Top Banner
PAOLO BENVENUTO L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXI Estratto da: RASSEGNA STORICA TOSCANA ORGANO DELLA SOCIETA ` TOSCANA PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO Anno LVII - N. 2 – Luglio-Dicembre 2011
30

L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

Jan 12, 2023

Download

Documents

Fabio Fabiani
Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

PAOLO BENVENUTO

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI:CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA

E REPUBBLICA

F I R E N Z E

L E O S. O L S C H K I E D I T O R EMMXI

Estratto da:

RASSEGNASTORICA TOSCANA

ORGANO DELLA SOCIETA TOSCANA

PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO

Anno LVII - N. 2 – Luglio-Dicembre 2011

Page 2: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

RASSEGNA STORICA TOSCANAORGANO DELLA SOCIETA TOSCANA PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO

Anno LVII - n. 2 LUGLIO-DICEMBRE 2011

Direttore responsabile: SANDRO ROGARI

Redattore capo: FABIO BERTINI

Redazione: DOMENICO MARIA BRUNI, GIUSTINA MANICA, SHEYLA MORONI,GABRIELE PAOLINI, MARIA GRAZIA PARRI, MARCO PIGNOTTI, CHRISTIAN SATTO

Comitato scientifico: PAOLO BAGNOLI, PIER LUIGI BALLINI, FABIO BERTINI,DOMENICO MARIA BRUNI, COSIMO CECCUTI, ZEFFIRO CIUFFOLETTI, FULVIO CONTI,

ROMANO PAOLO COPPINI, MARIA FRANCESCA GALLIFANTE, LUIGI LOTTI,SALVO MASTELLONE, GABRIELE PAOLINI, MARCO PIGNOTTI, SANDRO ROGARI,

MARCO SAGRESTANI, SIMONE VISCIOLA, ALESSANDRO VOLPI

S O M M A R I O

Necrologio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 133

La democrazia toscana

Danilo Barsanti, «I principi passano, i popoli restano». La politica del governoprovvisorio toscano nel 1849 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 135

Paolo Benvenuto, L’Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia erepubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 173

La memoria del Risorgimento

Annarita Gori, Cavour. Il rivoluzionario pragmatico: le celebrazioni delcentenario cavouriano a Firenze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 201

La Toscana e la Grande guerra

Alessandro Volpi, L’interventismo repubblicano a Carrara: gli articoli dello«Svegliarino» e della «Sveglia repubblicana» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 221

I partiti nel secondo dopoguerra

Francesco Grassi, L’azionismo fiorentino e la confluenza del PdA nel PSI.Alcune note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 239

Nota biografica

Amedeo Benedetti, Ersilio Michel, storico e biografo dimenticato . . . . . . . . » 265

Recensioni

Dante vittorioso. Il mito di Dante nell’Ottocento, a cura di Eugenia Querci, di Maria GraziaParri (p. 279); Emmanuel Pesi, Resistenze civili. Clero e popolazione lucchese nella secondaguerra mondiale, di Maria Grazia Parri (p. 280); Insieme sotto il tricolore. Studenti e professoriin battaglia. L’Universita di Siena nel Risorgimento, a cura di Donatella Cherubini, di GiustinaManica (p. 281); Renzo Bernardi - Sergio Goretti - Fabrizio Nucci - Vincenzo Rizzo, Campis’e desta. La storia del Risorgimento in un borgo alle porte di Firenze (1841-1882), di GiustinaManica (p. 282); Giorgio Sacchetti, Sovversivi e squadristi. 1921: alle origini della guerra civilein provincia di Arezzo, di Fabio Bertini (p. 282); Alberto Forzoni, La grande malata. L’agricol-tura aretina nell’Ottocento, di Fabio Bertini (p. 284); Guglielmo Adilardi, Giuseppe Meoni(1879-1934). Un maestro di liberta, di Andrea Giaconi (p. 285); Luisa Ciardi, Il lanificio Silvaia-nese. Un’azienda a misura di famiglia e di territorio (1945-1989), di Giuseppe Gregori (p. 287).

Volume pubblicato con il determinante contributo di

Tutti gli articoli proposti alla rivista sono soggetti a un esame preliminare per valutare laloro rispondenza ai criteri propri di un contributo di carattere scientifico. Gli articoli chesuperano questo screening preliminare vengono sottoposti a un sistema di revisione in‘‘doppio cieco’’, con esame compiuto da uno specialista della tematica. L’autore puo esserechiamato a rivedere il suo testo sulla base delle raccomandazioni del referee perche possasuperare una seconda lettura. La direzione si riserva comunque la decisione finale in meritoalla pubblicazione.

Pubblicazione semestrale

Direzione

SOCIETA TOSCANA PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO

Via S. Egidio 21, 50122 Firenze . tel. (+39) 055.24.80.561 . e-mail [email protected]

Amministrazione

Casa Editrice Leo S. OlschkiCasella postale 66, 50123 Firenze . Viuzzo del Pozzetto 8, 50126 Firenze

e-mail: [email protected] . Conto corrente postale 12.707.501Tel. (+39) 055.65.30.684 . fax (+39) 055.65.30.214

ABBONAMENTO ANNUALE – ANNUAL SUBSCRIPTION

2011

ISTITUZIONI – INSTITUTIONS

La quota per le istituzioni e comprensiva dell’accesso on-line alla rivista.Indirizzo IP e richieste di informazioni sulla procedura di attivazione

dovranno essere inoltrati a [email protected]

Subscription rates for institutions include on-line access to the journal.The IP address and requests for information on the activation procedure

should be sent to [email protected]

2011: Italia: E 76,00 . Foreign E 91,002012: Italia: E 80,00 . Foreign E 100,00

PRIVATI – INDIVIDUALS

solo cartaceo - print version only

2011: Italia: E 58,00 . Foreign E 75,002012: Italia: E 65,00 . Foreign E 80,00

Pubblicato nel mese di marzo 2012

Page 3: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica
Page 4: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

zante la dinastia lorenese.2 A riprova delle minori aperture del governo stavano iripetuti richiami nei confronti di quei professori dell’Universita di Pisa, che neglistessi anni sostenevano dalla cattedra le ragioni della patria italiana e delle rifor-me necessarie a svecchiare l’ordinamento granducale, adeguando opportuna-mente la vecchia configurazione istituzionale ai progressi della civilta.3

Allora, a Pisa e a Firenze, in seguito anche a Siena e poi a Livorno, si po-tevano leggere i commenti ai fatti politici che comparivano sui fogli volantidelle pubblicazioni clandestine, con cui si stimolava l’opinione pubblica al di-battito e alla riflessione sulla condotta del governo. Venivano formulate pro-poste e rese pubbliche le critiche degli ambienti liberali nei confronti di unministero troppo spesso inerte, pallidissimo esempio del riformismo leopoldi-no e sempre sospetto di subordinazione all’Austria. E, in un certo senso, iltentativo di risvegliare la pubblica opinione, evirata di ogni spirito critico dal-l’uso che il potere faceva della stampa ufficiale, era stato tentato in Toscanaprima che altrove, proprio perche l’esperienza dell’«Antologia» di Vieusseuxe del suo gruppo aveva creato le premesse per il dibattito pubblico e la circo-lazione delle idee a mezzo stampa. La sua soppressione da parte delle autoritanel 1833 aveva sancito il trionfo del conservatorismo, rimandando di molti an-ni qualsiasi ipotesi di discutere in pubblico le questioni che agitavano priva-tamente la coscienza dei liberali.

Per quanto molto diversa nelle intenzioni, nel linguaggio e negli argomentitrattati al suo interno, l’esperienza dell’«Antologia» ha non pochi legami diparentela con il fiorire delle pubblicazioni clandestine che, a partire dal1846, furono ampiamente diffuse in Toscana.4 Non soltanto le due esperienzecondividevano il medesimo ambiente, ma erano gli stessi anche autori e ideeche accomunavano gran parte dei moderati toscani; certamente, tra questeidee, la liberta di stampa era uno dei punti su cui potevano dirsi in accordodal piu cauto aristocratico fiorentino al piu fervente democratico livornese.La stampa clandestina in Toscana, dunque, si presenta come espressione diun’opinione pubblica moderata, diffusa in modo capillare e insistente, tenden-zialmente priva degli eccessi che sarebbero stati controproducenti alla stessaattivita che si voleva riconosciuta formalmente.

174 PAOLO BENVENUTO

2 R.P. COPPINI, Il Granducato. Dagli «anni francesi» all’Unita, Torino, Utet, 1993, pp. 345-366.3 Cfr. D. BARSANTI, L’Universita di Pisa dal 1800 al 1860. Il quadro politico e istituzionale, gli

ordinamenti didattici, i rapporti con l’Ordine di S. Stefano, Pisa, ETS, 1993, pp. 183-232.4 Sulla stampa clandestina in Toscana si veda S. MORI, Fogli volanti toscani. Catalogo della Bi-

blioteca di Storia moderna e contemporanea di Roma (1814-1849), Milano, Franco Angeli, 2008, conprefazione di Maria Iolanda Palazzolo, G. LUSERONI, La stampa clandestina in Toscana (1846-47). IBullettini, Firenze, Olschki, 1988.

Page 5: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

Giuseppe Montanelli, che di questa stampa clandestina e stato forse il prin-cipale teorizzatore e organizzatore, esemplifica chiaramente quale fosse l’inten-zione soggiacente ai toni, tutto sommato moderati, usati dai fogli clandestini:

Vogliamo che il diritto di discussione sia sanzionato dal governo? Impadroniamo-

cene pure di motuproprio; e poiche e diritto naturale imperscrittibile, il cui esercizio

non ha bisogno di licenza dei superiori, pratichiamolo nel solo modo che e in nostro

potere; ma pratichiamolo cosı dignitosamente, che la coscienza pubblica sia subito

dalla nostra, e con evidenza conosca che siamo interpreti di giustizia; per mostrarci

degni di liberta, segniamo da per noi il confine che la divide dalla licenza, e badiamo

di non passarlo.5

D’altra parte, questa riflessione sul metodo e rivelatrice di una strategiaragionata che faceva della stampa clandestina toscana una singolare eccezionenel panorama nazionale. E questo proprio perche, come si evince dalle paroledi Montanelli, il ricorso ai fogli volanti non si configurava come mero stru-mento di contrasto alla politica granducale, bensı doveva costituire il suocostante e principale stimolo, talvolta ricorrendo ad espedienti retorici chemettessero alla berlina i ministri attraverso la formulazione di rivendicazionipolitiche in modo talmente naturale che la loro mancata concessione apparissealla pubblica opinione realmente controversa, tanto da porre in cattiva luce ilgoverno.6 Accanto alla stampa clandestina, di per se gia molto efficace, estre-mamente ramificata e di larga diffusione, vanno aggiunti altri elementi checontribuirono al risveglio politico della Toscana.

5 G. MONTANELLI, Memorie sull’Italia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850, in Operepolitiche 1847-1862, a cura di P. Bagnoli, Firenze, Polistampa, 1998, t. I, p. 94. Sull’argomento siveda anche F. DELLA PERUTA, Il giornalismo dal 1847 all’Unita, in A. GALANTE GARRONE – F. DELLA

PERUTA, La stampa italiana del Risorgimento, II, Storia della stampa italiana, a cura di V. Castronovoe N. Tranfaglia, Bari, Laterza, 1979, pp. 155-156, dove l’autore constata come «Il principale ispira-tore di questo illegale ricorso ai torchi tipografici fu Giuseppe Montanelli, allora professore all’Uni-versita di Pisa».

