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Riuista trimestrale di scienze e storia €. 7"90 Anno 29 Namero 114 A rn o /do tV ozdadori E ditore Giugno 2011 Ò s s q È b Y \ O N t I { :
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l'inclusione tra civitas e pantheon

Apr 21, 2023

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Page 1: l'inclusione tra civitas e pantheon

Riuista trimestrale di scienze e storia €. 7"90

Anno 29 Namero 114 A rn o /do tV ozdadori E ditore Giugno 2011Ò

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Page 2: l'inclusione tra civitas e pantheon

Alle origini occid,entali della società dpertd

TINCLUSIONE TRACIVITAS E

PANTHEONLa ciuihA d,i Roma in epoca repubblicand come Processo

d.i unifcazione ciuile e religiosa

paradossalmente, solo grazie a quella fase di irrigidi-mento al vertice dell'assetto istituzionale e sociale che

viene comunemente definita "serrata del patriziato". Si

tratta di un arco di tempo che copre all'incirca un qua-

rantennio (dal 485 al 445 a.C.), nel quale le massime

magistrature della res publica rlengono monopolizzateda una cerchia ristretta di gruppi gentilizi, le cosiddette

gentes patriciae, che, d'accordo tra loro, occuPano tutti icentri del potere, esercitando un controllo pressoché

totale sulla politica della città di Roma. Una di esse, la

gensFabia, appare potente al punto da riuscire a ottene-re che per sette anni consecutivi un proprio esPonente

venga eletto console. A questo Patto Pa{ecipa anche

una famiglia di origine certamente non romana,la gens

Claudia, il cui capostipite, Atta Clausus, in seguito ro-

manizzatosi in Appius Claudius, si era trasferito in cittàpochi anni prima (nel 504 a.C., secondo la cronologiatradizionale) dalla Sabina, integrandosi imrnediatamen-

CLaud.ia Santi

Ta

-L assai probabile che, nei primi anni dopo l'istitu-zir:ne della repubblica (509 a.C.), a Roma la carica dieonsole non fosse riservata agli esponenti dell'ordinepatrizio: la presenza di nomi di chiara marca plebea o

non romana, rilevabile nelle liste magistramali del pe-

riodo che va dal primo collegio consolare fino al 486a.C., starebbe a dimostrare la possibilità anche per cit-radini di estrazione plebea o addirittura di origine stra-niera di svolgere un ruolo attivo nella cosa pubblica,esercitando perfino la massima magistratura. Questa si-tuazione nella gestione politica della città appare piùeome il naturale prolungamento di quella fase di vivace"mobilità orizzontale" che aveva caratterizzato gli ulti-mi decenni del M secolo a.C. a Roma, corne in tutte Ie

altre città dell'italia centrale, che non come il prodottodi una consapevole scelta culturale. La politica aperta e

inclusiva della repubblica romana diviene significativa e

caratterizzante di un preciso e cosciente orientamento,

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re nella classe dìrigenre e nell'élirr di Roma. Queste fa-

miglie promuovono una programmatica "chiusura" nonsolo a liveìlo politico, attuando una sorta di discrimina-zione nei confronti della classe sociale dei plebei e dimarginalizzazione nei riguardi dei residenti stranieri, so-

prattutto di provenierìza etrusca, ma perseguono altresì

un ideale di "purezzì' culturale, frenando ad esempio

I'inserimento nel latino di Roma di prestiti linguisticiprovenienti soprattutto dal greco, o imponendo un mo-dello di austerità che comporta come prima conseguen-

za, in polemica con le popolazioni limitrofe, la sparizio-ne del corredo funerario daile tombe romane a partiredal primo quarto del V secolo a.C.

Anche I'importazione di culti provenienti dall'Etruriae dalla Grecia subisce un drastico arresto. In un'epocaindefinita, ma sicuramente molto antica, anteriore alla

metà del V secolo a.C., era stato accolto il culto del diogreco Apollo, titolare alle pendici del Campidoglio diun'area per la deposizione delle offerte; alla fine del pe-

riodo monarchico, i Tarquini avevano promosso I'intro-duzione a Roma della triade che verrà definita "capitoli-

