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15 L’UNIONE EUROPEA SECONDO LA RIFORMA DI LISBONA* SOMMARIO: 1. Considerazioni generali sul Trattato di Lisbona del 2007. - 2. La natura giuridica del processo di integrazione. - 3. I problemi lega- ti alla disciplina di recesso, revisione ed entrata in vigore. - 4. Il tentati- vo di superamento di un’ottica meramente internazionalista ed il nuovo assetto istituzionale e normativo. - 5. I valori “propri” dell’Unione Europea nella riforma di Lisbona. - 6. Le innovazioni nelle politiche ma- teriali e l’abolizione dei “pilastri”. - 7. La cittadinanza dell’Unione. - 8. L’identità popolare europea ed i principi di solidarietà, sussidiarietà e proporzionalità. - 9. La “nuova” Corte di giustizia. - 10. Le cooperazioni rafforzate ed il futuro dell’Unione Europea. 1. Il processo di integrazione europea ha trovato un indubbio rilancio, dopo la grave crisi seguita al fallimento del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa di Roma del 2004 (d’ora in poi Trattato “costi- tuzionale”), grazie alla firma, avvenuta il 13 dicembre 2007, del Trattato di Lisbona. Esso, a norma dell’articolo 6, questo è sottoposto alla ratifica degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali per entrare in vigore il 1 o gennaio 2009 (oppure il primo giorno del mese successivo all’avvenuto deposito dell’ultimo strumento di ratifica), con- sentendo di celebrare le nuove elezioni del Parlamento europeo del 2009 nell’ambito del nuovo quadro giuridico-istituzionale dell’Unione Europea. La riforma si concretizza nel nuovo Trattato sull’Unione Europea (d’ora in poi NTUE), che è ampiamente riscritto definendo il quadro e le regole del gioco, e nel Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE), che si occupa soprattutto delle politiche comuni: essi, secondo l’art. 1 del NTUE, hanno lo stesso valore giuridico. Il Trattato di Lisbona comprende solo 7 articoli, alcuni dei quali evi- dentemente corposi, 37 Protocolli, 65 fra Dichiarazioni relative alle di- sposizioni dei Trattati ed ai connessi Protocolli oppure espresse da Stati membri. Rispetto al Trattato “costituzionale” esso non sostituisce in toto i Trattati UE, CE e CEEA ma si limita a modificarli, abbandonando il metodo del consolidamento normativo indicato dalla dichiarazione di * Si segnala che SudInEuropa ha dedicato un numero speciale (febbraio 2008) alla riforma di Lisbona con interventi di Ugo Villani, Girolamo Strozzi, Luigi Daniele, Roberto Mastroianni, Enzo Cannizzaro, Lucia Serena Rossi, Francesco Munari, Ruggiero Cafari Panico, Claudia Morviducci, Maria Caterina Baruffi, Paola Puoti, Giandonato Caggiano e Chiara Gabrielli. SudInEuropa è disponibile anche su internet all’indirizzo
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Feb 06, 2018

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L’UNIONE EUROPEASECONDO LA RIFORMA DI LISBONA*

SOMMARIO: 1. Considerazioni generali sul Trattato di Lisbona del 2007.- 2. La natura giuridica del processo di integrazione. - 3. I problemi lega-ti alla disciplina di recesso, revisione ed entrata in vigore. - 4. Il tentati-vo di superamento di un’ottica meramente internazionalista ed il nuovoassetto istituzionale e normativo. - 5. I valori “propri” dell’UnioneEuropea nella riforma di Lisbona. - 6. Le innovazioni nelle politiche ma-teriali e l’abolizione dei “pilastri”. - 7. La cittadinanza dell’Unione. - 8.L’identità popolare europea ed i principi di solidarietà, sussidiarietà eproporzionalità. - 9. La “nuova” Corte di giustizia. - 10. Le cooperazionirafforzate ed il futuro dell’Unione Europea.

1. Il processo di integrazione europea ha trovato un indubbio rilancio,dopo la grave crisi seguita al fallimento del Trattato che adotta unaCostituzione per l’Europa di Roma del 2004 (d’ora in poi Trattato “costi-tuzionale”), grazie alla firma, avvenuta il 13 dicembre 2007, del Trattatodi Lisbona. Esso, a norma dell’articolo 6, questo è sottoposto alla ratificadegli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionaliper entrare in vigore il 1o gennaio 2009 (oppure il primo giorno del mesesuccessivo all’avvenuto deposito dell’ultimo strumento di ratifica), con-sentendo di celebrare le nuove elezioni del Parlamento europeo del 2009nell’ambito del nuovo quadro giuridico-istituzionale dell’Unione Europea.La riforma si concretizza nel nuovo Trattato sull’Unione Europea (d’ora inpoi NTUE), che è ampiamente riscritto definendo il quadro e le regole delgioco, e nel Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE), che si occupasoprattutto delle politiche comuni: essi, secondo l’art. 1 del NTUE, hannolo stesso valore giuridico.

Il Trattato di Lisbona comprende solo 7 articoli, alcuni dei quali evi-dentemente corposi, 37 Protocolli, 65 fra Dichiarazioni relative alle di-sposizioni dei Trattati ed ai connessi Protocolli oppure espresse da Statimembri. Rispetto al Trattato “costituzionale” esso non sostituisce in totoi Trattati UE, CE e CEEA ma si limita a modificarli, abbandonando ilmetodo del consolidamento normativo indicato dalla dichiarazione di

* Si segnala che SudInEuropa ha dedicato un numero speciale (febbraio 2008) allariforma di Lisbona con interventi di Ugo Villani, Girolamo Strozzi, Luigi Daniele, RobertoMastroianni, Enzo Cannizzaro, Lucia Serena Rossi, Francesco Munari, Ruggiero CafariPanico, Claudia Morviducci, Maria Caterina Baruffi, Paola Puoti, Giandonato Caggiano eChiara Gabrielli.

SudInEuropa è disponibile anche su internet all’indirizzo

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Laeken, per tornare alla tecnica degli emendamenti “a pettine” con evi-denti conseguenze opache in termini di leggibilità.

Viene inoltre fatto scomparire in termini quasi “maniacali” ogni rife-rimento terminologico ad una “costituzione”, cassando qualsiasi accennoanche puramente simbolico a quanto si possa minimamente collegare adun assetto istituzionale di tipo costituzionale. Grave è infatti, in terminidi trasparenza e di avvicinamento dei cittadini al processo di integrazio-ne, l’abbandono della corretta terminologia rispetto alle norme comuni-tarie che invece di essere chiamate con il loro vero nome, e cioè leggecomunitaria e legge quadro, tornano agli attuali “regolamenti” e “diretti-ve”. Altrettanto criticabile è la mancata esplicitazione del “primato deldiritto comunitario” il quale, per quanto non possa che restare tale rispet-to agli ordinamenti interni come ripetutamente sancito dalla Corte di giu-stizia, non deve comunque essere formalmente espresso all’interno Trat-tato ma semplicemente “ricordato” nella Dichiarazione n. 17.

Si tratta della logica “anticostituzione” che porta alla cancellazione,ma solo quali simboli ufficiali, della bandiera con le 12 stelle d’oro incampo blu e dell’Inno alla gioia di Beethoven nonché del motto Unitanella diversità! Si tratta di modifiche che, se non nascondessero la fermaresistenza di alcuni Membri a progettare un’evoluzione in termini piùspiccatamente politici del processo di integrazione, sarebbero solo degnedi ilarità;e meno male che, essendo una festa, almeno il 9 maggio è statosalvato! È peraltro da segnalare che con apposita Dichiarazione n. 52 alle-gata all’Atto finale, 16 Stati membri (tra i quali l’Italia), hanno afferma-to che “per essi, la bandiera rappresentante un cerchio di dodici stelledorate su fondo blu, l’inno trattato dall’Inno alla gioia della Nona sinfo-nia di Ludwig van Beethoven, il motto dell’Unione “Unita nella diversi-tà”, l’euro quale moneta dell’Unione europea e la giornata dell’Europadel 9 maggio continueranno ad essere i simboli della comune apparte-nenza dei cittadini all’Unione europea e del loro legame con la stessa”.

Altrettanto si può dire della mancata incorporazione nel nuovo testodella Carta dei diritti fondamentali, alla quale comunque viene finalmen-te riconosciuto lo “stesso valore giuridico dei Trattati” attraverso sia laDichiarazione solenne resa il 12 dicembre dalle tre istituzioni Parlamen-to, Consiglio e Commissione sia l’art. 6 del NTUE (“L’Unione riconosce idiritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentalidel 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007, che ha lo stesso valo-re giuridico dei trattati”) sia ancora dalla Dichiarazione n. 1 allegata alTrattato di Lisbona. Anche se tale “sradicamento” appare in palese e sin-golare contraddizione con una realtà che basa buona parte della sua iden-tità proprio sui valori fondamentali della persona.

Bisogna dire che aver “paura” dei simboli di appartenenza alla piùgrande costruzione storica e politica dell’ultimo secolo è sicuramentepreoccupante per di più in un momento in cui più ci sarebbe bisogno diriconoscersi, soprattutto per le giovani generazioni, nell’Europa.

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Tuttavia, la riconduzione del quadro normativo nei confini dei sem-plici (si fa per dire) Trattati potrebbe consentire di tornare, in un futuronon lontano, ad introdurre con maggiore facilità modifiche più consone adun vero e proprio testo costituzionale di quelle già individuate a Roma nel2004. Il che sarà possibile proprio attraverso un intervento in particolaresul NTUE in quanto in esso sono fissati i principi e le competenze delleistituzioni; e non a caso le relative procedure di revisione sono più impe-gnative rispetto al secondo, che potrà essere invece modificato senza laconvocazione di una conferenza intergovernativa.

Ad ogni modo i nuovi Trattati, con i quali si “manda in pensione” la purgloriosa espressione “Comunità europea” (CE) e viene abolita la struttu-ra su tre pilastri attribuendo all’Unione la personalità giuridica, lascianononostante tutto inalterato l’impianto essenziale del Trattato “costituzio-nale”, grazie alla concessione di una ampia serie di deroghe a singoli Sta-ti membri. Tuttavia la presenza di tanti opt-out (clausole di rifiuto), opt-in (clausole di consenso), protocolli e dichiarazioni producono il non esal-tante risultato di fornire un testo estremamente complesso e di difficilecomprensione anche per gli addetti ai lavori. Se poi si considera ad esem-pio, la relativa applicabilità sul territorio britannico dei principi dellaCarta per un Paese che già non partecipa allo spazio Schengen ed allamoneta unica, si comprende come l’interprete debba spesso sottoporsi adevoluzioni acrobatiche per fornire una lettura corretta dei testi normati-vi. Il tutto con buona pace della necessità di rendere i Trattati più com-prensibili ai cittadini.

In questo contesto numerosi aspetti positivi devono tuttavia esseresegnalati. Per la cittadinanza dell’Unione esistono passi in avanti versouna diversa dignità di tale nozione in vista di una sua auspicabile e pienaautonomia giuridica. Così come è importante il Titolo relativo ai principidemocratici comprensivo del diritto di iniziativa popolare grazie al qualealmeno un milione di persone che abbiano la cittadinanza di un numerosignificativo di Stati membri possono invitare la Commissione a presen-tare una proposta appropriata in un determinato ambito.

Ed è ancora positiva la pur molto articolata disciplina delle coopera-zioni rafforzate. Esse – nella misura in cui consentono ad alcuni degli Statimembri di approfondire, con il consenso degli altri ed entro i limiti pre-fissati, il processo di integrazione – rappresentano forse l’irrinunciabileed inevitabile strumento grazie al quale conciliare l’ampliamento dell’U-nione con la necessità di non disperderne progressivamente i valori poli-tici che ne restano a fondamento. L’integrazione differenziata è agevolatain particolare in materia di cooperazione giudiziaria penale e di polizia,venendo incontro ad una esigenza molto sentita dai cittadini.

Peraltro, al fine di rispondere a tale domanda di benessere e di sicu-rezza l’Unione deve disporre di una effettiva capacità di governo dell’e-conomia e della sicurezza. I 15 Paesi che, con riferimento al 2008, hannoadottato l’euro hanno già fatto una scelta: per loro l’integrazione della

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politica economica non è un’opzione ma una necessità che potrebbe pro-iettarsi anche sulla politica estera e della sicurezza.

Importanti passi in avanti si registrano sull’assetto istituzionale chepiù mostrava segni di intollerabile inefficienza e fragilità democratica aseguito dell’ampliamento a 27 Stati. È prevista la figura del Presidentedel Consiglio europeo, eletto per due anni e mezzo dai Capi di Stato e digoverno, mentre a partire dal 2014 viene ridotto il numero dei compo-nenti della Commissione europea. Nel Consiglio dei ministri è miglioratala determinazione del voto a maggioranza qualificata prendendo in con-siderazione la doppia soglia del numero dei Paesi membri (per il 55%) edella popolazione (65%); dovrebbe essere così riequilibrata, formalmentea partire dal 2014 ma in pratica con transizione fino al 2017, una situa-zione che favorisce i Paesi più piccoli.

Merita particolare segnalazione l’aver quasi generalizzato la procedu-ra di codecisione, ora qualificata come procedura legislativa ordinaria, gra-zie alla quale anche il Parlamento europeo è associato al Consiglio nel-l’esercizio del potere normativo ivi compresi settori chiave quali la poli-tica di libertà, sicurezza e giustizia. Questa è infatti centrale nella lotta alterrorismo, alla criminalità organizzata e nella gestione dei flussi migra-tori.

È inoltre interessante il potenziamento della capacità d’azione del-l’UE, attraverso nuove basi giuridiche rafforzate, in settori ormai priori-tari quali energia, sanità e protezione civile; sono altresì previste nuovedisposizioni su cambiamenti climatici, servizi di interesse generale,ricerca e sviluppo tecnologico, coesione territoriale, spazio, aiuti umani-tari, sport, turismo e cooperazione amministrativa.

