismi, per riba-dire la necessità di mantenere ferma
lamemoria del 25 aprile, consegnandoai giovani il “testimone”
trasmessodai padri e chiamandoli a contrastare inuovi
“autoritarismi e integralismi”che rappresentano la negazione
deiprincipi e dei valori che ispirarono lalotta per la
Liberazione”.
Giovedì 24 aprile, Napolitano riceveal Quirinale le Associazioni
combat-tentistiche e partigiane – l’ANRP erarappresentata dal
presidente UmbertoCappuzzo, dal presidente vicario Mi-chele
Montagano e dal segretario ge-nerale Enzo Orlanducci – guidate
dalloro presidente Gerardo Agostini ilquale, nel suo significativo
interven-to, esprime la preoccupazione per il“disinteresse” delle
istituzioni versola festa della Liberazione: “Vorrem-mo – afferma
tra l’altro – che le isti-tuzioni dessero un segnale più forteper
mantenere alta l’attenzione attor-no a questa data affinché la
memoriadegli italiani sia sempre viva”. Il se-natore Agostini
ricorda anche PortaSan Paolo,una data simbolo, che rap-presenta
l’inizio della Resistenza con
la ribellione all’invasione nazifasci-sta. Poi, fa un rapido
excursus stori-co sul movimento partigiano, ricordai morti di
Cefalonia e delle altregrandi stragi nazifasciste e la resi-stenza,
senza armi, dei deportati e in-ternati nei lager nazisti.Sottolinea
il sostegno dato al movi-mento partigiano dalla popolazione.Tocca
quindi il tema fondamentale –purtroppo trascurato e sottovalutato
–del collegamento con la Costituzio-
ne, che è nata dallaResistenza, i cui va-lori hanno ispirato
ipadri costituenti.Introduce il ministrodella Difesa, ArturoParisi.
Custodire lamemoria delle pro-ve affrontate dallanostra
Nazione.Signor Presidentedella Repubblica,a Lei, che è il
rap-presentante dellaunità nazionale de-sidero esprimere
lariconoscenza delGoverno e delleForze Armate per la
Sua attenzione, costante e premurosa,nei riguardi di quanti
hanno dedicatola propria vita alla Patria.Ai Presidenti di tutte le
Associazionicombattentistiche e d’Arma e al Se-natore Agostini e al
Generale Cala-mani, che rappresentano qua la nobi-le famiglia
dell’associazionismo mili-tare, vada il saluto più affettuoso
perl’impegno da essi profuso nel custodi-re le memorie, le
tradizioni e i valoriche fanno grande la vita militare.In
particolare, voglio rivolgere e rin-novare le congratulazioni al
GeneraleCalamani per l’avvenuto riconosci-mento della personalità
giuridica delConsiglio Nazionale Permanente del-le Associazioni
d’Arma da lui presie-duto, un riconoscimento atteso a lun-go e
perseguito con determinazione.
I GIOVANI CONTRASTINO I NUOVIAUTORITARISMI E INTEGRALISMI
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525 aprile
L’incontro di oggi ci chiama, anco-ra una volta, a riflettere
sul signifi-cato e sul valore simbolico delleAssociazioni.Le
Associazioni qua rappresentaterappresentano, nel loro
insieme,l’espressione della tradizione e le le-gittime custodi del
patrimonio di me-morie delle prove affrontate dalla no-stra
Nazione. Muovendo dalla condi-visione di esperienze che
corrispon-dono a passaggi capaci come pochialtri di segnare e di
orientare la vitadi ognuno dei loro aderenti, le Asso-ciazioni
costituiscono allo stessotempo un luogo e un mezzo per
l’ap-profondimento dei valori comuni, peralimentare la solidarietà,
e per raf-forzare il senso diappartenenza allacomunità, alle
isti-tuzioni, alla Repub-blica.Gli stessi valori, lastessa
solidarietà, esenso di apparte-nenza che sostenne-ro e guidarono
imiei primi lontanipassi di bambino,orfano di guerra.Sì Signor
Presiden-te, il circuito del-l’associazionismomilitare è stato
an-che per me comeper tanti altri unarete di protezione. Conosco lo
spiri-to, i valori, la dedizione dei tanti chein esse si impegnano
per tenere vivi ilegami personali, culturali e socialiche le
qualificano.Sono legami e valori che in questianni di servizio alla
Repubblica co-me Ministro della Difesa ho ritrovatointatti.E questo
è accaduto e accade grazieappunto all’impegno di quanti
nelleassociazioni si spendono quotidiana-mente, di quanti sono qua
rappresen-tati al massimo livello. Nulla è infattiscontato. Come
tutte le amicizie an-che i legami custoditi dalle associa-zioni
riescono infatti a durare neltempo solo se sanno rinnovarsi, solose
sanno arricchirsi di nuovi conte-nuti e significati. Giorno per
giorno.
E a questo proposito è impossibilenon guardare alla sfida
rappresenta-ta, dall’avanzare delle generazionidelle Forze Armate
professionali cheè destinato ad imprimere una profon-da
trasformazione anche nel mondodell’associazionismo militare.È una
sfida alla quale non possiamosottrarci che ci chiama a porre
alcentro della vita associativa la “cul-tura della Difesa” per
chiederci checosa possiamo fare per radicarla nelPaese. Solo
ricordando che la Difesae la Sicurezza sono dimensioni es-senziali
dello Stato, condizioni senzale quali nessuna vita associata è
pen-sabile, riusciremo ad evitare il ri-schio di pensare
l’esperienza militare
solo come rievocazione del passato.Gli anni
dell’autoreferenzialità, avolte obbligata, sono finiti da tempo.Gli
italiani ci guardano. E alla loroattenzione dobbiamo dare
risposte,all’altezza delle nostre tradizioni enello spirito di
dedizione e servizioche contraddistingue le Forze Arma-te, per
dimostrare che i valori cheabbiamo ricevuto dal passato man-tengono
intatta la loro attualità nelpresente.È per questo che
l’associazionismomilitare continua a ricoprire un ruo-lo
fondamentale nel consolidare il le-game fra cittadini e Forze
Armate.Un ruolo che svolge attraverso i ra-duni, sempre seguiti con
entusiasmodai militari in congedo e dalla popo-lazione in ogni
città d’Italia.
Un ruolo che svolge attraverso lemolteplici iniziative delle
associazio-ni nel campo sociale ed in quello delvolontariato
civile.Un ruolo che potrebbe trovare forzaulteriore anche
attraverso la valoriz-zazione delle memorie conservatedal grande
patrimonio dei sacrari,dei cimiteri di guerra e dei musei
mi-litari, purtroppo non adeguatamenteconosciuto, un patrimonio che
po-trebbe divenire un fulcro di iniziativenonché un nuovo,
suggestivo motivodi interesse culturale, qualora fossemesso “in
sistema” con l’iniziativadelle Associazioni e valorizzato me-diante
il contributo di tutti.Signor Presidente della Repubblica,
questa udienza an-nuale dei rappre-sentanti delle Asso-ciazioni
combatten-tistiche e d’armaprecede la solennecelebrazione
dellastorica data del 25aprile del 1945,quando la
vittoriosainsurrezione dellecittà dell’Italia set-tentrionale portò
aconclusione la Resi-stenza e la guerra
diLiberazione.Nell’occasione, sen-to perciò la necessi-tà di
rinnovare il
pensiero ai Caduti, ai feriti, ai muti-lati, ai martiri che, con
il loro sacrifi-cio, hanno segnato una pagina unicanella storia pur
millenaria del nostroPaese.Le Forze Armate ricordano il primomoto
di ribellione di tanti militariche, pur dopo lo scioglimento
delleformazioni regolari, seppero nuova-mente interpretare con
coerenza elungimiranza i sentimenti di fedeltàalla Patria; le
formazioni partigiane,fondate, nella maggior parte dei ca-si, da ex
militari; i reparti che sfuggi-ti agli eventi seguenti
all’armistiziofurono il nucleo delle forze dellanuova Italia.In
questa occasione, sento il doveredi ricordare Arrigo Boldrini,
storicoPresidente Nazionale dell’ANPI, Me-
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daglia d’Oro al Valor Militare, scom-parso a gennaio nella sua
Ravenna,la città che aveva contribuito a libe-rare nel 1944.A
questa figura di partigiano, di mili-tare, di politico,
protagonista fra i piùillustri della stagione del riscatto, leForze
armate della Repubblica rinno-vano il loro omaggio.Nel rievocare la
sua memoria oggi,nel 63° anniversario della Liberazio-ne, le Forze
Armate salutano i rap-presentanti dell’associazionismo erinnovano
il loro proponimento diservizio alla Patria, pronte a onorar-lo con
impegni all’altezza dei più lu-minosi esempi del passato.Signor
Presidente,è con questo spirito che saluto i rap-presentanti delle
Associazioni com-battentistiche e d’arma, custodi dellememorie e
delle tradizioni militari.A loro rinnovo il mio personale salu-to e
il ringraziamento per la collabo-razione di questi anni di
governo.Non la dimenticherò. A loro resteròvicino anche nei miei
futuri ruoli po-litici, in nome di una solidarietà fon-data
sull’amor di Patria e sulla fedel-tà alla Repubblica.Interviene
quindi il Capo dello Stato,Giorgio Napolitano, con un appassio-nato
e intransigente discorso sui valo-ri della Resistenza.Mantenere
costantemente viva lamemoria del 25 aprile.Signor Ministro della
Difesa,Autorità civili e militari, Presidenti erappresentanti della
Confederazionefra le Associazioni combattentistichee partigiane e
delle Associazionid’Arma, anche quest’anno ho volutoche l’udienza a
voi dedicata si svol-gesse al Palazzo del Quirinale, informa
unitaria ed in concomitanzacon le celebrazioni per la ricorrenzadel
25 aprile, per sottolineare il si-gnificato solenne di questa data
e diquesto incontro. Come ho sostenutoanche lo scorso anno a
Cefalonia,credo sia importante che gli Italianimantengano
costantemente viva lamemoria e consapevole la coscienzadelle
diverse tappe e componenti delprocesso di maturazione e di lottache
ha condotto il nostro Paese allaLiberazione.
La Liberazione, infatti, non fu soltan-to il coronamento di una
luminosa ri-nascita, lungamente sognata durantetutto l’oscuro
periodo del nazi-fasci-smo e della guerra, ma anche e
forsesoprattutto una promessa: la promes-sa di un’Italia nuova, di
una vera Co-stituzione dei cittadini, di una demo-crazia reale; una
promessa di svilup-po economico e sociale per tutto ilPaese.E in
quest’anno, in cui ricorre il 60°anniversario dell’entrata in
vigoredella Carta costituzionale, siamospronati ad un impegno
maggiore permantenere quella promessa, per tene-re alti i principi
ed i valori che hannoispirato la stesura del documentofondante
della nostra vita democrati-ca. Quei principi vanno vissuti
quoti-dianamente; i valori – anche ed innan-zitutto morali – che si
esprimono neidiritti e nei doveri sanciti nella Costi-tuzione vanno
apprezzati e coltivati.Spinti dalla propria drammaticaesperienza di
vita, dalla soppressionedelle libertà, dalle stragi perpetratedal
nazismo, dall’orrore delle depor-tazioni e dei campi di sterminio,
i Co-stituenti conferirono giusto ed assolu-to rilievo ad una serie
di diritti fonda-mentali, sacri, che furono per questodefiniti
inviolabili. E su questa base,nel redigere l’articolo 11 della
Carta,essi vollero giustamente ripudiare inmaniera definitiva la
guerra come of-fesa alla libertà dei popoli e dellepersone e come
mezzo di risoluzionedelle controversie internazionali.
