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Incidenza dell’Antico 10, 2012, 209-222 L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE* Fino a pochi anni fa la ricezione di Tucidide (d’ora in poi T.) era un campo d’indagine presidiato da pochi studi di un qualche spessore. Per quella antica si disponeva di una breve dissertazione del 1935 1 e della densa rassegna, meno citata di quanto meriterebbe, che le aveva dedicato Otto Luschnat nella voce ‘Thukydides’ della Paulys Real-Encyclopädie 2 . L’attenzione a quella moderna, quando non si risolveva in storia degli studi (un tema che incrocia inevitabilmente il Nachleben di un autore, ma ne è concettualmente distinto), rimaneva episodica e frammentaria e per lo più parte di un discor- so generale sull’eredità della storiografia classica nella cultura moderna. Il quadro è profondamente mutato negli ultimi anni sotto la spinta di diversi fattori; fra questi, l’animato dibattito sullo statuto e i protocolli metodologici della storiografia come genere letterario, con importanti ricadute sul ruolo di modello di storiografia ‘scientifica’ che una lunga tradizione di studi ha assegnato in particolare a T. fra gli storici antichi; il progressivo costituirsi delle varie forme di ricezione dei classici in autonomo campo di ricerca; il rinnovato bisogno, in un mondo ‘multipolare’ i cui assetti sono in continua * A proposito di Ombres de Thucydide. La réception de l’historien depuis l’Antiquité jusq’au début du XXe siècle (Actes des colloques de Bordeaux, les 16-17 mars 2007, de Bordeaux, les 30- 31 mai 2008 et de Toulouse, les 23-25 octobre 2008), textes réunis par V. Fromentin, S. Gotteland & P. Payen, Ausonius, Bordeaux 2010. 1 H.G. Strebel, Wertung und Wirkung des Thukydideischen Geschichtswerkes in der griechisch- römischen Literatur, Speyer a. Rh. 1935. 2 Supplbd. XII 1970, 1266-1311, con i Nachträge in Supplbd. XIV 1974, 773-780. RASSEGNE Ugo Fantasia Università degli Studi di Parma [email protected]
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L'ombra lunga di Tucidide

Jan 17, 2023

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Incidenza dell’Antico 10, 2012, 209-222

L’OMBRA LUNGA DI TUCIDIDE*

Fino a pochi anni fa la ricezione di Tucidide (d’ora in poi T.) era un campo d’indagine presidiato da pochi studi di un qualche spessore. Per quella antica si disponeva di una breve dissertazione del 19351 e della densa rassegna, meno citata di quanto meriterebbe, che le aveva dedicato Otto Luschnat nella voce ‘Thukydides’ della Paulys Real-Encyclopädie2. L’attenzione a quella moderna, quando non si risolveva in storia degli studi (un tema che incrocia inevitabilmente il Nachleben di un autore, ma ne è concettualmente distinto), rimaneva episodica e frammentaria e per lo più parte di un discor-so generale sull’eredità della storiografia classica nella cultura moderna. Il quadro è profondamente mutato negli ultimi anni sotto la spinta di diversi fattori; fra questi, l’animato dibattito sullo statuto e i protocolli metodologici della storiografia come genere letterario, con importanti ricadute sul ruolo di modello di storiografia ‘scientifica’ che una lunga tradizione di studi ha assegnato in particolare a T. fra gli storici antichi; il progressivo costituirsi delle varie forme di ricezione dei classici in autonomo campo di ricerca; il rinnovato bisogno, in un mondo ‘multipolare’ i cui assetti sono in continua

* A proposito di Ombres de Thucydide. La réception de l’historien depuis l’Antiquité jusq’au début du XXe siècle (Actes des colloques de Bordeaux, les 16-17 mars 2007, de Bordeaux, les 30-31 mai 2008 et de Toulouse, les 23-25 octobre 2008), textes réunis par V. Fromentin, S. Gotteland & P. Payen, Ausonius, Bordeaux 2010.

1 H.G. Strebel, Wertung und Wirkung des Thukydideischen Geschichtswerkes in der griechisch-römischen Literatur, Speyer a. Rh. 1935.

2 Supplbd. XII 1970, 1266-1311, con i Nachträge in Supplbd. XIV 1974, 773-780.

rAsseGne

Ugo FantasiaUniversità degli Studi di Parma

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e rapidissima trasformazione, di elaborare efficaci strumenti di analisi della politica e delle relazioni internazionali e la conseguente riflessione sul con-tributo che l’opera di T. ha dato nel corso dei secoli e può ancora dare, nel bene e nel male, su questo terreno3. Il revival di interesse ha dato origine, oltre che a numerosi contributi parziali e a qualche tentativo di sintesi4, a iniziative di più ampio respiro, quali la sezione After Thucydides del recente Brill’s Companion to Thucydides, curato da Antonios Rengakos e Antonis Tsakmakis5, una monografia di Francisco Murari Pires, concepita dall’au-tore come primo stadio di un’indagine esaustiva sulla fortuna di T. in età moderna6, e due corposi progetti di ricerca sulla ricezione antica e moderna di T. che hanno prodotto una serie di convegni tenutisi fra il 2007 e il 2012.

