INDICE Introduzione p. 3 Capitolo I°: Proprietà del pianeta virtuale p. 10 Capitolo II°: Lévy e dintorni p. 21 Capitolo III°: I veli dell’Immaginario p. 34 Capitolo IV°: Un filo d’Arianna per il cyberspazio p. 51 Capitolo V°: I fantasmi del cinema p. 67 1
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L'interazione del soggetto con il Cyberspazio - L'asse Lévy, Zizek, Lacan (2008)
Un saggio sulla Teoria Estetica che analizza le ripercussioni generate sull'individuo dalla fruizione delle nuove tecnologie.
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5/12/2018 L'interazione del soggetto con il Cyberspazio - L'asse L vy, Zizek, Lacan (2008) ...
Da una certezza possiamo partire: non c’è più scelta. Forse non l’abbiamomai avuta. Di sicuro abbiamo a che fare con una scelta apparente, che
somiglia tanto ad un gesto vuoto: dobbiamo quindi negarci la possibilità di
interagire in maniera costruttiva con la realtà come oggi ci viene mostrata,
cioè sotto forma di uno smagliante schermo che ci promette un aldilà ad
alta digeribilità? Credo che la domanda sia lecita e dovrebbe infondere una
spinta inesorabile verso la ricerca di soluzioni, di linee guida per orientarcinei meandri della virtualità, cioè nel complesso di situazioni generate da
rapporti intersoggettivi mediati dalla grande rete interattiva, multimediale,
scacciando gli spauracchi dei catastrofisti e dei pessimisti cosmici.
Addirittura c’è chi pensa che siamo tuttora soggetti ad una sorta di
assuefazione coatta alla tecnologia ipermediale odierna poiché «la scienza
dell’estremo si allontana dalla sua paziente ricerca della realtà per partecipare ad un fenomeno di virtualizzazione generalizzata».1 La verità è
nel flusso che ci trascina verso lidi ignoti, luoghi in cui ci disperdiamo,
nell’altalena di promesse e speranze di cui ci inebria un’informazione
sempre più pervasiva e nelle sensazione di essere circondati da una vera e
propria crisi delle strutturazioni simboliche della cultura occidentale. Nuovi
canali ci trasmettono messaggi che invadono le nostre vite comuni, ci
condizionano a tal punto da influenzare decisioni e prese di posizione, la
cosiddetta opinione pubblica è in completa balia di questa
spettacolarizzazione del reale e la televisione domestica cede il posto alla
telesorveglianza. Si tratta di una concreta invasione della sfera privata,
questa voice over impersonale che ci offre il meglio, costruendo un castello
di sabbia sul prodotto che vuole venderci, riempiendo di significanti inutili
i contenitori degli status symbol, trattandoci come soggetti liberi ma1Paul Virilio, La bomba informatica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. 2.
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esclusi: un mezzo che il sistema utilizza per garantirci una sicurezza morale
oltre che concreta. Un meccanismo che si riassume in una frase del genere:
“stiamo facendo tutto quello che possiamo per integrarli, ma intanto ve li
teniamo lontani dal cortile”; così il nostro spirito da crocerossine viene
appagato e condito con la salvaguardia della proprietà privata. Tengo a
precisare come la riflessione cui stiamo prendendo parte, non includa la
maggior parte delle persone che vivono su questo pianeta e oltre il puro
divertimento bisognerà ricordarsi di loro al momento in cui avremo
acquisito una certa autonomia organizzativa e avremo finalmente voglia di
comprare fiammiferi ai bordi delle strade, galvanizzati da un ritrovatoequilibrio mentale. È importante affermare tutto questo dato che il “terrore”
è stato elevato oggi all’equivalente universale di tutti i mali sociali e siamo
immersi nel complicato circolo vizioso in cui tutti cerchiamo di generare
una chiara idea di nemico da espugnare lasciando esposta la nostra
vulnerabilità verso ciò che ci colpisce “davvero”, cioè il concreto incedere
delle problematiche quotidiane. Una di queste è senz’altro la proliferazioneincontrollata dei dispositivi tecnologici che, come vedremo, potrebbe
essere davvero riconsiderata sotto una chiave concettuale che garantisca un
minimo di guadagno per ognuno di noi; è vero d’altronde che visualizzare
le nuove strade del progresso scientifico in maniera apocalittica non ha mai
fornito un aiuto per la loro comprensione. Mi permetto di aggiungere
inoltre che la stampa, la radio, il cinema, la televisione non abbiano mietutocosì tante vittime rispetto al bene che hanno prodotto nell’accrescimento
dell’universo della comunicazione. E cosa sono i computer ed internet se
non degli altri media ricchi di immense potenzialità? E’ innegabile che
l’accesso a delle realtà alternative e in generale al mondo del cyberspazio,
grazie a progetti come Second Life, radicalizzi il senso di appropriazione
indebita della nostra sfera intima da parte di un’entità astratta totalmente
esteriore ai nostri bisogni e interessi. Inoltre la possibilità, ormai così
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prossima, di venire imbalsamati da un nuovo acuto stato confusionale,
condensato in un senso di realtà indistinguibile dal suo equivalente
digitale, sta generando con una velocità sconvolgente degli slittamenti
considerevoli nelle maniere di concepire e assimilare gli eventi. Può
accadere che un fatto di cronaca, seppur grave venga introiettato in modo
malsano da chi lo osserva, incarnando una fantasia ricorrente, un contesto
visivo con cui si può venire sovente a contatto. Il nodo è strettissimo:
La realtà virtuale non fa che generalizzare questa pratica di offrire un prodotto
privato delle sue proprietà: la stessa realtà è deprivata della sua sostanza,
dello zoccolo duro e resistente del Reale, […] La realtà virtuale viene vissuta
come realtà senza esserlo. Quel che ci attende alla fine di questo processo di
virtualizzazione è che cominciamo a percepire la stessa “realtà reale” come
un’entità virtuale. Per la maggior parte del pubblico i crolli delle torri gemelle
sono stati eventi televisivi, e quando abbiamo visto per l’ennesima volta le
immagini della gente terrorizzata che correva in direzione della telecamera di
fronte alla nube gigantesca di polvere che si sollevava dal crollo delle torri,
quella scena ci ha ricordato le scene spettacolari dei film catastrofici, uneffetto speciale che ha superato tutti gli altri dato che – come sapeva già
Jeremy Bentham – la realtà è la miglior apparenza di se stessa. 3
La graduale colonizzazione ideologica dell’Europa da parte degli Stati
Uniti non è forse supportata dalla volgare imposizione di una visione
unilaterale delle politiche globali? L’11 settembre è solo il culmine di
questo processo, la messa a punto di un protocollo infallibile. Non è infattiimportante cercare di dimostrare il complotto dell’auto-attacco americano,
ma focalizzare tutti gli scenari successivi, come ad esempio la produzione
da parte di Hollywood di un filone di kolossal mirati a rafforzare l’idea
mitologica di conquista da sempre radicata nell’archetipo collettivo
occidentale, (si pensi a film come Troy, Alexander , Le crociate). Ecco una
chiara manifestazione del supporto fantasmatico, in questo caso
3 Ivi, p. 15-16.7
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altri sé digitali, potremmo nutrire la speranza di costruire la nostra identità
in maniera ponderata ma soprattutto autonoma:
Questo non è certamente un fenomeno del tutto nuovo: i vecchi media, di tipo
verbale, continuano a svolgere efficacemente una loro funzione di
identificazione. Continuiamo a definire noi stessi attraverso le
caratterizzazioni proposte dai romanzi di largo consumo e dai magazines di
informazione svago e moda; continuiamo cioè a identificarci con le voci che
emergono in queste forme di narrazione scritta. I nuovi media offrono nuove
possibilità di definizione del sé, dal momento che possiamo identificarci con
la grafica brillante e i video digitali dei computer games come con la
vertiginosa visione in prospettiva offerta dai sistemi di realtà virtuale, dai film
e dai loghi televisivi realizzati in formato digitale. Possiamo definire noi
stessi attraverso la convergenza di tecnologie della comunicazione come il
telefono e Internet.4
Il punto cruciale risiede nell’ipotesi di incarnare altri vissuti dall’interno
con l’esigenza realizzata di manipolare attivamente le dinamiche di
slittamento costruttivo delle identificazioni, dando adito all’esperibilità didesideri repressi. Si tratta di una ricerca che mira ad abbattere alcuni dei
pregiudizi esistenti riguardo il mondo del cyberspazio con l’intento di
recidere le cime spesse che inibiscono la naturale spontaneità
nell’approccio a questi nuovi mondi. Ma il tentativo concreto consisterà nel
porre in comparazione i testi di alcuni filosofi contemporanei che riflettono
su alcune chiavi concettuali comuni, nella speranza di poter delineare imodi in cui le identità post-moderne entrano in contatto con i nuovi
universi esperienziali del “virtuale” e perseguire un’accurata comprensione
dei gradi di assimilazione di questi nuovi fardelli.