Conequilibrio e lungimiranza, essi com-presero però come il rifiuto
dellaguerra andasse accompagnato da uncorrispondente impegno,
attivo e for-te, dell’Italia nell’ambito delle Istitu-zioni che
perseguono gli obiettivi dipace e di giustizia della
ComunitàInternazionale, accettando per que-sto interesse superiore
e condiviso, lenecessarie limitazioni alla
sovranitànazionale.Purtroppo, una soddisfacente gover-nance del
sistema internazionale, acui da allora l’Italia contribuisce
conentusiasmo e generosità, non è anco-ra compiuta, e deve anzi
confrontarsicon nuove complesse realtà e nuovesfide. La sicurezza
degli esseri umani
e delle loro opere è costantemente arischio, i diritti
fondamentali di uomi-ni e donne sono ripetutamente e gra-vemente
violati, lo sviluppo economi-co e sociale è in molteplici
situazioniritardato e frenato.Il nostro Paese è attualmente tra
imaggiori protagonisti delle missioniinternazionali, in linea con
il ruoloprimario che rivestiamo nell’Organiz-zazione delle Nazioni
Unite, nel-l’Unione Europea e nella NATO.Al momento, oltre 8500
militari italia-ni sono impiegati quotidianamenteper il
ristabilimento della pace e dellasicurezza, per la promozione
dellosviluppo, nei Balcani, in Libano, inAfghanistan ed in numerose
altre mis-sioni minori, non meno importanti.In tante aree e regioni
vicine o remotedel mondo, le nostre Forze Armate –unitamente a
quelle di altri Paesi edalle strutture della cooperazione civi-le –
onorano la promessa fatta dal-l’Italia quel 25 aprile 1945,
ormailontano nel tempo, ma sempre pre-sente nei nostri cuori e
nelle nostrementi, continuando così il processodemocratico della
Liberazione.Ed il modo in cui i militari italianiassolvono a questo
loro compito difondamentale importanza per la cre-scita della
società nazionale e globa-le del XXI secolo guadagna
all’Italiaripetuti riconoscimenti della Comuni-tà Internazionale e
concrete espres-sioni di riconoscenza da parte dellepopolazioni
interessate, della gentecomune, che, grazie al nostro impe-gno,
vede riaccendersi la speranza diuna vita normale, percepisce la
pos-sibilità di un futuro dignitoso.Negli ultimi anni, si è venuta
affer-mando e diffondendo una cultura del-la sicurezza che
comprende la legitti-mità e l’opportunità di interventi mili-tari a
sostegno della pace condotti insinergia con le attività di
assistenzaalle popolazioni, finalizzate alla rico-struzione
istituzionale, sociale ed eco-nomica delle aree investite dalle
crisi.Credo che questa cultura della sicu-rezza, fortemente
sostenuta e diffusasoprattutto dall’Unione Europea,debba ispirare
tutte le Istituzioni In-ternazionali. Sono convinto che
essacostituisce fattore basilare per la rea-
625 aprile
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725 aprile
lizzazione di un sistema condiviso digovernance democratica
dell’ordinee della sicurezza internazionale, indi-spensabile per il
controllo e la rego-lazione dei grandi fenomeni di scalaplanetaria
che incidono sempre piùdirettamente sul futuro del nostroPaese e
sulle vite di ciascuno di noi.In questo quadro, che, con
stupefa-cente evidenza, dimostra tutta la mo-dernità ed il realismo
dell’art. 11 del-la Costituzione, il ruolo delle ForzeArmate assume
finalità e caratteri deltutto innovativi e di prospettiva benpiù
ampia di quella ristretta della tra-dizionale, storica difesa
nazionale.Le Forze Armate oggi costituisconocomponente essenziale
per il control-lo della conflittualità, il mantenimen-to della
sicurezza e il rispetto dellalegge dovunque ciò impegni la
comu-nità internazionale; esse sono stru-mento irrinunciabile di
qualunque ef-ficace strategia di pace.
Alle Forze Armate il Paese deve quin-di assicurare prospettive
di crescita esostegno, con il contributo anche del-le Associazioni
che voi qui rappre-sentate e che svolgono capillare azio-ne di
promozione, consolidamento ediffusione dei preziosi valori
dellatradizione militare.La storia sembra assegnare ad
ognigenerazione una missione.I nostri padri hanno realizzato il
so-gno dell’Italia unita – e mi compli-mento con il Consiglio
NazionalePermanente delle Associazioni d’Ar-ma per l’iniziativa di
celebrare inTrieste il 90° anniversario della Vit-toria – la nostra
generazione hasconfitto il nazi-fascismo e gettato lebasi
dell’Europa unita, fino al supe-ramento della lunga stagione
dellaGuerra Fredda con l’abbattimentodel muro di Berlino. I giovani
di oggisono chiamati a contrastare i nuovi
autoritarismi e integralismi nel mon-do, che rappresentano la
negazionedei principi e dei valori che ispiraro-no la lotta per la
Liberazione.A voi Presidenti e Rappresentantidelle Associazioni
Combattentistichee d’Arma non solo l’onore di testimo-niare il
passato, tramandando alle fu-ture generazioni il vostro retaggio
ditradizioni e memorie, ma anche ilcompito di essere solido anello
dicongiunzione fra la società civile edil mondo militare.Con tali
sentimenti, vi rinnovo il miopiù vivo compiacimento per
l’entu-siasmo con cui vi ponete a salvaguar-dia dei valori fondanti
della Cartacostituzionale, per il concreto soste-gno che assicurate
alle nostre ForzeArmate e per il vostro costante impe-gno a favore
del Paese tutto nelle atti-vità di protezione civile e di aiuto
allacollettività nazionale. �
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La giornata di venerdì 25 aprile ha il tradizionale tonodella
solennità, ma sempre retorica. La “festa dellaResistenza” viene
però ricordata e celebrata dai rappresen-tanti delle istituzioni,
come di consueto. Perché la partepolitica che ha vinto le elezioni
e che si appresta a inse-diarsi sulle poltrone del potere, dando
inizio alla sua sta-gione di governo è del tutto assente.Salvo un
comunicato del prossimo presidente delConsiglio Silvio Berlusconi,
che comunque fa registrareun salto di qualità e un passo importante
nella direzioneche da anni viene auspicata.Conferma l’assenza
fisica dalle celebrazioni, dedica lagiornata al gran lavoroper la
formazione delnuovo governo, mascrive parole inequivo-cabili e da
tutti apprez-zate, affermando che“il 25 aprile indica ilritorno
dell’ Italia allademocrazia e alla liber-tà”, e aggiungendo chela
caduta del regimefascista è stato accolto“con un sentimento
diliberazione di un interopopolo, costretto acombattere una
guerrache sperava conclusama che proseguì conl’occupazione del
proprio territorio”.Precisa ancora, Berlusconi, che “la guerra
civile e l’occupa-zione da parte dei tedeschi creò un segno di
sangue nellamemoria italiana”. Questa precisazione, sterilizza la
“com-prensione” delle ragioni dei “ragazzi di Salò”, auspicatodallo
stesso leader del centrodestra, perché questa compren-sione “non
può in qualche modo ledere l’orgoglio di chicombattè per la libertà
contro la tirannide”.Se si ritorna con la memoria agli anni
precedenti, que-ste nuove affermazioni di Berlusconi destano
sorpresa esensazione, perché è chiaro che esse rappresentano
unadecisa svolta nel suo pensiero. Non è il caso di ricercar-ne le
ragioni, anche perché non si hanno elementi peruna valutazione e
una spiegazione che si lascia agli sto-rici (se ne hanno voglia):
bisogna solo registrare, eprenderne atto.Berlusconi fa anche una
affermazione ancora più impegnati-va quando scrive che “non c’è
revisione storica che possacambiare la gratitudine che dobbiamo a
quei combattenti cheposero le basi per la libertà delle
generazioni”.Non interessa a noi indagare sui perché di questa
tardiva
resipiscenza del prossimo capo del Governo; se essa è sen-tita e
frutto di vera convinzione, oppure se essa debbaessere interpretata
come strumentale: le parole di un presi-dente del Consiglio vanno
lette e interpretate per quelloche esprimono. E l’ANRP interpreta
con una certa soddi-sfazione le parole di Berlusconi.Al quale,
alcuni giorni dopo, si aggiunge il neopresidentedella Camera dei
deputati Gianfranco Fini, eletto alla terzacarica dello Stato
nell’intervallo tra le due date-simbolodell’Italia repubblicana (25
aprile e primo maggio).Fini, nel suo discorso di insediamento –
mercoledì 30 apri-le – si richiama al 25 aprile e al “valore della
libertà”
riconquistata anche gra-zie alla Resistenza; e, conun richiamo
al primomaggio, sottolinea “ilmodo che le istituzionidevono avere
nella tuteladei lavoratori e dellefasce più deboli
dellapopolazione”. Siamo auna nuova svolta? Nonresta che attendere
e veri-ficare.La cronaca della giornatadel 25 aprile, pur ricca
diavvenimenti, deve peròregistrare un fatto adde-bitato a
Berlusconi come“provocatorio”: riceve
infatti Giuseppe Ciarrapico, neosenatore, noto esponentedella
destra e che si autodefinisce fascista-non pentito.Non perde
l’occasione il leader del centrosinistra, WalterVeltroni, per il
quale “il gesto di Silvio Berlusconi è unosfregio nei confronti dei
democratici, un insulto a una glo-riosa pagina di storia”. E ancora
più duro, afferma:“Questa è una grande festa della libertà, e il
Cavaliere havoluto celebrarla ricevendo coloro che stavano dalla
partedi chi la libertà la toglieva. È un segnale politico che
marcauna distanza molto profonda con lo stato d’animo
degliitaliani”.Si è però in clima ancora elettorale, con residui di
durapolemica. E Berlusconi non replica direttamente, ma conla nota
di cui si è detto.