na", formata da Giove, Giunone, Minerva, di derivazio-rie etrusca e successivamente sottoposta a un processo dirinazionalizzazione, come ha mostrato G. Dumézil; nel499, o al piìr tardi nel 496 a.C., era stato votato il tem-pio a Castore, il divino gemello progenie di Zeus, il cuiculto era diffuso tanto nella Grecia continentale quantonelle colonie italiote e in Etruria. Dopo questa data,non si registrano più acquisizioni di figure divine di ori-gine non romana per circa cento anni, fino al "trasferi-

mento" a Roma del culto di Giunone Regina patronadella città etrusca di Veio, conquistata dai romani dopouna- serie di campagne di guerra protrattesi con alternevicende. La reazione dei plebei a questa politica di chiu-sura e di esclusione provocò, come è noto, una lungastagione di lotte, dai profiìi talvolta drammatici. Maognuno degli episodi di quella accanita guerra intestinaprodusse un risultato positivo, spinse l'orizzonte politi-co di Roma un po' piìr avanti, al'vicinò alla conquista diquei diritti di cittadinanza che costituiscono il più pre-zioso lascito della romanità all'uomo moderno. Se inOccidente noi tutti oggi non possiamo pensarci se noncome persone e soggerti titolari di diritti, lo dobbiamoin parte proprio a quel movimento di rivendicazioniche si awiò in antagonismo con la serrara del patriziato.

E proprio in questo periodo di "crisi", di feconda ge-stazione, che Roma elabora la sua fisionomia non piircome città-stato aristocratica a base gentilizia, secondoil modello prevalente, ma come res publica a guida pa-trizio-plebea, una forma di governo talmente nuova e

complessa da richiedere non un termine, ma una for-mula, SPQR Senatus Populusque Romanus, per esprime-

1r'4

re ia sua complessità. Il contrasto interno che si originaa Roma nel corso del V secolo a.C. tra ie classi sociali,ordines, dei patrizi e dei plebei non assume principal-mente i contorni di un movimento di rivendicazione a

livello economico, giacché non è una crisi del modellodi welfare a fargli da sfondo, bensì prende la forma diun vasto e consapevole movimento di riforme a livellogiuridico-religioso e politico, che si pone come obietti-vo la rimozione di tutti gli ostacoli che escludevano inon patrizi dalla massima magistratura. Questi ostacolierano rappresentati, innanzitutto, dal divieto di ceiebra-re matrimoni "misti" tra i due ordines, un divieto nonoriginario, ma espresso proprio per rimarcare la posizio-ne asimmetrica delle due classi, che derivava dal man-cato possesso da parte dei plebei dei cosiddetti auspicia,

ossia dalf impossibilità da parte plebea di celebrare unrito privato a carattere preventivo che solo era in gradodi garantire la certezza della prole. Dunque un ostacololegato al sangue, di carattere genetico, ma è significativoche anche all'interno di una politica "reazionaria", a Ro-ma manchi ogni riferimento alla territorialità, a quelvincolo sangue-suolo, Blut und Boden, che ad esempiosi presenta costante e si mantiene invariato nella polisgreca di età classica, anche nella "democratica" Atene.

Quest'enfasi degli auspici è strumentale. È I'argo-mento mediante il quale l'aristocrazia al potere legitti-ma I'esclusione di chi per nascita non apparteneva al

gruppo dominante, ed era perciò privo di quegli stru-menti religiosi che venivano presentati come indispen-sabili per garantire l'assetto della res publica a tutti i li-velli, politico, giuridico e sacrale. La caduta di questapregiudiziale libererà l'accesso dei plebei alle carichemagistratuali e sacerdotali. Nel suo confitto con i patri-zi per l'integrazione nei diritti politici e civili, la plebe si

costituisce quasi come una ciuitas a parte: si riuniscesull?ventino, al di fuori di quel recinto dalla valenza re-

Iigiosa che definiva il territorio 'sacro' di Roma; crea uncorpo di propri rappresentanti, i tribuni della plebe, ilcui numero verrà fissato successivamente in dieci secon-

do un modello mutuato dall'organizzazione censitariadi costituzione dell'esercito; si organizza in una specificaforma di assemble a, i concilia plebir, si fornisce di unproprio archivio, ospitato nel tempio della cosiddettatriade plebea, Cerere, Libero e Libera, che sorgevasull'Aventino. Pretende, inoltre, e impone la stesura diun codice di leggi scritte, le XII Thvole (451-45O a.C.),che fissando i principi del diritto, consentisse di limitareI'arbitrio nell'applicazione delle norme, fenomeno tri-stemente diffuso quando esse erano tramandate oral-mente. Il riconoscimento del potere e dei privilegi deitribuni della plebe da parte del senato e I'inserimentodel tribunato tra le "magistrature" della res publica, l'ef-

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..