6 Scrive Montanelli: «Gli avvezzi alle bevande acquavitate dei proclamonomani naturalmentetrovarono che questa era acqua di malva; e criticavano il foglietto, dicendo che non metteva contodi impiegare la stampa clandestina per decreti di quella fatta, che quasi quasi potevano comparirenella Gazzetta di Firenze. Ma questo era precisamente l’effetto che io aveva voluto produrre; cioefar nascere la maraviglia che il governo non facesse nemmeno coteste riforme che parevano, a primoaspetto, cosı sciapite». Cfr. G. MONTANELLI, Memorie, p. 97. Si veda inoltre G. PONZO, Le originidella liberta di stampa in Italia (1846-1852), Milano, Giuffre, 1980, p. 121. In proposito l’autore par-la del ‘‘battibecco di programmi clandestini’’ col quale «attraverso la contrapposizione artificiosa dirichieste di riforme, piu o meno radicali e perentorie, ma tutte provenienti dal medesimo gruppopisano, i fogli clandestini tenevano vive le discussioni sulla politica del governo, al quale, all’occasio-ne, non negavano il proprio consenso, caldeggiavano sentimenti di italianita e di unita nazionale, con-trollavano lo sviluppo delle polemiche e toccavano argomenti dei quali ritenevano opportuno occu-parsi».

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 175

Page 6: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

Pisa, che fu certamente uno dei primi e principali centri della stampa clan-destina, con l’Universita e i suoi docenti costituiva quanto di piu politicamen-te attivo si potesse allora concepire. La gioventu studentesca, futuro ceto di-rigente del Paese, era educata ad un alto senso civile e patriottico checontaminava le materie di studio ben piu di quanto le autorita non potesseroimpedire. In una semplice lezione di diritto commerciale di quegli anni, si po-teva leggere la proclamazione del «principio della sovranita popolare» comeevoluzione naturale a cui e arrivata la «moderna civilta dopo l’abbandonodel principio unificatore cattolico», cosı che, nella fase attuale, «il potere regioe il potere popolare, o reciprocamente si escludono, o si assestano nell’equili-brio costituzionale».7

Cosı scriveva Giuseppe Montanelli nel 1847, mettendo bene in luce ele-menti costanti della sua attivita di propaganda, riscontrabili gia a partire dal-l’incontro con la dottrina sansimoniana durante gli anni ’30.8 Predicazione allemasse, riscatto sociale, educazione popolare, morale nazionale e apostolatocome impegno civile, appartengono a Montanelli studente di legge a Pisa e,assieme ad altri, sansimoniano con qualche simpatia nei confronti della Gio-vine Italia di Mazzini.9 Questo lessico politico tenta di trovare sbocco nell’e-sperienza di un giornaletto rivolto alle masse popolari, ispirato alla stessa men-talita filantropica che in Toscana si volgeva alla promozione di impresesolidaristiche, come le casse di mutuo soccorso e di insegnamento o gli asilid’infanzia. Enrico Mayer10 ne fu il principale ispiratore e con lui Montanelli,gia da tempo persuaso della necessita di fondare una pubblicazione dove svol-gere una serie di considerazioni rivolte alle classi inferiori e nella quale era suoproposito coinvolgere anche l’allora maestro Silvestro Centofanti.11 Della par-

176 PAOLO BENVENUTO

7 G. MONTANELLI, Introduzione filosofica allo studio del diritto commerciale positivo dell’avvo-cato Giuseppe Montanelli, Pisa, Stamperia Pieraccini, 1847, p. 50.

8 Sulla fortuna della dottrina sansimoniana in Toscana si veda F. PITOCCO, Utopia e riforma re-ligiosa nel Risorgimento. Il sansimonismo nella cultura toscana, Bari, Laterza, 1972, pp. 99-172 e dellostesso autore Il sansimonismo, Milano, La Pietra, 1980.

9 D. BARSANTI, L’Universita di Pisa, cit., p. 126 e E. MICHEL, Maestri e scolari dell’Universita diPisa nel Risorgimento nazionale: 1815-1870, Firenze, Sansoni, 1949, p. 78 e passim.

10 Su Enrico Mayer vedi A. LINAKER, La vita e i tempi di Enrico Mayer, Firenze, Barbera, 1898;Enrico Mayer. Atti del convegno di studi nel centenario della morte, Livorno, Debatte, 1983 (con con-tributi di U. Carpi, T. Tomasi, E. Morgana ed altri) e Dizionario biografico degli italiani, Roma, Isti-tuto della Enciclopedia Italiana, 2009, vol. 72, pp. 433-437, voce a cura di A. Volpi.

11 Cronologicamente molto vicini, i progetti di pubblicazioni periodiche indirizzate all’educa-zione popolare di Mayer e Montanelli sono stati spesso accomunati nell’unica delle due impreseche, seppure per breve tempo, vide la luce, cit., e cioe «L’educatore del povero» di cui Mayer eral’autentico fondatore (vedi A. LINAKER, La vita, cit., pp. 184-187 e A. GALANTE GARRONE – F. DELLA

PERUTA, La stampa italiana del Risorgimento, cit., p. 172). Al contrario E. MICHEL, Maestri e scolari,cit., pp. 84-86 attribuisce a Montanelli la paternita del foglio. Il progetto di Montanelli e sostanzial-

Page 7: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

tecipazione di Montanelli al progetto di Mayer restano solo alcune testimonian-ze, e pero utili a comprendere l’idealita e la metodologia con cui il futuro ban-ditore della Costituente intendeva suscitare la coscienza popolare quale fase pre-liminare per la mobilitazione delle masse. Simili considerazioni possono ricavarsidalla semplice lettura di brevi righe che Montanelli invia a Niccolo Tommaseo acommento di un articolo da lui scritto proprio per «L’Educatore del povero»:

Ricevo i tuoi due articoli, ma quello sul ‘Forestiero’ non mi pare accordato allecircostanze attuali dell’Italia. Non bisogna predicare confidenza con lo straniero alpopolo di cui vogliamo servirci per liberare questa povera patria dall’invasore. Verraun tempo in cui il principio della fratellanza dei popoli risuonera sul labbro di tutti.Per ora pero puo giovare un poco di egoismo nazionale.12

Animato dal sansimonismo o meno, ispirato dal filantropismo palingeneticodi Ballanche o democraticamente auspice della liberazione nazionale alla manie-ra di Mazzini, Montanelli si mostra persuaso della necessita dell’educazione po-polare anteposta all’azione, preoccupandosi molto del modo in cui l’articolo diTommaseo avrebbe potuto essere recepito e invitandolo a evitare equivoci.

Le stesse idee espresse durante questo apprendistato giornalistico, cessatocon la chiusura dell’«Antologia» ed appena cominciato con «L’Educatore delpovero», Montanelli tornera a riproporre con maggiore forza dalla cattedrauniversitaria, non soltanto attraverso gli scritti, ma promuovendo manifesta-zioni concrete, partecipate dalla popolazione. Professore di diritto patrio ecommerciale a Pisa, Montanelli trasferı la propaganda politica dalle aule distudio alle strade. Cosı avvenne in occasione della protesta di fronte alla even-tualita che fosse installata a Pisa una congregazione di gesuitesse, le suore del-l’Ordine del Sacro Cuore appartenenti alla regola di sant’Ignazio.13 La ma-nifestazione, che ebbe luogo la sera del 21 febbraio 1846 fu di grandeimportanza perche, come ricorda Gino Capponi, diede avvio all’«agitazionelegale» nel Paese, contribuendo in modo definitivo a suscitare la pubblica opi-

mente distinto da quello poi effettivamente realizzato da Mayer, e risale ai primi mesi del 1832, quan-do, a testimonianza di questa intenzione Montanelli scrive a Centofanti per proporgliene la direzione,quasi si trattasse di un foglio espressione della conventicola sansimoniana di Pisa. Cfr. F. PITOCCO,Utopia e riforma religiosa, cit., pp. 123-126; U. CARPI, Letteratura e societa nella Toscana del Risor-gimento: gli intellettuali dell’Antologia, Bari, De Donato, 1974, pp. 307-309; P. BAGNOLI, La politicadelle idee. Giovan Pietro Vieusseux e Giuseppe Montanelli nella Toscana preunitaria, Firenze, Poli-stampa, 1995, pp. 43-63 e N. ROSSELLI, Saggi sul Risorgimento e altri scritti, Torino, Einaudi,1947; su Centofanti si veda D. BARSANTI, Silvestro Centofanti: la vita e il pensiero politico di un libe-rale cattolico, Pisa, ETS, 2010.

12 E. MICHEL, Maestri e scolari, cit., pp. 86-87.13 G. MONTANELLI, Memorie, cit., pp. 67-74; sull’episodio cfr. G. CANDELORO, Storia dell’Italia

moderna, cit., p. 37 e D. BARSANTI, L’Universita di Pisa, cit., p. 215.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 177

Page 8: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

nione toscana, nel frattempo gia mobilitata per le agitazioni romagnole e nonmeno sensibile a tutte quelle forme di oppressione e di censura che si perpe-travano nel resto degli stati italiani, per motivi tanto religiosi quanto politici.14

Il concorso di elementi che contribuirono alla pubblicita dell’«agitazione»– per l’appunto – «legale» aveva trovato in Montanelli un abile regista. Egli simostro attento a non valicare i limiti della prudenza e a preparare le condizio-ni che rendessero possibile trasportare il fermento politico e il desiderio di ri-forme dalle aule alle strade della citta, dai circoli liberali ai fogli clandestini eda questi alla sanzione legale della liberta di stampa in Toscana.

Montanelli e il neoguelfismo

Il 6 maggio 1847, in un clima che lasciava gia presagire un qualche inter-vento da parte dell’autorita di governo, anche il Granduca promulgava unalegge che concedeva la liberta di stampa in Toscana. L’esempio dato daPio IX e le tranquille modalita con cui sembrava essere condotto il dibattitodalla pubblica opinione sui giornali romani, come «Il Contemporaneo», eranostati fattori certo decisivi nel rompere gli indugi granducali. Ma queste moti-vazioni non furono certo le uniche a determinare l’esigenza di una riforma. Lastampa clandestina aveva forse versato il principale contributo per una mag-giore liberta, pagato a suon di arresti di stampatori e di giovani collaboratorialla diffusione dei fogli volanti, oltre ai costi da questi sostenuti per finanziarel’impresa. E nonostante la crescente pressione poliziesca la stampa clandestina– «idra novella»15 – continuava a prolificare. Sul piano ufficiale furono i no-tabili fiorentini a reclamare un qualche intervento governativo a favore dellastampa, come testimoniano le petizioni inoltrate al Granduca da parte di Vin-cenzo Salvagnoli e Bettino Ricasoli, oppure, su posizioni molto piu caute, lerichieste del gruppo di Gino Capponi.16 Per quanto il gruppo fiorentino

178 PAOLO BENVENUTO

14 Cfr. M. TABARRINI, Gino Capponi: i suoi tempi, i suoi studi, i suoi amici. Memorie, Firenze,Barbera, 1879, p. 265.

15 G. MONTANELLI, Memorie, cit., p. 103.16 Bettino Ricasoli, Vincenzo Salvagnoli e Raffaello Lambruschini presentarono una loro peti-

zione, distinta dalla piu semplice richiesta del gruppo rappresentato da Gino Capponi. La scissionedei fiorentini in due gruppi era conseguenza di due differenti atteggiamenti nei confronti della libertadi stampa; prudente e timoroso di troppa liberta, il gruppo di Capponi si proponeva di ottenere unaconcessione particolare per fondare un giornale (che avrebbe dovuto chiamarsi «La Fenice») dovediscutere in massima parte di economia, senza addentrarsi nei dibattiti di politica (cfr. A. ZOBI, Storiacivile della Toscana dal 1737 al 1858, Firenze, Molini, 1860, doc. V, Petizione presentata dal marcheseRidolfi e dal conte Digny al ministro Cempini per ottenere il permesso di pubblicare un giornale,pp. 33-36). Politico era l’interesse del gruppo Ricasoli che nella liberta del dibattito vedeva il bilan-ciamento delle opinioni radicali e la garanzia nei confronti del potere. Cfr. ID., Storia civile della To-

Page 9: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

non si presentasse compatto nel richiedere le franchigie liberali relativamentealla stampa, l’interesse comune nei confronti di una qualche concessione inproposito era una ulteriore espressione dell’urgenza di riformare tale ambito,e di come tale eventualita non fosse piu a lungo procrastinabile.