In particolare, la solidarietà diventa un concetto centrale del settoreenergetico per cui l’Unione acquisisce competenza ad offrire sostegno incaso di difficoltà di approvvigionamento dei singoli Membri. Le nuovedisposizioni in materia di protezione civile, aiuti umanitari e sanità sonointese a potenziare le capacità di risposta dell’Unione alle minacce allasicurezza dei cittadini; inoltre, una clausola sociale orizzontale dà rilievoall’impegno comunitario sull’occupazione e sulla protezione sociale inquanto, nel definire ed attuare le varie politiche dell’UE, occorre tenerconto degli aspetti sociali (promozione di un elevato livello di occupazio-ne, adeguata protezione sociale, lotta contro l’emarginazione, ecc.).Vieneinoltre confermato il ruolo delle regioni e delle parti sociali quali compo-nenti del tessuto politico, economico e sociale dell’Unione.

2. Il ridimensionamento del valore simbolico di un cammino verso unfuturo reale assetto costituzionale, che era stato espresso pur con tutti isuoi limiti dal Trattato “costituzionale”, deve comunque indurci a riflet-tere sulla natura del processo di integrazione dopo le modifiche chesaranno apportate al sistema giuridico-istituzionale comunitario con l’en-trata in vigore del Trattato di Lisbona.

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Certo, la necessità di definire e qualificare l’ordinamento giuridicodell’Unione(soprannazionale, internazionale, quasi federale, interno,…)può anche apparire di carattere meramente nominalistico. E tuttaviacimentarsi in questa direzione presenta la sua utilità perlomeno nel chia-rire la complessità di un ordinamento del tutto originale che trova la suanovità proprio nel “virtuoso” intrecciarsi di una pluralità di ordinamentigiuridici. E ritengo che il Trattato di Lisbona, come vedremo, rappresen-ti comunque un pur modesto tentativo di dare comunque un nuovo equi-librio al rapporto tra livelli diversi di organizzazione del potere (interna-zionale, sopranazionale, statale, regionale) soprattutto alla luce dei nu-merosi de profundis che da più parti erano stati recitati sull’integrazioneeuropea dopo il fallimento del Trattato “costituzionale”.

Peraltro quest’ultima esperienza conferma come, nonostante gli enor-mi passi in avanti, la dimensione internazionalistica sia ancora fortemen-te presente: la fonte giuridica dell’intero processo risiede tuttora neiTrattati ed il fondamento politico è sempre dato dalla sovranità degliStati membri.

Bisogna quindi parlare con estrema cautela di trasferimento di por-zioni di sovranità o di condivisione della stessa tra Stati e Unione Eu-ropea. Infatti, da un lato non può sottacersi la singolarità di ipotizzaretale trasferimento ad un ente che in termini di sovranità non è ancoracostituito; dall’altro, si evidenzia con chiarezza la circostanza di trovarsidi fronte ad un soggetto caratterizzato da un significativo equilibrio dina-mico e da una limitazione reciproca tra una pluralità di istanze e poteri.Si delinea, in altri termini, quella che è stata definita una natura sostan-zialmente “poliarchica” dell’Unione, basata sulla progressiva attribuzio-ne di competenze dagli Stati membri all’UE stessa.

Sotto questo profilo anche il NTUE è molto chiaro a partire dall’art. 1in cui si afferma che “gli Stati membri conferiscono competenze per con-seguire obiettivi comuni”, obiettivi che “sono perseguiti con i mezzi ap-propriati, in ragione delle competenze che le (all’UE, ndr) sono attribui-te nei Trattati” (art. 3, par. 6); e successivamente l’art. 5, sulla base delprincipio di attribuzione, evidenzia la delimitazione delle competenzedell’Unione attraverso il suddetto principio (“l’Unione agisce esclusiva-mente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati mem-bri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasicompetenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Statimembri”). Quest’ultima appartenenza, del resto, è già sancita, tanto pernon creare equivoci, al precedente art. 4!

Ciò implica chiaramente che l’Unione non è titolare di una compe-tenza generale ma solo delle competenze che sono, via via, conferite dagliStati attraverso i Trattati. L’Unione, pertanto, può agire solo sulla base dinorme convenzionali che la abilitino a farlo: si tratta di un rapporto di“derivazione storico-giuridica” delle competenze dell’UE da quelle degliStati membri.

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D’altronde bisogna rammentare che le aree di competenza attribuitein via esclusiva all’Unione sono, ai sensi dell’art. 3 TFUE, solo cinque eriguardano l’unione doganale, le regole di concorrenza necessarie al fun-zionamento del mercato interno, la politica monetaria per i Paesi aderen-ti all’euro, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadrodella politica comune della pesca e la politica commerciale. Inoltre unacompetenza esclusiva è prevista in ordine alla conclusione di accordiinternazionali determinata sulla base di un atto legislativo dell’Unioneoppure qualora essa risulti necessaria per l’esercizio di una sua compe-tenza interna o ancora nella misura in cui essa sia suscettibile di incide-re su regole comuni o alterarne la portata.

Le competenze concorrenti (con gli Stati membri) sono invece relativead a tutti gli altri settori nei quali comunque i Trattati attribuiscanoall’Unione qualche competenza (art. 4 TFUE); per di più, gli Stati mem-bri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non haesercitato la propria (art. 2 par. 2 TFUE). Quest’ultimo caso si verificaquando le istituzioni dell’Unione decidono di abrogare un atto legislati-vo, in particolare per assicurare meglio il rispetto costante dei principi disussidiarietà e proporzionalità (Dichiarazione n. 18)

In ulteriori sette settori è prevista una semplice competenza di soste-gno, coordinamento o completamento (art. 6 TFUE). In particolare, lacooperazione allo sviluppo e gli aiuti umanitari possono qualificarsi comecompetenze parallele concorrenti, nel senso che l’Unione conduce una poli-tica autonoma che non impedisce agli Stati membri di esercitare le lorocompetenze, senza tuttavia limitarsi ad essere “complementare” a quel-la portata avanti dai paesi europei. Il complesso di queste attività si in-quadra peraltro in un generale coordinamento delle politiche economi-che, occupazionali e sociali fra gli Stati membri (art. 5 TFUE).

Ed ancora, una dimensione sicuramente internazionalistica è eviden-ziata dalla politica estera e di sicurezza comune (di cui agli artt. 21 ss. delTitolo V NTUE) rispetto alla quale certamente non si evidenziano grandipassi in avanti in ordine al processo decisionale, fermamente ancorato alcriterio dell’unanimità (art. 22) salvo allorché diversamente previsto dalTrattato. In altri termini, la delicatissima questione delle scelte legatealla pace ed alla guerra, e delle relative spese, è sottratta alla competen-za dell’unica autorità democraticamente legittimata. In tale contesto, lanascita della figura dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari este-ri e la politica di sicurezza (art. 18 NTUE), a cavallo tra Consiglio e Com-missione, è certamente non priva di interesse nel tentativo di “personifi-care”, unificandola, l’attività di politica estera dell’Unione.

Riprenderemo successivamente alcune considerazioni sulla politicaestera che pur presenta, nella nuova disciplina, interessanti novità. E tut-tavia, di fronte all’attuale processo di globalizzazione, che ha fortementeattenuato i poteri dei singoli Stati membri riguardo al governo delle rela-zioni internazionali, non tentare, attraverso soluzioni più organiche, un

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recupero di capacità di controllo in questa direzione è certamente un gra-ve errore che relega i margini di azione internazionale dell’Unione ad uninsignificante e certamente inefficace “minimo comune denominatore”.

3. Un ulteriore elemento che sottolinea la caratterizzazione interna-zionalistica del processo di integrazione è dato dalla clausola di recesso:questo è stato espressamente disciplinato (artt. 50 NTUE e 218 par. 3TFUE), consentendo pertanto di evitare complessi dibattiti sulla ricondu-cibilità o meno di tale ipotesi alle norme generalmente previste in mate-ria dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 (art. 56).È vero che la procedura del ritiro volontario dall’Unione è particolarmen-te articolata e che, una volta notificata tale intenzione da parte dello Statomembro, l’Unione apre con esso una trattativa per negoziare le modalitàdi questo ritiro: il Consiglio dei ministri, a maggioranza qualificata e pre-via approvazione del Parlamento europeo, può così concludere l’accordosancendo l’uscita dall’UE. A fronte di una regolamentazione atta ad indi-care la specificità della realtà comunitaria rispetto alle tradizionali orga-nizzazioni internazionali, tuttavia il par. 3 dell’art. 50 NTUE prevede che,in mancanza di tale accordo, il Trattato cessi comunque di applicarsi alloStato interessato due anni dopo la notifica in questione, salvo ulterioreproroga concordata. Allo Stato membro, in altri termini, alla fine è lascia-ta piena libertà di svincolarsi dai legami dell’Unione (almeno in astratto).È quindi indubbio che si tratti di un passo indietro rispetto alla discipli-na prevista dall’art. 51 del Trattato dell’Unione Europea (d’ora in poiT.U.E.), che indica per lo stesso una durata illimitata (come del restol’art. 3 del Trattato di Lisbona) senza tuttavia alcun riferimento formaleed esplicito all’ipotesi di recesso. Ed anche se appare difficile escluderecomunque l’esercizio di tale istituto nel contesto giuridico preesistente,il significato “politico” che ne deriva non è certamente incoraggiante nel-l’ottica della irreversibilità del processo su base sovranazionale.

Così a proposito delle procedure di revisione o emendamento, la disci-plina proposta (art. 48 NTUE) si basa sul tradizionale metodo della Con-ferenza intergovernativa (e quindi il criterio dell’unanimità) per consenti-re una qualsiasi modifica.In effetti, l’aver sostanzialmente riprodotto ladisciplina dell’art. 48 T.U.E. rispetto ad una realtà giuridica abbastanzadiversa appare per lo meno singolare. È vero che per la convocazione del-la Conferenza è sufficiente la maggioranza semplice ai fini dell’esame del-le modifiche proposte (par. 2), ma si tratta di un aspetto del tutto seconda-rio. E soprattutto, nella stessa disposizione per la prima volta viene messoin discussione l’acquis comunitario al momento in cui si consente al gover-no di qualsiasi Stato membro, al Parlamento europeo o alla Commissionela facoltà di sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattatianche nel senso di ridurre le competenze attribuite all’Unione (par. 2); sisancisce in altri termini un’ipotesi di retromarcia, se generalizzata, o dicooperazione indebolita, ove limitata ad alcuni Stati membri!

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In realtà, se non si supera l’ottica “tradizionale” meramente intergo-vernativa, la necessità di raggiungere il consenso fra un numero progres-sivamente più alto di Stati membri renderà estremamente improbabilequalsiasi modifica (migliorativa). Fra l’altro, l’aver espressamente previ-sta la possibilità di recesso dall’Unione in maniera sostanzialmente uni-laterale (come si è appena esaminato) avrebbe dovuto comunque “tran-quillizzare” i Paesi membri che si fossero visti costretti a “subire”, daparte della maggioranza (ovviamente più che qualificata), una revisioneper essi inaccettabile.

Per questa ragione, anzi, con l’eliminazione di ogni riferimento for-male di natura “para-costituzionale”, la sottoposizione di tale revisionealla ratifica da parte di ciascuno degli Stati membri potrebbe più facil-mente collegarsi alla procedura tipica di pressoché tutti gli accordi mul-tilaterali dei quali si consente l’entrata in vigore, in considerazione del-l’alto numero dei Paesi firmatari, una volta ottenuto il deposito di undeterminato numero minimo di ratifiche. Pur non trascurando le partico-lari difficoltà connesse con il funzionamento di un sistema fortementeistituzionalizzato come quello in esame, sarebbe stato “coraggioso” adot-tare procedure come ad es. quella prevista dal Patto internazionale rela-tivo ai diritti civili e politici del 1966. Per esso, i relativi emendamentientrano in vigore dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea generaledelle Nazioni Unite e l’accettazione, secondo le rispettive procedure co-stituzionali, “da una maggioranza di due terzi degli Stati parti” (art. 51par. 2). Non è in questo caso richiesto, per la modifica di un atto pur“costituzionale” nella delicata materia dei diritti umani, il criterio dellaunanimità.

L’insuperato problema politico, e contestualmente giuridico, è dato inaltri termini dalla circostanza che l’UE non è titolare del potere di revi-sione, essendo nel Trattato il relativo procedimento ancora “eteronomo”.Ma una realtà come quella dell’Unione, sottoposta ad evidenti sollecita-zioni politiche ed economiche di grande rilievo, rischia di rivelarsi ina-deguata a fornire le risposte, efficaci e rapide, ad essa richieste se vuoleessere in grado di giocare un ruolo da protagonista nello scenario globa-le. Certamente, in proposito, ritorna la considerazione, appena svolta, chel’Unione non è titolare di una competenza generale ma solo di quelle chead essa vengano conferite specificatamente dagli Stati tramite un trat-tato. E tuttavia immaginare che la semplice rimodulazione tecnica di unacompetenza preesistente al fine di un più efficace esercizio della stessapossa cadere sotto le “forche caudine” di una classica revisione di untrattato lascia francamente perplessi.

C’è d’altronde ben poco da meravigliarsi della situazione appena de-scritta se solo si pensa che il Trattato “costituzionale” non è entrato in vi-gore nonostante l’avvenuta ratifica da parte della maggioranza sia degliStati membri sia della popolazione degli stessi. Sarebbe molto più serioe coerente, in futuro, porre gli Stati ed i loro popoli di fronte alla secca

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alternativa di aderire ad un Trattato che modifichi sensibilmente il qua-dro normativo esistente oppure abbandonare il processo di integrazioneeuropea. Chiamiamola, se si vuole, cooperazione “forzata” invece che “raf-forzata” (secondo quanto invece previsto di fronte a settori particolari edi cui in seguito); ma il significato altamente politico e strategico del pro-cesso di integrazione europea in atto non può essere subordinato a nuoveforme di esercizio del diritto di veto salvo a dichiararne una deprecabilesconfitta!