La nostra gratitudine ai protagonisti del riscattonazionale.Il
Ministro della Difesa, Arturo Parisi, venerdì 25 aprile inoccasione
del 63° anniversario della Liberazione, accom-pagna all’Altare
della Patria il Presidente dellaRepubblica, Giorgio Napolitano, che
depone una corona
825 aprile
LA FESTA DELLA RESISTENZACELEBRATA SENZA RETORICA
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925 aprile
di alloro al Milite Ignoto. Successivamente, alla presenzadel
Capo dello Stato, si svolge la cerimonia di consegnadelle Medaglie
d’Oro al Merito Civile dedicate allaResistenza e alla
Liberazione.“Ai piedi dell’altare della Patria – esordisce Parisi –
anco-ra una volta ricordiamo la vittoriosa conclusione dellaguerra
di Liberazione e della Resistenza, a sessantatre annida quella
giornata simbolo del 25 aprile 1945”. E sottoli-nea: “Rinnoviamo la
nostra gratitudine ai protagonisti delriscatto nazionale: militari,
partigiani, cittadini comuni,uomini e donne di un’Italia che non si
arrese alla disfatta,un’Italia che volle recuperare per noi l’onore
e la dignitàche sembrava perduta”. Il Ministro ricorda “La muta
resi-stenza nei lager nazisti di migliaia di militari che
noncedettero alle minacce e alle lusinghe e rifiutarono
ognipossibile forma di collaborazione” e aggiunge che “laguerra di
Liberazione e la Resistenza sono destinate a rap-presentare come
pochi altri passaggi una pietra miliare”.Infatti, nei venti mesi di
lotta “si diffuse, come mai prima,un sentimento di appartenenza
alla cosa pubblica, fondatosulla solidarietà e sulla aspirazione ad
una partecipazionedemocratica; un sentimento che, mentre
rivendicava idiritti negati di libertà e uguaglianza, poneva nel
panoramadei doveri anche quello della diretta e consapevole
respon-sabilità politica di ogni cittadino. Tramontava
un’Italiaantica, fatta di Istituzioni elitarie, con diseguaglianze
diclasse, di genere, di censo”. E “il senso di responsabilitàverso
la cosa pubblica apriva la prospettiva dellaRepubblica”.“Allo
stesso tempo – prosegue Parisi – il cammino versouna regola
costituzionale condivisa offriva un approdo,una premessa e una
fonte permanente alla quale attingereper la riconciliazione
nazionale”.“In questo spirito oggi partecipiamo con orgoglio e
com-mozione al riconoscimento pubblico del valore e dell’eroi-smo
di chi, in quei giorni, seppe dire no, no al passato e sìal futuro
anche quando quel futuro veniva pagato con lapropria personale
vita. È questo il messaggio di amor diPatria, di solidarietà, di
senso del dovere, che questi eroidel passato ci affidano come guida
del nostro presente”.”Il rilassamento morale – avverte il Ministro
della Difesa– può divenire, nella società di oggi, una malattia
dellecoscienze. Un virus che ci fa ripiegare su noi stessi,
ridu-cendo talvolta la politica ad una lotta di parte nella
quale
è difficile riconoscere la preoccupazione per la conviven-za
comune. Nulla può essere dato per scontato. Tutto vacontinuamente
riconquistato, rinnovando i principi mora-li e dando ad essi radici
forti alimentate dal coraggio edalla virtù”.Il Ministro così
conclude il suo breve intervento: “Conquesti sentimenti le Forze
Armate rinnovano la fedeltà allelibere Istituzioni e la volontà di
operare in difesa dellaRepubblica, a favore della legalità e della
pace nelMondo”.
Niente false equiparazioni.Il nucleo delle celebrazioni si ha a
Genova, a PalazzoDucale, dove il Capo dello Stato dà una
interessante e defi-nitiva “lettura” della Resistenza. Lo fa nel
capoluogo ligu-re dove, alle 19,30 del 25 aprile 1945, a Villa
Migone inValbisagno, il generale tedesco Meinhold con i suoi
diciot-tomila uomini si arrese al partigiano Remo Scappini
delComitato di Liberazione Nazionale.Unico caso di resa dei
tedeschi a una città.Il discorso, di grandissimo spessore, va letto
e custoditonella sua interezza, perché rappresenta un punto
fermonella storiografia e respinge le tentazioni revisioniste
dimolti ambienti politici e non.“Rinnovo innanzitutto l’omaggio
appena reso alla memo-ria dei vostri 1863 caduti, il cui sacrificio
rispecchia l’am-piezza e l’eroismo delle schiere dei combattenti
per lalibertà nella città di Genova e nel suo entroterra.
Desideronello stesso tempo rivolgere un saluto e un apprezzamen-to
particolare all’Istituto ligure per la storia dellaResistenza e
dell’età contemporanea e al suo presidentesen. Raimondo Ricci: un
istituto che ha sempre costituitoun luogo di incontro e di unità,
impegnandosi ad appro-fondire e trasmettere ricostruzioni
obbiettive e non diparte dell’esperienza della Guerra di
Liberazione. Essoha continuato – con iniziative anche recenti cui
avrò mododi riferirmi – ad alimentare una coscienza storica
comu-ne, affidata non a stereotipi ma a conoscenze e valutazio-ni
inoppugnabili.E sono da ciò confortato nel guardare a questa
celebrazio-ne come non rituale e non ripetitiva. Sappiamo quel
chesignifica per l’Italia la data del 25 aprile: essa segna
laliberazione piena del paese dalla dittatura e dall’occupa-zione
straniera, la riconquista su tutto il territorio nazio-
-
nale di una condizione di libertà, unità e indipendenza.Ma
dobbiamo ogni volta sentirci impegnati a trasmetterenella sua
interezza, a ripercorrere nella sua complessità,l’esperienza
vissuta nel drammatico periodo in cui“l’Italia era tagliata in
due”: esperienza tradottasi in unastraordinaria prova di riscatto
civile e patriottico. Questofu la Resistenza, dai primi giorni
seguiti alla firma dell’ar-mistizio e al crollo dell’8 settembre
1943 fino ai gloriosimomenti conclusivi della liberazione delle
nostre città edella nostra terra. Ed essa non può perciò
apparteneresolo a una parte della nazione, ma deve porsi al centro
diuno sforzo volto a “ricomporre, in spirito di verità” –come dissi
nel mio primo messaggio al Parlamento – “lastoria della nostra
Repubblica”. Dobbiamo giungere sem-pre più decisamente a questa
condivisione, a questo comu-ne sentire storico. E credo che in tal
senso si siano com-piuti nel corso degli anni – da una celebrazione
all’altradel 25 aprile – importanti passi avanti, importanti
pro-gressi.Ho un anno fa celebrato il 25 aprile a Cefalonia, per
ren-dere commosso omaggio all’eroismo e al martirio dellemigliaia
di militari italiani, che in quell’isola greca tra-sformata in
roccaforte, scelsero di battersi in spirito difedeltà alla patria
italiana, caddero in combattimento,furono barbaramente trucidati
dopo la sconfitta e la resa– soldati, ufficiali, generale
Comandante – o portati allamorte in mare, o deportati in Germania.
E ho attribuitoun significato speciale al ricordo di quella
tragedia, suc-cessiva all’8 settembre 1943, che resta la più
terribileespressione della rabbia e della ferocia nazista
dinanzialla volontà di riscatto nazionale degli italiani costretti
auna innaturale e servile alleanza. Un significato speciale,dicevo,
nel senso dell’impegno a cogliere e porre in primopiano una
componente della Resistenza che fino a tempirecenti non è stata
abbastanza valorizzata. Parlo del con-tributo dei militari.Sappiamo
tutti quale apporto essenziale venne dalle for-mazioni partigiane,
nelle montagne e nelle città, e da mol-teplici forme di solidarietà
popolare, che si espresse tral’altro nell’appoggio spontaneo ai
giovani che si rifiutava-no di subire la chiamata alle armi con la
repubblica diSalò, agli ebrei che cercavano di sfuggire a un
destino dimorte, e anche a molti militari alleati fuggiti dai campi
diprigionia che spesso si univano alle unità dei combattentidella
libertà.Ma molto importante fu il concorso dei militari, chiamatia
repentine, durissime prove all’indomani dell’armistizio,degli
ufficiali e dei soldati che si unirono ai partigiani raf-forzandone
la capacità di combattimento e infine dellenuove forze armate che
si raccolsero nel Corpo Italiano diLiberazione. E grande
significato ebbe anche la resisten-za di centinaia di migliaia di
militari italiani internati inGermania nei campi di concentramento,
che respinsero, inschiacciante maggioranza, l’invito a tornare in
Italia ade-rendo al regime repubblichino.A quest’ultima esperienza
dedicò un bel libro di memoria sto-rica con il titolo “L’altra
resistenza”, un testimone e analista
d’eccezione, Alessandro Natta; e mi piace ricordare che
pre-sentai proprio io quel libro qui a Genova dieci anni orsono.Le
ragioni, le molle della ribellione e della lotta di tantinostri
militari vanno ricercate senza retorica, se non inuna coscienza
politica già pienamente maturata, piuttostonel senso dell’onore e
della dignità nazionale e personale,e in un impulso di solidarietà
umana e di corpo tra gliappartenenti a reparti militari sottoposti
a dure provecomuni.Più in generale, ci fu solo nel tempo una
saldatura tra igiovani e i giovanissimi che ingrossarono le fila
dellaResistenza e il patrimonio ideale e politico degli
uominidell’antifascismo.Fu decisiva, e abbracciò tutti, la
riscoperta, la riconquistadi un senso sicuro della patria. La
descrisse così una scrit-trice sensibile come Natalia Ginzburg:“Le
parole patria e Italia ci apparvero d’un tratto senzaaggettivi e
così trasformate che ci sembrò di averle uditee pensate per la
prima volta. Eravamo lì per difendere lapatria, le strade e le
piazze delle nostre città, i nostri carie la nostra infanzia, e
tutta la gente che passava”.In quella guerra patriottica, e nella
difesa dell’Italiaanche nelle sue strutture materiali e nelle sue
possibilitàdi futuro, si univano naturalmente partigiani e
militarifedeli ai loro doveri nazionali.Ho di recente preso visione
degli atti del Convegno inter-nazionale promosso lo scorso anno
dall’Istituto ligure perla storia della Resistenza e dell’età
contemporanea. Inquel Convegno si sono ricostruite le vicende del
salvatag-gio del porto di Genova e di altri scali mediterranei
adopera delle formazioni partigiane. Non c’è bisogno diricordare
come la sera del 25 aprile 1945, a conclusionedell’incontro
svoltosi sotto gli auspici del CardinaleArcivescovo e nella sua
ospitale abitazione, il generaleMeinhold avesse firmato la resa
tedesca nelle mani deirappresentanti del Comitato di Liberazione
Nazionale,presieduto da Remo Scappini. Fu quello un fatto
senzaeguali, che rimane un grande segno di distinzione e dionore
per la Resistenza genovese. “Per la prima voltanella storia di
questa guerra” – si lesse nell’appello delCLN per la Liguria – “un
corpo d’esercito si è arresodinanzi a un popolo”. Parole restate
sempre care, come cihanno infine detto anche le sue Memorie, a un
protagoni-sta dell’insurrezione di Genova, Paolo Emilio
Taviani,eminente personalità politica e di governo, che per
decen-ni continuò a testimoniare la pluralità delle
ispirazioniideali della Resistenza.Tuttavia, anche dopo la firma
della resa da parte del gene-rale Meinhold, permaneva il rischio
del piano di distruzio-ne dei porti di Genova, Trieste e Fiume, il
cosiddetto“piano Z” da tempo predisposto dai Comandi tedeschi.Poi,
anche l’ufficiale nazista più determinato a far saltareil porto di
Genova fu costretto ad arrendersi ai partigiani.Quel che mi preme
mettere in luce è l’impegno – documen-tato nello stesso Convegno
del vostro Istituto – dei rappre-sentanti della Marina militare
italiana presso l’organizza-zione partigiana, il più importante dei
quali, il capitano di
1025 aprile
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1125 aprile
fregata Kulczycki già comandante in seconda a bordodella
corazzata Cavour , aveva dato vita a un organismo,il Vai, che
riuniva tutte le forze patriottiche a caratteremilitare e
apolitico, cadendo poi, a Genova, nella manidelle SS e venendo
fucilato nel campo di Fossoli. Il nomedi questi nostri eroici
militari è segnato nell’Albo d’orodella Resistenza.Ricordarli,
rendere loro onore, è essenziale per rappresen-tare la Resistenza
nella sua interezza, nell’insieme dellesue componenti, nella
ricchezza delle adesioni e parteci-pazioni che ne garantirono il
successo.Questi sono fatti, non retorica, non mito. Vedete, c’è
statoin tempi recenti un gran parlare dell’esigenza di
“smitiz-zare” la Resistenza. Ora, è giusto – proprio per renderepiù
credibile la valorizzazione della Resistenza – nontacere i suoi
limiti, sia o no accettabile che la si presenticome realtà ed
esperienza “minoritaria” ; ma bisogna bendistinguere quel che è
cresciuto come “mito” sulla base diun’analisi oggettiva, al di là
della grande onda emotivadella liberazione, e quello che è stato
tutt’altro. E a que-sto proposito vorrei dire che in realtà c’è
stato solo unmito privo di fondamento storico reale e usato in
modofuorviante e nefasto : quello della cosiddetta
“Resistenzatradita”, che è servito ad avvalorare posizioni
ideologichee strategie pseudo-rivoluzionarie di rifiuto e rottura
del-l’ordine democratico-costituzionale scaturito proprio daivalori
e dall’impulso della Resistenza.All’inizio dello scorso decennio, è
apparso un saggio sto-rico di non comune impegno e profondità,
dovuto aClaudio Pavone, nel quale si sono messi in evidenza
idiversi volti della Resistenza, e in particolare, accanto aquello
di una guerra patriottica, quello di una “guerra
civile”. Tale profilo è stato a lungo negato, o consideratocon
ostilità e reticenza, da parte delle correnti antifasci-ste. Ma se
ne può dare – Pavone lo ha dimostrato –un’analisi ponderata, che
non significhi in alcun modo“confondere le due parti in lotta,
appiattirle sotto uncomune giudizio di condanna o di assoluzione”.