Il volume qui discusso, ponderoso ma di agevole consultazione grazie ai tre ottimi indici (delle fonti antiche, degli autori moderni e tematico), è l’esito di uno di questi progetti e riunisce le relazioni presentate da una cinquantina di studiosi nel corso di tre convegni, tenutisi fra il 2007 e il 2008 a Bordeaux e Tolosa, che coprono l’intero periodo dall’Antichità fino al primo Dopoguerra del Novecento. Il concetto di ricezione qui adottato arriva a comprendere, come scrivono i curatori nella Introduction (pp. 13-21), «l’ensemble des “traditions” qu’il est possible de recenser, sur la longue durée, [...] entre le moment de leur genèse [scil. di un’opera, un’istituzione o una pratica sociale] et un terminus donnée» (p. 13), e ciò, nel caso di T., sul triplice piano della letteratura, della storiografia e della teoria politica7. Ma vi si aggiunge la consapevolezza che «les manières dont il [T.] a été lu [...] font partie de l’oeuvre» (p. 14), con l’implicito invito a riaccostarsi all’autore tenendo conto delle reazioni suscitate dalla sua opera in tutti co-loro che l’hanno letta e utilizzata nel corso dei secoli. Siffatto ampliamento dell’idea di ricezione comunemente intesa, paragonabile nei suoi esiti a ciò che è stato di recente definito come «the [...] ‘mainstreaming’ of classical reception within classics»8, giustifica l’inserimento, fra i due blocchi di contributi del primo e del terzo convegno ritagliati sul mondo antico e sulla

3 Cfr. R.N. Lebow, ‘International Relations and Thucydides’, in Thucydides and the Modern World, 197-211.

4 Una ricca bibliografia, con un sintetico sguardo ai principali problemi, è nell’eccellente vo-lume dedicato a Tucidide negli Oxford Readings in Classical Studies curato da Jeffrey S. Rusten (Oxford 2009, 1-28, 496-500); vd. anche S. Meineke, ‘Thukydidismus’, in Der Neue Pauly, XV 3, 2003, 480-494.

5 Brill’s Companion to Thucydides, 693-837. 6 Murari Pires 2007. 7 Ma quest’ultimo aspetto è appena sfiorato nel volume, mentre è ampiamente dibattuto in

Thucydides and the Modern World, che rappresenta il primo risultato dell’altro progetto di ricerca cui poc’anzi si è fatto cenno, diretto dal Professor Neville Morley dell’Università di Bristol.

8 A Companion to Classical Receptions, ed. by L. Hardwick and C. Stray, Malden 2008, 2.

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modernità, di una sezione intermedia di natura assai composita dedicata all’ombra (rassicurante o inquietante a seconda dei casi) che T. ha finito per proiettare sulla ricostruzione della storia del V secolo ad opera dei suoi successori antichi e moderni9.

Il risultato complessivo rimane lontano da una copertura sistematica dell’argomento; per esempio, nessuno dei contributi si occupa della docu-mentata presenza di T. in Sallustio o della sua ricezione nel mondo bizantino o nell’Inghilterra della prima Età moderna, mentre solo marginalmente è trattata l’età dell’Umanesimo e del Rinascimento10. In compenso ve ne sono molti che illuminano percorsi meno battuti: uno di questi è la relazione fra T. e Livio, studiata da Mathilde Simon-Mahé in un saggio (pp. 83-92) che è indicativo delle difficoltà che si presentano quando si cerca di individuare la precisa modalità (diretta o mediata, consapevole o tralatizia, etc.) delle riprese di T. Nuovo, e di sicuro interesse, è il puntuale censimento delle presenze di T. negli scoli alle opere teatrali del V secolo a.C. (Monique Trédé-Boulmer, pp. 375-379), nonché nei grammatici e nei retori greci e nei commentatori e grammatici latini (Frédéric Lambert, Catherine Sensal, Pierre Chiron: pp. 209-251): una rete di rimandi che sono governati, a quanto sembra, più dalle esigenze imposte dalle rispettive costruzioni teoriche che dalla effettiva fortuna dell’autore. Sul versante moderno grande attenzione viene dedicata, con ben tre contributi (autori ne sono Francisco García Jurado, pp. 495-507; Mirella Romero Recio, pp. 509-520; Jaime Alvar e Alexandro Ruiz, pp. 733-742), alla ricezione di T. nella cultura spagnola del XIX secolo, peraltro caratterizzata da un sostanziale disinteresse per la storia e la storiografia greca – un fatto paradossale, come viene sottolineato (p. 741), per il paese che aveva conosciuto la più antica traduzione di T. a noi nota, quella aragonese di 38 discorsi commissionata alla fine del XIV secolo da Juan Fernández de Heredia; fa eccezione la ripresa alla fine dell’Ottocento di un’antica traduzione in Castigliano, risalente al 1564 (e piena di errori), elaborata da Diego Gracián a partire dalla versione latina di Lorenzo Valla e da quella francese di Claude de Seyssel. Un caso interessante e poco noto di lettura eminentemente politica di T. nell’Ottocento è nella sezione de-

9 I titoli dei tre convegni, e quindi delle sezioni del volume qui discusso, sono: Thucydide dans l’Antiquité: emprunts, imitations, interprétations; Écrire l’histoire du Ve siècle: l’ombre de Thucydide; “Un acquis pour toujours”? Thucydide chez les modernes (XVe-XXe siècles). Per ragioni di economia espositiva i contributi saranno qui discussi in un ordine parzialmente diverso da quello in cui si succedono nel volume.