È anche a mio avviso auspicabile che, ovviamente passando attraver-so le opportune modifiche costituzionali nei singoli Stati membri, si operiuna proiezione su scala europea dello stesso strumento del referendum diapprovazione. In altri termini, il coinvolgimento democratico dei cittadi-ni europei nelle procedure dirette all’entrata in vigore dei Trattati potreb-be determinarsi sulla base di una maggioranza dell’intera popolazionedei Paesi membri (al limite con il correttivo dell’esistenza della maggio-ranza popolare in almeno un predeterminato numero minimo di Stati). Sitratterebbe, in fondo, di una più significativa applicazione del principiodella democrazia partecipativa grazie al quale è già operato dal NTUE,come si è accennato, il riconoscimento del diritto di iniziativa popolarecon cui 1 milione di cittadini europei, aventi la cittadinanza di un nume-ro significativo di Stati membri, possono invitare la Commissione a pre-sentare una proposta legislativa ai fini dell’attuazione dei Trattati (art. 11par. 4 NTUE e art. 24 co. 1 TFUE). Nulla comunque impedirebbe, nel frat-tempo, la previsione di un referendum europeo di natura consultiva dacelebrarsi nello stesso giorno in tutta l’Unione.

Gli elementi indicati appaiono sufficienti ad evidenziare che non citroviamo di fronte ad uno Stato federale o pre-federale ma nemmeno adun super-Stato. Tra l’altro il rapporto gerarchico tra le norme comunita-rie e quelle statali era stato espressamente disciplinato dall’art. I-6 delTrattato “costituzionale” nel senso che “la Costituzione e il diritto adot-tato dalle istituzioni dell’Unione hanno prevalenza sul diritto degli Statimembri”. Come si è già detto, tale affermazione è scomparsa anche senulla cambia in ordine alla “gerarchia” del relativo rapporto;ma anchequesta prevalenza non produce, in caso di contrasto, la nullità dellenorme interne in conflitto con quelle comunitarie.

4. Ciò premesso, per inquadrare “realisticamente” natura e qualitàdell’attuale stato dell’Unione si devono nel contempo ricordare gli enor-mi passi in avanti percorsi dal “punto di partenza” di tipo internazionali-stico: è infatti indubbio che l’esercizio di competenze anche legislative,attribuite ad un ordinamento giuridico distinto da quello interno, eviden-zia la consistenza di elementi aventi varia natura, comunque caratteriz-zati da una significativa integrazione fra situazioni e fonti appartenenti avarie dimensioni (interna, internazionale, comunitaria). Si tratta in altritermini di un ordinamento giuridico dell’integrazione che si sviluppa

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attorno ad un modello a rete, con contaminazioni reciproche fra istituzio-ni ed istituti appartenenti a questi ordinamenti. Sotto alcuni profili que-ste contaminazioni le vediamo anche rispetto alla nostra Costituzione al-cune delle quali sono preesistenti alle ultime modifiche. Si pensi ad es.all’art. 70 per cui la funzione legislativa è esercitata dalle due Camere,ma esso deve evidentemente coordinarsi con l’analoga funzione svolta insede comunitaria e comunque produttiva di effetti diretti nell’ordinamen-to italiano; così dicasi per l’art. 81 disciplinante il bilancio dello Stato asua volta vincolato agli impegni derivanti dal sistema monetario europeo;o ancora all’art. 104 che sancisce l’indipendenza da ogni altro potere del-la nostra magistratura eppure subordinata sotto più aspetti al potere giu-risdizionale comunitario, e così via. Ci troviamo quindi di fronte ad unaintegrazione determinata a diversi livelli che sono anche costituzionali.

È altresì indubbio che questo ordinamento, come oggi si è costruito,contiene comunque forti indizi di federalismo: al di là della soggettivitàinternazionale, non possiamo trascurare la rilevanza giuridico-istituzio-nale ma anche politica della circostanza per cui l’UE oggi è membro dialcune organizzazioni internazionali a partire dalla Food AgriculturalOrganization (FAO) fino alla World Trade Organization (WTO). Rispetto aquest’ultima, il riconoscimento della qualifica di “membro originario” èdiretta conseguenza dell’attribuzione alla Comunità europea di una com-petenza “esclusiva” in materia di relazioni commerciali esterne e costi-tuisce una esplicita formalizzazione giuridica di una posizione di “partecontraente de facto” già acquisita nell’ambito dell’Accordo Generale del1947.

In questa “direzione ideale” il Trattato di Lisbona contiene sicura-mente alcuni elementi interessanti legati alle novità in tema di istituzio-ni e di adozione degli atti giuridici.

a) Sul piano istituzionale, rappresenta una circostanza significatival’attribuzione al Parlamento europeo del potere di eleggere il Presidentedella Commissione per di più a maggioranza dei membri che lo compon-gono (art. 17 par. 7 NTUE), con ciò cambiando significativamente l’attua-le disciplina che prevede tale potere in capo ai governi degli Stati mem-bri. Il Parlamento, ed indirettamente gli elettori, possono quindi eserci-tare un’influenza concreta sulla linea politica della Commissione, attri-buendo finalmente una dimensione autenticamente europea alle elezioniper il Parlamento di Strasburgo.

La composizione dello stesso viene fissata (per un massimo di 750membri più il Presidente) attraverso il principio di rappresentanza“degressivamente proporzionale”, con una soglia minima di 6 seggi e unasoglia massima di 96 seggi per Stato membro (art. 14 NTUE).

Per lo meno contraddittoria appare però la rideterminazione del nu-mero di parlamentari europei ancorata alla popolazione residente ancheextracomunitaria, che ha comportato per l’Italia una ovvia penalizzazionepur parzialmente ridotta (con apposita Dichiarazione n. 4) dopo un brac-

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cio di ferro con il nostro governo. Parlo di contraddittorietà in quanto seproprio si vuole utilizzare tale parametro bisogna avere il coraggio di tra-sformarlo in uno strumento di qualificazione della nuova cittadinanza eu-ropea che, slegata dalla consequenzialità con la cittadinanza di uno Statomembro, trovi una disciplina giuridica autonoma: e possa ad esempioriconoscere l’elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo agli extra-comunitari di lunga residenza.

Anche la nuova procedura di bilancio accresce i poteri del Parlamentoeuropeo, eliminando la distinzione tra “spese obbligatorie” (per le qualinel “pre-Lisbona” l’ultima parola spetta al Consiglio) e “spese non obbli-gatorie” (per le quali nel “pre-Lisbona” l’ultima parola spetta al Parla-mento): quindi, secondo la nuova procedura il Parlamento decide con ilConsiglio la totalità delle spese. In ordine a tale procedura va inoltre sot-tolineato che la Commissione non sottopone più al Consiglio un progettopreliminare bensì presenta a Consiglio e Parlamento europeo una vera epropria proposta contenente il progetto di bilancio europeo attraverso unaversione semplificata della procedura legislativa ordinaria.

Il Parlamento europeo non riesce invece ad intaccare il potere, bensaldo nelle mani intergovernative del Consiglio, di deliberare in ordinealle imposte sulla cifra d’affari alle imposte di consumo ed altre imposteindirette. Evidentemente la tassazione a livello europeo non è questionesu cui un’assise parlamentare è ritenuta degna di occuparsi!

b) Poche ma interessanti modifiche riguardano il Consiglio europeo,la cui figura certamente si consolida a partire dal riconoscimento del suocarattere “istituzionale” e sempre più autonomo rispetto al Consiglio(art. 15 NTUE); esso viene presieduto da una personalità priva di mandatinazionali, accrescendo la visibilità dell’Unione e la coerenza complessivadella sua azione.

Il Consiglio europeo – composto dai capi di Stato o di governo degliStati membri, dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione –continua ad avere compiti di impulso e di indirizzo politico, senza eser-citare funzioni legislative. Tuttavia ad esso si attribuisce il potere di adot-tare numerose decisioni alcune delle quali di portata molto significativa.Si pensi infatti – al di là di quelle assunte nella determinazione relativealla PESC, alla azione esterna (art. 22 NTUE) ed alla eventuale definizio-ne di una politica di difesa comune (art. 42 NTUE) – alla composizionedel Parlamento europeo (art. 14 par. 2 NTUE), al numero dei membridella Commissione ed al relativo sistema di rotazione degli stessi (art. 17par. 5) nonché alla stessa nomina della Commissione (par. 7) ed a quelladell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza (art.18 par. 1). Sono importanti inoltre le competenze decisionali concernentila procedura di revisione ordinaria dei Trattati, la non convocazione a talfine della convenzione o la revisione semplificata (art. 48 NTUE), la pro-roga del termine relativo alla cessazione dei Trattati a seguito di recesso(art. 50 NTUE). Così come merita di essere segnalato il potere di decide-

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re l’estensione delle attribuzioni della Procura europea alla lotta contro lacriminalità grave che presenta una dimensione transnazionale (art. 86,par. 4 TFUE).

Per quanto riguarda la nuova figura del Presidente del Consiglio Eu-ropeo, questa viene eletta a maggioranza qualificata per un periodo di dueanni e mezzo con la possibilità di un unico rinnovo e non può esercitarecontemporaneamente alcun mandato nazionale. L’obiettivo è quello dirafforzare, superando la rotazione semestrale e grazie alla continuitàtemporale, la rappresentanza esterna dell’Unione. Al Presidente si affian-ca l’altra nuova figura del citato Alto rappresentante che partecipa a suavolta alle riunioni del Consiglio Europeo. Se tuttavia ricordiamo che ulte-riori funzioni di rappresentanza esterna sono attribuite al Presidentedella Commissione Europea, l’esigenza di far risaltare con maggior forzal’identità dell’Unione rischia di creare non poca confusione nei cittadiniin ordine a chi la impersonifichi realmente.

In conclusione, il Consiglio Europeo, in un contesto caratterizzato dal-l’aumento del numero degli Stati membri e dal contemporaneo rafforza-mento della dimensione sovranazionale, appare svolgere una sorta di “tu-toraggio” politico ai massimi livelli del processo di integrazione che pre-lude ad una probabile accentuazione del suo ruolo nel sistema comunita-rio.

c) Quanto al Consiglio dei ministri, si prevede che la presidenza dellesue diverse formazioni (ad eccezione del Consiglio «affari esteri», presie-duto dall’ Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la poli-tica di sicurezza) venga esercitata da gruppi predefiniti di 3 Stati mem-bri (il c.d. “team presidencies”) per un periodo di 18 mesi. Tali gruppi sicompongono secondo un sistema di rotazione paritaria degli Stati mem-bri, tenendo conto della loro diversità e degli equilibri geografici dell’U-nione. Ogni Stato membro del gruppo esercita, a turno, la presidenza ditutte le formazioni consiliari per sei mesi, con l’assistenza degli altri duemembri del gruppo, sulla base di un programma comune

d) Profondamente modificata risulta la composizione della Commis-sione ma solo a partire dal 1o novembre 2014. Fino ad allora rimane fermal’attuale proiezione delle rappresentanze nazionali nell’istituzione, che èper sua natura sovranazionale, determinandone la composizione nel 2008in 27 membri nella logica, ormai “assembleare”, di un Commissario perPaese membro. A regime invece la Commissione risulta composta da unnumero di membri, compreso il Presidente e l’Alto rappresentante del-l’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente aidue terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio euro-peo, deliberando all’unanimità, non decida di modificare tale numero.Imembri della Commissione sono scelti tra i cittadini degli Stati membriin base ad un sistema di rotazione assolutamente paritaria tra gli Statimembri che consenta di riflettere la molteplicità demografica e geografi-ca degli stessi. Tale sistema, ai sensi dell’art. 17 NTUE, è stabilito all’u-

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nanimità dal Consiglio europeo conformemente all’articolo 244 del TFUE. Ed in proposito, la Dichiarazione n. 10 relativa a tale disposizione

mira a “compensare” gli Stati non aventi un proprio cittadino nella Com-missione prospettando la necessità di assicurare piena trasparenza nellerelazioni con tutti gli Stati membri, attraverso consultazioni e scambi diinformazioni, e di prendere in considerazione le realtà politiche, socialied economiche di tutti gli Stati membri.

È interessante sottolineare altresì come con il Trattato di Lisbona siintroduca un collegamento diretto tra i risultati delle elezioni europee el’elezione del Presidente della Commissione in quanto il Consiglio euro-peo nel proporre al Parlamento il candidato a tale carica deve tener contodel relativo esito (art. 17, par. 7 NTUE).

e) Evidentemente al di fuori dell’ambito istituzionale dell’Unione, mainserito nell’ambito del processo decisionale giuridico e politico di que-sta, è il nuovo ruolo dei Parlamenti nazionali che “contribuiscono attiva-mente al buon funzionamento dell’Unione” (art. 12 NTUE). Essi debbonoessere informati in via generale dalle istituzioni dell’Unione e ricevere iprogetti di atti legislativi secondo le procedure previste dall’apposito Pro-tocollo n. 1 soprattutto in funzione, ma non solo, del rispetto del princi-pio di sussidiarietà e proporzionalità (art. 69 TFUE) secondo quanto indi-cato dal Protocollo n. 2.