E questovale anche per i fenomeni di violenza che caratterizzaro-no
in tutto il suo corso la guerra anti-partigiana e da cuinon fu
indenne la Resistenza, specie alla vigilia e all’indo-mani della
Liberazione. Le ombre della Resistenza nonvanno occultate, ma guai
a indulgere a false equiparazio-ni e banali generalizzazioni; anche
se a nessun caduto, eai famigliari che ne hanno sofferto la
perdita, si può nega-re rispetto: un rispetto naturalmente
maturato, col tempo,sul piano umano. Insomma, è possibile e
necessario rac-contare la Resistenza, coltivarne la storia, senza
sottacerenulla, “smitizzare” quel che c’è da “smitizzare” matenendo
fermo un limite invalicabile rispetto a qualsiasiforma di
denigrazione o svalutazione di quel moto diriscossa e riscatto
nazionale cui dobbiamo la riconquistaanche per forza nostra
dell’indipendenza, dignità e liber-tà della Nazione italiana.E a
cui dobbiamo anche il contesto di rispetto della nostrasovranità
entro il quale fu elaborata la Costituzionerepubblicana. Si guardi
alla sorte che toccò ai due paesiche rimasero fino alla sconfitta
totale coinvolti nella guer-ra voluta da Hitler, nell’alleanza
guidata dalla Germanianazista. Il percorso di definizione di nuovi
assetti istituzio-nali e costituzionali in Germania fu pesantemente
condi-zionato dalla divisione del paese in due zone di occupazio-ne
e di influenza. Quel percorso fu affidato, nella zonaoccidentale,
dai governatori militari delle potenze occu-
-
1225 aprile
panti ai governi dei Länder, e la nuova “Legge fondamen-tale” fu
approvata da un ristretto e provvisorio ConsiglioParlamentare solo
nel maggio del 1949. In Giappone, larevisione costituzionale ebbe
per base un progetto ispira-to dal generale americano MacArthur,
del quale preseaddirittura il nome.In Italia, il progetto di nuova
Costituzione democraticavenne invece elaborato dall’Assemblea
Costituente, elet-ta a suffragio universale, fu discusso in piena
libertà eautonomia di pensiero e approvato a stragrande
maggio-ranza il 22 dicembre 1947. È difficile immaginare
qualesarebbe stato il percorso, se l’Italia non avesse trovato insé
la forza per affrancarsi dall’alleanza con la Germanianazista e per
prendere il suo posto, grazie al contributodelle sue nuove Forze
Armate e della Resistenza, comeco-belligerante nell’alleanza
antifascista accanto alleformazioni occidentali che combatterono
duramente perliberare il nostro paese.Le idealità e le aspirazioni
dei nostri combattenti per lalibertà poterono così tradursi in un
essenziale quadro diriferimento per l’elaborazione della Carta
costituzionalenell’Italia divenuta Repubblica per volontà di
popolo.Quelle aspirazioni appa-iono pienamente recepitenella
limpida sintesi dei“Principi fondamentali”della Costituzione
repub-blicana e nell’insiemedei suoi indirizzi e pre-cetti.
Ricordiamo i primidodici articoli dellaCarta. Diritti
inviolabilidell’uomo e doveri inde-rogabili di
solidarietà;uguaglianza davanti allalegge di tutti i
cittadini,senza distinzione disesso, di razza, di opinioni
politiche, di condizioni perso-nali e sociali; rimozione degli
ostacoli che impedisconoil pieno sviluppo della persona umana;
diritto al lavoro;unità e indivisibilità della Repubblica; ripudio
dellaguerra e impegno a promuovere e favorire le organizza-zioni
internazionali che mirano ad assicurare la pace ela giustizia fra
le nazioni – ebbene, non è precisamentequesta l’Italia libera, più
giusta, aperta al mondo, che icombattenti per la Resistenza
sognavano? Sì, possiamocon buoni motivi dire che il messaggio,
l’eredità spiri-tuale e morale della Resistenza, vive nella
Costituzione:in quella Costituzione in cui possono ben
riconoscersianche quanti vissero diversamente gli anni
1943-45,quanti ne hanno una diversa memoria per esperienzapersonale
o per giudizi acquisiti. La Carta costituziona-le – di cui stiamo
celebrando il sessantesimo anniversa-rio – costituisce infatti la
base del nostro vivere comunee della nostra rinnovata identità
nazionale. “Nessunadelle forze politiche oggi in campo” – desidero
ribadirequel che ho detto dinanzi al Parlamento – può rivendi-
carne in esclusiva l’eredità”. È un patrimonio cheappartiene a
tutti e vincola tutti.Naturalmente, la Costituzione poteva solo
offrire la tramadella nuova Italia sperata e invocata a mano a mano
cheprogrediva la guerra di Liberazione, e all’indomani dellasua
conclusione. Non ne nascevano già definiti nella loroconcretezza la
società e lo Stato corrispondenti al dettatocostituzionale. Dare
attuazione a quei principi ha richie-sto e richiede un impegno
civile, culturale e politico, chenon si dà una volta per tutte, che
va sempre rinnovato efatto rivivere, con l’apporto essenziale delle
nuove gene-razioni. Impegno ed apporto, che possono essere
sollecita-ti dal sempre più significativo collocarsi della
nostraCarta e del nostro patrimonio costituzionale nel grandequadro
del processo di costruzione dell’Europa unita.Contano nella nostra
Carta – a sessant’anni dalla suaentrata in vigore – non solo i
principi, i diritti e i doveri,ma le istituzioni. Queste sono
certamente perfettibili eriformabili rispetto al disegno che ne fu
definito nel 1946-47, ma esse costituiscono, nell’essenziale,
pilastri insosti-tuibili dello Stato di diritto e della democrazia
repubblica-na : il Parlamento, in cui si esprime la sovranità
popola-
re; le Regioni e gli entilocali; la magistraturacome ordine
autonomo eindipendente; gli istitutidi garanzia costituziona-le.
Alla vitalità di questeistituzioni è ugualmenteaffidato il retaggio
dellaResistenza, la trasmissio-ne della drammatica espe-rienza
vissuta dall’Italiafino alla piena liberazio-ne dal fascismo e
dall’op-pressione straniera.Penso a quel che disse,
sul ruolo delle istituzioni, un grande costruttoredell’Europa
unita Jean Monnet, rivolgendosi nel lontano1952 all’Assemblea della
appena nata Comunità del car-bone e dell’acciaio:“Gli avvenimenti
tragici che noi abbiamo vissuto” – Monnetsi riferiva,
evidentemente, alla seconda guerra mondiale dapochi anni conclusasi
– “ci hanno forse reso più saggi. Magli uomini passano, altri
verranno e prenderanno il nostroposto. Quel che potremo lasciar
loro non sarà la nostraesperienza personale che sparirà con noi ;
quel che possia-mo lasciar loro sono delle istituzioni. La vita
delle istituzio-ni è più lunga di quella degli uomini, e le
istituzioni possonocosì, se sono ben costruite, accumulare e
trasmettere la sag-gezza delle generazioni che si succedono”.In
questo spirito celebriamo oggi congiuntamente l’anni-versario del
25 aprile e quello della Costituzione e delleistituzioni
repubblicane, cui va il rispetto non formale maeffettivo e coerente
degli italiani di ogni parte politica pergarantire un degno
avvenire democratico al nostro paese.Viva la Resistenza, viva la
Costituzione, viva l’Italia”. �
-
1325 aprile
L’arrivo (anzi il ritorno) del governodi destra dopo le elezioni
del 13-14aprile non promette niente di buono.Ad essere ancor più
pessimisti c’è dadire che la situazione che si profila èpessima.