Le reazioni che seguirono la promulgazione della legge sulla stampa furo-no molto vivaci nei principali capoluoghi toscani e principalmente a Pisa, do-ve un corteo studentesco saluto la felice decisione del governo. Non si feceroattendere neppure le reazioni da parte di chi aveva avanzato la richiesta di ri-forma, in una altalena di commenti che andavano dalla critica per l’eccessivaprudenza del provvedimento,17 alla tiepida accoglienza dei piu moderati, iquali, comunque, non negavano l’utilita di tale apertura.18

In questa situazione Montanelli vestı i panni del mediatore e si espresse sulmerito della legge del 6 maggio, pubblicando un pamphlet che affronta il cuo-re del provvedimento governativo, ovvero il ruolo di scrittori e revisori.19 Ilnocciolo della critica era la funzione preventiva assegnata alla censura e i mar-gini di intervento che l’art. 18 offriva ai censori. L’opinione espressa da Mon-tanelli rispetto alla legge e nel complesso positiva, piu generosa nei confrontidell’operato governativo rispetto alle critiche di chi avrebbe preteso provvedi-menti piu radicali. Il suo giudizio rappresenta la posizione di un liberalismoavanzato e progressivo che traccia un proprio sentiero nel panorama liberaledivenendo una pietra di paragone.20 Lo stesso giudizio della storiografia sot-tolinea il valore di questa pubblicazione di Montanelli che riassumeva il ruoloda lui svolto fino ad allora per sollecitare le riforme.21

scana, cit., t. V, doc. I, Prima petizione presentata dal barone Bettino Ricasoli al Governo Toscano pereccitarlo alle riforme, pp. 1-15 e doc. IV, Seconda petizione presentata dal barone Ricasoli al GovernoToscano relativamente alla stampa, pp. 24-32. Sul dibattito precedente alla promulgazione della leggesulla stampa vedi R.P. COPPINI, Il Granducato, cit., pp. 345-395: 351; G. PONZO, Le origini della li-berta di stampa, cit., pp. 125-139 e A. GALANTE GARRONE – F. DELLA PERUTA, La stampa italiana delRisorgimento, cit., pp. 262-264.

17 Bettino Ricasoli e i suoi criticavano recisamente la riforma, priva di coraggio e soprattutto de-bole nel sottrarre la stampa dalla sorveglianza governativa, tanto che gli strali del barone si appuntavanoproprio sul ruolo della censura preventiva affidata alla polizia, e non, come richiesto nella sua petizione,affidata alle ‘‘persone piu rispettate per sapere e virtu’’. Cfr. R.P. COPPINI, Il Granducato, cit., p. 353.

18 Gino Capponi e il suo gruppo riconoscevano alla legge il merito di aver aperto il ‘‘campoall’opinione assennata’’ e di ‘‘togliere credito alla stampa clandestina che inondava il paese’’. Cfr.,M. TABARRINI, Gino Capponi, cit., p. 267.

19 G. MONTANELLI, Li scrittori e i revisori dopo la legge toscana del 6 maggio 1847, Pisa, Pierac-cini, 1847.

20 Come esempio si veda l’opuscolo Intorno alla legge sulla stampa pubblicata il 6 maggio 1847.Poche parole dell’avvocato Elpidio Micciarelli, Pisa, Pieraccini, 1847, p. 10, che dopo aver passato inrassegna le posizioni del marchese d’Azeglio, di Salvagnoli e altri, afferma: «La posizione di chi scrivee vicina a quella di Montanelli: questa legge e buona e lo spirito che la anima e ancora migliore. Ta-lune cose, pero, andrebbero riviste, tali altre cancellate».

21 Alberto Maria Ghisalberti giudica lo scritto Li scrittori e i revisori come una fondamentale

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 179

Page 10: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

Concessa la liberta di stampa era inevitabile che Montanelli partecipassecon un proprio giornale alla pubblica discussione, volgendo l’attenzione allariforma municipale, a quella elettorale, alla Consulta di Stato e alla GuardiaCivica. Il 19 giugno 1847 usciva il primo dei 120 numeri de «L’Italia» 22 diPisa, di poco preceduto dal giornale fiorentino «L’Alba», diretto da GiuseppeLa Farina, e seguito da «La Patria» di Salvagnoli, Lambruschini e Ricasoli.

Nonostante i collaboratori non facessero difetto a «L’Italia»,23 solamenteGiorgini e Fabrizi furono assidui nella stesura di articoli per il giornale, tantoche Montanelli – su cui gravavano gli oneri maggiori – gia il 23 dicembre 1847scriveva a Gino Capponi:

Ho bisogno, caro Gino, che tu m’aiuti. Vedo la necessita di continuare L’Italia,ma questi benedetti scrittori mi mancano, e l’ho io tutta sulle spalle. Mandami percarita qualche cosa e impegna anche Gioberti e Giusti ad aiutarmi.24

Campeggiavano nella prima pagina del giornale le insegne di Riforme eNazionalita a cornice del figurino geografico della penisola italiana, abbraccia-

180 PAOLO BENVENUTO

affermazione della fede liberale di Montanelli, in A.M. GHISALBERTI, Giuseppe Montanelli e la Costi-tuente, Firenze, Sansoni, 1947, p. 36; piu recentemente Andrea Moroni osserva che la «concezionegradualista della lotta politica raggiunse [con la legge sulla stampa] uno dei suoi momenti di maggiorsuccesso» in A. MORONI, Il neoguelfismo di Giuseppe Montanelli dai «Bullettini» clandestini all’«Ita-lia»’, in «Bollettino storico pisano», LVIII, 1989, pp. 131-161.

22 «L’Italia», 1-120, dal 19 giugno 1847 al 1º agosto 1848. Stampato settimanalmente al prin-cipio, la periodicita delle uscite, prevalentemente il sabato, ricorda il vecchio progetto di EnricoMayer e Montanelli de «L’Educatore del Povero» che avrebbe dovuto stamparsi il sabato perarrivare anche a coloro che «non hanno che la domenica per leggere o farsi leggere i giornali»(A. GALANTE GARRONE – F. DELLA PERUTA, La stampa italiana del Risorgimento, cit., p. 172). A partiredal n. 31 si stampa tre giorni alla settimana, nonostante lo schema della diffusione editoriale sia sog-getto a non poche variazioni come le numerose distribuzioni straordinarie di aggiunte e supplementi.

23 Furono collaboratori del giornale Silvestro Centofanti, professore di storia della filosofia, acui Montanelli era legato fin da giovinetto; Ridolfo Castinelli, ingegnere e convinto sostenitore diPio IX; Giovanni Frassi, matematico che curo la pubblicazione dell’epistolario di Giuseppe Giusti;Carlo Fenzi, figlio del banchiere fiorentino Emanuele e in seguito deputato; Rinaldo Ruschi, nobilepisano, promotore di scuole di mutuo insegnamento e di asili di infanzia; Antonio Di Lupo Parra,figlio di Laura Parra, che in seconde nozze sposo Montanelli; Antonio dell’Hoste, studente di leggecon Montanelli, che fu uno degli organizzatori piu attivi del movimento patriottico e collaboratoreassiduo del giornale; Lorenzo Ceramelli, amico di Mayer e di Frassi, presidente degli asili di infanziapisani; il giurista, bibliotecario e archivista Francesco Bonaini; il dissettore anatomico Cesare Studia-ti; il professore di geometria Guglielmo Martolini; l’avvocato Giuseppe Bianchi, poi fatto prigionierodagli austriaci a Curtatone; Emilio Frizzi, operante nello studio legale di Montanelli; i giovani pisaniNiccolo Mecherini e Paolo Folini, anch’essi combattenti a Curtatone e Giuseppe Arconati, esponen-te di una nobile famiglia lombarda. Fra i principali collaboratori de ‘‘L’Italia’’, sono anche da segna-lare Giovan Battista Giorgini, all’epoca professore di diritto canonico all’Universita di Pisa, GiovanniFabrizi e Bartolomeo Cini.

24 G. CAPPONI, Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, a cura di A. Carraresi, Firenze, Succes-sori Le Monnier, 1866, p. 365.

Page 11: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

ta dal mare e percorsa da una unica cordigliera montuosa che cuce assieme idue estremi capi, a rimarcare la sensazione di unita fisica e naturale dell’Italia,accompagnata, quasi fosse una didascalia, dal celebre saluto di Petrarca:«Salve cara Deo tellus sanctissima, salve!».25

Accanto al programma ‘‘simbolico’’, il primo numero presentava il pro-gramma ufficiale come una patente dichiarazione di intenti riformatori, unitial rigetto dei metodi cospirativi, relegati a epoche in cui la liberta di discussio-ne, da non confondersi con la licenza, era negata. Accanto a questa professio-ne di fede negli strumenti di riforma legali, ne stava un’altra, non meno ma-nifesta, che caratterizza fin da principio il giornale pisano e contribuisce acollocare «L’Italia» all’interno del giornalismo anteriore al Quarantotto. E si-curamente il neoguelfismo il tratto fondamentale ispiratore della linea edito-riale dettata da Montanelli, e tale restera fino al tramonto del mito di PioIX. Per quanto Montanelli fosse gia molto noto come cattolico fervente e so-stenitore del neoguelfismo, il programma de «L’Italia» riassumeva efficace-mente il Primato giobertiano, nel momento in cui reclamava le riforme comeprocesso di adeguamento degli istituti di governo al progresso della civiltacristiana:

un bisogno generoso di vita pubblica, un impero dell’opinione che vuol proporziona-re gl’istituti alle condizioni morali dei popoli, un sentimento intollerabile della nostrainferiorita di fronte alle altre nazioni, alle quali gia porgemmo la fiaccola della scienzae della civilta, un impulso irresistibile, una virile obbligazione di non restare al di sottodel nostro nome, di recuperare la nostra dignita politica, di essere una forza necessa-ria all’equilibrio e rispettata nel sistema delle grandi potenze di Europa e di tutto ilmondo cristiano.26

Questo incipit salda fin dal primo numero la questione nazionale italianae il primato cattolico, riproponendo il ruolo del papato e di Roma, la missio-ne della chiesa universale e il potere temporale, questioni che finalmente PioIX sembrava essere stato inviato a risolvere. In effetti si andava chiarendo ilmodo e il grado di adesione de «L’Italia» al neoguelfismo, che era soprattut-

25 Per quanto riguarda le insegne, piu volte oggetto di modifiche, in modo da esplicitare di vol-ta in volta il programma politico, nel n. 50 del 17 febbraio 1850 i redattori spiegavano: «Nazionalitaesprimeva il bisogno degli italiani d’affratellarsi e di respingere il forestiero; Riforme l’adesione che aiPrincipi si chiedeva al movimento nazionale onde rompesse l’alleanza con lo straniero». Montanellistesso ricordava: «Io chiudeva il mio programma nelle due parole che scrissi in fronte all’Italia:– Riforma e Nazionalita. – Colla parola riforma accennavo alla rivoluzione interiore dello Stato To-scano; con la parola nazionalita alla creazione di personalita italica, e a cacciata dello straniero». Cfr.,G. MONTANELLI, Memorie, cit., p. 137.