10 Un periodo, quest’ultimo, che ha forse ricevuto maggiore attenzione degli altri: vd., oltre a Murari Pires 2007, i numerosi contributi di Marianne Pade, ripresi in Ead., ‘Thucydides’ Re-naissance Readers’, in Brill’s Companion to Thucydides, 779-810, e ancora U. Klee, Beiträge zur Thukydides-Rezeption während des 15. und 16. Jahrhunderts in Italien und Deutschland, Frankfurt a. M. 1990; Cambiano 2000, 22-132.

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dicata all’Antichità della Historia tou Hellenikou ethnous di Constantinos Paparrigopoulos, pubblicata ad Atene nel 1860 (ne tratta il saggio di Mélina Tamiolaki, pp. 521-537): all’interno di una storia greca vista «comme une série de tentatives de création d’une unité politique» (p. 530), l’autore giu-dica positivamente l’impero ateniese come una tappa di questo processo e, nonostante l’ammirazione per T., critica Pericle per aver determinato con la guerra il fallimento di quella esperienza.

Ma torniamo all’Antichità11. In apertura di volume (pp. 27-33), Simon Hornblower discute, ma poi finisce giustamente per scartare, la possibi-lità che già alcuni passi delle Storie di Erodoto documentino una sorta di instant reception di presunte pubbliche letture di T. Roberto Nicolai (pp. 279-289) studia la relazione fra T. e Senofonte prescindendo volutamente dalle Elleniche e analizzando piuttosto alcuni elementi chiave del discorso politico – arche, stasis, politeia – in quelle opere senofontee, prima fra tutte la Ciropedia, che solo una visione ristretta dei generi letterari porta a ritenere non pertinenti dal punto di visto storiografico. Ne emerge una ricezione ‘in negativo’ il cui fulcro è la visione senofontea del potere non di tipo istituzio-nale, ma come arte del comando esercitato da un individuo su altri uomini. Il caso specifico della descrizione dei rivolgimenti del 411 e del 404 è al centro dell’analisi di Jeannine Boëldieu-Trevet (pp. 291-305): le remini-scenze tucididee in Senofonte non occultano la profonda differenza esistente fra la descrizione del colpo di stato del 411 «tout de forces en mouvement» (p. 303) e il racconto senofonteo degli eventi del 404/3, caratterizzato dalla personalizzazione del conflitto e dalla insistenza sui dettagli rivelatori delle qualità morali degli individui. Due contributi prendono in esame i rapporti fra T. e Teopompo. Gabriella Ottone (pp. 307-326) affronta il problema at-traverso il filtro dei giudizi che di Teopompo hanno dato Polibio e Dionigi di Alicarnasso, ed essi parlano a favore di una assimilazione della lezione di metodo di T., ma con un rafforzamento in direzione della empeiria e del ponos che prefigura un allargamento dell’orizzonte della ricerca storica. Antonio Luis Chávez Reino (pp. 327-342), dal canto suo, si interroga con giustificato scetticismo sui criteri utili ad accertare l’eventuale debito di uno storico frammentario come Teopompo nei confronti di T. (i possibili punti di contatto fra i due sono elencati in un’appendice) e, attraverso un’e-semplare analisi del più ampio contesto del frammento 395 di Teopompo, proveniente dai Progymnasmata di Teone, dimostra l’impossibilità di leggere quest’ultimo come prova della familiarità di Teopompo con T. Valérie Fro-

11 Per uno sguardo complessivo alla fortuna di T. fino all’età ciceroniana vd. l’importante articolo di S. Hornblower, ‘The Fourth-Century and Hellenistic Reception of Thucydides’, JHS 115, 1995, 47-65 (ora anche in Id., Thucydidean Themes, Oxford 2011, 286-322).

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mentin (pp. 105-118) smonta i passi di Dionigi di Alicarnasso che parlano del rapporto T.-Filisto per mostrare come sia in gioco la somiglianza fra i due storici piuttosto che la consapevole imitazione che altre testimonianze sembrerebbero suffragare. La conoscenza di T. da parte di Demostene è invece fuori discussione, e Sophie Gotteland (pp. 35-50) si sofferma sulle sue analisi delle relazioni internazionali, notando come, dietro i frequenti appelli alle ragioni del diritto e della giustizia e in apparente contrasto con una visione edulcorata dell’impero ateniese del V secolo, emerga sempre la consapevolezza, tipica degli oratori tucididei, che il fattore decisivo sono i rapporti di forza. Una notoria crux è la ricezione di T. in Polibio, che cita il suo predecessore una sola volta (VIII 11,3) e in modo non significativo. Éric Foulon (pp. 141-154) cerca di dimostrare, attraverso l’analisi di sette passi – uno dei quali è la critica a Timeo in relazione al discorso tenuto da Ermocrate a Gela nel 424 (XII 25k,5-26,9) – che in realtà T. è per Polibio «le canon et le modèle implicites en matière d’historiographie» (p. 153); tuttavia il grossolano errore commesso da Polibio quando fa partecipare Ermocrate alla battaglia di Egospotami (XII 25k,11, su cui Foulon non si sofferma) suscita qualche dubbio sull’effettivo grado della sua familiarità con T. al di fuori dei passi metodologici.