CAPITOLO Iº
4Jay David Bolter e Richard Grusin, Remediation, competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini Studio,Milano 2002, p.265.
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Proviamo allora ad estrarre un’atmosfera visionaria da questa
considerazione apparentemente asettica del visionario Pierre Lévy:
Il reale, la sostanza, la cosa sussiste o resiste. Il possibile racchiude forme non
manifeste, ancora sopite: nascoste all’interno, queste determinazioni
insistono. Il virtuale […] non è nel ci, la sua essenza risiedendo nell’uscita:
esso esiste. Infine, manifestazione di un evento, l’attuale accade, la sua
operazione è l’occorrenza.11
È come se il virtuale si manifesti in quanto attualizzazione nel momento in
cui avviene l’interazione con l’utente, ponendo così le basi ontologiche
della propria esistenza grazie a un complesso nodo di relazioni dinamiche.
La velocità è cyberspazio, o meglio il grande insieme di velocità relative
che si intersecano tra loro a partire da una preesistente configurazione di
forze la quale tende a mostrarsi in atto, fenomeno, evento. Ma cyberspazio
è soprattutto “non luogo”, soglia liminale che connette esterno e interno,
stato confusionale di elaborazione astratta di situazioni da affogare nelmondo empirico e ambiente virtuale che accetta l’intromissione di altri
corpi compenetranti in stretta osmosi tra loro. Non c’è più scelta una volta
dentro, si è sonnambuli nello slittamento da un’identificazione all’altra, in
perpetua assenza, “soggetti sbarrati” spinti a dare sfogo ai molteplici sé che
la nostra identità tiene in incubazione dall’alba dei “no” inibitori. In pratica
si verifica una riproduzione di ciò che l’individuo avverte, quando riflettesul proprio vuoto esistenziale a contatto col nulla scovato all’interno, con la
differenza che si hanno lì a portata di mano soluzioni agevoli di
riempimento da abbracciare in maniera totalmente intuitiva, alla stregua di
un magico sogno:
“Madre mia, perché fuggi mentre voglio abbracciarti, che anche nell’Ade,
buttandoci al collo le braccia, tutti e due ci saziamo di gelido pianto? O
11Pierre Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina, Milano 1997, p.130.16
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Dopo questa breve descrizione delle peculiarità relative all’universo in
questione, tentiamo di analizzare i vari feedback che le persone fisiche
ricevono una volta invischiate nella tela del ragno. Bolter e Grusin, esperti
di comunicazione, portano avanti l’idea di un mondo virtuale che utilizza le
forme strumentali di altri media per favorire l’accesso a situazioni più
complesse da vivere mouse alla mano. Nell’ottica di questo “riuso” in
ambito di programmazione, l’identità del soggetto educato agli utilizzi
sociali delle nuove tecnologie, subisce un processo di “rimediazione”
sovrapponendosi ai mezzi che comincia a padroneggiare. Nei MUD
(domini multi-utente), nelle chat, nei forum, negli spazi virtuali interattivi,nelle ambientazioni dei giochi di ruolo online, tante menti de-corporeizzate
entrano in stretto contatto, felici della scoperta di un fresco universo ludico:
Il sé rimediato si manifesta anche con grande evidenza nelle “comunità
virtuali” presenti su Internet, all’interno delle quali i singoli individui
controllano e occupano punti di vista sia visuali che verbali attraverso
manifestazioni testuali e grafiche, ma, allo stesso tempo costituiscono le loro
identità collettive come una rete di collegamenti tra questi sé mediati. La
comunità virtuale è la comunità in quanto soggetto e insieme oggetto del
processo di rimediazione; essa rimedia la nozione di comunità così come è
stata definita all’interno e attraverso i precedenti media, quali il telegrafo, il
telefono, la radio e la televisione.14
Il sipario si apre sul denso tessuto connettivo che la grande rete interattiva
propina quotidianamente ai suoi utenti. È come un grande muro di mattoni
attraverso cui l’intuizione umana abbraccia la libertà di far breccia
decomponendone gli elementi a proprio piacimento con la volontà di
ricostruirne l’insieme in maniera creativa e di condividerlo con chicchessia.
Il modo intuitivo è quindi agevolato dall’approdo verso “dimensioni
conosciute” che si ritrovano stratificate nei testi intarsiati di numerosi
14 Jay David Bolter e Richard Grusin, Remediation, competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, cit., p.267.
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esteriori di sorta? Forse dobbiamo smetterla per un momento di paragonare
ogni concetto all’immagine corpo-virtuale, e tentare di allacciare il discorso
all’uomo reale, quello seduto costantemente davanti allo schermo; egli non
si chiede se la sua esperienza sia simile a un sogno, a una droga, a
l’immersione in un quadro, ma quali benefici concreti può trarre
dall’utilizzo del nuovo mezzo di cui dispone. Infatti a un livello concettuale
profondo non vedo soluzione, ma se trasponiamo la cosa verso un punto di
vista più sociologico notiamo il passo ulteriore. Citiamo da L’intelligenza
collettiva di Lévy:
Tenendo conto delle particolarità soggettive di ogni monade, di ogni anima
individuale, il collettivo intelligente simile al Dio di Leibniz, calcola il
migliore dei mondi possibili.[…]L’economia delle qualità umane dal canto
suo, non prevede assolutamente istanze trascendenti, seppur infinitamente
rispettose delle libertà. È una monadologia senza Dio. In essa nessuno detiene
il potere. Nessuno detiene la conoscenza assoluta del tutto. Il calcolo del
meglio è dunque viziato da un’incertezza ineluttabile ed è preferibile che siacosì. Siccome non si ha una conoscenza perfetta della totalità ed è impossibile
prevedere il futuro, il calcolo non pianifica il meglio una volta per tutte , ma
procede in una serie continua e indefinita di approssimazioni, seguendo in
tempo reale l’arrivo di nuove informazioni e il cambiamento delle situazioni.
[…]Ecco la differenza principale tra la monadologia di Leibniz e l’economia
delle qualità umane: quest’ultima non ammette un architetto esterno, un
grande calcolatore che determini il meglio per tutti. Lungi dall’esserecentralizzata, l’attività di calcolo è distribuita ovunque. Infatti esistono
almeno tanti calcolatori elementari quante sono le monadi: si tratta delle
persone.17
L’economia, infatti verterà intorno alla produzione del legame sociale,
sviluppando un ambito relazionale non gerarchico, ma questa economia
delle qualità umane rimane il vero limite utopico della sua idea. Come17Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva, per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli Milano 2002, p. 93-94.