26 «L’Italia», 1, 19 giugno 1847, Programma.

4

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 181

Page 12: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

to adesione al pensiero di Gioberti. Le prime uscite del giornale promuove-vano le idee giobertiane e l’incarnazione di queste in Pio IX, con particolareaccento al ruolo universale svolto dal pontefice nel processo riformatore, ca-pace di segnare la strada da percorrere e superare le divisioni fittizie esisten-ti tra i differenti schieramenti liberali. In particolar modo si rigettano le di-stinzioni create all’interno del movimento riformatore che finiscono peralimentare le divisioni del fronte unitario e vanno a detrimento del maggiorbene del Paese.27 E proprio uno dei principali meriti di Montanelli fu quel-lo di sostenere in Pio IX un’idea-forza in grado di superare le distinzioni traschieramenti differenti e di volgere le tesi giobertiane a maggior profittodella nazione.

Di fronte all’aggravarsi della situazione ferrarese e al preteso diritto au-striaco di occupare in via preventiva un territorio in nome dell’equilibrio,Massimo d’Azeglio formulo una proposta politica ai sovrani italiani che liesortava ad aderire ad un programma liberal-moderato ben definito, espres-sione di un vero e proprio partito.28 In quanto alle finalita che questo avrebbedovuto proporsi, il fronte dei moderati era unanimemente concorde, date leaspirazioni comuni a tutti. A destare preoccupazioni era l’uso che d’Azeglioe altri facevano del lessico politico. Il ricorso a termini come «moderati» pro-duceva il duplice effetto di identificare in coloro che richiedevano le riformeun movimento unico e compatto; mentre, per altro verso, questa distinzione,contrariamente a quanto si proponeva di fare, rivelava l’esistenza terminologi-ca e, dunque, anche concettuale, del suo opposto, cioe di radicali o esaltati,ammettendo implicitamente i timori di coloro che fomentavano la divisionee ritenevano opportuno soffocare e reprimere il moto riformatore. Dire «par-tito» era negare l’universalita del movimento italiano, chiudendo quella cheera – e doveva restare – una formula aperta alla partecipazione di tutti e ingrado di deviare traiettoria al mutare delle condizioni politiche. Presumibil-mente, poi, l’idea stessa di partito, ancorche distante da un lessico politicospecifico e moderno, equivaleva per Montanelli a sottovalutare l’elemento po-polare, da opporre a ogni forma di «esclusivismo»29 consortile, specie in quel

182 PAOLO BENVENUTO

27 Cfr. ad esempio l’articolo Sul partito moderato dove si critica la proposta formulata da Mas-simo d’Azeglio di costituire un partito di moderati in Italia, in «L’Italia», 10, 18 agosto 1847.

28 In proposito si veda G. CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, vol. III, cit., pp. 56-58. L’o-puscolo oggetto della polemica e la prima versione della Proposta d’un programma per l’opinione mo-derata progressista italiana poi modificato dallo stesso Massimo d’Azeglio in Proposta d’un program-ma per l’opinione nazionale italiana, Firenze, Le Monnier, 1847.

29 Sebbene posteriore a questa polemica, e significativo l’uso che, un professore pisano in unsuo libello, fa del termine moderati: «D’ora innanzi adunque noi chiameremo col nome di esclusivitutti coloro, i quali vorrebbero l’Italia ed il civile e politico ordinamento di lei attribuire soltanto a se

Page 13: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

periodo in cui l’intervento armato austriaco era ipotesi concreta, come dimo-stro l’occupazione di Ferrara.

Ora sarebbe proprio una falsificazione della storia il volere scorgere in questo

movimento [riformatore] solenne l’opera di un Partito – Chi lo rendeva possibile?

– L’idea Giobertiana – Chi lo eseguiva? – Cittadini che domandarono; Governi

che fecero ragione alle giuste domande. Ma ne intenzione di fondare un Partito fu

nel Gioberti, ne coscienza di appartenere ad un partito nei cittadini e nei Governi

[...] Il Gioberti manifesto il suo concetto all’autorita del vero soltanto raccomandan-

dolo, e protesto ripetutamente che non voleva esser capo di Parte. I cittadini che

ripudiando il sistema delle cospirazioni avvisarono doversi spingere i Governi uni-

camente colla forza morale della parola, appunto per avere scelta questa via

escludevano ogni idea di partito, imperocche non poteva essere fatto un Programma

che determinasse astrattamente l’attitudine da tenere verso il Governo, ma questa di-

pendeva di mano in mano dalle circostanze, e poteva darsi, come si hanno esempi,

che oggi in tale domanda, o in tale dimostrazione di plauso, fossero concordi persone

le quali domani in altra domanda, o in altra dimostrazione di plauso discordassero.

[...] Il movimento attuale italiano fu un idea nuova che dalla mente del genio si tra-

vaso nella nazione. Invece di creare un Partito, essa era intesa a distruggerli tutti, e a

fonderli nella vasta unita nazionale.30

Ad ogni modo, ben prima dell’allocuzione del 29 aprile 1848, con cui siformalizzava la crisi del neoguelfismo, l’adesione di Montanelli a Pio IX eal programma giobertiano portava con se una serie di limiti che, almeno neiprimi tempi, si tentava di rimuovere e che, col consolidarsi del partito creato

stessi: e siccome fin qui questa intemperanza e stata ed e propria de’ moderati, cosı costoro sarannocol nome di esclusivi denotati». Cfr. N.C. MARISCOTTI, Il professore Giuseppe Montanelli e gliesclusivi, Firenze, Torelli, 1861, pp. 3-4.

30 «L’Italia», 9, 13 agosto 1847, Dei partiti in Italia. La polemica continua nel n. 10, 18 agosto1847, Sul partito moderato. Montanelli, nelle sue Memorie, ricorda il significativo episodio sostenen-do che: «sebbene su certi punti speculativi sostanzialmente differissimo, sul terreno pratico ci ritro-vammo d’accordo; anteponevamo tutti l’idea nazionale all’idea municipale; custodivamo tutti la li-berta della parola; volevamo tutti ottenere guardia civica, municipii elettivi, consigli provinciali,consulta popolare con voto deliberativo; fuggivamo le parole che dissolvono; coniammo quelleche uniscono. Respingemmo unanimi la divisione fra moderati ed esaltati; mettemmo al bando lastessa parola partito, come quella che, nell’uso comune, suonava piuttosto consorteria faziosa, cheunione e apostolato d’idee. E questa avversione al genio fazioso, sotto qualunque velo si nascondesse,fece mutare linguaggio ai primi corifei del moderantisimo. D’Azeglio aveva mandato in giro un suomanoscritto, levando Moderato e Partito, e chiamandolo invece Programma dell’Opinione Nazionale.Balbo e Orioli s’erano impennati contro di me perche negavo la distinzione delle due parti liberaliper loro proclamate. Si ricrederono, e si messero a dire che non c’erano esaltati, e che tutti i liberaliitaliani erano moderati. La guerra alle sette, e ai simulacri di sette manteneva carattere nazionale al-l’italico risorgimento». Cfr. G. MONTANELLI, Memorie, cit., pp. 139-140.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 183

Page 14: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

attorno al papa, divenne necessario affrontare. Come ricorda Gabriele De Ro-sa «lo schema neoguelfo non presupponeva originariamente e nel suo fonda-mento ideologico la guerra all’Austria» mentre voleva essere una «via italianaalla soluzione della questione dell’indipendenza» che rimuovesse «l’alternativadella rivoluzione».31 La guerra contro gli austriaci poneva per il capo dellachiesa universale una serie di problemi ben piu grandi che per ogni altro so-vrano secolare: Montanelli era consapevole dei limiti connaturati al mito cheegli stesso contribuiva a edificare e che, da uomo politico assennato, si guardobene dal palesare, consapevole di quanto poteva ottenersi nel clero moderato,nella borghesia cittadina e nel popolo, sventolando il nome di Pio IX.

La sola benedizione alla bandiera e il rifiuto del papa di benedire le truppedi volontari in partenza per i campi lombardi, erano la conferma dell’impos-sibilita del pontefice di approvare una guerra contro una nazione cattolica e altempo stesso della dipendenza romana dall’esterno.

Altrettanto penoso agli occhi dei liberali, e particolarmente dei democra-tici, era la mancanza assoluta di sovranita popolare in cui si trovava il governopapalino, consegnato interamente nelle mani del clero regolare. Nonostante laconcessione della Consulta di Stato e l’apertura della gestione della cosa pub-blica ai laici, era noto come Pio IX non avesse accettato di buon grado l’indi-rizzo rivoltogli da Marco Minghetti, presidente di quell’assemblea. La portatadella riforma venne del resto subito ridimensionata dalle parole di Pio IX, ilquale con questo atto non intendeva minimamente introdurre alcun tipo diprassi parlamentare. Difatti, sul «Diario di Roma» si poteva leggere che, isti-tuendo la consulta, Pio IX:

aveva inteso di non menomare neppure di un apice la sovranita di pontificato [...]:ingannarsi grandemente chiunque credesse esser diverso da questo il loro ufficio in-gannarsi chi nella Consulta di Stato da lui istituita, vedesse qualche utopia propria o isemi di una istituzione incompatibile con la sovranita pontificia.32

Simili indiscrezioni non contribuivano a rafforzare l’immagine di un papala cui carica riformatrice sembrava mal conciliarsi con l’ostilita degli ambienticuriali nei confronti dei provvedimenti liberali. Nei moderati toscani comeMontanelli, la sfasatura di opinione tra l’immagine del papa e quella riguardoalla parte retriva del clero, identificata principalmente nei gesuiti, rappresen-tava un timore ed una speranza ad un tempo. Papa e curia erano presentati

184 PAOLO BENVENUTO

31 G. DE ROSA, La crisi del neoguelfismo e la questione romana, Roma, Istituto di Studi Romani,1972, pp. 11-23.

32 G. CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, III, cit., p. 97.

Page 15: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

sempre come entita distinte e talvolta contrapposte. Era prassi giornalisticadissociare il riformatore Pio IX da chi lo circondava, un intorno infido e co-spiratore. E se cosı facendo fu possibile tenere sempre alto il nome del pon-tefice per la maggior gloria della causa nazionale, talune critiche e perplessitasulla condotta del governo romano trasparivano comunque dalle colonne de«L’Italia». Gia l’allocuzione Ubi Primum del 17 dicembre 1847 rappresentavauna reazione papale nei confronti di coloro che si illudevano che l’erede diSan Pietro potesse assecondare tesi in contrasto con la sua missione apostoli-ca.33 La condanna alle manifestazioni di giubilo tenute a Roma per la sconfittadel Sonderbund, la lega separatista elvetica formata in maggioranza di catto-lico-conservatori, nella omonima guerra (1845-1847) contro cantoni prote-stanti e radicali, fornı argomentazioni ulteriori per muovere alcune riservenei confronti della politica papale.