Essi sono poi coinvolti rispetto a specifiche materie o situazioni quali,nell’ambito dello spazio di libertà sicurezza e giustizia, ai meccanismi divalutazione relativi all’attuazione delle politiche dell’Unione in tale set-tore (art. 70 TFUE), essendo fra l’altro associati al controllo politico diEuropol ed alla valutazione delle attività di Eurojust (artt. 88 e 85 TFUE).Devono inoltre essere tenuti al corrente dei lavori del Comitato perma-nente istituito in seno al Consiglio al fine di assicurare all’interno dell’U-nione la promozione e il rafforzamento della cooperazione operativa inmateria di sicurezza interna nonché il coordinamento dell’azione delleautorità competenti degli Stati membri (art. 71 TFUE); questo sostituisceil c.d. “Comitato 36” (dal numero della disposizione del T.U.E.) ridefi-nendone sostanzialmente la missione.

I Parlamenti nazionali partecipano altresì alle procedure di revisionedei Trattati ai sensi dell’art. 48 TFUE e vengono informati delle doman-de di adesione all’Unione (art. 49 TFUE). In termini più squisitamentepolitici, infine, partecipano alla cooperazione interparlamentare con ilParlamento europeo in conformità del citato Protocollo n. 1 (artt. 9 e 10).

Nell’economia dei lavori del sistema dell’Unione non va peraltro sot-tovalutato il pericolo che l’opposizione di uno o pochi Parlamenti nazio-nali possa rendere ancora più complessa l’adozione di atti legislativi giàlegata spesso al difficile criterio dell’unanimità in Consiglio degli Statimembri; né va trascurata la circostanza che il rafforzamento della sussi-diarietà dei poteri dei Parlamenti nazionali rischia di attenuare il poteredi iniziativa della Commissione. E tuttavia nel delicato e complesso equi-

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librio dei rapporti fra istanze nazionali e sovranazionali il ruolo dell’or-gano nazionale espressione della democrazia appare interessante soprat-tutto in prospettiva. In altri termini, le sovranità statali trovano orariscontro, nel sistema dell’Unione, non solo nei governi ma anche nei par-lamenti, i quali si rapportano direttamente alle istituzioni comunitariesenza l’intermediazione dei rispettivi governi ed inoltre relazionano fra diloro e con il Parlamento europeo. L’importanza acquisita dai rapporti fraistituzioni comunitarie e Parlamenti nazionali evidenzia comunque un ul-teriore tentativo di ridurre il c.d. deficit democratico del sistema decisio-nale comunitario ma anche di rafforzarne i livelli di legittimità.

f) Per quel che concerne le novità in tema di atti giuridici, si è già sot-tolineato come la rinuncia a ridefinire gli atti normativi con il nome chead essi competerebbe(legge comunitaria e legge quadro comunitaria, comeerano opportunamente qualificati regolamento e direttiva nel Trattato“costituzionale”)costituisca una evidente contraddizione rispetto alla ne-cessità di trasparenza del sistema.Tuttavia viene assunta come proceduralegislativa ordinaria quella basata sull’adozione congiunta da parte delParlamento e del Consiglio su proposta della Commissione (art. 289TFUE); per cui “gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativasono atti legislativi” (par. 3)! Si è quindi fatto inevitabile omaggio a mon-sieur de la Palisse pur di non consentire “cattivi pensieri” sull’esistenzadi un sistema para-costituzionale!

Comunque l’estensione della codecisione riguarda i settori dell’agri-coltura, della pesca, dei trasporti e dei fondi strutturali, oltre allo spaziodi libertà, sicurezza e giustizia nel suo insieme. Inoltre, per alcuni setto-ri, come le tasse ecologiche, vengono introdotte passerelle specifiche allaprocedura legislativa ordinaria.

Altrettanto interessante è la ampia estensione del voto a maggioranzaqualificata, la quale presuppone, evidentemente, l’accettazione di esseremessi in minoranza e quindi, trattandosi di Stati all’interno di un’orga-nizzazione, di non poter più esercitare con pienezza la propria sovranità.Tale estensione riguarda oltre 40 nuove materie tra le quali lo spazio dilibertà sicurezza e giustizia (che comprende i controlli alle frontiere, l’a-silo e l’immigrazione, la cooperazione giudiziaria civile e penale e la coo-perazione di polizia) La soluzione trovata, non senza difficoltà, prevedealfine che, come si è anticipato, per maggioranza qualificata si intendaalmeno il 55% dei membri del Consiglio, con un minimo di quindici rap-presentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazionedell’Unione.

Un’eventuale “minoranza di blocco” (cioè la coalizione di Stati neces-saria per impedire che una decisione sia presa a maggioranza) deve com-prendere almeno 4 Stati membri. Tuttavia questa regola entrerà in vigo-re il 1o novembre 2014 e sino a tale data continuerà ad applicarsi l’attua-le sistema di voto definito dal Trattato di Nizza che peraltro potrà esten-dersi fino al 31 marzo 2017, su richiesta di un membro del Consiglio. È

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prevista, inoltre, l’applicazione dei principi del c.d. “compromesso diIoannina” secondo cui i Paesi che rappresentano il 75% di una minoran-za di blocco, tanto in termini di Stati che di popolazione, potranno defe-rire la questione al Consiglio affinché raggiunga un accordo entro un ter-mine ragionevole. Tali soglie saranno ridotte al 55% della minoranza diblocco a partire dal 31 marzo 2017.

Rimangono per di più sottoposti al criterio della unanimità settoriperaltro importanti come il sistema tributario, la sicurezza sociale, i dirit-ti dei cittadini, lingue, le sedi delle istituzioni e le linee principali dellepolitiche comuni di difesa, sicurezza e di politica estera.

5. Le modifiche appena descritte non possono quindi che esprimereuna volontà politica di continuità nell’approfondimento dell’Unione, purnei limiti indicati, come d’altronde indicato nel Preambolo del Trattato diLisbona sia al primo capoverso (“Decisi a segnare una nuova tappa nelprocesso di integrazione europea intrapreso con l’istituzione delle Co-munità europee”) che al quattordicesimo (“In previsione degli ulterioripassi da compiere ai fini dello sviluppo dell’integrazione europea”) e co-me ribadito all’art. 1 NTUE (“Il presente trattato segna una nuova tappanel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popolidell’Europa”). L’approfondimento del processo di integrazione, peraltro,non può che avvenire nella ricerca di una comune identità rintracciabilenei valori propri dell’Unione che l’art. 2 NTUE individua nella dignitàumana, nella libertà, nella democrazia, nello Stato di diritto e nel rispet-to dei diritti umani. Si tratta cioè del “collante” che lega indissolubil-mente in un progetto strategico comune Paesi che, pur dotati di storia ecultura diversi, hanno deciso di interpretare tali differenze come “valori”unificanti ben sintetizzati nel motto “Unita nella diversità” nonostante laretrocessione dalla sua ufficialità.

Tali “valori” diventano altresì il riferimento imprescindibile per iPaesi che intendano entrare a far parte dell’Unione. È in proposito signi-ficativo che nell’art. 49 NTUE sia stato sostituito il riferimento al rispet-to dei “principi”, quali sanciti nell’art. 6 par. 1 T.U.E., con quello appun-to dei “valori” di cui all’art. 2 NTUE. Per di più, si aggiunge l’obbligo ditener conto, a tal fine, dei “criteri di ammissibilità convenuti dal Con-siglio europeo”(par. 1). Questi, fissati a Copenaghen nel 1993 e modifi-cati a Madrid nel 1995, sono divisi in 4 punti: situazione politica, situa-zione economica, capacità di assumere gli obblighi che comporta l’ade-sione, capacità amministrativa e di applicazione dell’acquis. Ognuno ditali parametri viene poi ulteriormente specificato: i criteri politici, adesempio, comprendono da un lato democrazia e primato del diritto e, dal-l’altro, diritti dell’uomo e tutela delle minoranze. La democrazia ed il pri-mato del diritto, a loro volta, vengono scrutinati utilizzando una grigliacomposta da organizzazione e funzionamento del Parlamento, del potereesecutivo e del potere giudiziario.

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Inoltre, mentre l’art. 2 T.U.E. fissa quale iniziale obiettivo il “promuo-vere un progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazio-ne”, l’art. 3 par. 1 del NTUE in termini ancor più pregnanti sotto un pro-filo politico dichiara che “L’Unione si prefigge di promuovere la pace, isuoi valori e il benessere dei suoi popoli”.

Così come molto significativa, almeno simbolicamente, è la circostan-za di aver indicato che il Parlamento europeo è composto non più, comerecita il T.C.E., dai “rappresentanti dei popoli degli Stati” bensì dai “rap-presentanti dei cittadini dell’Unione” (art. 14 NTUE par. 2, che riprendeil precedente art. 10 par. 2) a sottolineare il rapporto diretto tra Unionee suoi cittadini senza la necessità di una intermediazione degli Stati. Lostesso spazio di libertà, su cui poi si esercitano i principi fondamentalidell’UE, sempre più viene inteso quale sfera unificata di sviluppo delleattività di governo al di sopra delle sovranità territoriali.

Di sicuro rilievo è inoltre il “metodo” della Convenzione, con imme-diata contaminazione dall’approccio scelto per la prima volta con la Cartadi Nizza, che viene istituzionalizzato per le future revisioni, effettuatesecondo la procedura ordinaria, del Trattato (art. 48, par. 3 NTUE). Ilsuperamento del mero negoziato diplomatico verticistico, attraverso uncoinvolgimento sempre più ampio della “società” (latamente intesa) edelle istituzioni nazionali, rappresenta un importante passo verso unacostruzione “dal basso” della realtà europea e quindi anch’esso un vali-do strumento per il progressivo superamento di “steccati” nazionali. Ilmetodo della Convenzione, così come perfezionato, si è rilevato di gran-de efficacia in occasione della redazione del Trattato “costituzionale” edha suscitato una partecipazione ampia al dibattito sull’integrazione tantoda dimostrarne la insostituibilità rispetto a qualsiasi futura modifica si-gnificativa del Trattato.

E ancora, non meno importante, la questione dei diritti fondamentali:la Carta di Nizza, la prima del terzo millennio, ha segnato un momento digrandissimo significato politico e simbolico nell’ottica di una costruzionedi una integrazione europea non fondata sui meri tipici rapporti interna-zionalistici. Ad essa è stato affidato l’altissimo compito di codificare il“modello sociale europeo”, frutto di un lento cammino pluridecennale chefinalmente approda alla conclusione di una tappa dai caratteri decisivi.

Anche per questa ragione, l’acceso dibattito sull’efficacia giuridicadella Carta (“dichiarata” solennemente ed adattata, come si è detto, il 12dicembre 2007) e sui suoi limiti, quali legati al suo mancato inserimentoin un atto giuridico di natura vincolante, dovrebbe ormai considerarsi su-perato. A dire il vero, essa già costituisce parametro di riferimento pervalutare la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie nonché degliatti statali di esecuzione delle norme comunitarie ed inoltre dà contenu-to all’art. 7 NTUE (art. 7 del T.U.E.) con la relativa procedura di accerta-mento delle gravi violazioni dei diritti fondamentali da parte degli Statimembri. L’inserimento della Carta a pieno titolo nel sistema dell’Unione,

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pur se con il discutibile e singolare artificio suaccennato, presenta in talsenso grande rilievo in ordine alla sua efficacia giuridica concreta; e nelcontempo, in una sorta di “simbiosi mutualistica”, la sua stessa presen-za contribuisce ad incrementare significativamente il valore dei Trattatinel senso della presenza di un vero e proprio Atto fondamentale che trovanella Corte di giustizia il proprio “garante giudiziario” quale una sorta diCorte costituzionale dell’Unione.

È altresì evidente che la Carta costituisce rispetto all’Unione un veroe proprio habeas corpus per cui le istituzioni europee sono chiaramentevincolate al suo rispetto e si potrà chiedere l’annullamento di un atto del-l’UE che sia con essa incompatibile.

D’altronde, l’aver sostituito la sanzione formale del “primato” del di-ritto comunitario con un mero rinvio, attraverso la Dichiarazione n.17,alla costante giurisprudenza della Corte non dovrebbe far dimenticareche quest’ultima nella sentenza 23 aprile 1986 (causa 294/83, Les Vertsc. Parlamento) ha definito i Trattati “la Carta costituzionale fondamenta-le della Comunità”. Non solo. Tale Dichiarazione esprime comunque, amaggior ragione in quanto non necessaria, una “condivisione” politica daparte degli Stati membri del principio fondamentale della supremaziadel diritto dell’Unione; per di più essa è giuridicamente suffragata da unallegato parere del Servizio giuridico del Consiglio per il quale la mancatainclusione della preminenza nel Trattato “non altera in alcun modo l’esi-stenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte digiustizia”.

Inoltre, l’abolizione del sistema dei tre pilastri non solo semplifica l’ap-plicazione del diritto comunitario (evitando problemi a volte non semplicinella mera individuazione della relativa base giuridica) ma dovrebbe con-sentire l’uniforme applicazione della Carta in ogni zona dell’ordinamentogiuridico comunitario, anche laddove è preclusa la giurisdizione della Cor-te di giustizia. Sotto questo profilo la Carta costituisce una importan-tissima amplificazione della nozione stessa di cittadinanza europea.

Un ulteriore rafforzamento della presenza dei “diritti fondamentali”nel sistema comunitario è ancora dato dalla previsione di adesione allaConvenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liber-tà fondamentali (art. 6 par. 2 nonché Protocollo n. 8). Grazie a questa“clausola di abilitazione” viene superato il problema dell’assenza di fon-damento giuridico ritenuto, a ragione, dalla Corte di giustizia (Parere2/94) ostacolo insormontabile al fine di tale adesione. Quando questa siperfezionerà, gli Stati saranno evidentemente vincolati, nel dare attua-zione al diritto comunitario, anche alla Convenzione, dando ulteriore for-za alla considerazione per cui i diritti dell’uomo e le libertà fondamenta-li hanno profonde radici nel passato dell’Europa e ne definiscono in ma-niera determinante il futuro.