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ficacia vincolante per tutto il corpo civico delle delibe-

razioni assunte dalle assemblee della plebe (plebiscita),

previa ratifica del senato, la creazione di una magistra-

rura degli edili riservata ai plebei, con I'incarico di cu-

stodia non solo degli atti degli organismi plebei, ma an-

che delle decisioni prese dal Senato di Roma, la limita-

zione del potere coercitivo dei magistrati patrizi, attra-

verso la riconferma dell'istituto del "ricorso al popolo"(proaocatio ad populum), che garantiva a tutti i cittadiniromani su cui pendeva una condanna capitale il dirittodi richiedere che il popolo si esprimesse a favore o con-

tro tale condanna, sospendendone in caso di voto con-

trario I'esecuzione, sono tutte tapPe verso il consegui-

mento di quella parificazione tra gli ordines che ammet-

terà nel 444 a.C., con la legge Canuleia, la celebrazione

di matrimoni misti tra patrizi e plebei' premessa indi-spensabile, dopo un lungo periodo di assestamento, Per

la creazione nel367 a.C. del primo console di estrazio-

ne plebea. Osserva in proposito Marta Sordi: "Per que-

xo la lex Canuleia [...] h" il sapore di una conquista

fondamentale di civiltà, perché impedisce il cristallizzar-

si di una situazione che avrebbe dato carattere etnico e"razziafe" alla divisione dello stesso corpo civico" (2005,

p.6e).

L r,fl.rro, a livello religioso, di questa consa-

pevole politica di equiparazione fra glí ordines e di inte-

grazione dei plebei al vertice delle istituzioni repubbli-

iane è rappresentato dall'introduzione del culto di Con-

cordia, il cui tempio, secondo la tradizione, fu votato

dal dimatore M. Furio Camillo nello stesso anno in cui i

plebei furono ammessi al consolato; in questa astrazione

personificata, in questa qualità divina, i Romani identi-

h."t"to, secondo Dumézil, innanzitutto "la volontà

attiva d'intesa, e non il rispetto statico degli accordi"

{1977, p. 128). È possibile intravedere' infatti' nel con-

ce tto di concordia ordinum che si vie ne affermando a

Roma, un contenuto dinamico che poteva e doveva

adattarsi alle circostatrze e' se ci si passa I'espressione, a

quelli che oggi definiremmo i rapporti di forza. La posi-

,ione dei plebei era in origine di svantaggio e di esclu-

sione, ma questa situazione si era andata gradualmente

modificando, grazie ad una sorta di "entente cordiale",

ovvero ad un "ccordo

ra le parti che riusciva a soddi-

sfarle entrambe. In tal senso, Ia concordia tomana non

può essere considerata, come pure è stato fatto, l'omo-

îogo della homónoiagreca: le due astrazioni personifica-

,.".bb..o natura e vicende indipendenti, riflesse nelle

diverse sfumature "ideologiche" racchiuse nei loro no-

mi. Il greco, infatti, enfatizzava la componente mentale,

noù.s, ríspetto al latino che, senza escludere la valenza in-tellettuale, valorizzava l'elemento empatico e quello vo-lontaristico nel porre I'accento rispettivamente sú cum'insieme' (contrario dis- 'separatamente') e su crr'cuo-re'. In tal senso, la concordia romana tende non all'an-nullamento delle differenze, ma al loro superamento,non all'omologazione ma alla sintesi, e si realizza quan-do tutti i cuori, per effeto di una libera volontà, batto-no all'unisono.

Del resto, Roma si era rappresentata fin dalle sue ori-gini come "città aperta": la presenza" dell'asylum Romuli,

un recinto sacro collocato sul Campidoglio tra i due

templi di Giove Ottimo Massimo e di Giunone Mone-ta, consacrato, secondo la leggenda, dal fondatore e pri-mo re della città, dove tutti i perseguitati per motivi po-

litici, o secondo alre versioni anche per debiti o reati

comuni, potevano troyare rifugio e ottenere la cittadi-nanza,le conferiva a livello civico, già daila nascita, piùche un carattere inclusivo un'autentica vocazione ecu-