Che il Pontefice, a cagion d’esempio, consigli al vero cristiano di non rallegrarsiper nessuna vittoria che costi lacrime e sangue [...]non puo essere la misura delle esi-genze politiche, e quando il Diario giornale di governo, in nome della religione e delPapa disapprova le esultanze per la vittoria della Dieta cade nell’errore fatale diquesta confusione.34

Questa rappresenta una delle prime e piu nette critiche alla condotta po-litica papale che appare sulle colonne de «L’Italia», dove, in modo incidentale,si solleva il piu ampio problema della conciliazione tra potere spirituale e po-tere politico, peraltro assai dibattuto da molti intellettuali e politici dell’epoca eprecedentemente affrontato anche da Vincenzo Gioberti proprio sul giornaledi Montanelli.35 Su «L’Italia» si affacciano considerazioni assai critiche rispettoa quella sorta di acquiescenza che mostrava di avere Pio IX nei confronti di chipareva ignorare le riforme da lui inaugurate. Un pontefice in bilico tra progres-sisti e retrogradi, oramai di fronte al bivio tra le conferme del suo operato o le

33 G. PEPE, Il Sillabo e la politica dei cattolici, a cura di G. Musca, Bari, Edizioni Dedalo, 1995,p. 65.

34 «L’Italia», 29, 24 dicembre 1847, Roma.35 Cfr. «L’Italia», 26, 4 dicembre 1847, Dell’Italia, dove l’opinione di Gioberti si rivela in estre-

ma sintonia con quella ufficiale della Chiesa: «L’indipendenza politica di una nazione argomentaun’altra indipendenza tutta spirituale che ne e la base, cioe quella del culto divino delle coscienzee degli intelletti [...]; l’indissolubilita di tali due cose e la vera ragione che diede essere ed incrementoal dominio temporale dei papi, come ad un possesso e ad un diritto umano che si ricollega acciden-talmente con le prerogative divine della Chiesa. La quale benche sia una societa spirituale ha perobisogno eziandio di tutti quei temporali sussidi che si richieggono ad assicurare la liberta sua propria[...]. Considerando per questo verso il dominio temporale del Papa, ci apparisce come una necessitareligiosa; [...] il dominio temporale del Papa e dunque necessario oggi di non meno per l’addietro».

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 185

Page 16: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

smentite: cosı sembravano intendere la questione i redattori de «L’Italia» neldicembre del 1847, licenziando un articolo dal titolo Roma.

Il Giornale del Governo parla come se la Riforma non fosse esistita, la stampa el’oggetto d’intollerabili vessazioni, e la Polizia arbitraria di quando in quando mettefuori gli artigli. Chi diede l’Amnistia, la Guardia Civica, il Municipio, la Consulta,chi promosse la lega Doganale italiana, come puo tollerare questi atti, che fanno lapiu sinistra impressione sul pubblico? [...] Ma a molti di questi atti e indubitata l’an-nuenza del Papa e del Segretario di Stato [...]. Per ora ci permettiamo di richiamarel’attenzione su due elementi della civilta attuale sui quali non vediamo ancora stabilitachiaramente nel Governo temporale di Roma la massima della loro accettazione, e so-no: 1) La separazione del dominio della politica da quello della religione. 2) La pub-blicita. [...] La repugnanza alla libera stampa politica, e l’opposizione ultimamente su-scitata in Consulta alla pubblicita dei verbali, mostrano non ancora spenti affatto suquesto punto gli antichi pregiudizii. Ma si persuada quel Governo che sarebbe inutileogni altra riforma, se non accettasse un sistema largo di pubblicita. Vogliamo sperareche Pio IX non si limitera ad approvare le ultime deliberazioni della Consulta, maestendera il principio della pubblicita fin dove deve essere esteso, e sopratutto pen-sera a sottrarre la stampa (organo primo della pubblica opinione) al giogo intollera-bile a una censura irrazionale.36

Nonostante la sostanziale convergenza di intenti tra Gioberti e Montanellinel fare leva sul sentimento religioso per risolvere il problema nazionale, i duemantenevano una certa distanza su questioni di ordine piu specifico. NelPrimato Gioberti, pur attribuendo alla sua opera il significato preciso di con-vogliare in una concreta direttiva risorgimentale tutte le forze gia deste e pron-te, aveva pero eluso il problema della riforma dello Stato pontificio. Voleva, intal modo, accattivarsi le simpatie, oltre che dei sovrani e del Papa, del cleroanche il piu retrivo, elogiando, ad esempio, l’attivita missionaria e culturalesvolta dai Gesuiti.37 La preoccupazione di Gioberti di non inimicarsi quellaparte del clero conquistata alla sua causa, emerge in una lettera pubblicatasu «L’Italia» il 27 novembre 1847. In questo scritto, il filosofo piemontese di-chiara di ricorrere al giornale di Montanelli per notificare al pubblico una cosache troppo importa al suo «onore», e cioe il fatto che in un opuscolo attribui-to al cardinal Cadolini, arcivescovo di Ferrara,38 di cui egli conosceva sola-

186 PAOLO BENVENUTO

36 Ibid.37 Su Gioberti, oltre alle pagine a lui dedicate da Giorgio Candeloro, sono sempre utili e illu-

minanti le considerazioni svolte da Francesco De Sanctis in La scuola cattolico-liberale, a cura diA. Asor Rosa, Milano, Feltrinelli, 1958.

38 I. CADOLINI, Avviso sopra i Prolegomeni dell’abate Vincenzo Gioberti, dato al suo venerabile

Page 17: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

mente una traduzione che era stata diffusa da un giornale francese, si citasseroluoghi del suo «ultimo libro», che «debbono rendere mal suono agli orecchicristiani» e dove «l’autore, qualunque siasi, troncando ad arte tali luoghi escorporandoli dal contesto, da loro un senso alienissimo da quello che hannonella mia scrittura e che risulta manifestamente dal tenore di essa».39

Se Gioberti si preoccupava di non inimicarsi parte del clero, e risolveva insenso favorevole alle prerogative pontificie l’unione di potere secolare e spiri-tuale, Montanelli invece vedeva un grande limite nella commistione dei dueuffizi e «un’aggiunta non essenziale al pontificato»40 mentre si curava moltodi piu della concreta eventualita politica che il mito di Pio IX perdesse la suapresa. Sempre a dicembre, dopo l’allocuzione pontificia, Montanelli scrive aGioberti che «[Pio IX] fa capire che la causa dei Gesuiti e per lui causa dellareligione. Queste, caro mio, sono brutte cose che tolgono a Pio tutta la popo-larita che si era acquistata. Qui non si sente piu gridar tanto come prima vivaPio IX».41 Ferma restando la centralita del problema religioso a cemento del-l’Unita, si poneva ora la necessita di un’alternativa in grado di suscitare il me-desimo entusiasmo, poiche sarebbe stato «necessario che l’idea cattolica inItalia si sostenesse indipendentemente dal favore per Pio».42

Le riserve e gli interrogativi che Montanelli andava maturando sul papa e sulsuo ruolo nelle sorti italiane, se si fa eccezione di qualche critica sporadica, rima-sero distanti dalle pagine de «L’Italia», che, anzi, trovo nuovo vigore nel soste-nere il pontefice dopo che questi concesse la costituzione. Tuttavia, il problemadella difesa di Pio IX non sara piu cosı pressante di fronte ai grandi mutamentidel 1848 che in breve offuscarono l’ideologia neoguelfa e parevano aprire la stra-da a soluzioni politiche appena qualche mese prima considerate irraggiungibili.

La questione della democrazia e del popolo

Se l’orientamento neoguelfo e il connotato principale e piu riconoscibilede «L’Italia» per tutto il 1847, a partire dal gennaio 1848 dal foglio pisanoemerge una tendenza piu marcatamente democratica che in parte rivela alcu-ne costanti della fede politica di Montanelli. Gia nella questione della Lunigia-

clero all’eminentissimo cardinale Cadolini arcivescovo di Ferrara nel suo discorso del 27 novembre1845, Torino, Tipografia dei fratelli Castellazzo, 1846.

39 «L’Italia», 25, 27 novembre 1847.40 «L’Italia», 48, 12 febbraio 1848, Se il Papa non possa dare la costituzione.41 Carteggio Gioberti-Montanelli, a cura di G. Balsamo Crivelli, in «Risorgimento italiano»,

XVIII, 1925, pp. 521-589: 584. Montanelli a Gioberti, lettera del 29 dicembre 1847.42 Ibid.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 187

Page 18: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

na e nell’annessione del ducato di Lucca alla Toscana, «L’Italia» critica aspra-mente la condotta dei sovrani che si ostinano a trattare le popolazioni comeloro patrimoni. Il giornale pone l’accento sulla partecipazione nazionale allavertenza lunense e, soprattutto, mette al centro il popolo come soggetto attivonelle diatribe tra stati, titolare di diritti e capace di autodeterminarsi, cosı che«l’assentimento spontaneo dei comuni avrebbe rappresentato la base su cuicostituire gli stati».43

Se il concetto di sovranita popolare e ancora in nuce negli articoli che af-frontano la cessione di Fivizzano e Pontremoli, trovera maggiore definizionein occasione dei moti palermitani prima e con la rivoluzione parigina poi, finoalla condanna da parte di Montanelli nei confronti del decreto del 12 maggio,definito «miserabile», con cui la Lombardia sanzionava l’annessione al Pie-monte e cosı facendo annullava il carattere nazionale dell’insurrezione.44 Difronte ai moti popolari di Livorno la necessita di coinvolgere le masse popolarinel movimento nazionale e il gradualismo politico di Montanelli entrano inconflitto: emerge chiaramente come l’azione popolare avrebbe dovuto inserirsinel quadro di una conquista graduale, scongiurando il rischio di un interventoaustriaco che avrebbe vanificato gli importanti passi fino ad allora fatti.

Fino allo scoppio dell’insurrezione di Palermo e alla rivoluzione pariginadi febbraio Montanelli avvertiva come premature e dannose le posizioni dichi, come Guerrazzi, faceva leva sui malcontenti popolari per raggiungere ipropri obiettivi con sollevazioni di piazza.45 «L’Italia» difatti condanno i tu-multi di Livorno, pubblicando una notificazione del governo centrale seguitada una nota della redazione che si richiamava all’unita del movimentonazionale:

Quando nelle nostre solenni dimostrazioni nazionali protestammo che volevamo,d’accordo col governo, procedere nella via della rigenerazione italiana, non abbiamomentito. Tutti i veri italiani son persuasi che chi vuole il disordine vuole la rovina del-l’Italia; tutti si stringeranno a costo della vita [...]. In tutti i cuori non sia che un solodesiderio, stringerci governanti e governati intorno al vessillo dell’Indipendenza Ita-liana e difenderlo anche col nostro sangue dagli esterni ed interni nemici.46

188 PAOLO BENVENUTO

43 «L’Italia», 24, 20 novembre 1847, Il campo di Pietrasanta.44 Lettera di Giuseppe Montanelli a Adriano Biscardi, 28 maggio 1848, ne «L’Italia», 96, 3 giu-

gno 1848.45 Sulla figura e l’opera di Guerrazzi cfr. Francesco Domenico Guerrazzi nella storia politica e

culturale del Risorgimento, Firenze, Olschki, 1975 e Francesco Domenico Guerrazzi tra letteratura, po-litica e storia: cinque convegni toscani per il bicentenario della nascita (1804-2004), a cura di L. Dinellie L. Bernardini, Firenze, Centro Stampa Consiglio Regionale, 2007.

46 «L’Italia», 33, 8 gennaio 1848.

