Convegno sul tema: “ L’obbligatorietà dell’azione penale” Gela 13 Dicembre 2008 Organizzazione: Camera Penale “Eschilo” – Consiglio dell’ordine degli avvocati di Gela BOZZA NON RIVISTA DAGLI AUTORI Avv. G. Ventura – Presidente Camera Penale Eschilo di Gela Abbiamo appreso un dato rispetto a cui non vi sono punti di vista diversificati. I tempi dei nostri processi e, direi ancora in senso più ampio, dei nostri procedimenti penali sono oblunghi; non hanno eguali in Europa. Lo Stato italiano ormai continuamente viene condannato per fatti di questo genere, gli studi legali accumulano casistica riguardanti le domande alle Corti di appello per il
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Convegno sul tema:
“ L’obbligatorietà dell’azione penale”
Gela 13 Dicembre 2008
Organizzazione: Camera Penale “Eschilo” – Consiglio dell’ordine degli avvocati di Gela
BOZZA NON RIVISTA DAGLI AUTORI
Avv. G. Ventura – Presidente Camera Penale Eschilo di Gela
Abbiamo appreso un dato rispetto a cui non vi sono punti di vista diversificati. I
tempi dei nostri processi e, direi ancora in senso più ampio, dei nostri
procedimenti penali sono oblunghi; non hanno eguali in Europa. Lo Stato italiano
ormai continuamente viene condannato per fatti di questo genere, gli studi legali
accumulano casistica riguardanti le domande alle Corti di appello per il
risarcimento da longevità dei processi medesimi. Vi è un dato che mi ha colpito
particolarmente, secondo il quale ogni anno in Italia si prescrivono quasi 200 mila
reati. Questo è un dato che ho letto in un’autorevole rivista. Tra i rimedi, così sul
tappeto, che si stanno considerando, vi è quello anche dell’abrogazione
dell’obbligatorietà dell’azione penale. E’ uno degli aspetti che da taluni è ritenuto
come una strada da percorrere per ovviare ad un dato realistico secondo il quale
in nessun paese si sono perseguiti ugualmente tutti i reati commessi dai cittadini;
non prendo, per adesso, posizione a riguardo preferendo ascoltare prima i relatori
dei cui interventi mi arricchirò sicuramente. L’obbligatorietà dell’azione penale è
stata abrogata negli anni 70 in alcuni paesi europei. In Italia vi è stata una
complicanza rispetto agli altri paesi, complicanza che poi finisce con il
condizionare qualsiasi tema di questo tipo si tenti di approcciare. Un periodo di
troppa lunga transitorietà del nostro assetto istituzionale statuale, un primato
della politica che ancora stenta a riemergere sono all’origine di una diffusa e
comprensibile diffidenza verso le istituzioni, non solo a livello popolare ma anche
tra gli organi istituzionali. Abbiamo una istituzione legislativa in Italia espressa e
monopolizzata da libere associazioni di persone (quali sono i partiti) che, ormai
lontani dal valore intrinseco che rappresentavano subito dopo la tormenta
fascista, oggi sono sedi di assenza assoluta di regolamentazione ufficiale interna;
in essi vige la legge della giungla. Essi attraverso alcuni adattamenti elettorali
hanno finito con l’esautorare la volontà popolare divenendo i parlamentari
,portatori di mandati imperativi, soggetti a delle regole di partito, disubbidendo
alle quali addirittura vengono radiati ,espulsi e cancellati da situazioni storiche
che appartengono agli stessi. Tutto questo si ascrive ad ogni soggetto politico,
perché è una sorta di commedia, più o meno ben rappresentata sul proscenio
attraverso il sapiente giuoco delle parti, ma del quale in realtà tutti si giovano.
Dott. Leone - Presidente del Tribunale di Gela
Porlo a nome del Tribunale di Gela i saluti a tutti gli avvocati del foro di Gela in un
giorno per me molto particolare per tanti motivi; è un mese esatto che io ho
assunto le funzioni di Presidente del Tribunale di Gela e voglio pubblicamente
dare atto che, attraverso lo screening degli atti dell’ultimo triennio, il tribunale di
Gela rappresenta una punta di eccellenza in campo nazionale. Le pendenze sono
in discesa grazie alla laboriosità ed alla diligenza di un manipolo di giovani
magistrati che è giusto apprezzare, così com’è giusto apprezzare pubblicamente
il Presidente Genco per avermi passato il testimone di un Tribunale in ottimo
stato. Certo in questi giorni il cielo si sta rabbuiando, alcuni magistrati sono stati
trasferiti, la dott.ssa Gallì ha già raggiunto la sua nuova destinazione, altri due
magistrati hanno ottenuto il provvedimento di trasferimento, altri 4 hanno la
scelta per le prossime pubblicazioni, così il Tribunale di Gela vivrà questo turnover
che caratterizza una sede come questa. Come prima considerazione, faremo il
nostro dovere, il mio impegno personale sarà a 360 gradi come ho già promesso .
La seconda vuole veramente mettere in rilievo la grande attualità del tema
prescelto della Camera Penale. E’ da tanti anni che faccio il magistrato, l’ho fatto
nella Corte di Appello di Bologna dove ebbi modo di incontrare un saggio, un
sostituto procuratore della Repubblica che mi disse: sai, Leone, il nostro sistema
giudiziario potrà anche fare acqua da tanti lati, potrà avere tutte le disfunzioni che
noi tutti conosciamo però c’è una cosa, che il mondo intero ci invidia, la
possibilità, anche se teorica, di perseguire tutti. Il valore Intrinseco
dell’obbligatorietà dell’azione penale accompagnata dal valore altrettanto
notevole che è l’indipendenza e l’autonomia della magistratura dal mondo
politico, ci consente di dire che l’ordinamento giuridico italiano si
contraddistingue per questo, per la capacità di raggiungere tutti , ed in questo
momento storico, e specialmente a Gela dove si notano ormai grandi aneliti di
legalità da parte della società civile e dell’imprenditoria, questi aneliti vanno
individuati, rafforzati ed incoraggiati. In questo momento, secondo me, una
riforma sull’esercizio obbligatorio dell’azione penale darebbe dei messaggi in
controtendenza. Concludo esprimendo il mio compiacimento verso coloro i quali
hanno organizzato questo convegno, ai signori relatori, e consentitemi anche a
nome di tutti di rivolgere al nostro procuratore della Repubblica, che si chiama
Lucia, i nostri più sinceri e simpatici auguri per il suo onomastico.
Avv. Ventura
Rinnovo i ringraziamenti e i migliori auguri per un’ulteriore proficua attività
nell’interesse della macchina Giustizia ma anche dell’intera città. Il Tribunale di
Gela fu istituito nel 1989 soprattutto in considerazione delle problematiche del
sito, e chi si è succeduto alla direzione di esso non ha dimenticato mai il contesto
nel quale ha operato, facendolo con sapienza e grande utilità. La scia è valida e
continua a sviluppare protagonisti coerenti in questo senso.