menica. Vocazione ecumenica che Roma dimostrerà, a

livello teologico, anche nei confronti delle divinità dei

popoli vinti, con diversi strum€nti rituali. Già un arcai-

co istituto del diritto religioso, l'euocatio, consentiva,

prima dell'assalto finale, quando I'esito favorevole

all'esercito rornano era ormai indubbio, di 'chiamare

fuori' (euocarr) il nume tutelare di una città nemica sot-

to assedio e di aggregarlo aJ' panth€ontomarlo, dove sa-

rebbe stato accolto con pari dignità' ricevendo addirit-

tura onori maggiori di quelli che gli erano tributati dal-

la sua comunità di origine. In questo modo era stato

accolto a Roma il culto di Giunone Regina, dea poliade

di Veio, dopo la caduta della ricca e prestigiosa cittàetrusca. Questo episodio, il cui rilievo epocale, Per non

dire fatale, è messo ben in rilievo dalle fonti, tesdmonia

come il rito romano dell' euocatio piir che piegare la po-

tenza della divinità tendesse ad orientarne in modo

nuovo il favore a vantaggio di Roma: insomma non un

rito magico a carattere coercitivo' ma' ancora una volta,

la richiesta rituale di un preciso atto con il quale la divi-

nità manifestasse la propria volontà concorde a trasferire

la sua sede di culto a Roma. Perché il rito dell'suocatio

fosse completo ed efficace, infatti, €ra necessario che ve-

nisse traslata la statua di culto della figura divina ogget-

to del rito, custodita, di norma, nel santuario principale

della città. Thle atto non venne compiuto, nel caso di

Giunone Regina di Veio, mediante la forza, ma i giova-

ni incaricati di rimuovere il simulacro della dea dalla

sua sede originaria, secondo una radizione che è proba-

bile conserrri il ricordo autentico di un momento del

rituale, rivolsero preventivamente ad esso la domanda:

'Vuoi venire a Roma, Giunone?'. A questo invito, la dea

avrebbe risposto affermativamente, ribadendo la dispo-

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sizione positiva già manifestatasi,come era prassi, attraverso I'osser-vazione delle viscere dell'animalesacrificato nella prima fase del rito.Attraverso tale procedura rituale,nel 146 a.C., al termine della terza

guerra punica, venne perfezionataI'introduzione a Roma del culto diun'altra forma di Giunone, Giu-none Celeste, in cui i romani ri-Yersarono le caratteristiche diTanit, divinirà tutelare diCartagine. Lesrrema rivalitàche contrapponeva le duecittà, che si affrontaronoin sanguinose campagneper più di due secoli,non fu d'ostacoloall'accettazione nelpantheon romano del-Ia dea protettrice delrremico vinto, sconfit-trleannientato:aRo-ma alla dea fu dedi-cato un sacello sulCampidoglio, nelce nt ro religiosodell'Urbe, e leÉirrono asse-gnati dei sa-cerdoti per-ché curasserola eelebrazionee{ei suoi riti a Ii-vello pubblico.Dunque, il confittocra Roma e Cartaginenon si configurò come un con-fiitto assoluto: esso fu innanzituttodeterminato da una rivalità a ca-rattere economico e politico, dal-la rivendicazione da parte dei ro-

Statua aotittafemminile in terracona, dal san-tuaio dí Minen,a a Lauinio

si per molti secoli, addirittura fino al

427 d.C., allorché - apprendiamodalle fonti - il tempio della deaCeleste fu distrutto da Flavio Co-stanzo, dopo un fallito renrarivodi trasformazione in senso cristia-no.

A-Fl.naloga capacità di inregra-

zione Roma seppe dimostrareanche nel rapporto con il terri-

torio esterno ai confini dellacittà e con le altre genti e

popoli con cui entrò incontatto. Nel IV e III se-

colo a.C., la repubblica a

guida patrizio-plebea, co-stituitasi a seguito dellelotte sociali del V secolo,attuò questo programmadi integrazione politicasecondo le due modalitàdell'espansione e dell'in-clusione. A dare forma al

moyimento espansionisti-co fu tra I'altro la fonda-zione di colonie formateda cittadini romani: sitrattava di insediamentidi modeste dimensioni,che comprendevanoall'incirca trecento fami-glie di cittadini liberi, cherestavano ascritti alletribù territoriali romane e

mantenevano perciò tuttii diritti, ivi compreso il di-

ritto di voro atrivo e passivo.Dopo la delibera del senato, cheindicava anche il territorio scelto