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potremo essere sicuri che le necessità economiche convergeranno con
l’esigenza etica? Il filosofo francese è un esperto delle ripercussioni sociali
dell’informatizzazione e vede nella nuova realtà un progetto in cui il
calcolo del meglio non può basarsi su un “bene unilaterale”, cioè non può
(e non deve) sussistere un’ istanza di potere che determini lo scioglimento
degli eventi, la produzione e la distribuzione dei beni di consumo,
includendo anche l’informazione stessa in questo insieme. Sostanzialmente
egli osserva come il “calcolo” non sia più una prerogativa di pochi, ma,
grazie alla diffusione di numerosi calcolatori, sia in costruzione una
collettività che interagisce attivamente per la creazione di una sfera delsapere comune, il vero relativismo, un concetto di pluralità che entra in
gioco nella creazione e nella gestione delle “utilities” di tutti quelli che
partecipano al gioco. Cioè il contesto del cyberspazio è una universalità
per chi ne fa parte, ma non totalizzante, perché è inseparabile dalla
particolarità degli individui e delle relazioni interpersonali. Se il testo
letterario conosce una certa universalità, esaurisce altresì la propria naturatotalizzante a causa della sua caratteristica di prodotto limitato e conchiuso,
mancante di connessioni dinamiche autonome. È chiaro come la letteratura
operi il riuso e la risemantizzazione di altre opere ma questi link, se non
sono resi espliciti da note, citazioni, non sono immediati, cioè risultano
comprensibili solo a coloro che, per istruzione, tipo di cultura, riescono a
scorgerli nella fitta rete dei rimandi impliciti. Tra l’altro a imporre i link neltesto letterario troviamo in cattedra soltanto l’autore unico. Oltre a questo è
molto facile che la lettura di un libro venga presa nell’ottica di
un’acquisizione omologante di uno o più status symbol, o come luce
sempiterna contenente delle verità dogmatiche, a causa del rapporto di
insubordinazione che si istaura facilmente con questo tipo di testo. I
giornali, le televisioni e per certi versi il cinema, proseguono nella
realizzazione di questa traccia, poiché sono forme di comunicazione di tipo
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“uno-tutti” che si propongono di diffondere messaggi che aderiscono al
minimo comune denominatore mentale dei destinatari. Sono media che
sollecitano l’utente-fruitore alla passività, utilizzano la sospensione
dell’incredulità come un’arma per infierire sul target medio in maniera
intrusiva e demagogica. A causa di questo sono stati sfruttati per gestire
l’innesco ideologico nelle società totalitarie, attraverso una certa
propaganda politica unilaterale. Gli antichi greci invece non avevano
ancora distaccato la ritualità dei loro “testi orali” dal contesto del flusso
vitale in cui erano immersi (pensiamo alla tragedia attica). La parte centrale
dell’Odissea di Omero, cioè la lunga digressione del protagonista alcospetto dei Feaci riguardo il lungo naufragio che lo ha sconvolto, è una
vera e propria captatio benevolentiae per convincerli della propria virtù
morale e fisica al fine di essere ricondotto al più presto ad Itaca. Se Omero
utilizza questo “spunto” è per definire appunto il contesto di fruizione
dell’opera antica, inserito nel complesso dei rituali sociali dell’epoca: le
regole dell’ospitalità, la teatralità del racconto, il banchetto sacro. L’usosociale veniva così ricondotto al senso pratico e comunitario indispensabile
all’esistenza civile e armonica delle antiche società orali. Il contatto diretto
tra questo medium e la vita era fondamentale, perché è stata proprio la
“distanza culturale” tra mondo intellettuale raziocinante e mondo popolare
istintuale, prodotta secondo Nietzsche da secoli di filosofia, ad aver
favorito le strumentalizzazioni delle opere testuali ai fini di controllo,indottrinamento ideologico, politico e morale. Ma vediamo come il mondo
virtuale entri nel merito di questa digressione. La rete rende pensabile
qualcosa di differente sia dalla totalità senza universale delle culture orali,
sia dall’universale totalizzante delle culture scritte e mediatiche. Al
dispositivo comunicativo del tipo uno-uno (posta, telefono) e di tipo uno-
tutti (televisione, giornale), si è aggiunta la possibilità di una
comunicazione tutti-tutti, cioè di un nuovo modo di distribuire la
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in questi passaggi, in cui sembra tendere la mano a Lévy, sospeso nel
proprio galleggiamento teorico:
Lungi dall’essere anarchico, lo spazio dell’ipertesto (IP) è dotato diun’organizzazione così sofisticata da produrre un effetto di libertà.[…]L’IP
costituisce un’immagine teologica di un certo tipo: l’Autore plurale dell’IP è
un Deus absconditus, un Dio trascendente, più che un orologiaio
programmatore che predetermina i percorsi e le scelte costruendo attraverso la
loro quantità un effetto di libertà.[…]Che succede se oltre all’hyper text
aggiungiamo il transfert protocol nel particolare ambiente World Wide Web?
[…]Il web invece è politeista, è uno spazio pagano, in cui ci sono molti dei,ed è uno spazio sul quale non si dà uno sguardo di sorvolo: nessun iperautore
può avere uno sguardo totalizzante sul web.[…]Questo mondo ha carattere
totale: nel suo dinamismo tutti i possibili che possono attualizzarsi si
attualizzano, ma non è dotato di alcuna teleologia, in quanto non è possibile
uno sguardo esterno dominante: si tratta quindi di un’ulteriore e alternativa
metafora del mondo.18
Abbiamo allora circoscritto il discorso giungendo ad una conclusione che
ci porta ad escludere l’esistenza di un iperautore che tessi la grande tela
dell’ipertesto magari a sua immagine e somiglianza. Del resto la parola
ipertesto si riferisce ad una forma di testo elettronico strutturato attraverso
una modalità di scrittura non sequenziale e dei blocchi di testo collegati tra
loro attraverso link che generano una sembianza multilineare: in questo
senso è evidente un’esibizione delle moltiplicazioni delle possibilità, ma
soprattutto la scelta di uno dei vari collegamenti elettronici sembrerebbe a
completa discrezione dell’utente che può beneficiare così di una libera
scelta personale. Tuttavia dal momento in cui ci troviamo in un mondo, il
web, molto vasto, ma certamente ben delineato, in cui abbiamo la necessità
di orientarci, non è detto che i dispositivi all’interno della rete ci
permettano di trovare il migliore dei siti possibili secondo le nostre
18Roberto Diodato, Estetica del virtuale, cit., p.191-192-194.27
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esigenze. C’è da ricordare come ognuno di noi acceda al web secondo
pratiche comuni, per esempio attraverso l’uso di motori di ricerca come
Google, il più utilizzato nel mondo, o ricorra a Wikipedia e Youtube per
reperire informazioni di ogni tipo, foto, video. Lo spettro è quello di una
radicalizzazione ulteriore del nascondimento del controllo. Parliamo di una
mise en abîme di queste dinamiche, il cui fine è sempre stato quello di
celarsi sempre di più ai nostri occhi mantenendo allo stesso tempo
l’illusione di libertà che i nuovi dispositivi hanno offerto di volta in volta. Il
potere viene esercitato in maniera sempre più indiretta, immerso nella
tendenza perversa di illudere oltre che di manipolare. Ma non abbiamo bisogno di tutto questo delirio paranoico se verifichiamo quanto il nuovo
mezzo stia accrescendo in realtà le potenzialità dello “spazio del sapere”,
ovvero il nuovo spazio antropologico teorizzato da Lévy, in cui troviamo
realmente un arricchimento personale nell’immediata reperibilità di fonti e
dati inesauribili, qui stiamo parlando di una finestra sul mondo, un
diamante unico nell’ottica di un rinnovamento dell’educazione, del lavoro,delle agevolazioni negli spostamenti tramite trasporti, dell’elusione dai
meccanismi intrusivi della macchina statale: dai ricorsi contro le
contravvenzioni, alle associazioni no profit, dalla controinformazione ai
trucchi per agevolare le scappatoie burocratiche. Inoltre a sostegno di
un’idea ottimistica di sovvertimento delle disposizioni imposte da internet
annoveriamo l’impresa del fisico di Pisa, Federico Calzolari, esperto di gridcomputing (calcolo distribuito), il quale ha dimostrato la fallibilità del
meccanismo di ricerca di Google, arrivando in testa alla top ten delle parole
più cliccate nel novembre 2007.19 In quel mese infatti nel ranking di
Google si è classificato al primo posto “Federico Calzolari” (e il suo sito)
battendo “Natale” per il numero di ricerche registrate fatte dagli utenti
italiani. Lo studioso ha così dimostrato la fattibilità di una manipolazione
degli algoritmi che regolano il “page ranking” di Google ingannando il
motore di ricerca grazie ad un raffinato gioco di calcoli matematici
introdotti nella macchina che generava la ricerca ricorsiva del sito. Un
motivo in più per galvanizzare l’iniezione di fiducia positiva promossa da
questo lavoro. Del resto con internet il tempo si è fermato, viviamo nel
regno della simultaneità, nell’essenza della comunicazione, ma è
fondamentale non lasciarsi narcotizzare da questa ennesima trovata per
annichilirci, siamo posti ormai di fronte all’esigenza irrimandabile della
salvaguardia della corporeità in tutti i suoi aspetti di manualità artistica, di
contatto umano (fisico), e in generale di tutti i legami naturali: rimaniamoquindi in allerta per frenare l’intrusività di questo spazio antropologico,
dotato di nuove proprietà ontologiche così invasive grazie al fascino
discreto che esercitano sulle nostre menti. Ma lo ripetiamo ciò non elimina
la necessità di capire in quali termini tutto questo universo possa aiutarci,
dato che ormai c’è e non risulta depennabile di punto in bianco. Un tale
spazio virtuale che può essere esemplificato dalle reti telematiche, è per Pierre Lévy lo spazio della cybercultura, «lo spazio aperto
dall’interconnessione mondiale dei computer e delle memorie
informatiche»20, ed è grazie all’estensione di queste reti che i teorici hanno
potuto formulare il concetto di comunità virtuale ed una relativa
“ingegneria” del legame sociale connessa all’idea di questo centro
relazionale per eccellenza, quale è stato eletto il cyberspazio.