Avv. Gagliano – Presidente del Consiglio dell’ordine degli
avvocati di Gela
Non posso non partire da una considerazione che tutti percepiamo alla luce del
dibattito che si sviluppa proprio in questa settimane, il principio costituzionale
dell’obbligatorietà dell’azione penale; quello che si percepisce è il legame, il
nesso ineludibile tra la obbligatorietà o la discrezionalità dell’azione penale ed il
ruolo o la natura del Pubblico Ministero. Sono due temi che vanno assieme, che
non si possono non affrontare nell’ottica di un disegno coerente, che sviluppi
una certa scelta riguardo, appunto, alla possibilità di non esercitare la pretesa
punitiva dello Stato, pur sussistendone i presupposti, quindi, l’obbligatorietà o la
discrezionalità dell’azione penale e la natura del pubblico accusatore, una natura
che la dottrina ha sempre avuto difficoltà a definire. Sulla natura del P.M., si
confrontano, a riguardo, due posizioni rappresentate, stiamo parlando di nomi
che ovviamente a tutti evocano l’autorevolezza degli studi dell'intuizione
giuridica, da un lato da Calamandrei – Bettiol e dall’altro lato da Giovanni Leone.
Secondo Calamandrei e Bettiol, i quali ricordo riportano i lavori dell’assemblea
costituente, il P.M avrebbe dovuto assumere una funzione, un’attività, un ruolo
garantito dalla Costituzione; Calamandrei proponeva il principio della
inamovibilità, per esempio, che l’art. 107 della Costituzione riserva solo a chi
esercita funzioni giurisdizionali, il giudice per intenderci , fosse anche prevista per
gli esponenti della pubblica accusa o del pubblico ministero. Calamandrei così
come anche Bettiol affermavano che si doveva sancire, nella Costituzione,
l’autonomia e l’indipendenza del P. M al pari dell’organo giudicante. Leone, e
molti che la pensavano come lui, invece si soffermava su una condizione
ambivalente di oggettiva equivocità della figura del P.M, per cui dobbiamo
riconoscere che nel momento in cui il P.M esercita una pretesa punitiva, formula
una domanda in giudizio e quindi ,nell’arco voltaico del giudizio giurisdizionale,
chiede al Giudice di dichiarare o meno una responsabilità o di applicare o meno
una pena e nel momento ancor prima in cui svolge le indagini , le dirige o si
correla con la P.G , assume le vesti di organo amministrativo, ovviamente ha
anche prerogative giudiziarie non solo perché fa parte, ed anche qui per scelta
della Costituzione, dell’organo giurisdizionale, ma perché è un soggetto della
giurisdizione, è un soggetto parte della giurisdizione perché attraverso quel
confronto o il processo dialettico tra due tesi è possibile avere la figura di un
giudice terzo che sente due voci. Ripercorrendo quel passo dell’Orestea in cui
Athena dice: ho sentito sin ora una voce sola, dov’è la seconda. Sentendo due
voci si può adottare una decisione che sia terza o che sia di un soggetto terzo e
imparziale. Tornando al confronto che si sviluppò
all’assemblea costituente, Leone osservava: il P.M rappresenta ,per quanto
attiene alla sua funzione di promuovere l’azione penale e di vigilanza nel processo
, lo stato nel suo diritto soggettivo di punire con poteri che sono talvolta superiori
a quello stesso Giudice. Non dimentichiamo che in tutta la fase pre e post unitaria,
sostanzialmente sino all’avvento del fascismo, comunque sino ai lavori
dell’assemblea costituente e sino alla nascita della Carta Costituzionale italiana, il
P.M o il Procuratore del Re, per intenderci , era quel soggetto che sorvegliava
l’esercizio della giurisdizione ed aveva il compito di verificare che i Giudici
applicassero la legge , che svolgessero le loro funzioni coerentemente alle
indicazioni della norma, oltre ai poteri organizzativi della macchina giudiziaria che
oggi non ha più. Si diceva che lo stesso P.M aveva poteri superiori allo stesso
Giudice rendendone difficile precisarne la natura perché, ove si considerino
prevalentemente le sue funzioni giudiziarie, appare organo del potere giudiziario,
mentre se si riguardano i suoi poteri concernenti l’iniziativa al processo penale e la
direzione della P.G appare come organo esecutivo di natura amministrativa.
Queste osservazioni se pur risalenti al 1947 hanno un’attualità straordinaria in
relazione al dibattito in corso. Oggi ci si confronta sul dibattito riguardante il nodo
irrisolto sulla natura del P.M, dico nodo irrisolto perché a fronte di questo
confronto, che fu anche aspro, nei lavori dell’assemblea costituente tra le due tesi
già dette non si ebbe una scelta ma si demandò la scelta e la collocazione alle
norme dell’ordinamento giudiziario. Fatta questa scelta, nessuno dei costituenti
ebbe dubbio sul considerare doverosa la scelta della obbligatorietà dell’azione
penale, una scelta non discrezionale, ovviamente stiamo parlando di
discrezionalità amministrativa. Stiamo parlando della discrezionalità
amministrativa per cui il P.M pur individuando tutti gli estremi per formulare
l’imputazione, valuta, compara altri interessi dell’ordinamento e dice: no! “non
esercito l’azione penale perché in questo caso non vi sono interessi tali per cui
l’esercizio dell’azione penale sia confacente all’interesse pubblico generale”, è la
tipica discrezionalità amministrativa che il costituente ha inteso precludere con la
scelta dell’art. 112 della Costituzione. La scelta del costituente del 1948 fu una
scelta che non può essere trascurata, fu ovviamente legata all’esperienza storica
precedente perché nel ventennio fascista, uno delle leve del sistema statale era il
P.M fortemente gerarchizzato. Riguardo alla scelta dell’obbligatorietà dell’azione
penale si volle, con la Costituzione del 48, esaltare il primato della legge, nel senso
che nel momento in cui si ritiene violata una fattispecie astratta di reato non si
può non procedere a perseguire l’autore. Alla fine la scelta rimane allo Stato con
la creazione di norme imperative che rappresentano le varie fattispecie astratte.
L’esaltazione della legge, ovviamente in un contesto storico che si caratterizzava
per i forti contrasti ideologici, in un momento in cui le divisioni ideologiche con
riguardo alle condizioni economiche degli individui, ha portato i costituenti a
temere del potere esecutivo; la scelta fu appunto quella di porre assolutamente al
centro della vita sociale, della vita politica ma anche, alla fine ,dell’attività
giurisdizionale, attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale, il Parlamento con
l’atto tipico dello stesso che è la legge, la riedizione o la sottolineatura del primato
della legge.
Chi critica oggi il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale sostanzialmente
dice: di fatto l’azione penale non è obbligatoria, perché non si riesce a perseguire
tutti. I reati sono tantissimi, gli autori sono tantissimi, soprattutto in questi anni
specialmente con i reati commessi da stranieri. Alcuni reati si deve riconoscere
che sono di produzione legislativa, per esempio la normativa sugli stupefacenti ha
prodotto un aumento delle fattispecie di reato per cui la macchina della giustizia
non riesce ad andarci dietro. Voglio sviluppare un ragionamento forse
paradossale, qualcuno ha dei dubbi, a proposito del principio di uguaglianza, nel
senso che i trattamenti normativi non rispecchiano il principio di uguaglianza nel
senso sostanziale, nel senso formale, e infatti interviene in tal senso anche la
Corte delle leggi. Nessuno può dire che il principio di uguaglianza sia stato a pieno
realizzato, ma qualcuno propone di abolire l’art. 3 della Costituzione, non mi pare
che sia un argomento valido il dire, siccome di fatto non si riesce a rendere
obbligatoria l’azione penale allora aboliamo il principio dell’obbligatorietà
dell’azione penale. In conclusione, osservando che probabilmente oggi la società
contemporanea si caratterizza non solo per l' enormità dei problemi ma per la
loro varietà, sia in termine di tipologia, sia in termini di quantità, per il mutare di
giorno in giorno delle esigenze, delle aspettative, delle sensibilità, delle
problematiche, la società delle complessità, molto difficilmente può essere
governata o può trovare i suoi conflitti risolti senza cercare il primato della legge.