In questo contesto sarà nei fatti probabilmente ridimensionata la por-tata dell’opting out formulato dal Regno Unito attraverso il Protocollo n.

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30 rispetto ad alcuni profili di applicazione della Carta (che alla Conven-zione del 1950 in ampia parte di ispira); da un lato è immaginabile che lecorti britanniche, dovendosi pronunciare su casi concernenti la protezio-ne di uno dei diritti fondamentali dalla stessa garantiti, si attenganocomunque all’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia in sentenzeriguardanti altri Stati membri. Ed inoltre comunque la Carta orienterà ilcontenuto degli atti normativi adottati dalle istituzioni comunitarie con laconseguente proiezioni in tutti gli ordinamenti interni degli Stati membri.

Si viene peraltro a determinare una parziale ma indubbia sovrapposi-zione tra la Carta e la Convenzione europea, con la ulteriore necessità diuna coerenza dei due ordini normativi e dei rispettivi sistemi di tutelagiurisdizionale, essendo gli Stati vincolati ad entrambe nel dare attua-zione al diritto dell’Unione. D’altronde il progressivo affiancarsi dell’a-zione dell’UE, in un campo che era stato una prerogativa sul piano conti-nentale al Consiglio d’Europa, è ulteriormente evidenziato dalla recenteistituzione della Agenzia dell’Unione per i diritti fondamentali (Regola-mento 168/2007 del 15 febbraio 2007). Si tratta di un ente comunitarioindipendente avente lo scopo di fornire alle istituzioni competenti dellaComunità ed agli Stati membri, nell’attuazione del diritto comunitario,assistenza e consulenza in materia di diritti fondamentali, in modo daaiutarli a rispettare pienamente tali diritti quando essi adottano misureo definiscono iniziative nei loro rispettivi settori di competenza. Essaquindi lavora a stretto contatto con altre istituzioni ed organi che opera-no a livello nazionale ed europeo ed è chiamata in particolare ad amplia-re la collaborazione con il Consiglio d’Europa e con la società civile me-diante la creazione di una piattaforma per i diritti fondamenti.

Merita infine di essere segnalata la soluzione trovata riguardo allacontroversa questione delle “radici cristiane” dell’Europa. Nel PreamboloNTUE ci si riferisce, quale fonte di ispirazione, “alle eredità culturali,religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori uni-versali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà,della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto”. Più concreta-mente, l’art. 17 TFUE si afferma che “L’Unione rispetta e non pregiudicalo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godononegli Stati membri in virtù del diritto nazionale”, mantenendo con esseun “dialogo aperto, trasparente e regolare”. Viene così trasferito all’in-terno del TFUE, acquisendone la forza giuridica, la Dichiarazione n. 11,di analogo contenuto, allegata al Trattato Amsterdam del 1997.

6. Anche se hanno costituito l’aspetto più delicato ed anche contro-verso delle modifiche introdotte nel sistema dell’Unione, le questioniistituzionali non esauriscono gli unici profili di novità presenti nel Trat-tato di Lisbona. Infatti, anche le politiche materiali, delle quali si occupail TFUE, sono state sottoposte ad alcune revisioni a partire dall’ambitodell’integrazione economica.

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a) Su di un piano generale, è stato inserita una nuova norma (art. 9)con cui si stabilisce che, nella definizione e nell’attuazione delle sue poli-tiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la pro-mozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguataprotezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livellodi istruzione, formazione e tutela della salute umana.

In materia di politica sociale, viene rafforzato il riconoscimento e lapromozione del ruolo delle parti sociali facilitandone il dialogo, anche at-traverso il vertice sociale trilaterale per la crescita e l’occupazione, nel ri-spetto della loro autonomia e della diversità dei sistemi nazionali (art.152).

Istruzione e formazione vengono opportunamente arricchite dall’inse-rimento dello sport del quale l’Unione contribuisce alla promozione deiprofili europei, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutturefondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa (art.165, par. 1); e favorisce altresì la cooperazione con i Paesi terzi e le orga-nizzazioni internazionale competenti del settore a partire dal Consigliod’Europa (art. 165, par. 3).

Riguardo alla sanità pubblica, viene estesa l’azione diretta a fronteg-giare gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero ed a proteg-gerla in relazione al tabacco ed all’abuso di alcol nonché a fissare elevatilivelli di qualità e sicurezza dei medicinali (art. 168, par. 5).

Di sicuro interesse è l’art. 189 grazie al quale – al fine di favorire ilprogresso tecnico e scientifico, la competitività industriale e l’attuazionedelle sue politiche – l’Unione elabora una politica spaziale europea pro-muovendo iniziative comuni, sostenendo la ricerca e lo sviluppo tecnolo-gico e coordinando gli sforzi necessari per l’esplorazione e l’utilizzo dellospazio.

Un apposito Titolo XXI ed una specifica norma (art. 194) costituisco-no la base giuridica per la politica dell’Unione nel settore della energiafondata, come si è detto, sull’esigenza di preservare e migliore l’ambien-te e caratterizzata da uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri. Essaha il compito di garantire il funzionamento del mercato dell’energia, lasicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione, promuovere ilrisparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuo-ve e rinnovabili, promuovere l’interconnessione delle reti energetiche.

Tra i settori di azione complementare dell’Unione è stato inoltre inse-rito il Turismo per incoraggiare la creazione di un ambiente propizio allosviluppo delle imprese, nell’ambito della competitività fra di esse, e favo-rire la cooperazione tra Stati membri, in particolare attraverso lo scam-bio delle buone pratiche (art. 195).

Una nuova base giuridica è introdotta anche in tema di protezione civi-le, al fine di rafforzare l’efficacia dei sistemi di prevenzione e di prote-zione dalle calamità naturali o provocate dall’uomo. Ciò comporta soste-nere e completare l’azione degli Stati membri a livello nazionale, regio-

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nale e locale concernente la prevenzione dei rischi, la preparazione degliattori della protezione civile negli Stati membri e l’intervento in caso dicalamità naturali o provocate dall’uomo all’interno dell’Unione; promuo-vere una cooperazione operativa rapida ed efficace all’interno dell’Unionetra i servizi di protezione civile nazionali; favorire la coerenza delle azio-ni intraprese a livello internazionale in materia di protezione civile (art.196).

Al fine di rendere più efficienti gli interventi in tutti i settori e miglio-rare il necessario coordinamento con gli Stati membri, viene inoltre pre-vista una cooperazione amministrativa con questi per aiutarli ad attuareil diritto dell’Unione facilitando lo scambio di informazioni e di funzio-nari pubblici e sostenendo programmi di formazione (art. 197).

La gran parte delle ulteriori modifiche riguarda comunque i profiliprocedurali dell’adozione degli atti normativi con una estensione sia del-la procedura legislativa ordinaria che della decisione a maggioranza nelConsiglio.

b) Con la indicata acquisizione della personalità giuridica l’interaUnione si procura un evidente vantaggio rispetto alla sua capacità di azio-ne sulla scena internazionale, valorizzata in tutti i settori ed in grado diesprimersi in modo più efficace, coerente e visibile nelle sue relazioni conil resto del mondo. Tuttavia, e differentemente dall’approccio “unitario”del Trattato “costituzionale”, la sopravvivenza “virtuale” del secondo pila-stro è evidenziata dalla circostanza che la PESC e la PESD vengono disci-plinate nel NTUE mentre le altre azioni esterne (quella commercialecomune, la cooperazione con i Paesi terzi e l’aiuto umanitario, le misurerestrittive, gli accordi internazionali, la clausola di solidarietà) sono rego-late, ad eccezione dei profili di carattere generale, dal TFUE.

Ciò premesso, la politica estera e di sicurezza comune prevede, comesi è detto, la novità della istituzione della figura dell’Alto rappresentantedell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (art. 18 NTUE) cheè chiamato ad attuare la politica estera e di sicurezza comune ricorrendoai mezzi nazionali e a quelli dell’Unione. Egli presiede il Consiglio “Affariesteri” e contribuisce con proposte all’elaborazione della politica estera edi sicurezza comune assicurando altresì l’attuazione delle decisioni adot-tate dal Consiglio europeo e dal Consiglio. L’Alto rappresentante divieneanche uno dei vicepresidenti della Commissione europea quale respon-sabile per le relazioni esterne ed il coordinamento degli altri aspettiesterni dell’azione dell’Unione, con ciò ponendo fine al dualismo tra lesue funzioni, considerato che è anche Segretario generale del Consiglio,e quelle del Commissario responsabile per le relazioni esterne. Questanovità dovrebbe garantire maggiore coerenza ed efficienza nell’azioneesterna dell’Unione accrescendo il ruolo e la visibilità dell’UE sulla scenamondiale. Attraverso questa figura viene altresì valorizzato il ruolo delParlamento europeo, consultato regolarmente ed informato sui principaliaspetti e sulle scelte fondamentali della sua attività, dovendosene le rela-

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tive opinioni essere tenute in debita considerazione (art. 36 NTUE).E tuttavia l’intero settore resta ancorato al criterio decisionale dell’u-

nanimità (art. 23 NTUE), salvo alcuni casi marginali, con ciò ribadendoevidenti limiti di efficacia nella sua capacità di azione. Fa eccezione lac.d. astensione costruttiva (art. 31 NTUE) grazie alla quale uno Statomembro, pur non obbligato ad applicare una decisione, consente che lastessa impegni l’Unione sulla base di una “spirito di mutua solidarietà”.D’altronde, pur essendo stata abolita la struttura in tre pilastri, la PESCmantiene una sua evidente autonomia palesata, fra l’altro, dalla circo-stanza che pressoché tutte le relative disposizioni sono contenute nelNTUE indipendentemente dalla importanza delle stesse. Secondo unaidentica logica, la Corte di giustizia non è competente riguardo a tali dis-posizioni (art. 275 TFUE), se non per monitorare il rispetto dell’articolo40 del NTUE e per pronunciarsi sui ricorsi, proposti secondo le condizio-ni di cui all’articolo 263 del TFUE, riguardanti il controllo della legitti-mità delle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di per-sone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio in base al titolo V, capo 2del NTUE.

Fra l’altro, nella Dichiarazione n. 13 relativa alla politica estera e disicurezza comune si sottolinea che le relative disposizioni del NTUE la-sciano impregiudicate sia le competenze degli Stati membri per la for-mulazione e la conduzione della loro politica estera sia la loro rappre-sentanza nazionale nei Paesi terzi e nelle organizzazioni internazionali.Ed altrettanto dicasi per le disposizioni riguardanti la politica comune inmateria di sicurezza e di difesa che non pregiudicano il carattere specifi-co della politica di sicurezza e di difesa degli Stati membri.

Viene comunque ribadito l’impegno per cui gli Stati dell’UE anchemembri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite “si concertano etengono pienamente informati gli altri Stati membri e l’Alto rappresen-tante”. Ed è anche simbolicamente significativo che quest’ultimo vengainvitato dagli Stati membri a presentare la posizione dell’Unione,even-tualmente definita, su di un tema all’ordine del giorno del Consiglio disicurezza (art. 34 NTUE). A fronte di irrealistiche ipotesi di attribuzionedi un unico seggio all’Unione Europea (con il criterio dell’unanimità inpolitica estera si dovrebbe quasi sempre ricorrere all’astensione se nonall’assenza!), questa ci sembra questa comunque una soluzione concretaper quanto minimale.

Così come bisogna segnalare la nascita di un’Agenzia nel settore dellosviluppo delle capacità di difesa, della ricerca, dell’acquisizione e degliarmamenti (Agenzia europea per la difesa), aperta a tutti gli Stati mem-bri che desiderino farne parte. Essa è incaricata di individuare le esigen-ze operative, promuovere misure per rispondere alle stesse, contribuire aindividuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a raffor-zare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipa-re alla definizione di una politica europea delle capacità e degli arma-

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menti, e assistere il Consiglio nella valutazione del miglioramento dellecapacità militari (artt. 42 par. 3 e 45 NTUE).

La politica in materia di sicurezza è anzitutto basata su di una clau-sola di solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco ter-roristico oppure sia vittima di una calamità naturale o provocata dall’uo-mo (art. 222 TFUE). Inoltre, viene istituito un corpo volontario europeo diaiuto umanitario per inquadrare contributi comuni dei giovani europeialle azioni di aiuto umanitario dell’Unione. Il relativo statuto e le moda-lità di funzionamento sono regolate da una legge europea (art. 214, par. 5TFUE).

Ma gli Stati membri in possesso di più significative capacità militari,disposti a sottoscrivere impegni più vincolanti in materia ai fini delle mis-sioni più impegnative, possono instaurare una cooperazione strutturatapermanente nell’ambito dell’Unione (art. 42, par. 6 NTUE). Detta coopera-zione, caratterizzata eccezionalmente dall’adozione di decisioni a mag-gioranza qualificata, è disciplinata altresì dall’art.46 nonché dal Proto-collo n. 10. Quest’ultimo prevede che gli Stati aderenti siano in grado difornire al più tardi nel 2010, a titolo nazionale o come componenti digruppi di forze multinazionali, unità di combattimento in particolare perrispondere a richieste dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e sosteni-bili per un periodo iniziale di 30 giorni prorogabili fino ad almeno 120giorni.

Rispetto invece alla politica commerciale comune, inserita nell’ambitodell’azione esterna dell’Unione, l’ampliamento delle relative competenzeè affiancato da un deciso rafforzamento del ruolo del Parlamento europeochiamato ad una approvazione preventiva in particolare per gli accordi diassociazione e di cooperazione (artt. 206 e 207 TFUE).

c) Maggiori modifiche, rispetto al regime “pre-Lisbona”, sono riscon-trabili, nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Titolo V,art. 67 ss. TFUE).Sul presupposto dell’abolizione del “terzo pilastro”, vie-ne del tutto eliminata la dicotomia con le disposizioni rientrati nel Trat-tato che istituisce la Comunità europea (d’ora in poi T.C.E.) e fissate qualiregole generali la procedura legislativa ordinaria fondata sulla codecisio-ne ed il voto a maggioranza qualificata. L’unitarietà della disciplina chene deriva, sottoposta al controllo della Corte di giustizia, è saldamenteancorata al rispetto dei diritti fondamentali per cui la politica comune inmateria di asilo, immigrazione e controllo sulle frontiere esterne è basa-ta sulla “solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadinidi paesi terzi” (par. 2).