Page 19: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

Molto duri sono i due articoli scritti da Giovan Battista Giorgini, apparsinei numeri successivi dell’11 e del 13 gennaio. Il primo di questi, intitolatoLivorno, riporta:

Da lungo tempo erano a Livorno manifesti gli indizi di una setta, la quale richiusain una solitudine astiosa e codarda, non seppe intendere la grandezza del presentemovimento italiano, la semplicita delle origini, la maesta del progresso, la sicurezzadel fine. Non seppe, ne volle comunicare colla nuova vita che si dilatava d’intornoa lei, ne accogliere nel suo cuore il battito di migliaia di cuori in un punto rinati allesperanze e all’amore. Per questa setta l’inaspettato amicarsi della religione coi popoli,delli Stati colli Stati italiani; questo improvviso risorgere di un popolo oppresso datutti i pesi del mondo per lo spontaneo, ma necessario ricomporsi delle opinioni, delliinteressi, delle forze nel principio dell’unita nazionale; questo magnifico segno dellaProvvidenza che si svolge sotto i nostri occhi, l’abisso che divide i primi dagli ultimimesi del 1846, e l’aura divina che vola su quell’abisso, Pio IX e la lega doganale fu-rono un nulla per lei.47

La condanna e qui rivolta anzitutto, oltre che al carattere settario e cospi-rativo dei moti, all’estraneita dei fomentatori livornesi ai successi del movi-mento italiano, che e ancora, agli occhi di Giorgini, ma anche di Montanelli,un movimento che fa capo a Pio IX e alla rinascita religiosa e politica a luilegata.

Prosegue l’articolo:

[La setta livornese] crede che l’Italia non sarebbe giunta alla meta per la via san-cita da Pio IX, corsa da Leopoldo II e fatta sicura da Carlo Alberto: o si dolse conpuntiglio superbo che vi giungesse per una via qualunque diversa da quella mostratada lei, e nella quale ella non fosse duce, mettendo il suo credito e la sua influenza so-pra la considerazione del bene comune. [...] E che quelle perturbazioni fossero l’ope-ra di una setta lo dimostra l’origine oscura, l’impeto repentino, la qualita dei mezzi epiu che altro la pubblica riprovazione della quale erano accompagnate. Ma dall’indoledei fatti non era possibile interferire l’intenzione di chi li animava, lo scopo che la set-ta si proponesse.48

Assieme all’esecrazione dei moti, la considerazione forse piu importanteriguarda la loro inopportunita politica. Vale a dire, non solo e non tanto lariprovazione del fatto in se, quanto e sopratutto verso il momento in cui i ‘set-tari’ avevano deciso di forzare la situazione. Sebbene Montanelli stesse gia ini-ziando ad allontanarsi dal neoguelfismo, non era pero disposto ne a cedere di

47 «L’Italia», 34, 11 gennaio 1848, Livorno.48 Ibid.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 189

Page 20: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

fronte a prepotenze d’altra provenienza ne soprattutto a rinunciare a quanto

di vitale poteva ancora esserci in esso. Non era l’azione popolare in se ad es-

sere condannata, ma la forma e il momento scelti da Guerrazzi e dagli altri

democratici livornesi. La cospirazione era gia fallita negli anni passati e restava

improponibile in quel momento. Inoltre, qualificare come settari gli agitatori

di Livorno, equivaleva a negare distinzioni all’interno del movimento naziona-

le, ossia rifiutare di riconoscere di fronte all’opinione pubblica che tra i liberali

esistessero i cosı detti esaltati. Tuttavia, la condanna dei moti di Livorno non

riguardava l’azione popolare, che anzi era ritenuta necessaria, purche, pero,

fosse inserita nel generale movimento nazionale, poiche si riteneva ancora va-

lida la via delle riforme e dell’unita fra governanti e governati. E l’articolo ap-

parso su «L’Italia» del 5 febbraio 1848 sembra richiamarsi ai fatti livornesi ri-

correndo alla distinzione politica esistente tra riformisti e meri agitatori, dove

torna essenziale il concetto di educazione delle masse caro a Montanelli e non

privo di un certo paternalismo:

E tempo ormai che questo pecorismo ceda il luogo alla coscienza politica e niuno

operi senza rendersi conto della sua azione e delle sue conseguenze [...]. Quando nel-

la citta tutti hanno la loro sfera d’azione e tutti partecipano attivamente alla vita pub-

blica, le minorita non giungono mai a produrre turbamenti ne ad arrogarsi la ditta-

tura. Comincino i cittadini ad esercitare l’azione politica con convinzioni profonde

e pensino alle conseguenze d’ogni grido gettato nella piazza, d’ogni firma segnata so-

pra ogni carta.49

Il sostegno della sovranita popolare ando crescendo man mano che i moti

del ’48 assumevano quel carattere nazionale ed europeo che li fece essere non

piu frutto della cospirazione di alcuni rivoluzionari, ma il grande risveglio del-

le masse definito «primavera dei popoli».50

E proprio il periodo che va dai moti livornesi del gennaio al 22 marzo

1848, giorno in cui Montanelli partı alla volta di Massa per poi dirigersi in

Lombardia, coincise anche con il suo decisivo distacco dalle posizioni neo-

guelfe e con un sostegno aperto per quelle democratiche. Se il gradualismo

politico di Montanelli aveva trovato nella stagione delle riforme una sua piena

attuazione – non a caso egli e stato considerato il «capo ideale e reale del gra-

dualismo riformistico di prospettiva democratica» – anche altri democratici

190 PAOLO BENVENUTO

49 «L’Italia», 45, 5 febbraio 1848, Coscienza politica.50 In proposito si veda G. LUSERONI, Giuseppe Montanelli e il Risorgimento. La formazione e

l’impegno civile e politico prima del ’48, Milano, Franco Angeli, 1996, pp. 212-242.

Page 21: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

avevano ritenuto utile aderire al moto riformista.51 Inoltre, la condanna deitentativi di imporre con la forza un nuovo ordine politico nel corso della sta-gione riformista, aveva effettivamente reso piu vicine le posizioni di democra-tici e moderati.

Una vicinanza che, in realta, nascondeva una subalternita dei secondi aiprimi, come dimostrarono gli eventi del biennio 1848-49. Infatti furono pro-prio gli avvenimenti del ’48 che, oltre a mettere in luce i limiti propri del mo-vimento democratico, acuirono la frattura tra questo e i circoli moderati. Ladifferenziazione si poteva gia notare nel diverso giudizio dato a episodi qualil’occupazione di Ferrara oppure la partecipazione popolare nella questionedella Lunigiana e nei moti di Livorno. La distanza fra le forze liberali si allargoproprio a partire dai mesi di gennaio e febbraio del ’48, per poi distendersi inmodo compiuto nella primavera. «L’Italia» riflette questa differenziazione al-l’interno dello schieramento liberale mano a mano che i problemi andavanodefinendosi nei loro termini concreti. Tale mutamento, si mostra chiaramentea partire dai dissidi interni alla redazione, ma soprattutto nelle contraddizioniche spesso sono avvertibili nelle posizioni assunte dal giornale di fronte ai temidiscussi. In varie occasioni «L’Italia» sembra sostenere posizioni differenti, ri-conducibili a partiti di orientamento diverso e dettati dall’enorme incertezzapolitica del momento.

Fino a quando i moti palermitani e la conseguente costituzione concessada Ferdinando II non mutarono radicalmente la condizione politica, Monta-nelli respinse le richieste avanzate da alcuni settori toscani per ottenere unostatuto. Alla base del suo pensiero stava la convinzione che il movimento ri-formatore negli stati italiani dovesse conservare quel carattere uniforme chespontaneamente aveva assunto. «Il movimento toscano – si legge su ‘‘L’Ita-lia’’52 – cessando di essere riformatore e diventando costituzionale, si isolereb-be dal movimento romano: se per la Toscana sarebbe un vantaggio, per l’unitano». Montanelli del resto, in quello stesso articolo, si mostrava convinto cheogni Stato in futuro avrebbe avuto la sua costituzione, «ma questa si svolgeradal seno della riforma».

L’inizio dell’insurrezione palermitana e soprattutto il suo estendersi, gra-zie ai successi immediati, modificarono le sue valutazioni. Nel n. 39 del 22gennaio 1848 si legge un primo commento nel quale si deplora che la rivolu-

51 C. RONCHI, I democratici fiorentini nella rivoluzione del ’48-’49, Firenze, Barbera, 1963,p. 65.

52 «L’Italia», 17, 2 ottobre 1847.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 191

Page 22: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

zione siculo-napoletana sia stata «disgraziatamente ridotta dall’accecamentodel re a prendere la forma violenta». Si esprime pero la fiducia che essanon trascendera negli eccessi, perche non e opera di un partito, ma espressio-ne del desiderio generale e perche e scoppiata dopo che ogni rimedio era statotentato inutilmente.

Nel n. 41 del 27 gennaio, ossia due giorni prima della pubblicazione dellacostituzione concessa da Ferdinando II, di fronte alle voci che davano per cer-ti i provvedimenti del sovrano napoletano, si affermava che la rivoluzione na-poletana era un avvenimento di grande importanza per la causa nazionale. Si-gnificava l’adesione anche del regno meridionale al programma di Roma edera, inoltre, una tacita confessione dell’impotenza di chi avrebbe voluto op-porsi al principio rinnovatore che animava l’azione dei governi italiani. Neiconfronti di quei napoletani che si mostravano insoddisfatti delle conquisteraggiunte e che avrebbero voluto ottenere ancora di piu, si sosteneva che talescontento non doveva stupire, perche a Napoli la riforma giungeva quando ilsangue era ormai sparso, «quando l’insurrezione procedeva vittoriosa e gigan-te, quando il potere ostinatamente ribelle fin’ora ad ogni giusta domanda, eracostretto a dare qualche cosa per non perdere tutto».

Ai napoletani e ai siciliani non si poteva chiedere che imitassero i popolidegli Stati riformati e deponessero le armi solo per aver ottenuto un allarga-mento della consulta e un nuovo ordinamento della censura. Mentre negli Sta-ti pontifici, in Toscana e in Piemonte, il passaggio dalla servitu alla liberta ave-va potuto realizzarsi «per tacita convenzione» e l’iniziativa riformatrice avevaprevenuto quella rivoluzionaria, nel Regno delle Due Sicilie la diversa condi-zione imponeva che il primo atto della vita pubblica fosse una «costituzione diprincipi, la quale chiudesse un passato obbrobrioso e fosse cominciamento diun migliore avvenire al potere ribattezzato nell’acque lustrali della liberta».53

La rivolta popolare era per la prima volta apertamente avanzata come l’u-nica soluzione possibile. Ed era anche la prima volta che l’insurrezione di unintero popolo non era piu un fatto meramente teorico, ma una realta. Cosı«L’Italia» prese chiaramente posizione a favore dei rivoltosi, pur con tutti idistinguo presenti negli articoli di quei giorni, come quello in cui si paragonal’arretrata realta napoletana a quelle piu avanzate di Toscana, Piemonte e Ro-ma, quasi a voler prudentemente affermare che, mentre nella prima la violenzaera necessaria, negli altri paesi e ormai inutile, grazie all’azione congiunta delmovimento riformatore e dei principi liberali.

192 PAOLO BENVENUTO

53 «L’Italia», 41, 27 gennaio 1848, Riforma napoletana.