Oggi la legge in senso formale, la disposizione della legge in senso sostanziale,
sono in condizione di governare tutti gli aspetti della società complessa e se ci
poniamo problemi in questi termini probabilmente è per queste ragioni che
dobbiamo discutere il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale ovvero della
discrezionalità dell’azione penale. In questi termini il potere esecutivo si può
spogliare del compito arduo della discrezionalità rendendo evidente il primato
della legge e demandando tutto alla fattispecie prevista dal dettato normativo.
Avv. Ventura
Dopo la dettagliata e pregevole relazione del Presidente dell’ordine degli avvocati
di Gela , avv. Gagliano, diamo ora la parola al dott. Birritteri, la cui presenza era
da noi tutti particolarmente attesa. Abbiamo avuto modo di conoscere il dott.
Birritteri ed apprezzarlo come sostituto procuratore generale presso la Corte di
appello di Caltanissetta. Debbo dire che già allora dava segni di profonda
sensibilità verso problematiche generali della giustizia. Il lavoro che ora sta
svolgendo a monte, quale capo dipartimento degli uffici giudiziari del Ministero
della Giustizia, rispecchia quella visione di insieme che già avevamo intravisto.
Detto questo, volevo consegnare ai tre relatori ulteriori spunti. Seguirà la dott.ssa
Lotti , che ci intratterrà sull’attuale sistema e le ricadute pratiche nel sistema
dell’organizzazione dell’ufficio nonchè il Prof. Sbailò, da Roma, che tratterà la
comparazione del problema così come si rapporta nei paesi dove vige il common
law e quello in cui vige il civil law, ormai largamente imperante e prossimo a
prevalere nei paesi anglosassoni. Il dott. Birritteri ci dirà delle riforme in cantiere,
anche se debbo dire che l’altra sera, in quella che è diventata ormai una sorta di
sede istituzionale, la trasmissione televisiva “porta a porta”, il guardasigilli ha
detto che non è nell’agenda di governo, testualmente, l’abrogazione
dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ai relatori volevo ricordare, per come essi
certamente sapranno, che in atto vi sono due iniziative di legge in questa materia.
ve n’é una di iniziativa parlamentare alla Camera ad opera del gruppo riformista
ed una d’iniziativa popolare. Le due proposte di legge si equivalgono perché
propongono entrambe l’abrogazione dell’art. 112 della Costituzione e quindi
dell’obbligatorietà dell’azione penale. Esse si differenziano solo per due aspetti :
in una la discrezionalità dell’azione penale discenderebbe da scelte di politica
criminale dell’Esecutivo, che poi, su proposta, la demanderebbe per la materiale
esecuzione ai procuratori generali delle Corti di Appello; nell’altra invece sarebbe
demandata ai procuratori della Repubblica. Queste due proposte compendiano la
posizione di chi è per l’abrogazione della discrezionalità dell’esercizio dell’azione
penale. Il diritto non può essere fine a se stesso quasi a rasentare il bizantinismo,
di talchè vale la pena di ricordare a questo proposito il brocardo: summum jus,
summa in juria.
Dott.ssa Lucia Lotti – Procuratore della Repubblica del Tribunale
di Gela
Grazie innanzitutto dell’invito straordinariamente gradito; è la mia prima
occasione di confrontarmi pubblicamente nella città di Gela. Ho accettato l’invito
graditamente perché siamo tutti protagonisti di questo tema ed è assolutamente
importante che se ne discuta congiuntamente, apertamente, con trasparenza e
con serenità. Questi sono i presupposti per parlare dei fondamenti del nostro
ordinamento.
Stiamo parlando di principi, infatti ,che sono alla base, che regolano la nostra
convivenza civile, che regolano la democrazia vivente. L’art. 112 della Cost.
afferma che il P.M. ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, questo principio
informa e fonda un altro principio assolutamente basilare, l’uguaglianza dei
cittadini davanti alla legge. Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale poi
collima e s'incontra con il principio della separazione dei poteri: Questo è lo
schema da cui non possiamo deviare nel momento in cui andiamo ad affrontare il
problema dell’obbligatorietà o meno dell’azione penale. Vorrei cercare, per
rendere veramente concreto, lucido e trasparente il discorso di prospettare
un'esigenza; l’esigenza è quella di avere diversi punti di vista, cioè adesso stiamo
parlando di esercizio dell’azione penale di discrezionalità, non è un concetto che
può vivere autonomamente, esercizio dell’azione penale, ne possiamo parlare ma
relazionandolo innanzitutto alla efficacia dell’azione penale, presidio della nostra
convivenza; non è reale e non è un buono strumento se non è efficace. L’azione
penale, poi, è come un profilo di responsabilità, proprio perché l’azione penale
presiede alla nostra convivenza civile, e chi la esercita deve esserne responsabile
perché porta su di se l’onere di garantire che la nostra società abbia un
andamento fisiologico e non patologico. Queste prospettazioni forse ci possono
aiutare la dove le traduciamo in una serie di riflessioni più specifiche, forse ci
possono aiutare a fornire un contributo di chiarezza. Nel momento in cui
relazioniamo l’azione penale all’efficienza non possiamo considerare solo il
momento dell’attività inquirente. L’azione penale è efficace se produce un
risultato stabile e duraturo nel tempo; il momento dell’iniziativa si sostanzia nella
ricostruzione di fatti o di responsabilità e di trovare una sanzione, questo produce
un risultato che da un lato elide la patologia dall’altro ingenera un salutare effetto
di fiducia nei confronti della collettività. Dobbiamo però considerare che il
momento dell'efficienza non può riguardare solo l’esercizio dell’azione penale ma
deve riguardare anche il processo. E’ opportuno rifletter su ciò che è avvenuto nel
momento in cui noi abbiamo posto le basi del nostro sistema con la Carta
costituzionale e a che cosa è avvenuto prima del 1989 e dopo quando abbiamo
mutato il nostro assetto giurisdizionale. E’ accaduto che prima di tale data si
procedesse sistematicamente ad amnistie, mi ricordo ancora, io sono entrata in
magistratura nell’81, che facevamo i calcoli con il Pretore su quando sarebbe
uscita un’altra amnistia e che cosa ci sarebbe rientrato. Allora si smaltiva solo il
30% dei procedimenti e rammento che una statistica fu fatta nel momento in cui
entro in vigore il nuovo codice di procedura penale. Non si può esercitare sempre
l’azione penale perché oggettivamente impossibile. Questo è un problema che
attraversa tutti gli ordinamenti, sia quelli di Common Law che di Civil Law, non è
oggettivamente possibile, questo si afferma; c’è quindi una intrinseca incapacità
degli ordinamenti a garantire sempre l’esercizio dell’azione penale. Con l’entrata
in vigore del nuovo codice si è verificato che non ci sono state più amnistie,
questo è un ulteriore dato su cui riflettere. Abbiamo avuto dopo lunghi anni
l’indulto, questo è un dato storico. Non credo pure che nonostante questo dato ci
sia una situazione d'ingestibilità totale degli affari penali piuttosto abbiamo un
problema di efficacia, nel senso di quella produzione del risultato definitivo di cui
dicevo prima, nel momento in cui vediamo la fase processuale. Il nostro sistema è
un ibrido perché da un lato mantiene il principio dell’obbligatorietà dell’azione
penale dall’altro ha creato, sotto il profilo processuale, delle regole estremamente
raffinate, estremamente complesse e costose, della gestione del processo penale.