Gli interventi più significativi sono peraltro previsti, a partire dallaadozione degli atti a maggioranza qualificata, per la cooperazione giudi-ziaria in materia penale (art. 82 ss. TFUE) fondata sul principio del rico-noscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie inclu-dendo il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari de-gli Stati membri. Mediante direttive possono essere stabilite, come ac-

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cennato, norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzio-ni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una di-mensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni ditali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.Sparisce invece la discutibile categoria delle “decisioni quadro” (art. 34par. 2 b T.U.E.) assimilabili alle direttive ma singolarmente prive di effi-cacia diretta.

Inoltre, per combattere i reati che ledono gli interessi finanziaridell’Unione, il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo unaprocedura legislativa speciale, può istituire una Procura europea a parti-re da Eurojust. La Procura europea è competente per individuare, perse-guire e rinviare a giudizio, eventualmente in collegamento con Europol,gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, qualidefiniti dal regolamento previsto nel paragrafo 1, e i loro complici. Essaesercita l’azione penale per tali reati dinanzi agli organi giurisdizionalicompetenti degli Stati membri (art. 86 TFUE).

7. Il processo di integrazione europea deve comunque misurarsi conil problema della cittadinanza e di un popolo europeo. Abbiamo già sotto-lineato l’importanza,non solo simbolica, del riferimento ai cittadini del-l’Unione quali legittimanti il Parlamento europeo, pilastro della demo-crazia rappresentativa europea, e quindi come prima espressione di unpopolo europeo. Peraltro non può essere sottovalutata la circostanza chela cittadinanza europea, la prima ad essere espressa da una organizza-zione internazionale per quanto atipica, rappresenta ad oggi l’unico esem-pio di un istituto giuridico che,caratteristico del diritto interno, si è inve-ce sviluppato in ambito interstatale.

L’opportunità di dotare tale figura giuridica di primi livelli di autono-mia, pur nella dovuta ed inevitabile riaffermazione della sua dipendenzadalle cittadinanze nazionali, è alla base della circostanza per cui il Trat-tato di Lisbona ha modificato il testo della norma istitutiva della cittadi-nanza europea. Infatti, nell’espressione contenuta nel T.U.E. essa “costi-tuisce un complemento della cittadinanza nazionale” (anche se la versio-ne francese recita “La citoyenneté de l’Union complète la citoyenneténationale”),venendo considerata in maniera del tutto “sussidiaria” ri-spetto alla cittadinanza dello Stato membro che comunque ne costituiscel’indispensabile presupposto. Ben altra portata assume quanto affermal’art. 9 del NTUE per il quale “La cittadinanza dell’Unione si aggiungealla cittadinanza nazionale”: ci troviamo di fronte alla prospettiva di unavera e propria “seconda cittadinanza” e quindi dell’autonomia di statusper quest’ultima. Per il momento assistiamo comunque ad una reciprocaed interessante “contaminazione” tra vecchie e nuove forme di cittadi-nanza, legate al complesso rapporto tra dimensioni nazionale e transna-zionale delle relazioni soggettive.

La necessità di una più decisa evoluzione è data dalle ulteriori novi-

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tà, non eccezionali ma almeno simbolicamente significative, introdotteprima dal Trattato “costituzionale” e poi dal Trattato di Lisbona del 2007.Nel considerare le variazioni introdotte da quest’ultimo va segnalato chenel “clima” anticostituzionale ed antieuropeista che si respirava a Bru-xelles durante la Conferenza intergovernativa preparatoria della riformail titolo relativo alla “cittadinanza” era stato estrapolato dal testo delTrattato per essere derubricato in un Allegato dello stesso. È infatti evi-dente che, nel suindicato rigetto iconoclastico di ogni simbolo di portata“paracostituzionale”, la “cittadinanza dell’Unione” costituiva un eviden-te ed ingombrante intralcio. L’operazione, la cui riuscita sarebbe stata digran lunga più devastante rispetto alla virtuale privazione di ufficialitàdei simboli (bandiera, inno, motto) non ha avuto esito positivo.

Tale “inusuale” proiezione ultranazionale dell’istituto della cittadi-nanza, per fortuna pienamente confermato,evidenzia quindi una opzionepolitica ben precisa ed in linea con gli sforzi di meglio qualificarla opera-ta, nei limiti del consentito, dalla Corte di giustizia. E già il Preambolodella Carta dei diritti fondamentali aveva affermato che l’Unione “ponela persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unio-ne…” operando un ribaltamento di prospettiva rispetto alla formula del-l’art. 6 T.U.E., che si riferisce agli Stati. In particolare,dopo il riconosci-mento della cittadinanza all’art. 9 NTUE la Parte II del TFUE viene adessa dedicata (soprattutto articoli 18-25), enucleando otto diritti, inquanto aggiunge ai sei previsti dal T.C.E. (relativi alle elezioni ammini-strative e parlamentari europee, alla libera circolazione, alla tutela diplo-matica e consolare, al alla petizione al Parlamento europeo, al Mediatoreed ai rapporti epistolari con istituzioni ed organi dell’Unione) quelli “allatrasparenza” e di “accesso ai documenti” (art. 15 TFUE).

Con il Trattato di Lisbona la figura del “cittadino europeo” acquistacomunque, come si è accennato, maggiore risalto almeno simbolico. NelPreambolo si afferma che gli Stati membri “decisi ad istituire una citta-dinanza comune ai cittadini dei loro paesi” e “decisi a portare avanti ilprocesso di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popolidell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai citta-dini, conformemente al principio della sussidiarietà”. All’art. 3 par. 2NTUE si precisa che “L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di liber-tà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne…”. Ma è anche opportu-no sottolineare il valore della dignità umana che, ripreso dall’art. 1 dellaCarta e sancito immediatamente nell’art. 2, si trasforma in vero e proprioparadigma interpretativo dell’intero Trattato e quindi di amplificazionedella figura stessa del cittadino europeo. In altri termini, rivestire di“dignità” la cittadinanza europea non può che tradursi progressivamentenell’assunzione di autonomia della relativa figura giuridica.

È infatti con il riconoscimento di diritti di protezione sociale autono-mamente connessi alla condizione di cittadino europeo, e non allo statusfunzionale del soggetto nel mercato comune, che appare più evidente una

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notevole spinta alla valorizzazione della cittadinanza dell’Unione impres-sa anche grazie alla giurisprudenza della Corte. In realtà emerge pro-gressivamente l’idea per cui,istituendo la cittadinanza dell’Unione ericonnettendo ad essa il diritto di circolare al suo interno, i Paesi mem-bri hanno accettato la solidarietà finanziaria dei cittadini di uno Stato conquelli degli altri Stati membri.

La stessa Direttiva n. 38 del 2004 ribadisce del resto un ben maggio-re grado di responsabilità sociale nei confronti dei rispettivi cittadini inparticolare laddove prevede un diritto incondizionato di residenza, conaccesso ai diritti sociali garantiti dallo Stato membro ospitante, in favoredei cittadini di altri Stati membri che risiedano stabilmente in esso peroltre cinque anni; si tratta di un essenziale elemento di promozione dellacoesione sociale la quale costituisce uno degli obiettivi fondamentalidell’Unione.

Si sta in altri termini sviluppando una vera e propria dimensione so-ciale della cittadinanza fondata sulla solidarietà intracomunitaria. Taledimensione fra l’altro non può che essere rafforzata grazie al valore giuri-dicamente vincolante della Carta dei diritti fondamentali in considera-zione del suo Titolo IV interamente dedicato (artt. 27-38) alla solidarietà.

Sotto altro profilo, è interessante sottolineare il più stretto collega-mento che, con l’abolizione della suddivisione dell’Unione nei tre pila-stri, si è determinato fra cittadinanza, non più ingabbiata nel primo pila-stro, ed “area di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne”(giàterzo pilastro) che, ai sensi dell’art. 3 par. 2 del NTUE, costituisce unodegli obiettivi del sistema come ulteriormente ed in termini più analiticiprecisato nell’art. 67 TFUE. Viene così realizzata una significativa intera-zione fra la cittadinanza ed i vari profili di sicurezza garantiti nel rispet-to dei diritti fondamentali, ivi compresa la protezione dei dati personali(art. 16 TFUE)

Un’ulteriore differenza, in termini generali, si può cogliere nella cir-costanza che la cittadinanza dell’Unione, quale strumento per rafforzarela tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini degli Stati membri, èinserita tra gli “obiettivi” del T.U.E. (art. 2) ma scompare nella corri-spondente disposizione del NTUE. Non si tratta tuttavia di un “ridimen-sionamento” in quanto, in maniera più incisiva, diviene frequente neinuovi Trattati il riferimento ai “cittadini dell’Unione” (v. nel NTUE lostesso art. 3 para. 2 e 5, gli artt. 9, 10, 11, 13, 14 e 35 e nel TFUE gli artt.20-25. 170. 227 e 228.

Il salto di qualità è ben visibile, indicando la prospettiva della istitu-zione di una vera e propria “seconda cittadinanza” e quindi l’autonomiadi status per quest’ultima. Per il momento assistiamo comunque ad unareciproca ed interessante “contaminazione” tra vecchie e nuove forme dicittadinanza, legate al complesso rapporto tra dimensioni nazionali etransnazionale delle relazioni soggettive. E comunque sin d’ora è appenail caso di segnalare che mentre la cittadinanza nazionale fonda la propria

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originarietà nel rapporto “cittadino-Stato”, quella europea la individuacomunque nel diverso rapporto “cittadino - Stato membro - Unione”.

Il limite di fondo e l’inadeguatezza dell’attuale “disegno giuridico”caratterizzante la cittadinanza europea è in realtà dato dalla circostanzache esso è avvenuto ricalcando il vecchio modello dello Stato ottocente-sco attraverso il mero (anche se comunque significativo) aggiornamentodella trasposizione su base ultranazionale dei diritti di un soggetto checircola nel territorio europeo, viene protetto dagli uffici consolari e diplo-matici, indirizza petizioni agli organi comunitari.

La nuova espressione utilizzata nel NTUE peraltro suggerisce proba-bilmente l’intenzione di giungere, in un futuro si spera non lontano, a con-ferire all’Unione europea il potere di attribuire la propria cittadinanzasecondo una autonoma regolamentazione giuridica. D’altronde la Cortesembra orientarsi in questa prospettiva quando afferma più volte che “lostatus di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamen-tale dei cittadini degli Stati membri”; risulta quindi evidente il caratterepoliticamente “strumentale” che la cittadinanza europea assume nellacostruzione di una “coscienza europea”.

Nella identica logica si prevede l’iniziativa legislativa popolare,in pre-cedenza descritta.In proposito, appare tuttavia singolare la circostanzache tale anche simbolicamente significativa espressione del “diritto dipartecipare alla vita democratica dell’Unione” (par. 3 dell’art. 11 NTUE)non sia inserita nell’elenco dei diritti qualificanti la cittadinanza europeacome elencati nell’art. 20 del TFUE considerato, per di più che la relati-va lett. d si riferisce alla “petizione al Parlamento europeo” ed al “dirit-to di rivolgersi al mediatore ed alle istituzioni ed agli organi consultividell’Unione” attivabili secondo quanto previsto dallo stesso suindicatoart. 24 nei successivi paragrafi 2, 3 e 4! Spero che la ragione non debbaessere ricercata nel “sottilissimo” distinguo per cui tale iniziativa popo-lare sarebbe intesa come “mera facoltà” mentre a me sembra, come det-to, che essa costituisca una esemplificazione importante del suddetto di-ritto di partecipazione democratica alla vita dell’Unione accanto alle ele-zioni amministrative e parlamentari europee.

Del resto, ai sensi del successivo art. 25 il Consiglio, sulla base dellatriennale relazione della Commissione sulla Parte seconda del TFUE, puòall’unanimità adottare disposizioni intese a “completare i diritti previsti”non limitandosi, come nel “pre-Lisbona”, a “raccomandarne l’adozioneda parte degli Stati membri”. Invece, e in maniera ben diversamente inci-siva, si prevede che “Tali disposizioni entrano in vigore previa approva-zione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costitu-zionali”.

Merita inoltre qualche riflessione l’inserimento della più articolatadisciplina della cittadinanza all’interno del TFUE nella nuova Parte se-conda intitolata Non discriminazione e cittadinanza. In altri termini, èstata determinata, negli artt. 20 e seguenti, “continuità giuridica” tra il

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principio fondamentale del mercato “interno” (aggettivo che sostituisce“comune”) e la cittadinanza. Tale scelta corrisponde senz’altro ad unaconstatazione “storica” in quanto significative premesse della cittadinan-za europea si trovano già nella nascita stessa delle CE proprio con l’af-fermazione del principio di non discriminazione a motivo della nazionali-tà. L’attribuzione del trattamento nazionale, e cioè l’equiparazione ditrattamento fra i nazionali e gli stranieri individuati quali beneficiari, èun privilegio ben conosciuto dal diritto convenzionale internazionale, masolo nelle Comunità europee esso è stato elevato a principio fondamenta-le del sistema così costruito (ridimensionando progressivamente il con-cetto di straniero rispetto ai cittadini comunitari).