mani di una posizione egemone nel Mediterraneo, ri- per la nuova fondazione, i coloni, arruolati di norma travendicazione contestata da Cartagine, ma non investì i volontari atti alle armi, esauriti i riti religiosi prescritti,tutti gli aspetti, anche quelli culturali; fu uno scontro muovevano in formazione militare .,r.rro il luogo dovetra potenze' ma non uno scontro tra civiltà. Del nemico sarebbe sorta la colonia. Qui giunti, il magistrato dele-vinto' i romani adottarono nel loro pantheon la massi- gato alla fondazione tepli."lrì'tutti gli ati"i sacrali chema divinità, la reinterpretarono, la rimanizzarono € co- erano srati compiuti p., l" forrd"rionJ di Roma; dei pe-sì, sebbene la crttà punica fosse stata saccheggiata per riti con incarico p,rbÈli.o, gli agrimensori, procedevanogiyni e giorni, fosse stata rasa a-l suolo e votara agli àei in seguito all" s.rddi',risione del terreno coltivabile inInferi, qualcosa di essa, a livello religioso, trasferil nel parri;lle ugua-li che yenivano messe a sorteggio rra i co-cuore della città eterna, soprawisse e riuscì a prolungar- iorri; tale o"perarione era condotta ..g,r.niJ i principi

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della cosiddetta centuriazione, ossia tracciando per pri-ma cosa le due direttrici fondamentali, il decumanomassimo, con andamento est-ovest, e il cardo massimo,

con andamento nord-sud, che si intersecavano perpen-

dicolarmente nel punto destinato ad ospitare il Forodella città, e poi continuando la parcellizzazione attra-verso una serie di linee parallele orizzontali e verticaliortogonali che individuavano le varie porzioni di terre-

no coltivabile aventi di norma forma quadrata. Il terri-torio della colonia dei cittadini romani era considerato

a tutti gli effetti territorio di Roma, in tutto equivalente

a quello della città; il simL,olo di questa identità tra lacolonia e la madre-patria era rappresentato a livello reli-gioso dalla presenza del Capitolium, il tempio dedicato

alla triade capitolina, che in ogni colonia dei cittadiniromani sorgeva.in posizione dominante, sulla sommitàdell'altura più elevata o sul lato settentrionale del cardo

massimo, e costituiva il centro religioso della città. Co-me ha sottolineato Ugo Bianchi, "il Capitolium fu mol-to di più che un tempio qualsiasi dedicato alle divinitàdel Campidoglio: esso, immagine ridotta ma fedele, dalpunto di vista strutturale e, più, cultuale del santuario

urbano, fu la sede del culto cittadino della triade capito-lina, culto proprio di ogni città che avesse assunto leistituzioni e le costumanze di Roma, perché rappresen-

tava appunto il culto nazíonale per eccellenza del popo-lo romano" (1950, p.413). È ttato altresì notato che la

diffusione dei capitolia in Italia viene condotta nel se-

gno non della continuità e della confusione, ma inquello della discontinuità e della distinzione dell'iden-tità culturale romana da quella italica, etrusca, magno-

greca (Montanari 2001, p. 137)- In ta1 senso, attraverso

la replica del suo culto principale e più specifico della

triade capitolina, ma soprattutto di Giove Ottimo Mas-

simo, espressione religiosa della res publica, Roma riba-

diva, nelle colonie abitate dai suoi cittadini, la propria

specificità e la propria irriducibilità ai modelli culturalie politici gentilizi vigenti pr€sso tutti gli altri popoli.

Questa capacità di "esportare" la città-civiltà oltre i con-

fini fisici dell'insediamento urbano originario, di ripro-durla in un numero teoricamente illimitato di repliche

è, per così dire, nel codice genetico di Roma e ne costi-

ruisce il destino di città eterna e universale o, come dice

Tito Livio, di "città fondata per I'eternità, in espansione

senza limiti" (storia di Roma dnlk fondazione,IY, 4, 4).