Il revival di T. nella cultura romana del I secolo a.C. e il suo successo presso i retori atticisti sono fenomeni ben documentati attraverso gli stessi autori, Cicerone e Dionigi di Alicarnasso, che con l’indirizzo atticista po-lemizzano. Ne deriva un’ambivalenza in forza della quale in entrambi T. è lodato per il suo culto della verità, ma criticato dal punto di vista stilistico e narrativo e come modello di eloquenza12. Per quanto riguarda Cicerone, Cyril Binot (pp. 253-273) traccia la mappa dei suoi riferimenti a T. e osser-va che, se nel De oratore egli aderisce a principî metodologici generali di stampo tucidideo, nell’epistola a Lucceio si pronuncia invece per un modo di fare storia più vicino alla propaganda politica e nelle opere retoriche più tarde accorda il primato agli storici di scuola isocratea. Mélina Lévy (pp. 51-61) trasferisce questa ambivalenza all’interno delle Antichità romane di Dionigi: a dispetto delle numerose riprese e imitazioni di T. (la stasis in VII 66, la peste in X 53, la descrizione del combattimento fra Orazi e Curiazi, in III 19, sulla falsariga dell’ultima battaglia navale a Siracusa), lo storico di Alicarnasso affianca alle critiche di ordine stilistico-letterario delle opere retoriche una implicita critica morale del mondo raffigurato ne La guerra del Peloponneso come «modèle obsolète» (p. 60) rispetto al mondo romano che pure della Grecità è erede.

12 Cfr. L. Canfora, ‘Thucydides in Rome and Late Antiquity’, in Brill’s Companion to Thucydides, 746.

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Una serie di contributi documenta in dettaglio la fortuna di T. in età im-periale. Il modello tucidideo della descrizione della stasis è rimasto sempre operante, anche là dove, come in Giuseppe Flavio, il termine subisce uno slittamento semantico, visibile già in età ellenistica, verso il senso di «in-surrezione» o «sedizione» (Lada Sementchenko, pp. 63-70). Peraltro, come osserva Jean Yvonneau (pp. 155-165), il debito contratto dallo storico ebreo nei confronti di T. – esemplare è l’imitazione del proemio tucidideo nell’in-cipit de La guerra giudaica – non toglie che T. rimanga coinvolto nell’aspra critica della storiografia greca contenuta nel Contro Apione. Cassio Dione mostra di averne assimilato la lezione ancora più intimamente di quanto non si possa ricavare dalle sue numerose riprese e imitazioni, per esempio nella connotazione negativa del termine philotimia nei libri relativi al periodo delle guerre civili che si chiude nel 31 a.C. (Estelle Bertrand, pp. 71-81). La grande familiarità di Luciano con T. emerge dalla fitta trama di riferimenti e allusioni che punteggiano le sue opere (Alain Billault, pp. 199-207). Secondo Monique Trédé-Boulmer (pp. 191-198), tuttavia, il trattato lucianeo Come si scrive la storia non va letto esclusivamente come esaltazione di T. in quanto modello inarrivabile di storiografia: il rilievo conferito al suo amore per la verità e alla sua libertà di pensiero sarebbe funzionale all’intenzione nascosta di Luciano di preparare la strada a un elogio di Lucio Vero.

Due contributi ci riportano al problema centrale della ricezione del mo-dello storiografico. Suzanne Saïd (pp. 167-189) mostra come T. non abbia avuto veri eredi per ciò che riguarda la radicale espulsione dal racconto storico degli elementi favolosi e mitico-leggendari, il mythodes di I 21,1 e 22,4. Questa conclusione si ricollega alle considerazioni svolte da Guido Schepens (pp. 121-140) in uno dei saggi più importanti del volume, i cui risultati vanno ad arricchire la riflessione che lo studioso da tempo conduce sull’importanza dei modelli non tucididei. Attraverso una serrata critica della dicotomia fra storiografia e antiquaria tracciata da Arnaldo Momiglia-no, Schepens osserva come la Zeitgeschichte, che la visione classicistica dello sviluppo della storiografia greca ha voluto accreditare come modello vincente da T. in poi, appaia a uno sguardo più ravvicinato piuttosto come una anomalia all’interno di una produzione assai variegata e tradisca, nella sua stessa definizione, il ricorso a categorie di analisi estranee alla cultura antica13.

Di qui si passa agevolmente, nella seconda sezione del volume, all’in-dagine su ciò che la storiografia di tipo tucidideo ci fa guadagnare, e più spesso perdere, per la comprensione della realtà oppure, più semplicemen-

13 Nello stesso senso vanno le considerazioni di Antonio Luis Cháves Reino, pp. 334-338, a proposito di quello che egli chiama pregiudizio «classiciste» o «génériste».

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te, sulla affidabilità di T. come storico. Nick Fisher (pp. 411-425) osserva che il silenzio di T. sulle forme ritualizzate della religione civica e sulle pratiche liturgiche come fattori di coesione sociale rappresenta un drastico impoverimento per la comprensione degli stessi eventi da lui narrati. La ricostruzione del passato su base indiziaria condotta nell’Archeologia è messa sotto accusa da Francis Prost (pp. 427-439) a proposito della scoperta di tombe carie in occasione della purificazione di Delo del 426/5, segno per T. dell’antica pratica della pirateria nelle isole egee (I 8,1; III 104): la mancata conferma archeologica di questo dato appare all’autore una ragione sufficiente per sospettare che sia qui all’opera, ammantata di razionalismo, una qualche forma di manipolazione ideologica (il cui scopo rimane però insondabile) simile a quella messa in atto in occasione della ‘scoperta’ dei resti di Teseo a Sciro (Plut. Thes. 36). Per Alain Bresson (pp. 383-402), la presentazione della Pentekontaetia da parte di T. come di un semplice periodo intermedio fra le Guerre Persiane e la Guerra del Peloponneso fa parte di una consapevole strategia finalizzata a isolare il conflitto del 431-404 come il più grande evento della storia greca; ne discende, ed è un’affermazione che non può lasciare indifferenti, che «as a temporal unit and the scene of an unparalleled confrontation between Athena and Sparta, the “Peloponnesian War” from 431 to 404 is thus a rhetorical construction» (p. 396). Bresson prende le distanze dal radicale relativismo che questa conclusione sembra suggerire, sostenendo che la storia, a differenza di tutti i discorsi che fanno ipotesi sulla realtà, è suscettibile di falsificazione (la realtà esterna al discorso perciò esiste e serve da metro di valutazione, a dispetto dell’affermazione, p. 399, che la verità non risiede nei fatti). Le questioni teoriche sollevate da questo stimolante contributo sono dunque di cruciale importanza. Il dubbio, sul piano storico, è che forse noi non possediamo sufficienti elementi per falsificare la ricostruzione offerta nella Pentekontaetia di T., mentre un’at-tenta analisi del discorso tucidideo sulle cause del conflitto potrebbe fornire una differente e più efficace chiave di lettura14.