Non per la natura del gover-no, che ha anche i suoi buoni motivi,ma
per gli elementi che ingloba,distanti dalle lotte per la
liberazione el’antifascismo. Non si tratta di pregiu-dizio a tutti
i costi bensì di una condi-zione che diversi politici non
hannomancato di manifestare durante lacampagna elettorale. Si
profila, dun-que, stando ad alcune dichiarazioniprogrammatiche di
intenti distruttivi,cioè la revisione dei libri scolastici incui si
parla della Resistenza al fasci-smo allo scopo di rivalutare
episodisottaciuti o amputati della guerra civi-le fra italiani,
secondo quanto si èsvolto fra il 1943 e il ’45, ma anchequanto di
aspro fra le parti avverse siè avuto nei primi anni del
dopoguerra.Stando così le cose si va incontro a unfuturo che
accrescerà ulteriormente lecontraddizioni di quel periodo stori-co,
non poco confuso. Gli italianihanno votato la destra forse non
cal-colando le conseguenze che potrebbe-ro riemergere da una
visione contro-versa che ha diviso e continua a divi-dere la nostra
coscienza politica ecivile. Il revisionismo annunciato, chenon
sappiamo se sarà veramenteeffettuato, peserà soprattutto su colo-ro
che hanno combattuto il fascismo esu quanti si sono sacrificati
nelle lotteche ne sono derivate. Non si può farfinta di niente come
se il riaffiorare dicerte inquietudini fossero cose daarchiviare
rapidamente, una cancella-zione per non ancora chiari
obiettivistrumentali senza tener conto che sitratta di materia
pericolosa che vienedal profondo, da tempi ormai lontanima che
tuttavia ha ancora la capacitàdi restare valida, non bisognosa
diversioni opposte. I segnali che arriva-no in questo momento si
aggiungono
alle tante delusioni già patite da colo-ro che ne sono stati
protagonisti. LaResistenza che viene rimessa indiscussione non fa
certamente bene,nessuno ha falsato le carte per vince-re chissà che
cosa. E’ triste, ed aber-rante al tempo stesso, che se ne parliin
questi termini, e che avvenga in unmomento in cui c’è il cambio di
ungoverno, ma tant’è. In gioco sonovalori ai quali si è creduto sul
serio econ slancio, sperando che una nuovaera cominciasse, così
come si andavaprospettando all’ombra dei cannoni.In prima fila, nel
sostenerli, vi sonotrovati gli internati italiani inGermania che
nell’autunno del 1943,prelevati a forza dalle zone di opera-zione,
furono all’avanguardia nel-l’aprire la vicenda
resistenziale.Infatti dissero per primi un No seccoai tedeschi che
volevano a tutti i costiil loro arruolamento per mandarli
acombattere nelle file della Repubblicadi Salò che nel frattempo si
era costi-tuita in Italia. Fu il segnale da cuipartì una riscossa
convinta, decisa,irrevocabile, non solo contro i nazistiinvasori
del nostro territorio ma anchecontro il fascismo che a lungo
avevacondizionato la nostra esistenza. Daquesto punto di vista si è
trattato di undato inequivocabile, e pertanto, perquanto riguarda
questo aspetto, non si
vede cosa ci sia da revisionare. La dif-fusa “indifferenza” in
Italia di cuihanno sofferto gli ex IMI al loro ritor-no in patria
non ha tenuto conto diquesto fondamentale episodio, che
fudeterminante per il corso del conflit-to, ma poi si è ignorato
tutto il resto,le drammatiche vicende di una prigio-nia inesorabile
e feroce per moltiversi. Quanti per circa due anni sonorimasti
rinchiusi negli Stalag, fra i filispinati circondati dalle SS,
avrebberocertamente dovuto aspettarsi unamaggiore comprensione,
oltre che,nel dopoguerra, un’assistenza mate-riale di cui non hanno
per nientegoduto. L’affronto indubbiamente èstato grande, si è
fatto ancora di piùsentire con il passare degli anni, figu-riamoci
come si farà sentire con ilfuturo negazionista che si annunciacon
l’opinione pubblica nazionalesempre più distante e impreparata
alproblema. Il passato conta sempremeno, la memoria è come messa
incantina a marcire. L’8 settembre èstato un vero e proprio
spartiacque nelpopolo italiano, diviso a metà, unaparte di qua e
una parte di là, non unafase passeggera perchè la divisione
èrimasta e minaccia sempre più diacuirsi. I ventenni di allora che
indos-savano il grigioverde furono moltoresponsabili, intuirono il
corso deglieventi con prontezza e intelligenza,presero una
decisione che avrebbesegnato la loro vita. Non bisognadimenticare
che andavano incontro aun destino terribile: restando nei lagerdove
erano stati deportati sarebberostati prima o poi carne da macello.
Itedeschi, del resto, li avevano avverti-ti: “con il vostro rifiuto
a non arruo-larvi fra le file della Repubblica diSalò – avvertirono
– non rivedretemai più le vostre famiglie, per anniresterete a
lavorare alla ricostruzionedelle nostre città ferite dai
bombarda-menti, vi terremo per sempre costrettiai lavori forzati.
Un messaggio molto
GLI IMI CONTRO OGNI REVISIONISMOLA LORO STORIA, PRIMO ATTO DELLA
RESISTENZA, NON SI TOCCA
di Ettore Zocaro
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1425 aprile
chiaro, minaccioso, sinistro, che davabrividi solo a sentirlo
pronunciarenella piana del campo di Witzendorf,presso Hannover dove
i deportati,man mano che arrivavano dallaGrecia, dalla Jugoslavia,
dallaFrancia, venivano ammassati.L’invito, più volte ripetuto, era
diripensarci, Ma non ci fu niente dafare: il No venne ribadito
ancor piùsecco da quasi tutti (salvo piccolefrange che si
illudevano di fuggire almomento opportuno, non appenamesso piede in
Italia). Scelta, insom-ma, consapevole, di una massa di cen-tinaia
e centinaia di migliaia di solda-ti che in questo modo si ribellava
allaguerra voluta dal fascismo e al suosconvolgente e assurdo
andamento.Sarebbe stato impossibile alloraimmaginare qualsiasi tipo
di ritornoin patria, si pensava che non sarebbemai avvenuto, ormai
si era consegna-ti a una situazione senza via d’uscita.Anche se
sconfitta la Germania ciavrebbe comunque fatto pagare ilconto in
qualche modo, e difatti ce loha fatto pagare largamente con
cru-deltà varie poiché considerati tradito-ri, un conto fatto di
decimazioni perfame, malattie, perentorie eliminazio-ni, incessanti
bombardamenti aerei acui si era sottoposti per disprezzosenza
alcuna protezione. Il nostropopolo è stato duramente segnato
daquesta vicenda, oltre ottocentomila irinchiusi nelle baracche
sgangherate
del Terzo Reich, una massa enormeresa immobile e avvinghiata su
sestessa. Negarne dopo tanto tempo laconsistenza e il ruolo avuto
sarebbeun grave errore storico. Derubricarneil significato e la
funzione sarebbe deltutto ingeneroso, insopportabile,
unaumiliazione senza precedenti, ladepressione per una intera
generazio-ne. Proprio pochi giorni fa un impor-tante giornale come
il “Corriere dellaSera”, cogliendo la questione conintelligente
sensibilità, ha invocatouna visione allargata dei fatti, e
hadenunciato la visione oscurata che èstata messa in atto per far
largo adaltre storie dell’universo concentra-zionario, importanti,
tremendeanch’esse ma non esclusive. Ne haparlato l’autorevole
editorialista GalliDella Loggia che non ha avuto diffi-coltà nel
riconoscere che ’’la memoriaè rimasta imbrigliata da fatti chehanno
finito con l’inghiottire l’antifa-scismo’’. Non gli si può non
dareragione, finalmente qualcuno ha par-lato chiaro, cosi come non
si può nondare ragione a Giovanni De Luna chesul quotidiano “La
Stampa” dice cheper condannare il fascismo non bastaricordare
soltanto l’infamia delleleggi razziali del 1938: c’è molto altrodi
grave se si considerano i tanti limi-ti imposti alla libertà. Il
pericolo perla storiografia è il segno dell’incom-pletezza, il
rischio di non considerarel’intero quadro nelle sue diverse
angolazioni, nei suoi tanti momentichiave. La parte avuta
dall’IMI è unadi quelle cose che attestano l’incom-pletezza,
rimasta in gran parte fuori,quasi mai valutata nel suo giustopeso.
Il che procura disagio, sofferen-za. Oggi per fortuna se ne torna a
par-lare come una faccenda a torto trascu-rata che merita di essere
riaperta. Ne èuna prova, tra l’altro, un articolo su“La Repubblica”
intitolato “Gli schia-vi di Hitler’’. Essi non sono altro chei
prigionieri italiani catalogati in sche-dari da poco emersi in una
cittadinadell’Assia in cui si attestano comemigliaia di deportati
erano costretti alavorare, spesso fino alla morte, nellegrandi
aziende tedesche, un caso nonisolato perchè altri documenti
dellostesso tipo sono nel frattempo venutialla luce con dati ancor
più pesanti.La Resistenza italiana è cominciata dalì, in modo
inoppugnabile, lassù nellaterra tedesca, fra le brune dellaForesta
Nera e le plumbee fabbrichedella città di Stettino, oggi
polacca.Una Resistenza che si fa fatica a rico-noscere, ma che è un
dato di fatto, unmomento della guerra sul qualeoccorrerebbe
riflettere a lungo.Parlare oggi di revisione in questocaso è
un’assurdità, una pretesto tira-to fuori per secondi fini, vuol
direnegare una realtà pagata con il san-gue, la quale, purtroppo,
dopo oltremezzo secolo, è ancora in attesa delriconoscimento che
merita. �
I RAGAZZI DI SALÒdi Claudio Sommaruga
Da più di 60 anni fascisti e antifascisti parlano e sparlano
atorto o a ragione dei “ragazzi di Salò” con cognizione o
non,spesso con confusioni, superficialità e generalizzazioni
chemeritano chiarezza.Succubi dei tedeschi, questi ragazzi (15-25
anni o poco più)erano gli avversari accaniti dei partigiani e
badogliani nellelaceranti guerre di liberazione dai tedeschi.L’ex
presidente della Camera dei deputati Luciano Violantenel 1996
invitò a comprenderli e li ha rievocati, lo scorso 25aprile, con
l’ennesimo invito retorico alla rappacificazione.Ma per
rappacificarsi bisogna ricordare e perdonare e perperdonare ci
vogliono dei pentiti che riconoscano le colpe e
nella fattispecie ne ho identificati ben pochi nei
repubblichi-ni di ieri e nei loro simpatizzanti di oggi.Non entro
nel merito di un giudizio etico e storico sui“ragazzi di Salò”, che
nel mio caso sarebbe di parte come exIMI e deportato, né mi
inserisco nei soliti dialoghi retorici:rappacificazione si o no tra
protagonisti per lo più deceduti,“i morti sono uguali... ma erano
diversi da vivi...”, colpo dispugna o ricordare, perdonare senza
pentiti, tutti ugualivincitori e vinti di due patrie diverse, ecc.
Mi limiterò a unarido approfondimento su chi erano e quanti erano i
“ragazzidi Salò” e le loro varie radici per aiutare una
discussionepolitica che non sembra esaurirsi ma anzi
rinvigorirsi.