Page 23: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

La piu forte sensazione che probabilmente Montanelli provava in quei giorniconsisteva certamente nella conferma della sua linea gradualista che ora sembra-va destinata a raccogliere i frutti migliori. Cosı si spiegano i sempre piu ricorrentiarticoli autocelebrativi, attraverso i quali si voleva rendere conto delle nuove po-sizioni abbracciate dal giornale e collegarle a quelle piu prudenti sostenute fino apoco tempo prima. In tal modo si voleva non solo giustificare quello che avrebbepotuto apparire come un brusco mutamento di rotta, ma soprattutto si intende-va sottolineare l’intima coerenza dell’attuale impostazione sempre piu aperta-mente democratica rispetto al riformismo di pochi mesi addietro.

Il 27 gennaio, un articolo apparso su «L’Italia» considerava le particolaritadel caso napoletano rispetto al resto d’Italia, dove, invece, il movimento rifor-matore aveva preso avvio dalla concessione della liberta di stampa che rappre-sento «il passaggio dalla servitu alla liberta, dal Governo arbitrario al Governolegale [e] ha potuto per tacita convenzione cominciare di fatto, senza procla-marne ancora solennemente il principio».54 Montanelli, sostenitore di un fe-deralismo che fosse prima di tutto consapevole delle differenze territoriali epolitiche, non puo fare a meno di considerare la particolarita della situazionemeridionale, dove l’ostinata sordita del governo alle richieste popolari avevaesasperato gli animi fino al punto in cui lo svolgimento del moto riformatorenon poteva che avere forma violenta. Il dato imprescindibile e che a Napoli ea Palermo, con lo spargimento di sangue, e venuta meno la legalita. Questo eil dato fondamentale che distingue Roma, Firenze e Torino dai capoluoghiborbonici. Il ricorso alla violenza, ancorche indotto dalla natura dispoticadel governo, aveva incrinato irrimediabilmente la formula della ‘riforma lega-le’ a cui Montanelli aderiva, ovvero fondata sulla fiducia reciproca tra gover-nanti e governati. La riforma napoletana si presenta, dunque, come un’inco-gnita a cui gli stessi redattori de «L’Italia» non pretendono dare rispostama solo rivolgere un appello all’unita del moto riformatore, che e l’occasionedi ribadire i principi comuni a tutti i liberali: liberta di stampa, guardia civica,municipi liberi ed elettivi e consulta di stato eletta.

A questo punto, assume una certa importanza il differente contegno tenu-to dal giornale di fronte ai moti di Livorno rispetto a quelli siculo-napoletani,che nasce proprio da considerazioni sulle circostanze in cui erano maturati glieventi. Il giudizio negativo di Montanelli sul moto popolare di Livorno e spie-gato molto bene dagli articoli in cui si riportano i fatti avvenuti nel Regno del-le Due Sicilie. Cio che era dannoso e superfluo a Livorno, dove, per di piu,governava una fazione, era indispensabile a Palermo e Napoli e sostenuto a

54 Ibid.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 193

Page 24: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

furor di popolo. La violenza della fazione livornese rischiava di far deragliareil moto riformatore toscano; a Napoli ed in Sicilia mancavano completamentele condizioni per l’incontro tra popolo e governo auspicato da Montanelli, e laribellione rimaneva l’unica strada per collocare il regno borbonico sul sentierodel riformismo.

Ma dopo la pubblicazione della costituzione napoletana, l’atteggiamentodi Montanelli si fara piu deciso di prima nel sostenere le ragioni di una acce-lerazione al moto risorgimentale, richiamando alla memoria le posizioni piuvolte espresse dal suo giornale in tale direzione:

Queste nostre opinioni sulla convenienza di istituzioni rappresentative non con-traddicono a quelle che altre volte manifestammo in questo giornale. Noi dicemmoallora intempestivo ogni desiderio di Costituzione perche la riforma delli Stati italiani,procedendo per via piu diretta, conduceva i governi a modificarsi gradatamente in-nanzi di giungere a quell’ultimo stadio che pure era lo scopo di tutte le riforme.[...] Se allora il desiderio di una Costituzione era ostacolo alla unione italiana, oggisarebbe ostacolo il resistergli; e l’opportunita che allora mancava per ottenere istitu-zioni rappresentative, oggi non solo e venuta meno, ma si e convertita in necessita.55

Unita nazionale e repubblica

E a questo punto che Montanelli sposta in avanti il baricentro del suo gra-dualismo politico, confermato non solo dal generale andamento delle cose ita-liane, ma anche spinto dagli avvenimenti francesi del febbraio che sembrava-no dare corpo alle questioni della partecipazione popolare alla cosa pubblica edella riforma elettorale. Di conseguenza, e questo il momento in cui cominciaa delinearsi una frattura tra gli esponenti piu cauti del moderatismo e coloro iquali, come Montanelli, ne rappresentavano la parte piu avanzata.

Il 30 gennaio, poi, scoppiarono nuovi moti a Livorno dove si chiedeva lacostituzione e la liberazione di Guerrazzi, arrestato in conseguenza dei prece-denti tumulti di piazza del 6 gennaio. Cio indusse il Granduca ad emanare unmotuproprio col quale si annunciava la nomina di una commissione incaricatadi preparare una nuova legge sulla stampa e di riformare la Consulta di Stato.L’annuncio granducale fu salutato positivamente da «L’Italia» che a sua voltaformulava una proposta individuando la direzione in cui riformare la Consultadi Stato che avrebbe dovuto essere legata al nuovo ordinamento municipale,per diventare, cosı, un organo finalmente rappresentativo del paese. Il giudi-

194 PAOLO BENVENUTO

55 «L’Italia», 43, 1º febbraio 1848, La costituzione di Napoli.

Page 25: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

zio sostanzialmente positivo espresso da «L’Italia» sul «motuproprio» era ac-compagnato alle critiche circa «quel fare incerto e stringato che fu sempre iltarlo delle riforme toscane»,56 lamentando l’eccesso di prudenza che sembra-va caratterizzare ogni pur minimo atto governativo. «L’Italia» ammoniva il go-verno a non lasciarsi sfuggire di mano le redini dell’azione risorgimentale e, altempo stesso, sembrava voler insinuare i pericoli che una mancata azione ri-formatrice avrebbe riservato:

Una riforma incompleta che richieda un’altra domanda, il transigere con l’eviden-za dei tempi solo per quel tanto che e reclamato dalla necessita del momento, spic-ciolare a minuto un’idea che per produrre i suoi benefici effetti deve essere applicatain tutta la sua estensione, non e provvedere al bisogno. Conviene misurare d’un guar-do la strada e percorrerla tutta con vigoroso coraggio. Al suo termine e un riposoonorato, a mezzo e una dolorosa rovina. [...] Che vale ad un Governo il diritto idealedi iniziativa quando nel fatto e esercitato dal popolo? [...] E un tacito abdicare l’uf-ficio civile che hanno i governi riformatori il lasciare sempre che gli urli delle piazze lipongano in via e loro accennin la meta.57

Montanelli avvertiva come gli avvenimenti stessero ormai forzando la si-tuazione, e invitava percio i governi riformatori a farsi carico delle necessariemisure atte a guidare sulle piu avanzate strade che si erano aperte. Tali eranole sue speranze e questo spiegherebbe anche le note di timore, presenti in que-sto stesso articolo, circa l’azione scomposta delle moltitudini, e il continuo ap-pellarsi alla legalita del potere monarchico. Montanelli doveva essere tuttaviacosciente dei limiti dell’azione dei governi costituiti; in lui era presente il nonremoto pericolo che, di fronte ad una estesa azione popolare, i governi rifor-matori si ritraessero o, come pareva stesse accadendo, si rivelassero incapacidel loro compito di guida del movimento nazionale.

La soluzione che in seguito Montanelli dara alla questione, sara quella diuna «Assemblea nazionale», che coinvolgendo gli esponenti del movimentonazionale e dei governi riformatori, fosse capace di fondare un nuovo ordina-mento unitario. Ma in quei giorni, tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio,l’obiettivo ancora insistentemente reclamato da «L’Italia» e quello della costi-tuzione. Non piu le sole riforme, ma la carta costituzionale rappresentava ilpiu alto gradino per la lotta verso l’unita. Il nuovo punto di riferimento pervalutare l’azione dei governi era la realta napoletana.

Se Napoli avesse potuto ribattezzarsi italiana con la parola Riforma, lo svolgimen-to unitario sarebbe stato turbato dalla parola Costituzione e le istituzioni rappresen-

56 «L’Italia», 44, 3 febbraio 1848, Motuproprio del 31 gennaio.57 Ibid.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 195

Page 26: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

tative si sarebbero svolte gradatamente dal progresso dell’idea riformatrice. Ora cheNapoli, per le sue condizioni eccezionali, dove cominciare da uno ordinamento rap-presentativo, e necessario che tutti gli altri fratelli facciano onore al nuovo arrivatoe per mantenere l’armonia procedano all’immediata installazione di quello stessosistema.58

Il giornale si mantenne su questa linea per tutto il mese di febbraio, atten-to a cogliere e meditare gli avvenimenti che si succedevano ormai quasi quo-tidianamente, e accorto nel prevedere e considerare tutti gli sviluppi cui unatale situazione in pieno fermento poteva condurre.

Il 17 febbraio il giornale modificava le proprie insegne in «Unita federale»e «Nazionalita indipendente», che definivano piu nettamente l’appartenenzapolitica del foglio montanelliano e il suo programma. Modificare le paroled’ordine era un indizio di cambiamento che era prima di tutto una maggiorspregiudicatezza della linea editoriale, come rivela l’articolo-programma delnumero 50, dove praticamente e formulata l’anticipazione della Costituentemontanelliana:

Fa d’uopo che l’Unita italiana sorga dall’agglomerarsi spontaneo dei diversi centridelli Stati intorno ad un centro comune. Nel quale personificata la nazione, si verracon forma tutta nuova e senz’esempio nelle costituzioni politiche, a stabilire cio chefra gli stati italiani possa essere comune, e cio che possa essere diverso.59

Pochi giorni dopo seguirono i moti parigini a cui «L’Italia» dedica ampiospazio a partire dal numero 56 del 2 marzo, dove si da un ampio resocontodelle vicende che il 22 e il 23 febbraio avevano portato al mandato di accusadei deputati dell’opposizione contro Guizot fino al rovesciamento della mo-narchia. L’enfasi del giornale cade sugli aspetti piu politici della rivoluzionefrancese di cui si celebra la vittoria della democrazia e della repubblica, con-cetti fino ad allora quasi banditi dal vocabolario giornalistico e adesso impostiall’attenzione di tutti grazie al rivolgimento francese. I redattori de «L’Italia»sembrano comprendere fin da subito la portata del cambiamento avvenuto inFrancia, ma tale e tanto e lo scompiglio seminato dall’avvento repubblicano

196 PAOLO BENVENUTO

58 «L’Italia», 45, 5 febbraio 1848, La bandiera nazionale a Napoli. In questo stesso giorno Mon-tanelli scriveva ad Alessandro Poerio per invitarlo a diventare corrispondente da Napoli del suo gior-nale e gli chiedeva di vedere questi fatti «specialmente sotto l’aspetto italiano». Vedi N. COPPOLA,Alessandro Poerio e Giuseppe Montanelli: loro carteggi inediti con aggiunta di altri carteggi col Poerio,in «Rassegna storica del Risorgimento», XXX, 1, 1943, pp. 33-94; 2, pp. 163-232 e 3, pp. 364-377(la lettera in questione e a p. 212).

59 «L’Italia», 50, 17 febbraio 1848, Unita federale, Nazionalita indipendente.