Il ritratto di Pericle in T., passaggio obbligato nello studio della ricezione dello storico, è il tema dell’ottimo contributo di Christophe Pébarthe (pp. 463-490), fra i cui meriti vi è una rassegna della sua contrastata fortuna nella cultura europea, soprattutto francese, a partire dalla prima Età moderna. Secondo Pébarthe, T. costruisce il ritratto di Pericle retrospettivamente, con l’intenzione di difendere lo statista dall’accusa a lui rivolta dopo il 404 di essere il principale responsabile della sconfitta; ma l’apologia è costruita con sottigliezza, per esempio non tacendo l’importanza che i contempo-

14 Magari sottolineando il ruolo di cerniera che riveste la Pace dei Trent’anni nel lungo processo di avvicinamento alla guerra: cfr. U. Fantasia, La guerra del Peloponneso, Roma 2012, 49-59.

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ranei attribuivano al decreto contro Megara come causa di guerra oppure lasciando intravedere il collegamento operato da una parte dei suoi con-cittadini fra l’impurità di cui Pericle era portatore in quanto alcmeonide e lo scoppio della peste. T. stesso è così «une source indispensable pour en proposer une biographie qui ne soit pas une hagiographie» (p. 488). Non vi è invece nessuna traccia di apologia nel ritratto dello statista delineato da Plutarco, a cui Anton Powell dedica il suo contributo nella prima parte del volume (pp. 93-104): esso rispecchia in primo luogo le preoccupazioni politiche del suo autore (l’insistenza sulla praotes discende dalla convin-zione che il leader debba padroneggiare le proprie passioni come premessa per ammansire le masse che insidiano il potere), ma è in netto contrasto su un punto decisivo con quello di T., proprio perché Plutarco, sull’onda del giudizio di Platone e delle fonti usate per colmare i vuoti della biografia di Pericle – da Stesimbroto a Ione e alla commedia – addossa a Pericle la responsabilità di aver precipitato la Grecia nella guerra. Anche interrogarsi su T. e la nascita del logos oikonomikos, come fa Raymond Descat (pp. 403-409), è un modo per parlare di Pericle: egli sottolinea come il rilievo conferito, sia nell’Archeologia che nella strategia di Pericle, ai temi della riserva di denaro (periousia chrematon) e della gestione delle entrate sveli «une vraie conception oikonomique du pouvoir de la cité» (p. 406), una politica razionale della arche, il cui abbandono, dopo la morte di Pericle, ne accompagna il declino; la stessa razionalità, ma applicata alla sfera pri-vata, ricompare nell’aneddoto, la cui fonte è probabilmente Antistene, sulla gestione dell’oikos dello statista (in Plut. Per. 16).

La seconda sezione del volume è completata da altri due contributi di taglio più tradizionale. Uno di questi è l’ampia indagine di Luisa Breglia (pp. 343-373) sulla presenza di T. nel racconto delle vicende di Temistocle che leggiamo in Diodoro e possiamo ricostruire in Eforo, le cui conclusioni evidenziano il peso «del modello narrativo imposto dal grande storico» (p. 369). Un altro dei silenzi tucididei, quello relativo alle figure femminili, è analizzato da Gabriella Vanotti (pp. 441-462), che osserva come le donne citate per nome dallo storico si addensino in contesti lontani, nel tempo e nello spazio, dall’asse narrativo principale; fra queste è Archedice, la figlia di Ippia di cui si parla nell’excursus sui Pisistratidi, ad assumere un particolare rilievo per le ragioni finemente analizzate dall’autrice.

Nella terza sezione, la fase più antica della ricezione di T. nell’Età mo-derna è studiata nei due contributi di Giuseppe Cambiano (pp. 651-663) e di Francisco Murari Pires (pp. 665-677). Il primo formula l’acuta ipotesi che nelle due orazioni indirizzate da Giovanni Della Casa nel 1547 a Carlo V e al Senato di Venezia, ricche di riflessioni sul rapporto fra ragione civile