Ebbene proprio per questa ragione, a mio sommesso avviso, la sud-detta “continuità giuridica” rafforza la nozione di “cittadinanza del-l’Unione” affrancandola ulteriormente, pur entro certi limiti, da quellanazionale dalla quale pur continua a derivare. Utile, a tal fine, è il neces-sario e diretto collegamento che viene infatti a porsi con l’art. 2 del NTUEche indica i “valori” dell’Unione e, di conseguenza, con la Carta dei dirit-ti fondamentali.

E peraltro la cittadinanza europea contribuisce nel contempo a raffor-zare le singole cittadinanze nazionali degli Stati membri e con queste sipone in rapporto di feconda interazione; sarebbe d’altronde impensabileun rapporto di competizione con queste ultime considerato che tutteesprimono le molteplici “identità” che ciascuno di noi porta con sé nelproprio vivere quotidiano.

Emerge pertanto con maggior forza come giuridicamente rilevantequanto già da tempo costituiva il comune sentire delle istituzioni comu-nitarie e degli Stati membri e cioè che soggetti dell’ordinamento sonoanche e soprattutto i cittadini i quali fanno parte di una nuova “comuni-tà”, a pari titolo con i primi due, come soggetti di diritto in “posizioneegualitaria”: ci troviamo cioè di fronte ad un sistema di integrazione cheha come perno la persona in quanto “cittadino/a” con il suo corredo dipretese. Lo straniero comunitario in possesso di uno status giuridico nelquale alcuni diritti tipici della cittadinanza, quali la libertà di circolazio-ne all’interno del territorio dello Stato, sono stati già ampiamente proiet-tati sulla scala europea individuata come la realtà di uno spazio comunenel quale muoversi liberamente.

8. È d’altronde abbastanza evidente che in epoca di globalizzazione citroveremo sempre più di fronte alla difficoltà, nello stesso ambito terri-toriale, di individuare realtà culturali omogenee. Diviene allora fonda-mentale la condivisione dei valori fondamentali posti alla base del viverequotidiano: tutti noi possiamo rifarci ad una visione cosiddetta occiden-tale del mondo, che non possiamo certo ritenere ormai tipica soltanto delcontinente europeo. Ma se a questa affianchiamo qualcos’altro che è incostruzione e cioè la maturata consapevolezza di un destino e di un futu-

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ro politico e sociale condiviso, nella cui prospettiva il reciproco riconosci-mento delle differenze può diventare il contrassegno di un identità comu-ne, allora siamo già molto avanti verso la costruzione di un identità popo-lare europea: si tratta di valorizzare le identità nazionali (e sub-naziona-li) estendendole a una dimensione sopranazionale europea nella qualeesprimere una permanente e comune solidarietà.

In tal senso va sottolineato l’inserimento, fra i “valori” (art. 2 NTUE)nonché fra gli “obiettivi” dell’Unione proprio il “nuovo” principio della so-lidarietà che, sancita come valore comune della società europea, si mani-festa su basi e con finalità diverse. Nel NTUE essa è infatti considerataquale obiettivo da perseguire nei rapporti intergenerazionali nonché inquelli tra Stati membri rispetto alla coesione economica, sociale e terri-toriale (art. 3 par. 3 NTUE)oltre che nella costruzione della pace e delrispetto reciproco tra i popoli (par. 5) tanto da dover caratterizzare l’a-zione esterna dell’Unione verso i Paesi terzi (art. 21 par. 1) ma anche fragli Stati membri (art. 24, par. 2).Questi devono poi astenersi da azioniche possano pregiudicare una decisione dell’Unione ove intendano aste-nersi dal seguirla (art. 31) rimanendo comunque solidali tra loro (art. 32).

La solidarietà interna all’Unione, confermata nel relativo Preambolo,è presente in termini significativi anche nel TFUE in materia di politicacomune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiereesterne (artt. 67 par. 2 e 80), nel caso di difficoltà di approvvigionamen-to di determinati prodotti quali quello energetico (artt. 122 par. 1 e 194).L’Unione e gli Stati membri agiscono infine congiuntamente in uno spiri-to di solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco ter-roristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo(clausola di solidarietà di cui all’art. 222).

È ovvio che un processo fondato sulla solidarietà coniugata a più livel-li non può che costruirsi dal basso, cioè partendo dalle realtà istituziona-li più vicine ai cittadini: non va dimenticato che il primo organo di gover-no europeo è il sindaco, in quanto fonda la sua legittimazione elettoralesul “popolo europeo”; ed è proprio la circostanza di legare l’elettoratoattivo e passivo ai residenti comunitari consente di contribuire progressi-vamente a costruire la identità europea. In tal senso, tuttavia, il suddettoprincipio di sussidiarietà,anch’esso molto discusso, non trova grandi evo-luzioni nel Trattato di Lisbona, soprattutto rispetto al ruolo delle autono-mie locali il rilievo delle quali non pare molto amplificato nel testo dellariforma. Ed è comprensibile come il giudizio degli enti locali, sotto que-sto profilo, sia poco positivo evidenziando un altro aspetto di rotturarispetto alla internazionalità dell’integrazione; infatti, non è assoluta-mente detto che gli interessi di questi enti siano coincidenti con quellidei governi dei loro Paesi. Anzi, potrebbe pure leggersi un interesse degliorgani di governo nazionali di spostare poteri e competenze in sede euro-pea per sottrarsi più facilmente ai controlli degli organi parlamentari e,soprattutto, degli enti substatali. Questi ultimi del resto – ed il riferi-

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mento è particolarmente rivolto alle Regioni – stanno progressivamenteintessendo una significativa rete di rapporti extra-nazionali, anche grazieai nuovi poteri costituzionalmente riconosciuti dai rispettivi ordinamentigiuridici, tali da contribuire concretamente alla nascita di una cittadi-nanza europea.

Il principio di sussidiarietà (art. 5 NTUE), per la sua delicata funzionedi contemperare le esigenze dell’integrazione con quelle di non allonta-nare in maniera ingiustificata il luogo delle decisioni dalle sedi istituzio-nali più vicine ai cittadini, ha trovato più specifica disciplina attraversoun apposito Protocollo il n.2 relativo altresì anche al principio di propor-zionalità. Uno degli aspetti più interessanti di tale nuova disciplina è datodalla procedura di allarme preventivo, che consente un intervento iureproprio dei Parlamenti nazionali (per i quali v. anche il Protocollo n. 1),con parere motivato, per chiedere alla Commissione di modificare la pro-posta (ad essi preventivamente notificata) la quale possa risultare in con-trasto con l’applicazione corretta del principio in questione (art. 6).Qualora i suddetti pareri motivati rappresentino almeno un terzo (unquarto per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia) dell’insieme dei votiattribuiti ai Parlamenti nazionali (2 voti per il sistema unicamerale, 1voto per ciascuna Camera per quello bicamerale), la Commissione è tenu-ta a riesaminare la proposta (art. 7). Si tratta di un meccanismo di con-trollo rafforzato della sussidiarietà che mira, anzitutto, a rendere più arti-colate ed esaurienti le motivazioni degli atti normativi comunitari, sullabase solo delle quali la Corte di giustizia potrebbe stabilire, in casi di ri-corso da parte di uno Stato membro, se il livello comunitario sia preferi-bile o meno a quello nazionale.

In tal senso, sarebbe utile che i Parlamenti, nell’attivare la procedu-ra di allarme preventivo, consultassero all’occorrenza non solo, come pre-visto, “i Parlamenti regionali con poteri legislativi” (art. 6) ma anche gliEnti locali (o le associazioni di questi rappresentative) laddove le specifi-che materie lo richiedessero. E tuttavia, la Commissione resta libera dimantenere inalterata la sua proposta (art. 7) né i Parlamenti nazionalihanno il potere di adire eventualmente la Corte di giustizia se non attra-verso i rispettivi governi (ai sensi dell’art. 230 TFUE). Così come nessu-na azione è promuovibile dalle Regioni in quanto ad esse è data la possi-bilità di adire la Corte solo tramite il Comitato delle Regioni,il che rap-presenta una rilevante novità ma con il grave limite di una competenzacircoscritta alla salvaguardia delle prerogative di quest’ultimo (art. 263TFUE ed art. 8 del Protocollo). In effetti, il rispetto per il sistema delleautonomie locali e regionali, fissato fra gli obiettivi fissati con il Trattatodi Lisbona (art. 4, par. 2 NTUE), avrebbe bisogno di ben altri elementi perconsiderarsi sufficientemente concretizzato per di più alla luce dellanovità, introdotta dall’art. 3 par. 3 NTUE, della finalità di raggiungere unacoesione non solo economica e sociale ma anche territoriale (v. anche ilrelativo Protocollo n. 28). Solo in questi termini potrebbe determinarsi

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una reale promozione in chiave europea del regionalismo che peraltro inquesti ultimi anni ha trovato espressione importante attraverso l’autogo-verno amministrativo dei fondi strutturali.

9. Per ultimo, e non certo in importanza, mi sembra opportuno fareriferimento, nell’ottica della ricerca di una dimensione ed anche di unademocrazia sovranazionale, all’efficace contributo offerto in questi annidalla Corte di giustizia. Non è questa la sede per dilungarsi sull’enormeapporto dalla stessa fornito nel superamento, a volte con funzioni “neo-pretorili”, delle eccessive “prudenze” o resistenze statali rispetto all’a-vanzamento del processo di integrazione. È indubbio come la copiosa giu-risprudenza della Corte abbia consentito, anzitutto, di dare maggiorecoerenza ed efficacia all’ordinamento comunitario, che rischiava di vede-re tradotta la sua presunta “terza via” in un non meglio determinato“limbo giuridico”. Ne è scaturita una forza dinamica del suddetto ordi-namento finalmente in grado,volendone sintetizzare il significato “politi-co”, di rappresentare un importante salto di qualità nella costruzione diun rapporto diretto tra l’Unione ed i suoi cittadini, nel senso della crea-zione immediata di diritti anche per i singoli soggetti privati superandole tradizionali misure di attuazione statali.

Alla luce di questa chiave di lettura dobbiamo del resto valutare ilcrescente ruolo assunto, nel sistema comunitario, dal Tribunale di primogrado che, istituito nel 1988, ha assunto un progressivo rilievo fino allaimportante riforma avutasi con il Trattato di Nizza, entrato in vigore il 1o

febbraio 2003, tanto da consacrarlo come parte integrante dell’apparatogiurisdizionale comunitario. Ai sensi dell’art. 19 del NTUE, d’altronde, èprevista una Corte-istituzione, chiamata Corte di giustizia dell’Unione eu-ropea, articolata al suo interno nella Corte di giustizia e nel Tribunale cheperde la precisazione “di primo grado” per la presenza dei Tribunali spe-cializzati (v. poi gli artt. 251 ss. TFUE). Infatti con l’istituzione, attraver-so un’attività legislativa di tipo “ordinario”, di questi ultimi in alcuni set-tori specifici ai sensi del nuovo art. 257 del TFUE (è stato già istituito ilTribunale per la funzione pubblica specializzato sul contenzioso del pub-blico impiego dell’Unione europea), si potrebbe arrivare, dopo l’impu-gnazione “di merito” di fronte al Tribunale, al terzo grado “per merodiritto” davanti alla Corte di giustizia.

L’aver comunque generalizzato il doppio (o triplo) grado di giudizio inordine a tutti i ricorsi concernenti gli individui (oltre che per gli Stati ele istituzioni) è palese espressione della crescente incidenza dell’azionecomunitaria nella sfera soggettiva delle persone fisiche e giuridiche. Conla riforma, arricchita dal Protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di giu-stizia,e la conseguente abolizione dei pilastri,si determina altresì,comeaccennato, l’estensione della giurisdizione della Corte anche a materie(cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale) per le quali esi-stevano numerosi limiti e deroghe indicati dall’art. 35 T.U.E. nonché in

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materia di immigrazione, asilo, visti e libera circolazione delle personedall’art. 68 T.C.E. consentendo alla Corte di sanzionare i correlati ina-dempimenti degli Stati membri.

È invece ribadita l’incompetenza della Corte nell’esaminare la validi-tà o la proporzionalità di operazioni effettuate dalla polizia o da altri ser-vizi incaricati dell’applicazione della legge di uno Stato membro o l’eser-cizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il manteni-mento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna (art.276 TFUE). Permane ancora l’assenza di competenza per quel che con-cerne le disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune eper quanto riguarda gli atti adottati in base a dette disposizioni (art. 275TFUE).

La Corte è invece competente a controllare il rispetto dell’articolo 40del NTUE ed a pronunciarsi sui ricorsi, proposti secondo le condizioni dicui all’articolo 263 co. 4 TFUE, riguardanti il controllo della legittimitàdelle decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di personefisiche o giuridiche adottate dal Consiglio ai sensi del Capo 2 del TitoloV del TFUE (art. 215 TFUE).

In ordine al procedimento di infrazione è interessante segnalare la no-vità per cui la Commissione può chiedere già in sede di primo ricorso, exart. 260 TFUE, la condanna dello Stato al pagamento di una sanzionepecuniaria qualora reputi che lo Stato membro interessato non abbiaadempiuto all’obbligo di comunicare le misure di recepimento di una di-rettiva adottata secondo una procedura legislativa (par. 3).

Va inoltre rilevato che, in tema di azione di annullamento, con il Trat-tato di Lisbona migliora, seppure parzialmente, la legittimazione proces-suale degli individui ad impugnare gli atti comunitari davanti alla Cortedi giustizia. Infatti essi nella disciplina pre-Lisbona possono agire, quan-do si tratta di regolamenti e direttive, solo se gli atti li riguardano “diret-tamente ed individualmente” (il che, come dimostra la prassi, costituisceun ostacolo pressoché insormontabile). Grazie alla riforma diviene invecesufficiente che un atto regolamentare li riguardi soltanto direttamentesempre che lo stesso non richieda misure di esecuzione nazionali o euro-pee, perché in tal caso è su queste ultime e non sull’atto che dovrà incen-trarsi il ricorso (art. 263 co. 4 TFUE). Resta peraltro il problema di com-prendere il significato di “atto regolamentare” ricostruibile solo in nega-tivo escludendo cioè gli atti adottati attraverso la “procedura legislativa”.