Questo sistema complesso ha tutta una serie di oneri dal punto di vista
dell'efficienza nella gestione del processo e poi ancora abbiamo il regime delle
prescrizioni che incide inevitabilmente sui tempi della gestione processuale. Incide
anche il momento della definitività del risultato, nel nostro ordinamento il
risultato diventa definitivo dopo tre gradi di giudizio. Questi elementi giocano sui
tempi e sull' efficacia del risultato. Pensavo a riguardo a un’esperienza
interessante che ho fatto in Francia. Qualche anno fa, Procura di Roma, s'innesca
un’indagine per traffico di auto rubate nel territorio nazionali e spedite in Nord
Africa. Queste autovetture venivano imbarcate da vari porti italiani e dopo vari
spostamenti da parte dei trafficanti per i vari sequestri da parte della Procura,
venivano spedite dai porti francesi. Viene fatta la richiesta di rogatoria, la P.G.
viene inviata in Francia nel Porto di Marsiglia dove si è accertato che attraverso la
compiacenza di doganieri francesi c’era questo fiume di autovetture rubate che
venivano esportate in Africa. Ovviamente è stata data notizia di questa
compiacenza alle autorità giurisdizionali francesi aprendosi cosi un parallelo
procedimento sostanzialmente analogo a quello che si stava svolgendo in Italia.
Parte un progetto di scambio tra il CSM e la Scuola di magistratura francese ed io
chiedo di partecipare e di andare per due settimane alla Procura di Marsiglia,
dove peraltro era stata introdotta da poco in Francia la nuova normativa che
aveva istituito delle procure distrettuali antimafia come in Italia. Il caso ha voluto
che nel programma della mia permanenza il P.M. ospite deve pure assistere ai
dibattimenti e cosi mi trovai a presenziare al processo dei doganieri francesi. In
Francia peraltro in sede di appello diventi definitiva e immediatamente esecutiva
la sentenza, infatti, in Francia gli appelli sono solo il 14% dei casi poiché si ritiene
quasi una mancanza di rispetto per il giudice di primo grado e così normalmente
le pene vengono aumentate.
Questo esempio l’ho portato per far capire che, in teoria, noi parliamo di un
sistema in cui vige il principio dell’opportunità dell’azione penale; quando ho
chiesto ai colleghi francesi che cosa significava per loro in concreto discrezionalità
mi riposero: quando c’è una scarsa offensività del fatto e quando vi è
l’impossibilità oggettiva di sostenere l’accusa; peraltro nell’ordinamento francese
ci sono stati diversi interventi normativi a seguito dei quali è stato introdotto
l’obbligo della forma scritta nell’ipotesi in cui il Ministro intenda dare le direttive,
mentre il sistema gerarchico fa si che il P.M e il Procuratore Generale rispondano
al Ministro; è tradizione in Francia che vi sia un’estrema cautela da parte del
Ministro e quindi dell’esecutivo nel dare delle direttive che comunque debbono
essere formulate per iscritto. La parte privata, nell’ordinamento francese, può
sempre su propria iniziativa attraverso cui viene, di fatto, garantito che si proceda
quando si è di fronte a notizie di reato. Efficacia ed efficienza dell’azione penale,
dobbiamo guardare il sistema nel complesso, sapere quanto giocano le regole nel
processo, l’efficacia complessiva del sistema, quanto costa il principio del rispetto
del contraddittorio su cui io credo profondamente. Nella nostra attività dobbiamo
render conto di quello che facciamo anche sotto il profilo finanziario; cosa è stato
fatto e non fatto,quali sono gli interventi in materia di informatica, come sono
state gestite le intercettazioni telefoniche, quali sono stati i costi approntati e via
dicendo. In questo momento, proprio in virtù di queste modifiche si è innescato
un meccanismo di questo tipo cioè, Il dirigente dell’ufficio, il Procuratore della
repubblica ha dei compiti che poi vengono regolarmente controllati. Gli uffici
direttivi sono temporanei, ogni quattro anni ci sono delle valutazioni. Queste non
sono vuote parole e non lo devono essere, debbono trovare oggettività e
intrinseca validità, se questo meccanismo funziona la mia azione è controllabile,
dobbiamo metterci d’accordo su come devono essere ripartiti gli oneri di
controllo sulla bontà dell’azione del P.M., io sono pronta in questo modo a far
controllare il mio ufficio. Dal bilancio sociale, che ho avuto modo di stampare, la
Procura di Gela ha fatto richiesta per entrare nel programma sulle best practisis.