Questo destino, per realizzarsi, necessitava di un con-

cetto duttile, non statico di cittadinanza, che progressi-

varnente giungesse ad assimilare prima i latini, poi glialtri popoli italici, poi anche le genti al di fuori dei con-

frni dell'Italia ed infine, con la Constitutio Antorciniana

che Caracalla promulgò ne! 2I2 d.C., turti coloro che si

trovavano entro i confini dell'Impero. Fu un movimen-

to lento ma continuo che portò ogni volta ad una nuo-va fisionomia della città di Roma, quasi ad una nuoyafondazione. In proposiro, un intransigente difensoredella tradizione autentica di Roma, del costume degliantenati (mos maiorum) come Catone poreva affermarecon yanto che la repubblica romana non era stata fon-data per l'iniziativa di un singolo ma si era costituitacon l'apporto di molti soggetti, non nel breve spaziodella vita di un uomo, ma nell'arco di diverse generazio-ni e di diversi secoli (Catone, in Cicerone, Dello stato,

II, 1,2).

rrtI ra gli strumenti di integrazione elaborati

da Roma nel corso del IV e III secolo a.C., uno partico-larmente efficace si rivelò la concessione dei diritti civili,escludendo spesso I'elenorato attivo e passivo (sine suf-

fagio et iur€ ltonorum), agli abitanti di città vinte che

Roma dopo la conquista organizzò come municipia. Iltermine, appartenente al linguaggio tecnico politico-giuridico, deriva dalla fusione del sostantivo munus'do-vere' e dalla radice del verbo caP€re 'prendere': è proprioin questa assunzione nei confronti di Roma dei doveriderivanti dal diritto di cittadinanza che si sostanzia la

caratteristica principale delle città ordinate tn munici-pia. Esse, a fronte di una relativa autonomia a livellopolitico che per lo più consentiva loro di mantenere, ad

esempio, la forma di governo e le magistrature elettive

che avevano prima della conquista romana, dovevano,

in quanto formate da cittadini, uniformarsi alle normedel diritto romano e delegare a Roma I'amministrzzionedella giustizia nei processi criminali. Il piùr antico muni-cipium cui venne conc€sso il privilegio della piena citta-dinanza (optimo iure) fu Tirscolo, mentre il modello dicittadinanza priva del diritto di voto venn€ applicatoper la prima volta alla città etrusca di Cere, sottomessa

nel353 a.C.Dal punto di vista religioso questi territori non erano

considerati "indiftèrenti": inglobati all'interno dei con-fini ideali della città essi concorrevano a definire quella"geografia sacra", che individuava ad esempio i limitientro i quali il verificarsi di un prodigio, segnale dell'iradegli dei, potesse essere riferibile e dovesse essere riferitoa Roma, perché essa si assumesse la cura di mettere inatto le misure rituali espiatorie e compensacorie per ri-pristinare il patto con gli dei che garantiva la stabilitàdella ciuítas.11 primo territorio ad essere incluso in que-

st'area fu il Monte Albano, l'altura che la vulgata indi-cava come il territorio di Aiba Longa, e dove, in epoca

storica, sorgeva il tempio di Giove Laziare, sede del cul-

to federale dei popoli Latini, cui partecipava anche Ro-

tt7

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ma e del quale assunse ben presto il ruolo egemonico.

Secondo la tradizione, la città di Alba venne sconfitta e

distrutra in epoca monarchica dal terzo re di Roma,Tullo Ostilio, e non fu mai ricostruita. I suoi abitantifurono trasferiti, sempre secondo la tradizione, a Roma

e si fusero con la popolazione locale, senza subire discri-minazioni: a tutti venne concessa la cittadinanza, men-tre gli esponenti delle famiglie piùr illustri furono am-

messi a far parte del senato. Da allora, Roma avocò a sé

la giurisdizione anche religiosa sul territorio del MonteAlbano a tutti gli effetti, non solo come guida del cultofederale che qui aveva sede: se veniva annunciato unprodigio che si era verificato sul monte, ed il primo ac-

cade proprio sotto Tullo Ostilio, Roma mandava deidelegati ad accertare la veridicità dell'annuncio e, appu-rato questo e stabilito che il prodigio aveva rilevanzapubblica, si incaricava della sua espiazione attraverso le

pratiche rituali ordinate dai suoi sacerdoti.