Oltre a un’indispensabile strumentazione tecnica, il progetto dello spazio del
sapere spinge a reinventare il legame sociale in funzione dell’insegnamento
reciproco, della sinergia delle competenze, dell’immaginazione e
continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una
mobilitazione effettiva delle competenze[…]In questa prospettiva, il20 Pierre Lévy, Cybercultura, gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano 1999, p. 91.
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cyberspazio diventerebbe lo spazio mutevole delle interazioni tra le diverse
competenze dei collettivi intelligenti deterritorializzati.21
Ci ritroviamo come lastricati in una strada di mattoni d’oro in cui il valorecalpestabile è misurabile con l’umano, niente è più prezioso di esso. Ecco
perché Lévy esige che si realizzi quest’economia dell’umano partendo
proprio dallo spunto dell’evoluzione delle tecniche contemporanee e in
particolare delle tecniche di comunicazione, suggerendo approcci che
qualche decina di anni fa erano ancora inconcepibili.
All’opposto delle tecnologie “molari”, che considerano i loro oggetti in
blocco, alla cieca, in modo entropico e sommario, le tecnologie “molecolari”
si accostano in maniera molto fine agli oggetti e ai processi che controllano.
Evitano la massificazione. Ultrarapide, precisissime, agiscono sui propri
oggetti a livello di microstrutture, dalla fusione a freddo alla
superconduttività, dalle nanotecnologie all’ingegneria genetica, le tecniche
molecolari riducono al minimo gli sprechi e gli scarti.[…]L’informatica è una
tecnica molecolare perché non si accontenta di riprodurre e diffondere i
messaggi (cosa che comunque fa meglio dei media classici), essa permette
soprattutto di generarli, di modificarli a piacimento, di conferire loro capacità
di reazione molto raffinate grazie a un controllo totale della loro
microstruttura.22
Una concezione di questo tipo vuole privilegiare la sfera dell’umano in
tutto e per tutto dato che un gruppo molecolare non ha bisogno di una
mediazione trascendente, e mira alla sollecitazione dell’espressione attiva
dei singoli, ma anche alla valorizzazione della diversità, del contatto con
l’altro da sé. È evidente che l’autore utilizzi la parola “molare” riferendola
ad un approccio globale ai fenomeni, a un atteggiamento che considera i
suoi oggetti esclusivamente in rapporto alla massa che li compone senza
21Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva, per un’antropologia del cyberspazio, cit., p. 31-34-35.22 Ivi, p.56-62.
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dar conto alle variazioni minime e alle evoluzioni specifiche delle singole
parti. Lévy inoltre non nasconde come l’amministrazione ricorra ai sistemi
informatici per gestire e perfezionare la macchina burocratica e si scosti
continuamente dal tentativo di approcciare nuove forme di organizzazione
che però inesorabilmente spifferano le potenzialità del nuovo mezzo dal
pertugio microscopico di una finestra sbarrata. Ma la vera scommessa
sembra quella di dare ai collettivi intelligenti la capacità di esprimere la
propria opinione plurale attraverso una sorta di democrazia diretta, senza il
filtro dei rappresentanti politici. Un’agorà virtuale in cui prevarrebbero i
fautori di idee e soluzioni sempre meno offensive o negligenti nei confrontidegli altri, per una vittoria dei più cooperativi e non degli arrivisti sociali.
Ormai il rappresentante politico è talmente inutile, ma essenziale alla
macchina statale, da incarnare una funzione sempre più evidente, quella di
farsi specchietto per le allodole, fantoccio da bastonare nell’espiazione
fasulla dei malesseri sociali, dei suoi antagonismi. Si tratta di riti
apotropaici che non risolvono i problemi di disintegrazione sociale, mariconducono sempre e comunque l’uomo a raccontarsi la favola del mitico
consumatore, parola che splende davvero di una luce abbagliante, presa a
mò di totem nella ricerca della realizzazione di una classica esistenza
felice. E così l’ideologia si nutre continuamente dell’irrisolto producendo
in maniera forsennata quest’epidemia dell’immaginario, cui soggiacciamo
inscatolati, rosicchiandoci, e intanto il mondo grida, là fuori.
Ora la democrazia in tempo reale concretizza non l’occhio del potere sulla
società, sulle persone (totalitarismo), non lo spettacolo del potere (regime dei
media), ma la comunicazione della comunità con se stessa, la conoscenza di
sé da parte del collettivo.[…]Ogni definizione trascendente del sapere esclude
forzatamente coloro che rifiutano di sottomettervisi o coloro la cui forma di
intelligenza non vi corrisponde.[…]Nello spazio emanato dall’intelligenzacollettiva, io incontro così l’altro essere umano, non più come un corpo di
31
5/12/2018 L'interazione del soggetto con il Cyberspazio - L'asse L vy, Zizek, Lacan (2008) ...
l’ Intersoggettivit à cioè la perpetua ricerca di una risposta alla domanda:
cosa sono per gli altri? Concretamente stiamo parlando della sfera del
giudizio, così importante per gli essere umani. Tutti abbiamo bisogno di
sentirci parte di qualcosa, cercando di ottenere un’accettazione formale
all’interno di una società, di un gruppo. Žižek si appropria di questa
semplice idea inserendo l’intersoggettività nelle caratteristiche strutturali
dell’Immaginario, una pratica determinante per l’equilibrio dell’identità del
soggetto.
Nell’ultimo Lacan l’attenzione si sposta sull’oggetto che il soggetto stesso“è”, sull’agalma, sul tesoro segreto, che garantisce il minimo di consistenza
fantasmatica all’essere del soggetto. Questo significa che: l’objet petit a, in
quanto oggetto dell’Immaginario, è “qualcosa in me più di me stesso”, per
mezzo del quale io percepisco me stesso come degno del desiderio
dell’Altro”;[…]il desiderio “realizzato” messo in scena nell’immaginario non
è proprietà del soggetto, ma desiderio dell’Altro.[…]La domanda originaria
del desiderio non è direttamente “che cosa voglio?”, ma “che cosa gli altrivogliono da me? Cosa vedono in me?”26
Questo Altro che dà corpo ad un eccesso di jouissance (godimento) è il
tipico oggetto della psicoanalisi. Il desiderio dell’Altro funge da mediatore
tra il soggetto barrato ($) e l’oggetto perduto che il soggetto è (objet petit
a). L’oggetto perduto è il senso di mancanza strutturale dell’individuo che
si traduce in una spinta verso la jouissance dell’Altro, procedimento che
ripropone il bisogno dell’Altro nell’identificazione soggettiva dei vari
“oggetti perduti” in cui ci rispecchiamo immediatamente dopo aver
ottenuto di volta in volta un raggiungimento di momentanea stabilità
emotiva: è lo slancio vitale che ci pervade di un senso di ricerca
incessante, come un nirvana dei desideri, in un circuito in cui si nota una
coincidenza di acquisizione e perdita. Dobbiamo quindi inquadrare subito
26 Ivi, pag. 21.
37
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il concetto di desiderio nella circolarità con cui esso si ripresenta, mano a
mano che compiamo le nostre scelte di identificazione simbolica.
In seguito, sull’onda della lezione post-strutturalista, Žižek stende un altro
velo: l’Immaginario è una “forza primordiale di racconto” che risolve gli
antagonismi intrinseci risistemandone i termini in una successione
temporale; parliamo dell’Occlusione narrativa dell’antagonismo. Tutte le
narrazioni (e le relazioni) tentano alla fine di risolvere in qualche modo un
conflitto, per esempio quello tra l’eroe e il suo antagonista, ricollocando le
loro identità-funzioni in maniera differente nell’evoluzione temporale. Ed è
automatico concepire l’antagonismo come il movente, cioè il vero “uncino”che rende la storia avvincente, che la fa sussistere. Ci sembra chiaro adesso
il motivo per cui l’ideologia utilizzi il proprio antagonismo intrinseco come
significante-padrone (Master) imponendo alla gente comune una fede
cieca: pare che il potere comprenda i mezzi per manipolarci usando la
matrice strutturale dell’archetipo collettivo, offrendoci sotto una veste
simbolica gli zuccherini narrativi che siamo soliti gustare nei prodottitestuali. Inoltre è incredibile come le rotture storiche, i capovolgimenti
rivoluzionari, sospinti dalla pretesa ideologico-politica di utilizzare-
nascondere gli antagonismi interni, generino un cambiamento nella stessa
griglia che ci permette di misurare le varie perdite e acquisizioni, cioè
operino lo slittamento della struttura dell’objet petit a, riconfigurandola
nella focalizzazione di nuovi oggetti del desiderio e di nuovi supplementiosceni ideologici (gli antagonismi stessi).