-
Ma chi erano e quanti erano i “ragazzi di Salò” e quali le
loroorigini?Erano per lo più i giovani militari e militarizzati
della RSI,cioè degli ex “giovani fascisti/MVSN/CC.NN.” ed ex
mili-tari disertori del Regio Esercito legalitario e optanti per
laRSI. In tutto e arrotondando le cifre (da prendere come ordi-ni
di grandezza), 550.000 militari e militarizzati dei quali115.000
optanti per la RSI alla cattura e nei Lager, 265.000volontari e
coscritti arruolati nelle quattro “DivisioniGraziani” (50.000
uomini) e nelle altre forze armate dellaRSI (marina, aviazione, X
MAS...), 150.000 coerenti exMVSN/CC.NN. arruolati della “Guardia
NazionaleRepubblicana” (GNR), circa 20.000 legionari delle SS
ital-iane e non contando 17.000 ex IMI optanti all’estero
nelleWaffen SS allogene e 61.000 nei battaglioni di
lavoratoriausiliari della Whermacht.Non si sono inclusi invece i
civili della RSI: per lo piùanziani. Operai e contadini con forse
un milione di familiarie simpatizzanti dei repubblichini e 17
milioni di agnostici eattendisti dei liberatori ma per buona parte
simpatizzanti insegreto della Resistenza; fra questi vanno stimati
almeno 10milioni di congiunti e amici dei 600.000 IMI finali,
45.000deportati politici e ebrei nei lager e 350.000 partigiani,
patriotie loro collaboratori e 57.000 combattenti del CIL.Per
scrupolo e per non fare d’ogni erba un fascio è bene sot-tolineare
che i cosidetti “ragazzi di Salò“ erano in verità ditre tipi
eticamente ben differenziabili: volontari, obbligati efasulli.1)
VOLONTARI (d.o.c., ideologici): fanatici o coerenti, inbuona fede o
opportunisti, con un concetto retorico imperia-lista di patria
aggressiva ereditato dal ventennio fascista edai nazisti; erano per
lo più figli di irriducibili fascisti aiquali risalgono in primis
le responsabilità delle scelte volon-tarie o guidate dei loro
figli; nonché o militari optanti allacattura per coerenza (ex
CC.NN. fascisti nostalgici o fedeliall’alleato tedesco) o
opportunismo (“tutti a casa”).Ma anche noi IMI (da 716.000 nel ‘43
a 613.000 nel ‘45)soldati del Regio Esercito allevati dalla stessa
scuolafascista, abbiamo reiterata per due anni la scelta opposta
diuna patria libera e democratica, una scelta continua, soffertama
spontanea, individuale, plateale,antifascista.Molti “ragazzi di
Salò”, fiancheggiatori deinazisti, si macchiarono di crimini
efferatisia con le armi che con rastrellamenti edelazioni e oggi
rinascono nei pochiirriducibili nostalgici neofascisti
delladestra.2) OBBLIGATI (di fatto, non ideologici):90.000 soldati
disertori del R. Esercitooptanti alla cattura per coerenza
(exCC.NN...) opportunismo, voglia di casa etimore, sfuggiti ai
rastrellamenti tedeschi ereclutati col “bando Graziani”. Gli
sban-dati rastrellati dai tedeschi furono internaticome IMI nei
lager.Dei 180.000 coscritti previsti della “levaGraziani” che
prevedeva la fucilazione deirenitenti e disertori o 10 anni di
carcere ecomunque rappresaglie sui familiari, se ne
presentarono solo 87.000, per lo più non per ideologia maper
paura delle sanzioni. Ma 10.000 coscritti disertarono neiprimi
giorni aggiungendosi ai 93.000 renitenti precedente-mente imboscati
o espatriati in Svizzera o aggregati ai parti-giani in montagna e
ai gapisti in pianura. Una curiosità:Mussolini vietò l’iscrizione
al Fascio Repubblicano aglioptanti nelle SS non considerandoli più
italiani come glialtoatesini optanti per il Reich!3) FASULLI
equivocati dalle propagande fasciste e antifas-ciste: oggi ignorati
da tutti (istituzioni, gente, media e storici)paradossalmente
etichettati in dispregio “badogliani” dairepubblichini e
“repubblichini” dai badogliani, partigiani eAlleati, in realtà né
carne né pesce, non coscritti di Badoglio(data la giovane età) ma
ritardatari di tre mesi della “levaGraziani”! Erano almeno 3.000 e
comunque meno di 5.000“deportati in patria”, riuniti in almeno tre
“battaglioni di dis-ciplina” del Genio della RSI ma sotto controllo
tedesco. Tredi questi “badogliani ad honorem” li ho incontrati
nelle miericerche.La loro storia è incredibile e paradossalmente
sfuggitaall’indagine storica. Ritenuti indegni di fregiarsi dei
“gladi”repubblichini, armati non di moschetto ma di picco e
pala,vestiti in dispregio con divise badogliane e fregiati con
le“stellette” (sic!) per lo più proibite agli IMI nei Lager.Alcuni
reparti di questi ragazzi chiesero addirittura corag-giosamente le
stellette e furono esauditi (sic!)! Nella primav-era del ‘44
inquadrati in battaglioni di lavoratori del geniodella RSI ma sotto
comando di un maresciallo tedesco e disottotenenti repubblichini,
vennero dapprima impiegati inItalia centrale nelle retrovie del
fronte a ripristinare ferroviee difese. Poi furono deportati al
servizio della Whermacht inGermania di fatto prigionieri-lavoratori
ma rigorosamenteseparati dagli IMI e dai battaglioni (Baubtl) di
prigionieri-lavoratori IMI/KGF ex resistenti con le armi catturati
nell’au-tunno 1943. Alla fine del ‘44 a molti di loro fu offerto il
riscat-to col miraggio di mangiare e di limitate libertà, non più
pri-gionieri ma sempre lavoratori militarizzati della RSI
fregiaticoi “gladi” repubblichini. Diversi aderirono conservando
però
in tasca le stellette con le quali rimpatriaronoconfusi agli
IMI.Ma le loro disavventure non finirono qui: alloro rimpatrio
furono accomunati ai “ragazzidi Salò”, molti in campi di
concentramento emolti trattenuti a un nuovo servizio militaresotto
la monarchia/repubblica italiana nonavendo effettuato sotto la
repubblica fascistal’addestramento alle armi!Confusi a torto coi
“ragazzi di Salò”,“repubblichini badogliani”.
Autodefinitisi“deportati in patria” e “sottosoldati”, igno-rati
dagli storici, politici e associazioni direduci e della resistenza
come non fosseromai esistiti.Anche questo è successo: non tutti i
cosid-detti “ragazzi di Salò” erano di fatto “ragazzidi Salò”.
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1525 aprile
-
16manifestazioni
In occasione del 60° anniversariodella costituzione dell’ANRP
(1948-2008), si è ritenuto, anche a seguitodelle molte
sollecitazioni, di promuo-vere una serie di manifestazioni alivello
nazionale, al fine di testimonia-re l’impegno morale e
socio-culturalesvolto dall’Associazione in questolungo arco di
tempo. Non è nostraintenzione elencare le principali attivi-tà
svolte dall’ANRP negli anni, perchéciò potrebbe far pensare alla
semplicestesura di un bilancio per trarne moti-vo di compiacimento.
In parte, effetti-vamente lo sarebbe, ma in realtà sivuole
rappresentare qualcosa di moltopiù impegnativo, quasi un’
indicazio-ne programmatica per il futuro. Unfuturo in funzione del
quale si staabbozzando felicemente, proprio inquesti ultimi anni,
l’idea di un radica-le rinnovamento di contenuti e dimetodi nella
vita e nelle prospettivedell’Associazione. Siamo in presenzadi una
autentica “svolta”. Il dibattitoche animerà quest’ anno di
manifesta-zioni celebrative è improntato sultema: “l’ANRP verso il
futuro: daAssociazione a Fondazione” con osenza il punto
interrogativo (?). Nellosforzo di comprendere l’evoluzionedei
tempi, ci si è proposti di reinter-pretare il ruolo
dell’Associazione,ritenendo che non potesse essere con-finato nel
culto, fine a se stesso, di un“reducismo” nostalgico che
esaurissela sua presenza nel rito delle ricorren-ze celebrative,
cosa che non incide inalcun modo sulla società e che, in
par-ticolare non ha presa alcuna sullenuove generazioni.Ritorniamo
in questi giorni con lamemoria, quasi in una sorta di
pelle-grinaggio spirituale, dal quale, non lonascondiamo, usciamo
rafforzati,all’impegno democratico che spinse ifondatori dell’ANRP
ad associarsisessant’anni or sono. Ricordiamo laspontaneità con cui
in molti, anzi mol-tissimi, si ritrovarono a Roma, prove-nienti da
luoghi e da esperienze diver-
se, a coincidere in una straordinariaunità d’azione, di volontà,
di ideali.Ed è soprattutto questo che ancoraoggi anima la nostra
convinzione diavere scelta la via giusta “allora” e diessere nel
giusto “oggi”, quando per-petuiamo il ricordo di quei tempi equando
cerchiamo di perseguire,ognun secondo coerenti e
responsabiliscelte, i nostri obiettivi di fondo.L’ANRP è
consapevole dell’altaresponsabilità morale e civile del suoruolo, a
memoria di tutti quei reduciche, a volte fino al sacrificio
persona-le, si batterono per contribuire allacausa della libertà, e
che vollero affer-mare la dignità della persona di frontealla
violenza e alla sopraffazione. Perloro merito oggi viviamo, non
imme-mori, in un clima di libertà e di pace,prefigurato
sessant’anni or sono in tre-pidante speranza. Come a loro
“ieri”,così a noi “oggi”, in una società carat-terizzata da
problemi e da gravi con-traddizioni, spetta il compito di
prose-guire sulla via democratica.La libertà, il progresso, la
pace, lademocrazia, la sicurezza sono beni chesi conquistano e si
difendono giornoper giorno. Questo dicevano e questodiciamo in nome
di quelle “testimo-nianze” di vita, alle nuove generazioni.