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e ragion di Stato nelle relazioni internazionali, si colga l’eco dei discorsi di T. di cui lo stesso Della Casa aveva dato una traduzione latina pubbli-cata postuma nel 1564, ma risalente probabilmente agli anni 1544-1549. Cambiano, inoltre, sottolinea l’importanza che l’opera di T., e in particolare l’Archeologia, hanno rivestito per la formulazione ad opera di Jean Bodin della teoria, ripresa in seguito da Thomas Hobbes, che lo Stato trae la sua origine dal monopolio dell’uso della forza e della violenza. Murari Pires ripercorre in modo assai originale le differenti strategie messe in atto per accreditare veridicità e imparzialità delle loro opere da T. (lo sforzo immenso della ricerca della verità), da Niccolò Machiavelli nelle Istorie fiorentine (la dissimulazione del soggetto dietro i fatti narrati), da Lancelot Voisin de La Popelinière nella Histoire de France (lo spogliarsi di qualsiasi slancio passionale), notando come esse presuppongano il possesso, da parte dello storico, di qualità di stampo ‘eroico’. Ciò consente di tracciare una linea di continuità con le rappresentazioni del vero storico come genio o della inda-gine storica sul passato come atto di divinatio accennate rispettivamente da Leopold von Ranke e da Barthold Georg Niebuhr. Quest’ultima riflessione di Murari Pires, da integrare con altri suoi recenti interventi15, è utile a chiarire che il canone storiografico che si viene definendo da Niebuhr a Ranke, da Wilhelm H. Roscher a Eduard Meyer, nel quale il modello tucidideo rap-presenta un ideale e costante punto di riferimento, lungi dall’appiattirsi su una concezione positivistica16, non si è mai discostato dall’idea dell’opera storica come risultato della combinazione fra l’esatto resoconto dei fatti e la loro interpretazione soggettiva e come binomio di scienza e arte17.

Un blocco relativamente omogeneo di contributi studia la ricezione di T. in Francia, paese nel quale, come ricorda Pascal Payen (p. 614), la crisi della cultura umanistica a partire dalla fine del XVI secolo aveva determinato un declassamento degli studi sulla Grecia antica di cui fecero le spese tutti gli storici greci (assenti negli statuti dei Collegia della Faculté des Arts di Parigi promulgati nel 1598); inoltre, come osserva Chantal Grell nel suo

15 ‘Thucydidean Modernities’, in Brill’s Companion to Thucydides, 811-825; ‘Thucydide et Machiavel: le(s) regard(s) de l’histoire et les figurations de l’historien’, CEA 47, 2010, 263-281.

16 Come spesso si tende a credere sulla base del fraintendimento della celebre formula rankiana «bloß sagen, wie es eigentlich gewesen»: cfr. J. Süssmann, Geschichtsschreibung oder Roman?, Stuttgart 2000, 248.

17 Cfr. D. Piovan, ‘Tucidide in Germania: tra storicismo e filologia’, Patavium 5, 1995, 35-63, e la bella antologia di testi in traduzione italiana Tucidide nella storiografia moderna. G.B. Nie-buhr, L. v. Ranke, W. Roscher, E. Meyer, a cura di C. Montepaone, G. Imbruglia, M. Catarzi, M.L. Silvestre, Napoli 1994. Per Roscher vd. ora N. Morley, ‘Thucydides, History and Historicism in Wilhelm Roscher’, in Thucydides and the Modern World, 115-139. La profonda differenza esistente fra questa idea di soggettività e il relativismo delle recenti tendenze narrativiste è ben evidenziata da M. Pani, Le ragioni della storiografia in Grecia e a Roma. Una introduzione, Bari 2001, 9-16.

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contributo (pp. 587-600), le traduzioni francesi anteriori alla fortunata ver-sione pubblicata da Pierre-Charles Lévesque nel 1795 – quelle di Claude de Seyssel (1527), Jean-Louis de Jaussaud (1600) e Nicolas Perrot d’Ablancourt (1662) – erano di basso livello; per di più in Francia, diversamente da quanto avvenne in Inghilterra con la traduzione di Hobbes (1629), la lettura di T. rimase a lungo del tutto «dépolitisée» (p. 595). Proiettata su questo sfondo acquista grande risalto la ricezione di T. nella fortunata Histoire ancienne di Charles Rollin (1730-1738), ottimo conoscitore del Greco ed estimatore della storiografia greca. Payen (pp. 613-633) redige un’accurata rassegna, classificandoli tipologicamente, degli usi che Rollin fa di T. nei libri relativi alla storia del V secolo, dalla citazione esplicita e letterale alla preterizione che presuppone il testo, passando per le parafrasi e i riassunti. Ne emerge un atteggiamento nel complesso poco critico, ma che, attraverso il rispetto della pluralità delle fonti, segna una presa di distanza dai principî della sto-riografia umanistica. Rollin ebbe anche un’importanza decisiva nel preparare il successo, nel lungo periodo, del paradigma ateniese, visto come superiore al modello spartano perché caratterizzato da un governo popolare, sia pure corretto dalla leadership di grandi uomini, e aperto alle arti e al commercio: è qui, secondo Payen, che si colgono le radici della ‘Athènes bourgeoise’. Per rimanere nello stesso ambito cronologico, anche la ricezione di T. in Voltaire, che fu salutato come ‘novello Tucidide’ da Federico II di Prussia in una lettera del 1738, può essere considerata un segnale della ripresa dell’in-teresse per la cultura greca dopo il periodo di regressione di cui s’è detto; ma lo studio che le dedica David Bouvier (pp. 693-706) dimostra che quel complimento è privo di qualsiasi riferimento a una volontà di imitazione: T. è sì per Voltaire il primo storico degno di questo nome per aver cominciato a dissipare le tenebre della nostra conoscenza dell’Antichità, ma è da dubitare che egli avesse grande familiarità con La guerra del Peloponneso. In ogni caso, la percezione della ‘modernità’ di T. è un aspetto molto importante della sua ricezione in età moderna. Come dimostra il pregevole contributo di Adriana Zangara (pp. 679-691), l’accostamento operato fin dalla fine del XVI secolo fra T. e il Guicciardini della Storia d’Italia, che può sembrare paradossale se si pensa all’atteggiamento dello storico fiorentino nei confronti dei modelli classici18, si spiega appunto con la discontinuità rispetto alla tra-dizione umanistica che Guicciardini incarna e che segnala un ‘nuovo inizio’ della storiografia. Alla metà del Settecento, e qui rientra in gioco Voltaire, l’accostamento viene ripreso, sempre sotto il segno della modernità, per la tendenza presente in entrambi a sceverare il vero dal falso nelle narrazioni