Ma, quanto costa garantire tutto ciò, quanto costa far accertamenti patrimoniali,
quanta professionalità dobbiamo garantire per ottenere un buon risultato, quanto
deve lavorare la P.G. per riuscire ad ottenere dei quadri ricostruttivi che siano
significativi? Significa uno sforzo enorme, è uno sforzo enorme su cui mi sento di
dover spendere tutte le possibili energie ma che necessariamente presuppone un
principio di solidarietà del sistema, di coerenza del sistema dal punto di vista della
possibilità poi di raggiungere un obiettivo. Azione penale ed efficacia ed efficienza
del contrasto. Azione penale e responsabilità. Questo è un tema assolutamente
ineludibile. Quanto è avvenuto negli eventi recenti fa male, è un qualcosa che
colpisce profondamente tutti coloro che hanno cercato di informare la loro azione
a un principio, non solo di rispetto delle regole, ma anche ad un principio di
equilibrio e di rispetto del contraddittorio, chi ha cercato di informare la propria
azione, P.M., all’idea di dover introiettare la prova. Chi ha improntato la propria
attività a tutto ciò potete immaginare con quale imbarazzo e dolore vede
determinate esternazioni. E’ stato sottolineato dalla Associazione Nazionale
Magistrati, sui fatti di Salerno e Catanzaro, il riferimento alla regola e alla
razionalità. Il rispetto della regola e della razionalità nell' applicazione della regola
in un ordinamento che si fonda sulla relazione diretta con i principi costituzionali e
con la legge è ciò che consente al sistema di sopravvivere, se viene meno il
rispetto della regola e quello della razionalità nella applicazione della regola, il
sistema necessariamente implode. Quindi, questo premesso occorre però capire
ed essere profondamente onesti nello stabilire quanto questi esempi debbano
pesare sulle scelte cioè quanto di patologico c’è in determinati approcci. Nella mia
esperienza romana io non mi sono mai trovata di fronte a questo tipo di
esternazioni. Certo, ci sono delle questioni importanti, si scelgono indagini
elefantiache e costose senza portare risultato, il profilo mediatico si sostituisce
all’aula, la P.G. è una longa manus del P.M., io sinceramente tutto ciò lo sconosco,
non è un qualcosa che fa parte del nostro ordinamento, a questo punto
guardiamo quali sono le regole, per vedere chi viola le stesse, se il sistema nella
sua oggettività viola complessivamente le regole e su questo dobbiamo essere
assolutamente chiari. Ritengo che la funzione del P.M. , sia pure con quelle
ambiguità e con quel quid di irrisolto, però abbia nel nostro sistema dei dati
assolutamente positivi; se vogliamo prendere lo schema, tra due sistemi diversi, il
P.M nel common law, il pubblico narratore, colui che narra la ricostruzione di una
storia, nella tradizione europea ,non il P.M ma il Giudice istruttore che si fa
portatore della ricostruzione dei fatti, sembrerebbero due sistemi configgenti. Il
P.M. in Italia, da un lato è parte dall’altro ha l’obbligo di accertare la
responsabilità storica degli eventi ed ha l’obbligo di esternare gli elementi a favore
dell’imputato. Se ciò è vero, vediamo quali sono i punti di contato tra gli
ordinamenti, un P.M che rappresenta fatti in modo narrativo ha solo un unico
obiettivo, quello di aver un buon esito processuale. Non debbono esistere altri
obiettivi. Il nostro sistema, questo ci impone, la ricostruzione storica dei fatti, ci
impone di accertare e non nascondere gli elementi a favore dell’imputato, ma
perché, perché c’è un obbligo di risultato cosi come lo ha il P.M degli ordinamenti
anglosassoni. Ho appena redatto, due settimane fa, una nota per la Procura
Generale in cui ho relazionato sull’esercizio dell’azione penale, sulla correttezza e
l’uniformità di indirizzo dell’azione penale nel circondario, questo è quello che
richiedono il CSM e le varie circolari del Ministero. Dobbiamo adottare, dagli
ordinamenti anglosassoni, l’idea che ogni scelta informativa e di indirizzo deve
essere parametrata a un' analisi seria dei bisogni e delle necessità degli scopi. C’è
una scienza negli ordinamenti anglosassoni l’Economic analysis of law, dobbiamo
conoscere e sapere di quello di cui si parla, gli interventi ,qualsiasi essi siano, non
possono estemporanei e strumentali, non possono essere interventi più o meno
ragionati. Lavoriamo insieme su un’analisi seria, reale e ragionata dell’esistente.
Avv. Ventura
L’analisi della dottoressa Lotti pur fatta da un pubblico ministero, tant’è che nella
parte finale mi sono voltato a guardare, mi ha sorpreso positivamente oltremodo.
Invero avevo avuto un’avvisaglia di come si muove la dott.ssa Lotti nell’ambito di
queste tematiche, allorché ho appreso che non è iscritta ad alcuna corrente della
magistratura. Per me è questo un dato estremamente positivo. Sforzandomi di
compendiare la complessa relazione della dott.ssa Lotti, debbo dire che ha
riconosciuto intanto che il problema, il dato empirico esiste. Poi ha ritenuto che i
rimedi non vanno solo ricercati nella fase inquirente, cioè nella fase del
promovimento dell’azione penale ma vanno anche affrontati nella sede della
giurisdizione. In questo senso il legislatore in realtà con la legge 105/2008 ha
affrontato questo problema, stabilendo la priorità degli affari penali da trattare
secondo criteri generali per cui è prevedibile che si avviino a conclusione quei
procedimenti che ineriscono ai reati di particolare offensività e di particolare
allarme sociale. A questo riguardo debbo dire che, come sempre ,una delle cose
più negative che si commettono in materia di legislazione giudiziaria è quella di
indulgere alle emergenze, perche le emergenze sono piene di contraddizioni,
provvisorietà , di accondiscendenza a fatti del momento che poi man mano
sbiadiscono e perdono il loro carattere generale. Riguardo alla legge 125 del 2008,
uno dei criteri di priorità attiene al principio della libertà, pertinente alla modifica
dell'art. 122 bis delle norme di attuazione secondo cui i processi riguardanti
imputati detenuti anche per altra causa debbono avere questa priorità. In questo
corpo di norme ho notato che viene assolutamente trascurato il diritto di
proprietà che la nostra Carta Costituzionale tutela al pari della libertà o quasi.
Ritengo che gli effetti devastanti che derivano da un procedimento oblungo che
attenga ad un sequestro di una azienda, di un bene produttivo, non siano meno
nefasti di quanto non lo sia la restrizione della libertà. pertanto credo che
qualcosa a riguardo vada fatta. Detto questo, l’altro aspetto che ha trattato la
dott.ssa Lotti, quanto mai condivisibile, è quello della responsabilità. Mi preme
porre l'accento sul fatto che studiosi spiegano la carenza di responsabilità in capo
al P.M nello svolgimento della propria azione, proprio con l’obbligatorietà
dell’azione penale. Sulla base di essa, attraverso la pratica degli “atti dovuti”, tutto
diventa “atto dovuto” con la conseguenza che si elide il principio di responsabilità.
Il criterio adottato dalla dott.ssa Lotti nella gestione del suo ufficio, in qualche
modo mi pare, richiami la circolare Maddalena ,Procuratore della Repubblica di
Torino. Il principio di responsabilità credo che sia contemplato dalla nostra
Costituzione all’art. 97. Inoltre, trattandosi pur sempre di atti della Pubblica
Amministrazione, essi non possono che essere informati all’imparzialità ed al
buon andamento del pubblico ufficio. Non c’è dubbio che una delicata funzione,
qual è quella dell’esercizio dell’azione penale e dello svolgimento delle indagini,
può dare luogo ad effetti quando mai devastanti, se non rigorosamente codificata
sotto il profilo della responsabilità. Conseguentemente se si intende
regolamentare il momento, per cosi dire, inquirente e quello del promovimento
dell’azione penale, ciò non può che avvenire necessariamente con legge, e non già
rimettendosi alla discrezione dei singoli soggetti, che inevitabilmente darebbe
luogo ad applicazioni difformi e discontinue. Le soluzioni a livello legislativo la
titano. Come sempre accade nella nostra legislazione, per la debolezza politica, si
annuncia il tema si declama la soluzione, ma poi man mano il tutto scema o
viene a tradursi in contingenti e inefficaci “ pannicelli caldi” che non risolvono il
problema di fondo.