Il problema nella definizione di “totalitarismo” come eclissi della legge
simbolica neutrale, così che l’intero dominio della legge è “macchiato” dal
Super-io osceno, è: come possiamo concepire l’epoca precedente – cioè
dov’era l’oscenità del Super-io prima della venuta del “totalitarismo”?[…]la
legge è stata “sporcata”, stigmatizzata, dal godimento nel preciso istante incui è emersa come legge formale universale-neutrale. Il vero emergere di una
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determina ossessivamente le nostre azioni e i rapporti intersoggettivi .
Questo punto serve a Žižek per inserire all’interno dell’Immaginario la
dimensione psicanalitica, e nel definire il momento castrante come nodo
necessario all’universo fantasmatico per immedesimarsi nella mediazione
delle categorie simboliche culturali. Dopo ciò segue Lo sguardo
impossibile, sempre implicato dal racconto fantasmatico, si tratta di uno dei
veli meno esplicativi che si risolve nella presenza di un punto di vista
neutro che osserva la situazione-narrazione di ogni costrutto ideologico, il
terzo sguardo impersonale e mai collocabile, al massimo identificabile con
l’obiettivo della cinepresa. Esso fa pensare tutto l’universodell’Immaginario come se fosse generato per uno spettatore invisibile che
mostra d’altronde i segni della sua presenza aldilà dello schermo: cioè si
tratta di uno dei modi per descrivere lo sguardo dell’Altro. Ma il concetto
successivo, quello relativo al sesto velo rivela un pensiero molto più
interessante:
Per poter essere operativo, l’Immaginario deve rimanere “implicito”, deve
mantenere una certa distanza nei confronti della struttura simbolica esplicita
che sorregge, e deve funzionare come la sua trasgressione intrinseca.
[…]Proviamo a illustrare il divario tra struttura esplicita e il suo supporto
fantasmatico con un esempio tratto dal cinema. Contrariamente alla sua
apparenza fuorviante, MASH di Robert Altman è un film perfettamente
conformista,[…]il cliché che presenta MASH come film antimilitarista, chedenuncia gli orrori della carneficina senza senso della guerra, che può essere
sopportata soltanto attraverso una salutare dose di cinismo, di scherzi volgari,
di prese in giro dei pomposi rituali ufficiali e così via, non coglie l’essenziale
– proprio questa distanza è ideologia.28
Capiamo in questo passo fino a che punto Žižek veda con pessimismo il
potere delle immagini, e come l’Immaginario stesso si avvicini
28Ivi, p. 36.40
5/12/2018 L'interazione del soggetto con il Cyberspazio - L'asse L vy, Zizek, Lacan (2008) ...
potrebbe salvarsi…Qui siamo di fronte allo scambio simbolico nella sua
essenza: un gesto fatto per essere rifiutato,[…]il risultato complessivo
dell’operazione non è zero ma un guadagno distinto per entrambe le parti, il
patto di solidarietà.30
Se per caso decidessi di accettare l’offerta del mio amico, la soluzione
diverrebbe catastrofica, il legame di amicizia si dissolverebbe, cioè la
convenzione sociale che ci vede legati da un simile rapporto di
condivisione cadrebbe distrutta da un adesione libera a un possibilità di
scelta in realtà apparente: c’è della formalità persino nel contatto umano
più confidenziale. Questo esempio ci illustra come il supporto fantasmatico
dell’ordine simbolico pubblico sia pervaso da una moltitudine di regole non
scritte che testimoniano della vulnerabilità del sistema. Žižek ci fa notare
quanto queste regole siano potenzialmente trasgressive, mostrando la
possibilità di violare le norme sociali esplicite e simultaneamente
coercitive, proibendo concretamente le possibilità che vengono permesse
apparentemente dal gesto vuoto. L’immaginario quindi chiude lo spazio
concreto delle scelte e mantiene la falsa apertura colmando il vuoto fra la
cornice simbolica e la realtà.
La lezione da trarne è che – almeno talvolta – la cosa davvero sovversiva non
è trasgredire la lettera esplicita della legge, in base alle fantasie soggiacenti,
ma aderire a questa lettera contro le fantasie che la sostengono. In altre parolel’atto di prendere alla lettera il gesto vuoto (l’offerta che deve essere rifiutata)
– ossia di trattare la scelta forzata come una scelta libera – è forse uno dei
modi di mettere in pratica ciò che Lacan definisce “attraversamento della
fantasia”.31
Questo “attraversamento della fantasia” è interpretato da Žižek come una
sorta di rassegnazione alla chiusura radicale della struttura del desiderio30 Ivi, p.49-50.
31 Ivi, p.51.
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sé in maniera distaccata, attraverso una conoscenza desoggettivata e priva
di codifiche simboliche: uno sguardo diretto sull’insostenibile Reale. Ora
chiariamo che la scienza può essere considerata come un nucleo di ricerca
tendente ad una conoscenza acefala, cioè mancante di una soggettivazione.
Infatti la scienza dell’estremo persegue i propri fini incurante dell’esigenza
etica (pensiamo alla manipolazione genetica) e mira alla cieca
soddisfazione pulsionale della conoscenza stessa.
Ciò che Lacan ci costringe ad aggiungere è che, forse la scienza è “reale”
anche in un altro senso assai più radicale: si tratta del primo (e probabilmentedell’unico) caso di un discorso che è stricto senso non-storico, persino nel
senso più radicalmente heideggeriano di storicità delle epoche dell’Essere –
cioè il cui funzionamento è intrinsecamente indifferente riguardo a gli
orizzonti di apertura dell’Essere storicamente determinati. Proprio in quanto
la scienza “non pensa” essa sa, ignorando la dimensione della verità, ed è,
come tale pulsione allo stato puro…[…]Non vi è in essa una dimensione
“liberatoria” già percepibile? Non è forse la sospensione della Verità
ontologica nel funzionamento senza intoppi della scienza già una sorta di
“attraversamento” della chiusura metafisica? Entro la psicoanalisi questa
conoscenza della pulsione, che non può mai essere soggettivata, assume la
forma della conoscenza della “fantasia fondamentale” del soggetto, la
formula specifica che regola il suo accesso alla jouissance.34
Il senso più profondo del progresso tecnologico viene qui accostato ad una
fase della cura psicanalitica, come se entrambi mirino alla sospensione del
limite metafisico, cioè all’evasione dall’intrappolamento inconsapevole
nella struttura del desiderio dell’Altro (Altro che è Dio, lo Stato, vostra
madre, il sesso sado-masochistico, il mare etc.), con la deliberata
accettazione e metabolizzazione di essa, tramite l’attraversamento
dell’universo fantasmatico soggiacente. Non è un caso che il cinema e lo
schermo virtuale del cyberspazio, grazie alle proprietà descritte nella prima34Slavoj Žižek, L’epidemia dell’immaginario, cit., p.65-66.