Nt corso del tempo, la repubblica si as-

sunse la tutela religiosa anche di territori non romani,ad indicare che, in campo sacrale, l'interesse di Romasuperava le barriere etniche. Questa unità non solo ter-ritoriale, ma anche religiosa che abbraccia popoli diversiin Italia sotto la guida di Roma appare evidente soprat-tutto nel corso della crisi annibalica, all'epoca della se-

conda guerra punica. A-ll'indomani della sconfitta subitadalle legioni romane sul Tiasimeno ad opera del genera-

Ie cartaginese (218 a.C.), si manifestarono dei prodiginon solo a Roma, nel foro olitorio e nel foro boario, maanche a Lanuvio e a Cere, in Sabina, nella campagnapresso Amiternum (attuale LAquila), nel Piceno e inGallia; coerentemente, le espiazioni disposte dai sacer-

doti romani ufficialmente investiti di questa incomben-za non si tennero solo a Roma, ma in tutte le locaiità incui si erano verificati gli eventi prodigiosi, anche ove

non ricadessero direttamente sotto il controllo politicodi Roma. Lespiazione dei prodigi fu, inoltre, un altrostrum€nto rituale attraverso cui Roma introdusse nelsva Pantlteoz nuove quantità e qualità divine. TaIe ope-razione veniva sempre condofta nel segno della compa-tibilità: anche un culto dagli aspetti aberranti poteva es-

sere accolto se depurato degli elementi in contrasto con1l mos maiorum e riplasmato in forme coerenti con i va-lori religiosi di Roma. È il caso, ad esempio, dell'intro-duzione del culto di Venere Erycina, ossia di quella for-ma in cui la dea era venerata nel santuario sul MonteErice in Sicilia, culto "imporraro" a Roma nel217 a.C-,all'indomani della sconfitta del Tiasimeno, per ordinedei sacerdoti che avevano I'incarico pubblico di espiare i

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prodigi. Nella sua sede in Sicilia, la dea era adorata an-che e soprattutto per la sua relazione con la sfera dellasessualità, una sessualità non coniugale ma mercenaria;diversi elementi indicano che nel suo santuario, secon-do un uso diffuso anche in area vicino-orientale, venivapraticata la cosiddetta prostituzione sacra, ossia un ge-

nere di servizio templare, esercitato da personale ma-schile e femminile, consistente nell'eseguire una serie dipradche sessuali a pagamento a richiesta dei devoti e fe-

deli della dea. Questa forma della dea, però, era anche

strettamente connessa all'elargizione del "favore" gratui-to e senza merito, quello che i romani defrnivar'o uenia.

Era proprio questo aspetto della dea ad interessare i ro-mani ai fini della soluzione positiva del conflitto controi cartaginesi: perciò fu necessario sottoporre la figura diVenere Erycina ad una serie di adattamenti che consen-tissero il suo accoglimento nel pantheon rom no, non inuna collocazione subordinata o marginale ma in posi-zione eminente, come eminente era il suo ruolo per lasalvezza di Roma. A questo fine, i romani eressero insuo onore un tempio sul Campidoglio, sull'altura piÌrsacra di Roma, dove la dea era venerata con modalità diculto conformi ai principi della morale tradizionale(escludendo perciò la pratica della prostituzione sacra) e

la sua figura divina fu associata alla figura di Mente,un'astrazione personificata che rappresentava la facoltà e

.la categoria del.'mentale'. Lassociazione con Mente, ilcui tempio costituiva quasi un'unità con quello di Vene-re Ericyna, dal momento che i due edifici erano divisisolo da un canaletto di scolo, si rese necessaria per ri-durre, per così dire, alla ragione la dea, orientandone ilfavore (uenia) a vantaggio esclusivo di Roma e assicu-

rando così la vittoria alle armi romane.In quest'opera di unificazione civile e religiosa sotto

il segno di Roma, la città eterna incontrò un terreno diresistenza, un limite invalicabile in quei culti iniziaticidi natura estatica che appartenevano alla religione diDioniso Bacco. Questi culti, praticati soprattutto nellecittà magnogreche della Campania, erano già noti, a

partire dai primi contatti che risalgono al IV secoloa.C., ma solo all'inizio del II secolo a.C., penetrarono a

Roma, infiltrandosi nel corpo sociale e assumendo pro-porzioni preoccupanti. Allorché la repubblica decise diintervenire, il numero degli adepti a questo genere diculti di possessione era talmente cresciuto da raggiunge-re, secondo Tito Livio che è la nostra fonte principale,Ie dimensioni di una popolazione pari a quella dei citta-dini. Questo dato è certamente un'esagerazione, ma te-stimonia il senso di grande preoccupazione con cui ven-ne accolta la notizia dell'esistenza di un movimento reli-gioso organizzato, strutturato e - anche solo per questo- pericoloso, che si riconosceva in valori opposti e in-