Riguardo al rinvio pregiudiziale, anzitutto è affermata con chiarezza lageneralizzata estensione della competenza della Corte sull’interpretazio-ne del diritto dell’Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istitu-zioni; viene introdotto un nuovo comma per cui, quando il quesito è sol-levato in un giudizio nazionale riguardante una persona in stato di deten-zione, la Corte di giustizia statuisce il più rapidamente possibile (art.267, co. 4 TFUE).

Non va comunque dimenticato, in generale, che “secondo il principio

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di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assi-stono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dallaCostituzione” e “gli Stati membri adottano ogni misura di carattere gene-rale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivantidalla Costituzione o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione”(art. 4, par. 3 NTUE). Per cui, in sintonia con un sistema basato sulla“integrazione tra ordinamenti”, il rispetto del diritto comunitario com-pete anzitutto ai tribunali nazionali. Si tratta di un obbligo che, già benpresente nel sistema, viene ora formalmente sancito dall’art. 19 par. 1NTUE per cui “gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionalinecessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settoridisciplinati dal diritto dell’Unione”.

Infine, nella Dichiarazione n. 38 si prevede che, ove la Corte di giu-stizia lo chiedesse ai sensi dell’art. 252 co. 1 TFUE, il Consiglio, delibe-rando all’unanimità, approverebbe l’aumento di tre del numero degliavvocati generali (ossia undici anziché otto). In tal caso, la Polonia do-vrebbe disporre, come già avviene per Germania, Francia, Italia, Spagnae Regno Unito, di un avvocato generale permanente non partecipando piùal sistema di rotazione che riguarderebbe allora cinque avvocati generalianziché tre.

10. La complessa realtà europea contemporanea non può che basarsisu di una collaborazione integrata fra ordinamenti giuridici, sulla intera-zione tra un nuovo ordinamento espressione di una realtà tendenzial-mente sopranazionale e quelli nazionali ad essa subordinati ma forte-mente collegati. E tuttavia il progressivo ampliamento dell’Unione rendesempre più probabile la circostanza che tale integrazione si sviluppi supiani differenziati, secondo quanto già si è verificato ad esempio con lanascita della c.d. Zona Euro. Nell’assecondare inevitabilmente tale ten-denza, il Trattato di Lisbona con il Protocollo n. 14 formalizza, ad esem-pio, la prassi esistente dell’Eurogruppo con cui i Ministri Ecofin dei Paesiaderenti all’euro si riuniscono, con il rappresentante della Commissione,il giorno precedente la vera e propria riunione ufficiale. Così come unaparticolare forma di integrazione differenziata è costituita dalla citatacooperazione strutturata permanente in ambito PESD di cui all’art. 42,par. 6 NTUE.

In tale dimensione, la figura delle cooperazioni rafforzate (Titolo IVart. 20 NTUE e Titolo III art. 326 ss. TFUE) tende ad acquisire crescen-te importanza testimoniata sia dalla previsione di una disciplina sempli-ficata sia dalla cautela con cui si precisa che esse non possono costituireun ostacolo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri nédistorcerne la concorrenza (art. 326). È opportuno, in proposito, sottoli-neare il ricorso al plurale nel delineare tale figura, in quanto con l’uso delsingolare si correrebbe il rischio di un “trattato nel trattato” che in fondoamplificherebbe sempre la dimensione intergovernativa. L’aspetto inte-

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ressante è invece dato dalla esistenza di una pluralità di opzioni riguar-do le cooperazioni rafforzate le quali dovrebbero almeno attenuare ilrischio che l’integrazione orizzontale,e cioè l’ampliamento, possa rallen-tare se non bloccare l’integrazione verticale, e cioè quella funzionalistica.

Ulteriori novità introdotte riguardano il numero minimo degli Statinecessari per attivare una cooperazione rafforzata portato a nove (dall’at-tuale otto) e, soprattutto, l’adozione di un’unica procedura per primo eterzo pilastro (in linea con la loro abolizione) con l’attribuzione di unpotere di autorizzazione anche per il Parlamento europeo(nel pre-Lisbonasolo consultato); quest’ultimo viene invece soltanto informato laddove lacooperazione rafforzata si sviluppi nell’ambito della PESC (art. 329TFUE).

Una sorta di incentivazione è introdotta, inoltre, per la cooperazionegiudiziaria penale, il diritto penale, la Procura europea e la cooperazionedi polizia (ad esclusione dell’Europol). Qualora un progetto di direttivasottoposto a procedura legislativa ordinaria (codecisione) sia sospesa die-tro richiesta di uno Stato membro e rinviata al Consiglio,in assenza diaccordo dopo quattro mesi nove Stati almeno possono attivare una coope-razione rafforzata sulla base del progetto in questione attraverso la merainformazione a Parlamento europeo, Consiglio e Commissione (art. 82,par. 3 TFUE). Analoga procedura semplificata può essere attivata in mate-ria di norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni insfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensio-ne transnazionale (art. 83, par. 3) nonché in ordine ai reati che ledono gliinteressi finanziari dell’Unione (art. 86, par. 1).

Infine, gli Stati partecipanti ad una cooperazione rafforzata possonomodificare la procedura di voto passando dall’unanimità alla maggioran-za qualificata (art. 333 TFUE), salvo che in materia militare o di difesa.

Inutile sottolineare che un indubbio vantaggio nel ricorso alle coope-razioni rafforzate è dato dalla circostanza che esse beneficiano, di norma,del coordinamento e del sostegno della Commissione europea e delle suerisorse amministrative. Ed inoltre, esse difficilmente vengono modificateal momento della loro estensione ad altri Stati partecipanti, mentre laprassi in questi anni di assumere iniziative al di fuori dei Trattati limita-te ad alcuni Stati membri suscita in genere maggiori difficoltà al momen-to in cui se ne decida l’integrazione nel sistema dei Trattati. In altri ter-mini, la pur complessa procedura delle cooperazioni rafforzate costituisceun’utile premessa perché l’iniziativa scelta sia in grado di allargarsi anuovi Stati e possa quindi funzionare come vero e proprio laboratorio del-l’integrazione. Tale figura può quindi diventare, quale zona legittima didiritto speciale e di “avanguardia giuridica”, l’elemento trainante rispet-to alla prosecuzione del processo di integrazione.

In tal senso diventa sempre meno accettabile che anche un solo Paesepossa tenere in ostaggio il processo europeo rispetto alla revisione deiTrattati, quando se ne ponga l’esigenza. È vero che tale procedura risulta

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ora più aperta e democratica, dato che il Parlamento europeo acquisiscealtresì la facoltà di presentare proposte a tal fine,che l’esame di qualsia-si proposta di revisione dovrà di norma essere effettuato dalla“Convenzione” (sperimentata in occasione del Trattato “costituzionale”) eche sono introdotte nuove procedure semplificate di revisione per modi-ficare, all’unanimità, alcune disposizioni del Trattato con l’approvazionedei Parlamenti nazionali. E tuttavia sarebbe auspicabile che potesseapplicarsi il ricorso al voto a maggioranza qualificata anche rispetto allaprocedura di ratifica attraverso una sorta di “autorevisione” del sistema;il che appare oggi meno improbabile considerata la possibilità di recessocomunque garantita allo Stato che non ritenga di dover sopportare i“sacrifici” di una più intensa integrazione.

Appare, in proposito, abbastanza interessante che la stessa politicaestera di sicurezza comune, finora il tempio dell’unanimità, invece perquanto concerne le cooperazioni rafforzate consenta singolarmente le de-cisioni a maggioranza, considerato che per il NTUE la politica estera disicurezza comune deve salvaguardare i valori e servire gli interessi del-l’Unione nel suo insieme, affermando la sua identità, come forza coeren-te sulla scena internazionale.

Del resto, l’Unione Europea, pur con tutte le dinamiche politiche cheha innescato, resta comunque una comunità di diritto, e nel diritto ha tro-vato in questi decenni una imprevista forza auto-propulsiva. Non a casol’art. 2 del NTUE inserisce, fra i valori fondamentali, il “rispetto delloStato di diritto”. Si è pertanto riproposta quella lotta per il diritto ai finidi una costruzione di una società giusta e democratica, di cui parlavaRudolph von Jhering più di un secolo fa, che un’alta applicazione sta oraavendo attraverso il processo di integrazione europea. E resta da riflette-re su quella capacità profetica di Immanuel Kant, che individuava neldiritto la via maestra per garantire la conquista della pace. La pace tra iPaesi membri, se ben si riflette, è stata la prima importante dimensionesopranazionale raggiunta dall’integrazione europea.

L’Europa ha ormai la necessità di passare,dopo una pur utile discus-sione su se stessa, ad operare concretamente per rispondere alle grandisfide che l’intera Comunità internazionale deve affrontare in un contesto,fra l’altro, che vede il progressivo indebolimento delle grandi organizza-zioni universali (ONU, FMI, WTO,ecc….). Le potenzialità politiche, eco-nomiche e sociali del processo di integrazione sono enormi e solo unamiope resistenza di governi aggrappati a non attualizzate concezioni dellasovranità può evitare di accorgersene, con ciò tradendo i propri cittadini.

In quest’ottica la riforma di Lisbona, pur con tutti i segnalati aspettiinnovativi, ha registrato la volontà di alcuni Stati di fermare la crescita diun’identità europea e quindi lo sviluppo di un correlato senso di apparte-nenza. Tale atteggiamento appare miope in quanto non si comprende chevalorizzare l’Europa significa nel contempo valorizzare la ricca diversitàdi cultura e di storia dei nostri Paesi. Infatti la disaggregazione prodot-

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tasi per secoli nel nostro continente dei fattori di unificazione prima esi-stenti (dal latino alle lingue nazionali popolari, dal cattolicesimo alle divi-sioni intercristiane, dal diritto romano-giustinianeo ai codici nazionali,ecc…) trova attualmente in Europa un importante superamento attraver-so un processo di “nuova unificazione”. Assistiamo infatti, in controten-denza,alla costruzione, a mio avviso irreversibile, di una realtà originalefondata certo su profili sia economici che giuridico-istituzionali ma anchesull’unico disegno strategico incentrato sulla cultura del rispetto dellediverse identità storiche, linguistiche, culturali. In sintesi, il processo ap-pare progressivamente sopranazionale in quanto concretizza il primo ten-tativo di governo istituzionale e democratico della globalizzazione e fondala propria ragion d’essere sul paradigma delle libertà e dei diritti primache su quello dei poteri.

È in questi termini che il livello sopranazionale pare configurarsicome un momento di passaggio più o meno lungo verso la costruzione diuna “nuova” realtà statale di tipo federale. Una realtà imperniata sullaprogressiva “desovranalizzazione” ma non sulla “denazionalizzazione”,in quanto nessuno deve mettere in discussione la prerogativa della salva-guardia delle diverse specificità culturali nazionali (e sub-nazionali) purnelle loro profonde trasformazioni. D’altronde, il principio della “supre-mazia giuridica”,tipico di ogni ordinamento federale, non si discosta granche dal c.d. “primato del diritto europeo” che in maniera ormai inconte-stabile caratterizza l’ordinamento comunitario. Ed è in questo comples-sivo contesto che va probabilmente ridisegnato il concetto di “sovranità”liberandolo da una accezione di tipo “assoluto”, ormai del tutto astrattae scarsamente realistica, per ricondurla in ambiti più “storici” e comun-que funzionalisti.

È invece in atto per l’intera comunità internazionale un cambiamentoepocale di problemi, di relazioni tra popoli e culture, di strategie e dipolitiche rispetto ai quali l’Europa, che meglio di altri soggetti ha espres-so la capacità di sintonizzarsi con questi cambiamenti,ha il dovere a suavolta di attrezzarsi in maniera adeguata. Essa ha dimostrato di trarre laforza necessaria dai valori sui quali si fonda ed ha costruito la propriarealtà: Stato di diritto, libertà, dignità della persona, solidarietà, giusti-zia sociale, intercultura. Essi sono il collante grazie al quale Stati nazio-nali storicamente tra di loro in perenne conflitto hanno abbandonato learmi costruendo pace e sviluppo.

L’Unione, tuttavia, può diventare protagonista solo attraverso la pro-pria capacità di essere “europea”, di “esportare” il valore del dialogo in-terculturale anche al di là dei suoi confini, di svolgere in altri termini unruolo di equilibrio strategico nell’ambito di una Comunità internazionalenella quale l’attuale, unica, superpotenza (e cioè gli Stati Uniti) vede pro-gressivamente ridimensionato il proprio ruolo a seguito delle note vicen-de militari e della propria situazione economico-monetaria. La relativaredistribuzione del potere sullo scacchiere internazionale potrebbe vede-

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re l’Europa protagonista in un ruolo di mediatore e di affidabile interlo-cutore nonché di interprete più autorevole del multipolarismo regionale.

Purtroppo non si registrano significativi progressi in materia di poli-tica estera e di sicurezza comune, le cui decisioni restano ancorate, comesi è visto, al criterio della unanimità per cui l’istituzione di un Alto rap-presentante per gli affari esteri, pur donando maggiore visibilità, nonappare possa produrre concrete novità.

L’Europa resta quindi un cantiere attivo, ma è indispensabile togliereil cartello con cui non è stato fino ad oggi consentito l’ingresso ai nonaddetti ai lavori: l’Unione può perseguire compiutamente la sua missionesolo affidando tali lavori a tutti i suoi cittadini.

ENNIO TRIGGIANI

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