18 Cambiano 2000, 93-116.

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storiche. I presupposti di questa comparazione verranno invece meno nel secolo seguente per ragioni non facili da individuare, ma che almeno per l’I-talia hanno a che fare con la crescente diffidenza della cultura risorgimentale nei confronti dello storico che aveva impassibilmente descritto le tragedie all’origine della decadenza italiana.

Indicazioni di un certo interesse si ricavano dai ritratti di Cleone elabo-rati in Francia fra Sei e Settecento e studiati da Charalampos Orfanos (pp. 601-612), il più antico dei quali, contenuto in una dissertazione sul tema del machiavellismo di Jean-Louis Guez de Balzac (1664), sorprende per il giudizio positivo che ne viene dato valorizzando la parte positiva di una notizia di Plutarco (Mor. 806F); quelli che emergono da due romanzi epi-stolari, le Lettres athéniennes di Claude de Crébillon (1771) e le Athenian Letters, opera a più mani di un gruppo di amici dell’Università di Cambridge (1741-1743), sono invece modellati sulla valutazione negativa che ne diede T.: alla vigilia della Rivoluzione, conclude Orfanos, la paura del nuovo era esorcizzata attraverso la demonizzazione del campione del popolo. Da Cleone si passa facilmente a George Grote, e la ricezione in Francia della History of Greece, oggetto del contributo di Pierre Pontier (pp. 635-648), può dirci indirettamente qualcosa sulla ricezione di T. dopo il 1848. Le riserve di Grote sull’imparzialità di T. riscuotono in genere scarso consenso e c’è chi si serve di T. per criticare in un colpo solo, facendo largo uso dell’analogia (i massacri della guerra civile di Corcira equiparati a quelli del 1793), sia la simpatia di Grote per la democrazia ateniese sia gli spiriti rivoluzionari del tempo. Fanno in parte eccezione Prosper Mérimée, che ne condivide uno degli aspetti qualificanti, il giudizio su Cleone, mentre se ne distanzia per la valutazione negativa della democrazia ateniese (in quanto basata sull’esi-stenza di una massa di lavoratori privi di diritti e di libertà), e Victor Duruy nella prima edizione (Paris 1851) della sua Histoire grecque, che segue lo storico inglese nell’attenuare il giudizio negativo sull’imperialismo ateniese suggerito dal dialogo melio-ateniese.

Le fasi più recenti della ricezione moderna di T. sono coperte in primo luogo dai contributi dedicati a Eduard Schwartz (Bruno Bleckmann, pp. 539-549) e a Karl Julius Beloch e Gaetano De Sanctis (Eugenio Lanzillotta e Virgilio Costa, pp. 551-570). I tre studiosi erano accomunati dalla reazione a quella acritica esaltazione dell’infallibilità di T. che un’espressione corrente alla fine dell’Ottocento definiva sprezzantemente ‘teologia tucididea’19 – ma

19 Può essere interessante osservare che il primo a parlare di «Thukydidestheologen» sembra sia stato Hermann Müller-Strübing, non a caso menzionato in modo cautamente elogiativo da Beloch: cfr. F. Rühl, ‘Hermann Müller-Strübing’, Biographisches Jahrbuch für Altertumskunde 20, 1897, 101.

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per vie molto differenti. Bleckmann osserva acutamente che, se la ‘que-stione tucididea’ ha rappresentato una cesura nella ricezione di T. in quanto ha contribuito a farlo scendere dal piedistallo di «ein klassischer oder gar normativer Autor» (p. 539), è stato Schwartz, anticlassicista per eccellenza, a fornire l’impulso decisivo in quella direzione postulando nella sua mono-grafia del 1919 una stratigrafia compositiva dell’opera tucididea talmente complessa da distruggere la coerenza del testo. Bleckmann ne ricava che la critica iperanalitica di Schwartz ha favorito l’insorgere di tendenze decostrut-tiviste nell’analisi del testo di T.; in realtà questo indirizzo, almeno nelle sue declinazioni narratologiche, sembra aver trovato una humus feconda proprio nell’affermazione di una visione ‘unitaria’ della composizione dell’opera. La radicale critica di Beloch si nutriva della sua dichiarata avversione alla lettura della storia come campo d’azione delle grandi personalità: i contem-poranei di Pericle avevano visto quella verità che il suo apologeta ha cercato di oscurare, e cioè che lo statista scatenò il conflitto per rafforzare la sua traballante posizione in patria. Quanto a De Sanctis, è probabilmente nello studio sui precedenti della spedizione in Sicilia20 che egli cercò di mettere a nudo nel modo più netto, e in fin dei conti poco persuasivo, la parzialità del resoconto tucidideo, sostenendo che l’iniziativa era condivisa da Nicia e che T. offre una versione deformata dei fatti per scagionarlo da qualsiasi colpa.