Prof. Sbailò – Ordinario della cattedra di diritto costituzionale
comparato Università Kore di Enna
La relazione della dott.ssa Lotti mi ha spiazzato perché era in effetti il tema nel
quale volevo insistere l’Account ability, perché questo è il problema; dal discorso
fatto dalla dott.ssa lotti deduco che il problema è il CSM, perché nel 2006 era
stato abolito l’articolo dell’ordinamento giudiziario che dava il potere al CSM di
intervenire nell’organizzazione degli uffici e con circolare è stato restaurato dal
consiglio stesso. In nessun altro paese ci sono garanzie di questa natura c’è la
totale mancanza di responsabilità perché questa è la chiave fondamentale posta
dalla dottoressa, se il problema è la responsabilità, dove e quando viene fatta
valere questa responsabilità, attraverso quali procedure ed azioni disciplinari, ma
anche il ministro che condivide questo potere, dal 56 la promozione dell’azione
disciplinare del CSM viene interpretata come una intrusione nella libertà dei
magistrati ed un attentato alla libertà della magistratura. Il Ministro di Grazia e
giustizia di fatto non solo non può e non ha nessuna titolarità nella criminal policy,
ed è il soggetto che dovrebbe qui far capo perché alla fine risponde al Parlamento,
non può materialmente non è nella condizione di esercitare l’azione disciplinare, il
CSM ha un atteggiamento generoso nei confronti dei magistrati, quindi, dove si
realizza questa Account Ability. Il problema fondamentale mi pare sia questo, con
una circolare interna si ripristina una norma abolita, ossia il potere di mettere le
mani all’interno degli uffici giudiziari per cui qualsiasi Sostituto può sindacare
l’utilizzo della via gerarchica. Volevo poi raccogliere altre due questioni nella
molto interessante relazione del Procuratore, una per quanto riguarda il criterio
dell’opportunità della Francia, opportunità non pensata in chiave garantista ma
pensata in chiave di primato della politica, storicamente è quello l’origine del
criterio dell’opportunità nessuno infatti dice che il criterio dell’opportunità dia
garanzie all’individuo, il problema è sempre quello di responsabilizzazione delle
scelte. A mio avviso il problema lì nasce da un modo molto particolare di
intendere il primato della politica, per quello inglese, giustamente, c’è un ruolo
fondamentale, storico della'opinione pubblica, storicamente articolato già in
questa solidarietà originaria che si forma tra gli avvocati ed i Giudici, formando
una sorta di community di riflesso alla società civile e quindi questo a fatto si che
si instaurassero delle assi interne che portano poi ad un diritto certamente
diverso dal nostro. Un’altra osservazione che volevo cogliere e che mi ha
sollecitato l’Avv. Gagliano riguarda il dibattito nella Costituente. Per quanto
riguarda il riferimento al dibattito in Costituente, la questione fu posta, come è
stato ricordato, da Giovanni Leone e poi è stata rilanciata negli stessi termini da
Giovanni Falcone, che citò appunto Leone alla Costituente. La norma di Leone
prevedeva una chiara subordinazione del P.M all’esecutivo perché ci si trovava di
fronte al problema della scelta del quale modello adottare, alla fine si scelse la
linea italiana la linea ibrida. Il coacervo può avere una propria legittimità se
funziona ma il problema vero è che questa via si è dimostrata inefficace come lo
dimostra l’immagine attuale della giustizia. Noi abbiamo due possibili approcci al
problema, uno è quello a carattere minimalista ossia l’emergenza ingestibile del
carico giudiziario l’altro è quella linea dei radicali, la Criminal policy in capo al
governo. Noi abbiamo una scelta un pò complessa da questo punto di vista,
perché è stato ricordato che l’art. 112 è strumentale rispetto al principio della
legalità e della uguaglianza; di fatto non c’è obbligatorietà c’è discrezionalità de
facto, e vorrei dire qui una battuta, l’art. 54 parla di necessità, alla fine si deve
pur far funzionare la macchina, ed è vero che in molti paesi dove esiste la
discrezionalità viene ardita con forza l’esigenza di introdurre elementi di rigidità
persino l'Inghilterra aziona sull’Italia perché si attenga al principio di
obbligatorietà. C’è ad esempio una delle più remote raccomandazioni del
Consiglio d’Europa del 1987 che dice: il principio della discrezionalità dovrebbe
essere introdotto nella sua obbligatorietà estesa. Nei paesi in cui non vi è
discrezionalità si raccomanda si estendere il numero dei reati nei quali l’avvio
dell’azione penale sia condizionata dalla richiesta o dal consenso della vittima o di
dare ai magistrati il potere di sospendere i processi. L’esperienza comparatistica ci
insegna che il problema dell'efficienza, quello dell’account ability e quello della
titolarità della politica criminale sono purtroppo ioni non facilmente scindibili. Le
questioni sono strettamente connesse, tra l’altro tra anche nei paesi di stampo
romanistico la criminal policy, la capacità di indirizzare la politica repressiva dello
Stato alla fine si mette in capo all’esecutivo che poi risponde al Parlamento.
Questo è stato fortissimo soprattutto anche dopo l’11 settembre dove si è posto
proprio il problema di responsabilità di politica criminale. Abbiamo ricordato che
l’esercizio dell’azione penale agisce in base al principio dell’opportunità, è sotto
posto ad una gerarchia che poi fa capo al Ministro che ovviamente non è P.M e
che appunto attualmente deve procedere per iscritto e che comunque non può
direttamente interferire. E’ significativo il fatto, ad esempio, che l’archiviazione in
questo caso sia sottratta al controllo giurisdizionale ed ha un carattere provvisorio
cioè finché non vi è prescrizione e come è stato ricordato la parte lesa, la dove vi
sia questo passo indietro da parte del P.M può a sua volta rivolgersi al Giudice
istruttore e riavviare l’iter. Questa struttura dell’azione penale va considerata
strettamente in relazione con due cose, con i provvedimenti alternativi e con la
natura del P.M, ecco perché io insistevo sul fatto che il sistema francese va letto
alla luce del modo, tutto francese, di pretendere il primato del politico; per
quanto riguarda i provvedimenti di carattere alternativo il Procuratore può
richiamare gli obblighi di legge, può instaurare una mediazione tra la vittima e
l’autore e, qual’ora non vi sia il provvedimento alternativo, ha davanti a se due
strade, l’azione penale e la composizione penale, cioè il P.M può proporre alla
persona una serie di azioni risarcitorie che vanno dal fatto che non può guidare,
che consegna la macchina, che lascia il suo passaporto e così via. Ci sono una serie
di provvedimenti che favoriscono la deflazione come dire; ma questi
provvedimenti vanno intesi come una possibilità non in termini di garanzia ma di
titolarità e di responsabilità ovvero la trasparenza e l’efficienza, quindi una
garanzia dell’individuo e non dell’imputato. Questo ci porta a vedere il tipo
particolare di struttura interna al sistema francese e quindi alla separazione delle
funzioni che viene spesso richiamata nelle nostre proposte di riforma, infatti si fa
distinzione tra la separazione delle carriere con quella delle funzioni. La cornice in
cui s'inserisce questa connotazione del P.M ha carattere romanistico, non vi è
bisogno di stravolgere i fondamenti del nostro diritto per rafforzare il principio del
primato della politica. Per quanto riguarda l’ordinamento inglese abbiamo anche lì
un tendenziale irrigidimento diciamo in sintonia con il processo di integrazione
europea con l'internazionalizzazione dei diritti per esempi lo Human right act del
1998 che ha determinato l’introduzione dentro il sistema inglese di un elemento
non più disponibile alla discrezionalità del Parlamento; anche in questo caso si
valuta l’economicità dell’azione penale sia in termini di tempo che di risorse. Mi
ricordo che un Procuratore della repubblica dell’Italia meridionale ha avviato
un’inchiesta sui rapporti tra politica e massoneria ed improvvisamente divenne
un’inchiesta di carattere nazionale, con perquisizioni nelle sedi di partito a Roma,
su pressione del CSM è stata messa a disposizione una serie di strutture logistiche
che oggi potrebbero essere utilizzate alla lotta al terrorismo internazionale.