Non deve sembrare anacronistico edesagerato il nostro non voler
tradiregli ideali che ci fecero riunire sessan-t’anni or sono,
anche se tante e sottilisono le tentazioni a cui siamo sogget-ti:
il trasformismo politico, per cui ciòche importa è stare dalla
parte del vin-citore; il personalismo, per cui nonl’uomo serve ad
un’idea, ma ci siserve dell’ idea per il proprio torna-conto e i
propri desideri di potere;iltatticismo esagerato, per cui la
formavale più della sostanza e sull’altaredegli accomodamenti si
sacrificano leproprie idee; la prepotenza comemetodo di vita, per
cui chi comandaagisce non come colui che deve essereal servizio del
prossimo, ma per avereragione, anche se non la si ha; il
mate-rialismo, per cui si tende a sopprimerei veri valori
dell’uomo, o quantomeno, a sovvertirne l’ordine; l’ipocri-sia che
ci porta all’incoerenza tra ciòche si dice e ciò che si fa;
l’egoismoche ci fa dimenticare il comune desti-no degli uomini e
che ci fa dormiretranquilli nelle nostre case, mentre apoca
distanza da noi c’è chi nondorme, perché soffre o ha fame.Il Paese,
durante questi sessant’anni,ha vissuto il suo più lungo periodo
dipace, di democrazia, e di progresso enoi dell’ANRP siamo
orgogliosi diessere stati interpreti e compartecipirealizzatori di
tali valori, che sono cosìdiventati parte della nostra tradizione.A
questa consapevolmente ci richia-miamo, per proseguire insieme ai
gio-vani, anzi affidando a loro il “testimo-ne” per il cammino
dell’Italia didomani.Per fronteggiare le sfide dei tempi chestiamo
vivendo, bisogna però cercareuna linea nuova, trovare una
diversacollocazione che consenta all’ANRPdi acquisire rilevanza
sociale, aggior-nando e ravvivando il proprio impegnoe costruendo
un proprio spazio sulpiano culturale. In sostanza, l’ANRPdeve far
sentire la sua voce, affrontan-do con determinazione e coraggio
i
Associazione Nazionale Reduci Prigionia, Internamento, Guerra di
Liberazione e loro familiariEnte Morale D.P.R. 30 Maggio 1949 -
Ente Nazionale con Finalità Assistenziali D.M. 10 Settembre
1962
Sede Nazionale: Via Sforza, 4 - 00184 Roma - Segreteria
Generale: Via Labicana, 15/A - 00184 Roma
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L’ ANRP VERSO IL FUTURO: DA ASSOCIAZIONE A FONDAZIONE
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a
MANIFESTAZIONI NAZIONALI NEL 60°DELLA COSTITUZIONE DELL’ANRP
(1948-2008)
-
17manifestazioni
grandi temi di una vicenda storica cheha visto gli appartenenti
all’Associa-zione vittime e protagonisti a untempo. Per riuscire
nell’intento, il“messaggio” e la “testimonianza”devono superare i
limiti della revoca-zione retorica, confinata nell’ambitodelle
scadenze commemorative, perdiventare occasione di approfondi-mento
sulle ragioni della crisi odierna,di cui tanto si parla e di
richiamo aprincipi e valori che – per i reduciappunto – sono stati
regola di vita insituazioni altamente drammatiche.L’ANRP, oggi
presente in tutte leregioni italiane, inquadrando schieredi ancora
validi dirigenti – sia purevia via decrescenti nel numero –
puòcontinuare a fornire un apporto rile-vante in settori di alta
valenza sociale,quali il rafforzamento del “senso delloStato” e
l’affermazione della stessa“cultura della legalità”. Questi i
moti-vi profondi delle manifestazioni, degliincontri e delle
attività, che di volta involta l’ANRP propone, con l’intentodi
concorrere, ancora una volta, allosviluppo e alla crescita morale e
socia-le della Nazione ed a partecipare atti-vamente
all’affermazione di un’Italiademocratica in cui, nel rispetto
delleleggi e delle istituzioni, tutti i cittadinipossano
collaborare al bene della col-lettività nazionale.La linea di
tendenza è stata già trac-ciata e molti ne sono gli esempi
con-creti: dal sodalizio con l’Università
per convegni di studio, master e corsidi aggiornamento, agli
incontri deiveterani con studenti e docenti; dallemostre d’arte, ai
concerti e ai recitalsul tema della memoria. Il
patrimonioeditoriale dell’ANRP, dai saggi diinteresse prettamente
storiografico,alle riviste periodiche, di cui ricordia-mo il nuovo
trimestrale “le porte dellamemoria”, è sempre più aggiornato ericco
di nuove pubblicazioni, apprez-zate sia dagli “addetti ai lavori”,
sia daun più vasto pubblico di lettori.L’ANRP accoglie, rielabora
in chiavecritica e propositiva le testimonianze elo fa con antichi
e nuovi strumenti eattraverso le più diverse forme
dellacomunicazione, per essere più vicinaalle persone e renderle
partecipi diquella vicenda di cui ancora i libri discuola non
parlano.L’ANRP sente il dovere di trasmetterela memoria storica a
tutti coloro chevogliono sapere e che hanno il dirittodi sapere.
Pertanto, in occasione del60° anniversario della sua costituzio-ne,
l’Associazione ha voluto metterein campo una vasta gamma di
iniziati-ve educative e di studio, momenti diricerca e di
confronto, convegni e pub-blicazioni. Ma ha voluto farlo anchecon
le nobili discipline di sempre,come la musica, l’arte, la poesia e
conquant’altro possa contribuire a genera-re una sensibilità nuova
e a trasmette-re, attraverso la conoscenza e la com-prensione di
una importante pagina di
storia, i valori di pace di cui l’ANRPsi è sempre fatta
portatrice.Questo è il percorso già avviato. D’orain poi si tratta
di consolidare i risulta-ti ottenuti per portare avanti progetti
dipiù ampia portata. Non è questione diambizione. Come
appartenentiall’ANRP sentiamo una pesanteresponsabilità morale
sulle nostrespalle, ma noi siamo lieti di portarla edi poter
concorrere all’impegnocomune di un migliore avvenire.Non ci troverà
d’accordo chi cerca dispeculare rinfocolando odi, risenti-menti,
rivincite. Sì, invece, allanostra identità – nella verità storica
–che consiste nel voler far germogliareil seme di libertà, di
unione, di con-cordia, di perdono e di solidarietà chefu gettato, e
che fu fecondato da unospirito nuovo, affinché produca ilfrutto di
una società nuova, più giu-sta, più solidale. Dobbiamo cercareun
sistema di vita economica e social-mente sempre più equa ed
avanzata,combattendo contro chiunque volessegarantirla al di fuori
della libertà edella pace.L’unità spirituale di questo
lungoperiodo, degli aderenti all’ANRPnon significa non
differenziarsisecondo le idee e la vocazione di cia-scuno, ma
onorare un silenzioso giu-ramento, cui non sarà mai lecitovenire
meno, ed impedire ad ognicosto che l’Italia possa rientrarenella
spirale fatale di una dittatura, diqualsiasi colore essa sia. �
-
Da questa data, fino all’8 settembre del1944, il capitano
Giacomo Brisca, depor-tato e internato nei lager nazisti,
giornodopo giorno, su fogli di un piccolo blocconotes, annota
fatti, eventi, pensieri, senti-menti, con una scrittura minuscola,
rapi-da, fitta, quasi si direbbe per non perdereil senso della
propria identità in quel flui-re del tempo che rischia di
distruggere,cancellare la coscienza, sprofondarti nel-l’inferno
dell’oblio.Ora quel diario è diventato un libro.Custodito dalla
figlia per tanto tempo, èstato da lei stessa sottoposto
all’attenzionedell’ANRP che ha subito compreso la pre-ziosità
documentaristica dello scritto. Hapertanto istituito un gruppo di
studio composto dallasociologa Barbara Bechelloni, dallo storico
NicolaPalombaro e dall’esperta in scrittura diaristica RosinaZucco,
con il coordinamento di Enzo Orlanducci, segre-tario generale
dell’Associazione. Dal lavoro di ricerca ènato, per l’appunto, il
volume “Secondo coscienza- Ildiario di Giacomo Brisca 1943-44”, che
è stato presenta-to il 12 marzo, alle ore 17,30, a Roma, presso
dellaBiblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”.È stata al di sopra
delle aspettative la partecipazione delpubblico che, in risposta
all’invito dello stesso presidentedella Biblioteca, Sergio Zavoli,
ha gremito la Sala degliAtti Parlamentari. Molti i rappresentanti
delle forze arma-te, del mondo accademico, della scuola, della
cultura edella ricerca. Molti gli anziani reduci, ma molti,
anzimoltissimi anche i giovani, la presenza dei quali sta viavia
aumentando in queste occasioni, grazie all’attività
disensibilizzazione sempre più capillare svolta dall’ANRPpresso le
università. In prima fila i familiari di GiacomoBrisca, figlio e
nipoti. Seduta al tavolo dei relatori, la
figlia dell’autore, Lidia Brisca Menapace.A testimonianza
dell’importanza del-l’evento, Anna Maria Isastia, docente distoria
contemporanea presso Sapienza,Università di Roma, e Presidente
vicariodell’ANRP, ha letto i messaggi auguraliinviati
rispettivamente dal presidente delSenato, Franco Marini, e dal
ministrodella Difesa, Arturo Parisi, che perimprorogabili impegni
istituzionali nonhanno potuto essere presenti, ma chehanno espresso
un plauso per le iniziati-ve dell’ANRP legate al recupero
dellamemoria storica e riconoscimento per ivalori di cui
l’Associazione si fa portatri-ce. Dopo un’ampia introduzione sul
tema
degli IMI, la prof.ssa Isastia, in qualità di coordinatricedella
tavola rotonda, ha dato la parola ai vari relatori,ciascuno dei
quali ha contribuito a contestualizzare sottovarie angolazioni la
condizione degli internati, offrendoin tal modo ai presenti una più
agevole chiave di letturadell’esperienza personale di Giacomo
Brisca, da consi-derarsi specchio di quella di tanti altri che come
luipagarono di persona la scelta di non collaborare con
ilnazi-fascismo.Ha fatto seguito l’intervento di Maria
ImmacolataMacioti, ordinaria di Sociologia presso
SapienzaUniversità di Roma. Dopo aver sottolineato il valore
del-l’opera e il suo significato nel più ampio ambito dellamemoria
individuale e collettiva, la Macioti ha percorso lepagine del
libro, soffermandosi a commentare il lavorodei singoli autori. Il
manoscritto ha destato subito grandeinteresse, perché non è facile
trovare un diario dell’inter-namento scritto in tempo reale e
quindi testimonianzaimmediata, in quanto non sottoposta ad alcuna
manipola-zione successiva. Alla lettura, rivelatasi
particolarmente
18manifestazioni
8 SETTEMBRE 1943: SECONDO COSCIENZAdi Amalia D’Addio
IL DIARIO DI GIACOMO BRISCA1943-1944
SECONDO COSCIENZA
Barbara BechelloniEnzo Orlanducci
Nicola PalombaroRosina Zucco
Presentazione di Lidia Brisca Menapace
Mediascape • Edizioni ANRP
-
ardua per le caratteristiche peculiari della grafia e per
levecchie pagine ingiallite e consumate dal tempo, è segui-to il
lavoro di trascrizione che ha permesso successiva-mente
un’approfondita indagine sul piano socio-psicolo-gico e storico. La
professoressa ha espresso una positivavalutazione dell’ accurato e
approfondito lavoro svoltodagli autori e dell’ampio apparato
critico e bibliograficoche lo documenta. Ha soprattutto apprezzato
la metodo-logia con cui è stata affrontata la lettura e la
trascrizionedel diario, un percorso didattico che potrebbe
essereoggetto di una lezione sulla scrittura
diaristica.Interessante il punto di vista di Fabrizio
Battistelli,docente anche lui di Sociologia presso
SapienzaUniversità di Roma, che ha posto l’attenzione sulla
parti-colare situazione in cui si venne a trovare l’esercito
italia-no dopo l’8 settembre ’43, lo sbandamento causato
dallamancanza di direttive, il disorientamento dei militari chesi
trovarono improvvisamente a dover scegliere da qualeparte stare.
Proprio su quest’ultimo punto l’ottica diBattistelli induce a
riflettere: ciascun soldato, allora, fecela sua scelta di
combattente, obbedendo alle proprie con-vinzioni e ai propri
ideali, sia chi, come Brisca, espressereiteratamente il proprio
“NO!” alla collaborazione con itedeschi, sia chi invece optò per
essa e chi, ancora, passònelle file della Repubblica di Salò.