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Page 8: l'inclusione tra civitas e pantheon

compatibili con quelli su cui si fondava la tradizione diRoma. Un movimento in grado di attirare ogni genere

di persone, ma soprattutto allarmante perché si rivolge-va in maniera particolare ai giovani maschi di età nonsuperiore ai venti anni, a quella parte cioè della comu-nità che attraverso il conseguimento della piena matu-rità, simboleggiata dall'assunzioae della veste da uomo,Ia toga uirilis, doveva andare a costiilire la vera forza diRoma a livello civile e militare. Questi giovani, attraver-

so un giuramento rituale, venivano ammessi alle prati-che del culto che prevedevano tra I'alffo il travestimentoin abiti femminili, che replicava l'ambiguità sessuale del

dio cui erano devoti, e la sodomia rituale, espressione

della relazione gerarchica tÍa iniziando e iniziato. Gliadoratori di Bacco si abbandonavano a manifestazionidi sfrenatezza non solo a carattere sessuale; inducevanoI'eccitazione, il furore bacchico, altresì, attraversol'emissione di urla disumane, attrav€rso Ia danza su rit-mi ossessivi e disarmonici e, infine, attraverso il consu-

mo rituale, senza regola e misura, di vino e di carne cru-da, simbolo dell'ingresso in uno stato di ebbrezza estati-

ca, che assimilava gli iniziati al dio e li rendeva incom-patibili con uno statuto "civico". Gli elementi della ce-

lebrazione notturna dei riti e della loro segrete zza, unitialla notizia del giuramento (iniziatico), fornirono allarepubblica argomento per interpretare questo movi-mento estatico di dpo misteriosofico come una congiura

contro lo stato, un accordo ua privati al fine di sol'verti-re la stabilità delle sue istituzioni; l'incompatibilità dicui questo movimento era portatore fu trasferita dalpiano della religione, una religione di mistero e di sal-

vezza, al piano del crimine pubblico. I devoti di Bacco

furono condannati non come seguaci di una setta, ma

come nemici dello stato, perché, con i loro comporta-menti licenziosi, avevano posto in pericolo e rischiava-

no di pervertire quel codice morale e giuridico-religiososu cui si basavano la costituzione e I'esistenza di Roma.

La repressione dei devoti al culto di Bacco rimase, fi-no al sorgere del cristianesimo, un episodio isolato, ma

ha, anche per noi, un grande valore simbolico in quan-to indica il limite culturale del movimento inclusivo diRoma, che a livello spaziale non conosceva né ricono-sceva limiti alla sua espansione. Lo spostarnento conti-nuo ed ininterrotto dei confini, quel processo che i ro-

mani definivano propagatio terminorum, tacchtude al

tempo stesso la grandezza ed il sogno di Roma. Questapropagazione dei confini, che un cittadino non Potevacompiere ai danni di un altro cittadino pena la sua con-

danna a morte, dato il carattere sacto dei cippi di confi-

ne, era invece sempre possibile e anche necessaria nei

confronti del non cittadino, del nemico, dell'hostis. Se è

vero che questo movimento di incorporazione si realiz-

zava principalmente arrraverso il conflitto, dalle formeritualizzate sì, ma pur sempre un conflitto, è anche veroche ogni conratro, portando ad ar.'vicinare i confini, fi-niva per creare ad-fnitas, ossia affinità. Il diverso da sé

non era più così distante né così incompatibile; si stabi-liva un rapporto e si alviava uno scambio, premessa perquella comprensione che non può mai awenire senza

l"invasione' in qualche forma dello spazio dell'altro.Con il riconoscimento del diritto di cittadinanza a tuttigli abitanti dell'Impero, Roma annullò l'esistenza diconfini interni ai territori romanizzati e la città, Urbs,fu equiparata al mondo, Orbis. Giunse così a compi-mento un processo iniziato molti secoli prima con leprime lotte della plebe, un proc€sso il cui traguardo era

già chiaramente prefigurato in autori di epoca repubbli-cana com€ Cicerone o augustea come Virgilio e Ovidio,un processo riconosciuto anche da autori greci comeAteneo ed Elio fuistide e ancora celebrato con orgogliodal poeta Rutilio Namaziano il quale, scrivendo all'ini-zio del V secolo, rivendicava la grandezza della missionedi Roma che aveva saputo riunire in un unica città unmondo prima lacerato dalle divisioni.

Claudia Santi

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