Page 27: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

che improvvisamente vengono meno anche le cautele nell’uso del linguaggio ei toni del dibattito si fanno piu arditi. Cosı che il giornale, in chiusura dell’ar-ticolo Parigi, pubblica una sorta di ‘scaletta’ sulle posizioni che il movimentonazionale dovrebbe assumere, ma che suona come un ‘avviso’ nei confrontidei governi italiani e che detta le priorita della politica interna ed estera:

I. L’Italia risorta deve stringere la mano alla Francia risorta, ed essere la primaad affratellarsi col nuovo Governo, appena sia riconosciuto dalla Nazione.

II. L’idea fissa Italiana, a cui ogni altra questione deve essere per ora sacrificata,e l’Indipendenza Nazionale.

III. L’Italia non si dividera dai suoi Principi, se questi si appresteranno unanimi erisoluti alla difesa della nostra Indipendenza.

Il sostegno a questa causa sacrosanta e il solo Palladio della Monarchia Costitu-zionale in Italia.60

Ai redattori de «L’Italia» apparve subito chiaro che i fatti parigini eranodestinati ad influenzare la vita politica europea in modo decisivo e che la Re-pubblica sarebbe diventata il nuovo punto di riferimento del movimento na-zionale italiano. La rivoluzione di febbraio, poi, diventa una nuova e decisivadimostrazione di mezzi di cui dispone il popolo per combattere una situazionepolitica insostenibile, a condizione che riesca a prendere coscienza e ad orga-nizzarsi. Il popolo veniva ormai considerato maturo per l’azione, ma occorre-va che i prıncipi riformatori si assumessero la responsabilita della sua guida.Da una parte viene percio deplorata l’esitazione del governo toscano, dall’altrae invece elogiato Carlo Alberto, che appare poter diventare guida della ormaiinevitabile guerra contro l’Austria.

In questa posizione si mostra tutta l’incertezza e la debolezza della politicapropugnata in questa prima fase dei moti quarantotteschi, non solo da partedi Montanelli, ma dall’insieme dei democratici italiani. Una politica che avevaportato ad accettare una sostanziale subordinazione alla direzione moderata,in vista prima di graduali riforme e ora della guerra contro l’Austria. E a que-ste interne contraddizioni del movimento democratico che bisogna far risalirele discordanti prese di posizione de «L’Italia» che appare quasi divisa fra l’e-saltazione dell’insurrezione popolare e il desiderio che sia un principe riforma-tore a prendere la guida, militare prima che politica, della lotta contro lostraniero.

Ma anche rispetto ai nuovi mutamenti interni, ritenuti ormai inevitabili, edi esempio l’operosita del governo francese:

60 «L’Italia», 56, 2 marzo 1848, Parigi.

5

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 197

Page 28: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

L’attivita di quei governanti e prodigiosa. Hanno gia posto mano alla risoluzionedelle piu ardue risoluzioni sociali; non trascurano alcun ramo di amministrazione; daldecreto che abolisce la Monarchia e ogni avanzo di feudalita, fino a quello che richia-ma in vigore un’antica consuetudine dimenticata dall’Istituto nazionale: quale inter-vallo! E pure essi lo percorrono riformando quasi con la celerita del pensiero. Enon sono gia lontani da ogni distrazione, e occupati giorno e notte dal solo coordina-mento della cosa pubblica. Sorgono in mezzo al popolo trionfante, avviluppato anco-ra nella polvere del combattimento. Il loro cuore palpita delle commozioni private, etante scene diverse di questo dramma che parra favoloso; domande, reclami, sugge-rimenti di ogni specie, assiepano il palazzo della loro dimora; Pari, Marescialli, Prin-cipi, Duchi, fanno a gara a visitarli e offrire alla repubblica il loro servizio di cittadini;le moltitudini di operai anelano una parola fraterna, essi dissipano quando l’hannoottenuta.61

Descrizione che, al di la del tono idilliaco, vede nella repubblica francesela dimostrazione migliore di partecipazione delle forze popolari all’ammini-strazione della cosa pubblica. Anche gli stati italiani dovevano seguire l’esem-pio transalpino. La responsabilizzazione del popolo non avrebbe piu dovutoprocedere per esortazioni moralistiche, bensı attraverso la diretta partecipa-zione al potere decisionale, da attuarsi con una larga rappresentanza in senoal governo. La riforma elettorale diventa, cosı, assieme all’impegno dei governinella comune lotta contro l’Austria, uno dei temi centrali affrontati da «L’Ita-lia» nel marzo del ’48. In altre parole, si trattava di porre la questione decisivadella direzione politica del movimento nazionale.

Il dibattito sulla Repubblica francese continua su «L’Italia» in diverse di-rezioni, come discussione ideale sul modello di governo, attraverso considera-zioni di politica internazionale o di valutazioni strategiche sul futuro ruolofrancese in Europa e per l’Italia. Non meno importanti sono le corrisponden-ze dirette di cui il giornale si avvaleva e attraverso cui si voleva dare testimo-nianza dell’evento francese in tutta la sua portata, ma anche nella sua dimen-sione pacifica, cosı da esorcizzare lo spettro della repubblica giacobina. Taleimportante compito fu affidato all’autorevolezza di Vincenzo Gioberti chescriveva una lettera a Montanelli, poi pubblicata ne «L’Italia».

Nel tono della missiva, l’abate torinese rimane distante dal fare propagan-da per la forma repubblicana e pur esaltando l’esempio francese per la dignitae la compostezza del suo svolgimento, non ha dubbi sull’eventualita di ricono-scere la neo-nata repubblica che, anzi, e da salutare quale sicuro alleato per ilrisorgimento italiano, come dimostra l’entusiasmo con cui si chiude la missiva:

198 PAOLO BENVENUTO

61 «L’Italia», 60, 11 marzo 1848, Il governo francese e il governo italiano.

Page 29: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

«Evviva dunque Pio, Leopoldo, Carlo Alberto, Ferdinando! Evviva l’unionedella Lega Italiana colla Repubblica Francese!».62

Gli articoli apparsi su «L’Italia» nel periodo compreso tra la rivolta parigi-na e la partenza dei volontari toscani per i campi lombardi sono rivolti a con-templare il grandioso spettacolo della repubblica francese e del suo operato. Edato grande risalto ai provvedimenti legislativi posti in essere dal governo prov-visorio e altrettanto celebrata e l’opportunita politica che il nuovo equilibriodeterminato dalla Francia repubblicana rappresenta per le sorti italiane.

A partire dal numero 65 del 23 marzo la direzione del giornale passa aSilvestro Centofanti. Montanelli non vi scrivera piu se non come corrispon-dente per i volontari toscani che si dirigono sui campi lombardi. «L’Italia»continuera le pubblicazioni fino al numero 120 del 1º agosto, quando l’espe-rienza de «L’Italia» si concludera definitivamente.

Seguire i mutamenti politici di Montanelli nel biennio ’47-’48 presentauna serie di difficolta, riconducibili alla mancanza di un corpus teorico cui ap-poggiarsi e alla confusione che genera il grande attivismo politico del tempo,intrapreso in direzioni che, talvolta, sembrano non avere soluzione di con-tinuita. Da questo punto di vista, «L’Italia» e una cartina di tornasole delpensiero montanelliano e del suo percorso dal neoguelfismo alla democrazia.Tuttavia, il setaccio della coerenza con cui e stato solitamente vagliato ilprofessore pisano ha fatto sı che taluni aspetti del suo pensiero, gia presentie pienamente maturi negli anni della sua formazione, fossero invece tenutiin scarsa considerazione, e la sua collocazione politica, nonche storiografica,rimanesse incerta, o fosse altrimenti letta sulla base delle sue singole e contin-genti adesioni politiche, tanto da risultare poco coerente, proprio perche ri-mossa la complessita d’una visione d’insieme.

Incrinatosi il neoguelfismo, Montanelli mantiene fede al principio di unitadel movimento nazionale e continua a sostenere pubblicamente Pio IX. Il 24dicembre 1847 scriveva a Gioberti:

Se ci manca il nome di Pio non so che sara di noi. Fortunatamente il Piemonte vamolto bene e sara questo un elemento di ordine, ma dall’avere a capo del movimentonazionale un Re anziche un Papa che differenza!

Tali parole rivelavano ancora una volta quanto fosse importante per il pro-fessore pisano la dimensione spirituale nella guida del movimento nazionale.Anzi, e proprio in questa direzione che egli auspicava la separazione tra trono

62 «L’Italia», 58, 7 marzo 1848, Lettera di Vincenzo Gioberti.

L’ITALIA DI GIUSEPPE MONTANELLI: CATTOLICESIMO, DEMOCRAZIA E REPUBBLICA 199

Page 30: L'Italia di Giuseppe Montanelli: cattolicesimo, democrazia, repubblica

e altare, cosı che un papa non piu sovrano temporale avrebbe potuto presie-dere la futura confederazione o lega di Stati italiani.

Questa concezione religiosa, che scinde l’elemento spirituale da quello tem-porale, era gia presente nel personale travaglio del fucecchiese di fronte alla re-ligione cattolica, di cui il sansimonismo e l’evangelismo avevano rafforzato il ca-rattere anticuriale e liberale e che negli scritti di Gioberti trova finalmente unaconciliazione capace di tenere assieme il ruolo politico della religione in seno allasocieta. La fede democratica e repubblicana di Montanelli, lontana da una im-provvisa maturazione in conseguenza degli avvenimenti francesi del febbraio del1848 e dell’esperienza della guerra, era gia da tempo ben viva in lui. Questoemerge chiaramente dalle colonne de «L’Italia» prima ancora che dai suoi scrittiposteriori e piu meditati. Senza richiamare l’esperienza de «L’Educatore delPovero» o la vicinanza di Montanelli alla Giovine Italia di Mazzini negli anniTrenta, oppure il socialismo utopistico francese alla cui scuola si era formato,e sufficiente considerare le proposte di riforma delle istituzioni politiche grandu-cali, l’ampliamento del suffragio o il modo democratico con cui guida la protestadella cittadina pisana contro i gesuiti. E democratica la stessa modalita con cuiconduce la redazione de «L’Italia» espressa attraverso il rifiuto di apporre unaqualsiasi identita particolare alle opinioni di un giornale che voleva essere il pen-siero collettivo di una «persona morale».63 Ed e gia repubblicano lo spirito concui si manifesta la pregiudiziale nei confronti di Carlo Alberto, che e principal-mente il rifiuto dell’elemento dinastico e che rimase tale anche in seguito, comedimostro poi la sua astensione al voto che sanzionava i Savoia come dinastia delnuovo regno d’Italia. Anzi, la prospettiva neoguelfa che santificava Pio IX e lovoleva, al tempo stesso, spogliato del potere temporale era una manifestazionemultiforme della fede democratica e repubblicana che rifiutava un sovrano pa-drone e auspicava, invece, un «capo morale».

Stessa cosa puo dirsi in merito al gradualismo politico di Montanelli chenon si esauriva nella semplice richiesta di riforme ne trovava il suo apprododefinitivo nella concessione degli statuti, i quali rappresentavano solo una na-turale evoluzione verso forme di governo di per se inconciliabili con le prero-gative monarchiche. Quel gradualismo doveva invece attuarsi con il progettodella Costituente, massimo tentativo di escludere ogni transizione violentaverso un ordinamento democratico ma, al tempo stesso, rivoluzionario, nell’u-topia di far sottoscrivere al vecchio sistema di potere il principio della sua stes-sa decadenza, sanzionando al suo posto la sovranita popolare.

PAOLO BENVENUTO

200 PAOLO BENVENUTO

63 «L’Italia», 1, 19 giugno 1847, Programma.