Questa inchiesta portò all’archiviazione e per parlare di responsabilità, c’è stata
una risposta ed un comportamento premiale nei confronti di questo Procuratore
diventando capo di una delle Procure importanti. In Italia è stata fatta questa
scelta che fu giudicata ibrida che è alla base della responsabilità. Ovunque esiste
un CSM e nessuno di questi garantisce ai P.M. il potere che il CSM italiano da a
questi; ovunque il Ministro ha un minimo ruolo nello status del P.M, in altri paesi
simili al nostro esiste una gerarchia molto precisa , in paesi come la Germania vi
sono delle vere e proprie verifiche periodiche di valutazione della professionalità.
Questo problema è tornato di attualità oggi, partendo con la circolare Maddalena,
sollevato già dalla circolare Zagrebeski del 1990 la città è la stessa, Torino;
entrambe hanno cercato di porre rimedio all’ineffettività concreta del principio
dell’obbligatorietà dell’azione penale con una differenza,mentre la Zegrebeski è
molto audace sul piano teorico, perché c’era una eresia teoretica, perché la stessa
prevedeva corsie preferenziali per determinati reati ed attuava una selezione di
carattere positivo, una responsabilità che poteva essere fatta valere in maniera
immediata. Quella di Maddalena è più pragmatica perché prescriveva
l’accantonamento di fascicoli relativi a processi già pendenti e stabiliva in questo
modo una selezione negativa volta al passato. Mi chiedo: il criterio della priorità è
compatibile con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale in un impianto
romanistico come il nostro? Se si favorisce il flusso delle priorità, quest’ultimo è
interminabile e di conseguenza i procedimenti ritardati non prioritari verrebbero a
bloccarsi. Adesso si è tornato a parlare, con la legge 125/2008 legge sicurezza, di
mitigare gli effetti paralizzanti dell’obbligatorietà dell’azione penale e per
velocizzare i processi dando la priorità a quelli di maggiore allarme sociale. E’ stata
sollevata una questione di costituzionalità dell’art. 125 di questo decreto
sicurezza, la questione fu respinta e nella motivazione leggiamo questo: L’azione
penale obbligatoria non significa consequenzialità automatica tra notizie di reato
e processo ne dovere del P.M di iniziare il processo per qualsiasi notizia criminis,
limite implicito alla stessa obbligatorietà razionalmente intesa è che il processo
non debba essere instaurato quando si appalesi che sia oggettivamente superfluo
per opportunità ed economicità, appreso prima dal sistema francese; il problema
dell’archiviazione sta nell’evitare il processo superfluo senza eludere il principio di
obbligatorietà ed allora concludo con questa domanda: la superfluità del processo
può essere interpretata come un limite di resistenza al principio di obbligatorietà
di cui all’art. 122 nel senso che si può interpretare questo principio come una via
per stabilire un minimo di responsabilità nel nostro paese?
Avv. Ventura
Il Professore Sbailò è tornato sul principio di responsabilità ,mancando il quale
l’esercizio dell’azione penale sembrerebbe sottrarsi ad ogni forma di razionalità
ed a ogni criterio di saggezza l’esercizio dell’azione penale. Egli ha introdotto ,mi
pare, un ulteriore corollario ovvero quello della gerarchizzazione. La refrattarietà
dei P.M. al principio della responsabilità cosi come a quello della gerarchizzazione
è atavica. Mi viene in mente quel che successe quando il Ministro Martelli
propose l’istituzione della Superprocura nazionale ispirata da Giovanni Falcone,
che era destinato a ricoprire quella carica. Vi fu una reazione, cristallizzata in un
documento del CSM, che portò quel ministro a ritirare la proposta di legge e che,
per la verità, comportò la compromissione di una determinata funzione allo stesso
Giudice Falcone. Detto questo, trovo un ulteriore apporto originale
nell’interrogativo con cui ha concluso il Prof. Sbailò la sua relazione. Egli si è
chiesto se un previo rigoroso vaglio circa l’opportunità o meno del rinvio a
giudizio, dopo l’udienza preliminare, possa giovare alla soluzione del problema.
Certamente si, ma anche questo passa per il principio di responsabilità, che
comporta l’opportunità di ricorrere all’archiviazione laddove l’accusa non sia
supportabile. A questo riguardo debbo dire che la legge 125 del 2008 si muove in
direzione contraria, perché essa, modificando e ampliando i casi in cui possa
richiedersi il giudizio immediato, nonché di incrementare i giudizi direttissimi
,saltando il filtro dell’udienza preliminare. Osservo che attraverso la frase “salvo a
recare pregiudizio alle indagini”, contenuta nella norma il P.M può operare a
piacimento, col non trascurabile effetto di potere evitare l’udienza preliminare la
cui finalità nel nostro codice di rito è proprio quella di fare da filtro rispetto
all’intasamento dibattimentale proprio sulla base della sostenibilità dell’accusa.
L’Italia è l’unico paese in cui vige l’obbligatorietà dell’azione penale e l’esclusività
dell’azione penale, affidata unicamente all’ufficio del P.M. Questa cultura
monopolistica dell’esercizio dell’azione penale trova un precedente ,per esempio
nel vecchio ordinamento, fino a prima dell’entrata in vigore del nuovo codice.