Rispetto a quelle chesono state fino ad oggi certe posizioni,
basate prevalente-mente sulla dicotomia “resistenza/fascismo”, il
discorsodi Battistelli ci è apparso di grande apertura perché
sem-bra preludere ad una visione più oggettiva della storia e aduna
maggiore serenità di giudizio.Dopo gli interventi dei relatori, ha
preso la parola LidiaBrisca Menapace, che ha catturato l’attenzione
dei pre-senti, affascinandoli con il suo modo di parlare brioso
edarguto. Testimone della memoria paterna, ha raccontatoepisodi di
vita familiare, rendendo meno astratta la figuradell’autore del
diario e aprendo flash sul privato, conaneddoti risalenti al
periodo della sua adolescenza.Intervallando il proprio racconto con
colorite espressionipiemontesi, ha offerto numerosi spunti di
riflessione sutematiche oggi molto vive: l’importanza della
guidapaterna nel trasmettere valori quali il rigoroso senso
deldovere, la forza dei sentimenti come collante dei legamitra i
familiari, lo spirito di sacrificio, l’amore per lo studioe per la
cultura. Ha posto l’accento sullo spirito mazzinia-no del padre,
che sentiva fortemente la necessità di supe-rare le barriere
nazionali per una più ampia dimensioneeuropea a livello politico e
sociale. Un maestro di vita, unpadre attento e premuroso, pur nella
lontananza e nellasua difficile condizione di internato.Sulle
parole della Menapace hanno concordato gli altrirelatori; Anna
Maria Isastia ha puntualizzato come l’ideadell’Europa sia fondata
proprio sul pensiero di GiuseppeMazzini.L’incontro è stato concluso
dal Enzo Orlanducci, coauto-re del libro, il quale, dopo aver
ringraziato gli altri treautori, prima di salutare gli intervenuti,
ha ricordato checon questo incontro si è dato il via alle
manifestazioni a
carattere nazio-nale per il 60°a n n i v e r s a r i odella
costituzio-ne dell’ANRP(1948-2008) inoccasione delquale sono
inprogramma perl’intero annovarie iniziative.In ultimo ha
fattomenzione della“ m e d a g l i ad’onore” istituitadalla
Repubblicaper i deportati egli internati ita-liani, militari
ecivili, vittime del nazismo, onorificenza per la qualel’ANRP si
sta adoperando attraverso il Comitato istituitoa tal fine.
Orlanducci ha fatto presente con un certo ram-marico che, oltre al
notevole ritardo con cui sta proceden-do il lavoro di esame delle
domande pervenute, il numerodi queste ultime è ancora esiguo in
quanto alla notiziadella concessione non è stata data divulgazione
né rile-vanza come dovuto, essendo mancata purtroppo la
sensi-bilizzazione da parte dei mass media. �
19manifestazioni
Associazione Nazionale Reduci Prigionia, Internamento, Guerra di
Liberazione e loro familiariEnte Morale D.P.R. 30 Maggio 1949 -
Ente Nazionale con Finalità Assistenziali D.M. 10 Settembre
1962
Sede Nazionale: Via Sforza, 4 - 00184 Roma - Segreteria
Generale: Via Labicana, 15/A - 00184 Roma
MANIF
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L’ ANRP VERSO IL FUTURO: DA ASSOCIAZIONE A FONDAZIONE
Sotto
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La Giornata di studio sul tema“Prigionie. Storia e testimonianze
deimilitari italiani tra cattura e ritorno(1940-1945)”, che si è
svolta il 2 apri-le 2008 presso l’Università Roma Tre,facoltà di
Scienze Politiche, ha segna-to un’altra tappa delle manifestazionia
carattere nazionale promossedall’ANRP per celebrare il 60°
anni-versario della sua costituzione. Unevento in “apertura”
particolarmentesignificativo a testimonianza di quan-to il dialogo
tra l’Associazione e ilmondo dell’università, della cultura edella
ricerca sia sempre più foriero diinteressanti spunti operativi, per
unpercorso volto a promuovere la pacee il rispetto dei diritti
umani.In sintonia con tale spirito propositivoe con tali finalità,
l’Università RomaTre ha voluto invitare i rappresentantidell’ANRP a
questo incontro, ancheper presentare il corso di laurea
in“Consulente esperto per i processi dipace, cooperazione e
sviluppo” eaprire un momento di confronto sultema delle prigionie
in tempo di guer-ra e di pace, ascoltando la voce
deitestimoni.L’interesse per la tematica in oggetto eper le
dinamiche che potevano scaturi-re dall’incontro è stato
testimoniatodal calore con cui sono stati accolti irappresentanti
dell’ANRP.L’inizio dei lavori è stato precedutodal saluto del
preside della facoltà,Luigi Moccia, il quale, tra l’altro, havoluto
sottolineare l’importanza del-l’attività dell’ANRP ai fini della
dife-sa della memoria storica, non solo per-ché patrimonio
collettivo, ma perchéstrumento prezioso per tutelare e pro-muovere
la pace.Un apprezzamento per la sinergia sta-bilitasi tra il mondo
dell’università el’Associazione è stato formulato dalpresidente
Umberto Cappuzzo che hamesso in risalto come l’ANRP, nelcorso dei
suoi 60 anni di vita, abbiasubito una profonda evoluzione,
testi-moniata da iniziative sempre più
diversificate e concrete.Da una posizione rivendi-cativa a
tutela dei reduci edei loro familiari,l’Associazione è diventa-ta
sempre più propositivae al passo con i tempi,avvalendosi della
collabo-razione di soggetti partneraltamente qualificati delmondo
degli studi e dellaricerca, con i quali intrat-tiene uno stretto e
profi-cuo dialogo per renderevivificante la memoria delpassato
attraverso un
20manifestazioni
PRIGIONIE. STORIA E TESTIMONIANZEdi Rosina Zucco
UN BOLOGNESE NEI LAGER DI GERMANIA E POLONIAdi Olindo
Orlandi
Con “Interniertr” edito nel 1995, ho raccontato – mezzo secolo
dopo il conflittomondiale 1943-1945 – le mie vicende di ufficiale
di complemento, cioè non di car-riera, catturato in Montenegro il
15 settembre 1943 ed internato dai nazisti quale“prigioniero senza
tutela”, in una serie di lager, staflager e Konzentrationslager
diGermania e Polonia sino alla liberazione, nel 1945, ad opera
delle truppe americane.In qualità di IMI, mi limiterò ad alcune
riflessioni, complementari a quelle altrettan-to significative dei
POW, che formulai nel dopoguerra quando, nel 1993, su iniziati-va
del Guaisco e con l’aiuto determinante di Ezio Dall’Oro, uno di noi
di Colonia làtrasferitosi nel dopoguerra, ci recammo in Sud Africa.
Visitando lo Zonderwater,forse il più grande cimitero di caduti
italiani in tempo di guerra, apprendemmo comesi potesse morire
giovani, in prigionia, anche senza…soffrire la fame.Nel novembre
1943, giunto nel sacro suolo del 3° Reich, fui segregato in una
deci-na di lager, prima a Meppen e Versen (Westfalia), quindi in
Polonia a Chelm, enella fortezza di Deblin, poi di nuovo in
Germania a Oberlangen, a Disdorf beiBonn am Rhein, a Koln-Merheim,
quindi a Wietzendorf, per concludere la miaodissea nel
Neubearbeitung di Velpke, dipendenza del campo di sterminio
diNeuengamme, nell’11° Wehrkeis di Hannover dove, l’11 aprile 1945,
fummo libe-rati dalle truppe americane che si erano incontrate a
Fallersleben con le truppe russeprovenienti da opposta direzione,
in una località assai prossima al nostro lager.Fu così che i
tedeschi divennero prigionieri di guerra in casa loro e noi liberi
cit-tadini con l’impegno, sulla parola di…non approfittarne.Per uno
strano scherzo del destino il mio gruppo terminò la lunga
segregazionenella “Stadt K.d.F” (Kraft durch Freude) nei pressi di
Wagens, città dell’automo-bile, definita autentica città nazista,
battezzata appunto “Città della forza attraver-so la gioia”, che
gli americani dichiararono subito “città aperta”. Non so se i
resi-denti quella “Gioia” – promessa dal Fuhrer Afolf Hitler –
l’avessero mai provata.I nazisti, ancora increduli, negando a se
stessi la nuova realtà, tentarono, in unprimo momento, di
continuare a molestarci, ma tutto finì ben presto ed assai maleper
loro, di fronte all’intrasigenza delle truppe americane. �
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costante lavoro di sensibilizzazionedei giovani, per un futuro
di pace e dicollaborazione tra i popoli. Ed è conqueste finalità
che l’attività associati-va dell’ANRP, pur mantenendoun’identità
univoca, legata soprattuttoal valore della “Memoria”, si è
arric-chita di una serie di significativi eautorevoli contributi,
finalizzatiall’ampliamento degli orizzonti criticie conoscitivi a
livello storico, per unamaggiore incidenza sulla realtà
socio-culturale, nell’intento di sollecitarel’attenzione verso il
passato, ma senzaignorare il presente, di cui il passato,come
memoria, è parte integrante.Fortunato Minniti, in qualità di
coor-dinatore della giornata, ha dato l’avvioagli interventi dei
relatori.Annunziata Nobile ha illustrato lefinalità del Corso di
laurea in“Consulente esperto per i processi dipace, cooperazione e
sviluppo” che
mira ad offrire una preparazione ade-guata alla comprensione e
gestionedelle complesse interdipendenze poli-tiche, economiche,
giuridiche, socialie culturali che caratterizzano la
realtàcontemporanea e alla realizzazione diinterventi nelle aree di
crisi, volti allapromozione di una cultura del rispet-to e della
tutela dei diritti umani.A seguire, Maria Luisa Maniscalco
hapresentato Il Master in Peacekeeping&Security Studies,
percorso formativodalla dimensione multiculturale, rivol-to a
frequentatori civili e militari,messo a punto in collaborazione
conl’Esercito italiano ed arricchito dallacollaborazione di altri
preziosi par-tner, tra cui può annoverarsi l’ANRP.Il Corso, che
attrae ogni anno studentidi tutto il mondo, si basa su un
approc-cio integrato, creativo e flessibile,volto a potenziare,
attraverso specifi-che attività laboratoriali, le competen-
ze comunicative e le abilità relaziona-li da spendere sul
campo.Sempre in relazione al tema della pace,nel suo intervento su
L’insegnamentodella storia della pace, Renato Moro,direttore della
Scuola dottorale inScienze Politiche, ha analizzato ilrapporto tra
ideologie politiche esocietà di massa, con particolare atten-zione
all’intreccio tra processo dimodernizzazione, fenomeni politici
(inparticolare nazionalismo, razzismo,pacifismo) e dimensione
religiosa.Entrando più specificatamente neltema delle prigionie di
guerra, AnnaMaria Isastia, docente di St