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parte di questo scritto, pongano in maniera così lampante le soglie del
mondo pulsionale manifestando la più profonda materia emotiva e
relazionale dell’essere umano. Sono entrambi frutto di invenzioni
scientifiche che riproducono in varie forme l’anima dell’apporto
tecnologico. Ovviamente stiamo parlando di quella serie di prodotti
cinematografici che si possono autorevolmente considerare come opere
valide per esaurire i misteriosi scenari fantasmatici che mediano la nostra
realtà quotidiana; dobbiamo escludere tutti quei film che risultano intrisi di
ideologia o godono di un eccessivo tenore commerciale. Difficilmente
saranno questi a risucchiarci nel buio risanatore della sala cinematografica.Del resto credo fermamente che il cinema metta a disposizione una
possibilità unica, quella di accedere alla libertà di coerenza con noi stessi,
all’accettazione dei limiti che ci tartassano, allo svelamento sincero di tutto
l’irrisolto, nel porci ad esempio di fronte alle conseguenze dell’amore, così
tanto ricercato e magari rimasto inappagato fino a quel momento. È una
finestra di dialogo con la nostra interiorità fintanto che produca l’illusionedi una realtà parallela e una storia, cioè una linea narrativa seducente da
poter comparare con quella della propria vita. La tecnologia ci mette a
disposizione, da più di un secolo, un mezzo di conoscenza che agisce per
molti versi in chiave terapeutica, nella misura in cui lo sguardo gettato
nello schermo produca identificazioni forti, esperienze simulate che
appaghino qualche lacuna libidinale dello spettatore, e infine funzionacome una delle forme fondamentali di collante sociale, in linea con la
tradizione dello spettacolo antico che esplicitava questa funzione
all’interno della pratica rituale. Questo per dire che il cinema permette
un’immersione che priva lo spettatore della propria vergogna poiché
implica spesso una conoscenza distaccata di se stessi. Infatti identificarsi
non significa letteralmente abbracciare un determinato punto di vista, ma
vuol dire soprattutto ubiquità, cioè la percezione di essere in carne ed ossa
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fare, aggiungendo magari qualche fonte di luce da puntare sull’oggetto
analizzato. Per certi versi, Žižek guarda con sospetto la possibilità di un
annullamento totale della struttura simbolica che media l’universo
fantasmatico e lo esprime in maniera esplicita all’interno del capitolo il
cyberspazio o l’insostenibile chiusura dell’essere. Vedremo cosa vuol dire,
ma ciò che rileva in un altro momento, all’interno della prefazione del suo
libro è una costatazione molto interessante che anticipa il nucleo della
ricerca:
Ciò che la droga permette non è forse una jouissance puramente artistica, una jouissance accessibile senza passare attraverso l’Altro (l’ordine simbolico) –
una jouissance generata non da rappresentazioni fantasmatiche, ma da un
assalto diretto ai nostri centri-di-piacere neuronali? Proprio in questo senso la
droga implica la sospensione della castrazione simbolica, il cui significato più
elementare sarebbe proprio quello che la jouissance è accessibile solo
attraverso il medium di (come mediata da) una rappresentazione simbolica.
Questo Reale brutale della jouissance è l’inverso dell’infinita plasticitàdell’immaginazione, non più costretta dalle regole della realtà.
Significativamente, l’esperienza della droga racchiude entrambi questi
estremi: da una parte, il Reale della jouissance noumenica (non
schematizzata) che oltrepassa le rappresentazioni; dall’altra la selvaggia
proliferazione di fantasmi. 36
E abbiamo già visto come ci sia una connessione tra l’utilizzo delletecnologie e le droghe, entrambi generanti dipendenze più o meno forti a
seconda della frequenza con cui se ne viene a contatto. Non solo, notiamo
come un’esperienza di alterazione dello stato di coscienza sia accomunabile
all’immersione totale in un ambiente virtuale che tende ad una simulazione
tendenziale della realtà, così come vengono a contatto con essa la
dimensione onirica e in qualche modo il concetto di rappresentazione
36 Ivi, p. 1051
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Ne deduciamo che lo stadio dello specchio esprime un meccanismo di
costruzione in cui l’Io non si costituisce come soggetto, ma come oggetto
composto dall’unione delle varie identificazioni e tutto il processo viene
veicolato dallo sguardo. Inoltre Lacan individua qui l’incipit della storia
dell’Io secondo quel registro chiamato Immaginario che regola la relazione
intersoggettiva (originariamente quella madre-figlio), la quale si basa sulla
struttura del desiderio dell’Altro; in pratica è la chiave d’accesso al mondo
simbolico che ci permette di sostenere il peso del Reale. Ma l’eccessiva
fissazione di cui parlavamo prima non è forse una sorta di incremento di
questo processo? O magari addirittura un’ “attraversamento” di esso?Abbiamo fatto accenno al concetto di narcisismo, vediamo come potrebbe
entrare nel merito di questo discorso. Il mito raccontato da Ovidio nelle
Metamorfosi ci parla di Narciso, fanciullo che usava porsi in maniera
scontrosa nei confronti di coloro che bramavano i piaceri del suo bellissimo
corpo, egli infatti rifiutò ogni spasimante, essendo troppo innamorato di sé
per potersi cedere a qualcun altro. Sua madre, la ninfa Liriope, alla nascitadel figlio, si recò da Tiresia per ottenere una predizione sull’avvenire e il
veggente le comunicò che Narciso sarebbe vissuto fintanto che avesse
evitato di conoscere la propria immagine. Per quanto la madre mise in
guardia Narciso, il fatto avvenne un giorno in cui il ragazzo si trovava nei
pressi di una fonte e, specchiandosi in essa, si innamorò talmente del
fanciullo che vide, da tentare di abbracciarlo, finendo inesorabilmente per affogare. Si tratta di un caso eccessivo di dipendenza dalla propria
immagine (Narciso viene da Narkè, da cui narcosi), di un innamoramento
di sé talmente forte da generare l’esperienza di una scissione nell’identità
speculativa, attraverso la creazione di un doppio. E’ uno dei modi per
raccontare lo stadio dello specchio, ma nel senso del rifiuto di esso, poiché
Narciso, escludendo gli altri dalla propria esperienza, manca l’accesso alla
struttura formale simbolica, alla relazione intersoggettiva. Quindi il mito,
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attraverso la fine tragica che propone ci comunica che non dovremmo
imitare Narciso, se vogliamo partecipare al gioco completamente, ed
includere gli altri nella nostra vita: la società, la religione, il lavoro,
l’amore. Ma come poniamo questo mito nei confronti del cyberspazio? I
mondi virtuali rappresentano la radicalizzazione del rifiuto narcisistico?
Credo di no, piuttosto andando per gradi, possiamo farlo aderire all’ottica
della percezione di sé come doppio, nel rapporto con l’avatar, il vero e
proprio alter ego virtuale. E possiamo anche aggiungere che l’esperienza
dell’avatar, come doppio virtuale, viene avvertita come se fosse quella di
un essere integrato, infatti tra le sue proprietà ricordiamo quella di essereun corpo-immagine, rispecchiante cioè una fusione ideale, la quale viene a
mancare proprio durante lo stadio dello specchio che sancisce l’integrità
del soggetto tramite la fondazione di una delicata dicotomia tra Io-soggetto
e immagine di sé. Il dramma di Narciso è il dramma dell’ “uno”, dell’
“uno” del corpo, corpo unificato per diventare l’oggetto del desiderio
dell’Altro. Egli non può “separarsi” da sé stesso e quindi neanchedall’Altro. Invece il bambino è separato dalla sua immagine allo specchio:
l’Io-soggetto non fa parte dell’immagine riflessa, resta al di fuori dello
specchio, quindi non fa “uno” con la sua immagine: egli può incontrare
l’altro. Invece Narciso è prigioniero della sua immagine e non può
conoscere che un amore narcisistico: soggetto e immagine corrispondono
perfettamente, l’altro è ancora lui stesso. Se il mito di Narciso indica ilconsiglio di non rinchiudersi eccessivamente nel proprio mondo interiore,
professando l’abbattimento di un certo egotismo, a favore della
considerazione dell’Altro e del suo desiderio, il mondo del cyberspazio
sembra riprodurre lo stesso tipo di schema formale, escludendo però il
precetto morale che inebria il racconto. Infatti finora i computer ci
insegnano l’introspezione più assoluta, rinchiudendoci nelle nostre stanze
di fronte agli schermi, o perlomeno promuovono l’illusione di una
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comunicazione diretta, veloce, multipla in cui tante menti de-corporeizzate
vengono a contatto in un’esperienza di simulazione tendenziale della realtà.