L’art. 231 delle norme di coordinamento del Codice di procedura penale sancisce
l’abrogazione delle disposizioni di legge o decreti che prevedono l’esercizio
dell’azione penale da parte di organi diversi dal P.M. Prima di questo codice
invece era vigente, per esempio, la legge sul contenzioso amministrativo la 2228
del 1865, la quale prevedeva che il Prefetto, se lo riteneva opportuno, poteva
promuovere azioni penali per fatti amministrativi nei quali ravvisava rilevanza
penale. Fu sollevata questione di costituzionalità e la Corte delle leggi ebbe a dire
che tutto questo non derogava l’art. 112 della Costituzione perché era sussumibile
nell’art. 2 della legge 130 secondo la quale ogni Pubblico ufficiale incaricato è
tenuto a fare rapporto all’autorità giudiziaria nel caso in cui venga a conoscenza di
illeciti penali. Si è fatto cenno alla necessità che per poter migliorare l’andamento
della “macchina giustizia” è indefettibile il requisito della buona fede e il rapporto
fiduciario rispetto a tutti gli operatori. Ciò certamente implica anche una profonda
rivisitazione della professionalità forense perché un dato, che mi ha colpito, è che
gli iscritti abilitati al patrocinio all’Alta Corte francese non superano la cinquantina
di unità, mentre qui siamo migliaia. In conclusione con questi interrogativi
interessanti ed attinenti al tema, ancora una volta credo che si possa affermare
che occorre una seria e completa riforma strutturale anche riguardo ai Magistrati
perché non abbiano a verificarsi di nuovo quelle mostruosità avvenute in questi
giorni. Mi riferisco allo scontro tra le Procure di Napoli e Catanzaro che hanno
inferto profonde ferite alla credibilità della “Giustizia” insomma la giustizia è
malata e va rivisitata. L’unione della Camere Penali ha pubblicato uno studio su
taluni distretti giudiziari, tra cui quello di Roma ed avviato un questionario, che
compileremo nei prossimi mesi dove si sono monitorate le cause dei ritardi e della
lunghezza dei processi. Le assenze e i legittimi impedimenti della parte imputata
non raggiungono indici preponderanti, mentre ci sono dati rilevanti per le omesse
notifiche, le assenze dei testimoni, gli imprevedibili disguidi degli uffici giudiziari
Dott. Birritteri – Capo degli Uffici giudiziari del Ministero della
Giustizia
Grazie agli interventi precedenti, molto lucidi, buona parte degli appunti che
avevo preso mentre loro parlavano li posso tranquillamente risparmiare perché
ho sentito le parole magiche, obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità,
inamovibilità, tutte questioni che se non sono ben comprese rischiano di non far
comprendere il senso del problema; poi qualcuno ha parlato anche di
irresponsabilità facendo riferimento a fatti di cronaca recenti. Il problema è ,dal
mio punto di vista, non tanto un problema di riforma costituzionale ma di
organizzazione e di funzionamento del controllo. Ogni tanto bisogna leggerle le
norme della Costituzione per capire di che cosa stiamo parlando, l’art. 107 dice: i
magistrati sono inamovibili, non possono essere dispensati o sospesi dal servizio
ne essere destinati ad altra sede o funzioni se non a seguito di decisione del CSM,
adottata o per i motivi o garanzie stabilite dall’ordinamento disciplinare,
sostanzialmente per procedimenti disciplinari, per trasferimenti per
incompatibilità o per il loro consenso. Mi sembra che il CSM e i Magistrati si siano
fermati a questa norma mentre giusto tre norme dopo c’è un’altra norma della
Costituzione che è l’art. 110, il vero assente di questi ultimi 60 anni di
giurisdizione italiana dal panorama delle norme costituzionali. C’è un’altra norma
della Costituzione che dice: ferme le competenze del CSM, spetta al Ministro
della Giustizia l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia,
norma poco letta ed ancor meno applicata. Vi sono per la verità due sentenze
della Corte Costituzionale che hanno avuto, negli anni 80, occasione di precisare
che il concerto del Ministro, dato agli incarichi direttivi, che è previsto dalla legge
del 58 istitutiva del CSM,in particolare all’art. 11 dice: nella nomina delle cariche
direttive il CSM designa il magistrato con il concerto del Ministro. Quindi abbiamo
queste tre norme, l’art 107 che assicura l’inamovibilità dei magistrati, l’art. 110
che affida l’organizzazione del servizio al Ministro e la legge del 58 che dice che
quando il CSM designa un dirigente lo deve fare con il concerto del Ministro.
Qual è il senso di tutto questo, alcuni hanno inteso questo in maniera riduttiva, il
Ministro che organizza è quello che manda le macchine, le fotocopiatrici, la carta
è il concerto del Ministro alla designazione del CSM è un mero atto di cortesia. La
domanda laicamente che faccio, e che mi sono fatto quando sono stato designato
a capo dell’organizzazione degli uffici giudiziari, è: se ciò sia corretto e se i padri
costituenti hanno messo questo articolo 110 lì soltanto per ricordare al Ministro
che doveva dare le fotocopiatrici per far funzionare gli uffici. E perché non l’hanno
fatto pure per il Ministro dell’interno o per quello della salute? E’ l’unico Ministro
citato perché i padri costituenti gli hanno dato il diritto dovere e la responsabilità
politica conseguente all’organizzazione del servizio. Voglio citare pure io Giovanni
falcone, ha avuto la fortuna di lavorarci insieme.
Giovanni Falcone in una delle riunioni di corrente del movimento per la giustizia
ha detto: badate bene che se non ci autogoverniamo con assoluta rigidità ed
efficienza verrà il giorno che lo faranno gli altri al posto nostro. Per professione
sono abituato a ragionare con i numeri, 1 milione 700 mila processi pendenti che
riguardano più di 1.700.000 persone, lo stesso vale per i 2.000.000 di
procedimenti pendenti con imputati noti, questi sono i numeri. L’obbligatorietà
dell’azione penale è certamente garanzia di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla
legge e tuttavia con questi numeri, o si mette mano al processo penale,
all’invasività del Giudice penale e del P.M o il sistema va fuori controllo. Se
pensiamo a questi fatti la domanda è: abbiamo tutti ,come magistrati ,paura di
mettere sotto controllo la bontà della nostra attività? Siamo disponibili a qualcuno
che possa controllare la bontà del nostro lavoro? Se la risposta è positiva, questa
battaglia di tutela dell’inamovibilità e di tutela dell’autonomia ed indipendenza la
vinciamo altrimenti devo dar ragione a Franco Roberti che, in un convegno a
Napoli ,ha teorizzato che il sistema vigente è diventato così perché l’inefficienza
del nostro sistema è il prezzo che i magistrati hanno pagato e continuano a pagare
per poter rimanere autonomi ed indipendenti. Una provocazione micidiale, ma se
ci si riflette c’è del vero a tutto questo, perché pur di non accettare violazioni
all’esercizio individuale della giurisdizione siamo precipitati nell’inefficienza e
quindi questo è il costo che abbiamo pagato. Essendo capo dipartimento mi devo
anche occupare degli euro spesi dal nostro Ministero che in lire sono 4.500
miliardi spesi dal 1990, dagli albori dell’informatica ai giorni nostri. 1.600.000.000
di euro spesi in informatizzazione degli uffici giudiziari. Da una delle analisi che ho
condotto, e che mi ha provocato estrema tristezza, ho constatato che negli uffici
giudiziari, i capi degli stessi decidono loro quali sono i programmi che gli vanno a
genio e se guardiamo all’art. 110 della Costituzione questa è un’assurdità senza
precedenti. Questo non succede al Ministero delle finanze o dell’interno per i
controlli che hanno nel loro interno e perché i capi degli uffici si attengono alle
circolari del Ministro. Per questo noi ,al Ministero, stiamo lavorando per questo,
per dare un senso a quell’art. 110 della Costituzione salvaguardando così
l’obbligatorietà dell’azione penale. Il magistrato deve si autonomamente svolgere
le proprie funzioni ma deve farlo utilizzando gli strumenti forniti dal Ministero. Mi
rivolgo ai mie colleghi dicendo che il Ministro ha lanciato una sfida e con grande
pacatezza lo stesso ha detto: l’inamovibilità è una guarentigia cioè è lo strumento
di cui la Costituzione si è avvalsa per far si che il magistrato scomodo possa essere
trasferito, ma l’inamovibilità non può essere un privilegio o una comodità. Il
Ministero è impegnato oggi sulla pratica delle best practis e delle common
assisement framwork, lo abbiamo finito negli ultimi di novembre, sarà fornito a
tutti gli uffici; è un sistema di auto valutazione che tutti i capi degli uffici saranno
chiamati ad utilizzare. Il principio della buona fede, la classe forense subirà la
stessa sorte, ci sono progetti di riforma che passeranno sulle teste degli avvocati
se questi ultimi non decideranno di collaborare. E’ concepibile che non può essere
fatta una notifica via email? Anche gli ordini forensi dovranno collaborare per
informatizzare il processo e renderlo più snello nei tempi.