Nel volume occupano grande spazio gli effetti che il trauma del 1918 ebbe sulla ricezione di T. nella Altertumswissenschaft. Anthony Andurand (pp. 573-585) analizza i differenti modi in cui fu letto l’epitafio di Pericle nella cultura tedesca dalla seconda metà dell’Ottocento, quando dal classicismo senza ombre di Ernst Curtius si passa al pessimismo di Jacob Burckhardt critico della democrazia, al periodo postbellico: Schwartz e Meyer vi vedono l’apologia di un’Atene sconfitta nella quale si specchia la Germania sconfitta, Max Pohlenz e Werner Jäger lo interpretano come luogo di composizione dei conflitti politici e sociali e quindi perfetto contraltare della democrazia parlamentare. Nelle reazioni a caldo nella Germania del primo Dopoguerra, come mostra Paolo Butti de Lima (pp. 709-721), la comprensione del presente alla luce dei precedenti antichi di una ‘guerra mondiale’ non si sottrae al rischio di spericolate analogie (nelle quali Cartagine entra in gioco accanto ad Atene). Friedrich Meinecke, riprendendo un paragone usato già nel 1918 dall’ex-cancelliere Theobald von Bethmann Hollweg, richiamò T. e l’errore della spedizione in Sicilia per criticare da un punto di vista liberale la gestione del conflitto; ancora T., insieme alla democrazia radicale di cui egli denunciò la degenerazione, fu evocato da Meyer (nel 1919) per sottolineare le cause

20 G. De Sanctis, ‘I precedenti della grande spedizione in Sicilia’, RFIC 57, 1929, 433-456.

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interne della disfatta; nel 1920, infine, Pohlenz additava alla gioventù tede-sca il modello della democrazia periclea descritta da T. come prototipo del Volksstaat. Ma uno dei prodotti più interessanti e godibili di quegli anni è sicuramente La campagne avec Thucydide (Paris 1922), il libro che Albert Thibaudet, studioso di letteratura francese innamorato e competente di cose greche, scrisse durante il suo periodo di servizio nella milizia territoriale fran-cese (ne tratta il saggio di Jacques Cantier, pp. 723-732). La comparazione dell’Europa del presente con la Grecia della fine del V secolo suggerisce anche qui più o meno ardite analogie (ne compare una del tutto inedita fra la stasis di Corcira e la Russia del 1917), ma vi si trova anche un’indagine non superficiale su problemi quali le radici del fenomeno dell’imperialismo e le conseguenze che la conflittualità diffusa e prolungata tipica di una guerra totale provoca nel comportamento dei singoli e delle comunità.

Non si può che essere grati ai promotori di questo progetto per aver am-pliato in misura così significativa l’orizzonte degli studi sulla ricezione di T. È auspicabile che una indagine così approfondita venga presto prolungata oltre la soglia temporale del primo Dopoguerra ed estesa da un lato alle te-matiche di cui all’inizio abbiamo segnalato la mancata copertura, dall’altro alla storia delle traduzioni, un aspetto di centrale importanza per le difficoltà poste dal testo di T. e per il problema che ne deriva delle modalità della sua fruizione nelle differenti cerchie di lettori21. Il libro consegue i risultati forse più significativi sul terreno della definizione, in età antica e moderna, delle regole di scrittura del genere storiografico e del ruolo che vi ha ricoperto T., e si può prevedere che esso darà ulteriore impulso allo sforzo, visibile in molti studi recenti, di liberarsi dalla tirannia del modello tucidideo come canone normativo della storiografia. Che da questo processo di revisione esca poi scalfita anche l’autorevolezza di T. come storico del V secolo a.C. è, ad avviso di chi scrive, un effetto non necessario e largamente indesiderato. Ma al di là delle convinzioni personali, va riconosciuto che fra le ragioni del successo di questa impresa scientifica vi sono la profonda coerenza del progetto che ha animato i tre convegni, la chiarezza con cui emergono le sue linee portanti e la congruenza dei risultati raggiunti con i presupposti che i curatori enunciano limpidamente nella Introduction, soprattutto là dove insistono (p. 16) sulle rotture e sugli scarti, piuttosto che sulle continuità, che segnano l’accidentato percorso che porta dallo ktema es aiei tucidideo all’affermarsi, fra Ottocento e primo Novecento, di un certo modo di fare storia che è parso a un certo punto vincente. Ma, come sappiamo, si trattava di un’illusione.

21 È, questo, un aspetto sottolineato da K. Harloe e N. Morley, ‘Introduction’, in Thucydides and the Modern World, 13-18.

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Abbreviazioni bibliografiche

Brill’s Companion to Thucydides Brill’s Companion to Thucydides, ed. by A. Rengakos & A. Tsakmakis, Leiden - Boston 2006.

Cambiano 2000G. Cambiano, Polis. Un modello per la cultura europea, Roma - Bari 2000.

Murari Pires 2007F. Murari Pires, Modernidades Tucidideanas. Ktema es Aei, I. No tempo dos Humanistas, 1. (Re)surgimento(s), São Paulo 2007.

Thucydides and the Modern World Thucydides and the Modern World. Reception, Reinterpretation and Influence from the Renaissance to the Present, ed. by K. Harloe and N. Morley, Cam-bridge 2012.