In questo senso credo ci sia una differenza sostanziale sul significato
espresso a livello di struttura simbolica. Ovvero sarebbe interessante capire
in che modo il cyberspazio si pone nei confronti della struttura formale
simbolica che regola l’accesso alla norma del desiderio dell’Altro: esso la
rifiuta o continua ad includerla? Innanzitutto, Žižek pensa che questa
esperienza si basi su tre linee di separazione tra la vita reale e la sua
simulazione meccanica:
a) La biotecnologia mina la differenza tra realtà di vita “naturale” e realtà generata
“artificialmente”: già con la tecnologia genetica di oggi, la natura vivente si pone
come qualcosa di manipolabile tecnicamente; cioè di principio la natura in quanto tale
coincide con un prodotto tecnico.[…]
b) In quanto l’apparato della Realtà Virtuale (VR) è potenzialmente in grado di generare
l’esperienza della “vera” realtà, la VR mina la differenza tra “vera” realtà e
apparenza.[…]c) La tecnologia dei Domini Multi Utente (MUD) nel cyberspazio minano l’idea di Sé, o
l’auto-identificazione del soggetto percipiente.[…]La morale è che si dovrebbe
appoggiare questa “dispersione” del Sé singolare in una moltitudine di agenti
concorrenti, in una “mente collettiva”, una pluralità di immagini-di-sé priva di un
centro globale coordinatore, e disconnetterlo dal trauma patologico: giocare nello
Spazio Virtuale mi permette di scoprire nuovi aspetti di “me”, una ricchezza di
mutevoli identità, di maschere senza dietro una persona “reale”, e così di esperire ilmeccanismo ideologico della produzione del Sé, la violenza e l’arbitrarietà intrinseche
di questa produzione/costruzione.41
Abbiamo già delineato grazie all’apporto di Pierre Lévy, l’importanza
teorica dell’impiego di tecnologie “molecolari” (biotecnologie, ingegneria
genetica, informatica) che operano un controllo attivo a livello di
microstrutture, di contro alle usurate tecnologie “molari” che considerano
41 Ivi, p.190-191.
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distruttive e apocalittiche. Invece ripongo fiducia nella ricerca e nello
studio, cioè nella visione costruttiva che Žižek ha di questo nuovo mezzo
comunicativo, opinione che esprime in maniera lampante in diversi passi
del suo testo. A sostegno di questa ipotesi aggiungo che è proprio Lacan,
nell’affermare che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, a
permettere al filosofo sloveno di operare le proprie anamorfosi sui prodotti
culturali e di effettuare parallelismi con la psiche dell’uomo che ne
usufruisce. A mio parere il Significante-Padrone, che regola i modi di
intrusione dell’Altro nelle coscienze individuali, può essere facilmente
percepito come “cristallizzato” nello schermo-specchio, un Grande Altroche radicalizza ulteriormente le strutture formali simboliche, una presenza
che si sente, ma estremamente finzionalizzata dal mezzo, grazie a questo
scarto l’illusione che crea la sospensione dell’incredulità si adagia a
strumento analizzabile ed emendabile. In questo senso possiamo creare una
dimensione meno ossessiva della questione, nel vedere questo nuovo
universo come una “virtualità” in senso stretto, cioè una “possibilità” plausibile di esternare il nostro lato represso, una sorta di transfert salvifico
che ci lasci esternare le difficoltà della vita reale nella RV elaborando nel
modo più funzionale le componenti delle nostra identificazione soggettiva.
Ritornare indenni alla vita normale potrebbe scagionare il cyberspazio da
quel senso di eccessiva pienezza, il vero pericolo della vicinanza dell’Altro
in agguato col suo modo di jouissance troppo intrusivo, claustrofobico.Forse l’Altro è veramente e soltanto oggetto di rappresentazione nello
schermo, il che ci porta a desublimarlo, portando sulla terra l’Idea la quale,
ormai immanente al mondo sensibile, riduce quella distanza concettuale
che rende difficoltose le ricostruzioni, le elaborazioni e le scelte del
soggetto. Secondo la concezione più costrittiva di Žižek, la consapevolezza
che l’Altro non esista imporrebbe al soggetto una schiavitù ancor più
radicale, ma scongiuriamo del tutto questo vicolo cieco eleggendo il nostro
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Slavoj Žižek chiude così il capitolo Il cyberspazio, o l’insostenibile
chiusura dell’essere lasciando aperto uno spiraglio che impone un ulteriore
analisi, nell’ottica di uno sforzo di ricerca che andrebbe alimentato per far
chiarezza sui significati contenuti da questo argomento così inafferrabile. Il
motivo della sua imperscrutabilità risiede nel fatto che è difficile
comprendere un ambito dal quale siamo tuttora narcotizzati e per cui siamo
costretti a sperare in un riaffioramento completo, per sondarne l’aspetto
una volta in superficie, sulla scorta di una lucida cognizione di causa.
CAPITOLO V°
I fantasmi del cinema
Sembra ormai chiaro come il fine ultimo di questo lavoro sia stato quello di
rispondere ad un esigenza ben precisa, quella di reagire ad uno stimolo, lo
zampillo che ha permesso lo sviluppo della tensione creativa, è stato, nel
mio caso, un banco di analisi ancora fresco e in pieno sviluppo, perciò unariflessione di questo tipo potrebbe esservi sembrata prolissa in alcuni punti
e abbastanza lacunosa in altri. I tentacoli di uno scrittore alle prime armi
sono desiderosi di ogni cosa e tendono ad abbracciare elementi che vanno a
comporre mano a mano un insieme sempre più grande, spinto ai limiti
percepibili da un orientamento dei più acuti, perciò spero di non essere
biasimato per aver tentato di tracciare un percorso così vasto, seppur
incorniciato in un ambito concettuale ben delineato e preciso. Concludo
esaminando alcuni film che credo possano entrare nel merito, e magari
gettare degli spunti anche in relazione al dialogo tra i media su cui il mio
ambito di studi si propone di far luce, dato che oggi proprio i mezzi di
comunicazione del passato si trovano praticamente tutti nell’ immane
Cariddi dello schermo informatico. Nella raccolta di saggi Dello sguardo e
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pulsione, si ritrova la stessa funzione dell’oggetto a reperibile in tutte le altre
dimensioni.[…]In modo generale, il rapporto dello sguardo con ciò che si
vuole vedere è un rapporto di inganno. Il soggetto si presenta come altro da
ciò che è, e quello che gli si dà da vedere non è ciò che vuole vedere. Per
questo l’occhio può funzionare come oggetto a, vale a dire a livello della
mancanza (-φ). 50
Tornando ad Hitchcock, i “sinthomi” o leitmotiv dei suoi film condensano
un certo investimento libidico dal momento che lo sguardo sta dalla parte
dell’oggetto che rappresenta il punto cieco nel campo del visibile; grazie a
questa dinamica, è l’immagine stessa a fotografare lo spettatore, a porlo difronte all’insondabile abisso della propria impossibilità. Si tratta di oggetti
chiave come la vertigine, la scala, gli stessi uccelli, che rappresentano la
materializzazione della “schiavitù” simbolica umana, l’apparizione del
desiderio dell’Altro. sotto questa luce che i sinthomi hitchcockianiЀ
appaiono ripetutamente dando corpo ad un matrice di jouissance smodata.
Il punto è che l’impossibilità di determinati sguardi, sorge soprattutto dalmomento in cui ad irradiarli sono oggetti veri e propri, materia inorganica
che pulsa una vibrante energia, nel ripercuotersi violentemente scuotendo
la pelle dei personaggi, e degli spettatori in sala.
Ci troviamo qui di fronte all’antinomia tra occhio e sguardo presa allo stato
puro: l’occhio del personaggio – il soggetto – vede la casa, ma la casa –
l’oggetto - sembra poter ritornare lo sguardo,[…]questo sguardo, in effetti è
mancante, il suo status è puramente fantasmatico.51
Il discorso vale per Mulholland Drive (Lynch D.,Usa,2001), in cui le due
protagoniste, immerse nella ricerca dell’identità della bruna, si ritrovano di
fronte ad una casa, dove reputano ci possano essere degli indizi importanti.
Lynch gioca qui con un campo-controcampo nel mostrare prima le due50 Jacques Lacan, Il seminario, Libro XI, I quattro concetti della psicoanalisi 1964,cit., p 104-105-106.
51 Slavoj Žižek., Dello sguardo e altri oggetti, Saggi su cinema e psicanalisi,cit., p.34.
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fragranza ad un antropocentrismo, minato da rivoluzioni copernicane,
darwinismo e via dicendo. In questo vi è un recupero formale della
centralità auto-esibita dell’essere umano. Ma soprattutto, se pensiamo al
narcisismo tout court, la riflessione ci traghetta verso una rivisitazione del
mito antico. L’Altro emendabile del cyberspazio, che abbiamo cercato di
delineare nel capitolo precedente, si mostra qui come un accenno, un
sospiro, se il mito di Narciso riproduce in un certo senso la struttura
formale del cyberspazio, nella ricerca di un’introspezione che includa sì
l’altro, ma in forma miniaturizzata, cristallizzata, e correggibile
“digitalmente”, abbiamo compreso come la finestra virtuale abbia lacapacità di manipolare le matrici delle dinamiche psicologiche. Ma il
cinema cosa ci insegna, in quanto doppio? Che la realtà carpita entro la
cornice è strutturata secondo delle regole meccaniche (il cinematografo), e
semiotiche (i cinemi pasoliniani) ben acquisite dallo spettatore. come seЀ
l’immagine perfetta di sé, da cui ci lasciamo catturare quando siamo in
balia di un film, richiami un necessario potenziamento del mito. Cosasarebbe successo se Narciso fosse stato fin da subito al corrente della
profezia di Tiresia, cioè conoscesse già le regole che strutturavano la sua
realtà? Ciò gli avrebbe permesso di affacciarsi ogniqualvolta avesse voluto
alle sponde dello specchio lacustre che altrimenti avrebbe sancito la fatale
unità col suo io-ideale. Il cinema ci propone così un assaggio del rifiuto
della struttura del desiderio dell’Altro, con la sicurezza di non affogare inquesto abisso, proprio a causa della nostra piena consapevolezza di cosa c’è
dentro e dietro lo schermo, ma principalmente ci offre una chiave di lettura
di questo schema sotteso, proponendo la possibilità di giocare con la
pulsione scopica e trasgredire, incarnare, volare, auto-analizzarsi. Mi
ricorda la parola di conforto di mia madre quando da piccolo osservavo
delle scene crude: “Non avere paura, è tutto un gioco, tutto finto!”. Con il
conseguente messaggio implicito: “Goditi questa finestra sulle tue fantasie,
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ora non potrai subirla a tal punto da perderti nel suo abisso di orrore!”. Una
dimensione così profonda ed elaborata dello sguardo, che si sviluppa a
pieno nell’ambito della pulsione acefala, è presente in tutti quei film
d’autore che evidenziano scene bizzarre, conturbanti in strutture narrative
insolite attraverso trovate totalmente innovative che mirano a produrre
nuovi modi per trasferire e comunicare il senso, imponendo d’altronde una
riflessione individuale ed escludendo cioè il vacuo nonsense presente in
tante altre opere. Infatti il dato più rilevante, che certo cinema regala al
mondo, è dichiarato apertamente da Žižek in queste righe:
Questa caratteristica ci permette di inserire Hitchcock in una schiera di artisti
la cui opera ha anticipato l’universo digitale odierno, gli storici dell’arte
hanno spesso notato il fenomeno per il quale delle forme artistiche ormai
vecchie cominciano a forzare i propri limiti usando procedure che, almeno dal
nostro punto di vista retroattivo, sembrano puntare verso una nuova
tecnologia; soltanto quest’ultima sarà capace di servire da “correlato
oggettivo” più “naturale” e appropriato alle esperienze di vita che le vecchieforme artistiche tentano di rendere attraverso le loro sperimentazioni. Un
intero insieme di procedure narrative usate nei romanzi del diciannovesimo
secolo non solo preannuncia così gli stili narrativi standard del cinema (si
pensi all’uso complesso del “ flashback ” in Emily Brontë o a quello del
“montaggio incrociato” e dei “primi piani” in Dickens) ma, a volte anche
quelli del cinema modernista (si pensi al “fuori campo” in Madame Bovary).
[…]Oggi giorno non stiamo forse per avvicinarci a una simile soglia? Unanuova “esperienza di vita” è nell’aria, una percezione della vita che fa
esplodere le forme narrative centrate e lineari rendendo l’esistenza un flusso
multiforme;[…]Si potrebbe obiettare che l’ipertesto del cyberspazio
costituisca già il nuovo mezzo in cui questa nuova esperienza di vita trova il
suo “naturale”, appropriato “correlato oggettivo”; perciò è solo con l’avvento
dell’ipertesto del cyberspazio che possiamo effettivamente intendere ciò a cui
puntavano registi come Altman, Kieslowski e, implicitamente, lo stesso
Hitchcock.53
53 Ivi, p.40-42.
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dell’Immaginario in molte delle sue manifestazioni tanto qui quanto nelle
opere che corrispondono ai criteri citati poc’anzi. Anche se a molti
potrebbe sembrare un legame troppo forzato, tendo ad essere d’accordo con
Žižek dal momento che sostiene, in un libro così incentrato sul dialogo
teorico, e non vincolante, tra critica cinematografica e psicanalisi lacaniana,
un parere a sostegno dell’idea che certe opere anticiperebbero le tematiche
del digitale, della rete, della cybercultura. bizzarro, ma mentre leggevo laЀ
sua raccolta di saggi ero come convinto, che la parola cyberspazio sarebbe
saltata fuori da un momento all’altro, perché si trattava di una connessione
che stavo covando proprio mentre cercavo di entrare nel suo universoconcettuale. C’era come un sentiero che mi portava irrimediabilmente
verso quello che stavo ricercando, e per di più, non potevo pensare che
Žižek escludesse il nuovo mezzo dalle proprie riflessioni sul cinema,
essendo queste puntate potenzialmente verso ulteriori accenni, spunti di
riflessione. Sul tema onirico del doppio, c’è ad esempio qualcosa da dire su
Mulholland Drive, infatti la trama a mio parere dispiega lo svelamento diun rimorso, quello da parte di Diane, per aver commissionato l’omicidio
della sua amica attrice Camilla: sentimento che si sviluppa in maniera
estremamente articolata, nella realtà onirica creata dalla protagonista. In
questa realtà è evidente lo slittamento delle identificazioni, lo scambio di
identità, operato dalla mente di Diane. La cosa interessante è che Lynch
non utilizza dei segni di punteggiatura chiari per delimitare il passaggio dauna soglia all’altra, però le pone consequenzialmente, in maniera arbitraria
ma non sregolata, operando quindi una sorta di passaggio dalla struttura
naturalmente verticale delle due realtà, ad una struttura appunto
orizzontale, lineare, creando i propri segni particolari di accesso: uno di
questi è il buco, luogo deputato all’attraversamento della fantasia fin dal
suo primo lungometraggio Eraserhead . Questo buco, può essere
tranquillamente rapportato allo schermo elettronico, un oggetto che
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effettivamente ci risucchia nella sua instabile e profonda realtà che obbliga
continuamente il fruitore ad effettuare le sue carrellate ottiche per
immedesimarsi nei dispositivi utilizzati al fine di appagare i propri bisogni.
Tornando al film, la Diane di Mulholland Drive cerca di instaurare un
circuito alternativo, che diremmo pulsionale, in cui accalappiare le funzioni
dei personaggi del suo mondo, per poterli regolare, manipolare a suo
piacimento: nel sogno diviene infatti un’attrice apprezzata, una donna
sicura di sé, e generosa nei confronti degli altri. Inoltre non si astiene,
all’interno della propria fantasia, ad aiutare Rita (la trasfigurazione di
Camilla), che, vittima di un’amnesia, cerca la propria identità. E non èforse questo l’aiuto che lei stessa vorrebbe nella vera realtà? Cioè quella di
trovare un posto, un volto tra i volti di Hollywood? Non è un caso che
l’amnesia di Rita, avvenga a causa di un incidente automobilistico su
Mulholland Drive, la strada che idealmente divide Hollywood dal resto del
mondo. Essendo probabilmente un sogno, la realtà creata da Diane si
dissolve nel momento della presa di coscienza di un’impossibilità, quella dioperare una volizione su di essa; del resto il sogno darà sempre un’illusione
di passività, e ci farà esperire comunque il senso di alterità di una visione
prodotta realmente da noi, una visione che raffigura simbolicamente tante
sfaccettature della nostra identità. Diane ricerca un luogo in cui i
misconoscimenti operati nel sogno seguano delle regole emendabili, un
approdo per uscire dal flusso vorticoso che la annega nella propria apatiaquotidiana. Se Lynch non ha mai voluto operare una decodifica dei propri
film, è proprio perché raffigurano delle verità uniche, inoppugnabili,
l’interpretazione ci porterà sempre verso una soluzione del genere, forte
dell’evidenza di uno schema strutturale, che si avvicina paurosamente al
minimo comune denominatore di tutti gli spettatori possibili. Ecco lo sforzo
di Lynch, metterci in contatto con una dimensione parallela di analisi,
quella operata dall’attraversamento della fantasia, che svela la struttura del
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